La seduta comincia alle 14.20.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'applicazione della convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York nel 1989, alcune audizioni in materia di giustizia minorile.
SERENELLA PESARIN, Direttrice dell'istituto penale per i minorenni di Catanzaro. Ringrazio la presidente Scirea e i componenti della Commissione che ho avuto occasione di conoscere nel corso della visita al Ferrante Aporti di Torino.
sua volta è suddivisa nelle 'ndrine. Infatti, la struttura della 'ndrangheta non è verticistica, non è piramidale, ma si divide in zone e in famiglie, per cui i suoi membri sono legati, oltre che da una appartenenza criminogena, da un legame di affinità e di consanguineità. Questo la rende oltremodo pericolosa, perché rompere questi legami significa non solo rompere i legami con l'organizzazione ma anche quelli di tipo affettivo con ciò che ne consegue.
dalle quali provengono anche i tossicofili. Il fenomeno della droga che porta i minori ad entrare nel nostro circuito è più accentuato a Cosenza e Crotone.
PRESIDENTE. La ringrazio, dottoressa Pesarin. Vorrei porle solo una domanda. Quanti sono i ragazzi attualmente presenti nell'istituto che lei dirige a Catanzaro?
SERENELLA PESARIN, Direttrice dell'istituto penale per i minorenni di Catanzaro. La nostra struttura può ospitare fino a venti ragazzi o al massimo ventidue; ciò nelle more appunto dell'apertura di questo nuovo istituto che potrà ospitare fino a quaranta, quarantacinque ragazzi. Non vi sono presenze femminili. Il nostro è un istituto penale con sezione maschile e di semilibertà. Per quanto riguarda la sezione della semilibertà, è da anni deserta: non abbiamo ospiti perché la magistratura tende ad applicare o l'articolo 28, la probation, oppure degli affidamenti; quello della semilibertà è un istituto cui in Calabria si ricorre, ma al quale si è ricorsi poco (almeno negli ultimi 3 anni). Per quanto riguarda la sezione femminile, il nostro istituto non è proprio predisposto in tal senso. Comunque, al di là delle nomadi che, soprattutto nel periodo estivo, transitano nel CPA, la presenza femminile è molto limitata. Si tratta per la maggior parte di straniere, di slave, di nomadi. Nei loro confronti la magistratura adotta in genere altre misure oppure sono indirizzate verso altre strutture. A Torino, per esempio, c'è una sezione femminile che serve non solo Torino ma anche altre realtà d'Italia. La presenza femminile è comunque molto limitata. Al riguardo penso che la divisione III del ministero abbia tutti i dati aggiornati, che eventualmente vi potranno essere utili.
PRESIDENTE. La ringrazio nuovamente per la sua relazione, dottoressa Pesarin, e do la parola al direttore dell'istituto penale per i minorenni di Airola.
SANDRO SPAMPANATO, Direttore dell'istituto penale per i minorenni di Airola. Ringrazio innanzitutto la presidente e tutta la Commissione per averci invitato a questa audizione. Sono trentacinque anni che lavoro in questa amministrazione: i primi sette anni a Torino, nove anni al Filangieri di Napoli, ventuno anni ad Airola, con un intervallo come direttore dell'istituto penale di Airola e dell'istituto penale di Nisida rispettivamente per un anno e mezzo ciascuno.
giorno prima del compimento del ventunesimo anno di età i ragazzi in questione possano ottenere la famosa misura della liberazione condizionata (che è cosa diversa dall'affidamento al servizio sociale). Liberazione condizionata significa essere liberi di proseguire l'attività intrapresa nella stessa zona dove è situato l'istituto o nei paraggi; significa procurare una casa, un lavoro, una scuola ai ragazzi che usufruiscono di questa misura; significa in sostanza consentire a questi ragazzi di proseguire per i successivi cinque anni, fino al compimento del venticinquesimo anno di età, il percorso intrapreso, senza passare per il carcere degli adulti. Non ho niente contro gli istituti penitenziari per adulti, ma è chiaro che le attività che si riescono a svolgere negli istituti penali minorili di tutta Italia sono chiaramente difficili da praticare negli istituti per adulti, perché laddove vi sono 1.000-1.800 detenuti ciò diventa estremamente difficile se non impossibile.
dimissione, una volta spogliatisi della targhetta di detenuto, i ragazzi hanno la possibilità, con contratti di formazione particolari, di proseguire questa esperienza.
COSIMO GABALLO, Direttore dell'istituto penale per i minorenni di Lecce. L'istituto penale per i minorenni di Lecce ospita soggetti che provengono dalle province di Brindisi, Taranto, Lecce e dalla vicina Albania, con qualche presenza saltuaria anche di ragazzi slavi, marocchini
e originari di altre regioni d'Italia che ci provengono per ragioni educative e trattamentali.
l'équipe psico-socio-pedagogica, un gruppo di lavoro costituito da direttori, educatori, assistenti sociali, operatori di polizia penitenziaria che insieme elaborano programmi di intervento verso i ragazzi, sia in custodia cautelare sia che si trovino nella struttura a breve termine, ex articolo 22 (ragazzi che scappano dalla comunità per i quali viene adottato un provvedimento di restrizione per 15 o 30 giorni a seconda dell'entità dei fatti). Vi sono piani di trattamento per ragazzi definitivi e a lungo termine per esecuzione della pena e progetti di lavoro all'esterno, per la semilibertà, per la concessione di misure alternative alla detenzione, l'affidamento al servizio sociale e la detenzione domiciliare, progetti per l'applicazione del servizio educativo sperimentale.
la comunicazione e le relazioni tra i diversi operatori e tra le diverse aree. Nell'istituto penale minorile di Lecce si svolgono incontri fra i diversi gruppi di lavoro, fra gli educatori, fra gli operatori di polizia penitenziaria, fra i docenti, fra gli artigiani, fra gli animatori; si svolgono incontri interdisciplinari, si tengono assemblee, si svolgono incontri tra i responsabili delle diverse aree essenziali che sono strutturali all'istituto: l'area tecnico-pedagogica, l'area amministrativa e l'area di sicurezza (alle tre aree sono poi preposti dei funzionari responsabili).
territorio, ed è testimonianza di una fascia di giovani in difficoltà con se stessi, con la famiglia, con la società.
PRESIDENTE. La ringrazio, signor Gaballo, per la sua precisa esposizione. Mi dispiace doverla interrompere, ma se lei fosse così cortese da lasciarci la documentazione in suo possesso avremo l'opportunità di metterla agli atti e di distribuirla ai colleghi.
PIERA CAPITELLI. Vorrei innanzitutto rivolgere ai nostri ospiti un ringraziamento non rituale ma assolutamente sincero, perché il quadro che ci è stato fatto ci sarà estremamente utile nel prosieguo del nostro lavoro. Siamo partiti da considerazioni di carattere generale per arrivare appunto ad esaminare come si vive concretamente in queste realtà che, per fortuna, in Italia sono ormai residuali, grazie al fortissimo impegno della magistratura nel settore della giustizia minorile. Cominciamo ad avere una panoramica abbastanza ampia degli elementi positivi e delle problematiche non ancora risolte. Mi soffermerò, evidentemente, sulle questioni non ancora risolte. Le evidenzierò molto brevemente perché, purtroppo, mi dovrò allontanare per esigenze personali.
ANTONIO MONTAGNINO. È stato espletato un concorso per assistenti sociali, ma le assunzioni sono state bloccate!
PIERA CAPITELLI. Sì, ce lo ha detto il dottor Magno. Ti ringrazio della precisazione. Io ritengo sia necessario fare qualcosa in proposito. Si tratta di capire quali strumenti possiamo attivare per recepire questo appello. L'aumento del personale sarebbe importantissimo perché consentirebbe di favorire quelle situazioni di semilibertà e di semidetenzione in ordine alle quali, laddove siano praticabili, voi avete espresso soddisfazione. È chiaro che nei territori dove si muovono questi ragazzi è necessario il concorso di più forze perché sia esercitata una vigilanza adeguata.
Generalmente, io tendo a valorizzare gli aspetti pedagogici, anche per la mia esperienza personale, ma credo che in alcune situazioni sia determinante la funzione di controllo e che, ove questa venga meno, certe esperienze non siano possibili. Ritengo quindi vada fatta una profonda riflessione sulla questione relativa al personale di vigilanza.
DINO SCANTAMBURLO. In primo luogo desidero ringraziare i nostri ospiti e sottolineare che l'esperienza della visita a Torino è stata di estremo interesse e di forte coinvolgimento, forse anche perché era la prima volta che entravo in un istituto di quel tipo. Ho visto un'équipe di personale che mi è parso particolarmente qualificato, ma anche - non dico appassionato perché l'espressione può non dare un'idea esatta - pienamente coinvolto nell'azione di vita con questi ragazzi.
in base alla vostra esperienza, come avviene e di cosa avrebbe bisogno?
ANTONIO MONTAGNINO. Desidero aggiungere ai ringraziamenti le scuse per il mio enorme ritardo per il quale ho le ragioni per dichiararmi non colpevole. Comunque leggerò attentamente i resoconti.
SERENELLA PESARIN, Direttrice dell'istituto penale per i minorenni di Catanzaro. Sono un po' in difficoltà e per una parte risponderò in base all'esperienza e poi, se mi consentite, farò alcune riflessioni, sempre maturate in base all'esperienza.
bellissimo vedere la trasformazione. Mi sia consentito di citare un esempio pratico: quando attivammo i corsi di plastilina a noi interessava non tanto la produzione dei vasi ma far sì che il ragazzo trovasse una parte di sé non conosciuta e che fosse riconosciuto dagli altri per una sua valenza positiva che non era la solita cioè quella delinquenziale. Hanno iniziato a costruire con la plastilina delle armi; poi hanno cominciato a capire il gusto di lavorare la plastilina e hanno cominciato a fare altro, provando gusto e trovando riconoscimento, da parte non solo di chi era attorno ma anche di chi è all'esterno, di abilità che avevano sempre avuto. Il nostro rapporto, quindi, può sembrare altissimo ma noi lavoriamo sulla persona.
rete. Si sono verificati a Catanzaro come a Torino casi di ragazzi che non volevano uscire: sono i cosiddetti dipendenti dal cordone ombelicale della struttura penale. Questo è tragico, perché significa che fuori non hanno niente. Si tratta di ragazzi che tentano di mettere in moto degli agiti per finire in carcere. All'interno abbiamo attuato una rete anche in base alla circolare 68080 che indica metodologie, strumenti, divisioni per gruppi; spesso le strutture non erano adeguate per cui le stiamo adeguando. Si sta compiendo un grande sforzo in questa direzione per creare gruppi che si muovano con compatibilità di età e di identità, perché diverso è il ragazzino che entra per il primo reato, anche se indubbiamente ne aveva altri a piede libero, dallo 'ndranghetista figlio di uno 'ndranghetista che ha fatto una scelta di vita, o forse non l'ha fatta ma le condizioni oggettive non gli danno alternative. Su questo abbiamo circolari molto precise, frutto del lavoro di anni ed anni e di una memoria storica della giustizia minorile, le quali ci danno metodologie, strumenti operatività.
volta usciti, opportunità di lavoro. Capisco che è difficile. In Calabria qualcuno mi ha risposto: «Beh, allora finiamo in carcere per avere il lavoro!». Certo, può diventare un paradosso, ma qui è in ballo anche l'immagine di una società basata sulla solidarietà. Al nord tutto diventa difficile perché vi sono le borse di lavoro. Il magrebino sarebbe anche disposto a tirare fuori i documenti, ma ha paura di essere estradato: «E dopo la borsa di lavoro» - dice - «il lavoro chi me lo dà?». Sono problemi reali. Non vorremmo rappresentare noi, istituti chiusi, la risposta a questi problemi, che consistono in diritti negati o violati eppure sanciti.
PRESIDENTE. La ringrazio, dottoressa Pesarin.
SANDRO SPAMPANATO, Direttore dell'istituto penale per i minorenni di Airola. Credo che il dottor Magno lo abbia già detto: noi abbiamo innanzitutto bisogno che si approvi l'ordinamento per i servizi minorili. Noi lavoriamo dal 1975 (mi riferisco alla famosa legge n. 354) con la legge che disciplina gli istituti penali per adulti. Dobbiamo quindi adattare tutto il nostro intervento alla diversa situazione, con le difficoltà che potete bene immaginare perché quella legge, per i minori, non permette assolutamente determinate cose. Il personale della sicurezza, il corpo della polizia penitenziaria si trova pertanto in grave difficoltà di fronte a proposte diverse, educative, trattamentali, che il gruppo intero avanza o vorrebbe avanzare. Disposizioni regolamentari differenti, pensate specificamente per i minori, che disciplinino la vita dei servizi e degli istituti già ci consentirebbero di fare un grosso passo avanti.
SANDRO SPAMPANATO, Direttore dell'istituto penale per i minorenni di Airola. Le difficoltà per noi sorgono laddove ci troviamo di fronte a ragazzi che sono stati in strutture per adulti. Quei ragazzi che hanno avuto due, tre esperienze in quelle strutture finiscono purtroppo per assumere un atteggiamento tale per cui è difficilissimo per noi anche recuperare il discorso che era stato avviato con loro nel corso del tempo. Io sono tra quelli che pensano che per alcuni ragazzi sarebbe opportuno addirittura che continuassero ad essere seguiti da noi anche dopo il ventunesimo anno di età, nell'ambito certo di una proposta organica e trattamentale che veda la collaborazione tra magistratura di sorveglianza e équipe. Parlo dei ragazzi che abbiamo seguito nei nostri istituti: riteniamo deleterio, assurdo, impensabile collocarli in strutture per adulti, almeno fino a quando quelle strutture non saranno organizzate in maniera diversa. Questo è il nostro pensiero. Noi vogliamo trattenere i ragazzi in questione nei nostri istituti, ma a determinate condizioni: purché appunto si prosegua il piano di trattamento e purché non abbiano avuto grosse esperienze nel carcere per adulti.
équipe mobili che seguano all'esterno questi ragazzi che poi finiscono per disperdersi per la Campania. Sarebbe invece importante riuscire ad agganciarli, là dove esistano, ai servizi sociali o ad altre organizzazioni simili, per poter continuare quell'approccio che era stato avviato all'interno degli istituti. Ma noi a stento riusciamo a governare la realtà interna agli istituti e quella esterna nelle immediate vicinanze. Il problema è poter disporre di un'équipe particolare, la famosa équipe territoriale locale, adeguatamente potenziata anche dal punto di vista del personale di polizia penitenziaria. Perché il ragazzo - non dimentichiamolo - va anche controllato. Del resto, noi abbiamo regolamenti molto seri. I ragazzi, quando vengono nei nostri istituti, imparano a conoscere le regole, le norme di vita: ci si deve svegliare ed alzare ad una data ora e così via. La vita dei ragazzi nei nostri istituti è organizzata in maniera seria e lineare, ma è seguita poi con altrettanto affetto, correttezza ed impegno.
L'indagine che stiamo conducendo si arricchirà oggi con il contributo della dottoressa Serenella Pesarin, direttrice dell'istituto penale per i minorenni di Catanzaro, del direttore dell'istituto penale per i minorenni di Airola, Sandro Spampanato, e del direttore dell'istituto penale per i minorenni di Lecce, Cosimo Gaballo. L'audizione ci consentirà di avere un quadro più chiaro sugli istituti di pena per i minori.
Voglio ricordare che la Commissione ha effettuato molte audizioni in tema di giustizia minorile e si è recata presso l'istituto penitenziario Ferrante Aporti di Torino, diretto dalla dottoressa Pesarin, che quindi abbiamo già avuto occasione di conoscere. Tale istituto si caratterizza soprattutto per la presenza di minori stranieri, mentre oggi conosceremo realtà in cui sono presenti minori italiani e avremo la possibilità di valutare l'opportunità di effettuare sopralluoghi in una o più di queste realtà.
Ringrazio i nostri ospiti e li prego di contenere i loro interventi in 10 minuti ciascuno per consentire ai commissari di porre domande e quindi di avere le risposte.
Cedo la parola alla dottoressa Pesarin.
Oggi mi pregio di essere qui per portare, per quanto possibile, un contributo ai lavori autorevoli di questa Commissione in merito ad una realtà meridionale, che è quella dell'istituto penale per minorenni di Catanzaro, l'unica struttura penale del territorio della regione Calabria, la cui utenza, come è a tutti noto, include ragazzi di età compresa fra i 14 e i 21 anni che hanno commesso reati prima di aver compiuto i 18 anni. La competenza del tribunale per i minorenni, in base alle normative vigenti, continua fino al 25o anno di età.
La nostra utenza è caratterizzata fortemente dalla presenza di italiani, calabresi e in piccola parte nomadi, però diventati ormai residenziali nel territorio e che nei fatti hanno perso la loro «subcultura» di provenienza e si sono integrati nel territorio calabrese, acquisendo quegli spazi che la criminalità organizzata, per un processo di rivisitazione e di trasformazione che sta avendo nel corso degli anni, sta per molti versi lasciando, se non stanno diventando gregari della stessa criminalità organizzata, della 'ndrangheta che, come ben sapete, a
L'utenza è quindi molto complessa, anche perché i nomadi, che erano per lo più dediti al furto, un tipologia di reato che continuano a commettere, ultimamente commettono anche reati molto più gravi, come l'associazione a delinquere di stampo mafioso.
L'altra parte dei ragazzi risente molto della struttura del territorio. Alcuni appartengono a famiglie della 'ndrangheta o alle 'ndrine. Indubbiamente nel corso degli anni abbiamo assistito ad un cambiamento dell'utenza: fino a pochi anni fa infatti era costituita da figli degli 'ndranghetisti, che attualmente stanno assumendo tratti e caratteristiche che li fanno apparire già primi attori. Anche le tipologie del reato sono molto gravi: dalla rapina, all'omicidio, all'associazione.
Nel territorio calabrese non vi sono presenze di tossicomani, o meglio di tossicofili, tranne nella zona del cosentino. Forse si tratta di un fenomeno sommerso - questa è un'interpretazione di tipo personale - che tale resta soprattutto per ragazzi che appartengono a ceti sociali di un certo tipo per dinamiche che possono essere ovvie ed implicite. C'è stata un'evoluzione negli ultimi anni, perché soprattutto in territori come quello di Reggio Calabria la droga non veniva usata e vi erano delle sub culture proprie della 'ndrangheta che determinavano alcune modalità ed anche un controllo al contrario del territorio rispetto a questi fenomeni. Abbiamo quindi pochissimi casi di tossicofili; la popolazione straniera è quasi totalmente assente e generalmente ci viene di risulta da istituti del nord (casi problematici o di persone che vanno allontanate per motivi di giustizia). Chiaramente la Calabria è una terra di approdo, ma non certamente di residenza anche per le gravi carenze di occupazione.
Per il resto stiamo assistendo ad un fenomeno emergente - anche questa è una lettura personale - cioè all'aumento dei casi di disagio psichico. Di ciò non mi meraviglio più di tanto, perché anche per motivi culturali non ci si vergogna più a presentare alcune situazioni che quindi sono più notificate, non solo nella popolazione minorile perché si tratta di un fenomeno che sta attraversando tutta la società. D'altro canto i nostri ragazzi sono il risultato della società esterna e non sono qualcosa di diverso. Questo è un fenomeno inquietante ed allarmante che richiederebbe interventi e specialisti, mentre spesso noi soffriamo per alcune carenze all'interno delle piante organiche: nei nostri istituti penali vi è una carenza del 52-60 per cento e voi potete ben capire le difficoltà.
Vi sono poi altri ragazzi interessati da situazioni tipiche dell'adolescenza che commettono reati tali per cui la magistratura non ritiene di utilizzare determinate misure. Il nuovo codice di procedura penale consente di adottare, invece della misura cautelare custodiale negli istituti penali, la permanenza in casa o in comunità. Si tratta di casi rarissimi perché in genere la magistratura adotta altre misure di tipo cautelare.
Noi ospitiamo i ragazzi sia in misura cautelare sia in espiazione pena. Altro dato di grossa differenziazione rispetto al nord è che noi abbiamo ragazzi in espiazione pena, che quindi possono usufruire della legge Simeone. In Calabria abbiamo potuto utilizzare tale normativa in due o tre casi perché siamo diventati residuali e i giovani che vengono da noi hanno commesso reati di una certa consistenza, con preclusioni che derivano anche normativa vigente, anche in materia di affidamento o di semilibertà, in base all'articolo 21. Siamo quindi vincolati da questo tipo di utenza.
Un'altra fetta residuale è rappresentata dai giovani della nuova delinquenza urbana. Abbiamo delle zone come il cosentino
Devo dare atto che in Calabria lavoriamo molto a rete; abbiamo la presenza del SERT già da prima che fosse emanato il decreto Bindi e della regione con la formazione professionale, i fondi strutturali e grandi fette di volontariato e di associazioni. Ciò ci consente di non essere isolati nella regione, tanto che abbiamo abbattuto quelle mura che necessariamente si devono abbattere per reintegrare questi ragazzi che sono cittadini del nostro paese e possono essere cittadini di una costruzione futura.
Per quanto riguarda la scuola, sono partiti i nuovi centri territoriali, per cui si sta lavorando nella sperimentazione. Stiamo tentando di fare questo lavoro di integrazione, sapendo che forse siamo l'ultimo anello di una catena che poi conduce ad altro. Quindi vi è il massimo impegno nel tentativo di fare non solo il nostro lavoro e il nostro dovere, ma soprattutto per far sì che alcuni giovani, nella difficile fase che viviamo nella quale si sono frantumati i riferimenti e si è complessizzato tutto, possano trovare momenti di rivisitazione al loro interno. Noi offriamo loro dei servizi, il resto sta alla loro capacità di lavorare e di riprendere il loro percorso.
Abbiamo sperimentato anche a Catanzaro un modulo alquanto interessante di accoglienza che abbiamo riprodotto a Torino, dove darà risultati più notevoli perché a Catanzaro abbiamo avuto problemi di tipo strutturale, anche se adesso sono superati tanto che dobbiamo aprire un nuovo padiglione e stiamo istituendo la cittadella della giustizia minorile. Il modulo, che è stato monitorato dalla scuola di formazione di Messina, prevede la possibilità per il ragazzo che ha per la prima volta un'esperienza di tipo restrittivo e carcerario di non essere messo immediatamente a contatto con gli altri ragazzi, ma di essere isolato per consentirgli di riprendere fiato rispetto ad un'esperienza molto forte - è forte per tutti, quindi figuriamoci quanto lo sia in età adolescenziale! -, per fargli comprendere ciò che ha fatto e perché è lì e per fargli avere un momento di fiducia nei confronti di una struttura che, anche se è segregante, ha soprattutto un valore pedagogico e di accompagnamento, ascolto e relazione. In una seconda fase, dopo averlo tranquillizzato e rassicurato, vi è la cura del sé: considerate che vi sono situazioni di grande povertà e miseria; sono arrivati ragazzi che indossavano gli stessi abiti da parecchio tempo. Esistono anche situazioni di grossa povertà; ragazzi che non sono abituati neanche a cose che per tanti sono normali: dalla doccia all'igiene personale in generale, alla cura di se stessi. Anche al riguardo abbiamo avuto un grandissimo aiuto da parte delle strutture sanitarie locali, che ci affiancano gratuitamente in maniera veramente professionale, perché altrimenti da soli non ce la faremmo. Vi è quindi una fase di accompagnamento e di inserimento. Ciò per evitare anche il gregarismo, quelle forme di dominanza di sottomissione e ulteriore violenza che tante volte possono nascere. Proprio in questi giorni, visti i risultati ottenuti, abbiamo riattivato questo modulo a Torino. Siamo stati monitorati per un anno e abbiamo ottenuto risultati altamente positivi, lavorando anche in squadra, insieme agli agenti, in staff, ciascuno spogliandosi un po' dei propri ruoli e lavorando soprattutto sulla progettualità, ponendo al centro il minore con i suoi bisogni e la sua identità, e sappiamo che ognuno è diverso dagli altri. Stiamo applicando questa esperienza anche a Torino, dove sarà più facile lavorare perché lì abbiamo creato un modulo di separazione anche in merito alle attività. Ci auguriamo di poter ripetere questa esperienza a Catanzaro, appena ci consegneranno la struttura.
Spero di essere stata esaustiva. Grazie.
Per quanto concerne le attuali presenze, in questo momento il nostro istituto ospita diciotto ragazzi.
Airola è una cittadina del Sannio, della Valle Caudina, la famosa valle dove i romani furono battuti ed umiliati in battaglia; è sita a 23 chilometri da Benevento, a 24 chilometri da Caserta, a 28 chilometri da Avellino, a 40 chilometri da Napoli e a circa 50 chilometri da Salerno. Dico questo perché l'utenza dell'istituto proviene da tutta la regione Campania. Il nostro è un istituto «terminale», vi vengono inviati, anche in custodia cautelare, soprattutto i ragazzi con pene forti, per reati molto pesanti: omicidio, rapina, rapina aggravata. La capienza del nostro istituto, secondo quanto stabilito dal ministero, è di 36 ragazzi; potremmo ospitarne 56 perché siamo attrezzati in tal senso; ne ospitiamo in media da 29 a 32, la maggior parte - ripeto - arrestati per reati abbastanza gravi.
C'è un ottimo rapporto con la magistratura, soprattutto con quella di sorveglianza. E abbiamo una tradizione: 21 anni di istituto, 21 anni di battaglia con il territorio! La struttura è stupenda ed è situata al centro del paese. All'inizio non era accettata. Quando nel 1977-1978 si chiusero le case di rieducazione, la struttura, secondo gli amministratori locali, doveva essere trasformata in qualcos'altro, ma poi rimase struttura penale. Fino ad allora era stata una delle più grandi case di rieducazione femminili d'Italia: venivano ospitate circa 300-350 ragazze, provenienti da Trieste, da Milano, da Torino, dalla Sicilia e così via. È stata una lunga battaglia quella condotta perché diventasse parte del territorio. Oggi siamo una struttura del territorio, nel territorio, con il territorio. Ecco perché invito la presidente e tutta la Commissione (già sono venuti a visitarci altri parlamentari accompagnati dall'onorevole Simeone) a venirci a trovare: è bene che verifichiate con i vostri occhi quanto sto dicendo, perché si potrebbe pensare che le mie parole siano belle ma prive di contenuto concreto, e non è così.
È una necessità ospitare nelle nostre strutture minorili residuali pochi minori, così come a Catanzaro, a Torino, a Lecce; perché quelli residuali sono minori che sono passati attraverso tante sconfitte. Arrivano da noi già con situazioni penali gravemente compromesse: dodici, tredici, quattordici, quindici reati! Hanno usufruito di vari tentativi e alla fine, purtroppo, quasi allo scadere del diciottesimo anno di età o a diciotto anni compiuti, scatta la pena esecutiva, per cui vengono reclusi in un carcere minorile, dove rimangono a scontare la pena fino a ventuno anni, anche se la competenza del magistrato di sorveglianza è fino ai venticinque anni. E anche questo è a mio avviso (lo dico sulla base della mia esperienza di 37 anni di lavoro) un controsenso. Questi ragazzi, che sono l'immagine della sconfitta della società, della famiglia ed anche nostra, arrivano in strutture che sono generalmente bene organizzate (e non parlo solo dell'istituto che io dirigo); strutture dove vi sono équipe molto preparate, composte da educatori e da psicologi, dove vi sono operatori del servizio sociale, dove si fa animazione da parte di soggetti ben selezionati provenienti dal volontariato, dove si fa animazione sportiva, dove si svolgono corsi di educazione professionale, anche regionali, e corsi di scuola elementare e media. Addirittura, noi stiamo per aprire in un'ala esterna dell'istituto una sezione della scuola alberghiera di Stato di Benevento. È un'iniziativa che abbiamo assunto insieme al provveditorato agli studi di Benevento. La nostra è infatti una zona turistica (mi riferisco alla zona del Sannio, al casertano, al beneventano, ma soprattutto al napoletano, e la maggior parte dei nostri ragazzi sono di Napoli o della provincia), dove vi è una forte richiesta di ristoratori e di operatori alberghieri. Abbiamo tra l'altro constatato che i nostri ragazzi hanno una particolare attitudine ai lavori legati alla ristorazione e ai servizi alberghieri, forse per la fame, per le situazioni particolari che hanno vissuto, comunque hanno un grosso talento da questo punto di vista.
A mio avviso, il trattamento individuale è necessario, come del resto anche quello di gruppo; i ragazzi vengono infatti inseriti anche in attività di gruppo: nell'animazione, nella scuola, nella formazione. Il trattamento individuale è però molto importante. Per ogni ragazzo, soprattutto per quelli condannati a pena definitiva (e la maggior parte si trovano in questa situazione), prepariamo un piano di trattamento, che prevede dei passaggi: innanzitutto, l'inserimento nella scuola interna, la partecipazione a tutte le attività interne, il monitoraggio dell'attività svolte e verifiche periodiche; in un secondo momento si provvede all'avvio alle attività di lavoro esterno nella zona (come previsto dall'articolo 21). Quella del Sannio è una zona che si è dimostrata estremamente pronta e sensibile da questo punto di vista. Sui 30-29 ragazzi che ospitiamo nel nostro istituto, riusciamo ad averne in media 10-12 impegnati in attività lavorative o scolastiche all'esterno. Vi sono ragazzi che iniziano il loro corso scolastico e che ad un certo punto, tornando nelle loro zone di provenienza, potrebbero essere costretti ad abbandonare gli studi. Ecco perché allora abbiamo chiesto la creazione nel nostro istituto di una sezione distaccata della scuola alberghiera di Benevento. Attraverso una convenzione con la regione o con il comune, o nelle altre forme messe oggi a disposizione dalla legge, potremo così far frequentare inizialmente ai nostri ragazzi la sezione interna al nostro istituto della scuola alberghiera per poi avviarli alla sede centrale di Benevento, in modo che possano proseguire questo tipo di attività. Posso dire che abbiamo avuto decorosi successi, anche grazie al nostro ottimo rapporto con la magistratura di sorveglianza. Allo scadere del ventunesimo anno di età, la maggioranza di questi ragazzi, condannati a pene lunghe, dovrà trasmigrare nel carcere per adulti. Noi ci battiamo perché questo non avvenga: con una attenta opera di selezione ed un serio intervento congiunto tra magistratura di sorveglianza, servizio sociale ed équipe d'istituto, cerchiamo di far sì che un
Nel nostro istituto vi è anche una sezione di semilibertà e di semidetenzione, che sta funzionando. Nel regime di semidetenzione i ragazzi escono dall'istituto alle 8 del mattino, per recarsi nei luoghi dove svolgono le loro attività esterne (in genere a Napoli o a Benevento), e vi rientrano alle 20. Quella della semidetenzione è una misura importante per la cui applicazione sono però necessari (richiamo su questo l'attenzione della Commissione) seri controlli sia da parte dei servizi sociali che da parte delle nostre forze di polizia, cioè da parte della polizia penitenziaria (a mio avviso, la nostra polizia potrebbe adeguatamente svolgere questo compito, anche perché conosce bene i nostri ragazzi ed ha un vissuto con loro; ciò tra l'altro consentirebbe di non distogliere la polizia di stato o i carabinieri da altri compiti). Occorre dunque seguire dalle 8 del mattino alle 20 di sera, nella loro attività esterna, i ragazzi in regime di semidetenzione. Il controllo è necessario soprattutto perché a Napoli e in tutta la nostra zona il problema della droga, a differenza della Calabria, esiste ed è molto forte. Basti pensare che il 64 per cento dei ragazzi ha avuto problemi o contatti con la droga, anche senza essere tossicodipendenti.
Le misure della semidetenzione e della semilibertà (soprattutto quest'ultima, a mio avviso) potrebbero essere importantissime anche per non caricare le comunità (ciò non rientra nella mia competenza, ma voglio fare un'osservazione al riguardo) di ragazzi di diciannove o venti anni, laddove sarebbe opportuno che nelle comunità in questione venissero ospitati ragazzi dai quattordici ai diciassette anni. È chiaro che un ragazzo di diciannove, venti o ventuno anni ha problemi completamente diversi da quelli dei ragazzi più piccoli. Ecco che allora la semilibertà, una semilibertà seria, seguita in maniera forte, educativamente valida, potrebbe essere una soluzione efficace, che consentirebbe addirittura di arrivare al superamento nella misura del 70 per cento del residuale carcerario (l'ho detto anche al dottor Magno). Io credo che il legislatore, per quanto riguarda la giustizia minorile, dovrebbe prevedere la possibilità di concedere questa misura ai minori non una volta scontata la metà della pena, come avviene per gli adulti, ma nel momento in cui l'équipe dell'istituto ed il magistrato di sorveglianza ritengano sia possibile, sulla base di dati concreti e certi, avviare il giovane ad un regime di semilibertà. Semilibertà significa stare tante ore del giorno fuori, tornare in istituto soltanto per mangiare e per avere un contatto con l'educatore e con gli operatori del servizio sociale, quindi tornare a lavorare fuori, dove si è seguiti dal nostro nuovo gruppo, un'unità locale educativa che segue appunto i ragazzi sul territorio. Ciò - ripeto - consentirebbe un superamento ancora maggiore del residuale carcerario.
Quello che facciamo all'interno della nostra struttura potrebbe sembrare utopistico. Noi facciamo non formazione tradizionale ma una grossa formazione di artigianato. Per contratto, gli artigiani che lavorano all'interno dell'istituto sono tenuti ad impiegare all'esterno, nella loro bottega artigianale, almeno due ragazzi, ove questi lo meritino. Al momento della
Tentiamo di superare la scuola elementare perché sta salendo il «livello culturale» dei nostri ragazzi. Un tempo, se avevano la licenza elementare era un miracolo, mentre oggi arrivano ragazzi già in possesso della licenza elementare e che hanno frequentato la prima o la seconda media, anche se tutti sono interessati dall'analfabetismo di ritorno.
Abbiamo pensato di agganciare questo discorso con l'istituto alberghiero, perché ci siamo accorti che il materiale che abbiamo in mano intellettivamente e culturalmente potrebbe avere questo tipo di aspirazione. Una grossa importanza ha l'attività di animazione: giriamo con le nostre compagnie teatrali tutta l'Italia; siamo stati dal Presidente della Repubblica e al Quirinale, da dove scapparono due ragazzi che poi furono brillantemente ripresi (non erano comunque del mio istituto); siamo stati nel nord, a Torino, a Mantova, a Palermo con la compagnia che si esibisce nel teatrino dell'istituto che è l'unico teatro della Valle Caudina aperto alle manifestazioni teatrali organizzate dal consorzio regionale. Attraverso abbonamenti la gente viene e assiste allo spettacolo non solo dei nostri ragazzi. Noi pretendiamo che nella rassegna teatrale con Giuffrè, Lucio Dalla ed altri vi sia comunque uno spettacolo dei nostri ragazzi che dovrà seguire la rassegna all'esterno. C'è questo grosso momento di aggregazione. La compagnia teatrale è formata da nostri ragazzi (non meno di 7), ragazzi del liceo scientifico e classico di Airola e ragazzi dell'animazione sociale.
Con l'animazione sportiva partecipiamo a tutte le gare nazionali dell'AICS, a Cervia, a Senigallia, dove vanno i nostri ragazzi, in genere quelli che lavorano all'esterno e che vanno in permesso premio a casa.
La media dei rientri dal permesso premio è del 98 per cento e la media delle fughe, cioè degli allontanamenti dal lavoro esterno è dell'1 per cento. Abbiamo avuto una clamorosa evasione, non dal lavoro esterno ma dall'istituto, di un ragazzo che per due anni e quattro mesi è stato con noi e ha lavorato all'esterno con gli handicappati. È uscito perché dimesso ed è tornato a casa; noi gli avevamo trovato una sistemazione a Sant'Agata dei Goti, ma il padre, separato dalla moglie, non ha voluto. Il presidente del tribunale non è riuscito a togliergli la patria potestà in tempo. Il padre è stato arrestato in Francia e la madre non si sa dove sia. Il ragazzo ha di nuovo commesso dei reati ed è tornato in istituto drogatissimo; il giorno dopo è scappato. È stato ripreso dopo due giorni e mi ha scritto - da un altro istituto in cui è stato mandato non perché io lo abbia chiesto ma perché così è stato deciso - una lettera nella quale racconta la sua storia.
La criminalità in Campania non è come quella in Calabria: in Campania ci sono 150 bande criminali; non so quante se ne contino solo a Secondigliano. Quindi la nostra grossa difficoltà è lottare in un mondo nel quale i ragazzi vivono all'interno del clan. Riaggregare e stemperare le loro animosità e quelle delle famiglie è molto difficile e duro e purtroppo perdiamo un grosso numero di ragazzi perché non si riesce ad avere quel collegamento col territorio soprattutto napoletano che sarebbe importantissimo. Stiamo facendo una battaglia terribile con Bassolino ed altri su questo terreno, però il discorso è molto difficile, per cui assistiamo a parecchie sconfitte laddove invece potremmo avere risultati diversi. Possiamo dire che non riusciamo a recuperare il 60 per cento dei ragazzi.
La struttura penale minorile di Lecce è sede di esecuzione di provvedimenti dell'autorità giudiziaria per questi ragazzi. Naturalmente tutto ciò avviene nel rispetto dei diritti soggettivi dei ragazzi: diritto alla salute, allo studio, allo sviluppo armonico, alla formazione professionale, alla socializzazione, alle attività ludiche e sportive, a non vedere interrotti i propri processi educativi, a mantenere i legami affettivi con i propri familiari o con figure significative. La struttura attiva anche processi di responsabilizzazione con iniziative e attraverso un ordinato svolgimento delle attività. L'istituto è organizzato secondo orari di attività: la sveglia è alle 7.15; alle 8 si fa colazione e alle 8.30 iniziano le attività e i corsi di formazione professionale: lavorazione della cartapesta e di giocattoleria, attività gestite da un'agenzia esterna regionale, il CNIPA, con sede a Bari, che ha operatori artigiani che svolgono attività reali e concrete sul territorio. Alle 12.30 terminano le attività, i ragazzi pranzano e rientrano nelle stanze-celle; alle 14.30 riprendono le attività di tempo libero e scolastiche. Abbiamo un gruppo pluriclasse, il centro territoriale permanente ex scuola media per lavoratori e un gruppo di ragazzi che frequentano la scuola media superiore. Realizzano attività di tempo libero come pittura, sport, fotografia, musica, teatro, cultura, giornalino. Queste attività sono affidate ad agenzie esterne in convenzione con l'istituto.
L'utenza, costituita da ragazzi provenienti da Brindisi, Lecce e Taranto e anche dalla vicina Albania, mostra un'interregionalità di fondo riconducibile non solo alle differenti culture di provenienza, ma soprattutto alla molteplicità delle condizioni socio-ambientali dei nuclei familiari di appartenenza. Accanto a minori provenienti da contesti familiari multiproblematici e carenziali, la struttura ospita anche ragazzi che non manifestano evidenti problematiche di natura economica e socio-assistenziale. Sono ragazzi questi che esprimono difficoltà relazionali da collocarsi presumibilmente nell'ambito del sistema delle dinamiche interfamiliari, oppure di disimpegno dei processi tipici dell'età evolutiva e adolescenziale. Questa eterogeneità investe anche i ragazzi albanesi: accanto a minori imputati di traffico di sostanze stupefacenti e provenienti da condizioni di estrema povertà in fuga dal loro paese e in cerca del benessere, l'istituto penale ospita e ha ospitato anche ragazzi più problematici imputati di reati più gravi concernenti l'immigrazione clandestina, noti come «scafisti», ragazzi più forti, più duri, con riferimenti ad organizzazioni criminali.
L'eterogeneità dell'utenza ha richiesto un maggiore impegno da parte degli operatori e si è posto il problema di dare risposte adeguate alla diversità dei bisogni e delle esigenze. Pertanto si è optato per un sistema formativo integrato, per cui tutte le risorse culturali, sportive, di lavoro, di teatro, di fotografia, di tempo libero ruotano intorno al ragazzo. Per realizzare ciò - da tempo operiamo con tale metodologia - ci si è organizzati in gruppi di lavoro ed è stato necessario l'impegno di tutti gli operatori, dei docenti delle scuole elementari, delle medie e delle medie superiori, dell'agenzia del progetto conosciuto come «progetto per ultradiciottenni», voluto dall'ufficio centrale per la giustizia minorile che vede coinvolti i ragazzi ultradiciottenni che presentano delle potenzialità, qualità e risorse lavorative, culturali, formative. Il progetto è riferito all'opportunità che viene data ai ragazzi di lavorare la cartapesta e la pietra leccese e produrre oggettistica o di lavorare in legatoria, serigrafia, giardinaggio, agricoltura, con modeste commesse realizzate all'interno.
Lo svolgimento di tutti i programmi formativi di scuola e di lavoro ed educativi sono affidati ai docenti e agli animatori che, nell'ambito delle proprie aree, contribuiscono alla specifica formazione del ragazzo secondo programmi individualizzati, piani di intervento e programmi di trattamento. Sede propulsiva di verifica e di montaggio delle attività è
Inoltre il gruppo di lavoro studia e si confronta con diversi operatori per potere definire strategie operative comuni a tutti idonee ad affrontare situazioni particolarmente problematiche. I ragazzi ristretti sono ragazzi difficili; i colleghi parlano di «residualità», nel senso che si tratta di giovani che hanno già sperimentato altri percorsi, altri processi formativi ed entrano nella struttura penale minorile, a parte coloro i quali, per ragioni di carattere giudiziario, sono in custodia cautelare.
Esiste nella struttura penale uno psicologo che fa parte del gruppo di lavoro e che affronta situazioni formative e strutturali, che ha colloqui con le famiglie e colloqui individuali con i ragazzi, che elabora attività trattamentali per l'esterno partecipandovi. Mi riferisco al servizio educativo sperimentale che si realizza nella struttura penale di Lecce come risposta al bisogno sentito dai ragazzi di essere accompagnati nella fase di rientro nel proprio contesto di appartenenza dagli stessi operatori che hanno conosciuto all'interno della struttura e con i quali hanno stabilito una relazione e che vogliono vicini nei momenti in cui escono per revoca della custodia cautelare, per permanenza in casa, per prescrizione, per la detenzione domiciliare e hanno bisogno ancora di essere guidati. Sono progetti che vengono elaborati in seno all'équipe psico-socio-pedagogica per essere poi proposti all'autorità giudiziaria.
La figura dello psicologo oggi si allontana (almeno nell'istituto penale minorile di Lecce) dal ruolo storico che aveva in passato. Oggi lo psicologo offre consulenza, partecipa - ripeto - all'elaborazione di progetti didattici individualizzati, svolge colloqui con le famiglie, incontra i ragazzi in riunioni di gruppo. Nella struttura penale minorile di Lecce si svolgono queste riunioni di gruppo (come solitamente vengono indicate). In questi incontri, realizzati con l'educatore, con l'operatore di polizia penitenziaria, i ragazzi ristretti hanno la possibilità di confrontarsi, di parlare, di criticare ed evidenziare ciò che è negativo e anche di proporre dei correttivi per la conduzione e la gestione della vita d'istituto. I gruppi, nell'istituto penale minorile di Lecce, sono tre: due sono costituiti da giovani adulti ed uno da minori. I gruppi, costituiti da dieci, dodici ragazzi, sono affidati a degli educatori, a degli operatori di polizia penitenziaria, che oggi, oltre ad adempiere al proprio ruolo storico tipico e necessario di sorveglianza e di controllo, svolgono anche attività di osservazione e trattamento. A tali riunioni di gruppo possono partecipare anche altri operatori, istituzionali o meno. Parlo degli animatori, dei docenti, degli artigiani. Questi soggetti possono essere inseriti anche nell'équipe psico-socio-pedagogica. Tutti possono infatti contribuire, con la propria professionalità e con la propria attività di osservazione e di intervento, alla conoscenza dei ragazzi e all'elaborazione di piani di intervento concernenti i ragazzi giudicabili destinati a permanere in istituto per brevi periodi, laddove per quelli a lunga pena vengono elaborati programmi di trattamento che sono sempre soggetti a verifica.
Si lavora privilegiando il gruppo di lavoro. È una metodologia che abbiamo ritenuto molto utile e positiva. Tutto ciò richiede naturalmente un raccordo continuo ma dà appunto la possibilità di comunicare, di confrontarsi in modo democratico e corretto e consente di valorizzare
L'istituto penale minorile di Lecce, dal punto di vista strutturale, è fortunato perché è dotato di spazi per lo svolgimento delle diverse iniziative e delle diverse attività. Vi sono locali per le attività di tempo libero, locali per la palestra, locali per le officine e per i corsi di formazione professionale, locali per lo svolgimento delle attività scolastiche, vi è un'aula magna dove si svolgono le assemblee con i ragazzi o le riunioni di gruppo, vi sono spazi per il teatro, vi è una cappella dove si svolgono attività religiose, cui i ragazzi sono liberi di partecipare, vi è il cortile, che abbiamo rivalorizzato cercando di dare significato al momento del passeggio, c'è un campo di calcetto ed uno di atletica, che viene utilizzato anche per altri tipi di sport, come la pallavolo.
Per quanto concerne le stanze-celle, abbiamo dato e cerchiamo di dare significato alla cura degli ambienti, alla personalizzazione degli stessi, convinti come siamo che migliorare e potenziare la qualità degli spazi e degli ambienti serva a migliorare la qualità dei rapporti interpersonali, ad attenuare gli effetti derivanti dalle carenze di stimolazione e dai ritmi di vita propri di un'istituzione totale, a stimolare i ragazzi ad un maggiore impegno formativo, a mitigare forme di aggressività verso gli oggetti e la struttura, ad accrescere nel contempo l'autostima e il senso del valore di sé e dei propri compagni.
Nell'organizzazione dei gruppi e nella collocazione dei ragazzi nelle stanze, l'educatore, i responsabili della struttura penale, i responsabili della sicurezza, anche con la partecipazione dell'agente di polizia penitenziaria di gruppo e su decisione del direttore (eventualmente anche sulla base di segnalazioni ed indicazioni dell'équipe psico-socio-pedagogica), tengono conto dell'età del ragazzo, del reato commesso, ma soprattutto delle caratteristiche personali, onde poterlo collocare con soggetti con i quali possa interagire ed interrelazionare. Naturalmente, le difficoltà non mancano, ma non si tratta di difficoltà insormontabili: sono normali difficoltà di relazione tra i ragazzi, non vorrei che pensaste a forme di forte aggressività, che non ci sono.
La struttura (mi preme precisarlo) opera come una comunità educante, che ha valenza pedagogica, che guarda al bisogno del ragazzo, alle sue risorse, alle sue necessità. Ciò vale per tutti gli operatori, ivi compresi quelli di polizia penitenziaria. Come ho già detto, infatti, dopo la riforma della legge sul corpo di polizia penitenziaria quest'ultima svolge anche attività di osservazione e di trattamento e partecipa alle iniziative e alle attività dell'istituto, è presente nella équipe psico-socio-pedagogica e quindi contribuisce a dare informazioni molto concrete e molto realistiche che diventano poi utili per la valutazione e l'elaborazione dei piani di intervento.
La struttura lavora anche in rete: ha relazioni con gruppi di volontariato, che propongono e hanno proposto interventi teatrali e musicali; ha relazioni con gli enti locali, con il comune, con la provincia, con amministratori, con politici. È nostra intenzione potenziare questa rete di relazioni con gli enti, con le agenzie, con il territorio, con educatori, con assistenti sociali, con l'associazionismo del privato sociale, con forze dell'ordine, perché lo riteniamo utile e formativo. Noi coinvolgiamo gli enti in programmi propri della istituzione, così come stimoliamo le agenzie e gli enti a chiamarci a partecipare ai loro programmi, alle loro attività, alle loro iniziative, convinti come siamo che la struttura è territorio, fa parte del
Credo di aver finito. Istintivamente, sarei tentato di continuare ma concludo il mio intervento fornendo dei dati concreti.
La presenza media della struttura penale minorile di Lecce è di 30 ragazzi. Attualmente sono presenti in 24, di cui 7 minori, 7 giovani adulti giudicabili, 8 appellanti e ricorrenti nessuno. I definitivi sono 15, di cui 11 giovani adulti italiani, 1 minorenne italiano, 3 giovani adulti albanesi.
Per quanto riguarda i reati di cui sono imputati, sono tutti ragazzi difficili, ma non bisogna farsi condizionare da questo elemento: abbiamo un ragazzo imputato per concorso in omicidio, uno per tentato omicidio, cinque per rapina, quattro per furto aggravato, uno per ricettazione, nove per violazione dell'articolo 73 (quello relativo alle sostanze stupefacenti; per lo più, sono ragazzi albanesi) e tre per favoreggiamento ed immigrazione clandestina.
Per quanto concerne i luoghi di provenienza, i ragazzi provengono da Lecce e dalla relativa provincia, da Brindisi e dalla relativa provincia, da Taranto e dalla relativa provincia, dall'Albania e dalla Jugoslavia.
Do ora la parola ai parlamentari che intendano formulare domande.
Voi avete evidenziato un problema in cui già ci siamo imbattuti ma che è stato da voi esposto molto bene in termini concreti. Mi riferisco al problema della convivenza tra persone di diversa età, al problema della convivenza tra i ventunenni e i quattordicenni. Il problema è stato evidenziato più volte e necessiterebbe di un intervento di carattere strutturale, di un intervento di carattere legislativo. Sarebbe estremamente utile per noi approfondire quindi questo tema.
L'altra problematica che mi sembra sia stata evidenziata è la necessità di personale, soprattutto di personale di vigilanza. Se ricordo bene il dato, per quanto riguarda il personale siamo al 52 per cento rispetto al fabbisogno. È un problema che il dottor Magno ci ha sottolineato; egli ha fatto un accorato appello. Come parlamentari, non lo abbiamo recepito a sufficienza.
Un'ultima osservazione. Sulla base delle esperienze positive e dell'impegno forte ed efficace delle istituzioni nel settore della giustizia minorile, credo che dobbiamo pensare ad una cultura diversa anche nei confronti del carcere. Mentre quando si parla di giustizia minorile si registra una fortissima sensibilità (del resto, ciò è naturale trattandosi di soggetti in età evolutiva) nei confronti del tema della rieducazione e del reinserimento, quando si parla di carcere - e se ne parla troppo poco - tutto ciò viene rimosso nei più remoti angoli del cervello e della affettività. Ritengo che si debba fare uno sforzo culturale per contrastare questa tendenza. Attualmente, i più fortunati arrivano ad avere esperienze di rieducazione. Quelli che non arrivano ad avere esperienze di rieducazione in giovane età e finiscono nel cosiddetto carcere per adulti non potranno mai avere, in quel luogo, le occasioni che invece vi sono negli istituti penali minorili. Se ci dobbiamo occupare dell'uomo, della persona, se la società ha il compito di occuparsi della persona nel suo complesso ed ha il dovere di non abbandonarla nei momenti di difficoltà, credo che dobbiamo fare appello ad una maggiore sensibilità sotto questo punto di vista.
L'ho già detto nella scorsa audizione: mi è piaciuto molto l'appello del direttore generale delle carceri. Caselli ha scritto su la Repubblica un bellissimo articolo in cui richiama anche il Governo ad una maggiore attenzione nei confronti del carcere inteso come luogo di rieducazione e di reinserimento. Forse non è questa la sede per parlarne, ma credo che il problema della giustizia minorile e della funzione rieducativa ed il problema del carcere siano strettamente connessi, e noi non possiamo dimenticarlo.
Ho notato ovviamente la presenza quasi totale di ragazzi stranieri e mi sono chiesto come sia la situazione di altri istituti in cui vi sia una prevalenza di ragazzi italiani. Ora ricevo una serie di dati e riflessioni molto utili e credo che una nostra visita sia auspicabile.
La dottoressa Pesarin ha accennato ad una serie di servizi a rete che sono stati attivati e hanno certamente prodotto risultati significativi.
Ricordo l'audizione della dottoressa Pomodoro e del dottor Magno nel corso della quale è stato evidenziato come il passaggio delle attività illecite o criminose dei ragazzi dalle cose alle persone sia un fenomeno in crescita. È stata anche evidenziata l'assenza di un progetto educativo e di riferimenti valoriali per i ragazzi.
Vorrei chiedere alla dottoressa Pesarin se nella sua attività, anche umanamente così forte ed educativa, colga questo tipo di problema di fondo nei ragazzi con i quali lavora.
A Torino è stata evidenziata la presenza di problemi affettivi, di relazione, di riferimento per i ragazzi. È questo un tema che mi ha colpito e che non abbiamo approfondito a sufficienza per mancanza di tempo. Suppongo che si tratti di un problema generale. Che cosa succede quando il giovane esce dall'istituto? Viene mantenuto qualche collegamento di vario genere con la realtà, con le persone? L'inserimento nella famiglia o nel lavoro (il cosiddetto inserimento sociale),
Il direttore Spampanato ha parlato del piano di trattamento personalizzato e mirato che si cerca di attivare attraverso la scuola e il lavoro. Ha messo in evidenza, oltre a una serie di successi importanti, la mancanza di un collegamento con il territorio per cui non si riesce a recuperare il 60 per cento dei ragazzi. Vorrei qualche chiarimento ulteriore in proposito.
Inoltre, circa la permanenza fino a 21 anni, mi pare che egli ponesse il tema in termini problematici.
Il direttore Gaballo ha impostato la sua esposizione sul concetto di comunità educante come vuole essere l'istituto e ha parlato di piani di trattamento e di un sistema formativo integrato. Mi pare particolarmente interessante la metodologia di lavoro per gruppi, perché i ragazzi dovrebbero essere coinvolti direttamente, anche attraverso l'assunzione di maggiore responsabilità. Questo dovrebbe, almeno in teoria, servire molto sia nelle relazioni tra di loro, sia nella capacità di comunicare, sviluppando un metodo di rispetto, di accettazione e di confronto che è senz'altro importante.
Vorrei porre a tutti e tre i nostri ospiti la seguente domanda relativa al problema dell'età. Il direttore Gaballo ha fatto un cenno alla distribuzione delle stanze-celle, ma rispetto alla scuola, allo studio, al livello di formazione professionale, ai rapporti interpersonali, ai problemi dell'affettività, dello sviluppo della sessualità, alle attività di tempo libero, come riuscite a mettere insieme ragazzi dai 14 ai 21 anni, dando loro un'adeguata possibilità di esprimersi? Quali necessità e problemi che questo aspetto - che ritengo sia importante - evidenzia meriterebbero di essere affrontati anche a livello legislativo e istituzionale?
Nella parte che ho ascoltato, in quanto ho letto sulla stampa, nelle notizie che ci sono arrivate e nelle informazioni che abbiamo ricevuto nelle precedenti audizioni, rispetto all'allarme per la delinquenza minorile, si è fatto riferimento ad una carenza di strutture penali minorili. Vorrei sapere da voi se queste carenze realmente esistano. Nel nostro paese si parla sempre di emergenze e di priorità però non si ha la capacità di graduarle.
Per quanto riguarda la situazione di Lecce, l'esperienza di una struttura che è all'avanguardia rispetto ai problemi della delinquenza minorile ha fatto registrare un tasso di reinserimento? Ci sono ricadute sempre nel periodo della minore età o successivamente? Credo che questi dati sarebbero utili per darci uno spaccato, anche se limitato ad un'esperienza, e per valutare se le strutture così come sono riescano a comprimere l'illegalità e la deviazione e ad evitare ricadute.
Non riprenderò il ragionamento fatto dall'onorevole Capitelli, perché è indubbio che abbiamo bisogno di personale, anche di polizia penitenziaria. In questo settore ci si fa rilevare come i nostri numeri siano molto alti rispetto all'utenza; il discorso è che fare attività pedagogica o di reinserimento in fasi difficilissime come sono quelle dell'adolescenza richiede un accompagnamento, perché il nostro compito non è solo di controllo, ma è anche quello di riuscire a stimolare quelle positività che tante volte il ragazzo neanche sa di possedere, perché ha fatto dei percorsi di vita che non gli hanno consentito di conoscere quella parte di lui che comunque ha, a meno che non siamo in presenza di una patologia mentale. È
L'onorevole Scantamburlo mi ha stimolato: il clima che lei ha trovato a Torino probabilmente è quello di ogni istituto italiano, con coloriture diverse. Esso è caratterizzato da pochi mezzi, pochi uomini, grande responsabilità e giovani che stanno lì insieme con noi. Giochiamo molto sull'affettività, sulla relazione interpersonale, sulla comunicazione, sull'ascolto.
Mi ha stimolato anche il discorso sui valori che si può riferire ai giovani calabresi come a quelli magrebini. Quella di Torino per me è stata un'esperienza significativa, perché vi è un linguaggio dei sentimenti e del cuore che supera le differenze; dovremmo un po' rieducarci alle emozioni e alle sensazioni. Qualche giorno fa a Torino in una commissione disciplinare non riuscivo a farmi capire, anche perché non abbiamo mediatori o ne abbiamo pochi a causa delle scarse risorse. Abbiamo strumenti strani che sono quelli degli adulti. Dire a dei magrebini che per punizione non avranno il permesso per vedere la famiglia è assurdo perché dov'è questa famiglia? Oppure che non si consente loro di telefonare, ma a chi? Quali strumenti abbiamo? Non riuscivo a farmi capire, così ho utilizzato il linguaggio del calcio: cartellino rosso! Sono diventata famosa in istituto e quando mi incontrano mi dicono «cartellino rosso». A Torino stiamo invertendo il sistema e utilizziamo i premi.
Rispetto alla scala dei valori, la dignità c'è ed è molta in questi ragazzi. Forse noi adulti ci dovremmo fermare, perché in fondo questa adolescenza è il risultato di quello che abbiamo costruito. Stiamo correndo ed è giusto; siamo arrivati ad un punto in cui vi è la comodità del vivere; il progresso ha portato tante cose bellissime e non si ferma: questo non è un ritorno al passato o un rimpianto, però probabilmente ci dovremmo fermare un po' ed ascoltare questi ragazzi.
Lavorare in rete significa essere in tanti, perché la famiglia tradizionale non c'è più e bisogna essere compagni di percorso. La scuola, l'apprendimento vanno bene, ma bisogna costruire i cittadini del mondo di domani e questi ragazzi hanno diritto di cittadinanza.
Indubbiamente alcuni reati sono efferati, ma ultimamente in Calabria stanno affiorando come imputati o indagati ragazzi che hanno commesso violenza carnale. Sono dentro per la nuova legge sulla violenza e stiamo assistendo a fatti paradossali di ragazzini che non si rendono conto di quello che hanno fatto e non riescono a capire perché stanno in carcere: probabilmente, in una subcultura indiziatica, hanno agito in base a delle non conoscenze o a dei fatti che non erano violenza. Diverso è il caso di alcuni ragazzi che hanno agito in gruppo: qui veramente è violenza.
Vi sono grosse difficoltà, per esempio con la 'ndrangheta e le 'ndrine che si combattono tra di loro e ripropongono al loro interno certi modelli, come gli stranieri del Maghreb o dell'Albania che ripropongono i modelli dei loro territori di appartenenza, delle strade e dei quartieri. Il lavoro è molto difficile e la stessa polizia penitenziaria non è solo sicurezza, anzi è quella che vive 24 ore a contatto con i ragazzi, però gli organici, soprattutto al sud, hanno gravissime carenze.
Occorre riuscire ad entrare in relazione con questi ragazzi, far capire loro che c'è qualcosa di diverso e lavorare a
Ho constatato con piacere che le voci si sono differenziate, perché da esse è venuto un panorama completo.
Come dicevo siamo riusciti ad attuare una rete, cosa che tanti anni fa era difficile. Adesso il problema è uscire fuori, perché rischiamo di perdere i ragazzi. In Calabria non tutti i 458 comuni hanno il servizio sociale. Con il SERT, ad esempio, siamo riusciti a fare la rete di affidamento rispetto ad altri territori e devo dare atto alla magistratura calabrese, di Catanzaro e di Reggio Calabria, della grande umanità e responsabilizzazione, del tentativo di coinvolgere e di far capire le alternative: ma quali? Il lavoro non è la causa del delinquere, tuttavia in soggetti deboli, in soggetti che non hanno una struttura forte, indubbiamente è un grosso richiamo. E se poi consideriamo i valori della massificazione (senza con questo voler negare l'importanza dei mass media, che hanno comunque il merito di aver diffuso l'informazione e di aver favorito la crescita), che delineano un mondo dove tutto è bello, dove tutto è facile, dove non c'è dolore, dove non c'è fatica, dove non c'è lavoro, non ci vuole poi molto a capire cosa succede. Questi ragazzi magrebini sono venuti a Torino perché hanno visto i programmi della televisione italiana. E non crediate che ciò valga solo per i magrebini. Spesso, a Torino, io dico ai miei interlocutori: «Voi state parlando con qualcuno che ha lavorato in una terra dove esistono i paesi fantasma, che vivono con le rimesse degli emigrati che vengono, anno dopo anno, a costruirsi la casa piano per piano, una terra dove, nell'entroterra, al di fuori delle città e delle zone urbanizzate, vi sono situazioni di grande povertà».
Sono fenomeni veramente complessi quelli con cui ci confrontiamo. E ci auguriamo che voi andiate a visitare tutti gli istituti penali minorili, per rendervi conto delle loro caratteristiche, della loro specificità, della fatica che essi comportano. Tante volte ci sentiamo soli. Ringrazio pertanto la presidente Cavanna Scirea e tutti i parlamentari che sono stati a Torino per la vicinanza che ci hanno dimostrato. Non facciamoci allora sopraffare dall'emozione quando capitano certi fatti, non andiamo avanti a furia di spinte e di remissioni! La costruzione è difficile, richiede anni di lavoro; distruggere è invece facilissimo. Ha fatto bene il collega a parlare dei permessi. I nostri ragazzi, che fanno parte della 'ndrangheta, quando escono, poi rientrano in istituto. A volte, quando ciò non succede, vi è subito la tentazione di ritornare indietro, di diventare repressivi.
Il fenomeno - ripeto - è complesso. Noi non siamo che un servizio della giustizia minorile. I dati relativi ai nostri istituti non sono certo esaustivi di quella che è la realtà della criminalità minorile: noi parliamo di diciotto, di venti, di trenta ragazzi; vi sono poi i 40 mila denunciati a piede libero (ma di questo vi potrà parlare meglio il dottor Magno)!
Abbiamo bisogno di strumenti, abbiamo bisogno del territorio; abbiamo bisogno di collaborazione nel momento in cui i ragazzi vengono dimessi dall'istituto. È necessario offrire a questi ragazzi, una
Vi ringrazio.
Do ora la parola al signor Spampanato.
Per quanto riguarda i famosi ventunenni, o meglio la fascia di età che va da diciotto a ventuno anni, noi direttori ci siamo confrontati e siamo di questa idea: il minore che compie il diciottesimo anno in istituto e che ha una condanna che va al di là del ventunesimo anno di età deve poter proseguire il percorso nella struttura che lo ha seguito, perché l'organizzazione lo segue da tempo. Anche di fronte ad un minore che è stato dimesso per motivi di legge e che rientra in istituto per la stessa condanna, non abbiamo assolutamente problemi.
Per quanto riguarda la questione posta dall'onorevole Scantamburlo, è giusto quello che osservava la collega Pesarin. Quel sessanta per cento di ragazzi che si perde è costituito da ragazzi per i quali si è comunque organizzato un programma trattamentale e di lavoro. Il fatto che poi si perdano è spesso dovuto proprio ai nostri limiti, alla carenza di personale. Purtroppo infatti non sono ancora realizzabili
Il fatto che una parte di ragazzi si perda dipende quindi anche dai motivi che ho indicato, fermi restando ovviamente l'importanza, in tal senso, delle gravissime carenze familiari ed il problema del territorio. Come ricordava la collega, vi sono alcuni ragazzi che addirittura preferiscono stare in carcere piuttosto che fuori. È un paradosso! E - badate - non è che noi amiamo molto il carcere; lo dice uno che da trentasette anni vi lavora: io non lo amo tanto il carcere! Però, purtroppo, quello che noi ancora oggi riusciamo ad offrire a questi ragazzi è molto rispetto a quello che non offre loro il mondo esterno. Noi offriamo loro innanzitutto pulizia. Se verrete a visitare gli istituti penali minorili italiani (e non parlo solo dell'istituto di Airola), troverete ambienti pulitissimi, troverete organizzazioni abbastanza efficienti. Non è per vantarsi, ma è la verità. Invitiamo la Commissione a venire nei nostri istituti quando vuole, anche senza avvertirci, di notte, di giorno... Siamo perfettamente coscienti, infatti, pur con tutte le problematiche che dobbiamo affrontare, che le nostre sono strutture efficienti.
Certo, problemi ve ne sono. Si è parlato dell'affettività in carcere, della divisione fra minori ed adulti. Al riguardo, noi abbiamo realizzato questa divisione: abbiamo gruppi per minori e gruppi per adulti. La maggior parte dei ragazzi cosiddetti definitivi ha però altre alternative, perché magari riesce ad ottenere il lavoro all'esterno o il permesso premio; l'affettività, quindi, se la gioca all'esterno (ringraziando Dio!). Gli altri, i piccoli, riescono ad avere quella affettività enorme che offre loro il gruppo, tutto il gruppo educativo. Non mi riferisco solo agli educatori ed agli psicologi, ma a tutto l'ambiente. Parlo del gruppo educativo inteso come l'insieme degli educatori, degli operatori di polizia penitenziaria, degli psicologi, degli animatori, degli esterni, dei professori. Perché in fondo, per quanto ci riguarda, nonostante tutto i ragazzi ci vivono sempre come la parte punitiva dell'organizzazione. Ecco perché vi è questa immissione fortissima di elementi esterni. Se venite negli istituti, trovate un enorme numero di volontari appartenenti ad associazioni cattoliche, ai boy-scout, alla Lega ambiente e a tante altre associazioni; proprio grazie a questi volontari si riesce a diminuire quella tensione che è propria del carcere. Il nostro grande progetto, però (almeno per quanto mi riguarda), è quello di portare sempre più fuori questi ragazzi, pur mantenendo fermo l'aggancio con l'istituto. Noi riteniamo che nel momento in cui il progetto trattamentale è pronto, il ragazzo possa uscire all'esterno: deve abituarsi a vivere la vita che poi andrà a vivere, altrimenti rischiamo di creargli attorno una realtà ovattata, una situazione irreale.