La seduta comincia alle 13.55.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'applicazione della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York nel 1989, l'audizione in materia di giustizia minorile del dottor Raffaele Monteforte, Presidente del Tribunale per i minorenni di Napoli e del dottor Stefano Trapani, Procuratore della Repubblica per i minorenni presso il Tribunale di Napoli a cui rivolgo il più cordiale benvenuto anche a nome di tutti i colleghi.
RAFFAELE MONTEFORTE, Presidente del Tribunale per i minorenni di Napoli. Sono io a ringraziare il presidente e la Commissione per avermi dato l'opportunità di riferire, per quanto riguarda il distretto della Corte d'appello di Napoli, sulla attuazione della Convenzione internazionale dei diritti del fanciullo fatta a New York oramai dieci anni fa.
Sicilia), mentre all'istituto di Airola vi erano 27 minorenni, 25 della Corte d'appello di Napoli e due di Salerno. È chiaro, quindi, che da questo punto di vista possiamo ritenere che la Convenzione di New York abbia avuto una concreta attuazione; se guardiamo invece alla premessa e agli articoli 28 e 29 attinenti l'istruzione e l'educazione dei minori, giungiamo a conclusioni ben diverse.
giustizia, adesso Ministero della giustizia - agli enti locali e per essi sul piano operativo ai comuni e sul piano legislativo alle regioni. Quindi, chiusesi le case di rieducazione nel 1978, vi è stato un periodo in cui, pur restando la competenza amministrativa del tribunale per i minorenni, il problema era quello di vedere in che modo si potesse concretizzare questo intervento. Ciò è tanto vero che una volta promulgato il nuovo codice di procedura penale ed essendosi avuto, in applicazione di detto codice, un minor ricorso alla custodia cautelare in istituti penali, il legislatore ritenne necessario intervenire con il provvedimento legislativo del 19 luglio 1991, n. 216, in cui furono previste due strutture, cioè i centri d'accoglienza per minori e i centri di socializzazione nei quartieri a rischio. È accaduto però, purtroppo, che almeno in alcune zone, compresa quella della Corte d'appello di Napoli, intervento questo non si sia concretizzato in nuove strutture, per cui è rimasta solo la possibilità di un affidamento al servizio sociale. La conseguenza è che forse soltanto il 25 per cento dei comuni del distretto ha un proprio servizio sociale.
STEFANO TRAPANI, Procuratore della Repubblica per i minorenni presso il tribunale di Napoli. Per prima cosa voglio ringraziare la Commissione per avermi
dato la possibilità di chiarire alcuni punti che mi stanno particolarmente a cuore.
ma come applicazione della norma, fa del bene al minore e non del male.
stiamo percorrendo una strada che potrà senz'altro essere favorevole per i minori.
PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Monteforte e il dottor Trapani per la loro esposizione.
DINO SCANTAMBURLO. Desidero anch'io ringraziare i nostri ospiti per le relazioni molto chiare e precise che hanno svolto, nonché per la grande passione e competenza con cui portano avanti il loro lavoro.
con il crimine. Se possibile vorrei sapere qualcosa di più sull'ambiente, inteso come quartiere o rione, e sulla vita di relazione che i minori hanno tra loro e con gli adulti nell'ambito più largo della famiglia. Ciò per capire quanto tutto ciò possa avere influenza su questo tipo di devianza.
ANTONINO MONTELEONE. Mi sembra che nella sua relazione il dottor Monteforte abbia sottolineato la centralità della scuola nella prevenzione primaria, nonché le carenze di ordine strutturale nella prevenzione terziaria, che ha anteposto a quella secondaria. Vorrei sapere se il tutto sia dovuto ad un mancato coordinamento legislativo fra la questione amministrativa e quella penale. Desidererei conoscere i limiti di ciò e, gradirei, se possibile, qualche suggerimento, anche se personale.
PIERO PELLICINI. Come avvocato penalista mi sono occupato di diversi processi a carico di minori spesso e volentieri già coinvolti nel fenomeno della droga, purtroppo in aumento anche tra i giovanissimi sotto il profilo sia dell'uso sia della cessione; anzi, come sottolineava il dottor Trapani, molti adulti usano i minori per lo spaccio: si tratta di un fenomeno drammatico, soprattutto adesso che l'emergenza droga è acuita dalla comparsa delle droghe chimiche.
che dovrebbe assicurare gli interventi nei confronti dei minori, perché non ci si limiti ad una funzione repressiva in gran parte inutile perché le pene sono modeste o intervengono misure come la sospensione condizionale, per cui il ragazzino esce, ma a quel punto è già diventato un delinquente.
PIERA CAPITELLI. Innanzitutto mi associo alle parole di benvenuto e di ringraziamento rivolte dai colleghi ai nostri interlocutori. Quando si parla di problematiche come quella che abbiamo oggi qui affrontato ho sempre tantissimi dubbi e partecipo fortemente allo scoramento che qui è stato rappresentato.
PRESIDENTE. Ringrazio i colleghi intervenuti e passo la parola ai nostri ospiti.
RAFFAELE MONTEFORTE, Presidente del tribunale per i minorenni di Napoli. Vorrei innanzitutto integrare i brevi cenni del mio precedente intervento; volevo infatti attendere le domande che mi sarebbero state rivolte prima di fare una esposizione un po' più completa; in questo senso chiedo al presidente un po' più di tempo.
la pena sospesa. Stavo allora per passare dal penale al civile; emettemmo la sentenza, gli dissi le cose che più o meno si dicono in questi casi e poi chiamai il ragazzo e gli chiesi quanti reati avesse commesso dal precedente mese di dicembre, cioè da quando aveva compiuto una certa età. Il ragazzo mi rispose: trentuno. Gli chiesi se per caso non fossero stati trenta o trentadue. No, mi rispose, sono trentuno: ma noi avevamo avuto occasione di arrestarlo o comunque di fermarlo solo tre volte, cioè in un decimo degli episodi che nel frattempo si erano verificati. Questo, dicevo, per rispondere all'ultima domanda che è stata fatta. Quindi, quando si parla di numeri, bisogna tener conto di un fenomeno divenuto ormai sociale: il sempre minor numero di persone che denunzia i reati, specie se commessi da un minorenne. Perché per l'articolo 10 del codice di procedura penale, a tutti noto, non c'è possibilità di costituzione di parte civile e quindi chi ha subito un danno non può sperare di avere un rimborso o un recupero; inoltre, oggi l'istruttoria è fatta nel dibattimento, l'acquisizione della prova non è più effettuata solo dal pubblico ministero ma si realizza nella fase dibattimentale, per cui molte persone cercano di evitare di doversi ripresentare per riferire i fatti, dovendo magari indicare dove abitano, di fronte ad un minore che, passati due o tre anni, sarà anche cambiato nella sua fisionomia e quindi difficilmente identificabile.
istruttorie in quanto l'altra parte era deceduta, lui era incensurato e non vi era pericolo di fuga perché si era presentato volontariamente. Arriviamo all'assurdo - l'ho raccontato l'altro giorno a un deputato che è venuto cortesemente a visitare l'istituto penale minorile di Airola - che lo avevamo messo in una comunità a fini rieducativi, ma lo dovemmo riportare indietro poiché il padre, capoclan, temendo una vendetta trasversale da parte del clan avverso, aveva inviato due guardiaspalle a proteggerlo. Una struttura statale veniva protetta contro eventuali azioni delittuose dall'antistato. Queste sono le difficoltà in cui tutti ci troviamo.
STEFANO TRAPANI, Procuratore della Repubblica per i minorenni presso il tribunale di Napoli. Più che rispondere alle osservazioni mosse, vorrei che la Commissione venisse nel distretto della Corte d'appello di Napoli e che svolgesse un lavoro il più proficuo possibile cercando di risolvere alcuni piccoli problemi. Se ci facciamo sentire una volta soltanto, infatti, non risolviamo nulla e diamo adito a critiche da parte della pubblica opinione.
Cerchiamo quindi di rivederci tutti con temi molto più ristretti su cui ognuno di noi possa esprimere la propria opinione.
ANTONINO MONTELEONE. Approfitto per chiederle una sua opinione a proposito delle strutture sanitarie nel carcere.
STEFANO TRAPANI, Procuratore della Repubblica per i minorenni presso il tribunale di Napoli. Nel napoletano l'istituto carcerario minorile è quasi alla perfezione. Se lei ha visitato istituti in altre nazioni si renderà conto di come noi siamo all'avanguardia, anche perché la nostra popolazione minorile il più delle volte viene dal bassissimo ceto popolare. Ritrovarsi quindi in istituti in cui si può dormire con due persone soltanto, con un bagno e con strutture pulite ogni giorno messe a posto costituisce un motivo di grande benessere per colui che vi abita. Per quanto concerne l'aspetto esteriore, quindi, possiamo dire che l'unica grossa privazione cui è sottoposto il minore è quella della libertà. Circa l'aspetto medico, anche nel caso di minori tossicodipendenti abbiamo visto, fortunatamente per noi, come con accurate visite e facendo in modo che non siano gli stessi esercenti la potestà genitoriale a portare droga, alcuni di essi dopo un certo periodo di tempo riescano a vivere in una situazione di decoro e di dignità tramite l'attività sportiva, lo studio e l'educazione che viene loro impartita. Ciò non vuol dire che siamo di fronte a situazioni ottimali, ma, come è stato detto prima, non c'è altra soluzione; non c'è modo di far sì che nei nostri istituti non vi siano le sbarre. Quando si parlò di alcuni istituti dell'Europa dell'est privi di sbarre, sottolineando come nessuno si fosse permesso di fuggire, ricordo quanto disse un collega: certo, perché se scappano la polizia gli spara addosso. Da noi questo non avviene: c'è gran rispetto e il minore viene seguito e allevato convenientemente negli istituti.
RAFFAELE MONTEFORTE, Presidente del tribunale per i minorenni di Napoli. A completezza di quanto detto dal collega vorrei precisare che le strutture penali minorili sono ottime e fanno il possibile. Il problema è che il minore vi arriva ad una certa età, in quanto non vi è la tempestività dell'intervento. Per poter iniziare un'azione di rieducazione nei suoi confronti ci vuole tempo, bisogna prima creare un rapporto psicologico tra l'educatore e il minore: l'educatore deve togliere la cosiddetta stigma della condanna, ammesso che non sia addirittura un elemento per fare carriera nel clan. Bisogna anche prospettare al minore un'alternativa alla sua scelta, e ciò deve essere fatto tempestivamente, quando è ancora nella fase evolutiva, quando non vi è stata ancora una strutturazione del soggetto. È chiaro che si può fare ben poco se gli istituti penali minorili intervengono in una fase in cui il minore è già avanti negli anni (a volte ne ha 18 o 20, e la collega Chinnici parlava addirittura di ragazzi di 27 o 28 anni). Ciò che non si può fare nel campo penale è possibile nel campo amministrativo, che ha tempi più rapidi della procedura penale.
ANTONINO MONTELEONE. Ricordo che la dottoressa Chinnici ha parlato di personalità strutturate e, concludendo, di personalità strutturate in famiglie strutturate.
RAFFAELE MONTEFORTE, Presidente del tribunale per i minorenni di Napoli. Sì, per il passare degli anni. Ricordo che una decina di anni fa cercammo di intervenire sull'evasione scolastica, magari dichiarando decaduti dalla patria potestà i genitori che non si adoperavano per fronteggiare il fenomeno. Però quest'ultimo è di dimensioni tali che le nostre strutture non sono in grado di farvi fronte.
ANTONINO MONTELEONE. Mi sembra di aver capito che non ci siano carenze strutturali di tipo sanitario. Vorrei quindi capire di quali tipo siano quelle lamentate sul territorio.
Ricordo che nell'ambito del capitolo dell'indagine riguardante la giustizia minorile sono già stati ascoltati il dottor Giuseppe Magno, direttore dell'ufficio centrale per la giustizia minorile, che ha posto l'attenzione in particolar modo sul tema del rapporto tra criminalità minorile e istituti di pena; il dottor Tinebra, capo della procura distrettuale antimafia di Caltanissetta, che si è soffermato in particolare sulla grave questione delle cosiddette scuole di criminalità per i minori fortemente diffuse in talune realtà del territorio nazionale; la dottoressa Chinnici, procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Caltanissetta, la quale ha svolto una dettagliata relazione sui gravi fenomeni di devianza e di coinvolgimento dei minori nella malavita organizzata.
Ricordo anche che l'audizione odierna, incentrata sul delicato tema della criminalità infantile, fa seguito alle recenti missioni effettuate dalla Commissione a Gela e al carcere minorile di Torino nell'ambito delle iniziative per la Settimana dell'infanzia e dell'adolescenza, durante le quali abbiamo potuto approfondire sul territorio le delicate problematiche riguardanti la giustizia minorile.
Cedo la parola al dottor Raffaele Monteforte.
Ieri sera ho avuto modo di leggere attentamente le relazioni svolte in questa sede dai colleghi Tinebra, Magno e Chinnici e credo sia opportuno esaminare il problema dalle due diverse ottiche evidenziate in queste relazioni.
Il collega Magno constatava con indubbio compiacimento che i minori attualmente detenuti negli istituti penali minorili si riducono ad una media giornaliera di 450 su una popolazione carceraria di ben 51 mila unità e la collega Chinnici rivolgeva la sua attenzione alla prevenzione rivolta ai minori.
Stamattina prima di partire ho verificato che nell'istituto penale minorile di Nisida vi erano 42 minori, 32 maschi e 10 femmine (la sezione femminile di Nisida è l'unica dell'Italia meridionale, compresa la
Mi aggancio a quanto detto dalla collega Chinnici sulle tre fasi con cui bisogna guardare alla prevenzione del disadattamento minorile e, trovandomi di fronte ad una Commissione parlamentare, credo sia opportuno guardare il problema dal punto di vista normativo. È convenzione pacifica tra gli operatori del diritto minorile che vi siano tre fasi di prevenzione: una prevenzione primaria o generale, una prevenzione secondaria o amministrativa, una prevenzione terziaria o penale.
La prevenzione primaria ha come caratteristica principale il fatto che si rivolge alla generalità dei cittadini residenti su un determinato territorio e consiste nella buona amministrazione della res publica - dalle strutture sanitarie, alla viabilità, al rispetto del codice della strada - e che per quanto riguarda i minori non può non occuparsi della scuola. In una società evoluta come la nostra la scuola non può limitarsi soltanto ad impartire lezioni per consentire ai ragazzi di saper leggere, scrivere e far di conto; infatti la legge del 1962 che disciplinava la scuola media unificata tra le nuove materie di insegnamento per completare l'istruzione di un soggetto nella fase evolutiva ha previsto come obbligatoria per tutti e tre gli anni l'educazione civica. Su questo punto tornerò poi, se mi sarà consentito. È chiaro che non possiamo caricare la scuola di tutte le responsabilità, però è certo che la sua finalità è quella di rimuovere gli ostacoli economici e sociali all'affermazione della persona umana, come previsto al secondo comma dell'articolo 3 della Costituzione.
Vorrei trattenermi adesso sulla prevenzione terziaria o penale. L'articolo 27 della Costituzione stabilisce che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Vi è quindi l'affermazione della necessità della rieducazione: avendo il minore violato le norme di un armonico vivere sociale va rieducato, ma perché ciò sia possibile è necessaria una condanna che, come è ovvio, deve essere definitiva ed esecutiva, altrimenti non può avere inizio la cosiddetta rieducazione penale; quest'ultima ritengo di poterla limitare alla prevenzione della recidiva, avendo il ragazzo già riportato una condanna da parte del tribunale per i minorenni, che ha dovuto accertare la sua capacità di intendere e di volere, nonché la sua colpevolezza in ordine al fatto contestato.
Ciò premesso ne deriva che la prevenzione secondaria o amministrativa viene a riguardare un amplissimo campo caratterizzato da una normativa che, purtroppo, ritengo vada attentamente vagliata. Quando infatti fu istituito il tribunale per i minorenni, nel lontano 1934, fu prevista una sua competenza amministrativa che implicava, all'articolo 25, due misure, l'affidamento al servizio sociale e il ricovero in case di rieducazione; ne veniva limitata l'applicazione dal successivo articolo 26, secondo comma, per il quale, ovviamente in sede penale, quando il tribunale per i minorenni ritiene di dover concedere il perdono giudiziale o la sospensione condizionale dell'esecuzione della pena ancora una volta rimanda il minore al campo amministrativo: il minore coinvolto nel circuito penale ne viene espulso perché si ritiene opportuno che non venga toccato dall'intervento, ovviamente traumatico, del giudice penale e che si possa quindi recuperare nella fase amministrativa stessa. In un certo senso, però, tale meccanismo è stato non dico frustrato ma configurato in modo da poter esplicarsi con effetto ridotto dal fatto che, con decreto del Presidente della Repubblica del 24 luglio 1977, n. 616, in attuazione dell'articolo 117 della Costituzione, tutta la materia che si richiama alla cosiddetta beneficenza pubblica è passata dall'organo centrale - all'epoca Ministero di grazia e
È in questa ottica che va vista la possibilità di un inserimento del minore, date le chiare carenze che esistono. È quindi vero che vi è una competenza amministrativa, ma essa trova difficoltà molto forti sul piano attuativo-operativo. La situazione dei minorenni nella Corte d'appello di Napoli è quanto mai priva di aiuto e di sostegno.
Fatta questa premessa, la lettura dei dati prima ricordati (42 minori a Nisida e 25 ad Airola) ci sembra ottimale, essendo residuale l'intervento detentivo nel campo minorile; va detto che resta però scoperta tutta una fascia, a prescindere dal fatto che per i tempi tecnici lo stesso intervento penalistico avviene a distanza di 4 o 5 anni; ne consegue che l'attività che si dovrebbe svolgere per evitare che il minore ricada in un comportamento asociale viene quanto mai frustrata.
Con la mia esposizione voglio evidenziare che le cifre che emergono dal ridotto ricorso all'istituto penale non stanno a significare una riduzione della problematica minorile. Non dobbiamo dimenticare che nel 1977, quando è entrata in vigore la legge che ha spostato la competenza dal Ministero di grazia e giustizia agli enti locali, nelle case di rieducazione vi erano ben 400 minorenni. È bene che questa struttura sia stata superata, però ciò ha fatto sì che una quantità notevole di minori espulsi, giustamente, dal circuito penale sia in sostanza priva di qualsiasi assistenza. Per un gran numero di minori la legge del 1934 prevedeva, in base all'articolo 26, la possibilità di un intervento del tribunale per i minorenni. Non essendoci più altre strutture, questi ragazzi, che pure sono entrati in contatto con la struttura penale, per cui hanno avuto il perdono o la sospensione condizionale dell'esecuzione della pena, restano privi di qualsiasi assistenza. Ciò per quanto attiene all'aspetto penale.
Per quanto riguarda la problematica minorile, il tutto è ristretto alla corte d'appello; non va dimenticato che quella di Napoli comprende le province di Avellino, Benevento, Caserta e Napoli; va anche detto, con una perorazione, che al censimento del 1991 risultavano 1 milione e 750 mila minorenni, di cui 450-460 mila imputabili e che notevolmente carente è la situazione per quanto riguarda le strutture pubbliche che dovrebbero intervenire in loro favore. Un segnale rilevante della situazione è dato dal fatto che presso il tribunale per i minorenni sono attualmente pendenti quasi 450 procedimenti di abbandono di minore; probabilmente non si concretizzeranno molto spesso, per fortuna, in interventi di adottabilità, ma sono un campanello di allarme di quale sia la problematica minorile nel distretto della corte d'appello di Napoli.
Sono a disposizione per eventuali domande sull'argomento minorile da parte dei commissari.
Vorrei innanzitutto tratteggiare su linee molto vaste la nostra attività e poi, anche se partono solo da me, proporre la soluzione di alcuni problemi attraverso alcuni rimedi. Abbiamo già detto come il nostro territorio sia molto vasto, comprende molti capoluoghi di provincia e si estende per tutto il distretto della corte d'appello di Napoli creando enorme - penso io - fastidio all'utenza che è costretta a spostarsi per raggiungere Napoli onde poter, ad esempio, presentare domande di adozione, di autorizzazione a matrimonio, eccetera; questo aspetto ritengo dovrebbe essere considerato da chi è addetto a semplificare le cose affinché si possa avere una sezione per i minori presso ogni tribunale, così come c'è la sezione agraria o quella lavoro, competente a risolvere i tanti problemi che il tribunale per i minori, ad esempio quello di Napoli, oggi è costretto ad affrontare da solo.
La materia civile, quella amministrativa e quella penale interessano il tribunale per i minori. La mia procura, di cui sono orgoglioso di far parte da circa tre anni, è quella che tocca con mano più attenta e sensibile i problemi della devianza che sfociano in lesioni della norma penale. In sostanza abbiamo una enorme quantità di persone che operano alle spalle delle istituzioni e che danno vita a fenomeni di devianza da parte dei minori e ciò che a noi appare è forse solo una parte del sommerso perché in sostanza la vera e propria malavita napoletana minorile è molto nascosta e viene alla luce soltanto in talune occasioni.
Sono stato per lunghi anni magistrato di sorveglianza presso il tribunale per i minori e ho raccolto moltissimi casi in cui è stata ben palese questa situazione; in sostanza appare soltanto quello che può apparire nel senso che molte cose non vengono denunciate dal pubblico perché sanno che con i minori la reazione dell'opinione pubblica è in loro favore e la pena che si commina ai minori è sempre relativa rispetto ai reati commessi.
Abbiamo una situazione particolare che si protrae da moltissimi anni; se volete un dato, possiamo dire che prima del terremoto del 1980 su una popolazione carceraria minorile italiana di circa 700 persone ben 350 erano in Campania; questo per far capire come il nostro sia stato sempre un distretto estremamente colpito dalla malavita e come siamo in prima linea dalla mattina alla sera e non abbiamo tempo per seguire certe strutture o certe ipotesi soltanto teoriche; badiamo a risolvere le situazioni sotto il lato pratico; ho la fortuna di avere ottimi sostituti che cercano di aiutarmi il più possibile; sto cercando di ottenere l'aumento dell'organico da 9 a 10 sostituti perché sono stato indotto a far curare il ramo civile da un unico sostituto che non si occupa del penale, mentre gli altri 8 si occupano del penale, in che misura è facile a dirsi in quanto abbiamo una diminuzione forse del numero dei reati ma un aumento notevolissimo della loro qualità. Se una volta avevamo un certo numero di omicidi all'anno, oggi ne abbiamo due o tre volte tanti; questo determina una situazione da curare con molta attenzione e con una grossa perdita di tempo da parte di sostituti i quali sono costretti a collaborare anche con i sostituti per gli adulti perché molte volte il reato viene commesso da persone maggiorenni e da persone minorenni.
Napoli è una città di frontiera, come io ho sempre ritenuto, e in sostanza tutti sono attenti alle gesta del minore però nessuno è attento a suggerire delle soluzioni; quando a suo tempo suggerii, quando venni nominato procuratore della Repubblica, che il tempo del buonismo era finito a bisognava usare la mano ferma nei confronti dei minori non per colpevolizzarli o per rinchiuderli negli istituti ma perché venissero giudicati con estrema attenzione perché da noi la maturità del minore è forse maggiore rispetto ad altre città, tutti dissero che io volevo soltanto attuare metodi repressivi, senza capire che la repressione, se giustificata, non intesa come repressione pura e semplice
L'ultimo esempio che ci è capitato è quello di un minore il quale prima di compiere il quattordicesimo anno ha avuto ben 40 denunzie per rapine e scippi; nei suoi confronti non si è mai operato nulla o poco e nulla perché aveva una famiglia e dei genitori alle spalle che non dico si compiacessero delle gesta del minore, ma insomma erano quasi assenti rispetto al suo modo di vivere. Quando, compiuto il quattordicesimo anno, è stato arrestato per l'ennesima rapina commessa il giorno dopo il compleanno, questo ragazzo è stato rinchiuso in un nostro istituto dove ha scontato più di 2 anni di pena, ma alla fine, un mese dopo che era uscito, è stato arrestato nuovamente per 4 o 5 rapine commesse nel giro di una giornata. Cosa significa tutto questo? Significa che il ritorno in seno alla famiglia, all'ambiente che lo aveva visto crescere negativamente è stato deteriore. Il legislatore dovrebbe cioè essere attento innanzitutto a sradicare, se del caso, il minore dal suo ambiente per inserirlo in un ambiente diverso per far sì che gli anni trascorsi presso un istituto non risultino vani e siano invece il frutto di qualcosa che migliorerà.
Quali rimedi possiamo avere per queste situazione? Dobbiamo fare una distinzione netta per i casi in cui i ragazzi commettono dei reati per debolezza, miseria o un senso di trascuratezza endemica nelle famiglie. Statisticamente siamo intorno, credo, al 30-40 per cento; mentre in un buon 60 per cento dei casi il reato viene commesso su istigazione del maggiorenne, una vera e propria attività delittuosa che rende denaro alla famiglia.
Due anni fa, proposi di abbassare l'età per l'imputabilità perché è giusto che un ragazzo maturo a 12-13 anni possa essere giudicato, assolto o condannato, e gli siano attribuite delle possibilità di recupero, diverse da caso a caso, senza aspettare invano che compia 14 anni. Nel caso che ho citato prima abbiamo perso inutilmente degli anni: siamo arrivati a giudicarlo a 14 anni e non abbiamo risolto nulla mentre, se fossimo intervenuti prima, forse la cosa sarebbe stata diversa.
Ci troviamo di fronte a situazioni che nascono proprio dall'inerzia delle istituzioni. Per cercare di porre un rimedio in primo luogo dovremmo cercare di fare entrare la voce delle istituzioni nelle famiglie; la famiglia napoletana, intesa come persone unite da un vincolo familiare ma di scarsa cultura, oggi è completamente assente: i figli crescono nella strada, qualche volta a scuola, senza alcun indirizzo. Bisogna allora fare in modo che queste famiglie, che non sono completamente negative ma possono recepire indicazioni chiare che vengano dalle istituzioni, siano continuamente pungolate ed istruite. Quando ho tenuto conferenze su questi temi in rioni popolarissimi sono venute ad ascoltarmi moltissime persone; naturalmente non possiamo tenere questo tipo di riunioni giornalmente, ma bisogna battere il chiodo il più possibile perché nella mente dell'operaio, che non vede né il bene né il male ma vive solo per il suo lavoro, la legalità cominci a penetrare.
In secondo luogo bisogna occuparsi della scuola. Se nelle famiglie, nel privato, possiamo entrare solo attraverso espedienti o in casi particolari, nella scuola abbiamo il dovere di entrare comunque, ed essa oggi è impreparata per il compito che dovrebbe svolgere: non è all'altezza di sostituirsi né ai genitori né agli educatori in genere. La maggior parte delle situazioni sfuggono agli insegnanti e vengono giudicate superficialmente o troppo severamente. Ai miei inviti agli insegnanti a riferire ai giudici minorili sulle diverse situazioni per consentirci di valutare se una birichinata può considerarsi tale o deve assumere una valenza più negativa molti insegnanti si sono ribellati, accusandomi di voler invadere il loro campo, perché sono loro a dover giudicare i comportamenti dei minori. Io su questo non sono d'accordo: la mano della procura è tesa a far sì che il minore possa condurre una vita migliore e possa avere un sostegno da parte nostra. Con il nuovo provveditore agli studi e con il questore
Vi sono alcune famiglie che vivono con i proventi procurati dai minori, non badano ad educare i figli e si preoccupano solo che portino denaro a casa. La proposta che ho avanzato tre anni fa è la stessa che è stata avanzata nel parlamento francese: sussidiare l'esercente la potestà genitoriale che si dimostri non abbia avuto la capacità o non abbia voluto esercitare l'elevamento nei confronti del minore. Perché il legislatore non punisce il genitore nei casi in cui il figliolo ruba, scippa, commette reati (la cosa è ancora più grave se il minore porta in famiglia i proventi del reato)?
Tutti si pongono il problema, ma nessuno fa nulla. In passato sostenni anche di fronte al Consiglio superiore della magistratura la necessità che un magistrato della giustizia minorile facesse parte delle organizzazioni antimafia e anticamorra perché forse, quanto a reati mafiosi, possiamo noi insegnare qualcosa ai colleghi che si occupano dei reati commessi da maggiorenni.
Sulle famiglie si può intervenire, anche con l'aiuto del clero, per far capire che i ragazzi devono seguire vie regolari; nelle scuole dobbiamo fare in modo che i professori vengano gratificati in misura maggiore rispetto ad oggi (rispetto ai professori europei sono in una condizione ridicola), ma anche che si impegnino nel loro lavoro, che ci informino quando i minori sono assenti o non rendono come dovrebbero. Vorrei sapere cosa ha fatto la scuola nei confronti di un minore condannato per aver commesso 40 volte reati per i quali non era imputabile: non si è mai accorta che questo ragazzo conduceva una vita particolare?
In conclusione, sia la famiglia sia la scuola devono essere maggiormente sollecitate ognuna a fare il suo compito. Se possiamo ammettere che qualche volta il genitore «dorma» perché preso dal bisogno di portare denaro in famiglia, non possiamo ammettere che questo avvenga nella scuola. Dobbiamo valutare la possibilità di intervenire sul minore prima che commetta reati; la prevenzione deve essere tutto per noi e va attuata attraverso la famiglia, la scuola, lo Stato anche con l'ausilio del servizio sociale. In realtà a Napoli, come in molte altre città, il servizio sociale è costituito da poche persone che professionalmente sono molto impreparate, abbiamo invece bisogno di un servizio sociale attivo, numeroso e preparatissimo. Come devono essere preparati gli agenti di custodia che sorvegliano i nostri figli quando sono nelle istituzioni carcerarie minorili, il servizio sociale deve essere pronto e consapevole che svolge un compito difficile per il quale è necessaria una grande professionalità.
Vorrei tanto che ci si sedesse attorno a un tavolo e si cominciasse a lavorare per cambiare. Siamo stufi delle chiacchiere. Sono anni che sui giornali ripeto le stesse cose, ma non cambia niente. A volte mi prende lo sconforto e vorrei abbandonare il campo minorile perché vedo che non riesco a smuovere nulla.
Passiamo agli interventi dei commissari.
Premesso che ho trovato molti elementi comuni nelle loro riflessioni e osservazioni, mi sembra che nella sua relazione il dottor Monteforte parli di una prevenzione che non funziona e che risulta estremamente limitata. Considerato che in particolare si è soffermato sulla scuola, vorrei capire come sia la situazione rispetto alla non frequenza, al fenomeno della dispersione scolastica e al tipo di criminalità in cui sono coinvolti i minori. Da entrambi gli ospiti ho sentito un riferimento molto forte a una famiglia che assolutamente non educa, non forma e che, anzi, in qualche modo è connivente
Vorrei poi che il dottor Monteforte si soffermasse di più sul tema dell'abbandono dei minori, per chiarire meglio alcuni aspetti del fenomeno e le conseguenze che determina.
I minori che si sono resi colpevoli di reati ma che non sono punibili in quanto al di sotto dei 14 anni, a quale destino vengono affidati, considerato che il servizio sociale è estremamente carente? Che cosa si tenta di fare concretamente? Di quali aiuti ci si avvale? Questi ragazzi vengono restituiti semplicemente alla famiglia perché non c'è altro a cui riferirsi?
Al dottor Trapani, che è stato molto preciso e che ha concluso con un sentimento di sconforto, vorrei esprimere il mio apprezzamento, che estendo a tutti coloro che nelle varie realtà italiane operano con grande sensibilità in questo settore. Mi sembra che abbia suggerito alcuni interventi rigorosi, più tempestivi e di contenuto più pregnante. A suo avviso i giudici minorili dovrebbero far parte della DIA ed ha citato l'esperienza francese della pena sussidiaria aggiunta al genitore. Vorrei sapere se a suo giudizio qualcosa del genere potrebbe essere previsto anche nella nostra legislazione.
Il dottor Trapani ha evidenziato una serie di carenze ormai condivisibili, perché a proposito di questi problemi non si può non parlare di prevenzione e della centralità della scuola e della famiglia. Vista in questi termini la diagnosi impone una serie di raccordi. Vorrei sapere se questi siano dovuti a carenze legislative, a carenze strutturali o a carenze di fondo, che sarebbero le più difficili da colmare, da parte della famiglia e della scuola.
Purtroppo ho colto un segno di sconforto in entrambi i relatori. Il dottor Monteforte ha detto, infatti, che quando si arriva alla condanna, cioè alla fase residuale, questi ragazzi vengono abbandonati a causa sia della lunghezza dei processi sia del non funzionamento degli enti sociali di raccordo passati dallo Stato alle regioni e ai comuni. La condanna pertanto non ha più la funzione che dovrebbe avere, cioè di recupero e di cesura dal commettere altri reati.
Lo stesso scoramento si coglieva nelle parole del dottor Trapani. Mi pare di capire - questo purtroppo è un quadro negativo - che dalla minore età in su, alla Gozzini, alla Simeone, eccetera, mancano tutte quelle strutture di collegamento che avrebbero fatto sì che certe norme potessero funzionare. In altre parole la magistratura fa il suo dovere, però il bilancio della giustizia è da Cenerentola. Possiamo fare mille ottimi discorsi, ma se non ci sono i soldi, ad esempio, per gli assistenti sociali e per altri interventi, è difficile mutare la situazione. Napoli è proprio una città di frontiera e mi sembra che si delinei un quadro di carenza totale o quantomeno di grande carenza rispetto a quel supporto, amministrativo ma statuale,
Mi rendo conto che la mia più che una domanda è un'eco di quanto hanno detto i signori magistrati, mi sembra però che emerga chiaro un fatto, cioè che chi può, chi deve, chi governa in generale si deve rendere conto che per far funzionare la giustizia, minorile e non, occorre realizzare tutta una serie di strutture che sono indispensabili se non vogliamo avere condanne del tutto inutili. Sotto questo profilo chiedo ai nostri interlocutori quale strada seguire, anche come potere legislativo, per una visione più completa del problema e realizzare così, tutti d'accordo, un intervento che valga a superare questi gravissimi ostacoli.
Non andrò a rivisitare, lo avete già fatto molto bene voi, le questioni legate alla legge ed alla sua applicazione; non mi interessa neanche - lo abbiamo già detto tantissime volte - puntare il dito sulla questione dei servizi di supporto per i minori sul territorio e nell'ambito del servizio della giustizia minorile, anche se questa è la grande questione. Mi soffermo invece su un elemento che mi spinge a unire il mio scoramento a quello del procuratore Trapani. Mi riferisco al fatto che molti reati commessi da minori non vengono denunciati. Questo è l'aspetto che mi preoccupa maggiormente, tanto più perché recentemente siamo stati a Milano e don Gino Rigoldi, che si occupa proprio della riabilitazione di questi ragazzi ci ha presentato un quadro di questa natura: quando i ragazzi entrano in comunità e sono ancora al primo reato, riusciamo a seguire il loro percorso e quasi sempre i risultati sono decisamente positivi.
Allora, forse, parlare di mano ferma è un po' troppo, ma sicuramente la società degli adulti non fa il bene dei ragazzi non affidandoli alla giustizia. Questo problema va ben oltre e al di là delle possibilità di tutti perché riguarda una cultura della legalità. Questo giustifica il mio scoramento, ma non credo si debba chiudere; ritengo anzi che si debba lavorare per una cultura della legalità, a partire dalla scuola ma anche da interventi sulle famiglie che debbono essere sicuramente più mirati.
Rispetto al tema della giustizia minorile non credo occorrano grandi provvedimenti che possano risolvere i problemi, quanto piuttosto un complesso di interventi, neanche tutti di natura legislativa.
Comincio dall'ultima considerazione fatta. Quello che dobbiamo valutare come indice della devianza minorile - parlo di devianza e non di criminalità - è il cosiddetto numero oscuro, per il quale dobbiamo moltiplicare le denunzie che vengono fatte. Cerco di non ricorrere ad esempi, ma a questo punto debbo raccontare un episodio verificatosi quando oltre dieci anni fa presiedevo ancora l'udienza penale dibattimentale. Nel mese di dicembre di non ricordo quale anno mi capitò un ragazzo cui fu riconosciuta per la prima volta la non imputabilità; dopo tre mesi il ragazzo ricomparve e gli fu concesso il perdono giudiziale; nel mese di giugno ricomparve una terza volta ed ebbe
I reati, si dice, si sono aggravati anche se sono diminuiti nel numero: no, il fatto è che i reati meno gravi ormai non vengono denunziati. Consta a me personalmente di familiari che su cinque scippi ne hanno denunciato uno solo perché nella borsa c'era la patente.
Non va dimenticato che abbiamo punte ormai costanti: nel 1995 abbiamo avuto 12 omicidi ascrivibili a 15 minori, ad oggi siamo già arrivati a 9 omicidi volontari. Ripeto che oggi ormai vengono denunciati solo i reati gravissimi quali omicidi, tentati omicidi, a volte derubricati in lesioni personali gravissime, un numero rilevantissimo di violazioni dell'articolo 416 e ben cinque casi di violazione dell'articolo 416-bis, cioè di associazione a delinquere di stampo mafioso.
Tornando alla scuola, ripeto quanto ho accennato prima. Non possiamo far gravare tutto sulla scuola, anche perché l'articolo 147 del codice civile attribuisce ai genitori il compito di mantenere, educare ed istruire i minori; inoltre la scuola ha un limitato spazio di intervento essendo difficile purtroppo perfino realizzare il tempo pieno. Indubbiamente però qualcosa si può fare, tutti noi del tribunale e della procura ci rechiamo nelle scuole a svolgere le cosiddette lezioni di legalità, ma il nostro intervento è episodico e, come già detto la collega Chinnici nella sua relazione, siamo visti come nemici o comunque come autorità.
A questo riguardo vorrei raccontare un episodio che si è verificato molti anni fa. Un ragazzo di 17 anni uccide la sua fidanzatina di poco più di 15 anni, una volante si reca sul posto e nota una persona anziana che furtivamente esce dal portone tenendo sotto braccio un lenzuolo macchiato di sangue; la polizia sale nell'appartamento e trova chiare tracce di un tentativo di ripulitura del pavimento (su un mobile c'erano ancora addirittura alcuni denti della povera ragazza), allora torna giù, blocca il vecchietto e accerta che era il nonno della vittima, il quale era intervenuto poiché il padre della ragazzina faceva parte di un determinato clan di un determinato quartiere di Castellammare di Stabia al quale apparteneva lui stesso: si era preoccupato di eliminare le tracce del delitto compiuto dal figlio del boss, anche se la vittima era la sua nipotina che, secondo quanto ci ha riferito al servizio sociale, era la sua prediletta. Questo testimonia che la forza cogente del rapporto di clan supera addirittura i legami familiari e questo in zone nelle quali si parla anche troppo del mammismo italiano.
Il ragazzo dopo 15 giorni si presentò alla polizia assistito da un avvocato che disse che aveva sparato due colpi per sbaglio, dopo di che venne rimesso in libertà poiché non vi erano più esigenze
La camorra ha qualcosa di simile alla stidda, cioè non ha un'organizzazione piramidale, ma è composta da una serie di clan che si combattono tra loro soprattutto nel momento in cui c'è un cambiamento di gestione.
Non si può pretendere dalla scuola l'impossibile, è certo però che solo l'intervento contemporaneo di tutti può portare a qualche risultato; qualcosa forse si sta muovendo, ma c'è molto da fare perché il problema non è solo socio-economico ma anche culturale.
Mi è stato chiesto quanto sia significativa l'incidenza del quartiere in cui si vive. Purtroppo esso incide in modo molto negativo. Gli articoli 19 e 20 del codice di procedura penale prevedono la permanenza in casa; questo ci lascia piuttosto perplessi perché il legislatore ha probabilmente immaginato una casa nella quale un minore che si sia reso colpevole di qualcosa di rilevante dal punto di vista penale venga quanto meno rimproverato, mentre non sempre è così.
Qualcuno ha chiesto quanto incida l'abbandono su queste situazioni. Sono pendenti di fronte al Tribunale per i minorenni 455 procedure di abbandono (due anni fa, se non erro, erano 600), ma i decreti di adottabilità sono molti di meno, tra 70 e 80. Questa è una luce rossa che segnala la situazione in cui vivono molti abitanti della nostra zona.
Si è parlato poi di minori non punibili. Questo è un argomento che mi preoccupa perché, come ho detto all'inizio, vi è un vuoto nella prevenzione secondaria. In occasione di una riunione tra procuratori della Repubblica è stato rilevato come da Roma in su vi siano un certo tipo di strutture, ma da Roma in giù non ci sia quasi nulla, quindi o il minore si recupera da solo oppure, purtroppo, si avvia sulla strada della criminalità organizzata. Non sono scettico sull'intervento penale, perché abbiamo ottime strutture e persone che al loro dovere aggiungono qualcosa di volontariato, come noi, forse, che tentiamo di operare nel modo migliore. È però evidente che non possiamo farlo quando mancano del tutto le strutture degli enti locali.
Per quanto riguarda i minori non imputabili, solo dopo il mio interessamento vi è una struttura di quattro posti ai sensi dell'articolo 36 del codice di procedura penale. Con le nuove norme il riformatorio giudiziario viene attuato, ai sensi del secondo comma dell'articolo 36, nella forma della comunità; il minore di cui parlava prima il collega venne messo in una struttura a sistema aperto priva di protezioni passive o attive, cioè cancellate alle finestre e controlli. Ora che siamo riusciti ad informatizzare il tribunale per i minorenni di Napoli, ci riproponiamo di far sì che l'affidamento ai servizi sociali, nei comuni in cui esistono, non sia completamente vano.
Mi sembra che l'onorevole Aprea osservasse, a proposito dell'intervento della collega Chinnici, che il rimedio non poteva essere il carcere. Sono d'accordo ma al momento è purtroppo l'unica struttura che abbiamo.