![]() |
Documento relativo all'indagine conoscitiva sullo stato di attuazione della Convenzione di applicazione dell'accordo di Schengen.
Introduzione.
1. Valutazione dell'attività svolta dal Comitato.
Costituitosi alla fine di marzo di quest'anno, il Comitato Parlamentare di controllo sull'attuazione ed il funzionamento della Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen ha praticamente iniziato la propria attività avviando l'indagine conoscitiva in oggetto. Quindi, la valutazione del ruolo svolto nei primi mesi di attività, non può che derivare dall'analisi degli elementi di conoscenza acquisiti nel corso delle audizioni e dei sopralluoghi effettuati.
Si tratta di una serie di elementi che, con tutta probabilità, nessuno nel nostro Paese ha mai avuto modo di raccogliere ed ordinare: disposizioni legislative, norme regolamentari, forze impegnate, piani dettagliati, strumenti, mezzi terrestri ed aeronavali. Ma anche competenze, professionalità e modalità d'azione.
Il punto di partenza è stato un quesito elementare: perché l'Italia, pur avendo aderito fin dal 1990 all'Accordo di Schengen ed alla sua Convenzione di applicazione, pur partecipando anche degli impegni finanziari che ne derivano, non è ancora riuscita ad «entrare» operativamente nello spazio di libera circolazione delle persone in essere dal 25 marzo '95?
Quando, più volte, a livello parlamentare, il quesito veniva posto, le risposte dei vari Ministri e Sottosegretari avvicendatisi risultavano sempre dello stesso tenore: ritardi nell'adeguamento legislativo e problemi tecnici ai posti di frontiera.
Così, il Comitato parlamentare di controllo ha deciso di andare a verificare questi ritardi e queste inadeguatezze.
Dal punto di vista normativo è emerso, subito e con chiarezza, che negli anni la lacuna maggiore era rappresentata dal mancato adeguamento della legislazione italiana in materia di protezione dei dati di natura personale, così come previsto dagli artt. 126-130 della Convenzione di applicazione. Lo scopo di questa obbligazione era quello di garantire uno standard di riservatezza, nel trattamento automatizzato dei dati personali, in linea con i principi di un'altra Convenzione, quella del Consiglio d'Europa del 28 gennaio 1981 cui pure l'Italia aveva aderito.
Il Parlamento italiano ha finalmente colmato tale lacuna con la legge n. 675 del 31 dicembre 1996 sulla «tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento di dati personali» che ha dato vita anche all'Autorità di garanzia, presieduta dal Prof. Stefano Rodotà che, nella sua audizione di fronte al Comitato, ha dato un prezioso contributo su uno degli aspetti più delicati del sistema Schengen: la tutela della privacy.
Risulta più difficile, invece, ricondurre ad unità i variegati ritardi tecnici accumulati nell'adeguamento dei posti frontiera e delle nostre sedi diplomatiche all'estero, in particolare di quelle investite di una maggior numero di richieste di visti di ingresso nel nostro Paese.
Volendo, comunque, fare uno sforzo in questa direzione, e lasciando da parte problemi di disponibilità di mezzi e di aggiornamento tecnico-professionale del personale addetto, si può dire che i problemi maggiori hanno riguardato il collegamento informatizzato delle sedi
consolari con la Farnesina e dei valichi di frontiera con il CED di Castro Pretorio.
Dai sopralluoghi a campione effettuati è emerso che, in questi ultimi mesi, anche i più remoti posti di frontiera sono infine stati collegati, anche se in talune realtà qualche impedimento ancora sussiste nel raccordo funzionale tra server e apparecchi terminali, e non sempre i «palmari» paiono gli strumenti più idonei alla bisogna.
Indubbiamente, fra le varie realtà osservate, gli aeroporti sono risultati i posti di frontiera in più avanzata fase di adeguamento tecnologico ed infrastrutturale. Le realtà, insomma, in cui sia le autorità di frontiera sia le stesse società di gestione hanno prodotto gli sforzi più ragguardevoli, sia in termini strutturali che infrastrutturali, per essere pronti alla scadenza del 26 ottobre prossimo.
Sembra, quindi, di poter affermare, sebbene si tratti di una valutazione su cui è aperto il confronto, che la quantità e la qualità di materiale acquisito e la serie di informazioni e suggerimenti raccolti siano da considerarsi un positivo riscontro del lavoro avviato dal Comitato.
2. Parlare di applicazione in Italia degli accordi di Schengen significa, allo stato attuale, parlare di un divenire, di un processo in corso. Lo si può, dunque, fare in prospettiva, prevedendo una positiva conclusione del confronto in atto, e lo si può fare avendo presente che comunque di una prima progressiva applicazione si tratterà il prossimo 26 ottobre.
3. La scelta dei posti di frontiera da «controllare» è stata il frutto della più
elementare delle esigenze: quella di raccogliere elementi di conoscenza e fare verifiche sul 'campo' sapendo che un porto presenta caratteristiche e problemi assolutamente diversi da quelle di un aeroporto, per non parlare delle differenze con le problematiche che si creano presso un valico alpino.
frontiera, senza nascondere, con ciò, le difficoltà oggettive che derivano da uno sviluppo costiero di quasi 8.000 chilometri.
4. Com'è del tutto evidente, in questa indagine conoscitiva, l'attenzione del Comitato parlamentare è stata assorbita pressoché esclusivamente dal tema (o problema) della libera circolazione dei cittadini, che del resto rappresenta la vera essenza degli accordi di Schengen. A nessuno, tuttavia, sfugge l'importanza che - ai fini di una compiuta applicazione degli accordi stessi - hanno i temi che attengono alla cooperazione di polizia nel campo della lotta al traffico delle armi e degli stupefacenti, alla cooperazione giudiziaria in campo penale, alle estradizioni, all'esecuzione delle sentenze, per non dire del trasporto e della circolazione delle merci.
1.1 L'Accordo di Schengen ha avuto origine da una serie di iniziative sul tema della abolizione delle frontiere assunte da alcuni Stati della Comunità europea, tra cui devono essere ricordate le decisioni del Consiglio europeo di Fontainebleau del 15 e 16 giugno 1984, nelle quali si prospettava l'avvio di misure finalizzate alla soppressione delle formalità di polizia e di dogana, e la Convenzione sperimentale di Saarbrücken, siglata nel luglio 1984 tra Francia e Repubblica Federale di Germania con la quale veniva sancita l'applicazione graduale alle frontiere dei due Paesi di quanto deciso a Fontainebleau.
reciproche, si mostrarono interessati all'accordo di Saarbrücken, il cui testo venne così rinegoziato tra i cinque partners. L'Accordo di Schengen, dal nome della piccola cittadina lussemburghese dove fu firmato il 14 giugno 1985, raggruppava dunque inizialmente cinque Paesi: Belgio, Francia, Germania Federale, Lussemburgo e Olanda. L'accordo del 1985 conteneva essenzialmente una dichiarazione di intenti, prevedendo però un metodo di attuazione e un calendario. In particolare, veniva prefigurata la creazione di uno spazio comune entro il 1o gennaio 1990 attraverso la progressiva eliminazione dei controlli alle frontiere sia delle merci sia delle persone. Ma appariva presto evidente che la soppressione dei controlli doveva essere accompagnata da «misure di compensazione», soprattutto in materia di sicurezza, attraverso una collaborazione in campi, come giustizia, polizia e immigrazione, tradizionalmente di competenza nazionale. Si rendeva così necessaria l'elaborazione di una convenzione di applicazione, contenente le modalità della soppressione del controllo delle persone, firmata il 19 giugno 1990 a Schengen.
seguito, sono rappresentati tutti gli Stati membri e che delibera all'unanimità.
L'obiettivo dell'armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari, oltre a richiedere un impegno generale in tal senso da parte degli Stati contraenti, impegna, come già anticipato, all'adozione di misure di accompagnamento necessarie per giungere a conciliare libertà e mantenimento della sicurezza dei cittadini. Si perveniva così alla Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen, che è entrata in vigore il 1o settembre 1993, divenendo operativa solo il 26 marzo 1995 (sul punto vedasi paragrafo 1.3.).
In particolare la Convenzione è così strutturata:
l'istituzione di un visto uniforme per soggiorni di breve durata, fino alla cui adozione vi è il riconoscimento reciproco dei visti;
Con il compito di verificare la corretta esecuzione delle disposizioni della Convenzione per quanto riguarda l'unità di supporto tecnico del sistema informativo Schengen (SIS) è stata inoltre istituita l'Autorità di controllo comune che dispone anche di competenze più generali in materia di protezione dei dati. Tale organo si compone di due rappresentanti di ogni singola autorità di controllo nazionale. L'Autorità di controllo comune è stata insediata a partire dal 26 marzo 1995, data a partire dalla quale, come già detto precedentemente, la Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen ha avuto applicazione. Occorre peraltro ricordare che, al fine di creare un centro di coordinamento che garantisse l'osservanza delle regole in materia di protezione dei dati in occasione del loro progressivo inserimento nel SIS da parte di alcuni Stati, un'Autorità di controllo comune provvisoria era stata insediata già a partire dal 1992. Tale organo di carattere provvisorio ha svolto delle funzioni preparatorie a quelle attribuite all'Autorità di controllo comune ufficiale. L'Autorità di controllo comune, oltre al compito di sorveglianza sull'Unità di supporto tecnico, svolge un ruolo di consulenza e di armonizzazione delle prassi e delle dottrine nazionali nell'ambito del funzionamento del Sistema informativo Schengen. L'Autorità di controllo comune è dotata di un proprio regolamento interno ed elegge al suo interno un Presidente e un vicepresidente.
si riunisce generalmente due volte ogni sei mesi. La Presidenza è esercitata a rotazione per un periodo di sei mesi, anche se, sulla base di accordi tra Stati, è possibile che essa duri un anno.
1.2 La sottoscrizione degli accordi di Schengen da parte dei vari Stati non costituisce l'unica condizione richiesta per l'ingresso nello spazio di libera circolazione delle persone e delle merci.
1.3 L'Accordo di Schengen e la relativa Convenzione, inizialmente firmati dalla Francia, dalla Germania e dai tre paesi del Benelux, sono stati successivamente sottoscritti da Italia (27 novembre 1990), Spagna (25 giugno 1991), Portogallo (25 giugno 1991), Grecia (5 novembre 1992), Austria (28 aprile 1995) e, nel dicembre 1996, da Danimarca, Finlandia e Svezia. Nello stesso dicembre 1996 la Norvegia e l'Islanda hanno firmato un accordo di cooperazione che ha conferito a tali Paesi lo status di membri associati visto che non fanno parte dell'Unione Europea.
(Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo, Olanda, Spagna e Portogallo).
1.4 Il nostro Paese si avvicinò al gruppo Schengen inizialmente attraverso un dialogo con la Francia che agiva in qualità di mandataria dei cinque Paesi dell'Accordo e, successivamente, con una richiesta di adesione formale, che veniva accolta a condizione che: 1) l'Italia accettasse in toto l'acquis di Schengen; 2) l'ingresso dell'Italia non fosse causa di un rallentamento dei lavori; e soprattutto 3a) si introducesse il visto per la Turchia e per gli Stati del Maghreb; 3b) si firmasse un accordo per la restituzione all'Italia dei clandestini entrati nel territorio di Schengen attraverso il nostro Paese; 3c) si rinunciasse alla riserva geografica in favore dell'Europa dell'Est per l'accoglimento dei profughi.
ratifica dell'adesione dell'Italia agli Accordi di Schengen.
1.5 Colmando ritardi di anni, l'Italia ha realizzato le condizioni necessarie per la sua integrazione nell'Accordo di Schengen.
separazione dei voli intra Schengen da quelli extra Schengen (vedi par. 4.3).
1.6 Lo sforzo compiuto dall'Italia per adeguarsi alle condizioni imposte da Schengen è stato riconosciuto a Lisbona nella riunione del Comitato esecutivo del 24 giugno 1997 durante la quale è stata confermata l'integrazione piena dell'Italia nel Sistema di Informazione Schengen per il 26 ottobre prossimo.
2.1. La legge di ratifica degli accordi di Schengen (legge 30 settembre 1993 n. 388) ha previsto, accanto alle disposizioni immediatamente attuative dei due trattati, l'istituzione di un Comitato parlamentare incaricato di «esaminare l'attuazione ed il funzionamento della Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen» (articolo 18).
VII della Convenzione di applicazione. A tal fine, per il tramite del rappresentante italiano, che può chiedere il rinvio della decisione ex articolo 132 della stessa Convenzione, il Comitato ha il potere di esaminare il progetto di decisione e di esprimere, entro quindici giorni dalla data di ricezione, un parere di carattere vincolante.
tipica attraverso la quale si dovrebbe costituire la decisione preliminare che fornisce l'oggetto del successivo provvedimento che l'attua.
2.2. La questione di un maggiore controllo operato dai singoli Parlamenti nazionali in relazione alla partecipazione all'Accordo di Schengen ed alla Convenzione di applicazione si riconnette alla questione più generale del deficit democratico che, caratterizzando il funzionamento delle istituzioni dell'Unione europea, riguarda soprattutto i profili per i quali la cooperazione tra i paesi membri è affidata alla dimensione intergovernativa.
3.1. Il Sistema d'Informazione Schengen (SIS) è un sistema automatizzato per la gestione e lo scambio di informazioni tra i Paesi aderenti alla Convenzione di Schengen.
L'operazione di aggiornamento di tutte le basi informative degli N-SIS viene garantita con tempi complessivi inferiori ai 5 minuti.
sia «segnalata» (1); in questo caso, verrà rivolta una seconda interrogazione (per via telefonica, per fax o per posta elettronica) (2) agli Uffici SIRENE, che forniranno il «supplemento di informazione» richiesto.
3.2. Il N-SIS Italiano.
La struttura tecnologica del N-SIS italiano è essenzialmente corrispondente a quella del C-SIS essendo costituita a sua volta da elaboratori con sistema operativo Unix e gestore delle informazioni Oracle. Tale soluzione viene però integrata con quella del preesistente centro elaborazione dati (CED) del Dipartimento della Pubblica Sicurezza basato su mainframe IBM in ambiente MVS, CICS e TPX. Gli inserimenti di dati nazionali nel SIS si innescano proprio a partire da una transazione effettuata nell'ambiente mainframe.
3.3. Occorre premettere che, affinché un Paese firmatario degli accordi di Schengen sia integrato a livello operativo nello spazio di libera circolazione delle persone ed inserito, quindi, in primo luogo, nel Sistema informativo Schengen, sono necessarie alcune condizioni per così dire «preliminari» ed altre «sostanziali». Quanto alle prime, occorre aver ratificato l'Accordo e disporre di una legge nazionale sulla protezione dei dati personali: l'esistenza di queste due condizioni permette l'avvio di una prima fase di integrazione consistente nel caricamento dei dati dei Paesi (attualmente 7) tra cui gli accordi Schengen sono già operativi sul SIS nazionale, senza però che essi siano di
fatto utilizzabili per gli utenti finali (p.e. gli operatori dei singoli posti di frontiera) fin quando non siano realizzate anche le condizioni «sostanziali». Queste ultime consistono nel deposito della ratifica da parte di tutti gli Stati tra cui è operativo l'Accordo di Schengen, elemento questo che, sul piano politico e sostanziale, ricordando che gli accordi di Schengen si fondano sul principio dell'unanimità, si traduce nel consenso complessivo all'integrazione di un nuovo Paese nello spazio Schengen.
3.4. 3.4.1.
indipendenti già esistenti in questo settore e nel rispetto dei principi di protezione dei dati personali sanciti da testi nazionali ed internazionali (3). Inoltre, tra le condizioni preliminari all'applicazione della Convenzione nei territori dei singoli Stati membri, figurava l'obbligo per ogni Stato di dotarsi, prima di procedere alla trasmissione di dati personali, di una Autorità nazionale di controllo indipendente e di una legge che garantisse la protezione dei dati personali.
3.4.2. Oltre all'individuazione di tali principi che devono informare la raccolta di dati nel sistema di informazione Schengen, la Convenzione di applicazione prevede la tutela di una serie di diritti dei cittadini:
3.4.3.
rappresentanti in seno all'ACC spetta ad ogni autorità nazionale nella persona del suo presidente o direttore. La Convenzione non prescrive la dura del mandato dei membri dell'Autorità comune di controllo, il mandato è quindi determinato dalle singole autorità nazionali.
All'ACC è attribuito la facoltà di formulare pareri per dirimere casi di disaccordo tra due parti contraenti in merito all'esistenza di un errore di diritto o di fatto in una segnalazione nel SIS. La convenzione prevede che l'ACC elabori relazioni che devono essere trasmesse alle autorità alle quali pervengono le relazioni delle autorità di controllo nazionali. L'ACC deve inoltre essere informata delle misure particolari adottate da ogni Stato membro per assicurare la protezione dei dati in occasione della loro trasmissione a servizi situati al di fuori del loro territorio.
3.4.4.
consacrato la regola dell'elezione di un Presidente e di un Vicepresidente, ha inoltre instaurato le regole del quorum e dell'adozione di atti a maggioranza prevedendo l'obbligo alla riservatezza per i propri membri.
3.4.5. Nel contempo l'ACC ha realizzato varie attività:
L'ACC ha in seguito formulato i seguenti pareri:
3.4.6.
dall'ACC in seguito alla visita presso l'Unità di supporto tecnico di Strasburgo dell'11 febbraio si evidenziano cinque punti che meritano, a parere dall'ACC un ulteriore approfondimento:
3.4.7. Nella prospettiva di un'ampliarsi della cooperazione tra gli Stati membri nel settore degli affari interni e delle giustizia, attraverso nuovi accordi complementari ma distinti dall'Accordo di Schengen, l'ACC sottolinea il problema
dell'armonizzazione delle regole applicabili in materia di protezione dei dati e la questione di una crescente complessità dei meccanismi di controllo affinché tali regole siano correttamente applicate ed interpretate nel rispetto dei diritti dei cittadini.
4.1. Le frontiere italiane si distinguono in terrestri, marittime ed aeree. Complessivamente si sviluppano lungo 9874 Km, di cui 1878 Km di frontiera terrestre e 7996 Km di frontiera marittima.
o meno impervie in cui non si è ritenuto di istituire e comunque non esiste un posto fisso di frontiera. Nell'ambito di questi tratti possono poi distinguersi, in base alle caratteristiche morfologiche, zone ad alto rischio o a basso rischio di attraversamento.
Le Zone di Polizia di Frontiera esercitano, nell'ambito delle rispettive giurisdizioni regionali o interregionali, funzioni di indirizzo, coordinamento e controllo sull'attività di frontiera terrestre, marittima ed aerea svolta dagli Uffici dipendenti.
concorrono le Questure, i Commissariati di P.S. e gli uffici territoriali dell'Arma dei Carabinieri e del Corpo della Guardia di Finanza, cui sono state riconosciute, con decreto del Ministro dell'Interno, le specifiche attribuzioni.
4.2. I controlli del traffico terrestre.
Per quanto riguarda il controllo delle frontiere terrestri, deve distinguersi il traffico stradale da quello ferroviario, fatte salve alcune disposizioni particolari derivanti da accordi bilaterali sul piccolo traffico di frontiera.
principalmente turistico, commerciale o locale. Di norma i controlli delle persone che viaggiano a bordo di autoveicoli vengono eseguiti ai lati degli stessi autoveicoli, senza che i passeggeri debbano scendere dal mezzo. Nel caso si ravvisi la necessità di effettuare un controllo più approfondito, questo sarà eseguito in apposite piazzuole ai lati della carreggiata per non penalizzare il traffico.
4.3 Per quanto riguarda i controlli del traffico aereo civile internazionale, gli accordi di Schengen prevedono una serie di disposizioni, la cui ottemperanza richiede inevitabilmente adeguamenti strutturali delle aerostazioni al fine di separare i flussi di passeggeri in partenza e in arrivo da Paesi Schengen o extra.
Schengen (c.d. voli interni). Ciò comporta che i passeggeri di tali voli sono sottoposti agli stessi controlli dei passeggeri di voli da e per Stati terzi. Ad oggi vi è solo una suddivisione, negli aeroporti principali, tra passeggeri U.E. e non, per quanto concerne i controlli all'arrivo.
4.4. I controlli delle frontiere marittime.
Il controllo delle frontiere marittime viene svolto con differenti modalità a seconda delle diverse attività di navigazione, qui di seguito elencate:
provenienza o a destinazione esclusiva di porti situati nell'aerea Schengen, senza scalo in porti situati al di fuori di tali aree, tramite i quali le persone ed i veicoli sono trasportati secondo un orario regolare.
Il controllo nell'attività di traffico marittimo dell'equipaggio e dei passeggeri avviene di regola nel porto di arrivo o di partenza a bordo della nave o sul molo d'attracco nelle aree all'uopo destinate. Può essere comunque effettuato, anche in corso di navigazione o, in virtù di appositi accordi, all'atto dell'arrivo o della partenza della nave sul territorio di un Paese terzo. Il comandante della nave o, in sua vece, l'agente marittimo, devono stilare una lista dell'equipaggio e, se possibile, dei passeggeri e consegnarla all'arrivo nel porto all'autorità di controllo.
ed osservazione da punti determinati, che consentano di tenere sotto controllo le zone utili agli sbarchi.
5.1. Gli accordi di Schengen non si limitano a fornire un certo numero di indirizzi comuni e vincolanti in materia di controlli alle frontiere (sulla cui attuazione da parte dell'Italia, vd. supra cap.4); essi contengono anche una nutrita serie di disposizioni che riguardano, più in generale, la politica migratoria degli Stati firmatari.
Convenzione di Schengen sull'ordinamento italiano, è utile ricostruirne schematicamente i contenuti normativi, limitandoci qui agli aspetti di maggior rilievo in una prospettiva italiana. Si possono enucleare i seguenti punti, corrispondenti ad altrettante linee-guida della parte della Convenzione dedicata alla disciplina dell'immigrazione:
ammissione di un altro firmatario non sia assoluto, esiste tuttavia una forte limitazione alla discrezionalità degli Stati contraenti nel concedere o prorogare un permesso di soggiorno a un soggetto segnalato;
Sebbene rivesta una notevole importanza ai fini di una razionalizzazione della politica comune in materia di asilo,
il «principio dell'unico Stato responsabile» rischia di pregiudicare un esercizio effettivo del diritto di asilo; la sua applicazione concreta richiede pertanto una rigorosa vigilanza da parte delle istituzioni rappresentative e un controllo effettivo da parte dell'autorità giudiziaria.
5.2. L'articolato insieme normativo di cui abbiamo ripercorso le linee essenziali produce i suoi effetti a due livelli.
Schengen e dei relativi atti di adesione. In quell'occasione, infatti, il legislatore ha introdotto una serie di importanti modifiche (in materia di respingimento, visti, espulsione, responsabilità dei vettori, etc.) nella legge n. 39 del 1990, al fine di adeguarla al disposto della Convenzione di Schengen (cfr. artt.13-15, legge 30 settembre 1993, n. 388).
6.1. In una prospettiva europea, gli accordi di Schengen rappresentano - secondo l'espressione usata dal Ministro dell'interno Giorgio Napolitano nel corso dell'audizione svolta di fronte al Comitato parlamentare il 15 maggio 1997 (vd. Allegati) - «un esempio ante litteram di cooperazione rafforzata [...] tra alcuni membri soltanto dell'Unione dei Quindici».
cooperazione non sia in contrasto con quella prevista nel presente Titolo né la ostacoli» (articolo K.7).
grazie allo status di osservatori attribuito all'Islanda e alla Norvegia.
6.2. L'imponente ondata di adesioni successive - che ha innalzato, in poco più di dieci anni, il numero dei contraenti da cinque a tredici - si deve considerare senz'altro un indice di successo della strategìa delineata a Schengen nel 1985.
territorio francese (6). La Francia ha successivamente riveduto la sua posizione, annunciando - nella riunione informale del Comitato esecutivo del 25 marzo 1996 - la decisione di abolire nuovamente i controlli alle frontiere con la Germania e con la Spagna, mantenendoli però ai confini con il Belgio e con il Lussemburgo. Questa limitazione residua è stata motivata con la necessità di contrastare, mediante controlli di polizia sistematici, i traffici transfrontalieri di stupefacenti legati al turismo giovanile verso i Paesi Bassi, incentivati dalla legislazione permissiva che vige in quel paese in materia di commercio di droghe leggere.
6.3. Malgrado le difficoltà, a distanza di oltre due anni dalla prima messa in applicazione degli accordi di Schengen, il giudizio complessivo che prevale nettamente in tutti gli Stati contraenti è positivo. Sul piano tecnico, questo giudizio positivo era già espresso chiaramente nella prima Relazione annuale sul funzionamento della Convenzione di applicazione nel periodo dal 26 marzo 1995 al 25 marzo 1996, presentata dal Gruppo Centrale in conformità alla decisione del Comitato esecutivo del 22 dicembre 1994. Sul piano politico, un giudizio sostanzialmente positivo - sebbene accompagnato da precise riserve - è venuto maturando, in tutti gli Stati contraenti, nei due anni trascorsi, giungendo infine a influenzare in maniera determinante la Conferenza intergovernativa (CIG) per la revisione del Trattato di Maastricht, conclusasi nel mese di giugno ad Amsterdam. Com'è noto, infatti, il Consiglio europeo del 16-17 giugno 1997 ha deciso la progressiva incorporazione dell'acquis di Schengen nell'Unione europea.
tranne la Gran Bretagna e l'Irlanda. Quest'ultima decisione, in particolar modo - sebbene subordinata alla clausola che l'acquis di Schengen è applicabile «solo se e nella misura in cui [sia compatibile] con l'Unione e la legislazione comunitaria» - segna una globale 'convalidazione' del sistema di norme prodotto a partire dagli accordi di Schengen.
6.4. Il Progetto di Trattato di Amsterdam non scioglie il nodo delle modalità concrete dell'incorporazione dell'acquis di Schengen in seno all'Unione europea. Rimane da definire, in particolare, in che misura si tratterà di una vera e propria «comunitarizzazione», ovvero di un trasferimento delle materie disciplinate dagli accordi nella sfera di competenza della Comunità europea, e in che misura si tratterà invece di un inserimento dell'acquis Schengen nel «Terzo pilastro» riformato.
6.5. La precisazione della base giuridica assunta in ambito UE dai diversi atti che compongono l'acquis di Schengen non è l'unico nodo da sciogliere sulla via dell'incorporazione. Poiché la Convenzione di Schengen - così come la maggior parte dei più importanti trattati contemporanei - non si limita a dettare norme, ma istituisce inoltre organi ad hoc incaricati dell'applicazione di tali norme, l'incorporazione presuppone necessariamente che venga definito il destino di tali organi. Occorre, in altri termini, che si decida se tali organi sopravviveranno in quanto tali, oppure se verranno assorbiti dagli organi dell'ente «incorporante», in questo caso l'Unione europea.
Perché? Perché nonostante l'Italia abbia saputo recuperare ogni ritardo sul piano legislativo e normativo, così come ha saputo portare ad un elevato grado di informatizzazione le strutture strettamente interessate all'attuazione degli accordi, sembra permanere una sorta di riserva «psicologica» nei nostri partner per quanto riguarda l'affidabilità, o fors'anche la volontà politica, dei controlli alle nostre frontiere, quelle che diventeranno le frontiere comuni dello spazio Schengen.
Non si riesce a spiegare, altrimenti, quella sorta di resistenza che ancora nelle ultime settimane si è registrata, soprattutto, da parte di rappresentanti della Germania e dei Paesi Bassi, nei confronti di una previsione (sanzionata una prima volta nel Comitato Esecutivo del 19 dicembre 1996 del Lussemburgo e ribadita ancora a Lisbona lo scorso 24 giugno) che vedeva l'Italia entrare operativamente nel sistema Schengen «al più tardi» nel prossimo ottobre. Una resistenza che ha avuto bisogno di un supplemento di azione diplomatica da parte del nostro Governo, culminata nel vertice di Innsbruck del 19 luglio, a cui hanno partecipato il Presidente del Consiglio Prodi, il Cancelliere Kohl ed il Primo Ministro austriaco Klima, accompagnati dai rispettivi Ministri degli Interni, a cui ha fatto seguito l'incontro bilaterale (alla fine di agosto) fra il nostro Ministro Napolitano ed il Ministro degli interni francesi Chévènement.
Tale iniziativa diplomatica, appunto, è riuscita ad ottenere un primo risultato (parziale ma comunque significativo): l'ingresso dell'Italia nello spazio aeroportuale Schengen, ovvero la derubricazione a voli interni di tutti quelli provenienti da, e in partenza per, aeroporti di Stati firmatari dell'accordo. Senza più la necessità, quindi, di sbrigare pratiche doganali e nemmeno di presentare passaporti od altri documenti di identità da parte dei viaggiatori in transito. Un risultato che aumenta di valore se lo si aggiunge all'operatività, in essere dal 1o luglio scorso con il caricamento dei dati, dello scambio di informazioni fra il Central SIS di Strasburgo ed il National SIS di Castro Pretorio.
Partendo, dunque, dalle specificità dei diversi posti di frontiera, l'indagine conoscitiva del Comitato parlamentare si è avviata - a margine delle audizioni a S. Macuto - puntando all'individuazione delle modalità in cui si esplica, effettivamente, il controllo di cose e persone in una frontiera di terra (è stata scelta quella con la Slovenia perché destinata a rimanere frontiera 'esterna' anche negli anni a venire), in due bracci di mare particolarmente trafficati ed anch'essi prospicenti paesi terzi (la costa pugliese e il Canale di Sicilia), in quattro aeroporti (Roma Fiumicino, Bari Palese, Venezia Tessera e Ronchi dei Legionari).
Il quadro che ne è emerso, e non poteva essere diversamente, è risultato quanto mai variegato. Le stesse norme di legge, in virtù del margine di interpretazione che consentono, vengono talvolta applicate con modalità non univoche. Molto dipende dalla possibilità di conoscere in anticipo il flusso di mezzi e passeggeri che in determinate ore di un determinato giorno possono affacciarsi ad un posto di frontiera. A Trieste, per fare un esempio, è impossibile anche solo immaginare (anche se possono aiutare i dati statistici) quanti pullman, quante automobili, quanti camion si presenteranno al posto di confine di Rabbuiese, né, a maggior ragione, conoscere la nazionalità dei passeggeri intra o extra Schengen. Diversamente, a Fiumicino si può arrivare a conoscere ora per ora, minuto per minuto il carico di passeggeri in arrivo ed in partenza per destinazioni intra ed extra-Schengen. Di qui una minore difficoltà nella predisposizione dei servizi di controllo, una migliore distribuzione dei carichi di lavoro e, soprattutto, una più efficace azione di prevenzione e lotta all'immigrazione clandestina (ne fanno fede i dati relativi ai respingimenti ed alle espulsioni) ed ai traffici illegali.
Un dato comune è, comunque, emerso: la difficoltà che, nelle diverse realtà, si incontra per rendere effettivi i decreti di espulsione emessi dai Prefetti. Si può richiamare, a titolo esemplificativo, l'esperienza effettuata a Lampedusa, dove il respingimento alla frontiera degli immigrati sbarcati clandestinamente appare impraticabile, in assenza di collegamenti marittimi regolari di linea verso i paesi di provenienza dei clandestini stessi. A fronte di questa impossibilità pratica di applicare la procedura di respingimento, le forze di polizia non possono che raccogliere i «naufraghi», rifocillarli ed accoglierli temporaneamente, in attesa di un traghetto per Agrigento. Qui, a fronte di stranieri privi di documenti e di mezzi di sostentamento, non può che scattare il provvedimento di espulsione che, però, offrendo quindici giorni di tempo per lasciare il Paese, si trasforma in una sorta di lasciapassare che permette a molti di risalire la penisola e di far perdere le tracce una volta giunti nella grandi città del nord. Come si vede, è un meccanismo paradossale, generato da un assetto normativo lacunoso, che inficia gravemente l'intero sistema dei controlli di frontiera, senza che ne derivino, peraltro, benefici reali ai migranti. Questi ultimi, infatti, dopo essere stati vittime di racket spietati (organizzazioni criminali verso le quali più stringente dovrà essere l'azione di contrasto) che hanno estorto loro somme ingenti, vengono condannati a una drammatica situazione di «non esistenza» giuridica nel nostro paese o nel paese europeo di destinazione.
Non è nelle competenze del Comitato parlamentare Schengen scendere nel merito di queste problematiche, in questa sede le si possono soltanto evidenziare nella certezza che esse saranno adeguatamente affrontate nelle sedi istituzionali più appropriate. Parimenti, si può valutare adeguata l'azione di controllo che viene effettuata nei nostri diversi posti di
Sono temi sui quali dovrà qualificarsi, nei prossimi mesi, l'attività del Comitato parlamentare che, nel contempo, dovrà continuare ad occuparsi della progressiva soppressione dei controlli alle frontiere intra-Schengen che, come si è detto, non si realizzerà in un'unica data ma vedrà una «prima» libertà di circolazione negli aeroporti a partire dal 26 ottobre 1997, per completarsi entro il 31 marzo 1998 con l'abolizione dei controlli ai valichi terrestri con Francia ed Austria e nei porti interessati da navi e traghetti provenienti da Grecia e Francia principalmente.
Nel Documento viene dedicata specifica attenzione all'attività consultiva e conoscitiva che la legge di ratifica dell'Accordo attribuisce direttamente al Comitato parlamentare. Ma, con riferimento all'esperienza portata avanti in questi ultimi mesi, l'impegno di questo Comitato dovrà spingersi anche in direzione di una sempre più accentuata capacità di indirizzo nei confronti del Governo. E ciò, almeno per due buone ragioni: la prima che attiene all'originalità istituzionale dell'Italia, unico fra i Paesi firmatari ad essersi dotato a livello parlamentare di uno strumento ad hoc che rappresenta, probabilmente, l'esempio di più alta sensibilità democratica nell'attuazione degli accordi di Schengen.
La seconda ragione la si può ritrovare nella risoluzione del Parlamento europeo là dove, a proposito del futuro di Schengen, si dice esplicitamente che «il controllo parlamentare sul funzionamento dell'Accordo... potrebbe venir notevolmente migliorato grazie all'istituzione di un gruppo di concertazione, composto da rappresentanti delle commissioni competenti dei parlamenti interessati» e che lo stesso Parlamento europeo «auspica di essere associato a questa iniziativa»; il che sta a significare l'esigenza di un sempre più stringente e continuativo rapporto fra Parlamenti e Governi, anche al di là degli scambi di informazione previsti dalla legge di ratifica.
I tre Paesi del Benelux (Belgio, Lussemburgo e Olanda), che già da tempo avevano abolito i controlli alle frontiere
Il «sistema Schengen» deve essere inquadrato nel più generale contesto di integrazione europea. Fu proprio l'obiettivo di dare concreta attuazione alle disposizione dell'articolo 8 A del Trattato di Roma sulla libera circolazione delle persone (in seguito modificato dall'Atto unico europeo), che fornì l'impulso decisivo agli originari cinque Stati firmatari.
Infatti, permanendo le riserve di alcuni Stati membri alla realizzazione in tempi rapidi di uno spazio europeo senza frontiere interne e senza controlli alle medesime (va ricordato che la Convenzione intergovernativa dell'Unione europea sull'attraversamento delle frontiere interne, pur se definita nel giugno del 1991, non è stata ratificata, principalmente a causa della controversia che opponeva Regno Unito e Spagna a proposito di Gibilterra), spazio in cui possano circolare liberamente sia i cittadini comunitari sia gli stranieri extra-comunitari regolarmente residenti nello Stato membro, l'Accordo di Schengen ha rappresentato una sorta di laboratorio all'interno del quale, in attesa di poter realizzare una vera e propria libertà di circolazione delle persone e delle merci in ambito comunitario, gli Stati membri hanno potuto sperimentare le modalità per giungere all'abolizione dei controlli alle frontiere e verificare i problemi conseguenti.
Lo stretto legame con la Comunità europea, nel frattempo divenuta Unione europea, è d'altro canto affermato e ribadito più volte negli accordi di Schengen. Nel preambolo dell'Accordo del 1985, ad esempio, gli Stati firmatari prendono atto sia dei progressi già realizzati nell'ambito della Comunità europea in tema di libera circolazione di persone, beni e servizi, sia delle decisioni assunte dal già citato Consiglio europeo di Fontainebleau.
L'articolo 134 della Convenzione sull'applicazione dell'Accordo di Schengen, inoltre, stabilisce che le disposizioni di Schengen siano applicabili soltanto se compatibili con la normativa comunitaria e, allo scopo specifico di assicurare la coerenza delle norme dell'accordo con quelle comunitarie, è stata riservata alla Commissione dell'Unione europea una posizione di osservatore nelle negoziazioni che hanno condotto agli accordi. Si aggiunge, poi, che l'articolo 142 prevede che le norme comunitarie che siano progressivamente approvate in materia di libertà di circolazione sostituiscano le corrispondenti norme Schengen, laddove le norme comunitarie contemplino una cooperazione identica o di maggiore ampiezza delle prime.
Si tratta di una clausola che apre al processo di «comunitarizzazione» di Schengen (vedasi cap. 6), consentendo, così, di dare poco spazio alle perplessità che all'inizio si manifestarono sulla reintroduzione di criteri di cooperazione intergovernativa in materie che avrebbero potuto essere sottoposte a un meccanismo comunitario. Le perplessità nascevano in particolare rispetto al ruolo ed alle funzioni del Comitato esecutivo al cui interno, come verrà meglio precisato in
L'Accordo prevede misure a breve termine e misure a lungo termine.
L'Accordo di Schengen, che contiene i principi che saranno poi sviluppati nella Convenzione di applicazione, consta di due titoli:
Titolo I - articolo da 1 a 16 - tratta delle misure a breve termine di carattere organizzativo e amministrativo, che non comportano modifiche legislative. Viene delineata una organizzazione dei posti di frontiera, intesa a facilitare lo scorrimento del traffico delle persone e delle merci;
Titolo II - articoli da 17 a 33 - contiene le misure applicabili a lungo termine ed impegni di principio a negoziare definiti poi dalla Convenzione applicativa. L'obiettivo è quello di eliminare i controlli alle frontiere comuni per trasferirli alle frontiere esterne, anche attraverso l'armonizzazione delle relative disposizioni legislative e regolamentari dei Paesi firmatari in materia di controlli doganali e di repressione dell'immigrazione clandestina. Tra l'altro, vengono stabilite:
la cooperazione giudiziaria e tra le forze di polizia in materia di prevenzione della criminalità (articolo 18);
l'impegno all'armonizzazione delle legislazioni in materia di stupefacenti, armi ed esplosivi, dichiarazione dei viaggiatori negli alberghi (articolo 19);
l'impegno all'armonizzazione delle politiche sui visti e sulle condizioni di ingresso nei rispettivi territori (articolo 20);
l'esame della possibilità di armonizzazione fiscale in sede comunitaria (articolo 26).
La Convenzione di applicazione dell'Accordo si compone di 142 articoli che riguardano sostanzialmente i seguenti settori:
1. soppressione dei controlli alle frontiere interne e circolazione delle persone;
2. cooperazione tra polizie e cooperazione giudiziaria in materia penale e di estradizione;
3. creazione di un sistema di scambio di informazioni denominato SIS (Sistema informativo Schengen) e protezione di dati personali;
4. trasporto e circolazione di merci.
Il titolo I - articolo 1 - contiene la definizione dei termini impiegati nella Convenzione;
Il titolo II - articoli da 2 a 38 - affronta il tema della soppressione dei controlli alle frontiere interne ed alla circolazione delle persone. Il titolo II suddiviso per capitoli tratta dei seguenti temi:
passaggio alle frontiere interne (cap. I): è sancito il principio dell'eliminazione dei controlli alle persone, salvo particolari esigenze di ordine pubblico;
passaggio alle frontiere esterne (cap. II): sono stabilite norme comuni di carattere generale ed i criteri di ammissione degli stranieri ai valichi di frontiera;
visti per soggiorni di breve e lunga durata (cap. III): viene assunto l'impegno di adottare una politica comune in materia di politica dei visti e di circolazione di persone. Accordi in tali campi con paesi terzi sono soggetti al consenso di tutte le parti contraenti. È prevista
condizioni di circolazione degli stranieri (cap. IV): è stabilito che gli stranieri in possesso di regolare titolo di entrata in una delle parti contraenti possano circolare liberamente nel territorio degli altri per il periodo di validità del titolo;
titoli di soggiorno e segnalazioni ai fini della non ammissione (cap. V): sono disciplinati i casi di rilascio di titoli di soggiorno a stranieri segnalati ai fini della non ammissione;
misure di accompagnamento (cap. VI): sono previste regole che le parti contraenti si impegnano ad introdurre nelle rispettive legislazioni nazionali. Si tratta di obblighi a carico del vettore e sanzioni a carico di chi favorisca a scopo di lucro l'immigrazione clandestina;
responsabilità per l'esame delle domande d'asilo (cap. VII): sono riaffermati i principi della Convenzione di Ginevra del 1951 relativa allo status dei rifugiati, senza alcuna restrizione geografia della loro applicazione. Sono quindi stabiliti i principi per l'accoglimento delle domande d'asilo. Sullo stesso tema si ricorda l'esistenza in sede comunitaria della Convenzione sulla determinazione dello Stato competente per l'esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri, delle Comunità europee, con processo verbale, siglata a Dublino il 15 giugno 1990, ratificata in Italia con legge 24 dicembre 1992, n. 523 ed entrata in vigore in Italia il 1o settembre 1997. Tale entrata in vigore porta alla disapplicazione delle disposizioni dell'articolo 1 e del capitolo 7, titolo II della Convenzione Schengen come previsto nel Protocollo relativo alle conseguenze dell'entrata in vigore della Convenzione di Dublino al riguardo di determinate disposizioni della Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen.
Il titolo III - articoli da 39 a 91 - stabilisce norme comuni in materia di lotta al terrorismo, al traffico illecito di stupefacenti ed alla criminalità organizzata, secondo il criterio per cui la libera circolazione dev'essere temperata da un coordinamento in materia di polizia e sicurezza. Anche il titolo III è suddiviso in capitoli, che trattano dei seguenti argomenti:
cooperazione tra forze di polizia (cap I): è sancito un impegno, nei limiti della legislazione nazionale e delle rispettive competenze, alla reciproca assistenza tra servizi di polizia ed è disciplinato il diritto all'inseguimento nel territorio del paese confinante della persona colta in flagranza di taluni reati;
assistenza giudiziaria in materia penale (cap. II): il capitolo integra le precedenti convenzioni europee in materia di assistenza giudiziaria;
applicazione del principio ne bis in idem (cap. III): è esclusa la possibilità di sottoporre a procedimento penale una persona già giudicata con sentenza definitiva per gli stessi fatti in altro paese contraente. Viene fatta salva la possibilità, in virtù della quale, all'atto della ratifica della Convenzione, un paese contraente possa dichiarare di non essere vincolato al suddetto principio in determinati casi;
estradizione (cap. IV): anche tale capitolo mira a completare le norme di convenzioni europee esistenti in materia;
trasmissione dell'esecuzione delle sentenze penali (cap. V): sono previsti meccanismi atti a garantire la continuazione dell'esecuzione della pena di cittadini di un paese contraente che si spostano in altro paese contraente;
stupefacenti (cap. VI): è istituito un gruppo di lavoro incaricato di esaminare i problemi connessi alla repressione della criminalità in materia di stupefacenti. Le parti contraenti assumono inoltre una serie di impegni per quanto riguarda la repressione di tale reato all'interno di ciascun paese;
armi da fuoco e munizioni (cap. VII): è previsto l'impegno all'adeguamento delle legislazioni nazionali in materia alle norme stabilite dal presente capitolo. In particolare sono definite le armi proibite e quelle soggette ad autorizzazione o dichiarazione. È quindi disciplinato il rilascio delle autorizzazioni ed è istituita in ciascun paese un'autorità incaricata dello scambio di informazioni.
Il titolo IV - articoli da 92 a 119 - istituisce e disciplina uno schedario informatizzato, chiamato Sistema d'informazione Schengen (SIS), costituito da un'unità centrale con sede a Strasburgo e da diramazioni in tutti gli Stati contraenti. Su segnalazione delle parti, nel sistema vengono inseriti dati riguardanti le persone ricercate per l'arresto ai fini dell'estradizione, gli stranieri segnalati ai fini della non ammissione, le persone scomparse e quelle sotto protezione, i testimoni, le persone ricercate ai fini di una notifica di sentenza penale o che debbono scontare una pena. Anche questo titolo è suddiviso in capitoli:
istituzione del SIS (cap. I): sono stabiliti i criteri generali di funzionamento del Sistema;
gestione ed utilizzazione del SIS (cap. II): sono precisate le modalità con cui vanno effettuate le segnalazioni ed i dati richiesti a seconda della fattispecie;
protezione dei dati personali e sicurezza dei dati nel quadro del SIS (cap. III): sono posti i principi cui le legislazioni degli Stati contraenti debbono conformarsi al fine di assicurare un adeguato livello di protezione delle persone nei riguardi del trattamento automatizzato dei dati a carattere personale.
Il titolo V - articoli da 120 a 125 - tratta della circolazione delle merci, ponendo norme tese ad alleggerire o eliminare i controlli alle frontiere interne, controlli che dovranno essere trasferiti all'interno dei singoli Stati. È inoltre rafforzata la cooperazione doganale anche attraverso lo scambio dei funzionari di collegamento;
Il titolo VI - articoli da 126 a 130 - riprende il tema della protezione dei dati di carattere personale per stabilire, come ulteriore garanzia, la subordinazione della trasmissione dei dati all'esistenza di una autorità nazionale con funzioni di controllo;
Il titolo VII - articoli da 131 a 133 - istituisce un Comitato esecutivo, all'interno del quale ogni Paese ha diritto ad un seggio. Il Comitato è composto, a seconda della volontà degli Stati, da un rappresentante dei Ministeri degli affari esteri, dell'interno o di grazia e giustizia e
Esiste inoltre un Gruppo centrale, formato da rappresentanti degli Stati membri, che tiene riunioni mensili, con il compito di preparare i lavori del Comitato esecutivo e dal quale dipende un apposito Comitato di orientamento SIS.
Infine, il Comitato esecutivo ha creato una serie di Gruppi di lavoro, composti da rappresentanti delle amministrazioni delle Parti contraenti, per facilitare le decisioni del Comitato nei diversi settori strategici dell'Accordo (Gruppo Stupefacenti, Gruppo Trattati, Gruppo SIS, Gruppo Asilo e Gruppo Visti).
Il titolo VIII - articoli da 134 a 142 - contiene le disposizioni finali. In particolare è stabilita la supremazia del diritto comunitario sulle norme della Convenzione e sono poste le condizioni per sostituire le disposizioni della Convenzione in presenza di convenzioni concluse tra i membri delle Comunità europee. È infine prevista la possibilità per tutti gli Stati membri CEE di divenire parte della Convenzione.
Occorre differenziare l'entrata in vigore degli accordi dalla loro applicazione, distinguendo, pertanto, le condizioni formali dalle condizioni sostanziali per l'entrata nello spazio Schengen.
Mentre sotto il profilo formale l'ingresso nell'area Schengen dipende esclusivamente dal deposito degli strumenti di ratifica dell'Accordo e della Convenzione di applicazione, che implica l'entrata in vigore dello stesso sotto il profilo sostanziale la relativa applicazione è condizionata alla decisione unanime del Comitato Esecutivo il quale è deputato a verificare, oltre l'entrata in vigore della Convenzione per lo Stato interessato, il rispetto dei seguenti requisiti richiesti per l'ingresso sostanziale nell'area Schengen:
1) controllo efficace delle frontiere esterne;
2) la realizzazione di un N-SIS (National SIS) (vedasi cap. 3);
3) la cooperazione nelle politiche sul diritto di asilo;
4) l'armonizzazione delle politiche nazionali in materia di visti (vedasi cap. 5);
5) l'esistenza di una legislazione nazionale sulla protezione dei dati personali secondo i criteri dell'Accordo di Schengen (vedasi cap. 3);
6) il rispetto delle disposizioni di Schengen in materia di stupefacenti;
7) l'adeguamento delle infrastrutture aeroportuali (vedasi cap. 4).
Benché sottoscritta inizialmente nel 1990, la Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen è divenuta operativa solo a partire dal 26 marzo 1995 ed esclusivamente in sette Paesi membri
Occorre subito precisare che - a norma dell'articolo 2, 2o comma, della Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen, secondo cui ciascuno Stato membro può «per esigenze di ordine pubblico o di sicurezza nazionale» derogare temporaneamente alla soppressione dei controlli alle frontiere interne - la Francia già a partire dal momento dell'entrata in applicazione della Convenzione, ha conservato controlli ad alcune frontiere interne, ritenendo essenziale una simile decisione per fronteggiare l'emergenza terroristica.
Relativamente agli altri Stati firmatari, l'operatività degli accordi di Schengen subentrerà a decorrere dal 26 ottobre 1997 per l'Austria, la Grecia e l'Italia con una differenza, però, tra la posizione dell'Austria e della Grecia da una parte e dell'Italia dall'altra.
L'operatività dell'Accordo di Schengen per la Grecia e per l'Austria è condizionato al deposito della ratifica dell'adesione dei suddetti Stati da parte della Francia e, esclusivamente per la Grecia, anche da parte dei Paesi Bassi.
Il Comitato Esecutivo nella prossima riunione prevista per il 7 ottobre 1997, dovrà verificare, pertanto, la conclusione delle procedure di ratifica degli strumenti di adesione della Grecia e dell'Austria avendo dichiarato - nel Comunicato finale della Riunione del Comitato Esecutivo Schengen tenutasi a Lisbona il 24 giugno 1997 - la ferma intenzione di vedere applicata la Convenzione in Grecia ed in Austria prima della fine del 1997.
L'accettazione delle condizioni poste portò l'Italia a partecipare in qualità di osservatore ai lavori per l'applicazione dell'Accordo.
La risposta alla richiesta formale di adesione agli accordi veniva però costantemente rinviata a causa della scarsa fiducia sulle capacità italiane di integrarsi nel sistema Schengen, Destavano perplessità, infatti, le presunte carenze della nostra struttura amministrativa e l'assenza di una legislazione sull'immigrazione. Benché non vi sia uno stretto rapporto di consequenzialità tra l'integrazione nello spazio Schengen e il tema dell'immigrazione, non si può non notare - come sarà meglio precisato nel cap. 5 - che la normativa sull'immigrazione contribuisce ad elevare il livello di fiducia degli Stati partners nei confronti dell'Italia soprattutto in relazione alle misure adottate per fronteggiare i flussi immigratori clandestini. Non può, pertanto, meravigliare la coincidenza della emanazione della «legge Martelli» (decreto legge 30 dicembre 1989, n. 416, convertito con modificazioni dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39) - legge con cui l'Italia ha risposto alle due condizioni poste per la propria adesione, quale l'introduzione di visti dalla Turchia e dagli Stati del Maghreb e la rinuncia alla riserva geografica a favore dell'Europa per quanto concerne l'accoglimento dei profughi - con la conclusione del negoziato di adesione dell'Italia a Schengen avvenuta a Parigi con la firma della Convenzione e dell'Accordo il 27 novembre 1990.
Il Parlamento italiano ha autorizzato con legge 30 settembre 1993, n. 388 la
La legge n. 388 del 1993 oltre alla ratifica dei citati atti internazionali, contiene una serie di norme finalizzate ad adeguare la legislazione italiana agli impegni assunti con l'adesione all'Accordo. Inoltre, la legge individua le autorità competenti a svolgere funzioni di raccordo per diverse procedure; vengono modificate, poi, alcune disposizioni della legge n. 399 del 1990 (legge Martelli) in materia di titoli di ingresso; viene istituito un Comitato parlamentare di controllo incaricato di esaminare l'attuazione ed il funzionamento dell'Accordo (vedi cap. 2).
Essendo intervenuto per l'Italia il deposito di tutte le ratifiche da parte degli altri Stati membri, la Convenzione è entrata in vigore il 1o luglio scorso. L'operatività dell'Accordo è stata però per lungo tempo impedita sia dall'assenza in Italia di una legislazione sulla protezione dei dati personali, che il nostro Paese si era impegnato ad emanare all'atto di adesione all'Accordo di Schengen nel 1990, sia dalla mancata realizzazione degli adempimenti relativi al sistema di informazione nazionale, al suo adeguamento al Sistema d'Informazione Centrale Schengen a Strasburgo ed al suo collegamento con Ambasciate, Consolati e valichi di frontiera esterni. Occorreva, inoltre, adeguare le infrastrutture aeroportuali alle esigenze di separazione fisica dei passeggeri provenienti dai voli intra-Schengen da quelli provenienti dai voli extra-Schengen. Non si poteva, poi, non rilevare l'assenza di una legislazione sull'immigrazione adeguata sotto il profilo dell'ammissione e dell'espulsione di cittadini di Paesi terzi.
L'assenza di una legislazione sulla protezione dei dati personali è stata superata adempiendo, così, a quanto previsto dalla Convenzione del 1990 che, all'articolo 117, prevede che ogni Paese firmatario si impegni a introdurre al proprio interno delle disposizioni necessarie per raggiungere un livello di protezione dei dati di natura personale almeno uguale a quello derivante dai principi della Convenzione del Consiglio d'Europa del 28 gennaio 1981. Tale Convenzione, la cui ratifica è stata autorizzata dalle Camere ormai dal 1989, con la legge 21 febbraio 1989, n. 98, non aveva ancora completato il proprio iter di deposito degli strumenti di ratifica, poiché l'Italia non aveva ancora adempiuto all'impegno, previsto inderogabilmente dalla stessa Convenzione, di adottare una disciplina nazionale sulla tutela dei dati informatici. Con l'approvazione della legge 31 dicembre 1976, n. 675, recante tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali, l'ostacolo in questione è stato rimosso.
La seconda debolezza dell'Italia era relativa alla partecipazione al Sistema di informazione Schengen (cap. 3). L'articolo 92 della Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen prevede - come enunciato nel paragrafo 1.1. - che sia creato un sistema comune di informazione costituito da una Sezione nazionale, istituita presso ciascuno Stato e incaricata di istituire e gestire un archivio di dati su base nazionale, e da una Unità di supporto tecnico con sede a Strasburgo e con il compito di gestire un archivio di dati con il quale sia garantita l'identità e quindi l'omogeneità degli archivi nazionali mediante la trasmissione in linea delle informazioni. Il SIS ha l'obiettivo di garantire, grazie ai dati disponibili per il suo tramite, la sicurezza e l'ordine pubblico ed altresì l'attuazione della Convenzione nell'ambito della circolazione delle persone. Le difficoltà relative al collegamento della Sezione nazionale del SIS con l'Unità centrale di Strasburgo sono state superate con il caricamento dei dati dell'Italia a partire da luglio 1997.
Per quanto riguarda le infrastrutture aeroportuali, poi, l'Italia ha provveduto ad adeguarle alla necessità di una
Non inferiori sono stati i progressi compiuti in materia di immigrazione se si considera che il Governo ha presentato in Parlamento un disegno di legge sul tema che assume rilevanza ai fini della piena integrazione nello spazio Schengen relativamente alle misure adottate per contrastare il fenomeno dei clandestini, in modo da garantire un'efficace sintonia tra la libera circolazione delle persone e le esigenze di sicurezza.
Aderendo ad una richiesta degli altri Stati, l'Italia aveva acconsentito nella riunione dello stesso Comitato esecutivo tenutasi nel Lussemburgo nel dicembre 1996 ad integrarsi nel sistema Schengen insieme all'Austria e alla Grecia. In tale occasione fu però precisato - e successivamente confermato a Lisbona nell'aprile 1997 - che l'Italia sarebbe entrata improrogabilmente nell'area Schengen il 26 ottobre 1997, anche in via prioritaria rispetto ad Austria e Grecia, prescindendo così dalle eventuali difficoltà che si fossero presentate per l'integrazione di questi altri due Paesi.
Nella riunione del Comitato Esecutivo del 24 giugno la Presidenza portoghese ha riconosciuto - come già precisato - il processo di adeguamento compiuto dall'Italia confermando così l'ingresso della stessa nel sistema Schengen a partire dal 26 ottobre sotto il profilo dell'integrazione nel SIS.
Dubbi, invece, sono emersi da parte delle delegazioni degli altri Stati (soprattutto tedesca e olandese) sul rispetto delle condizioni relative ad un controllo e ad una sorveglianza efficaci alle frontiere esterne in Italia. Si è giunti così ad una soluzione di compromesso che ha rinviato alla successiva riunione del Comitato esecutivo (prevista per il 7 ottobre 1997) la decisione del Comitato sull'ingresso dell'Italia nel Sistema Schengen a partire dal 26 ottobre, anche sotto l'aspetto delle infrastrutture aeroportuali e del controllo alle frontiere esterne. Al fine di poter rispettare la scadenza prefissata (26 ottobre) il 17 luglio 1997 si è tenuto ad Innsbruck un vertice dei Capi di Governo dell'Italia, della Germania e dell'Austria per predisporre le modalità definitive dell'abolizione dei controlli di frontiera.
Nella riunione del 7 ottobre 1997 il Comitato esecutivo, prendendo atto dei progressi compiuti, ha deliberato l'ingresso dell'Italia nello spazio Schengen sia relativamente al SIS sia relativamente alle infrastrutture aeroportuali.
Il Comitato è composto da dieci deputati e da dieci senatori nominati, rispettivamente, dal Presidente del Senato della Repubblica e dal Presidente della Camera dei Deputati in modo da rispecchiare la proporzione dei gruppi parlamentari.
A norma dell'articolo 18, 4o comma, il Comitato esamina i progetti di decisione, vincolanti per l'Italia, pendenti innanzi al Comitato esecutivo contemplato dal titolo
Tali attribuzioni consentono pertanto al Parlamento di intervenire, oltre che con una funzione di controllo, con una penetrante funzione di indirizzo politico nei processi decisionali di Schengen che riguardino espressamente l'Italia, favorendo inoltre un controllo specifico sull'operato del Governo in sede di Comitato esecutivo.
Non si può non sottolineare la peculiarità della funzione consultiva attribuita al Comitato parlamentare: la legge parla espressamente di un «parere vincolante» introducendo, così, un elemento di novità nel raccordo Parlamento-Governo.
La vincolatività del parere induce a riconoscere infatti una funzione di codecisione al Comitato parlamentare nel processo di attuazione della Convenzione di Schengen per i progetti relativi all'Italia. Tale ruolo sostanziale riconosciuto all'organo parlamentare non deve però essere interpretato come un limite posto alla libertà del Governo all'atto della negoziazione in sede di Comitato esecutivo. Al contrario la vincolatività della decisione parlamentare rafforza la posizione dell'Esecutivo che, al tavolo dei negoziati, potrà far valere il sostegno parlamentare irrobustendo, pertanto, la posizione dell'Italia.
Si tratta di un raccordo particolare che, pur se si discosta dalla tradizionale impostazione del rapporto tra Parlamento ed Esecutivo che di norma configura il controllo politico in via successiva e non preventiva e comunque non di carattere vincolante, si giustifica alla luce della natura costituzionale dei principi su cui incide l'Accordo di Schengen, principi tutti racchiusi nella prima parte della Costituzione.
Si tratta, dunque, di operare nel contesto internazionale su temi che non concernono soltanto interessi nazionali contingenti, ma che coinvolgono grandi questioni di principio e di tutela a garanzia anche del singolo individuo. Poiché i diritti inviolabili sono coessenziali rispetto alla forma di Stato vigente, l'intervento vincolante dell'organo parlamentare, cioè di un soggetto costituzionale che ha carattere, attribuzioni e capacità rappresentative diverse da quelle del Governo, si pone non solo a garanzia di tale coessenzialità, ma appare più idoneo ad effettuare quel bilanciamento di interessi che si richiede quando si incide su diritti fondamentali. Il Comitato è chiamato pertanto a verificare se a fondamento di eventuali norme limitative dei diritti in questione vi siano altri interessi costituzionalmente meritevoli di tutela in modo da assicurare la «ragionevolezza» della decisione.
L'importanza e la delicatezza della funzione riconosciuta al Comitato spiegano la rilevata opportunità di avviare, con deliberazione 17 aprile 1997, un'indagine conoscitiva sullo stato di applicazione in Italia della Convenzione di Schengen, al fine di acquisire - come recitano i Regolamenti della Camera (articolo 144) e del Senato (articolo 48) - informazioni e notizie senza che tale attività conoscitiva diventi strumento di censura politica e di imputazione di responsabilità.
Durante lo svolgimento della sua attività il Comitato ha rilevato la necessità che venga garantito in modo puntuale e costante il raccordo tra il Parlamento e il Governo. Occorre, pertanto, dare piena attuazione all'articolo 18 della legge di ratifica che, prevedendo la già illustrata funzione consultiva del Comitato, richiede un tempestivo intervento dell'Esecutivo, deputato ad inviare al Parlamento i progetti di decisione del Comitato esecutivo vincolanti per l'Italia.
Solo assicurando la funzionalità del rapporto Parlamento-Governo si è in grado di superare le perplessità sul deficit democratico che sembra caratterizzare le decisioni sull'attuazione degli accordi di Schengen: perplessità sicuramente arginabili qualora si consentisse all'organo parlamentare di esercitare la sua funzione
In occasione dell'ultima Conferenza interparlamentare sul seguito dell'Accordo di Schengen, che si è svolta a Lussemburgo nel dicembre 1995 (la prossima conferenza si svolgerà nell'autunno 1997), la questione dell'insufficienza del controllo parlamentare in relazione all'applicazione dell'Accordo di Schengen è stata denunciata da più parti. Nel corso dei lavori della Conferenza interparlamentare emergeva la constatazione circa la difficoltà di organizzare un controllo efficiente da parte dei singoli Parlamenti nazionali. Nel corso della Conferenza interparlamentare sono state avanzate proposte volte sia alla creazione di un organismo interparlamentare, sia all'istituzione da parte di ciascun parlamento nazionale di un apposito organismo ristretto deputato al controllo parlamentare sull'applicazione dell'Accordo di Schengen. Soltanto l'Italia ha provveduto in tal senso, mentre in Olanda funzioni di controllo sull'applicazione dell'accordo di Schengen sono state attribuite alla Commissione giustizia del Parlamento olandese.
Non si può non segnalare, poi, che il controllo parlamentare sul funzionamento dell'Accordo di Schengen potrebbe essere - come si legge nella risoluzione A4-0014/97 del Parlamento europeo sul futuro di Schengen - notevolmente migliorato grazie all'istituzione di un gruppo di concertazione permanente composto da rappresentanti delle Commissione competenti dei Parlamenti interessati.
Il Comitato parlamentare intende attivarsi al fine di incentivare la costituzione di un simile organismo interparlamentare che assume un rilievo sempre più decisivo in vista della «comunitarizzazione» dell'Accordo di Schengen e della Convenzione di applicazione, sancita dal Trattato di Amsterdam approvato lo scorso giugno ed in attesa di essere formalmente siglato.
Si tratta di un aspetto che - come si chiarirà nel cap. 6 - è destinato a modificare sostanzialmente le prospettive di controllo effettuato dai competenti Parlamenti nazionali.
La comunitarizzazione dell'acquis di Schengen implicherà sicuramente un coinvolgimento del Parlamento europeo nel processo decisionale con conseguente potenziamento del controllo democratico sulla politica perseguita in tema di libera circolazione delle persone. È giusto, però, che in attesa dell'integrazione di Schengen nel quadro europeo le funzioni tipiche di un organo rappresentativo in vista della realizzazione del quadro legislativo e dell'espletamento dei controlli in ordine all'attuazione degli accordi di Schengen siano svolte dai vari Parlamenti nazionali che necessitano però di un punto di raccordo che potrebbe ben essere rappresentato dal gruppo di concertazione di cui parla la risoluzione del Parlamento europeo e della cui istituzione il Comitato intende farsi promotore.
Il SIS, avvalendosi delle informazioni in esso contenute e conformemente alle disposizioni della Convenzione, ha l'obiettivo sia di garantire l'ordine pubblico e la sicurezza pubblica, sia di assicurare l'applicazione delle disposizioni sulla circolazione delle persone. Conseguentemente, il SIS deve consentire di identificare le persone e gli oggetti segnalati, di conoscere le motivazioni della ricerca, di determinare le azioni da effettuare prioritariamente assicurando nel contempo l'incolumità del personale incaricato di effettuare il controllo.
Il SIS è costituito da una sezione nazionale presso ciascun Paese aderente all'accordo (indicata nel seguito come N-SIS) e da un'unità di supporto tecnico situata a Strasburgo (ed indicata nel seguito come C-SIS). Ciascuna struttura (sia N-SIS che C-SIS) possiede una copia identica della base informativa. La base informativa del C-SIS costituisce il riferimento di tutto il sistema. È proprio il C-SIS che coordina e controlla l'aggiornamento in tempo reale di tutte le altre basi informative a partire dalla richiesta di un N-SIS.
Il meccanismo di aggiornamento delle basi informative del SIS ha il funzionamento di seguito illustrato:
un N-SIS chiede di effettuare un aggiornamento nella base informativa (nuovo inserimento, variazione di un dato esistente, cancellazione) trasmettendo la richiesta al C-SIS;
il C-SIS effettua un controllo formale della richiesta (non essendo possibile presso il C-SIS effettuare nessuna operazione sostanziale - neppure di visualizzazione - sui dati) e, se il risultato è positivo, aggiorna la propria base informativa;
il C-SIS diffonde l'aggiornamento a tutti gli N-SIS.
Il sistema informatico del C-SIS è costituito da un sistema di produzione e da un sistema indipendente dedicato alle sole prove. Gli elaboratori hanno tutti sistema operativo Unix configurato per un livello di sicurezza C2. La trasmissione delle informazioni da e per gli N-SIS avviene utilizzando il protocollo X.400 su linee cifrate da apposite apparecchiature. Il nucleo principale del sistema è costituito dal sistema di gestione delle informazioni basato sul prodotto Oracle. Sui dati così memorizzati operano le specifiche applicazioni che si fanno carico, tra l'altro, dell'interazione uomo-macchina.
Il C-SIS, pur non prevedendo allo stato soluzioni di disaster recovery, è certamente pensato per offrire un'alta affidabilità e disponibilità di servizio nel suo funzionamento 24h/24 e 7gg/7. Infatti, è assicurata la completa ridondanza delle apparecchiature di esercizio (sistema elaborativo duplicato con la memorizzazione dei dati su dispositivi in mirroring), lo switch automatico su linee di sicurezza a fronte della caduta delle linee principali, gruppi di continuità con segnalazione di problemi di alimentazione e così via.
Per quanto riguarda la struttura degli N-SIS, va detto che essi, oltre che una struttura tecnica direttamente incaricata della gestione della base informativa, comprendono un ufficio S.I.RE.N.E. (Supplementary Information Request at National Entry) con il compito di mettere in collegamento le autorità giudiziarie e di polizia di un Paese con i loro colleghi stranieri al fine di acquisire le informazioni ulteriori non disponibili nella base informativa del N-SIS. Gli Uffici SIRENE, pur non espressamente contemplati nella Convenzione di applicazione degli Accordi di Schengen, sono riconducibili - secondo una possibile interpretazione - all'articolo 108 della stessa.
Per esemplificare il ruolo della base informativa N-SIS e quello dell'Ufficio S.I.RE.N.E., ipotizziamo che da una prima interrogazione rivolta al Sistema dall'operatore di frontiera emerga che la persona che chiede di entrare nel territorio nazionale, e quindi nello spazio Schengen,
Il N-SIS dipende dal Ministero dell'Interno e coinvolge nel suo funzionamento il Ministero di Grazia e Giustizia e il Ministero degli Affari Esteri (rappresentanze diplomatiche).
Coerentemente alla struttura di ogni altro N-SIS, anche quello italiano è integrato da un Ufficio S.I.RE.N.E., dipendente dal Dipartimento di Pubblica Sicurezza, Direzione Centrale di Polizia Criminale. Si tratta in sostanza di una struttura operativa che impegna il personale delle tre forze di polizia (Polizia di Stato, Arma dei Carabinieri, Guardia di Finanza) in funzione 24 ore su 24.
È da segnalare, inoltre, che esiste una stretta collaborazione tra gli Uffici SIRENE ed il Ministero di Grazia e Giustizia, che ha costituito all'interno della
Direzione Affari Penali Ufficio II, l'Unità Schengen. Questa Unità si occupa di trattare le richieste di arresto provvisorio, ai fini dell'articolo 95 della Convenzione, provenienti dalle Procure Generali e le trasmette agli uffici SIRENE per il successivo inserimento nel SIS. La Divisione SIRENE è in collegamento con tale Unità per la concertazione di qualunque problematica relativa a segnalazioni attive o passive che richiedono un pronunciamento dello stesso Ministero o dell'Autorità giudiziaria competente. I dati ex articolo 95 della Convenzione tengono già conto della rispondenza delle segnalazioni all'ordinamento giuridico dei Paesi contraenti.
Un aspetto particolarmente delicato, in relazione alla legge sulla protezione dei dati personali, è rappresentato dal tipo e dalla qualità delle informazioni che gli Uffici SIRENE possono di fatto trattare.
Da un punto di vista complessivo, si può qualificare il Sistema SIS, affiancato dalla rete degli Uffici S.I.RE.N.E., come un sistema di controllo con competenza territoriale sullo spazio Schengen. Così inteso, il Sistema SIS integra nell'ambito Schengen le funzioni svolte su scala globale dall'Interpol.
Sul piano operativo l'adempimento di queste condizioni «sostanziali» permette l'avvio di una seconda e «definitiva» fase di integrazione nel Sistema di informazione Schengen, consistente nel caricamento dei dati nazionali sul C. SIS di Strasburgo e nell'utilizzazione effettiva su tutto il territorio nazionale e presso le sedi consolari e le rappresentanze diplomatiche dei dati degli altri Paesi.
Quanto all'Italia, per cui sono state soddisfatte sia le condizioni «preliminari» che quelle «sostanziali», terminata una prima fase sperimentale denominata «data loading test» per verificare la congruità e la compatibilità del sistema nazionale con quello centrale di Strasburgo sul piano esclusivamente tecnico, è iniziata il 1o luglio u.s. la prima fase di caricamento dei dati dei 7 Paesi Schengen sul National SIS (che dovrebbe essersi concluso alla fine di agosto) per poi dare avvio alla seconda fase - il caricamento dei dati italiani nel C. SIS di Strasburgo - da concludersi entro il 26 ottobre, data in cui è formalmente prevista l'integrazione dell'Italia nel Sistema informativo Schengen.
Sul piano politico, come su quello operativo, l'integrazione nel SIS è il primo passo verso la realizzazione effettiva di uno spazio di libera circolazione delle persone nello spazio Schengen senza più controlli alle frontiere «interne», in cui sia però garantita la piena sicurezza di quelle «esterne». Il passo successivo affinché l'Italia entri davvero a pieno titolo nello spazio Schengen sarà costituito dall'abolizione dei controlli alle frontiere interne. A tal fine il Comitato esecutivo (l'organo di governo degli Accordi Schengen) dovrà assumere - come anticipato al par. 1.3 - una decisione formale che ne stabilisca le condizioni operative (di fatto anche politiche), per l'Italia - come anche per l'Austria e la Grecia - gli Stati che, a breve, dovrebbero essere integrati operativamente nello spazio Schengen.
L'Autorità di controllo comune di Schengen (ACC), come già ricordato in precedenza, affianca il Comitato esecutivo ai fini del controllo sulla corretta esecuzione delle disposizioni previste dalla Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen. Se, infatti, al Comitato esecutivo è attribuita in via principale il compito di vigilare sulla corretta applicazione della Convenzione, all'ACC viene attribuita una competenza specifica per quanto riguarda la verifica della corretta esecuzione delle disposizioni della Convenzione per quanto riguarda l'Unità di supporto tecnico del Sistema di informazione Schengen (SIS).
Il titolo IV della Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen ha previsto la creazione di un Sistema di informazione comune come strumento essenziale ai fini dello sviluppo di una efficace cooperazione di polizia, doganale e giudiziaria in Europa. Il Sistema di informazione Schengen (SIS) è composto dalle Sezioni nazionali istituite presso ogni Stato membro e di una Unità di supporto tecnico, con sede a Strasburgo, che ha il compito di rendere materialmente identici gli archivi implementati dalle sezioni nazionali.
L'istituzione di tale sistema di informazione doveva però essere garantito dalla creazione di una Autorità di controllo comune che agisse sull'esempio di modelli nazionali di autorità di controllo
La Convenzione delinea una ripartizione di competenze tra l'Autorità di controllo comune e le singole autorità di controllo nazionali per quanto riguarda il controllo del rispetto dei principi definiti in materia di protezione dei dati. Per quanto riguarda il controllo sul sistema di informazione Schengen è infatti previsto che ogni Stato parte debba incaricare un'autorità nazionale di procedere al controllo, in modo indipendente e nel rispetto della legislazione nazionale, dell'archivio della sezione nazionale del Sistema d'informazione Schengen. È quindi compito di tali autorità nazionali accertare il rispetto delle disposizioni sulla protezione dei dati previste dalla Convenzione e, se del caso, delle disposizioni aggiuntive del diritto nazionale.
La Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen definisce dei principi minimi in materia di protezione dei dati personali:
sono definite tassativamente le categorie di dati che possono essere registrati nel SIS;
è vietato l'inserimento di informazioni cosiddette «sensibili» (razza, opinioni politiche, confessioni religiose ecc., ecc.);
vengono individuati i destinatari che possono avere accesso a tali dati;
la duplicazione di tali dati è limitata;
vi è, infine, un obbligo di conservare i dati per una durata determinata; per i dati cancellati è prevista comunque la conservazione per un anno presso l'unità di supporto tecnico di Strasburgo al fine di poter controllare, a posteriori, la loro esattezza e la liceità del loro inserimento nel SIS dei dati cancellati.
il diritto di accesso e di comunicazione (chiunque, in via di principio, può avere accesso alle informazioni contenute nel SIS che lo riguardano);
il diritto di rettifica (ogni persona può far rettificare dati contenenti errori di fatto o errori di diritto che la riguardano);
il diritto di avviare un'azione di rettifica, cancellazione, informazione o indennizzo (chiunque deve poter adire, nel territorio di ciascuna parte contraente, la giurisdizione o l'autorità competente relativamente ad una segnalazione che lo riguarda);
il diritto di chiedere una verifica dei dati (ogni persona ha il diritto di chiedere alle autorità di controllo nazionali di verificare i dati inseriti nel SIS che la riguardano nonché l'utilizzazione che ne viene fatta.)
L'Autorità di controllo comune è composta di due rappresentati per ogni autorità di controllo nazionale. La scelta dei
L'Autorità di controllo comune si è ufficialmente insediata dopo l'applicazione della Convenzione il 26 marzo 1995. Tuttavia già dal mese di giugno 1992 è stata insediata un'Autorità di controllo comune provvisoria (ACCP) che si è riunita più volte svolgendo un ruolo preparatorio ai compiti svolti dall'Autorità di controllo comune una volta questa ufficialmente insediata. In tal senso le attività dell'ACC costituiscono il completamento dei lavori già avviati in seno all'ACCP.
Oltre al compito alla funzione di controllo sull'attività dell'unità di supporto tecnico di Strasburgo, all'ACC è attribuito un ruolo di consulenza ed armonizzazione delle prassi e delle dottrine nazionali. L'articolo 115, comma 3, della Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen attribuisce all'ACC i seguenti compiti:
analizzare le difficoltà di applicazione o di interpretazione che possono sorgere nell'utilizzo del SIS;
esaminare i problemi che possono sorgere durante il controllo indipendente effettuato dalle singole autorità di controllo nazionale;
esaminare le questioni che possono sorgere nell'esercizio del diritto di accesso al SIS;
infine, su un piano più generale all'ACC è attribuito il compito di elaborare proposte armonizzate allo scopo di trovare soluzioni comuni ai problemi esistenti.
La determinazione di effettive condizioni di indipendenza dell'ACC da parte dei singoli Stati membri è questione che riveste importanza decisiva ed è condizione dell'effettivo operare di un organo, come l'ACC, istituito con il compito prioritario di vigilare sul rispetto dei diritti delle persone che costituiscono l'oggetto dello scambio di informazioni.
Nonostante l'articolo 115 della Convenzione di applicazione, che istituisce l'ACC, non preveda esplicitamente la sua indipendenza, i suoi membri sono rappresentanti di autorità nazionali incaricate di esercitare in ogni Stato parte, un controllo indipendente sulle sezioni nazionali del SIS. Peraltro, la Raccomandazione R (87) del 17 settembre 1987, richiamata nello stesso articolo della Convenzione di applicazione istitutivo dell'ACC, indica che l'autorità di controllo incaricata di vigilare sul rispetto dei principi enunciati deve essere indipendente.
L'indipendenza dell'ACC è risultata in questione e soggetta a negoziato con gli Stati parte sin dall'istituzione dell'Autorità comune provvisoria, nel momento in cui, alcune scelte, come quella di eleggere un presidente piuttosto di adottare, come per gli Stati membri, la regola dei turni di presidenza semestrali, sono state poste in discussione dagli Stati Schengen.
Tra le condizioni di indipendenza rivestivano particolare importanza l'adozione di un regolamento interno e una linea di bilancio propria, subordinato all'elaborazione di una rapporto di attività.
Proprio in occasione dell'adozione di un proprio regolamento interno, l'ACC ha
La richiesta da parte dell'ACC di una propria linea di bilancio al fine di poter svolgere in pene indipendenza le attività di sua competenza non veniva inizialmente accolta. Solo in seguito ad un negoziato con il Comitato esecutivo e con il Gruppo centrale veniva finalmente approvato, nei primi mesi del 1997, un progetto di bilancio in cui però veniva soppressa la voce di Bilancio relativa alla sessione annuale dell'ACC a Strasburgo. Nonostante che la Convenzione non preveda un tale obbligo l'ACC si è impegnata a presentare un rapporto annuale al fine di illustrare, in modo trasparente, lo svolgimento delle attività e l'esecuzione del bilancio. IL primo rapporto è stato presentato il 27 marzo ed è in realtà un rapporto biennale, copre infatti l'attività dell'ACC dal marzo 1995 al marzo 1997.
Nel corso dei primi due anni a partire dal suo insediamento l'ACC ha incentrato i proprio sforzi su un rafforzamento delle garanzie della propria indipendenza e su due compiti ritenuti prioritari:
1) la cooperazione tra autorità di controllo nazionali ai fini dell'esercizio del diritto di accesso delle persone al SIS;
2) il controllo dell'Unità di supporto tecnico.
ha completato il documento di sintesi redatto sulla base di un questionario che l'ACCP aveva elaborato nel 1993 ed inviato a tutti gli Stati Schengen al fine di permettere il raffronto tra le regole di protezione dei dati applicabili negli stati Schengen;
l'ACCP ha esaminato il fondamento giuridico degli uffici SIRENE (Supplementi d'informazione richiesti per l'ingresso nazionale), in quanto creazione degli Stati Schengen e non espressamente previsti dalla Convenzione e il contenuto nel relativo manuale SIRENE. L'ACCP ha quindi invitato gli Stati membri a prevedere, per ragioni di trasparenza, che la creazione e le attribuzioni degli uffici SIRENE siano disciplinati dalla Convenzione;
sull'esercizio del diritto di accesso e sui principi della cooperazione tra autorità di controllo nazionali ai fini della verifica dei dati, nel quale ha operato una distinzione tra il diritto di accesso e di comunicazione ed il diritto di chiedere una verifica dei dati e del loro utilizzo;
su un progetto pilota relativo ai veicoli rubati;
sull'accordo di cooperazione relativo alle contestazioni delle infrazioni stradali e dell'esecuzione delle relative sanzioni pecuniarie.
Di particolare rilevanza è stata la visita che l'ACC ha compiuto l'l1 febbraio 1997 presso l'Unità di supporto tecnico di Strasburgo e il conseguente rapporto definitivo di controllo adottato il 27 marzo 1997. Tale visita era stata preceduta da una visita compiuta nell'ottobre 1996 tuttavia risultata incompleta a causa del gran numero di documenti da esaminare, dell'impossibilità di trasportare ed esaminare copia dei documenti fuori dell'Unità di supporto tecnico e delle difficoltà dovute al mancato riconoscimento, da parte delle autorità francesi, della competenza ad effettuare controlli da parte di esperti incaricati dall'ACC. Nel rapporto adottato
1) Gli archivi delle Parti contraenti la Convenzione non sono identici, come prescritto dalla Convenzione stessa, e la procedura applicata per individuare le differenze risulta inadeguata per la sua frequenza (semestrale) e per la durata della sua realizzazione (diversi mesi). A tale proposito l'ACC raccomanda di procedere ad un'analisi completa delle differenze individuate tra i diversi archivi e di predisporre una procedura di raffronto più rapida;
2) Il livello di sicurezza applicato al sistema informatico non è apparso adeguato sia perché le misure tecniche previste per garantire tale livello di sicurezza non erano sempre applicate, sia per la non precisione o la non diffusione delle regole prestabilite. L'ACC chiede che le misure volte a garantire un livello di sicurezza adeguato siano rafforzate ed effettivamente applicate;
3) troppe persone beneficiano di un profilo di utenza massimo, che permette di accedere e di modificare il contenuto di qualunque file del sistema informatico senza che di ciò resti traccia alcuna, secondo le raccomandazioni formulate dall'ACC si dovrebbe limitare al minimo l'accesso privilegiato al sistema informativo;
4) occorre rafforzare le funzioni di tracciatura, che permettono di verificare a posteriori le azioni effettuate dai vari utenti del sistema informatico e che non appaiono, allo stato attuale, realizzate in maniera soddisfacente;
5) infine si è rilevato un livello di sicurezza insufficiente nella gestione e nel trasporto dei supporti magnetici in cui sono conservati i dati del SIS. A tale riguardo occorrerebbe ricorrere in modo sistematico ad operazioni di crittaggio.
Tra le attività avviate dall'ACC ed ancora in corso si segnala in particolare: la diffusione di un opuscolo sui diritti delle persone nei confronti del SIS; l'avvio di una riflessione sull'interpretazione dell'articolo 102, comma 2 della Convenzione relativo alla duplicazione dei dati SIS per fini tecnici.
Al fine di instaurare una maggiore trasparenza tra gli organi Schengen l'ACC auspica che il Comitato esecutivo adotti tre misure destinate a regolare le difficoltà incontrate dall'ACC nell'esercitare i proprio compiti in condizioni soddisfacenti:
l'ACC deve poter disporre di informazioni regolari e sistematiche in merito agli obiettivi degli Stati Schengen in particolare nel concludere accordi complementari, nonché al funzionamento del SIS. In particolare l'ACC chiede di essere destinataria delle relazioni mensili relative al funzionamento dell'Unità di supporto tecnico;
approvazione di un Protocollo relativo alla realizzazione dei controlli da parte dell'ACC presso l'Unità di supporto tecnico al fine di rimuovere le difficoltà che si sono presentate in occasione di visite di controllo dell'ACC presso l'Unità di supporto tecnico; L'ACC ha inoltre formulato la richiesta di avere un accesso diretto, senza possibilità di introdurre modifiche, al sistema operativo ed alle basi dati gestite dall'Unità di supporto tecnico;
infine l'ACC, pur compiacendosi della avvenuta creazione di una propria linea di bilancio, chiede che questa venga incrementata.
Più dettagliatamente, per quanto riguarda le frontiere interne (4), quella con la Francia si estende lungo 487 Km, quella con l'Austria (la cui integrazione nell'area Schengen dovrebbe essere effettiva a breve) lungo 421 Km. Per quanto riguarda le frontiere esterne (5), quelle con la Svizzera copre 725 Km, quella con la Slovenia 245 Km.
Quanto alle frontiere marittime, si possono distinguere le frontiere della penisola, che si sviluppano per 3980 Km, quelle della Sardegna, lunghe 1336 Km, quelle della Sicilia, lunghe 1115 Km, quelle delle isole minori che complessivamente si estendono per 1565 Km.
Lungo le frontiere, lo Stato individua i valichi di frontiera, luoghi esclusivi di accesso legale al territorio dello Stato. «Le frontiere possono essere attraversate, in via di principio, soltanto ai valichi di
frontiera e durante le ore di apertura stabilita» (articolo 3 della Convenzione).
Per quanto riguarda le frontiere terrestri, i valichi di frontiera, a seconda delle caratteristiche, si distinguono in valichi di I categoria, di II categoria, di II categoria pedonali e in punti di passaggio agricolo.
I valichi di I categoria sono valichi stradali, autostradali e ferroviari caratterizzati da un grande volume di traffico a carattere prevalentemente internazionale. Sono presidiati 24 ore su 24, dalla Polizia di frontiera, preposta al controllo documentale e dalla Guardia di Finanza, che espleta attività di ispezione doganale su merci e bagagli in transito.
I valichi di II categoria sono caratterizzati da un più modesto volume di traffico a carattere prevalentemente locale. Questi valichi sono in genere presidiati (da militari della Guardia di Finanza con funzioni di Polizia di Frontiera) soltanto di giorno (secondo orari variabili), mentre la notte rimangono chiusi (per esempio con passaggi a livello, cancelli con lucchetti, ecc.), ma non sono presidiati. Il transito è consentito solamente ai titolari di uno speciale documento di frontiera «lasciapassare» che viene rilasciato alle persone residenti in determinati comuni situati nell'area confinaria.
Esistono poi valichi di II categoria a carattere esclusivamente pedonale, anch'essi presidiati soltanto di giorno (secondo orari variabili) ed alcuni punti di passaggio agricolo, al cui transito sono abilitati esclusivamente i titolari di «foglio complementare agricolo» (si tratta degli agricoltori bipossidenti).
Anche questi ultimi sono presidiati soltanto di giorno, secondo orari variabili, e rimangono in genere chiusi al traffico nei giorni festivi. I titolari del foglio complementare agricolo devono comunque informare il Comando di Brigata competente almeno 48 ore prima del loro passaggio, per l'apertura delle sbarre.
Esistono poi le c.d. frontiere verdi (frontiere blu per la costa marittima): si tratta degli spazi di frontiera esistenti tra i valichi di frontiera (nelle diverse caratteristiche suesposte), costituiti da zone più
Il controllo delle persone che attraversano i valichi di frontiera autorizzati non comprende soltanto la verifica dei documenti di viaggio o delle altre condizioni di ingresso, di soggiorno, di lavoro e di uscita, bensì anche l'eventuale adozione di misure per la sicurezza nazionale e l'ordine pubblico delle Parti contraenti. Il controllo riguarda anche i veicoli e gli oggetti in possesso delle persone che attraversano la frontiera. È effettuato da ciascuna parte contraente in conformità con la propria legislazione, specialmente per quanto riguarda la perquisizione.
Tutte le persone devono subire per lo meno un controllo che consenta di accertarne l'identità in base all'esibizione dei documenti di viaggio. Se per circostanze particolari non è possibile effettuare tali controlli, devono essere stabilite delle priorità. A tale riguardo, il controllo della circolazione all'ingresso ha la precedenza, in linea di massima, sul controllo all'uscita.
L'esercizio delle misure di controllo alle frontiere esterne spetta ai funzionari della Polizia di frontiera oppure agli organi ai quali sono stati affidati, conformemente all'ordinamento nazionale, compiti di Polizia di frontiera: Polizia di Stato, Carabinieri e Guardia di Finanza.
Nell'esercizio di questi compiti, gli agenti hanno competenza di Polizia di frontiera e competenza generale, definita in conformità alla legislazione nazionale.
L'attuale organizzazione degli Uffici centrali e periferici, cui sono istituzionalmente attribuite le funzioni di Polizia di frontiera in virtù degli articoli 5, 24 e 31 della legge 1o aprile 1981 n. 121, trova fondamento nel decreto ministeriale 16 marzo 1989, successivamente aggiornato dal decreto ministeriale 13 giugno 1991.
L'organizzazione generale e la direzione a livello nazionale dei servizi di polizia di frontiera vengono assicurate dalla Direzione Centrale della Polizia Stradale, Ferroviaria, di Frontiera e Postale - Servizio Polizia Ferroviaria, di Frontiera e Postale - Divisione Polizia di Frontiera, istituita nell'ambito del Dipartimento della Pubblica Sicurezza.
Alle dirette dipendenze dei suddetti organi centrali operano i seguenti Uffici periferici:
Zone di Polizia di Frontiera (9);
Settori di Polizia di Frontiera (14);
Uffici di Polizia di Frontiera c/o gli scali marittimi (11);
Uffici di Polizia di Frontiera c/o gli scali aerei (12);
Uffici di Polizia di Frontiera c/o gli scali marittimi ed aerei (10).
I Settori di Polizia di Frontiera assicurano, con l'apporto delle Sezioni, delle Sottosezioni, e dei Posti di Polizia ai valichi di frontiera autostradali, stradali, ferroviari, lacuali e montani, l'espletamento dei servizi di polizia di frontiera terrestre.
Gli Uffici di Polizia di Frontiera c/o gli scali marittimi istituiti presso i porti di maggiore importanza, esercitano le proprie competenze sia in ambito portuale che nella fascia costiera e nelle acque territoriali adiacenti.
Gli Uffici di Polizia di Frontiera c/o gli scali aerei operano nei principali aeroporti civili adibiti permanentemente al traffico delle persone e delle merci.
Gli Uffici di Polizia di Frontiera c/o gli scali marittimi ed aerei esercitano le proprie funzioni sia in ambito portuale che aeroportuale.
All'attuazione del dispositivo di polizia di frontiera sull'intero territorio nazionale
Il dispositivo di controllo alle frontiere è ulteriormente integrato da specifici piani di vigilanza in mare, sulle coste e a ridosso dei confini terrestri, che vedono la partecipazione di tutte le forze di Polizia (Polizia di Stato, Carabinieri e Guardia di Finanza) nonché delle Capitanerie di Porto e della Marina Militare impegnate con uomini e mezzi nell'attività di contrasto al fenomeno dell'immigrazione illegale.
Quanto alle modalità del controllo può distinguersi un «controllo minimo» ed un controllo più approfondito (qualora se ne ravvisi la necessità).
Il controllo minimo consiste nell'accertare l'identità della persona in base a documenti di viaggio presentati o esibiti e nel verificare in modo semplice e rapido la validità del documento che consente di attraversare la frontiera e la presenza di indizi di falsificazione o contraffazione.
I controlli più approfonditi comprendono un esame più attento dei documenti o dei visti, la verifica che la persona disponga di mezzi di sussistenza necessari sia per la durata prevista del soggiorno, sia per il ritorno o per il transito verso un Paese esterno, ovvero se detta persona sia in grado di ottenere legalmente tali mezzi. Si procede poi alla consultazione immediata dei dati (relativi alle persone e agli oggetti di cui agli articoli da 95 a 100 della Convenzione) nel Sistema di Informazione Schengen e negli archivi nazionali di ricerca. Nel caso in cui questa prima «interrogazione» dia esito positivo, si procede ad una seconda «interrogazione», questa rivolta agli Uffici S.I.R.E.N.E. (vedi cap. 3) che forniscano all'operatore di frontiera un «supplemento di informazione», cui consegue una certa condotta da seguire.
Nell'ambito del controllo approfondito si dovrà poi verificare che la persona, il suo veicolo e gli oggetti da essa trasportati non costituiscano un pericolo per l'ordine pubblico e la sicurezza nazionale.
In linea di principio può comunque affermarsi che i cittadini Schengen sono sottoposti, all'ingresso e all'uscita, ad un controllo minimo, mentre i cittadini extra-Schengen sono sottoposti ad un controllo approfondito. Qualora tuttavia si prospettino tempi irragionevoli dovuti ad esempio al traffico intenso, i controlli alle frontiere esterne possono essere agevolati.
Quanto alla sorveglianza delle frontiere esterne al di fuori dei valichi di frontiera e alla sorveglianza dei valichi di frontiera al di fuori degli orari di apertura essa è assicurata da unità mobili che svolgono i loro compiti sotto forma di pattuglie o di postazioni in posti riconosciuti o su posti «sensibili», allo scopo di fermare le persone che attraversano illegalmente la frontiera. Al fine di contrastare al massimo tale attraversamento illegale e di combattere la criminalità transfrontaliera che organizza questo traffico clandestino, la sorveglianza è eseguita con cambiamenti frequenti e inopinati della zona sorvegliata, in modo tale da rendere l'attraversamento non autorizzato della frontiera un rischio permanente.
I mezzi impiegati sono adattati alle condizioni d'intervento e, in particolare, al genere e alla natura della frontiera (frontiera terrestre, fluviale o marittima).
Quanto al traffico stradale i controlli da effettuare devono tener conto della necessità di assicurare una circolazione scorrevole e sicura prevedendo a tal fine idonee misure che non condizionino e/o (in base alle esigenze) blocchino il traffico.
Tali misure dovranno pertanto essere correlate all'intensità e al tipo di traffico, che può essere, a seconda dei valichi,
Particolari priorità possono essere stabilite a seconda delle circostanze, ad esempio, controlli molto accurati sono solitamente svolti nei confronti di comitive che si presentano in entrata provenienti da Paesi a rischio, così come le persone che attraversano spesso la frontiera al medesimo valico sono sottoposte di tanto in tanto, inopinatamente, ad un controllo approfondito.
Per quanto riguarda la fascia confinaria, immediatamente adiacente le c.d. frontiere verdi, il controllo viene eseguito sulla rete viaria in corrispondenza di località ritenute più rispondenti alla esigenza, tramite servizi di vigilanza dinamica a mezzo di pattuglie automontanti o con posti di controllo, entrambi finalizzati a fermare e a controllare i veicoli in marcia e l'identità delle persone che diano motivi di sospetto. Ai fini del contrasto all'immigrazione illegale vengono inoltre effettuati servizi di pattugliamento automontante nelle fasce di territorio «verde», a ridosso del confine, con cadenza irregolare per non consentire ad eventuali favoreggiatori di regolarsi. Contemporaneamente vengono effettuati appostamenti in prossimità di punti particolarmente delicati della zona di confine.
Per quanto riguarda il traffico ferroviario, nell'attraversamento delle frontiere esterne devono essere sottoposti a controllo tutti i passeggeri dei treni così come tutto il personale viaggiante. Tali controlli possono essere eseguiti sul treno durante il viaggio stesso o durante lo stazionamento nella prima stazione di arrivo. Tale scelta viene dettata dalla eventuale esigenza di agevolare, velocizzandolo, il traffico internazionale dei treni passeggeri.
I passeggeri viaggianti in vagone letto o cuccette sono controllati solitamente nello scompartimento di servizio riservato al personale cuccettista a patto che questo abbia preliminarmente raccolti i relativi documenti.
Tale necessità è tassativa negli aeroporti principali quali «valichi di frontiera autorizzati», caratterizzati da un notevole volume di traffico anche con nazioni extra Schengen; negli aeroporti minori, cioè quelli che non hanno lo status di aeroporti principali, ma che sono tuttavia aperti d'ufficio a voli internazionali, il controllo dovrà essere effettuato, ma si può rinunciare a quei dispositivi volti ad assicurare la separazione fisica dei passeggeri dei voli interni e dei voli in provenienza o a destinazione di Stati terzi. Ed ancora, laddove il traffico internazionale sia occasionale non è necessaria la continua presenza di Polizia di frontiera a patto che sia garantito in caso di necessità che il personale giunga in tempo utile. La caratteristica principale del traffico aereo è infatti quella di avere un flusso di passeggeri prevedibile e pertanto più facilmente controllabile, rispetto alla frontiera terrestre e marittima.
Se per cause di forza maggiore un volo internazionale è costretto ad atterrare in un aeroporto che non ha lo status di «valico di frontiera autorizzato», il volo può proseguire soltanto dietro autorizzazione dell'autorità di frontiera.
Allo stato attuale, non essendo ancora entrati in vigore gli accordi di Schengen, gli aeroporti sono considerati frontiere esterne anche per i voli da e per i Paesi
Va rilevato che nel traffico aereo civile internazionale, il controllo viene effettuato di norma nel primo aeroporto (aeroporto di ingresso) o nell'ultimo aeroporto (aeroporto di arrivo). Tali controlli possono non essere effettuati in caso di transito, se i passeggeri rimangono a bordo dell'aereo o sono trattenuti fino al proseguimento del volo in un'apposita area di transito, dove non possono entrare in contatto con passeggeri di altri voli. La compagnia aeroportuale deve provvedere a canalizzare il traffico passeggeri verso le installazioni riservate al controllo e prendere le dovute misure per impedire l'accesso non autorizzato (in entrata e in uscita) nelle zone riservate o con accesso regolamentato (come, per esempio, l'area di transito).
A partire dalla data di applicazione degli accordi di Schengen, i passeggeri di un volo interno, cioè «da e per i Paesi Schengen senza scalo nel territorio di un Paese terzo», non saranno più sottoposti a controllo. I passeggeri provenienti da uno Stato terzo che si imbarcano su un volo interno (ad esempio New York - Parigi - Roma) saranno sottoposti a controllo solo all'arrivo nel primo aeroporto Schengen (aeroporto di entrata, nell'esempio Parigi). Viceversa i passeggeri di un volo interno che si imbarcano su un volo a destinazione di uno Stato terzo (transfer passenger; nell'esempio Roma - Parigi - New York) saranno controllati solo nell'aeroporto di partenza di quest'ultimo volo (controllo di uscita; nell'esempio Parigi).
I passeggeri di voli in provenienza o a destinazione di Stati terzi sono controllati all'entrata nell'aeroporto di destinazione e all'uscita nell'aeroporto di imbarco; ciò vale per i voli diretti o per quei voli nei quali è previsto uno scalo in Paesi Schengen, senza cambio d'aereo e senza imbarco di nuovi passeggeri (per i voli provenienti da Paesi terzi) e senza sbarco (per i voli a destinazione extra Schengen): di quei voli insomma in cui allo scalo intermedio non è previsto l'imbarco di passeggeri diversi da quelli originari. Altrimenti sono previsti anche controlli di entrata o di uscita per quei passeggeri che sbarcano o si imbarcano negli scali intermedi.
Ne deriva la necessità da parte delle aerostazioni di organizzare coerentemente i terminal aeroportuali, al fine di separare i voli interni da quelli esterni, per poter più semplicemente ottemperare alle disposizioni dell'Accordo in modo che non vi sia confusione tra i diversi flussi di passeggeri.
Con l'attuazione degli accordi di Schengen le frontiere aeree avranno, dunque, per i cittadini Schengen la seguente caratteristica: un passeggero di nazionalità italiana che si reca a Parigi non viene sottoposto a controllo se si imbarca su un volo interno. Se usufruisce invece di un volo a destinazione di uno Stato terzo che fa comunque scalo a Parigi, viene sottoposto a controllo.
Quanto ai bagagli registrati, il controllo avviene di norma solamente nell'aeroporto di destinazione finale o in quello di partenza iniziale.
Per il controllo dei piloti e del personale di volo nell'esercizio della loro professione, valgono le Convenzioni sull'aviazione civile.
1) Traffico marittimo: cioè l'attività di navigazione svolta a titolo professionale fra due o più porti o approdi e che non ha carattere di collegamento regolare (ad esempio navi mercantili, da crociera).
2) Collegamenti regolari: sono i collegamenti (ad esempio i traghetti) con
3) Navigazione da diporto: è l'utilizzazione di navi a vela e/o a motore per uso privato, per una pratica sportiva o turistica.
4) Pesca costiera: è l'utilizzazione di navi da pesca che ritornano quotidianamente o dopo alcuni giorni nel porto di origine o in altri comunque siti nell'aerea Schengen, senza aver effettuato attracchi in aree non Schengen.
5) Navigazione interna: si intende l'utilizzazione sia per fini professionali che sportivi-ricreativi di qualsiasi imbarcazione su fiumi, corsi d'acqua, canali e laghi con attraversamento di una frontiera esterna.
Il comandante della nave è tenuto a comunicare alle autorità competenti immediatamente, e se possibile prima dell'arrivo della nave nel porto, la presenza di clandestini a bordo. Questi ultimi rimangono comunque sotto la sua responsabilità.
Il controllo consiste nella verifica documentale ed in concomitanza vengono svolti servizi mirati contro i clandestini. Per le navi provenienti da Paesi extracomunitari viene solitamente fatto anche il controllo in R.F. (Rubrica di frontiera) di tutti i nominativi. Tali navi alla partenza vengono talora scortate fino al largo da motovedette.
Al fine di contrastare l'immigrazione clandestina vengono anche svolti specifici servizi allo sbarco dei traghetti consistenti nell'apertura di tutti o di una parte dei camion e dei rimorchi, nonché nell'ispezione dei locali di rimessa della nave.
Tali servizi vengono svolti anche con l'intervento di funzionari di dogana per l'eventuale spiombatura e ripiombatura dei mezzi viaggianti in regime TIR sigillati.
Sulle navi mercantili il controllo viene fatto nei confronti dei marittimi a cui si concede a richiesta lo «shore pass», quando non sussitano motivi ostativi.
Nel caso di collegamenti regolari, così come per la pesca costiera, di norma l'equipaggio e i passeggeri non sono sottoposti ad alcun controllo. Tuttavia, se le coste di uno Stato terzo si trovano nelle immediate vicinanze, vengono attuati dei controlli per sondaggio sui pescherecci al fine di combattere l'immigrazione clandestina.
In generale, il controllo delle persone in navigazione da diporto provenienti da Paesi terzi si effettua, sia all'ingresso che in uscita, in un porto autorizzato quale valico di frontiera. Se tuttavia il naviglio da diporto attracca in via eccezionale in un porto che non è un punto di passaggio autorizzato, le autorità del controllo dovranno essere avvisate, preferibilmente prima, o necessariamente al momento dell'arrivo e dovrà essere loro fornito l'elenco delle persone a bordo. Vengono anche svolti servizi di pattugliamento o segnalazioni via radio alle pattuglie operanti a terra di imbarcazioni che non fosse possibile fermare a mare.
Per quanto riguarda le c.d. frontiere blu, allo scopo di combattere attività criminali e soprattutto sbarchi clandestini di extracomunitari, divenuti negli ultimi anni assai frequenti e rilevanti, sono messi in opera dispositivi di prevenzione e repressione del fenomeno con controlli in mare e lungo la fascia costiera. Il servizio a terra viene effettuato con pattugliamenti
Il controllo nelle acque territoriali ed extraterritoriali è affidato prevalentemente alle forze di polizia e della capitaneria di porto. Nei punti a maggior rischio, tali forze sono supportate da mezzi navali della marina militare, che operano prevalentemente nelle zone di mare antistanti le acque territoriali, con funzione di avvistamento e/o respingimento di imbarcazioni clandestine in acque internazionali.
Ai fini di una maggiore efficacia dell'azione di contrasto vengono anche eseguiti controlli con mezzi aerei e/o elicotteri per consentire un mirato e tempestivo intervento delle forze sia in mare che in terra. In caso di avvistamenti sospetti, si dovranno immediatamente informare le centrali operative, al fine di attivare e coordinare il dispositivo di contrasto in mare attraverso le unità navali in servizio di pattugliamento o a disposizione e, altresì, cercare di individuare le tratte ed i prevedibili punti di sbarco al fine di allertare le forze di terra.
In caso di intercettazione di imbarcazioni con clandestini a bordo in acque extraterritoriali si dovrà cercare nel rispetto dei principi fondamentali e del diritto della navigazione di respingerli impedendo loro il raggiungimento delle acque territoriali. Ove l'intercettazione avvenga in acque territoriali, le forze navali avranno invece il compito di scortare, fino al porto più vicino, l'imbarcazione con a bordo i clandestini. In caso di segnalazione di sbarco, si provvederà ad effettuare, tramite appositi piani operativi, pattugliamenti della corrispondente «frontiera blu» ed immediati controlli lungo le rotabili, stazioni ferroviarie e di pullman, dalle quali potrebbero transitare gli immigrati clandestini.
L'apparato preventivo deve cercare inoltre di attivare contatti con le forze di polizia straniere interessate, al fine di bloccare alla partenza quelle imbarcazioni in procinto di effettuare viaggi. Queste misure valgono ad integrare i piani operativi realizzati a livello generalmente provinciale dalle autorità competenti per l'attività di prevenzione del fenomeno migratorio clandestino.
Questo complesso insieme di norme, approvate nel giugno del 1990 dai cinque Stati fondatori del Gruppo Schengen, riflette la consapevolezza, che si è andata consolidando tra gli Stati europei a partire dalla fine del decennio scorso, della necessità di armonizzare e coordinare le rispettive politiche migratorie nazionali, al fine di rimediare a una loro ormai cronica crisi di efficacia e di legittimità.
Le norme della Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen dedicate alla disciplina delle migrazioni internazionali e all'armonizzazione delle politiche nazionali in questa materia si trovano concentrate nel Titolo II, dedicato a «Soppressione dei controlli alle frontiere interne e circolazione delle persone» e, in particolare, nei capitoli II («Passaggio delle frontiere esterne»), III («Visti»), IV («Condizioni di circolazione degli stranieri»), V («Titoli di soggiorno e segnalazioni ai fini della non ammissione») e VI («Misure di accompagnamento»). A una problematica distinta, seppure intimamente connessa al diritto dell'immigrazione in senso stretto, è dedicato il Capitolo VII, intitolato «Responsabilità per l'esame delle domande di asilo».
Al fine di una valutazione complessiva dell'impatto di questa parte della
a) la Convenzione fissa, in primo luogo, delle modalità comuni per l'attraversamento delle frontiere esterne (articolo 3, comma 1) e per i controlli relativi (articolo 6), impegnando gli Stati contraenti a sanzionare gli attraversamenti non autorizzati (articolo 3, comma 2);
b) in secondo luogo, la Convenzione detta alcune norme comuni in materia di controlli sul soggiorno di uno «straniero» (definito all'articolo 1 come colui che «non è cittadino di uno Stato membro delle Comunità europee») in uno degli Stati firmatari. Da questo punto di vista, il primo adempimento imposto allo straniero è l'obbligo di dichiarare la propria presenza alle autorità competenti della parte contraente in cui fa ingresso, all'atto dell'ingresso o, al più tardi, «entro tre giorni lavorativi a decorrere dall'ingresso» (articolo 22, comma 1). Ciascuno Stato firmatario può tuttavia stabilire deroghe su questo punto (per. es. prevedendo un tempo più lungo per la dichiarazione di soggiorno), con l'onere tuttavia di comunicarle al Comitato esecutivo;
c) in terzo luogo, la Convenzione elabora, nelle sue linee fondamentali, una disciplina comune dei soggiorni brevi (non oltre i 3 mesi) di cittadini stranieri nel territorio Schengen. Questa disciplina comune si fonda, innanzitutto, su una serie di requisiti necessari affinché una parte contraente possa concedere il soggiorno per tali brevi periodi (articolo 5); fra tali requisiti necessari acquista un particolare rilievo l'accertamento della disponibilità, da parte dello straniero, di «mezzi di sussistenza sufficienti, sia per la durata prevista del soggiorno, sia per il ritorno nel paese di provenienza o per il transito verso un terzo Stato nel quale la sua ammissione è garantita» ovvero l'accertamento della capacità di «ottenere legalmente detti mezzi» (articolo 5, comma 1, lett. c). La disciplina comune dei soggiorni di breve periodo si fonda inoltre sull'istituzione di un «visto uniforme valido per il territorio dell'insieme delle parti contraenti» concesso in base a criteri uniformi, per un periodo massimo di tre mesi, da uno qualsiasi dei firmatari (artt. 9-17);
d) mentre la disciplina dei soggiorni brevi viene sottoposta a una sostanziale armonizzazione, la disciplina dei soggiorni di durata superiore ai tre mesi rimane di appannaggio dei singoli Stati, che rilasciano i visti necessari «conformemente alla propria legislazione» (articolo 18). In questo campo, dunque, la limitazione per via negoziale della sovranità nazionale risulta meno profonda;
e) la Convenzione di Schengen introduce poi in capo ad ogni Stato firmatario l'obbligo di allontanare lo «straniero che non soddisfi o che non soddisfi più le condizioni di soggiorno di breve durata» «qualora lo straniero [...] non lasci volontariamente il territorio o se può presumersi che non lo farà, ovvero se motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico» lo impongono. In alternativa all'allontanamento - le cui modalità concrete vengono lasciate alla determinazione di ogni singolo Stato - la Parte contraente interessata può «ammettere l'interessato a soggiornare nel suo territorio» (articolo 23);
f) un ulteriore aspetto, che riveste particolare importanza, consiste nell'estensione all'intero spazio Schengen dell'efficacia delle decisioni di allontanamento adottate da ciascuno Stato firmatario. Tale estensione deriva dalla creazione di una categoria unitaria di stranieri «indesiderabili», composta da tutti coloro che risultano «segnalati per la non ammissione» nel Sistema d'Informazione Schengen (articolo 96). Sebbene, ai sensi dell'articolo 25, il vincolo derivante a uno Stato dalla segnalazione per la non
g) proseguendo nell'enumerazione dei punti qualificanti della disciplina comune dell'immigrazione concordata in ambito Schengen, va segnalato che essa non consiste solamente in misure restrittive. La Convenzione si propone, infatti, di dare attuazione al principio della libertà di circolazione, all'interno dello spazio Schengen, anche per gli stranieri, purché regolarmente presenti sul territorio comune.
L'obiettivo della libertà di circolazione è realizzato in forme diverse, a seconda che si tratti di stranieri titolari di visto uniforme (i quali possono «circolare liberamente nel territorio di tutte le Parti contraenti per il periodo di validità del visto»: articolo 19, comma 1) oppure di stranieri con visto nazionale per oltre tre mesi (i quali possono «transitare nel territorio delle altre Parti contraenti per recarsi nel territorio della Parte contraente che ha rilasciato il visto»: articolo 18, comma 1; una volta che il titolare di visto nazionale di lunga durata abbia ottenuto il titolo di soggiorno, egli potrà tuttavia «circolare liberamente per un periodo non superiore a tre mesi nel territorio delle altre Parti contraenti: articolo 21, comma 1).
In tutti questi casi, la libertà di circolazione dello straniero nello spazio Schengen è comunque subordinata al possesso dei requisiti standard previsti per l'ingresso dall'articolo 5, comma 1, ovvero, oltre al possesso dei documenti necessari, la disponibilità di mezzi di sostentamento, l'assenza di segnalazioni ai fini della non ammissione, il fatto di «non essere considerato pericoloso per l'ordine pubblico, la sicurezza nazionale o le relazioni internazionali di una delle Parti contraenti».
La piena e corretta applicazione della normativa Schengen in materia di libera circolazione dei cittadini di Paesi terzi rappresenta un'obiettivo di grande importanza al fine di dare una configurazione democratica allo spazio di libera circolazione, pur entro un quadro di controlli efficaci;
h) l'ultimo aspetto della Convenzione di Schengen che incide, seppur indirettamente, sulle politiche migratorie degli Stati membri consiste nella definizione di criteri unitari e univoci per la ripartizione tra gli Stati contraenti della responsabilità in merito all'esame delle singole domande di asilo presentate nel territorio Schengen. Il principio fondamentale affermato in questa materia è che - nel rispetto degli obblighi assunti con la sottoscrizione della Convenzione di Ginevra e nel quadro di una collaborazione con l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR) - «le Parti contraenti si impegnano a garantire l'esame di ogni domanda di asilo presentata da uno straniero nel territorio di una di esse» (articolo 29, co. 1). Al fine di evitare inutili duplicazioni e di non incoraggiare comportamenti elusivi o fraudolenti, tuttavia, la Convenzione prevede anche che «qualunque sia la Parte contraente cui lo straniero presenta la domanda di asilo, soltanto una parte contraente è competente per l'esame della domanda» (articolo 29, co. 3). Tale Parte responsabile è determinata sulla base dei criteri indicati all'articolo 30, che privilegiano essenzialmente due indicatori: l'esistenza di un precedente rapporto con uno degli Stati potenzialmente responsabili (p.e. il richiedente asilo ha ottenuto un visto nazionale, nel qual caso lo Stato che lo ha rilasciato è competente per l'esame della domanda) e il tragitto compiuto dal richiedente asilo per entrare nel territorio Schengen (l'esame della domanda è di competenza dello Stato attraverso le cui frontiere esterne lo straniero ha fatto ingresso illegalmente nello spazio Schengen: articolo 30, co. 1, lett. e).
Per concludere su questo punto, va sottolineato che il Capitolo VII (in materia di «responsabilità per l'esame delle domande di asilo») della Convenzione ha cessato di produrre i suoi effetti giuridici dal momento della recente (1o settembre 1997) entrata in vigore della Convenzione di Dublino sulla competenza in materia di esame delle domande di asilo, stipulata nell'ambito dell'Unione europea.
Innanzitutto, esso costituisce il fondamento di una intensa attività di normazione secondaria adottata in ambito Schengen (dal Comitato esecutivo e dagli organismi tecnici ad esso subordinati) e finalizzata ad armonizzare le prassi dei paesi contraenti in materia di visti e di controlli alle frontiere. I risultati raggiunti su questo terreno sono già numerosi e di grande rilevanza pratica (sebbene molti nodi attendano ancora di essere sciolti): si possono menzionare qui, tra gli strumenti applicativi adottati, il Manuale comune relativo ai controlli alle frontiere esterne, l'Istruzione consolare comune, la vignetta visto Schengen uniforme, l'omogeneizzazione dei diritti di percezione consolare per i visti uniformi. A proposito di questa azione applicativa svolta dal Comitato esecutivo, non si può fare a meno di rilevare, in questa sede, la difficoltà incontrata dal Comitato parlamentare di controllo nel disporre della documentazione relativa e, quindi, nello svolgere la propria attività di controllo in maniera adeguata.
Il secondo livello a cui la normativa Schengen in materia di politica migratoria produce i suoi effetti è più vasto e non sempre facile da afferrare. Si tratta dell'azione armonizzatrice che le disposizioni della Convenzione svolgono sugli ordinamenti nazionali.
Come abbiamo visto nel paragrafo precedente, i vincoli che derivano dalla Convenzione di Schengen agli Stati firmatari nel campo del diritto dell'immigrazione hanno carattere elastico: viene fissato un obiettivo (p.e. l'allontanamento di determinate categorie di stranieri), lasciando piena discrezionalità agli Stati circa il modo di conseguirlo; in alternativa, viene definito un parametro (p.e. i giorni entro cui lo straniero deve presentare dichiarazione di soggiorno), lasciando però agli Stati la facoltà di derogarvi nel nome di esigenze particolari. Nonostante questo margine di discrezionalità residuo, un vincolo sussiste anche se si tratta di un vincolo la cui natura, giuridica o politica, non sempre si lascia definire con sicurezza. L'«influsso» degli accordi di Schengen sul diritto italiano dell'immigrazione è dunque reale, anche se talvolta sfuggente.
Questo influsso si è esercitato a diverse riprese. Bisogna ricordare, per iniziare, che la prima legge (più o meno) organica dello Stato italiano in materia di immigrazione - la legge n. 39 del 28 febbraio 1990 - precedette di pochi mesi la firma da parte italiana della Convenzione di Schengen, avvenuta a Parigi il 27 novembre 1990. Tra i due eventi esiste indubbiamente un legame, sebbene non si tratti di un nesso di stretta consequenzialità giuridica: la cosiddetta «Legge Martelli», insomma, è servita a comporre il «pacchetto» di credenziali esibite dall'Italia al fine di poter entrare formalmente a far parte del Gruppo Schengen.
Un secondo momento in cui la normativa Schengen ha esercitato il suo diretto influsso sulla disciplina italiana dell'immigrazione ha coinciso con l'entrata in vigore della legge 30 settembre 1993, n. 388, con cui il Parlamento ha autorizzato la ratifica degli accordi di
Il diritto italiano dell'immigrazione attraversa attualmente una nuova fase di riforma, avviata, senza esiti normativi permanenti, con il d.l. 18 novembre 1995, n. 489, e successive reiterazioni, e proseguita con l'esame parlamentare del disegno di legge «Disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero» (AC 3240) e altre undici proposte di legge abbinate, tuttora in corso. Anche in questa occasione, gli accordi di Schengen e, più in generale, l'inserimento dell'Italia in un'area di libera circolazione in via di perfezionamento, influiscono sul dibattito.
Questa influenza, è bene ricordarlo, non è, né potrebbe essere, diretta né rigida, e soprattutto non riguarda, né potrebbe riguardare, che gli aspetti 'repressivi' del diritto dell'immigrazione (modalità dei controlli alle frontiere, respingimenti, espulsioni). Come è stato esposto, con estrema chiarezza, dal Ministro dell'interno nel corso dell'audizione del 15 maggio 1997 di fronte al Comitato parlamentare di controllo, infatti, «l'Accordo di Schengen non ha assolutamente nulla a che vedere con le politiche volte a regolare l'immigrazione legale [...] Che poi i Governi abbiano potuto invocare arbitrariamente lo stesso Accordo di Schengen per attuare politiche restrittive, di frontiere chiuse, questo non interessa il governo italiano. È comunque chiaro che, nel momento in cui le frontiere sono comuni [...] ciò che preoccupa è che entrino dei clandestini, magari anche con precedenti criminali [...]. Si tratta di una preoccupazione assolutamente legittima, che deve essere comune a tutti i paesi membri del gruppo di Schengen».
Fatta questa necessaria premessa, bisogna tuttavia riconoscere l'esistenza di un nesso tra il dibattito parlamentare in corso sulla riforma del diritto dell'immigrazione e il processo di applicazione degli accordi di Schengen all'Italia. Non è certo casuale, d'altra parte, lo sforzo compiuto dalla Camera dei deputati al fine di completare quanto prima l'esame del provvedimento. Da questo punto di vista, gli aspetti di maggiore rilevanza del disegno di legge e delle proposte abbinate sono quelli che riguardano il respingimento e l'espulsione dello straniero dal territorio dello Stato. La messa a punto di una disciplina capace di coniugare efficacia, equità e rispetto dei diritti fondamentali, in questo delicato settore, avrebbe certamente una ricaduta fortemente positiva, nel futuro prossimo, sul processo di piena ed effettiva integrazione dell'Italia nello spazio Schengen e, in prospettiva, in quello «spazio europeo di libertà, di sicurezza e di giustizia», che rappresenta uno degli obiettivi più ambiziosi del Trattato di Amsterdam (cfr. cap. 6).
Il concetto di cooperazione rafforzata era già presente in nuce nel Trattato di Maastricht, per esempio laddove si prevede, nel Titolo contenente «Disposizioni relative alla cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni», che «Le disposizioni del presente Titolo non ostano all'instaurazione e allo sviluppo di una cooperazione più stretta tra due o più Stati membri, sempre che tale
Com'è noto, il Progetto di Trattato di Amsterdam, approvato dal Consiglio europeo del 16 e 17 giugno 1997 e in attesa di sottoscrizione (prevista per il 2 ottobre 1997), valorizza fortemente lo strumento della cooperazione rafforzata, sottoponendola nel contempo a condizioni più stringenti di quelle attualmente vigenti. A questo fine è dedicato l'articolo (1) (numerazione provvisoria) delle «Disposizioni generali da inserire quale nuovo Titolo nelle Disposizioni comuni del Trattato sull'Unione Europea», il quale subordina la possibilità di instaurare una cooperazione rafforzata a una serie di condizioni sostanziali (p.e. che ogni cooperazione rafforzata «sia intesa a promuovere gli obiettivi dell'Unione e a proteggere e servire i suoi interessi») e formali (p.e. che ogni cooperazione rafforzata «riguardi almeno la maggioranza degli Stati membri», che «sia aperta a tutti gli Stati membri» e che «sia autorizzata dal Consiglio»).
A queste condizioni generali di legittimità, destinate a valere per ogni cooperazione rafforzata, l'articolo K.12 del Progetto di Trattato di Amsterdam aggiunge condizioni ulteriori, dettate specificamente per le iniziative di cooperazione rafforzata nel settore della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, ambito residuo di quello che viene ormai abitualmente definito «Terzo pilastro». Tra le condizioni specifiche di legittimità delle iniziative di cooperazione rafforzata assunte nelle materie di cui al Titolo VI del Trattato sull'Unione Europea, particolare rilevo assumono il vincolo relativo al fine (la cooperazione rafforzata deve «consentire all'Unione di svilupparsi più rapidamente come spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia») e il vincolo procedurale consistente nella necessità che la cooperazione rafforzata sia autorizzata dal Consiglio a maggioranza qualificata e senza che alcuno Stato membro vi si opponga esplicitamente, nel qual caso occorre, per poter procedere, una deliberazione unanime del Consiglio europeo.
Alla luce degli sviluppi istituzionali concordati ad Amsterdam, pertanto, il carattere anticipatore degli accordi di Schengen risulta confermato in pieno, al punto che tali accordi paiono aver svolto addirittura un ruolo esemplare rispetto alla «istituzionalizzazione» della cooperazione rafforzata realizzata con il nuovo Trattato. Il carattere esemplare degli accordi di Schengen rispetto alla cooperazione rafforzata delineata ad Amsterdam risulta particolarmente evidente nel tipo di rapporto esistente tra le finalità specifiche degli accordi stessi e le finalità generali delle Comunità europee. Esiste una coerenza assoluta tra questi due ordini di finalità, nella misura in cui gli accordi di Schengen mirano a realizzare anticipatamente quella «libera circolazione delle persone» che l'articolo 7A del Trattato istitutivo della Comunità europea pone tra i caratteri costitutivi del mercato interno.
L'esemplarità degli accordi di Schengen come esperimento di cooperazione rafforzata non deve tuttavia far perdere di vista alcune loro specificità. In primo luogo, va ricordato che, all'avvio del percorso negoziale materialmente iniziato a Schengen, i paesi firmatari erano cinque (Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo, Paesi Bassi), mentre gli Stati membri della Comunità europea erano già nella misura di dieci (fino all'adesione formale della Spagna e del Portogallo, avvenuta - com'è noto - il 1o gennaio 1986). Si trattava, pertanto, di una «cooperazione rafforzata»' inizialmente non maggioritaria, che quindi non sarebbe stata conforme alle condizioni di legittimità che, come abbiamo visto, sono oggi imposte a questa forma di integrazione dal Progetto di Trattato di Amsterdam. Va però sottolineato che, se alla partenza solo la metà degli Stati membri era pienamente coinvolto, oggi lo spazio Schengen copre, anche se non ancora a titolo operativo, l'intero territorio comunitario (con le uniche eccezioni della Gran Bretagna e dell'Irlanda) e si spinge persino al di là,
Proprio nella forma anomala di partecipazione di questi due ultimi paesi risiede la seconda specificità degli accordi di Schengen come esempio di cooperazione rafforzata: il «Gruppo Schengen», infatti, si estende ormai al di là dei confini dell'Unione europea, distinguendosi in ciò dalla cooperazione rafforzata nella sua accezione più ortodossa.
Il successo non consiste soltanto nella vasta adesione all'apparato di norme contenute nell'Accordo del 1985 e nella successiva Convenzione applicativa, bensì anche nell'ampio consenso emerso, presso i governi europei e in seno alla stessa Unione europea, attorno alla «filosofia» che sottende gli accordi di Schengen. Tale «filosofia» - se così si può definire - è riassumibile nella constatazione che l'obiettivo della libera circolazione delle persone e, correlativamente, dell'abolizione dei controlli alle frontiere interne è raggiungibile solo contestualmente all'adozione di una serie di «misure di compensazione», che consentano di mantenere perlomeno inalterato, se non di incrementare, il livello complessivo di «sicurezza» all'interno dello spazio di libera circolazione.
Questo approccio è risultato dominante in seno alla Conferenza intergovernativa (CIG) conclusasi ad Amsterdam, la quale ha incluso nel Progetto di Trattato un Capo (il Capo II) dedicato specificamente alla «Istituzione progressiva di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia». La stessa 'filosofia', originata in ambito Schengen, si trova chiaramente riflessa nell'importante documento dedicato dalla Commissione europea alle prospettive di medio-lungo periodo di sviluppo dell'Unione, presentato il 16 luglio scorso, in cui si afferma, tra l'altro, che: «Il diritto di spostarsi e di stabilirsi senza ostacoli è un diritto fondamentale per i cittadini europei. Occorre tuttavia che la libera circolazione delle persone sia accompagnata da un livello adeguato di sicurezza e di giustizia, perché la si possa considerare un vero vantaggio» (Commissione europea, Agenda 2000, COM(97) 2000 final, Vol. I, p. 15, traduzione non ufficiale).
Il «successo» degli accordi di Schengen appare dunque difficile da mettere in discussione, tanto sotto il profilo negoziale quanto da un punto di vista politico generale. Tuttavia, si tratta di un successo parziale, che incontra tuttora alcuni limiti significativi.
Se, per un verso, le condizioni rigorose poste dagli accordi ai fini dell'ammissione a titolo operativo di ciascuno Stato nello spazio di libera circolazione (cfr. par.1.2.) hanno spinto i paesi contraenti su un percorso di armonizzazione legislativa e amministrativa, per un altro verso, la «rincorsa ai parametri» di Schengen - così come, in un altro ambito, quella ai «parametri di Maastricht» - è stata occasione di contrasti e ha portato alla luce alcune ragioni di contrapposizione tra Stati europei, che precedentemente erano rimaste in ombra.
Assume un rilievo particolare, da questo punto di vista, la linea restrittiva adottata dalla Repubblica francese in sede di applicazione della Convenzione di Schengen nella parte relativa alla soppressione dei controlli alle frontiere interne. A partire dal 1o luglio 1995, infatti, pochi mesi dopo la messa in applicazione degli accordi (avvenuta il 26 marzo 1995), la Francia ha ristabilito i controlli sistematici alle sue frontiere interne (a quell'epoca, si trattava delle frontiere con la Spagna, la Germania, il Belgio e il Lussemburgo), giustificando la decisione con la necessità di far fronte nel modo più adeguato a una serie di gravi attentati terroristici compiuti quell'anno in
La decisione unilaterale della Francia ha suscitato riserve circa la sua opportunità e critiche di principio; tra queste ultime, assumono indubbiamente un rilievo particolare le osservazioni del Parlamento europeo, il quale - nella sua importante Risoluzione sul funzionamento e l'avvenire di Schengen (A4-0014/97) ha deplorato l'utilizzo strumentale - da parte del governo francese - di un articolo della Convenzione quale «mezzo di pressione teso ad imporre ad altri Stati membri, a prescindere da un qualsiasi dibattito democratico, la politica di uno Stato membro in materia di stupefacenti» (punto 31).
Il ricorso alla clausola d'eccezione da parte della Francia in opposizione (indiretta) ai Paesi Bassi non è peraltro l'unico caso in cui gli accordi di Schengen sono stati assunti come fondamento (o come pretesto, a seconda delle valutazioni) per contrasti politici tra Paesi firmatari; la
stessa Italia è stata coinvolta in situazioni di questo genere, che l'hanno vista chiamata ufficiosamente in causa da alcuni partner per via dei suoi indirizzi di politica migratoria.
La decisione della «incorporazione» rappresenta, nello stesso tempo, una consacrazione della validità della strategia adottata a Schengen e un riconoscimento dei limiti di quella stessa strategia.
Da un lato, infatti, il Consiglio europeo di Amsterdam ha autorizzato una cooperazione rafforzata tra i tredici Stati contraenti nel campo di applicazione degli accordi di Schengen e ha contestualmente deliberato l'immediata applicazione dell'intero acquis di Schengen (di cui fanno parte sia gli accordi veri e propri, sia gli atti di applicazione adottati dal Comitato esecutivo e dagli organi da esso delegati) a tutti gli Stati dell'Unione europea,
Da un altro lato, tuttavia, la decisione dell'incorporazione rappresenta il riconoscimento definitivo del fatto che la strategìa di integrazione delineata a Schengen non può più essere perseguita in un quadro meramente intergovernativo, tanto per ragioni di efficacia, quanto per ragioni di coerenza democratica complessiva del sistema.
È apparso evidente, in seno alla Conferenza intergovernativa, che l'acquis di Schengen ha assunto ormai dimensioni e rilevanza tali, che il metodo intergovernativo - con il potere di veto che esso accorda di fatto a ogni singolo Stato firmatario - rischia di trasformarsi in un serio ostacolo al processo decisionale, e quindi a un aggiornamento e a un perfezionamento costanti del regime europeo di libera circolazione e di cooperazione in materia di sicurezza e di giustizia. La stessa complessità ormai raggiunta dall'«apparato Schengen» ha convinto gli Stati contraenti della necessità di introdurre una forma di controllo giurisdizionale sull'intera materia, al fine di evitare che gli inevitabili contrasti in sede applicativa paralizzino l'intero sistema.
Su un altro versante, la decisione dell'incorporazione rappresenta una risposta a preoccupazioni di natura squisitamente politica circa l'applicazione degli accordi di Schengen in un quadro esclusivamente intergovernativo, emerse sia su scala nazionale sia in seno al Parlamento europeo. Quest'ultimo organismo, in particolare, si è soffermato in diverse occasioni sul «deficit democratico» generato dagli accordi di Schengen e sulla «necessità di una maggiore trasparenza e di un controllo parlamentare potenziato sul comitato esecutivo, nonché di un più elevato livello di protezione giuridica per le persone interessate» (7).
Il delicato compito di precisare le forme giuridiche dell'incorporazione è affidato dal Progetto di Trattato al Consiglio dei ministri dell'Unione. Tale organismo, «deliberando all'unanimità dei membri di cui all'articolo A [n.d.r.: i tredici paesi membri dell'Unione che sono anche firmatari degli accordi di Schengen], adotta le disposizioni necessarie per l'attuazione del presente paragrafo. Il Consiglio, deliberando all'unanimità, definisce, in conformità delle pertinenti disposizioni dei trattati, la base giuridica di ciascuna delle disposizioni o decisioni che costituiscono l'acquis di Schengen» (Protocollo relativo all'incorporazione dell'acquis di Schengen nell'ambito dell'Unione europea, articolo B, comma 1, 2o capoverso).
I tempi di questa decisione dovrebbero essere assai brevi. Nelle Conclusioni della Presidenza adottate ad Amsterdam il 16 e 17 giugno 1997, il Consiglio europeo ha infatti invitato il Consiglio «ad adottare il più rapidamente possibile, in base ai testi approvati (i.e., il Progetto di Trattato, i Protocolli e le Dichiarazioni allegati, n.d.r.), misure appropriate per assicurare
il pieno funzionamento del Trattato al momento della sua entrata in vigore»; tra queste «misure appropriate», rientrano espressamente «per quanto riguarda il protocollo Schengen, l'adozione di misure d'attuazione del medesimo al momento dell'entrata in vigore del trattato».
È previsto che, fino all'adozione di tali misure, «le disposizioni e decisioni che costituiscono l'acquis di Schengen sono considerate atti fondati sul titolo VI del TUE (ovvero il Trattato istitutivo dell'Unione europea; n.d.r.)». In altri termini, in attesa della deliberazione del Consiglio dei ministri, l'incorporazione non avverrà in forma di «comunitarizzazione», bensì mediante il trasferimento dell'acquis di Schengen sotto al «Terzo pilastro» dell'Unione europea.
La decisione affidata al Consiglio circa la base giuridica attribuita alle singole componenti dell'acquis Schengen al momento dell'incorporazione ha solo apparentemente natura tecnica. In realtà, si tratta di una scelta dalle profonde implicazioni politiche che influirà in maniera determinante sulle concrete modalità del controllo parlamentare e giudiziale nelle diverse materie oggi rientranti nell'ambito Schengen.
Il Protocollo relativo all'incorporazione dell'acquis di Schengen nell'ambito dell'Unione europea affronta espressamente questo problema per quanto riguarda il Comitato esecutivo, di cui si prevede la sostituzione, a decorrere dall'entrata in vigore del Protocollo stesso, con il Consiglio dei ministri dell'Unione europea (articolo B, comma 1). Conseguentemente, è prevista l'integrazione del Segretariato di Schengen nel Segretariato generale del Consiglio (cfr. le Conclusioni della Presidenza al Consiglio europeo di Amsterdam del 16-17 giugno 1997, p.3). Va sottolineato che è prevalsa, su questo punto specifico, una soluzione diversa da quella caldeggiata dal Parlamento europeo, il quale proponeva «che il segretariato di Schengen rientri tra i servizi della Commissione», anche prima di una piena integrazione di Schengen nell'attività dell'Unione europea (Risoluzione sul funzionamento e l'avvenire di Schengen, A4-0014/97, punto 50).
Non è invece stata affrontata direttamente, nel Protocollo approvato ad Amsterdam, la questione del futuro di un'altra importantissima istituzione originata dagli accordi di Schengen: ci riferiamo all'Autorità Comune di Controllo (ACC) prevista dall'articolo 115 della Convenzione di applicazione (cfr. par. 3.4). In assenza di previsioni espresse, si deve ritenere che l'ACC rimarrà in funzione in via transitoria, perlomeno finché il Consiglio non provvederà a istituire l'»organo di controllo indipendente» incaricato di vegliare sul rispetto da parte delle istituzioni comunitarie degli «atti comunitari sulla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali nonché alla libera circolazione di tali dati», secondo quanto previsto dal nuovo articolo 213B del Trattato istitutivo della Comunità europea, nella versione concordata ad Amsterdam.
(1) Si tratta delle persone di cui agli articoli da 95 a 99 della Convenzione (quanto agli oggetti sono quelli di cui agli articoli 99 e 100 della Convenzione stessa).
(2) Attualmente gli Uffici SIRENE, sul piano tecnico-operativo, si avvalgono della stessa rete informatica del SIS; è prevista però a breve (entro la fine del 1997) la realizzazione di una rete autonoma.
(3) In particolare, la Convenzione del Consiglio d'Europa del 28 gennaio 1981 sulla protezione delle persone nei riguardi del trattamento automatizzato dei dati di natura personale e la Raccomandazione R 15 (87) del 17 settembre 1987 del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa tendente a regolare l'uso dei dati di natura personale nel settore della polizia.
(4) Frontiere interne sono, ai sensi dell'articolo 1 della Convenzione, le «frontiere terrestri comuni delle Parti contraenti, i loro aeroporti adibiti al traffico interno ed i porti marittimi per i collegamenti regolari di passeggeri in provenienza o a destinazione esclusiva di altri porti situati nel territorio delle Parti contraenti, senza scalo in porti situati al di fuori di tali territori».
(5) Frontiere esterne sono invece «le frontiere terrestri e marittime nonché gli aeroporti e i porti marittimi delle Parti contraenti, che non siano frontiere interne» (articolo 1 della Convenzione).
(6) La base giuridica della decisione francese è da individuarsi nell'articolo 2, comma 2, della Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen, in cui è previsto che, «...per esigenze di ordine pubblico o di sicurezza nazionale, una Parte contraente può, previa consultazione delle altre Parti contraenti, decidere che, per un periodo limitato, alle frontiere interne siano effettuati controlli di frontiera nazionali adeguati alla situazione. Se per esigenze di ordine pubblico o di sicurezza nazionale s'impone un'azione immediata, la Parte contraente interessata adotta le misure necessarie e ne informa il più rapidamente possibile le altre Parti contraenti».
(7)Parlamento europeo, Risoluzione sul funzionamento e l'avvenire di Schengen, A4-0014/97, punto 3.