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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'integrazione dell'acquis di Schengen nell'ambito dell'Unione europea, l'audizione della professoressa Maria Rita Saulle, ordinario di diritto internazionale dell'Università di Roma «La Sapienza». La ringrazio per aver aderito al nostro invito e le do subito la parola.
MARIA RITA SAULLE, Ordinario di diritto internazionale dell'Università di Roma «La Sapienza». Innanzi tutto desidero ringraziare caldamente il presidente e la Commissione per avermi voluto ascoltare su questo punto.
perché in gergo diplomatico ha un significato diverso, significa infatti qualcosa che è probabile ma non certo.
una volta, siamo di fronte ad un'Europa a due velocità: una più lunga per tutta l'Unione, una più breve per gli Stati che hanno già raggiunto una certa coesione - che è poi una cooperazione rafforzata, come dice il Protocollo - riguardo al settore di Schengen. Ciò sta a significare che sono sulla buona strada e spiega il perché dell'immediatezza.
Dove vi è codecisione l'opposizione del Parlamento può certo determinare la caduta dell'atto che il Consiglio e la Commissione intendono adottare qualora vi sia una ferma opposizione che non si concreti in emendamenti di revisione delle proposte della Commissione e del Consiglio.
PRESIDENTE. Nel ringraziare la professoressa Saulle, prima di dare la parola ai colleghi che chiedono di intervenire, vorrei verificare se ho ben compreso il senso della sua relazione.
MARIA RITA SAULLE, Ordinario di diritto internazionale dell'Università di Roma «La Sapienza». Non è esattamente così. Ho detto che sono due posizioni diverse: l'acquis communautaire è quello che lei ha descritto, cioè corposo e consolidato; anche considerando i tempi, visto che partiamo dal 1985 in poi, l'acquis di Schengen non può essere ugualmente corposo e consistente come l'acquis communautaire. Nel protocollo vi è una serie di atti, espressamente menzionati, che vanno
dalla Conferenza di Dublino alle due convenzioni di Schengen, i protocolli e gli accordi di adesione del 1985, la convenzione di applicazione del 1990 e le decisioni e le dichiarazioni adottate dal Comitato esecutivo. Tutto questo, sia pure in dimensioni più ridotte, è un acquis che ha un fondamento giuridico. Ciò lo ribadisco, perché non vorrei che ci fossimo fraintesi su questo punto. Mentre tutto il resto nasce nel 1957, questo è un patrimonio più recente.
PRESIDENTE. La mia non era un'obiezione, ma un tentativo di comprendere meglio il punto.
MARIA RITA SAULLE, Ordinario di diritto internazionale dell'Università di Roma «La Sapienza». È meglio parlare di sincronia, perché in campo europeo armonizzazione è il mezzo attraverso cui le legislazioni dei vari Stati vengono rese compatibili e eliminano discordanze e discrasie, secondo quanto previsto dall'articolo 100 e seguenti del Trattato di Roma che prevedeva l'eliminazione di ogni forma di distorsione. A proposito dell'acquis di Schengen, invece, si parla di eliminare discrasie tra le due velocità e tra il diritto generale, che riguarda tutti gli Stati membri dell'Unione, e la cooperazione rafforzata prevista dall'acquis che indubbiamente esiste e per fortuna funziona.
PRESIDENTE. Mi sembra, infatti, che lei alla fine abbia puntato soprattutto sulla questione dei tempi come il vero problema.
MARIA RITA SAULLE, Ordinario di diritto internazionale dell'Università di Roma «La Sapienza». Sia i tempi sia i contenuti. Io non sarei così drastica nel pensare che il Comitato ceda immediatamente il posto al Consiglio oppure che tutto sia pronto prima dell'entrata in vigore così come vorrebbe il Protocollo; proprio dall'esperienza di altri casi (ho citato il movimento dei capitali, ma si potrebbero ricordare la politica dei trasporti o le politiche agricole) possiamo trarre esempi rilevanti per dire che non siamo matematicamente certi che il giorno prima dell'entrata in vigore del Trattato di Amsterdam tutto sarà pronto. Nel Trattato di Roma era scritto che nella prima tappa - che se non sbaglio doveva durare sei anni - si sarebbe dovuta realizzare la liberalizzazione dei capitali, che è avvenuta invece più di trent'anni dopo; l'esperienza quindi insegna che è possibile anche una certa dilazione dei tempi, dovuta all'esigenza di porre in sintonia le diverse posizioni del diritto imposto a tutti gli Stati e quanto previsto dal Protocollo per alcuni di essi.
PRESIDENTE. Secondo lei, quindi, ci si potrebbe trovare in una fase in cui insieme al Consiglio continuerà ad operare il Comitato esecutivo, come è avvenuto in questi anni.
MARIA RITA SAULLE, Ordinario di diritto internazionale dell'Università di Roma «La Sapienza». È il protocollo che, essendo un accordo internazionale che recepisce l'acquis, gli conferisce giuridicità e lo riferisce anche a tutto il resto del Trattato: nel momento in cui stabilisce che chi entrerà successivamente dovrà
accettare anche l'acquis, significa che lo estende automaticamente all'intero settore dell'Unione.
PIERO PELLICINI. Vorrei chiedere alcuni chiarimenti concettuali, anche per verificare esattamente se ho ben compreso la sua esposizione. Siamo nell'ambito della circolazione dei cittadini negli Stati dell'Unione che hanno aderito a Schengen; accanto all'acquis di Schengen lei pone come dato importante l'acquis communautaire che, se ho ben capito, raccoglie una serie di decisioni della Corte di giustizia, di dottrina, di norme e di interpretazioni che costituiscono una sorta di corpo di legislazione europea comunitaria o di rapporti interstatuali. L'acquis di Schengen, invece, è qualcosa di più ristretto, in quanto regola la circolazione tra gli Stati e introduce norme in materia di cooperazione tra polizie, estradizione, eccetera. C'è quindi una sorta di gerarchia delle fonti.
MARIA RITA SAULLE, Ordinario di diritto internazionale dell'Università di Roma «La Sapienza». Il discorso che facevamo a proposito dell'acquis di Schengen, che è più ridotto, dipende anche da un fatto temporale, nel senso che Schengen è un fatto recente, rappresenta una forma di cooperazione instauratasi in ambito europeo solo tra alcuni Stati; anzi, per anni abbiamo spiegato che Schengen è un qualcosa che non aveva niente a che fare con la Comunità europea, perché raccoglieva un certo numero di Stati ai quali man mano si sono associati altri Stati quali la Norvegia, che con referendum ha dichiarato di non voler entrare nella Comunità. Quindi, Schengen è nato piuttosto tardi rispetto alla Comunità, e tutto il patrimonio normativo, che esiste, che è utilissimo e che ha origine nella seconda metà negli anni ottanta, sotto il profilo quantitativo non può essere comparato all'altra normativa dell'acquis communautaire che vanta, invece, l'ascendenza derivante dal momento in cui le Comunità sono state istituite (dal 1951, dal 1957 in poi).
una normativa sull'Europol, che è utile e che cita l'acquis di Schengen al numero 5 dell'articolo 40, dove è detto: «Il presente articolo non pregiudica le disposizioni del protocollo relativo all'integrazione dell'acquis di Schengen nell'ambito dell'Unione europea». Questo richiamo, peraltro l'unico presente nel Trattato, rappresenta un'ulteriore riprova del fatto che tutto questo materiale ha già valore giuridico, in quanto citato nel Trattato suddetto. Tutte le norme che precedono vanno su basi molto ampie, che in parte riprendono la situazione del precedente Trattato di Maastricht e che tendono a regolare i rapporti di sicurezza, la creazione di questa polizia europea, e via dicendo. La parte successiva - titolo IV, dall'articolo 61 in poi - riguardava invece tutta la questione dei visti, dell'asilo, dell'immigrazione e delle politiche connesse con la libera circolazione delle persone. Si tratta quindi di una parte più marcatamente comunitaria, in quanto la libera circolazione delle persone è ormai comunitarizzata.
PIERO PELLICINI. In qualche modo, se oltre ad essere un documento di attuazione di norme comunitarie più ampie, per la Comunità sia anche fonte di norme. Per esempio, per la parte che riguarda la polizia internazionale, a questo punto assumono non tanto un valore di regolamento quanto di norme nuove introdotte. Vorrei cioè sapere se siano fonte di diritto.
MARIA RITA SAULLE, Ordinario di diritto internazionale dell'Università di Roma «La Sapienza». Allo stato attuale, questo settore di Schengen è fondato sui rapporti interstatuali o intergovernativi. Però se vi fosse una armonizzazione tra le legislazioni nazionali, se si fosse cioè creato un sostrato tale per cui le varie legislazioni nazionali fossero orientate verso la stessa direzione - mi riferisco alla cosiddetta compatibilità tra le legislazioni - certamente la materia potrebbe essere comunitarizzata, quindi rappresentare la base per arrivare ad abbandonare la normativa di tipo interstatuale e per passare alle forme di regolamenti e direttive proprie, invece, dei rapporti comunitari. Però in quel caso occorre che si rispettino i tempi e che si attui la cosiddetta passerella, cioè che il Consiglio, deliberando all'unanimità, decida di trasferire la materia da un pilastro all'altro (articolo 67, numero 2).
PRESIDENTE. Nel dichiarare conclusa l'audizione, ringrazio la professoressa Maria Rita Saulle e i colleghi intervenuti per il contributo apportato.
La seduta termina alle 21.
Dopo aver letto gli interventi svolti nelle precedenti audizioni, credo che la mia esposizione si discosterà abbastanza da essi, perché io parto dal sistema giuridico comunitario e dalle modalità con le quali la Comunità è stata creata. Quando è stato concluso il Trattato di Roma, è stato introdotto l'articolo 234 (divenuto poi articolo 307) in base al quale, se uno Stato aveva contratto degli obblighi precedentemente alla sua partecipazione alla Comunità, era suo compito risolvere i problemi di compatibilità tra quegli obblighi e quelli che veniva assumendo come membro della Comunità europea.
Ad esso va aggiunto l'attuale articolo 308 (un tempo articolo 235) in base al quale si risolvevano molti problemi inerenti al funzionamento della Comunità attraverso il ricorso ai cosiddetti poteri impliciti: quando si veniva prospettando un fine per il cui raggiungimento era opportuno che il Consiglio fosse dotato di poteri ulteriori rispetto a quelli esplicitati nel Trattato, ciò diveniva possibile in quanto era finalizzato al raggiungimento di uno degli scopi della Comunità.
Ho fatto questa breve premessa per ricordare che adesso ci troviamo di fronte a due problemi diversi, sebbene si tenda a considerarli uniti e alla fine si uniscano effettivamente. I titoli IV e VI del Trattato di Amsterdam riguardano tutta la materia dei visti e quella della sicurezza, degli affari interni e di polizia. La normativa del titolo VI è diritto comunitario puro, mentre quella del titolo IV è diritto dell'Unione, quindi è regolata dal diritto internazionale, riguardano comunque tutti gli Stati membri dell'Unione sia che agiscano sul piano della comunitarizzazione del diritto (titolo VI) sia nell'ambito degli affari interstatuali (titolo IV).
Portando il discorso su Schengen, la ricetta studiata ad Amsterdam è quella di cercare di compattare la Comunità su alcuni risultati; in questo ambito non vi è cenno all'acquis di Schengen se non nell'articolo 40, comma 5, in cui si fa riferimento ad un protocollo che parla dell'acquis di Schengen. Un altro punto da sottolineare è che noi giuristi ci troviamo di fronte ad una terminologia nuova; per esempio nelle precedenti audizioni ho trovato il termine «ventilare» che è assolutamente innovativo anche
In sostanza, nel trattato di Amsterdam, ci troviamo di fronte ad una normativa generale che vale per tutti gli Stati membri dell'Unione, nell'ambito della quale l'acquis di Schengen ha un valore marginale; non è infatti assolutamente comparabile all'acquis communautaire, che è stato sedimentato in anni di decisioni della Corte di giustizia, nella dottrina ed in varie sedi, tanto che anche tutti i preamboli del Trattato dell'Unione, a partire dall'Atto unico, hanno fatto riferimento ad esso. L'acquis communautaire era ed è infatti, l'insieme di tutte le norme rilevanti dei Trattati corroborate dalle decisioni, dalla pratica e anche dalla dottrina, ove questa fosse seguita in maniera abituale da parte degli organi e delle istituzioni comunitarie e da parte degli Stati. L'acquis di Schengen è invece un elenco di trattati, che vanno dalla convenzione di Dublino, alla Schengen applicativa, alle decisioni del Comitato; allo stato attuale, quindi, non c'è possibilità di comparare le due situazioni.
La questione che più ci interessa è poi come si collochi il Protocollo di Schengen. Mi ha molto meravigliato leggere che si sta cercando la base giuridica dell'acquis di Schengen. Come internazionalista, posso dirvi che la giuridicità dell'acquis di Schengen deriva dal fatto di essere inserito, e recepito attraverso quello che tecnicamente si chiamerebbe un rinvio ricettizio o materiale, nel protocollo che si riferisce ad esso, con cui gli Stati si sono reciprocamente impegnati a recepirlo. È quindi diventato diritto per la Comunità e per l'Unione. Il problema della base giuridica, quindi, non ha molto senso perché con gli accordi gli Stati possono recepire qualunque tipo di norma giuridica; per esempio, in una convenzione in materia di cittadinanza si può fare riferimento ad uno specifico ordinamento, in questo modo viene recepita la normativa interna di uno Stato. In questo caso le parti contraenti hanno recepito l'acquis di Schengen, conferendogli in questo modo giuridicità.
Una volta affermato che l'acquis è sicuramente diritto nell'ambito dell'Unione perché recepito dal protocollo il quale lo riporta al Trattato dell'Unione, il problema è come dargli esecuzione. Qui nasce la questione se le norme vadano comunitarizzate o invece riferite ad un rapporto di terzo pilastro, cioè di rapporti interstatuali. Questo però è un problema sostanziale, per cui bisogna valutare se le singole norme ricadano nell'ambito del titolo sesto, cioè le disposizioni di cooperazione di polizia giudiziaria in materia penale che riforma il Trattato dell'Unione, o del titolo quarto concernente visti, asilo, immigrazione ed altre politiche connesse con la libera circolazione delle persone.
È chiaro che tutta la materia si pone nell'ambito della circolazione delle persone, in questo senso perciò l'intero settore andrebbe comunitarizzato. È anche chiaro che vi è un problema temporale che desidero sollevare perché è stato da molti sottoposto alla vostra attenzione: se seguiamo la normativa generale del Trattato, quindi non quella del Protocollo, vediamo che tutta la procedura deve avvenire entro cinque anni; se seguiamo invece quella del Protocollo, vediamo che dovrebbe avvenire subito, addirittura prima dell'entrata in vigore del Trattato di Amsterdam.
Dunque, non per usare frasi fatte, che in genere non dicono nulla ma che in questo caso dicono abbastanza, ci troviamo di fronte a quella solita asimmetria costituzionale tipica dell'Europa. Così come in anni pregressi abbiamo visto, per esempio, che il movimento dei capitali è entrato in vigore in tutta Europa e in Italia nel 1988, 1989, 1990, arrivando molto tardi rispetto alle altre libertà di circolazione di persone, di beni e di servizi, allo stesso modo ci troviamo di fronte ad una asimmetria temporale per cui, mentre per tutti gli Stati membri dell'Unione sono previsti cinque anni, per gli Stati che appartengono al gruppo di Schengen - con tutte le limitazioni della Gran Bretagna, della Danimarca, eccetera, così come menzionate dal Protocollo - tutto funziona o dovrebbe funzionare immediatamente. Quindi, ancora
Ma poi il problema è anche quello di vedere se il Consiglio debba prendere o meno il posto del Comitato. Considerato che l'Europa a volte è piena di buone intenzioni, a cui però non si riesce a dar seguito immediato con la concretezza - sono stati necessari quasi 32 anni per dar seguito alla liberalizzazione dei capitali - credo vi rendiate conto di come sia necessario considerare, sebbene si parli di immediatezza, prima ancora che entri in vigore il Trattato di Amsterdam, che non tutto è così veloce e definitivo. Anzi, ritengo che non sia inopportuno pensare che il Comitato debba fungere da catalizzatore perché, fin tanto che è possibile, bisogna agevolare al massimo livello la realizzazione della cooperazione rafforzata, magari portando nell'ambito di Schengen anche la Gran Bretagna e l'Irlanda. Ciò anche in considerazione del fatto che già la Norvegia e l'Islanda sono avvicinate in Schengen, tramite l'accordo di Lussemburgo del 1996, con un rapporto di associazione. Ritengo che questo Comitato debba continuare ad agire per facilitare proprio questa cooperazione rafforzata, al di là dei tempi che possono essere indicati.
Vorrei dire, sempre sotto il profilo giuridico, che il Protocollo ha un contenuto molto strano perché crea addirittura obblighi in capo a terzi. Il Protocollo è un accordo internazionale, è un atto giuridico obbligatorio che vincola le parti contraenti e che ha lo scopo di perfezionare e integrare l'atto a cui accede, cioè il Trattato di Amsterdam. Ma questo Protocollo è stranissimo perché, per esempio, crea obblighi in capo a terzi (alla Norvegia, all'Islanda, e via dicendo), mentre le dichiarazioni allegate, particolarmente importanti in questo settore, a loro volta hanno uno strano contenuto in quanto potrebbero avere valore programmatico o di riserve apposte ai trattati internazionali. In questo caso, il più delle volte, invece, hanno carattere obbligatorio, tant'è che la formula è «Gli Stati convengono», e si tratta di un'espressione che crea obblighi e diritti tra le parti contraenti.
Sul profilo delle modalità di redazione di questa normativa vi è molto da dire perché non sono poche le cose che non vanno. Ciò che voglio ricordare, perché mi sembra che preoccupi molti, è il ruolo delle istituzioni in questo settore: il ruolo della Corte di giustizia è quello di interpretare i trattati e, quindi, anche il Protocollo; pertanto, nel caso vi fosse qualche perplessità, potrebbe essere interpellata proprio la Corte di giustizia affinché dica a quali settori le singole norme vanno riportate. Ma non è detto che non si trovi direttamente un accordo tra gli Stati membri per riportare sotto una categoria o sotto un'altra i settori delle norme comprese nell'ambito di Schengen. Anche il ruolo del Parlamento è importante perché è diverso a seconda che si parli di procedimento di comunitarizzazione o di rapporti interstatuali. Nell'ambito della comunitarizzazione, infatti, il Parlamento interviene con codecisione, mentre nell'altro ambito ha solo la possibilità di esprimere un parere obbligatorio. Quando insegnavo diritto comunitario ricordo che agli studenti raccontavo quanto accadde allorché il Parlamento doveva essere ascoltato, per esempio, in relazione al regolamento dell'isoglucosio; il Consiglio se ne astenne ed il Parlamento fece causa davanti alla Corte e la vinse. Da quel momento, le istituzioni, Consiglio e Commissione, si guardarono bene dal non ascoltare il Parlamento. Non è detto, infatti, che la consultazione quando è obbligatoria sia un optional: il Consiglio, eventualmente, potrà poi anche discostarsene, ma in ogni caso dovrà aver consultato il Parlamento; invece, là dove vi è codecisione del Parlamento, quest'ultimo tenderà a farsi valere anche in seguito, dopo i fatti recenti in cui ha acquisito un notevole potere.
Va inoltre ricordato il Protocollo n. 9 sul ruolo dei Parlamenti nazionali nell'Unione europea, che attribuisce la possibilità di rapporti tra Parlamenti, per cui il Parlamento nazionale può informare il Parlamento europeo anche direttamente. Ciò è molto interessante perché sembrava che tale rapporto dovesse avere l'intermediazione del Governo e del Consiglio; invece è possibile un rapporto diretto anche tra Parlamento europeo e Parlamenti nazionali.
Forse la questione di maggior risalto in questo ambito attiene al SIS, cioè al sistema informatizzato di Schengen, che mi sembra abbia turbato molto le coscienze e che senz'altro è molto seria. Allo stato attuale, riguarda i rapporti di sicurezza tra gli Stati, i quali dovrebbero restare, in ogni caso, nell'ambito della cooperazione di polizia giudiziaria, in materia penale. In questo campo il SIS non è nominato dal trattato di Amsterdam, ma a me sembra che vi sia la tendenza a riportarlo in questo settore. Tuttavia, vi è la possibilità, prevista anche al tempo del Trattato di Maastricht - credo sia stata ripresa nel Trattato di Amsterdam - di un trasferimento, con decisione unanime del Consiglio, dal pilastro della cooperazione intergovernativa a quello comunitario. Nel tempo ciò comporta la possibilità di decidere a maggioranza qualificata anziché permanentemente all'unanimità. È il sistema che, al tempo di Maastricht, veniva definito di passerella e che è anche previsto nell'accordo di Amsterdam.
Non so se vi sia qualche altro argomento su cui io possa rispondere, perché il mio è stato un approccio di impianto del discorso. Ho espresso la mia opinione, ovviamente senza contestare quella degli altri: il riferimento all'acquis di Schengen è giuridico perché contenuto in un Trattato internazionale che è il protocollo; quest'ultimo aggiunge tutta la materia di Schengen al Trattato di Unione europea, in quanto ciò è detto espressamente. Il Protocollo dice anche una cosa molto importante: che tutto deve essere incorporato, secondo gli accordi e le norme, nel quadro dell'Unione europea. Quindi, non si può creare una discrasia tra il Protocollo di Schengen e ciò che è previsto nel Trattato di Unione europea. Tutto deve avvenire in modo armonizzato. Il più è naturalmente costituito dal Trattato di Amsterdam, in quanto allo stato attuale Schengen è il meno, è la seconda velocità, quella più ristretta ma, in fondo, la più forte, in quanto è la cooperazione rafforzata degli Stati che stanno agendo su questo terreno. Si può vedere se le norme vanno su un titolo o sull'altro titolo, ma si tratta di un problema di carattere tecnico una volta risolto quello di base. Comunque l'acquis di Schengen ha basi giuridiche nel protocollo che lo contempla.
Mi sembra di capire che lei dica che l'acquis di Schengen ancora non c'è o che sicuramente non è paragonabile a ciò che normalmente si intende come acquis se il riferimento è all'acquis communautaire fatto di una sedimentazione successiva negli anni, nei decenni, che ci fanno parlare di qualcosa di corposo e di robusto che può essere effettivamente inteso come un patrimonio normativo.
Dicevo, dunque, che l'acquis di Schengen ancora non c'è anche perché è stato istituito un gruppo di lavoro per definirlo: la cosa importante sono soprattutto i tempi di realizzazione. Immaginando che il prossimo maggio possa entrare in vigore il Trattato di Amsterdam, mi sembra di capire che a suo parere potrebbe anche non esserci contemporaneamente l'incorporazione dell'acquis di Schengen nel quadro dell'Unione europea perché manca ancora l'armonizzazione. Il gruppo di lavoro allora più che definire l'acquis, deve definire l'armonizzazione?
A proposito della ventilazione, noi abbiamo immaginato che con essa si intendesse la suddivisione tra il primo pilastro, quello comunitario, ed il terzo pilastro, quello intergovernativo. Rispetto a questo non sono riuscito a capire bene il senso della sua osservazione. Lei ha detto che non ha senso ricercare la base giuridica dell'acquis di Schengen, perché di fatto c'è già....
Quanto alla ventilazione, normalmente questo termine viene usato per indicare qualcosa di cui si parla ma non si è ancora certi; in termini diplomatici, per esempio, si potrebbe dire che si ventila che un candidato potrà essere nominato ad una certa carica. In questo contesto, si fa invece un uso insolito del termine «ventilazione» intendendo con essa il dare seguito alla recezione dell'acquis di Schengen da parte del Protocollo e del Trattato dell'Unione; ciò può avvenire utilizzando le procedure previste per la comunitarizzazione e per i rapporti fra Stati. Si tratta in ogni caso semplicemente di dare esecuzione a ciò che è già giuridico.
Se ho capito bene, però, Schengen non si limita ad applicare alcune norme per gli Stati che hanno aderito con un rafforzamento del rapporto tra Stati, ma per qualche aspetto è anche innovativo. In materia di rapporti internazionali di integrazione dei controlli di polizia e di norme sulle estradizioni è in grado di diventare in qualche modo fonte normativa rispetto alla legislazione vigente che in realtà dovrebbe attuare?
Dunque, non è una questione di gerarchia; certo, l'acquis communautaire è un punto di riferimento costante sia nel Trattato di Amsterdam - prima ancora nel Trattato di Maastricht - sia in parecchie decisioni della Corte di giustizia e del Tribunale di prima istanza, in cui si ribadisce che un certo principio, per esempio, rappresenta una parte dell'acquis communautaire. Per citare un caso in cui si ribadisce questo principio ricordo il divieto di discriminazione in base alla nazionalità: non si possono discriminare le persone, le imprese, eccetera perché hanno nazionalità diversa nell'ambito dell'area coperta dalla Comunità europea. Questo è un principio ormai ribadito che rappresenta, anche sotto il profilo giurisprudenziale, una delle espressioni del l'acquis communautaire.
Mi è poi stato chiesto se questo accordo sia più ristretto. Sì, allo stato attuale lo è di sicuro, ma anche la parte iniziale, il titolo VI del Trattato, che modifica il Trattato di Unione, contiene
Questo è il meccanismo che era presente sia all'epoca del Trattato di Maastricht sia attualmente. La tendenza è che l'acquis di Schengen possa diventare, in questo settore specifico, una sorta di strumento pilota rispetto al resto, in quanto è già collaudato, è già in funzione e ha dato dei risultati. Si potrà poi discutere sulla questione dei dati personali e se la loro divulgazione incontri o meno restrizioni, ma tutto il materiale sta indubbiamente funzionando, ha funzionato e può dare ottimi risultati, specie se esteso in area più vasta. Il fatto che alcuni Stati abbiano reticenze a entrare nel sistema Schengen è la dimostrazione del suo funzionamento, altrimenti tutti vi entrerebbero, proprio perché tanto non cambierebbe nulla.