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Seduta del 10/10/2000


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Seguito dell'esame della relazione sullo stato della lotta della criminalità organizzata in Campania.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'esame della relazione sullo stato della lotta della criminalità organizzata in Campania.
Chiedo innanzitutto scusa ai colleghi per il ritardo nell'inizio della seduta. Vi sono ancora colleghi iscritti a parlare, penso quindi che i nostri lavori possano procedere innanzitutto ascoltando questi interventi, cui seguiranno la replica del relatore e la votazione della relazione, con eventuali dichiarazioni di voto.
Invito tutti i commissari a contenere i loro interventi nei dieci minuti. La discussione svolta finora è stata ottima, molto seria e qualificata; vi sono stati in particolare molti apprezzamenti della relazione, ritenuta da tutti, anche da quelli che hanno espresso giudizi critici, una buona base di discussione per convergere in un possibile voto finale comune. Invito quindi tutti i commissari a proseguire su questa linea e in particolare il relatore a tener conto di tutti i contributi, in modo che la relazione possa davvero rappresentare, anche al di là dello stesso voto finale, almeno nella sostanza e nei suoi punti essenziali, la volontà dell'intera Commissione.
Nel ricordare che è stata già attivata la trasmissione con il sistema audiovisivo a circuito chiuso, invito i commissari che interverranno a far presente eventuali esigenze di secretazione perché si possa provvedere al riguardo.

FRANCESCO D'ONOFRIO. Chiedo innanzitutto scusa per non essere riuscito la settimana scorsa a completare la lettura della bozza di relazione del collega Lombardi Satriani, cosa che ho potuto fare solo negli ultimi giorni. Ora, dopo averla letta con attenzione, vorrei svolgere alcune considerazioni integrative ed anche critiche. Non so se alcune di esse siano già contenute nelle numerose modifiche alla relazione di cui ho solo ora ricevuto il testo, ma temo di no perché alcune investono la struttura stessa della relazione.
Il primo punto, quello che mi sta più a cuore, è che la relazione è tutta incentrata sul tema, che condivido, di una necessaria modifica radicale dei valori costitutivi della vita civile, in ordine ai quali poter espungere quell'atteggiamento di «favore popolare» verso le organizzazioni camorristiche che pur si rileva. Se in una relazione di oltre 100 pagine si parla di valori e non si indica mai cosa può significare questa parola in riferimento soprattutto agli insegnamenti di parte cattolica, questo mi sembra strano. Un'intera relazione che lamenta la mancanza di un sistema di valori alternativi a quelli dell'organizzazione camorristica non può


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non tenere conto di questi, sia per criticare le inadempienze, se vi sono state, indicandole specificatamente, sia per valutare le cose positive che da non pochi mesi vengono svolte in tutta la regione Campania da parte di organizzazioni cattoliche ispirate appunto ad una radicalmente nuova metodologia di base relativa alla costruzione di valori positivi che hanno nella valorizzazione della vita il loro punto centrale. Siccome questo ha costituito e costituisce motivo di divaricazione non banale nella proposta culturale riferita al rapporto tra società civile, ordinata in base a valori propri, e organizzazione camorristica, si tratta per me di un punto fondamentale; non è - ripeto - una parte della relazione, ma una sua complessiva lettura.
Si fa poi riferimento - ed è fondamentale - all'intreccio di rapporti tra organizzazioni camorristiche, nella più svariata articolazione di attività criminali, e la vita amministrativa e la vita politica della città e della regione; ma la vita amministrativa e la vita politica non sono prive di indicazioni di partiti, di schieramenti politici per cui se si ritiene, come è affermato sulla base di alcune indicazioni riferite a taluni collaboranti di giustizia provenienti dalle organizzazioni camorristiche, che la camorra non ha mai scelto questo o quel partito in quanto tale, per favorirlo o danneggiarlo elettoralmente, allora diventa molto importante capire alcuni riferimenti.
Si fa riferimento ad ex ministri rinviati a giudizio ed è l'onorevole Gava; ovviamente attendiamo la sentenza finale, l'attendo con il mio collega Giovanardi della Camera perché nel 1993 presentammo una denuncia alla procura della Repubblica di Roma - non abbiamo mai avuto una risposta definitiva - in ordine ad alcuni fatti giudiziari che riguardano principali esponenti della democrazia cristiana di Napoli; se si fa riferimento ad un ex ministro rinviato a giudizio, sarebbe anche importante fare riferimento, con nomi e cognomi, all'altro ministro dell'interno di Napoli, l'onorevole Scotti, il quale fu il promotore della legge sullo scioglimento dei consigli comunali, che nella relazione è considerato come uno degli strumenti più importanti della lotta alla camorra; è un intervento che risale al 1991, cioè ad un tempo nel quale il governo era quello Andreotti, senza i repubblicani.
Non è una questione banale, non è un qualunque episodio, riguarda un ministro dell'interno di Napoli, un fatto di cui fu promotore lui ed il suo governo e rispetto al quale sarebbe importante leggere tutti gli atti parlamentari relativi per vedere il grado di unità che allora si realizzò; grado di unità politica che si realizzò in Parlamento (parlo del 1991) e che doveva essere posto a fondamento dei poteri di scioglimento. Sarebbe interessante conoscere di quale parte politica erano i consigli comunali sciolti, di quale partito o corrente erano i sindaci e capire se c'è stata la volontà di colpire anche collegamenti rispetto alle organizzazioni politiche vicine a sistemi politici della maggioranza di governo dell'epoca.
Questo è fondamentale, così come è importante capire per quali ragioni, che non risultano dalla relazione, i mutamenti intervenuti dall'elezione di Bassolino in poi a Napoli non hanno prodotto alcuna conseguenza positiva nella lotta alla camorra; le morti sono continuate in modo selvaggio, centinaia di amministratori sono stati indagati o inquisiti, consigli comunali sono stati sciolti, compreso quello di Afragola, città dalla quale proviene lo stesso attuale presidente della regione Campania.
Allora, delle due l'una: o non è vero che la ripresa dell'iniziativa civile avvenuta dal 1993 in poi ha prodotto conseguenze positive nella lotta alla camorra, e allora c'è da chiedersi il perché di questo scollamento tra iniziative civili ed organizzazioni camorristiche, oppure occorre chiedersi cosa ha comportato il fatto che le attività camorristiche hanno avuto una virulenza perfino maggiore di quella che avevano nel periodo in cui era al governo la democrazia cristiana, con i ministri Scotti e Gava.
C'è una incongruenza nei giudizi politici che emergono dalla relazione che


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vorrei fosse chiarita, perché la relazione non è politicamente asettica, è politicamente orientata. Non mi sorprendo, il collega relatore è di un partito politico, non è privo di appartenenza politica, ma allora l'orientamento politico di una relazione, soprattutto in temi che dovrebbero riguardare il massimo di unità civile nei confronti della lotta alle organizzazioni criminali, dovrebbe essere condiviso o spiegato.
Si fa inoltre riferimento - il collega è uomo di scuola, di università, di studi; ed io lo condivido - al valore fondamentale della scuola. Io ho il rammarico di essere giunto in Commissione molto tardi, dopo le audizioni svolte in Campania, però sarebbe importante (altrimenti lo farò con una relazione aggiuntiva) far sapere che nel 1994 - governo Berlusconi in carica, ministro della pubblica istruzione il sottoscritto - presi come consulente, per combattere le organizzazioni camorristiche, il professor Cesare Moreno, maestro elementare di Barra; cosa è stato fatto dopo di me? Il ministro Lombardi ha proseguito questa iniziativa, lo ha fatto il ministro Berlinguer? Vi è stata un'indicazione alle scuole di Napoli di fare della cultura anticamorristica il punto centrale della loro iniziativa? Cosa è stato della proposta di adottare un monumento da parte di ogni scuola di Napoli, proposta venuta dalla associazione Napoli 99, che io proposi di generalizzare? Rispetto alla costruzione di immobili destinati a scuola, per la quale diversi miliardi della legge Falcucci non erano stati spesi e furono ottenuti con il primo decreto-legge del governo Berlusconi del 1994, è successo qualcosa? I soldi furono affidati al sindaco di Napoli, Bassolino; le scuole sono state realizzate?
Lo chiedo perché non lo so e non sapendolo mi sembra strano che una relazione tutta centrata sugli ultimi anni, dal 1991 in poi, su un tema centrale come questo della scuola, nulla dica in ordine a cosa è avvenuto nel 1994 e in ordine a cosa è avvenuto o non avvenuto dal 1995 in poi. Questo è per me un punto fondamentale e sarei interessato a sapere se i ministri Lombardi e Berlinguer si sono in qualche modo impegnati nella vita scolastica di Napoli, favorendo la costruzione di scuole, prendendo consulenti nella lotta alla camorra, soprattutto nei quartieri più degradati di Napoli perché la scuola elementare di Barra era, come la relazione fa capire, uno dei punti di civiltà della vita napoletana e non fu banale prendere come consulente il maestro elementare di quella scuola; non fu considerato un fatto irrilevante e allora in una relazione politicamente orientata occorre capire se in quel brevissimo periodo nel quale al governo non vi fu la sinistra ma il centrodestra vi furono atteggiamenti contrastanti o coerenti con le indicazioni di fondo di questa relazione. Se vi furono atteggiamenti contrastanti, mi preoccuperei; se ci sono stati atteggiamenti coerenti, mi preoccuperei se poi questi non sono stati seguiti all'interno del mondo scolastico napoletano negli anni 1995-1998. Io non ne ho notizia e forse lo avrei saputo se le cose fossero avvenute.
Aggiungo un'ultima considerazione: noi viviamo una singolarissima stagione di damnatio memoriae, di congiura del silenzio su un libro di memorie di un politico napoletano, che è il ministro Pomicino. Questo libro ha avuto un successo editoriale straordinario. È stato un best seller per molti mesi e contiene molti passi preoccupanti, se veri, sul rapporto tra magistratura e politica in ordine alla lotta alla camorra a Napoli; ripeto, se veri. Mi sembra importante che il relatore ne tenga conto e ci dica se le cose sono vere o no (parlo di atti giudiziari, non di opinioni): è vero o no, per esempio, che è stato chiesto il sequestro di sette appartamenti di cui l'onorevole Cirino Pomicino non è mai stato proprietario? Cioè, nel sequestro dei beni, che è un punto fondamentale, si è andati oltre, sequestrando anche beni non di proprietà dei soggetti coinvolti? È vero o non è vero che alcuni magistrati che hanno svolto indagini sulla camorra e sui rapporti con la politica, hanno poi dovuto prendere atto del proscioglimento totale da tali accuse? È vero o no che il più importante dei ministri


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napoletani, perché l'onorevole Pomicino è stato il ministro napoletano più importante degli ultimi dieci anni, accusato ripetutamente con atti giudiziari di rapporti con la camorra, è stato poi totalmente prosciolto? Questo è stato indicato al CSM come fatto di rilievo? È indicato nella relazione come un fatto vero? Si può tacere in questa relazione sul contributo dato da un ex ministro sul tema del rapporto camorra-politica?
Io so, o almeno temo, o almeno immagino le ragioni per le quali su questo libro è calato un silenzio di tomba. Vorrei però che riemergesse, in chiave di verità, non di partigianeria, qualcosa che ai fini della relazione serve. La domanda è questa: le cose affermate, giudiziariamente accertate sono vere o no? Se lo sono, inducono molte preoccupazioni in ordine alla partigianeria delle azioni giudiziarie, in ordine alla irrilevanza delle conseguenze favorevoli agli imputati.
Si tratta di questioni importanti. Non metto in dubbio in alcun modo la radicale onestà intellettuale del collega Satriani, ma i quattro punti che ho indicato - valori cattolici, lo scioglimento dei consigli comunali prodotto dal governo Andreotti e dal ministro Scotti nel 1991 (ne conosco i dati perché erano tra quelli che parlarono con Scotti all'epoca e so cosa successe in Parlamento), la mia esperienza personale a favore della scuola napoletana e cosa è successo dopo, nonché quanto detto da Pomicino in ordine a determinati fatti giudiziari - sono tali per cui non sarei ora in grado di votare a favore della relazione; non vorrei però fare una relazione di minoranza e ritengo che quanto detto possa essere tenuto in conto dal collega Satriani; valuterà lui se le vuole integrare, inserire o aggiungere, dopo di che valuterò cosa fare. Grazie.

MARIO GRECO. Ho esaminato con attenzione la bozza di relazione e l'ho trovata anch'io ricca di riflessioni storico-sociologiche, senz'altro utili al nostro lavoro e - perché no - anche condivisibili, quali quelle sulle trasformazioni che il fenomeno camorristico ha avuto nel corso degli anni o anche quelle riferite all'esigenza di apprestare nuove strategie pedagogiche al fine di conseguire quella cultura della legalità senza la quale - tutti lo sappiamo - ogni azione di contrasto risulterebbe scarsamente efficace.
A proposito di strategie pedagogiche, condivo in pieno gli interrogativi posti da chi mi ha preceduto quando ha sottolineato come questo Governo purtroppo o quanto meno questo Parlamento non si è occupato di strategie particolari indirizzate al mondo della scuola per raggiungere quei risultati che il relatore auspica. Non mi voglio comunque soffermare su ciò che è ovvio o condividiamo. Credo che il nostro compito in questa sede sia quello di prendere in considerazione soprattutto ciò che non ci convince o ciò che chiediamo al relatore in termini di integrazione o chiarimento. Limiterò quindi il mio intervento a taluni di questi argomenti che mi lasciano perplesso, seguendo l'ordine espositivo del relatore, tralasciando i punti già toccati dai colleghi che mi hanno preceduto.
Inizio con il richiamo contenuto a pagina 13 del resoconto dell'audizione resa dal procuratore capo di Napoli nel giugno di quest'anno. Mi riferisco in particolare alla denuncia che il dottor Cordova ha fatto in tema di inadeguatezza delle tecniche investigative degli organi inquirenti. Richiamo in particolare la frase riportata anche nella bozza di relazione circa gli organi inquirenti abituati a farsi guidare dai collaboratori di giustizia e sono incapaci di percorrere le vie di autonome investigazioni.
Caro relatore, questo del trattamento e della gestione dei collaboratori di giustizia è un tema molto delicato, che avrebbe meritato un maggiore approfondimento anche perché vedo che nella parte terza dedicata appunto alle linee che dovrebbero riferirsi ai nostri indirizzi sugli interventi da adottare il problema non viene affatto tracciato e soprattutto non vi è indicazione di quelli che dovrebbero essere le modifiche in tema di disciplina dei collaboratori di giustizia. Sarebbe stato opportuno, dal momento che il procuratore


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capo di Napoli ha parlato di mala gestione dei collaboratori di giustizia, citare anche qualche caso che riguarda soprattutto i pentiti della camorra, onde evitare che poi esplodano altri casi subito dopo l'approvazione della relazione, come è avvenuto per il caso Messina quando appena ritornati ci siamo dovuti interessare nuovamente di mala gestione dei pentiti, e come è avvenuto ancora più di recente dopo la frettolosa approvazione della relazione sulla Calabria quando, all'indomani di quella approvazione, ai primi di agosto, è esploso il caso della mala gestione dei pentiti da parte della procura di Cosenza; dovremo tornarci, il che significa che dovremo integrare o fare nuove riflessioni su quel tema.
Un secondo intervento integrativo andrebbe operato nella parte in cui si fa cenno alla extra regionalità della camorra. Mi riferisco all'accenno fatto a pagina 35 della bozza, dove si parla di presenze e di collegamenti camorristici nei paesi dell'est, dell'America latina e in Germania. Per quanto riguarda l'Italia si riferisce delle presenze camorristiche nelle Marche, in Toscana, in Emilia e in Lombardia; strano che non si faccia cenno ai legami tra la malavita campana e quella pugliese, legami che spesso si intersecano con operazioni affaristiche nel settore della droga e del contrabbando, molte volte concluse anche in paesi stranieri, oltre alla Svizzera, in Albania, Montenegro e Romania; di questi casi vedo però che si accenna più avanti quando si affronta il problema del contrabbando.
A questo proposito è importante il filone delle indagini della DDA barese su questo punto. L'indagine si è conclusa in questi giorni; abbiamo letto del rinvio a giudizio di 84 indagati per associazione mafiosa, riciclaggio ed altro, legati tutti al trasporto da una sponda all'altra dell'Adriatico di migliaia di scatoloni di sigarette, ossia di un grande business gestito da un vero e proprio cartello composto da personaggi legati alla camorra, quale Costantino Sarno (lei, relatore, ne parla, ma non lo lega alla malavita pugliese) rappresentante dell'alleanza di Secondigliano, alla malavita barese come i Cellammare e i Lavaspata, e alla Sacra corona unita come Giuseppe Regoli o quel Francesco Prudentino, conosciuto da tutti come Ciccio la busta, divenuto imprenditore grazie anche ai rapporti che ha instaurato con le multinazionali del tabacco, che ha fatto ben volentieri affari ed è latitante imprendibile grazie alle coperture e che sembra aver avuto e tuttora avere in Montenegro, in Romania e in Serbia.
Attraverso l'indagine del magistrato Scelzi di Bari, pare che il Prudentino abbia avuto sino ad oggi rapporti perfino con Milosevic. Chi sa se la caduta del presidente serbo non incida anche sulla caduta di questo personaggio, di questo boss ostunese? Questo è avvenuto anche grazie al rapporto che ha con un faccendiere di origine campana, quel famoso Gerri Cuomo coinvolto anche per le coperture avute dalla magistratura svizzera. È questa una vicenda che tratterò molto brevemente alla fine perché è interessante sapere da lei se sia il caso di trattare questo argomento dopo che vi è stato accennato anche da parte del senatore Del Turco, attuale ministro delle finanze.
A mio parere meriterebbe maggior spazio anche il tema del depotenziamento delle strutture di contrasto - ROSS, SCO e SCICO - senza bisogno di avere cura, come è fatto nella bozza, di distinguere fra politica seguita dall'ex ministro Napolitano e quella seguita dall'attuale ministro Bianco. Io non vedo grandi passi avanti con i lievi correttivi apportati alle direttive napoletane da parte del ministro Bianco.
A pagina 40 della bozza si fa poi cenno all'articolo 41-bis e si dà per scontata la condivisione della Commissione per la modifica in itinere - che prevede la trasformazione della disciplina da temporanea a regime; ammesso che ci sia questa condivisione generale da parte della Commissione, io la do per scontata perché anch'io sono d'accordo - mi permetterei di raccomandare come indirizzo (dal momento che si affronta questo tema delicato e sappiamo esserci in Parlamento molti contrasti; forse la condivide la Commissione


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ma non tutto il Parlamento è d'accordo) l'esigenza di contemperare il rigore del sistema con il principio dell'articolo 27 della Costituzione sul valore rieducativo della pena, perché questo costituisce un richiamo ripetuto e continuo nelle note dello stesso Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria.
Faccio ora un flash sul tema dell'immigrazione. La bozza di relazione riconosce le difficoltà incontrate nelle procedure delle espulsioni degli irregolari, ma poi colloca queste difficoltà nel periodo precedente alla modifica della legge Turco-Napolitano, come a dire che occorre aspettare ad esprimere un giudizio negativo o positivo su queste difficoltà all'esito di un certo periodo di sperimentazione di questa legge. Io credo, amico relatore, che non occorra attendere ancora tempo per dire che le difficoltà permangono, ci sono tutte anche con le modifiche apportate alla legge sull'immigrazione dal provvedimento Turco-Napolitano, perché anche questa si è rivelata una legge colabrodo e gli effetti dell'immigrazione clandestina e dell'impossibilità di espellere chi entra con la consapevolezza di poter contare su facili sanatorie sono sotto gli occhi di tutti. Non per nulla proprio oggi pomeriggio in aula al Senato ci occuperemo dell'approvazione di un disegno di legge, già licenziato dalla competente Commissione, in materia di espulsione degli stranieri e lo faremo proprio perché abbiamo potuto rilevare che, così come è oggi regolamentata la materia, la normativa non sortisce alcun effetto.
Esprimo inoltre un giudizio molto critico e pessimista anche sulla legge che andiamo a discutere al Senato perché fino a quando non ci saranno gli accordi e le convenzioni con i paesi di provenienza degli extracomunitari da espellere ogni legge, anche quella oggi in esame, sarà completamente inutile perché non si potrà effettuare alcuna espulsione. Anche oggi, quindi, dovrò sottolineare questo mio pessimismo: bisogna trovare altre strade e soprattutto percorrere la strada della collaborazione internazionale seria, altrimenti nessun extracomunitario potrà essere espulso.
La formazione di una criminalità di importazione, accanto a quella autoctona, non è un semplice rischio come lo si rappresenta nella bozza di relazione, ma secondo me già costituisce un vero e proprio evento. Lo sappiamo, ormai si è costituito un legame stretto fra la criminalità organizzata dei paesi stranieri e le mafie del nostro paese.
In tema di contrabbando, di cui a pagina 53 della bozza, mi asterrei dal parlare di indebolimento della rotta dal Montenegro verso il nostro paese sia per non creare facili illusioni e conseguente abbassamento della guardia sia perché gli effetti della richiamata operazione Primavera, oltre che effimeri e temporanei, come tutti sappiamo, sono stati anche apparenti perché nel breve periodo si sono verificati solo semplici spostamenti degli sbarchi, dalla Puglia verso la Calabria, dove affluivano anche i contrabbandieri napoletani.
Nulla da aggiungere invece alla giusta osservazione secondo cui in tema di appalti, politica e camorra più che abusare del ricorso allo scioglimento dei consigli comunali occorrerebbe pensare anche e soprattutto al ricambio degli apparati burocratico-amministrativi. Lo abbiamo fatto notare anche in altre occasioni, in particolare quando abbiamo avuto l'audizione della équipe dell'allora procuratore capo Caselli.
Sul caso Miller è stato già detto tanto e sottoscrivo in pieno le critiche fatte per una compiaciuta citazione tanto inutile quanto inopportuna e non impertinente. Credo che questo giudizio di inopportunità e di impertinenza resti anche con le modifiche apportate, che ho appena letto questa mattina. Resta, a mio giudizio, l'esigenza di rivedere questa parte della bozza. Ricordiamoci che il nostro lavoro non deve essere o semplicemente apparire un mezzo di lotta politica, né tanto meno deve consistere e concludersi in una sorta di lavoro giurisdizionale su fatti e persone che non soltanto si sovrappone ma talune


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volte, come in questo o in altri casi, mi riferisco al caso Messina, addirittura si contrappone a quello dell'autorità giudiziaria.
Non abbiamo condiviso la relazione sulla Calabria nella parte in cui trattava il caso Montera, non possiamo condividere neppure questa parte della bozza di relazione sulla camorra campana perché si tenta di delegittimare un sostituto procuratore che si è occupato - e non è stato detto - in delicate inchieste come quelle sulla svendita dell'aeroporto di Capodichino e dei subappalti per la bonifica di Bagnoli; lo delegittimiamo anche con il semplice e generico richiamo, contenuto nella bozza, ad una costellazione di dati oggettivi. Non so se i dati oggettivi siano le interrogazioni parlamentari che richiamate nelle integrazioni alla bozza o se lo siano addirittura tutti i procedimenti penali che si sono conclusi con assoluzioni. Non sono affatto dati oggettivi! Dimentichiamo che anche in questo caso il Consiglio superiore della magistratura non ha adottato ancora un provvedimento disciplinare, anzi ha nominato il dottor Miller procuratore aggiunto di Santa Maria Capua Vetere, come ora si ricorda nelle integrazioni alla bozza.
Allora, delle due l'una: o il CSM in questo ed in altri casi ha operato bene e allora non bisogna far riferimento a questi casi, oppure soffre di un esasperato corporativismo e in tal caso bisogna avere il coraggio di dirlo. Qui ci asteniamo dal criticare il Consiglio superiore della magistratura ma poi prendiamo in considerazione singoli magistrati che si occupano di talune inchieste; non ci dimentichiamo che spesso i magistrati sono anche le vittime di faide interne agli stessi palazzi di giustizia; molte volte cadiamo in questo tranello. Ci dobbiamo occupare soprattutto di mafia e non di altri fenomeni e tanto meno - lo sottolineo perché vedo che lei lo ribadisce ancora nelle correzioni apportate alla bozza - di giudizi di moralità o indipendenza dei giudici, così come invece purtroppo propone la bozza di relazione, anche nella sua versione corretta. Si dice infatti che dobbiamo raccomandare all'organo di autogoverno di stare attento ad esprimere giudizi di moralità. Non ci interessano questi giudizi; o meglio, ci interessano soltanto nel momento in cui i magistrati sono colpiti da collegamenti con personaggi mafiosi, perché la nostra Commissione si occupa solo di questo. Allora quando vedo che nella bozza corretta lei parla di collegamenti, di collusioni e di frequentazioni, bisognerebbe aggiungere l'espressione «con ambienti mafiosi», perché soltanto così si può giustificare il nostro lavoro di raccomandazione, di indirizzo. Altrimenti ci andiamo ad occupare di fenomeni di corruzione, come quello da lei citato a proposito del caso Miller, mentre la corruzione di quel magistrato non mi interessa né mi interessa il fatto che sia andato con una prostituta (Commenti del relatore Luigi Lombardi Satriani).
Sì, però lei lo dice nella relazione!

ROBERTO CENTARO. C'è stato un miglioramento nella posizione rispetto a quella precedente!

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, vi prego!

MARIO GRECO. Sul caso Miller vorrei anche raccomandare quello che lei stesso ha detto all'inizio e che io ho ricordato. Il procuratore Cordova ha parlato di malagestione dei pentiti. Perché non approfondiamo l'ipotesi che il dottor Miller sia stato vittima di questa malagestione dei pentiti? Tutti sappiamo che talvolta al momento giusto si prende un pentito per fargli rendere dichiarazioni contro questo o quel magistrato al fine di bloccare determinate indagini.
Mi avvio alla conclusione con una considerazione sulla capacità della camorra di infiltrarsi in delicati apparati dello Stato. La bozza di relazione sfiora l'argomento a pagina 56 e, parlando del Ticin-gate, sembra che lo voglia limitare alla sola infiltrazione nella magistratura svizzera. Una volta che il caso è stato citato, a mio parere sarebbe invece meglio svelarlo nella sua interezza, il che non


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solo tornerebbe utile per avere prova dei collegamenti tra camorra e criminalità pugliese, ai quali ho accennato prima, ma anche per verificare se personaggi di spicco contigui alla camorra, come Gerri Cuomo, siano stati capaci di infiltrarsi, oltre che nei delicati apparati delle istituzioni elvetiche, anche in quelli del nostro paese.
Cito adesso un caso che ci deve far riflettere. Non possiamo limitare il caso del Ticino-gate alle collusioni con la magistratura svizzera o con le istituzioni svizzere. Lo scenario sollevato dall'indagine madre della procura di Bari e dalle audizioni svoltesi presso il Comitato sul contrabbando del quale io faccio parte, è veramente preoccupante. Personalmente ho anche segnalato questi elementi in una interrogazione rivolta al Presidente del Consiglio e ritengo che già in questa sede andrebbero approfondite le ragioni per le quali sono rimasti senza risposta i rapporti e le note indirizzati negli anni 1995-1997 al ministro delle finanze dall'allora direttore generale dei Monopoli, dottor Del Gizzo, e dall'allora ispettore tributario del SECIT, Mario Casaccia, sull'evasione fiscale di grande entità e sugli ostacoli che sarebbero stati frapposti per l'avvio di un'inchiesta che tra l'altro avrebbe dovuto approfondire l'ipotesi di un eventuale coinvolgimento della Philip Morris e del boss Cuomo. Ancor più inquietante e per questo meritevole della nostra attenzione appare la vicenda allorché si tiene conto del fatto che il dottor Del Gizzo è stato rimosso dal suo incarico e non reintegrato, malgrado una sentenza del TAR a lui favorevole, nonché del contenuto di una telefonata intercettata tra il Cuomo e tale Franco, che poi è stato individuato in Francesco Gabrielli, persona che per conto della Philip Morris partecipa alle gare indette dai Monopoli ed è punto di riferimento di tale multinazionale americana.
Nel corso di quella telefonata intercettata dalla DDA di Bari il Cuomo diceva che il dottor Del Gizzo costituiva il vero problema per la Philip Morris e chiedeva se fosse stato o meno mandato via. Caso strano dopo quella telefonata Del Gizzo è stato mandato via, mentre Visco non si è interessato delle note che sono state scritte dallo stesso Del Gizzo e dal direttore del SECIT Casaccia e Casaccia non è più ispettore tributario. Allora ci dobbiamo chiedere se non vi siano delle coperture, per quanto riguarda il caso Cuomo, anche da parte delle nostre istituzioni.
Questa è una pentola che è stata appena scoperchiata: così si è pronunciato l'ex presidente della nostra Commissione, senatore Del Turco, attuale ministro delle finanze. Noi lo ascolteremo su questo caso, però già raccomando di lasciare aperta nella relazione la porta per questo che è un caso scottante. A seguito della interrogazione che ho presentato ho già avuto dei segnali. Dobbiamo approfondire il caso del Ticino-gate, anche perché in esso pare che siano coinvolti altri rappresentanti di questo Governo.
Concludo raccomandando di prestare molta più attenzione a casi di questo genere perché sono le coperture e le collusioni delle istituzioni che ci dovrebbero più preoccupare, rispetto ad altre vicende, come il caso Miller o altri trattati in questa relazione. Diamo più spazio a questi che sono i veri fenomeni che ci preoccupano come Commissione antimafia e diamo meno spazio ad altri che non dico siano pettegolezzi, ma che comunque riguardano procedimenti per fenomeni, sia pure criminali, che però non formano oggetto dei lavori della Commissione.

EMIDDIO NOVI. Signor presidente, do atto al senatore Lombardi Satriani della sua squisita cortesia personale e anche del suo notevole spessore culturale. Però prendo atto con un certo rammarico del fatto che il senatore Lombardi Satriani, tanto nella prima quanto nella seconda stesura della sua relazione sulla camorra campana, si è fatto condizionare probabilmente da un'azione di disinformazione di provenienza anche istituzionale che è stata individuata e che chiarirò in questo momento.


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Parto proprio dall'emendamento che è stato presentato a pagina 86 e che riguarda la vicenda del magistrato Arcibaldo Miller per dimostrare come questa relazione è stata ispirata da una visione d'insieme che nega completamente la situazione e i livelli di condizionamento della criminalità organizzata in Campania. Ciò è accaduto non per responsabilità del senatore Lombardi Satriani ma per responsabilità di chi gli ha fornito elementi incompleti che hanno condizionato il suo lavoro.
Parto dalla vicenda del dottor Miller perché alza un sipario inquietante sui livelli di inquinamento delle istituzioni non solo in Campania ma anche all'interno del CSM: inquinamento politico ma, se andiamo a riflettere, in questo caso l'inquinamento forse non è solo politico.
Partiamo dalla biografia del dottor Miller, perché quando non ci si sofferma sugli atti e sui comportamenti delle persone, quando non si analizzano le accuse che a queste persone vengono mosse, si rischia di costruire processi di stampo stalinista e non di lavorare seriamente per ricercare la verità sui livelli di collusione in Campania tra istituzioni e camorra e sui livelli di pervasività in Campania del crimine organizzato.
Arcibaldo Miller è un magistrato che lavora in Toscana e che nel 1980 viene trasferito a Napoli. Tra il 1980 e il 1986 è l'unico magistrato che sviluppa a Napoli serie inchieste sulla camorra napoletana e campana. Quello era un periodo in cui non esistevano i pentiti ed era un periodo in cui anche sul flusso finanziario della ricostruzione e sui rapporti fra politica e camorra si inseriva un fenomeno nuovo, che era quello della camorra come fenomeno di banditismo sociale di massa, quasi come partito malavitoso di massa e, come nel caso della camorra cutoliana, quasi come una sorta di neobrigantaggio meridionale, a sfondo anche populista.
Avviene che in Campania, alla fine degli anni settanta e all'inizio degli anni ottanta, si crea il nuovo fenomeno criminale costituito dalla Nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo, il quale unisce - e ad esse fornisce persino una spiegazione pseudoideologica - le aree marginali del tradizionale crimine organizzato napoletano e campano. Anche la delinquenza di quartiere, la delinquenza dei vari paesi, cioè tutti i giovani criminali che agiscono in proprio e non hanno alcun riferimento, vengono organizzati in una sorta di armata populista che è dedita a quello che dalla sociologia moderna viene definito neobrigantaggio sociale e metropolitano.
Miller è l'unico magistrato che coglie la pericolosità di questo fenomeno, e a partire dal 1980 fino al 1986 sviluppa due grandi inchieste, una contro la camorra cutoliana, che porta all'arresto di 340 persone, e l'altra contro la Nuova famiglia. Quest'ultima deve essere considerata una sorta di cartello criminale che viene costituito dalle tradizionali cosche camorriste campane per ristabilire l'ordine in quella che è l'insorgenza criminale diffusa sul territorio e che è di ispirazione cutoliana. Cioè sono i signori della guerra tradizionali, i Nuvoletta, i Bardellino, i Galasso, gli Alfieri, che si organizzano per schiacciare la Nuova camorra cutoliana che voleva sovvertire i tradizionali equilibri criminali in Campania.
Miller con i 340 arresti assesta un colpo durissimo alla camorra cutoliana, e - ripeto - non può contare sul fenomeno dei pentiti. Lavorando da solo - e ci sono le carte processuali a confermarlo - svolge un lavoro di intelligence e di investigazione di primo ordine nel campo in cui operano i carabinieri, la polizia e la guardia di finanza. Il risultato cui perviene è non solo la condanna di buona parte dei camorristi arrestati ma anche un'analisi seria ed approfondita del fenomeno. Rivolto alla classe politica Miller aveva segnalato che questo tipo di camorra è qualcosa di diverso dalla camorra tradizionale. Aveva ammonito che è un fenomeno radicato sul territorio, un fenomeno diffuso nel sociale, un fenomeno che non può essere sconfitto se non si opera una seria azione di prevenzione nel


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tessuto sociale: se non c'è lavoro, se non si bonificano le periferie, se non si creano condizioni di vivibilità nella società.
Dopo questo colpo assestato ai cutoliani Miller ne assesta un altro, alla Nuova famiglia: 220 affiliati al cartello delle cosche tradizionali vengono arrestati. La camorra tenta di ammazzare Arcibaldo Miller, il quale per ben otto anni - dico otto anni - è sottoposto ad una forma di protezione intensiva. Ma Arcibaldo Miller non diventa un eroe della lotta alla camorra, perché egli è un giovane magistrato che non guarda in faccia nessuno. E lo dimostrerò.
Napoli fra il 1975 e il 1983 è governata da una giunta di sinistra, la giunta Valenzi, che, come quella Bassolino, si rende promotrice di un rinascimento della città con le conseguenze di degrado complessivo della struttura urbana che sono ancora sotto i nostri occhi. Peraltro Napoli tra il 1975 e il 1990 è stata governata da giunte rette dalla sinistra e soltanto per dieci anni da giunte di centrosinistra, che governavano la città in una situazione di gestione consociativa del potere con la sinistra; e gli sviluppi della Tangentopoli napoletana lo dimostreranno.
Qual è l'incidente che costa ad Arcibaldo Miller il sospetto di sulfurei rapporti con zona grigia del crimine organizzato? Egli fa arrestare tre assessori della giunta Valenzi, e immaginate che cosa significa fare arrestare a Napoli, nel pieno dell'apoteosi valenziana, tre assessori per lo scandalo del cimitero: si trattava di persone che in pratica rubavano sulle tombe dei morti. Da quel momento Arcibaldo Miller viene attenzionato dalle correnti di sinistra della magistratura e per lui iniziano i problemi. Arcibaldo Miller viene coinvolto nella vicenda della casa di appuntamenti di via Panizza. Questo coinvolgimento prende corpo negli anni successivi all'arresto dei tre assessori. Soltanto che - e questo elemento non viene riferito né nella prima né nella seconda stesura della relazione del senatore Lombardi Satriani - il giudice istruttore Apicella nella sentenza di proscioglimento di Arcibaldo Miller dichiara: «È provato che il giudice Miller non ha mai frequentato la casa di appuntamenti di via Panizza». Mi aspettavo che questa frase fosse presente almeno nell'emendamento, ma non c'è. Eppure è una sentenza di proscioglimento firmata da un magistrato della Repubblica italiana, dal giudice istruttore Apicella, che - lo ripeto - afferma testualmente: «È provato che il giudice Miller non ha mai frequentato la casa di appuntamenti di via Panizza». Se quella in cui ci troviamo oggi è una Commissione antimafia e non uno strumento di regolamento di conti interni nelle guerre per bande della politica nei confronti della magistratura, la relazione deve riportare questo passo della sentenza del giudice Apicella.
In quegli anni entrano in campo ambigue figure legate ai servizi segreti, tra i quali un tale Giosi Campanile, che io conoscevo fin da ragazzo perché come me frequentava il liceo Gian Battista Vico. Questo Giosi Campanile è un ragazzo di buona famiglia, imparentato con magistrati, con prefetti della Repubblica, millanta una laurea che non ha mai ottenuto e fa l'avvocato. Ebbene, l'amante-prostituta di Giosi Campanile è un'altra delle fonti d'accusa contro Miller, e si scopre che anche l'amante-prostituta di Giosi Campanile mente.
Ma l'opera di delegittimazione continua, e questa volta coinvolge anche il CSM. Vengono stilate contro il dottor Miller quaranta pagine al veleno e piene di menzogne firmate dal dottor Alessandro Pennasilico, rappresentante di magistratura democratica nel CSM. Se il dottor Pennasilico fosse stato un cittadino qualunque, per le sue accuse sarebbe stato rinviato a giudizio e condannato per calunnia. Però, siccome si tratta di un cittadino più uguale degli altri, questo non avviene.
Voglio ora dimostrare perché il dottor Pennasilico di magistratura democratica è un calunniatore di professione (Commenti).
A parte il fatto che un consulente non può intervenire nei lavori della Commissione,


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in questo momento dimostro come il dottor Pennasilico è un calunniatore di professione: con fatti e dati.
Le quaranta pagine di menzogne vengono utilizzate per la prima stesura della relazione del senatore Lombardi Satriani. Ma chi ha fornito queste quaranta pagine di menzogne al senatore Lombardi Satriani, senza avvertirlo dell'inattendibilità delle accuse in esse contenute? Da chi è stata utilizzata la relazione Pennasilico? È stata bocciata dal CSM ed è stata sostenuta solo dalle correnti di sinistra di tale organo, ed inoltre, guarda caso, dagli avvocati penalisti napoletani capeggiati dall'avvocato Botti, che è l'avvocato del sindaco Bassolino che in quel momento vede i suoi uomini oggetto dell'attività inquirente di Arcibaldo Miller. Da chi viene usato ancora questo materiale calunnioso del dottor Pennasilico? Dal CSM per impedire la nomina a procuratore aggiunto di Miller a Santa Maria Capua Vetere.
Ma cominciamo a smantellare il castello di menzogne del dottor Pennasilico, perché queste argomentazioni rimarranno agli atti della Commissione antimafia e un giorno il dottor Pennasilico dovrà rispondere delle menzogne che sono riportate nel suo documento posto all'attenzione del CSM. Apro una parentesi: le quaranta pagine del dottor Pennasilico vengono utilizzate per una campagna di delegittimazione non solo di Arcibaldo Miller ma di tutta la magistratura napoletana che è impegnata in una lotta senza quartiere contro il crimine organizzato a Napoli e in Campania. E non a caso c'è un magistrato, tale Occhiofino, che, potendo contare sul fiancheggiamento di un pool di giornalisti napoletani tutti provenienti dalla redazione dell'Unità e tutti corrispondenti dei maggiori organi di informazione italiana, dal Messaggero alla Stampa, alla Repubblica, al Corriere della Sera, rilascia una dichiarazione al Corriere della Sera nella quale afferma che Cordova difende Miller perché condizionato dalla cupola napoletana. Bisognerebbe individuare quale era questa cupola napoletana; però, siccome c'è di mezzo il Corriere della Sera - e il Corriere della Sera è il Corriere della Sera -, non si può intervenire.
Comunque andiamo a vedere qual è il livello di credibilità e di fondatezza delle affermazioni del dottor Pennasilico. Contro il magistrato che ha fatto arrestare 560 camorristi quando a Napoli si diceva che c'era un nuovo rinascimento della città - come è stato affermato, mentendo, a partire dal 1993 - vengono mobilitati tre pentiti tre. Il primo pentito, tale Romano, imprenditore napoletano colluso con la camorra, afferma: «Il magistrato Miller è un colluso, tant'è vero che con lui mangiavo fave e prosciutto». In pratica secondo il Romano il magistrato Miller era un suo compagno di merende. E al compagno di merende che cosa si fa? Si chiedono i favori. Chi mangia pane e prosciutto con un camorrista è chiaro che poi deve fare favori. Romano dichiara che Miller si prestò ad aggiustare un processo: «Eravamo amici, io gli chiedo di dare una mano ad un mio amico». Si tratta dell'imprenditore Agizza, il quale aveva investito e ucciso, guidando un camion di sua proprietà, la signora Anna Trotta. Romano sostiene che Miller doveva cambiare le carte in tavola e accreditare la versione che alla guida del camion non c'era Agizza ma il fratello minorenne di questo, il quale, essendo minorenne, non sarebbe stato condannato.
Purtroppo per Pennasilico, per l'avvocato Botti e per la corrente della magistratura democratica, l'imprenditore Agizza investì ed uccise la signora Anna Trotta nel 1967. All'epoca il magistrato colluso Arcibaldo Miller, presunto compagno di merende dell'imprenditore Romano, aveva diciassette anni. Queste menzogne fanno parte di un documento presentato al CSM!
Ma continuiamo. Viene mobilitato un altro pentito, tale Bernasconi. Costui, non riuscendo ad ottenere la libertà, afferma che la ottenne grazie ad un intervento del suo avvocato che rifornì di cocaina il magistrato Miller. Naturalmente l'abitazione di Arcibaldo Miller viene perquisita da cima a fondo e non si trova traccia di


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cocaina. Miller viene interrogato e non ricorda l'esistenza di questo Bernasconi, perché egli ha trattato 1.500-2.000 camorristi e non può ricordarseli tutti. Però, essendo un bravo magistrato, svolge il suo lavoro inquirente e scopre che non ha mai espresso un parere su Bernasconi. Bernasconi afferma: «Abbiamo fornito la cocaina a Miller perché mi mettesse in libertà», ma Miller non ha mai espresso un parere su Bernasconi.
Scende in campo un terzo pentito. Si tratta di un certo Gamberale (non il manager), il quale si autoaccusa di traffico di droga e coinvolge nell'inchiesta 200 persone che chiaramente sono tutte assolte. Il Gamberale afferma di aver frequentato Miller e di avergli rifornito cocaina. Per essere più credibile dice: «Miller si riforniva di cocaina presso la boutique Mena di Portici. Io gli consegnavo la cocaina personalmente nella sua abitazione di Torre del Greco» (poi ci soffermeremo anche sull'abitazione di Torre del Greco e sulla vicenda sorrentina). Però chi ha ispirato il pentito Gamberale non aveva sostanzialmente riflettuto su un dato. Miller arriva a Torre del Greco nel 1980: la boutique Mena, centro di spaccio di cocaina, viene bruciata nel 1978, quindi Gamberale riforniva di cocaina Miller partendo da una boutique che nel 1980 non esisteva più. Tutti questi elementi hanno provocato una campagna di delegittimazione non solo nei confronti del magistrato Miller, ma dell'intera procura di Agostino Cordova. La costruzione di questa sorta di inquisizione stalinista nei confronti di un magistrato dovrà un giorno essere spiegata.
Il magistrato è inoltre stato accusato di frequentazioni sospette con riferimento alla famiglia Sorrentino, legata alla camorra per motivi professionali e di affari. Nel 1980, come ricordato, la famiglia di Arcibaldo Miller si trasferisce da Firenze a Napoli, la moglie del magistrato insegna a Torre del Greco...

PRESIDENTE. Non l'ho mai interrotta, senatore Novi, la invito però a tenere conto che non si può parlare per un'ora e mezza.

EMIDDIO NOVI. Ho presentato una relazione di minoranza...

PRESIDENTE. Le ricordo che per regolamento la relazione di minoranza si presenta dopo quella di maggioranza.

EMIDDIO NOVI. Mi soffermo solo su due ulteriori episodi, gli altri li approfondiremo nel corso dei lavori della Commissione.
Nel palazzo dove vive la famiglia Miller c'è un insegnante di matematica collega della moglie del magistrato e cognata di Franco Sorrentino, un professionista incensurato, mai coinvolto, inquisito o condannato in inchieste di camorra con i quali vi sono rapporti di normale vicinato e che poi vengono persi di vista; dopo alcuni anni risulterà che i fratelli di questo Franco Sorrentino sono coinvolti in inchieste per camorra.
Mi sono soffermato su questa vicenda perché si collega anche all'inchiesta sulla tangentopoli napoletana, in quanto Miller, come tutti sanno, era a capo del pool che ha portato all'arresto dei fratelli Pomicino, di Poggiolini e di altri, pool di cui facevano parte magistrati di primo ordine che non erano schierati nella corrente di magistratura democratica. Bisogna tener conto anche di un altro dato: i corrotti inquisiti da Miller sono stati quasi tutti condannati, mentre quelli inquisiti dal dottor Quadrano, nemico storico del dottor Miller e del procuratore Cordova, sono stati quasi tutti assolti. Come tutti sanno, nelle vicende della tangentopoli napoletana è stato coinvolto anche il vertice del partito comunista di Napoli, tanto che Bassolino venne inviato come commissario della federazione per fare pulizia.
Vorrei adesso soffermarmi su due vicende che sembrano insignificanti, ma che stanno ad indicare il livello di degrado istituzionale della città di Napoli. Come sapete, i giornali hanno riportato che il


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questore di Napoli ha impedito che nel rione Sanità, dove domina il clan Misso, si tenesse la festa del Monacone, mentre ha consentito il regolare svolgimento della festa dei gigli a Barra, dove domina il clan che fa capo a Giovanni Aprea, in occasione della quale sono stati affissi manifesti con i quali la popolazione esprimeva «omaggio ai piccoli bambini Luigi e Gennaro Aprea». Secondo le leggende metropolitane della città, questa decisione dipenderebbe dal fatto che il clan Misso simpatizzerebbe per la destra mentre il clan Aprea sarebbe simpatizzante della sinistra.
La scorsa estate Mario Castellano, un ragazzo, viene ucciso da un poliziotto, il rione insorge, ci sono blocchi stradali e cortei e per pacificare gli animi il questore si reca a casa Castellano; nessuno lo aveva informato che la famiglia Castellano è ritenuta legata al clan D'Ausilio e che è oggetto di misure di prevenzioni in quanto considerata dedita al riciclaggio dei profitti criminali del clan D'Ausilio attraverso il supermercato di cui è titolare. Va tenuto presente che in genere il camorrista è afflitto da una sindrome paranoide: il questore si è recato in buona fede a casa Castellano, ma la sua presenza è stata letta come una sorta di legittimazione di quell'area di imprenditoria, legittimazione in seguito alla quale si è scatenata nell'area flegrea una guerra micidiale che ha portato a 15 morti ed alla costituzione di un nuovo cartello, la nuova mafia flegrea. Ho portato questo esempio per spiegare come a volte non ci si renda conto dell'insidiosità del clima della città.
Nel mese di agosto, per esempio, nel quartiere di Pianura era in atto uno scontro tra due clan camorristici: il clan Marfella che tende a scalzare quello dei Lago. La mattina del 10 agosto i miliziani del clan Marfella girano per il quartiere avvisando i ragazzi di non usare il telefonino perché ritengono che il cellulare sia utilizzato per avvertire i miliziani dei Lago a difesa del quadrilatero da questi controllato e che questo impedisca loro di avvalersi dell'elemento sorpresa; purtroppo i due poveri ragazzi assassinati, Luigi Sequino e Paolo Castagna, che abitano nella stessa strada in cui vive uno dei cognati di Lago, non sanno di questa sorta di interdizione dell'uso dei telefonini. Uno di loro chiama i genitori e i due vengono massacrati a colpi di mitraglietta dai miliziani del clan Marfella.
Mi soffermo su questi episodi che possono sembrare insignificanti perché dimostrano come vi sia un quartiere totalmente controllato dal crimine organizzato in cui i miliziani di una cosca girano intimando ai passanti di non usare il telefonino e si può finire uccisi solo per aver usato un telefono cellulare. In una città del genere, nel momento in cui i magistrati della procura di Napoli sono scesi da 121 a 93 ed il procuratore del tribunale di santa Maria Capua Vetere - un magistrato al di sopra di ogni sospetto che fu il primo ad aprire le inchieste sulla DC napoletana - minaccia di dimettersi perché il suo tribunale è alla paralisi, come può il dottor Verde sostenere che non si possono condividere le parole del procuratore Cordova perché sono allarmistiche e sono un segno di debolezza della magistratura? Come si fa a sostenere che la situazione della Campania può esser affrontata con l'ordinaria amministrazione nel momento in cui un solo fascicolo, quello che riguarda l'attività criminale dei casalesi, conta 1.600 indagati?
Per il ministro e per il Consiglio superiore della magistratura un fascicolo con 1.600 imputati vale come un fascicolo concernente un banale reato di lesioni: questa è la situazione della magistratura in Campania.

PRESIDENTE. Come vede l'ho lasciata parlare 40 minuti: è un fatto che considero un'eccezione soprattutto per rispetto dei colleghi.

LUIGI PERUZZOTTI. Ne è valsa la pena.

PRESIDENTE. Questo ciascuno lo potrà valutare. La considero comunque un'eccezione che conferma la regola.


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GIOVANNI RUSSO SPENA. Credo si debba tornare ad un giudizio complessivo sul taglio politico e sociale della relazione, e da questo punto di vista il giudizio che esprimo anche a nome dei parlamentari del mio gruppo è complessivamente positivo. Non riprenderò tutti temi della relazione, mi soffermerò solo su qualche punto che ritengo di particolare interesse, rilevo però che si tratta di una relazione che ricerca, innova, tenta di avere un respiro intellettuale ma non è priva di indicazioni concrete.
Certo, parliamo di una situazione di grande difficoltà (lo dico con amarezza anche da dirigente politico napoletano che ha lavorato a fondo su questi temi anche negli anni prima citati dal collega Novi), a proposito della quale è difficile dire che vi sia stato un percorso tutto positivo che fa intravedere oggi risultati più avanzati rispetto ieri; sul piano della legalità siamo di fronte ad un percorso a tratti migliorativo a tratti di ritorno all'indietro, e questo nella relazione viene sufficientemente evidenziato. Credo, per esempio, se vogliamo ricordare quegli anni, che la storia raccontata in maniera approssimativa - e dal mio punto di vista un po' sgangherata - dal collega che mi ha preceduto andrebbe rivisitata con attenzione. Non credo infatti che tutto sia attribuibile ad una specie di complotto giudaico-massonico-comunista...

EMIDDIO NOVI. Non ho mai sostenuto questo: è un modo stalinista di ragionare!

PRESIDENTE. Senatore Novi, lei ha parlato argomentando ed esprimendo i suoi giudizi, ora lasci agli altri la facoltà di esprimere i loro.

GIOVANNI RUSSO SPENA. Anch'io, come il collega Novi, ho frequentato il Giovanbattista Vico, una scuola di grande cultura democratica, ed ho conosciuto alcune delle persone citate poco fa. Essendo stato il mio padrino di battesimo, per esempio, conosco bene l'avvocato Botti, uno dei più grandi penalisti italiani; è una persona che rispetto moltissimo, un grande avvocato - sia pure non al livello del padre - e ritenere che possa essere dentro una spirale che parte da Magistratura democratica e arriva fino ad un liberale, mi sembra una storia che nei dati di fatto non esiste. Potrà piacere al collega della Lega che non conosce la situazione, ma per chi è napoletano e queste cose le ha vissute quotidianamente nell'ambiente professionale e accademico, certi fatti vanno quanto meno puntualizzati.

EMIDDIO NOVI. Basta leggere la replica di Cordova a Botti.

GIOVANNI RUSSO SPENA. Ho stima per Cordova pur avendo idee diverse da lui; anche nel momento in cui era in disgrazia, abbiamo difeso alcune sue posizioni addirittura come gruppo parlamentare; mi pare quindi che nessuno sia schierato pregiudizialmente.
C'è comunque un nocciolo di verità in quanto è stato detto e credo che nella relazione questo punto potrebbe anche essere accentuato. È vero che non c'è un percorso di «magnifiche sorti e progressive» dalla giunta Valenzi fino agli ultimi giorni della giunta Bassolino, ma ci sono stati momenti di grossa caduta; negli anni tra il 1975 e il 1980, per esempio, io, allora giovane dirigente, ho dato un giudizio positivo della giunta Valenzi, certamente non si può dare lo stesso giudizio dal 1980 in poi perché con il terremoto e la ricostruzione c'è stata certamente una caduta. Ho avuto l'onore di essere stato segretario di una Commissione bicamerale (quella che poi, per l'ottimo lavoro svolto, ha portato l'onorevole Scalfaro alla presidenza della Repubblica) che ha concluso i suoi lavori inviando tutti gli atti alle procure; non sempre poi di quegli atti le procure hanno fatto giustizia nel senso di indagini giunte a conclusione.
Certamente comunque vi è stato un degrado del mondo politico napoletano che ha coinvolto tutti partiti, anche una parte dei vertici dell'allora partito comunista; la storia della tangentopoli napoletana ha visto coinvolte innanzitutto le grandi imprese nazionali pubbliche e private,


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e settori politici molto precisi; basta pensare a tutti i «maneggi» sulla ricostruzione industriale a seguito dei quali in almeno il dieci per cento dei casi le fabbriche appena aperte chiudevano addirittura dopo dieci giorni. Parliamo allora sul serio di cos'è stata la tangentopoli napoletana, se vogliamo fare quella storia; non gridiamo soltanto al complotto nei confronti di un magistrato, ma facciamo la storia complessiva delle procure e del rapporto con la politica senza fare sconti a nessuno. Da uomo di sinistra dico che oggi la Sicilia dimostra come certi sconti non vadano mai fatti e personalmente non li ho mai fatti nemmeno per la Sicilia: molti anni fa in questa Commissione si è detto che i problemi esistevano e andavano posti, vi sono state dimissioni all'interno del partito comunista, vi è insomma una storia che non può essere ricostruita maniera frettolosa.
Ritengo senz'altro che in questo momento la situazione sia grave e fa bene la relazione a sottolinearlo; vi è una situazione grave che devasta il tessuto economico e sociale, che stravolge forme, modi, mezzi, finalità e anche modelli di sviluppo; non credo alle ricostruzioni accademiche a tavolino; se affrontiamo il problema delle camorre - perché sono diverse da zona a zona - troveremo, diversamente da quanto avviene nelle organizzazioni criminali calabresi, pugliesi e siciliane, una grandissima pervasività nella società civile e un fortissimo controllo del territorio. Questi sono gli aspetti fondamentali su cui mi pare che la relazione si soffermi in maniera sufficiente.
Quando nelle scuole di Secondigliano si registrano comportamenti giovanili di tipo camorristico, quando viene picchiato un docente che si è permesso di ammonire un giovane, abbiamo di fronte la pervasività di una cultura che entra nella testa dei giovani in una socializzazione devastata, in cui il comportamento imparato al bar frequentato da camorristi o in un segmento del mercato del lavoro degradato dove si dà la BMW per fare il controllore del racket dell'estorsione diventa la cultura di grande parte del quartiere. In questo senso rafforzerei la relazione: accanto al rafforzamento degli organi repressivi, magistrati e forze dell'ordine, parlerei anche di tecniche professionali di monitoraggio, quali una squadra specializzata nella cattura di latitanti come a Palermo o l'attivazione di un monitoraggio sul territorio relativamente alle estorsioni, come avevo proposto al ministro dell'interno del precedente Governo. Napoli non ha forme di monitoraggio organizzate di questo tipo, mentre sappiamo che il racket e le estorsioni sono uno dei maggiori strumenti di controllo del territorio.
Il terzo aspetto a cui la politica dovrebbe attribuire particolare rilevanza è quello della socializzazione. Si parlava prima di Bagnoli: fin quando Bagnoli ha avuto strutture e socializzazione, fin quando ci sono stati una fabbrica ed un presidio democratico, la camorra non è arrivata, perché vi erano il consultorio, i centri sociali, il centro per anziani, una costellazione di strutture aggregate attorno alla fabbrica; nel momento in cui è venuto meno il presidio democratico e si è terziarizzato completamente il territorio, dobbiamo rilevare che è diventato un terreno di libera scorreria per le bande camorristiche.
Io credo quindi che noi, come politici, dovremmo dare molta più rilevanza ad interventi che contendano alle camorre ed alle bande camorristiche l'egemonia sul territorio, soprattutto in un situazioni come quella metropolitana di Napoli. Credo che questo sia fondamentale, come lo è il ritrovare un controllo sui segmenti più degradati, più poveri e più disperati del mercato del lavoro. In questo senso apprezzo quanto si dice nella relazione, sarei però un poco più severo nei giudizi su alcune leggi e la loro applicazione. Mi riferisco, ad esempio, avendo vissuto molto dall'interno questa vicenda del mercato del lavoro a Napoli, alla parte della relazione in cui si fa cenno - testualmente - ai primi concreti provvedimenti anche legislativi adottati, indicando a titolo puramente esemplificativo la legge


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n. 285 del 1977, la legge sulla disoccupazione giovanile che a Napoli sappiamo essere stata un mezzo fallimento.
Nella relazione si dice testualmente che quei primi concreti provvedimenti, che hanno sortito indubbiamente effetti positivi, debbono essere accompagnati da ulteriori iniziative legislative ed amministrative rivolte all'universo giovanile. Al riguardo (ciò che chiedo è una sorta di emendamento, se possibile, oggi di dettaglio, ma non lo è nella futura discussione sul mercato del lavoro che faremo nella finanziaria) da un lato credo che il giudizio non possa essere così positivo (questi strumenti hanno fallito tutti a Napoli; la legge n. 285 è stata un grande fallimento, a detta anche di ministri del lavoro), dall'altro considererei un periodo più vicino rispetto al 1977 e guarderei a fondo anche al fallimento di leggi che, per quanto riguarda la metropoli napoletana, hanno fatto dei garage e dei sottoscala metropolitani (perché anche questa è camorra) addirittura delle filiere produttive del lavoro nero e sommerso, a volte schiavistico, legato all'immigrazione.
Aggiorniamo il giudizio: ai distretti emiliani e toscani abbiamo sostituito i distretti del lavoro nero e sommerso; di questo si tratta e, se avessi il tempo, potrei dimostrarlo citando le ultime indagini di grandissimi studiosi dell'economia napoletana; su questo vi sono stati convegni anche nei giorni scorsi; mi sembra un po' poco risalire, come dato esemplificativo, al dato positivo, che io non ritengo tale, di una legge del 1977. Vi è invece il fallimento di tutta la legislazione sul mercato del lavoro non solo a Napoli ma in tutto il mezzogiorno; se lo dice il ministro Salvi, forse con un po' di coraggio lo si può dire anche in questa relazione.
Ma vi è un altro aspetto di cui molto si è parlato; io come giurista mi sono sempre identificato e sono stato sempre identificato come un garantista, anche con riferimento ad episodi parlamentari clamorosi, che certamente alcuni colleghi ricordano, nei quali non mi sono attruppato con chi chiedeva facilmente le manette con riferimento a situazioni che riguardavano anche Napoli e inchieste napoletane. Credo quindi che una certa libertà di giudizio mi possa essere riconosciuta e capisco benissimo che il passo che riguarda il dottor Miller sia in qualche modo un po' anomalo. Temo soprattutto un aspetto: non tanto quello che è scritto perché quello, nell'ultima versione, certamente molto migliorativa, si limita a frasi precise contenute nelle stesse decisioni di assoluzione o di proscioglimento, anche quelle del CSM; si fotografa una situazione e questo va bene, ma se dovessi aggiungere qualche frase con un po' d'attenzione avrei una preoccupazione, che è anche dei magistrati napoletani.
Questa mattina si è parlato molto male di MD napoletana, invece è una preoccupazione anche di MD napoletana (penso ai convegni cui ho partecipato); io temo quella che può essere una delegittimazione per il futuro. Ci piaccia o no, c'è un magistrato che ancora deve poter guardare in faccia i camorristi e indagarli, per cui aggiungerei qualche parola sul fatto che quel che diciamo non deve essere inteso come una delegittimazione, che andrebbe poi a favore della camorra. Diversamente diciamo che questa persona non è degna di fare il magistrato, ma delegittimarla così crudemente, come potrebbe apparire, non è intenzione della relazione, significa fare un favore alla criminalità organizzata. In questo senso, oltre alla correzione già apportata, che mi soddisfa, aggiungerei qualche parola sul fatto che in ogni caso questo magistrato non è delegittimato dalle nostre osservazioni.
Credo invece che la relazione abbia la sua parte forte, e per questo su di essa rifondazione comunista esprime un giudizio positivo, oltre ciò che già dicevo in termini dubitativi, nel fatto che individua in maniera molto attenta non solo il rapporto tra camorra, imprenditorialità e «vecchia» politica ma anche rischi del rapporto tra camorra e «nuova» politica e si sofferma in maniera molto attenta su alcuni aspetti che ritengo essenziali, come ad esempio il rapporto tra la camorra e


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i nuovi settori di intervento, quali lo smaltimento dei rifiuti tossici, dove il raccordo con l'imprenditorialità è ampiamente dimostrato, un fenomeno nuovo, della nuova camorra che in Terra di lavoro trova un'espressione molto forte.
Credo che ci troviamo di fronte - e concludo, scusandomi per la durata di questo intervento - ad una relazione che è certamente un punto di partenza, che ci offre un metodo innovativo di indagine e - vorrei dire - anche una passione di ricerca sul piano sociale di cui credo vada dato atto al relatore. Noi la approveremo in questo senso, ritenendola appunto un punto di partenza, che ci permette ulteriori approfondimenti. Certamente, se la ritenessimo un punto esaustivo, il nostro giudizio sarebbe ovviamente più severo perché quando si parla di ricerca e di laboratorio i punti di vista debbono confrontarsi in maniera ampia. Apprezzando però il metodo e gran parte dei contenuti, il nostro giudizio è positivo per cui - questo vale anche come dichiarazione di voto - rifondazione comunista esprimerà voto favorevole sulla relazione.

ARGIA VALERIA ALBANESE. Esprimo innanzitutto un giudizio positivo sulla relazione del collega Lombardi Satriani, ringraziandolo per il lavoro compiuto. So la laboriosità che esso ha richiesto ed il suo impegno è sotto gli occhi di tutti, così come la sua umiltà nell'accogliere suggerimenti ed indicazioni da parte dei commissari.
Una relazione può sempre essere migliorata ed essa, per essere chiara e servire realmente come strumento per combattere la criminalità organizzata, ha bisogno del contributo che può venire da tutti i commissari e da tutte le forze politiche che possono qui rappresentare anche diverse sensibilità e diversi modi di porsi rispetto a questo problema.
Desidero inoltre sottolineare che la relazione offre un quadro aggiornato e chiaro che vedo in perfetta sintonia con il lavoro che sta svolgendo oggi la procura di Napoli, dal dottor Cordova che la guida e dai suoi sostituti, ai quali come napoletana sento di dover esprimere sempre il mio ringraziamento per l'impegno quotidiano che profondono in una situazione difficilissima ed insostenibile.
La relazione è molto chiara, in particolare per quello che è la situazione della criminalità organizzata nella città di Napoli, mentre credo sia ancora nebuloso l'affresco relativo all'analoga situazione esistente nei comuni della provincia. In questi anni c'è stata tanta attenzione, anche da parte del Parlamento, per l'esplosione di violenza registrata nella città di Napoli; ci si è però dimenticati molto spesso dello stato comatoso dei 91 comuni della provincia accerchiati da una criminalità organizzata forse meno violenta, certamente più intelligente e non meno pervasiva. Evidentemente anche lo stato di conoscenza degli inquirenti relativa alla situazione dei comuni dell'hinterland è ancora poco chiaro nella sua complessità e gravità. Per questo vorrei fare al riguardo una considerazione e, se possibile, porre anche alcune integrazioni.
Se nella città di Napoli, relatore Satriani, la camorra arruola giovani e adolescenti cresciuti in un ambiente malsano e privo di valori che molto spesso diventano essi stessi consumatori e tossicodipendenti, quindi poco lucidi e materia facilmente manipolabile nelle mani di questi criminali, è nei 91 comuni della provincia che la camorra ha trovato nei decenni settanta e ottanta complicità istituzionali e quel consenso sociale che lei ha denunciato a pagina 4 della sua relazione che costituisce una caratteristica di questa forma di criminalità anche rispetto alla mafia siciliana. È in questi comuni che il camorrista assume oggi quei connotati borghesi da lei giustamente sottolineati a pagina 5; ingegneri, medici e soprattutto tanti imprenditori, assessori, sindaci e finanche qualche parlamentare.
Alle pagine 14 e 15 lei ha sottolineato come nella provincia di Napoli esista oggi una pax mafiosa; in realtà questa deriva dal controllo capillare da parte della camorra di tutte le attività economiche, attraverso una sistematica attività di estorsione e di usura e soprattutto attraverso


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il controllo illimitato del mercato dei suoli che si è avuto negli ultimi venti anni. In particolare le famiglie criminali della provincia si sono tutte consolidate ed arricchite grazie al controllo delle compravendite dei terreni, alla speculazione edilizia che ha devastato il volto della provincia di Napoli, al controllo degli strumenti di pianificazione.
Gli anni in cui in alcune cittadine sono esplose forme di urbanesimo malsano (Marano, Giugliano, Melito, Casoria, Fratta Maggiore, Afragola, Sant'Antimo e Caivano) sono quelli in cui si è realizzata la grande escalation di alcune famiglie criminali che attraverso il controllo dei suoli e della speculazione edilizia reinvestivano il proprio denaro, determinando un circuito perverso. Il controllo del mercato e della destinazione dei suoli, attraverso connivenze con gli amministratori locali, ha determinato di fatto il controllo completo dell'attività edilizia e dell'indotto connesso. Oggi non c'è impresa edile nella provincia di Napoli che non sia controllata direttamente dalla camorra o che non paghi salate tangenti per ogni pietra posata.
Il controllo delle opere pubbliche consente di riciclare il denaro proveniente da altre attività illecite in forti operazioni immobiliari; basti pensare all'esplosione dei vani nei comuni di Melito e Casoria: migliaia e migliaia di vani costruiti abusivamente o con licenze in deroga concesse da amministratori compiacenti o con speculazioni dalla faccia pulita, quali l'edilizia convenzionata. Suggerirei alla Commissione un monitoraggio di questo strumento, affidato dalla legge ai comuni, quello dell'edilizia convenzionata, che in realtà nella provincia di Napoli è servito a nascondere grandi speculazioni e riciclaggio di denaro sporco.
Negli ultimi quindici anni lo scempio del territorio ha creato e complicato una realtà sociale già di per sé complessa; così si sono arricchiti i Nuvoletta, i Mallardo, i Moccia e i Verde, per non parlare poi di quello che è stato il capitolo della gestione della legge 219 in Campania. A venti anni dal terremoto sarebbe interessante fare oggi un bilancio, non nel senso in cui molto spesso i colleghi della Lega ci inducono a fare, quindi non sulla bontà delle opere eseguite che rispondevano ad una intelligente programmazione, che è stata l'unica vera programmazione svolta in trent'anni nella regione Campania, né sulla entità dei fondi utilizzati, ma piuttosto su chi, con irregolari subappalti, ha gestito queste opere incassando miliardi dello Stato.
A pagina 44, senatore, lei afferma che è più spesso il potere ad avere bisogno della camorra che la camorra del potere. La inviterei a modificare questa valutazione in questo senso: la camorra per espandersi nella realtà napoletana (parlo di questa che è quella che conosco di più, ma evidentemente la stessa valutazione può essere fatta anche per le altre province) ha avuto bisogno del potere, di un potere non ai massimi vertici, perché non aveva bisogno dei ministri, dei parlamentari o dei consiglieri regionali, ma di un potere esercitato quotidianamente nei tanti municipi, nelle tante realtà dei consigli comunali. Da lì infatti poteva avere sotto controllo lo sviluppo sociale delle realtà in cui era radicata, per esempio attraverso la mancata redazione dei piani regolatori generali. Dovete sapere che in provincia di Napoli ancora oggi vi sono comuni che dopo trent'anni non hanno piani regolatori generali e il cui sviluppo va avanti su piani di fabbricazione, con colpi di mano delle varie amministrazioni: cito i comuni di Frattamaggiore e Casandrino. Tante volte la provincia e la regione hanno inviato commissari che si sono dovuti dimettere dopo mesi di lavoro perché minacciati in quanto entravano in contrasto con i forti interessi che localmente coincidono con quelli delle grandi famiglie e della criminalità organizzata.Tra la fine degli ottanta e l'inizio degli anni novanta molti comuni delle province di Napoli e di Caserta sono stati sciolti con decreto del Presidente della Repubblica in base ad una legge voluta da un ministro dell'interno napoletano, perché in quegli anni era palpabile a tutti e non più eludibile la situazione di accerchiamento


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in cui versavano le istituzioni locali della provincia di Napoli. Oggi tutti ci invitano a fare una riflessione su che cosa hanno prodotto quei provvedimenti, su quale impatto hanno avuto sul livello di corruzione e di compromissione, non solo della classe politica locale ma anche della burocrazia. Questo è un tema ancora tutto da approfondire, che ci deve anche spingere a mettere mano alla revisione di quella legge, che molto spesso può diventare anche strumento di lotta politica (sono d'accordo con chi sottolinea questo aspetto: è successo e può succedere ancora) e soprattutto non ha determinato quei cambiamenti profondi e quelle inversioni di tendenza che sono invece necessari.
Vorrei anche qui richiamare la responsabilità delle forze politiche campane, di tutte le forze politiche, incapaci spesso di selezionare la propria classe dirigente e incapaci di fare tesoro della storia di Tangentopoli che ci ha colpito e che ha decimato tanta parte della classe dirigente di quella regione. Molto spesso le forze politiche non riescono a porre delle discriminanti serie nello scegliere i propri rappresentanti. Questo è un rischio, colleghi, che ha inquinato di volta in volta tutte le forze di governo e oggi i partiti di forte consenso sono quelli più a rischio.
Non vorrei usare espressioni forti, come sa fare il senatore Novi, le cui parole sono spesso pietre, perché credo che debba prevalere in noi la corresponsabilità che ci vede accomunati da un unico mandato popolare, ma vorrei mettere sull'avviso i responsabili delle varie forze politiche. Qualche forza politica in provincia di Napoli sta diventando una cloaca massima che raccoglie esempi di malcostume degli anni passati che noi credevamo di esserci lasciati alle spalle. Ecco il grande rischio che corrono alcune forze politiche. Al riguardo vorrei citare la realtà dei consigli comunali, che credo sia emblematica perché se su ogni discorso concernente la lotta alla criminalità organizzata oggi non si attiva, oltre che la parte repressiva anche il coinvolgimento dei comuni, che sono più vicini alla vita del cittadino, non si realizza nessuna inversione di tendenza. Sono comuni che conosco personalmente: il comune di Casandrino e il comune di Sant'Antimo. Entrambi questi comuni sono stati sciolti all'inizio degli anni novanta con decreti in cui era evidenziata una connivenza strettissima tra la classe dirigente e la criminalità locale. Il comune di Casandrino è stato sciolto, commissariato, ma dopo diversi anni, in particolare nel 1997, è successo che tutti gli amministratori citati nel decreto di scioglimento si sono ripresentati, hanno vinto le elezioni, sono tornati a disamministrare e il comune è stato sciolto nuovamente, perché erano di nuovo evidenti i rapporti tra quel consiglio comunale e la criminalità locale.
Anche in questo caso si è verificato un esempio di condizionamento del voto e di manipolazione del comportamento dei consiglieri al quale evidentemente la legge non è stata in grado di far fronte.
Altro esempio è costituito dal comune di Sant'Antimo, a proposito del quale avevo pregato il collega Lombardi Satriani di allegare il testo di una interrogazione che è ancora attuale. Questo comune ha visto nelle elezioni del 1997 ritornare in amministrazione tutti i consiglieri citati per collusione con uno dei clan più pericolosi, quello dei Verde, nonché con il clan dei Puca. Ebbene questi amministratori oggi, ancorché coinvolti in una pesantissima inchiesta della DDA di Napoli in materia di usura che mette in giogo molte persone con un traffico di decine e decine di miliardi che si muovono dal mondo della camorra al mondo degli appalti, continuano ad amministrare impuniti. Anche la procura ha difficoltà ad andare avanti nelle indagini, e ciò perché con questo sicuramente si incrocia un altro problema, quello cioè del coinvolgimento di parte delle forze dell'ordine. Nell'ultima audizione il procuratore Cordova ci ha fornito dati impressionanti sul numero degli agenti della Polizia di Stato, dell'Arma dei carabinieri e della Guardia di finanza collusi con la criminalità organizzata. Sul comune di Sant'Antimo, nei cui confronti è ancora aperta un'indagine


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della DDA di Napoli, quali informazioni può dare la locale stazione dei carabinieri se essa è ubicata proprio nella proprietà della famiglia che controlla l'amministrazione locale e che controlla in modo subdolo una parte dell'elettorato?
La pervasività di questa forza malavitosa è il dato che più spaventa e che maggiormente deve richiamare le nostre responsabilità; ed è una pervasività alla quale certo non sfuggono la burocrazia prefettizia, l'avvocatura e la magistratura. Non mi scandalizzo di quello che il senatore Lombardi Satriani ha scritto su alcuni magistrati ed in particolare sul dottor Miller. Io sono tra le persone che hanno in grande considerazione il lavoro della procura di Napoli e non credo che singoli casi possano delegittimare tale lavoro, però bisogna sottolineare che le zone di confine tra quello che è connivenza e quello che è compiacenza nella nostra realtà locale sono molto labili e frastagliate, anche da parte della burocrazia della prefettura. So di dire cose forti, ma la politica in Campania in questi anni ha pagato prezzi altissimi, forse più di tutti, rispetto alle colpevoli connivenze realizzatesi nella gestione di un determinato decennio.
Vorrei citare un caso emblematico concernente la carriera di un alto funzionario della prefettura di Napoli, già collaudatore (vi ricordate lo scandalo dei collaudi delle opere avviati ai sensi della legge n. 219?), già punto di riferimento di tutta la classe politica degli anni ottanta presso il commissariato di governo che ha gestito la legge 219 con tutte le sue luci ed ombre. Ebbene questo commissario, già inviato nel comune di Sant'Antimo all'atto del suo primo scioglimento, compiacente con i potenti dell'epoca, è stato poi più volte commissario in altri comuni sciolti per infiltrazioni camorristiche: cito il comune di Castelvolturno e oggi il comune di Afragola. Si tratta di una realtà molto difficile e complessa, teatro di scontri, che hanno distrutto intere famiglie, tra tre famiglie, i Moccia, i Giugliano e i Magliulo. Ebbene in questo comune la prefettura ha ritenuto di mandare questo alto funzionario, dal passato a dir poco discutibile e che evidentemente, per le stesse valutazioni che la relazione compie rispetto ai magistrati, non può essere al di sopra di ogni sospetto.
In questo quadro si inscrivono quindi le vicende di alcuni avvocati e magistrati. Vorrei ricordare la vicenda, anche questa oscura ed inquietante, dell'avvocato Bargi, arrestato in campagna elettorale da candidato alle elezioni politiche (ecco la responsabilità delle forze politiche!), la vicenda del magistrato Colo Lancuba e la vicenda tuttora controversa del dottor Miller.
Anch'io credo che taluni riferimenti contenuti in questa relazione sono ininfluenti rispetto alla gravità del problema di cui parliamo. Indubbiamente però abbiamo il dovere di citare questi casi anche mettendo in rilievo i pronunciamenti degli organi giudiziari e del CSM. In definitiva mi riconosco anche nei percorsi individuati dalla relazione, che richiamano del resto sia quanto richiesto con forza dal dottor Cordova e dalla procura, per ciò che riguarda lo stato in cui versa l'amministrazione della giustizia in Campania, sia la necessità di una presenza più coordinata delle forze dell'ordine. Forse come Commissione dovremmo dare anche un contributo per rivedere le funzioni ed i ruoli dei comitati provinciali per l'ordine pubblico e la sicurezza, che dovrebbero essere momenti di coordinamento del lavoro delle forze dell'ordine e invece di fatto sono solo delle conferenze stampa che probabilmente non danno un contributo risolutivo ad una integrazione del lavoro investigativo.
Vorrei infine sottolineare la necessità, per quanto riguarda la situazione della criminalità in Campania, di investire maggiormente nella sfera preventiva, non solo nella società ma anche soprattutto rafforzando il lavoro delle istituzioni locali, anche qui creando momenti di monitoraggio per aiutare gli amministratori locali che in condizioni di difficoltà cercano di resistere all'accerchiamento della criminalità organizzata ma e soprattutto per


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intervenire puntualmente per toccare subito i bubboni della corruzione e della collusione ed eliminarli.

ROBERTO CENTARO. Il mio intervento muoverà da alcuni dati specifici per poi pervenire ad una valutazione di carattere generale.
Non condivido l'indicazione che sia il Parlamento a non voler approvare la legge sui collaboratori di giustizia; è il Governo che non vuole farla approvare perché sono svariati mesi che si attende la mezza paginetta di relazione tecnica del Ministero del tesoro richiesta dalla Commissione finanze della Camera. Questo è il problema: il Parlamento vorrebbe approvare quel provvedimento, tanto è vero che in Senato ha avuto un iter costruttivo e rapido; peraltro alla Camera si era anche raggiunto l'accordo sulla vicenda dei testimoni di giustizia, che andava giustamente accentuata; tutto però si blocca nel momento in cui si richiede al Governo di fornire la relazione tecnica. Il Ministero dell'interno, dopo varie sollecitazioni, l'ha presentata, ma il Ministero del tesoro no. Il richiamo, allora, non va rivolto al Parlamento ma al Governo o alla maggioranza che lo sostiene, che non lo induce a scrivere le poche parole che mancano perché si possa arrivare ad una rapida approvazione di questa legge. Si parla di un venir meno delle collaborazioni: è evidente, perché coloro che intenderebbero collaborare non sanno che tipo di legislazione presiederà al loro rapporto con lo Stato ed in questa attesa sine die, senza indicazioni temporali precise, viene meno un apporto insostituibile per le indagini giudiziarie. Questa correzione, quindi, va fatta e questo è il bersaglio cui puntare per una corretta attribuzione delle responsabilità.
Confermo la mia assoluta avversità all'estensione alla direzione nazionale antimafia della facoltà di iniziativa in materia di prevenzione patrimoniale sulla scorta delle considerazioni già svolte in occasione della relazione sulla Calabria. La DNA ha poteri di coordinamento delle direzioni distrettuali antimafia, quindi di raccolta dei dati con possibilità di conoscenza per tutti e di collaborazione tra le varie direzioni distrettuali antimafia, altra cosa è il potere di indagine ed in alcuni casi di prevenzione patrimoniale perché tale attività si svolge dopo che è stato scoperto il reato o quando vi è un sospetto di 416-bis. Una volta che effettui queste indagini è normale che la direzione nazionale antimafia chieda di poter svolgere anche le indagini sui reati che sono stati scoperti, altrimenti l'attività sarebbe monca. In questo modo, però, si finisce per operare la scelta di un superprocuratore.
Non esprimo valutazioni positive o negative su questo istituto, però osservo che attribuendo questo potere di indagine si scardina l'attuale sistema e si apre non uno spiraglio ma una grande porta per l'ingresso di questa nuova figura. Riteniamo che l'attività propositiva debba essere attribuita anche alle direzioni distrettuali antimafia e non solo al questore, al prefetto ed al procuratore della Repubblica (io stesso ho presentato in proposito un emendamento mentre si discuteva di questa legge in Senato), ma il coinvolgimento della direzione nazionale antimafia, oltre al rischio di sovrapposizione con l'attività delle varie direzioni distrettuali, introdurrebbe la novità di cui parlavo, dobbiamo allora fare una scelta chiara.
Aggiungo che attualmente la DNA consta di 20 persone, pertanto, se ipotizziamo di attribuirgli questi poteri, dobbiamo portare l'organico ad almeno 200 persone per evitare l'incapacità dell'organismo di far fronte ai nuovi impegni, tanto più se si considera che la maggior parte dei sostituti sono applicati in tutta Italia presso le direzioni distrettuali per svolgere le indagini e rappresentare la pubblica accusa in udienza. In conclusione, mi pare necessario ripensare seriamente questa indicazione così forte.
Analogamente bisognerebbe ripensare la questione dei corpi speciali. Ricordo le difese accorate espresse in questa sede da esponenti della maggioranza della circolare Napolitano; poi ci si è resi conto che non funzionava sul campo e si è arrivati


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alla circolare Bianco che in parte riporta le cose come prima, ma non è ancora sufficiente. Mi chiedo perché si debba far venir meno la capacità reattiva ampiamente dimostrata dallo Stato; si potrebbe anche rispondere - malevolmente - che forse ciò avviene perché si era cominciato a toccare i santuari intangibili e che questi corpi speciali davano fastidio perché non erano controllabili. Ci si è comunque resi conto che con la provincializzazione dei corpi speciali la lotta contro la criminalità organizzata non è possibile proprio per lo sviluppo transnazionale della criminalità.
Un ulteriore elemento che denuncia l'assenza dello Stato a Napoli è il disinteresse per il grido dolore lanciato dal procuratore della Repubblica di Napoli, che non è stato recepito con la stessa facilità con cui sono stati ascoltati dal ministero della giustizia e dal Consiglio superiore della magistratura quelli provenienti, per esempio, da Palermo. È evidente allora che l'attenzione nei confronti di questi uffici giudiziari in prima linea, che hanno dato risultati di gran lunga superiori a quelli di altri uffici, deve essere maggiore perché se sono sempre gli stessi a tirare la carretta alla fine non ce la faranno, perché la capacità investigativa presuppone anche una resistenza psicologica del magistrato, che diventa difficile se viene lasciato a se stesso. Lo Stato allora deve scegliere da che parte vuole stare, se vuole girarsi dall'altra parte o vuole affrontare il problema con interventi concreti per far fronte alla situazione drammatica in cui versano gli uffici giudiziari napoletani e per realizzare il controllo del territorio attraverso seri investimenti in forze dell'ordine motivate che abbiano mezzi e strutture tecnologiche adeguate.
Da questa relazione non esce una rappresentazione veritiera della realtà: la realtà è che ci sono parti del territorio della Campania controllate dallo Stato, ma la gran parte è controllata dalla camorra in maniera militare in alcuni quartieri (come nel caso ricordato in precedenza di una banda che ingiungeva di non utilizzare i cellulari) ed in maniera più elegante nei quartieri alti. Il problema, quindi, è che lo Stato controlla poche parti del territorio campano mentre il resto è sotto un ferreo controllo della camorra, controllo che può essere spezzato solo se da un lato vi è una presenza concreta delle forze dell'ordine sul territorio, dall'altro vi è una risposta giudiziaria immediata, senza la quale troppi processi si concludono con le scarcerazioni perché gli organici insufficienti non consentono la celebrazione dei processi in tempi rapidi.
A questo punto il camorrista irride alle forze dell'ordine ed alla magistratura ed acquista ulteriore forza proprio perché dimostra che in pochi mesi è fuori e può continuare ad esercitare il suo potere; a questo punto i cittadini non presenteranno più le denunce perché gli conviene rivolgersi al camorrista di zona e considerare il pizzo come una sorta di costo di impresa. Questa situazione non è sufficientemente descritta dalla relazione che affronta in maniera troppo «soft» la pervasività del fenomeno. Esso nasce anche da condizioni culturali, ma in proposito vorremmo capire cosa sia fatto in questi anni per cercare di educare alla legalità le nuove generazioni, almeno nell'ambito scolastico, attraverso la presenza costante e continuativa di un'educazione diversa, cercando di far diventare le scuole delle vere e proprie oasi nelle quali i ragazzi possano rifugiarsi quando le famiglie non riescono a dare un modello culturale utile.
Certamente la relazione dovrebbe porre maggiormente l'accento anche sul fallimento della politica economica per Napoli e la Campania, che deriva dall'impossibilità di creare condizioni di sviluppo economico che non siano controllate dalla criminalità organizzata o che comunque facciano venir meno all'abbraccio mortale quella fascia di persone che, non sapendo se a mezzogiorno riusciranno ad avere un pasto, vedono come unica soluzione quella di rivolgersi alla criminalità organizzata; non credo infatti che si rivolgerebbero ad essa se trovassero un modo per ricevere un salario dignitoso.


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Vengo infine al caso Miller. I particolari non mi interessano, perché pongo una questione di principio: o entriamo nell'ordine di idee che un magistrato in servizio, che è stato prosciolto in sede disciplinare, assolto in sede giudiziaria e addirittura nominato procuratore aggiunto presso la procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere (un posto in primissima linea nella lotta alla criminalità organizzata) non possa essere interessato da dubbi altrimenti lo si delegittima - e l'aggiunta è peggio del testo originario - oppure si entra in una logica di segno diverso nei confronti di quei magistrati che per un verso o per l'altro possono avere dato fastidio o comunque non si ritengono consonanti al proprio schieramento politico oppure, al di là delle sentenze, si ritiene possano essere ugualmente sospettabili. Entriamo allora in una situazione pericolosissima perché la delegittimazione delle istituzioni porta una guerra per bande e ad una assoluta sfiducia da parte del cittadino nei confronti di tutti.
A mio parere, perciò, di coloro che sono stati assolti o prosciolti non dobbiamo parlare nel modo più assoluto, dobbiamo parlare solo di coloro che hanno avuto una sentenza passata in giudicato e per i quali, quindi, risulta formalmente che abbiano violato la legge. Non possiamo permetterci di parlare di chi sarà chiamato a sostenere l'accusa in un dibattimento.
Il centro destra è stato accusato frequentemente di avere delegittimato magistrati in servizio quando ne ha criticato l'operato a causa di una serie attività svolte, mi pare che questa sarebbe una delegittimazione ancora peggiore, perché interviene dopo sentenze di assoluzione e di proscioglimento. Allora diciamolo chiaramente: coloro che lo hanno assolto o prosciolto e lo hanno nominato procuratore aggiunto sono forse dei corrotti anche loro, sono forse dei camorristi anche loro. Andiamo alle conseguenze del nostro ragionamento logico, quella è la conseguenza; se così non è, allora il dottor Arcibaldo Miller non deve essere assolutamente menzionato anche perché diventa, in una relazione che ha l'ambizione di guardare in senso generale a tutta la problematica campana, un caso paradigmatico e francamente penso ve ne siano stati o ve ne possano essere altri ben più pesanti, se proprio dobbiamo scendere nel particolare.
Riscontro lo stesso comportamento, magari più soft o elegante, della relazione sulla Calabria. Il rapporto criminalità organizzata-politica viene riferito, anche esplicitamente perché poi il fatto di non fare nome e cognome dell'ex ministro dell'interno è cosa relativa, soltanto ad ambienti del centro, centro destra e si tace assolutamente su quella che è la commistione e la pervasività del fenomeno nel centro sinistra, che indiscutibilmente ha governato Napoli. perché poi la camorra ha più interesse all'assessore comunale che al ministro o al parlamentare, deputato o senatore, perché è l'assessore comunale che, attraverso le delibere di giunta, potrà fargli le cortesie, i favori o dargli comunque quel ritorno economico cui aspira. Di tutto questo non si parla e quando si utilizzano solo degli esempi ben precisi come paradigmatici del rapporto politica-criminalità organizzata si dà una visione troppo parziale, troppo di parte, troppo politicizzata, che non può avere certo l'ambizione di riassumere la vicenda dei rapporti con la politica.
La vicenda è tutt'altra ed è in termini di commistione drammatica che certamente riguarda tutti, ma in particolare coloro che fino a ieri ed ancora oggi governano la regione Campania, anche coloro che hanno guidato negli anni scorsi - anche svariati anni fa - la città di Napoli. Allora, o si fa un discorso sulle generali, per il quale, al di là di quelli che sono stati i processi e le commistioni, c'è certamente una pervasività del fenomeno che attinge a tantissimi tra coloro che hanno amministrato, ovvero questi esempi non hanno ragione di essere.
Ecco le ragioni che sottoponiamo al relatore affinché, ove lo ritenga opportuno possa modificare il contenuto della sua relazione; in relazione a quella che sarà la


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risposta del relatore, come gruppo forza Italia, orienteremo il nostro voto. In caso contrario, voteremo contro e presenteremo, come forza Italia e mi auguro anche come casa delle libertà, una relazione di minoranza.

GIUSEPPE SCOZZARI. Il giudizio sulla relazione sulla Campania è decisamente positivo, pur tenendo conto che alcune questioni vanno, secondo me, certamente approfondite, ma è normale in democrazia discutere e ragionare in Parlamento per trovare poi serenamente una linea di mediazione, non di compromissione, rispetto agli elementi che la Commissione ha interesse ad evidenziare nel tessuto sociale della realtà considerata, rispetto a ciò che deve farsi, a ciò che è stato fatto o non è stato fatto.
Pur avendo i poteri dell'autorità giudiziaria, il nostro non è un compito di inchiesta pura, di inchiesta oggettiva fondata su riscontri oggettivi; la nostra è e soprattutto vuole essere un'inchiesta sociale, sulle condizioni culturali ed economiche, sulle condizioni in cui versano le istituzioni in un determinato territorio, per vedere qual è il grado di eventuale commistione fra pezzi dello Stato e la camorra. Noi abbiamo il dovere di denunciare e responsabilizzare gli organi chiamati a rimuovere eventuali casi gravi, anche quelli che, a volte anche dal punto di vista giudiziario, non hanno un riscontro oggettivo.
In questo scorcio di dibattito, ma anche in quello svolto nella precedente legislatura che ho avuto modo di leggere nei resoconti, molte affermazioni importanti sono state fatte. Io intendo soffermarmi, condividendo in toto la relazione, su un aspetto particolare che più mi ha affascinato e sul quale credo che la Commissione debba porre in particolare la sua attenzione. Mi riferisco al tema del rapporto tra politica, la pubblica amministrazione e le infiltrazioni nei consigli comunali e quindi nelle istituzioni. Accenno ora a questo tema centrale per fermarmi poi sui punti molto importanti affrontati dalla collega Albanese, sui quali invito il relatore a soffermarsi con particolare attenzione laddove cita alcuni casi specifici di cui parlerò più avanti.
Ritengo innanzitutto estremamente valida ed importante la relazione nella parte in cui descrive i rapporti tra la camorra, la politica, la pubblica amministrazione e gli affari; la ritengo in particolare molto puntuale perché pone l'accento sullo stato di diffusa illegalità in cui versa la Campania, che dal 1993 in poi ha visto sostanzialmente lo Stato ed il Governo intervenire con atti forti, quali lo scioglimento dei consigli comunali. In questa parte della relazione viene tristemente messa in evidenza come un blocco politico-camorristico negli enti locali ha governato e governa le città; un blocco che vede molte volte l'inerzia degli enti preposti al controllo, dei questori, a volte delle prefetture e delle autorità di controllo amministrative; a volte si evidenzia anche il dato estremamente preoccupante della assoluta continuità di comportamento, nonostante gli scioglimenti, che pure sono un atto drammatico che interrompe il processo democratico, come se nessuno potesse far nulla, come se quell'assetto burocratico che governa una determinata città sia comunque condannato a rimanere.
Su questo aspetto ritengo che la Commissione antimafia debba porre il massimo di attenzione; se si scioglie un consiglio comunale mi pare assolutamente disarmante dire però che la classe burocratica deve continuare a governare. Questo per noi è inaccettabile in uno Stato democratico e moderno dove le responsabilità dei sindaci sono dirette e quelle dei burocrati si rivelano invece effimere che vengono ad essere confuse in un bacino di responsabilità prima di tanti e poi di nessuno.
Viene evidenziato il ricorso costante a forme di collusione e corruzione negli appalti pubblici. Allora, la prima cosa che dobbiamo chiedere al Ministero dell'interno è quale sia, in questa regione che ha avuto 36 consigli comunali sciolti, oggi nel 2000 quando non sappiamo e non abbiamo notizia di ulteriori scioglimenti o


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accessi, il suo grado di attenzione sulla situazione, se sta facendo un'inchiesta. Vogliamo sapere se in questa regione, per la quale si descrive un quadro preoccupante, terribile, allarmante, il Ministero dell'interno stia facendo qualcosa. Se non sta facendo nulla, ci dia allora notizia di una normalità, di una normalizzazione degli enti locali. Io temo invece che il fatto che non ci siano stati scioglimenti di consigli comunali non sia legato ad una normalizzazione, ma ad altro, all'indifferenza e soprattutto all'impotenza rispetto ad uno strumento.
Si evidenzia legittimamente, dicevo, che nel 2000 non ci sono stati ad oggi scioglimenti, ma allora dobbiamo capire, chiedere, investigare se ci sono accessi nelle pubbliche amministrazioni perché vedete - e faccio un passo indietro - nel momento in cui si sottolinea che il consiglio comunale di Afragola è stato sciolto per mafia e si va a leggere il decreto di scioglimento del ministro, si vede come in esso vengono evidenziate in modo drammatico le connivenze che ci sono tra il potere politico e la camorra; basta leggere gli atti dell'inchiesta in corso condotta dalla procura di Napoli che evidenzia un sistema di illiceità diffusa, un sistema criminale, che è un blocco su quella città, ma poi il TAR ha annullato il provvedimento.
Mi rendo conto che il TAR si pronuncia sulla legittimità dell'atto, ma qual è in questo caso la legittimità dell'atto, fin dove si spinge la legittimità, considerato che quegli stessi amministratori oggi sono sotto inchiesta per reati estremamente gravi? La Commissione antimafia deve porre in chiave critica il rapporto tra ciò che sta facendo il Ministero dell'interno rispetto ad eventuali accessi, se ci sono o non ci sono; se non ci sono, vogliamo sapere perché, se la situazione è normalizzata. Vogliamo capire perché il TAR si spinge fino al punto di annullare un provvedimento alla base del quale ci sono gravi connessioni fra il potere politico e la camorra, che non sono solo rilevate da un organo amministrativo come può essere il ministero, ma sono rilevate e oggetto di inchiesta da parte della magistratura penale che su quella città e in quel territorio sta mettendo a nudo alcune gravi responsabilità del potere politico.
Quando il TAR annulla un provvedimento di scioglimento e quello stesso potere politico indagato dalla procura, oggetto di un'inchiesta penale dalla quale stanno emergendo fatti gravissimi, torna a governare, quale certezza, quale sicurezza, quale fiducia possono avere i cittadini di uno Stato che ha queste due facce? Questo è un tema centrale che coinvolge il modo e la raccolta del consenso, le connessioni, il controllo del voto in quel territorio.
Per tutte queste ragioni ritengo questa una importante e straordinaria relazione che pone a nudo molte responsabilità; nelle conclusioni, però, dobbiamo essere ancora più chiari, dobbiamo porci più interrogativi rispetto ai quali dobbiamo pretendere delle risposte. Dobbiamo capire cosa avviene in quel territorio e questo lo possiamo fare, anzi abbiamo il dovere specifico di farlo, così come al ministero dobbiamo chiedere come sia possibile, considerato che le cose denunciate dalla collega Albanese sono di una gravità estrema, che il ministero stesso non si renda conto che un commissario, un alto funzionario dello Stato, il quale è stato oggetto - così mi è sembrato di capire - di indagini per reati estremamente gravi, possa andare come commissario in comuni quali Afragola, Castelvolturno ed altri comuni sciolti per mafia. Mi pare questa una disattenzione che lo Stato non può permettersi. Dobbiamo capire perché si inviano commissari che non danno sicurezza e certezza e sui quali probabilmente pende un processo penale. Quando si scioglie un comune per mafia dobbiamo mandarci funzionari assolutamente inattaccabili sotto tutti i punti di vista; questo deve essere un principio che il ministro ed i prefetti debbono tenere in altissima considerazione perché se in un comune sciolto per mafia si invia un commissario sul quale si può dire qualcosa o sul quale c'è qualche ombra, non abbiamo risolto nulla. Qualcuno dirà che


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è la continuazione, in attesa che gli altri ritornino, perché così poi è stato nel caso di Afragola e noi come Commissione non possiamo permettercelo.
Sui collaboratori vorrei dare una breve risposta al collega Centaro. Dei collaboratori per mesi la Casa della libertà ha fatto oggetto di scambio per depenalizzare altri reati, come il falso in bilancio ed altri reati contabili. Oggi per un semplice ritardo tecnico del Ministero del tesoro non ci si può venire a dire che non il Governo non vuole assolutamente che sia approvata la legge sui collaboratori. È un'affermazione eccessiva ed ingenerosa, soprattutto se fatta da un collega attento, che sa quale forza politica in Commissione giustizia ha impedito che quel provvedimento andasse avanti.
Inoltre non ho capito, quando il collega Centaro si è riferito a commistioni di interessi che coinvolgono il centro sinistra (ho testualmente annotato l'espressione), la sua affermazione secondo cui di tutto questo non si parlerebbe. Vorrei chiedere al collega Centaro, che è uscito, che cos'è «tutto questo»? È un principio generale quello per cui, siccome alcuni esponenti politici di una determinata area risultano coinvolti con la criminalità organizzata, debbano esserne coinvolti anche gli esponenti politici dell'area opposta? Siamo disposti ad inserire tutto in questa relazione, purché ci siano riscontri sui casi, sui nomi, sui cognomi, sugli atti, sulle città, sulle istituzioni. Da questo punto di vista mi pare che il collega Centaro non abbia detto neanche una parola su quale pezzo del centro sinistra aveva rapporti con la camorra. Ha parlato di assessori più esposti e più appetibili alla camorra. Lo sappiamo, ma il problema è che ci sono assessori ed assessori, assessori che cedono al ricatto e assessori che di tutto questo non vogliono assolutamente sentir parlare, respingono con forza le pressioni e per questo molte volte sono fatti oggetti di minacce e di attentati da parte della camorra. Ecco perché vorrei capire cos'è «tutto questo»!
Concludo con la vicenda più delicata e più spinosa, che è quella del dottor Miller, dichiarando che a mio parere l'emendamento alla relazione al riguardo va rivisto. Su questa vicenda dobbiamo porci un problema oggettivo, noi che abbiamo una straordinaria cultura della legalità, noi che siamo una forza democratica che governa. Il problema è che si tratta di un magistrato che oggi è nelle sue funzioni. Indubbiamente ci sono fatti assai gravi per i quali lui è stato oggetto di processo penale, e noi con grande obiettività ne parliamo nell'emendamento che il relatore ha proposto. Dobbiamo però ragionare su quello che può essere l'effetto esterno di una citazione così pesante, perché pesante è nei confronti del dottor Miller. Sull'intera vicenda inviterei ad approfondire le posizioni e tenderei a salvaguardare la funzione di magistrato piuttosto che il fatto umano che ha indotto il dottor Miller ad andare in qualche posto in cui non doveva andare. Proprio perché abbiamo la responsabilità di governare il paese tenderei a salvaguardare l'istituzione magistrato che comunque è stata oggetto di valutazioni diverse e dalle quali è uscita oggettivamente indenne; e noi dobbiamo essere rispettosi delle decisioni democratiche di questo paese.
Sulla vicenda Miller inviterei pertanto a rivedere l'emendamento alla relazione rendendolo un po' più tenue. Per il resto ritengo che sia un'importante relazione, una relazione che fa il punto serio, determinato, concreto, della situazione in Campania, che fotografa la realtà; non dice bugie, non falsa, non dà giudizi generali, dice come stanno le cose in quel territorio e dice quale deve essere l'impegno dello Stato e della nostra Commissione. Per questa ragione il giudizio di noi popolari è decisamente positivo, anche se invito il relatore, sulla vicenda sulla quale mi sono più soffermato, cioè sullo scioglimento dei comuni per problemi di collusione con la criminalità, a rimodulare alcuni aspetti, e in questo senso presenterò qualche emendamento.

MICHELE FIGURELLI. Anch'io come tutti gli intervenuti - con l'eccezione di uno, forse due - esprimo un grande


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apprezzamento per la relazione e penso che si debba ringraziare il senatore Lombardi Satriani per il rilevante contributo che egli ha fornito all'analisi, all'individuazione delle novità dal 1993 ad oggi, all'aggiornamento dei dati fino a quelli dei quali ci ha parlato il procuratore Vigna dando un rilievo alla modificazione in atto in Campania nella sua esposizione generale del 19 settembre scorso. Vorrei ringraziare il relatore anche per il rilevante contributo fornito al quadro di denunce di proposte che ci è stato delineato recentemente a Napoli dal procuratore Cordova, i cui allarmi credo debbano essere raccolti e riproposti, ed è molto utile il modo in cui il senatore Lombardi Satriani ha inserito nel suo testo alcune citazioni dirette concernenti questi allarmi. Apprezzo anche gli arricchimenti che il senatore Lombardi Satriani ha portato in una nota che qui ci è stata distribuita con riferimento al testo e contenente citazioni e annotazioni.
Sottolineo in particolare come il senatore Lombardi Satriani abbia inteso rispondere ad alcune letture mistificanti come quella che ad esempio ho avuto occasione di leggere in un titolo gridato sul Mattino di Napoli. Cito testualmente: «La Campania anticamera dell'inferno». Luigi Lombardi Satriani è stato molto chiaro nella metafora: l'inferno è la camorra. Non si può equivocare, come mi sembra abbia fatto il titolo del Mattino. Con questa metafora, anzi, il relatore ha messo opportunamente in guardia da un pericolo, cioè dalla possibilità che questo inferno possa essere paradossalmente di fatto accettato, anche quando se ne fa una radicale negazione. Ma l'importante, perché letture mistificanti di questo tipo non ce ne siano, è che proprio in testa agli appunti che ci ha distribuito Luigi Lombardi Satriani anticipi quello che è diffuso nel testo della sua relazione, e cioè un riferimento alle grandi energie del popolo di Napoli e della Campania, alle risorse, anche morali e culturali, della città e della regione, nonché alle esperienze di rinnovamento dei comuni e delle città, alle quali Luigi Lombardi Satriani ha dedicato una particolare attenzione per come ha dialettizzato nel problema molto difficile dello scioglimento dei consigli comunali il cambiamento della direzione politica con la permanenza e la rigidità della trasmissione della struttura burocratica.
Accanto a questi arricchimenti credo che altri se ne possano aggiungere, accogliendo anche dal dibattito i suggerimenti che sono venuti. Mi hanno interessato molto, ad esempio, alcuni numeri forniti dal senatore Florino e il modo in cui egli ha posto l'accento sulla repressione. A proposito della quale però io credo che bisogna trovare sempre il massimo equilibrio con la prevenzione, cui il senatore Lombardi Satriani ha dimostrato di essere molto attento.
Arricchimenti possono venire anche dall'accentuazione dell'attenzione sulla camorra come un fenomeno che non può essere ridotto a fatto locale o a mafia regionale. Questa mattina il senatore Greco ha fatto riferimenti ai numerosi e vasti collegamenti nonché alle proiezioni esterne della camorra. Inoltre l'onorevole Gatto ha fatto molto opportunamente riferimento alla questione del riciclaggio che, proprio se si guarda a queste proiezioni, dovrebbe avere un più ampio risalto e sulla quale dobbiamo gridare più forte il nostro allarme.
Proprio per l'efficacia con la quale il senatore Lombardi Satriani ha smentito il titolo del Mattino mi sembrerebbe opportuno, e rimanendo sulla linea che il senatore Lombardi Satriani ha scelto, fare una precisazione in tema di valori. Sono stato molto attento a due considerazioni svolte dal senatore D'Onofrio e dall'onorevole Albanese. Mi riferisco in particolare alle pagine 5 e 44, dove si parla dei valori borghesi e dove il senatore Lombardi Satriani evidenzia una giusta e forte contrapposizione tra le finalità, differenti tra loro, tra i valori popolari e i valori camorristici. Al riguardo credo che - la necessità si avverte dalla presenza di letture mistificanti come quella del Mattino - si potrebbe spiegare di più il senso dei valori tipicamente borghesi, che è quello dei connotati tipici della scalata


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verso le classi alte e dei valori non solo della cumulazione del denaro ma anche di quelle ricchezze e di quei particolari beni di lusso più capaci di ostentare - anche se nel peggior kitsch che si possa immaginare - potere. E credo che analoghi aggiustamenti e considerazioni potrebbero farsi su quanto detto a proposito dei valori camorristici popolari per marcare di più come la camorra abbia cercato e cerchi di appropriarsi strumentalmente di alcune categorie proprie del senso comune della gente per operare quella contrapposizione di finalità di cui Lombardi Satriani ha parlato.
A questo proposito, proprio perché in parte il senatore D'Onofrio con la sua osservazione sui valori cattolici lo ha evocato alla mia mente, ricorderei - è citato nella relazione ma io lo citerei ulteriormente - Peppino Diana, il sacerdote ucciso nella primavera del 1994. Ho fatto questa associazione di idee perché ho pensato ad una domenica di quella primavera del 1994 quando in Sicilia, nella piazza di un comune oppresso dalla mafia - dove si è ucciso ancora e dove la mafia ancora incombe perché il comune è stato sciolto per mafia, e chi era candidato ad una direzione politica di riscatto è stato ucciso due anni fa - insieme al collega Lumia abbiamo cominciato il nostro discorso dai colpi di pistola che avevano ucciso quel sacerdote. Penso anche a don Riboldi, al grande insegnamento di monsignor Nogaro vescovo di Caserta, a quei sacerdoti che hanno fatto scuola. Io e Lombardi Satriani, insieme ad altri, siamo firmatari di un'interpellanza su alcuni proiettili fatti trovare su un altare. Credo che anche fatti come questi potrebbero essere citati nella relazione, perché sono emblematici.
Mi sembra importante delineare un elemento di fondo, come un filo rosso, dell'analisi che ci è stata proposta che presenta una dialettica oggettiva ed una riflessione su due elementi: da un lato i risultati conseguiti, i colpi inferti in alcuni punti definiti eccezionali, dall'altro la resistenza flessibile della camorra, la sua capacità di riorganizzarsi quando colpita ed anche decapitata, la sua pervasività e la sua continua ricerca di nuove strade. Proprio per queste ragioni il rinnovamento del governo locale non basta. A questo proposito invito a stare attenti alla minimizzazione che è stata proposta da alcune parti: quella del governo locale e del suo cambiamento resta una condizione necessaria che non potremo mai sottovalutare, dobbiamo però sapere che è una condizione necessaria ma non sufficiente per la forza degli apparati e della burocrazia, per l'incidenza che fatti come quelli citati dall'onorevole Argia Albanese quali la mancanza dello strumento urbanistico conferiscono ai dati strutturali del potere ed al rapporto tra esso e la camorra. Non possiamo infatti identificare il potere con il Governo, perché questo è solo uno tra i poteri.
Se si vuole citare la giunta di Napoli a proposito di pervasività della camorra, come ha fatto il senatore Centaro, si dica dove, come e quando e da parte di nessuno ci potranno essere obiezioni proprio per la ricerca di tutte le contraddizioni che ci sono. Altrimenti si tratta di propaganda e credo che noi dobbiamo rifuggire dalla propaganda.
Proprio per l'importanza della questione di questi scioglimenti credo sia giusto richiamare anche nominativamente e valorizzare l'intuizione e l'iniziativa politica di Scotti, di cui ho un ricordo molto preciso e di cui ricordo anche il contributo che in un momento molto drammatico della vita di Palermo egli diede su questa linea. Lo scioglimento degli enti locali, pertanto, non è il bambino che va buttato con l'acqua sporca, ma dobbiamo insistere sulla parte giustamente critica e allarmata che il senatore Satriani ha dedicato ad un potere burocratico che resta fisso rispetto ai cambiamenti che lo scioglimento produce. Ciò è tanto più necessario in quanto in provincia di Napoli ci sono comuni che, dopo una serie di allarmi, denunce e anche circostanziati rapporti delle forze dell'ordine, tardano ad essere sciolti.
Per quanto riguarda la ricostruzione dopo il terremoto e lo scempio di Sarno,


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nel quadro del bilancio dell'attuazione della legge cui l'onorevole Albanese si è riferita forse dobbiamo dire qualche parola circa il fatto che si tarda ancora a fare piena luce su quanto la criminalità organizzata abbia inciso. Questo serve anche a rafforzare la parte propositiva della relazione, in particolare per quanto riguarda l'obiettivo oggi prioritario, quello cioè di mettere in campo un articolato contrasto delle intercettazioni mafiose delle grandi risorse degli investimenti pubblici europei, nazionali e locali del piano per il mezzogiorno.
Con riferimento alla questione delle indagini e delle misure di prevenzione patrimoniali sono molto meravigliato di quanto il senatore Centaro ha ritenuto di dover dire a proposito del ruolo della direzione nazionale antimafia; nella relazione sulla Calabria, tra le proposte si è sottolineato in particolare il punto dedicato alla grave insufficienza delle indagini e delle misure patrimoniali e si è fatto un ragionamento sulle leve da attivare per determinare un grande salto di qualità nella politica delle indagini e delle misure patrimoniali. Nel frattempo c'è stata l'audizione del dottor Vigna che è intervenuto al riguardo parlando anche delle iniziative internazionali della direzione nazionale antimafia in questo senso. Allora è solo uno slogan affermare che questa proposta nasconde la creazione di una figura di superprocuratore: non pensiamo questo, ma riteniamo sia un errore materiale consentire che le misure di prevenzione personale siano possibili e quelle di prevenzione patrimoniale no.
Affronto da ultimo la questione Miller perché ritengo che essa non debba e non possa distoglierci dall'argomento principale, mentre da certi interventi ho ricavato questa impressione. La questione Miller non può avere la centralità che quindi le si è attribuita in interventi ascoltando i quali mi sono chiesto quale era l'ordine del giorno di oggi. Dobbiamo anzi ringraziare il senatore Lombardi Satriani per aver evitato questo rischio perché, se si confronta lo spazio dedicato a questo argomento in una stesura precedente della relazione, si può verificare come sia stato ridotto a poche righe. Ritengo che dobbiamo prestare la massima attenzione ad ogni preoccupazione garantista, ma nella relazione sono inserite delle note e citazioni del magistrato che ha disposto l'archiviazione nei confronti del dottor Miller in cui si dice che è stato prosciolto nelle sedi giudiziarie e amministrative.
Nell'economia della relazione e anche per l'attenzione all'oggetto specifico della nostra attività personalmente ritengo che le ultime otto righe della proposta di correzione, quelle che fanno riferimento alla casa di appuntamenti, possano essere eliminate dal testo; ritengo infatti che dobbiamo preoccuparci delle frequentazioni di persone legate alla camorra ammesse dallo stesso magistrato nella propria autodifesa e per questo credo sia sufficiente la citazione di chi ha assolto il magistrato in questione. Lo dico anche in relazione alle righe che ho letto sotto il titolo de Il Mattino con il quale ha cominciato il mio intervento, in cui si parla della relazione di cui stiamo discutendo come di una relazione caratterizzata da una volontà di interferire nella vicenda. Raccomando perciò all'attenzione di tutti l'opportunità di ridurre ulteriormente il riferimento al dottor Miller e di precisare, laddove si parla del suo proscioglimento nelle sedi giudiziarie e amministrative, che, aldilà delle sentenze e dei giudizi, per il necessario rapporto di fiducia tra cittadini ed istituzioni c'è bisogno di comportamenti diversi da quello qui descritto e ammesso dallo stesso magistrato.

LORENZO DIANA. La relazione presentata dal collega Satriani è un buon lavoro che aggiorna la prima relazione sulla camorra stesa dall'onorevole Luciano Violante nel 1993.
Cosa è accaduto in questi sette anni in Campania? La relazione, a mio parere, risponde bene alla domanda ed al suo compito di aggiornamento dell'analisi della situazione in Campania dal 1993 ad oggi. Qual è oggi la situazione in Campania


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e qual è la forza della camorra in quella regione?
I giudizi che ho ascoltato negli interventi dei colleghi non mettono in discussione l'impianto della relazione del collega Satriani, compresi quelli dei colleghi del Polo. È questo un fatto positivo che ci può consentire di arrivare all'approvazione della relazione. C'è però un punto molto discusso, su cui si può continuare a discutere, relativo al richiamo di alcuni fatti interni alla magistratura e ad un magistrato in particolare. Ma questo è un aspetto al quanto marginale della relazione. Penso che la centralità della relazione sia il giudizio e l'analisi sulla situazione in Campania, che vorrei ora richiamare sinteticamente.
Possiamo concordare su un giudizio che mi sembra equilibrato secondo cui lo Stato dal 1993-1994 in poi ha sferrato un'offensiva forte contro la camorra in Campania, assestando colpi ben chiari che hanno portato a decapitare molti clan, ad arrestare migliaia di affiliati alla camorra; un lavoro meritorio è stato svolto in quella regione dallo Stato ed in particolare da magistrati e da uomini delle forze dell'ordine, a cui andava e va dato il pieno sostegno. In questo voglio subito dire che furono gravi ed irresponsabili gli attacchi che pur sono stati portati ai magistrati ed agli uomini delle forze dell'ordine impegnati in prima fila nella lotta anticamorra.
Oggi si può ragionare con maggior pacatezza ed equilibrio nel dare sostegno a coloro che hanno aperto un fronte nella lotta anticamorra. E attenzione, mentre in Sicilia lo Stato ha alzato la guardia molto prima, in Campania questo è avvenuto molto dopo. Infatti non solo la relazione, ma anche il procuratore Cordova bene ha fatto a sottolineare, nelle varie audizioni ma in particolare nell'ultima a Napoli, l'offensiva lanciata a partire dagli anni 1993-1994. Stiamo parlando del periodo su cui la relazione Satriani cerca di far luce.
Qual è oggi lo stato dell'arte in Campania nel rapporto di forza fra lo Stato e la camorra? Siamo forse come prima? Non mi sembra proprio che si possa affermarlo. Negli anni oggetto di esame nella relazione sono intervenute delle novità: quella dell'offensiva dello Stato, quella di una rottura politica rispetto ad un passato, che vedeva una fortissima commistione fra livelli istituzionali, politici, affaristici e criminali. È avvenuta una rottura politica rispetto al passato grazie ad una nuova leva di sindaci, di tutte le parti politiche, eletti anche grazie ad una nuova legge elettorale, e grazie ad una nuova classe dirigente che ha introdotto una risorsa positiva sul territorio campano, spezzando l'intreccio fra criminalità e politica o perlomeno ridimensionandolo.
Ma guai ad ignorare che permangono e stanno per riprendere rapporti tra la camorra e la politica; alcuni riscontri, alcuni atti giudiziari, così come alcuni passaggi della relazione Satriani chiariscono che vi è una ripresa di contatti fra camorra e politici; anche nell'arresto di Mallardo c'è il riscontro di una ripresa di rapporti tra la politica e la camorra. Non possono sfuggire i rischi di una continuità di rapporti politici, ma rispetto al passato c'è una novità politica che non può essere ignorata e che rappresenta una risorsa da cui partire per rendere più forte la lotta anticamorra in Campania.
Oggi in Campania abbiamo migliori condizioni per ricostruire una nuova statualità ed una nuova legalità, anche perché le comunità locali hanno riscoperto un senso di appartenenza, si è rafforzato un senso di responsabilità verso le istituzioni e verso le comunità, proprio grazie a quella nuova leva di sindaci e mi sembra che Bassolino sia stato uno degli emblemi di questa nuova classe dirigente; non voglio ridurre tutto ad una persona né enfatizzare il ruolo di una singola persona, ma sicuramente c'è stata una classe di sindaci, di rappresentanti istituzionali, che non è patrimonio di un unico schieramento politico e che ha reso più forte la causa della legalità sul territorio campano.
Se partiamo dal riconoscimento di alcuni punti fermi nella lotta alla camorra, diventa più facile ritrovarsi sui giudizi circa la situazione criminale della


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Campania. I colpi inferti ai clan sono indiscutibili. Mi riferisco al clan Alfieri, ad esempio, per il quale si è ipotizzato che possedesse un patrimonio di migliaia di miliardi, è stato decapitato e duramente colpito dallo Stato, al clan Nuvoletta, a quello di Bardellino e a quello dei Casalesi. In questi anni sono stati effettuati migliaia di arresti. Sono stati sconfitti i tentativi di mettere su organizzazioni federative unitarie come quelle della nuova camorra organizzata prima e della nuova famiglia poi e ciò è stato possibile grazie all'offensiva dello Stato.
Possiamo concludere su un punto: la camorra comunque ha meno forza rispetto al passato. Partendo da questo punto di vista bisogna chiudere con le posizioni di disfattismo che mirano a delegittimare l'azione di contrasto alla criminalità in Campania. Su questo punto sono critico verso posizioni che alcuni colleghi del Polo vanno continuamente sostenendo sulla stampa e talvolta anche in questa sede, secondo le quali nulla sarebbe cambiato in Campania. Qualcosa di profondo è cambiato, e questo è davanti agli occhi di tutti: c'è un nuovo livello di offensiva dello Stato contro la criminalità. Pensiamo a cosa sarebbe oggi il potere della camorra in quella regione se non fosse stato arrestato il processo di infiltrazione, espansione e talvolta occupazione delle istituzioni, nei 36 consigli comunali sciolti; e in tanti altri? Appena meno di dieci anni fa, in alcuni territori campani, i capi clan decidevano chi dovesse essere sindaco, assessore o membro di un comitato di gestione delle USL. Ecco perché credo si possa concludere su un giudizio: la camorra è stata colpita, ma certamente non è stata sconfitta, anzi è ancora troppo forte.
Noi qui non possiamo dividerci tra coloro che elogiano i risultati dello Stato e coloro che invece insistono sulla gravità della situazione. La relazione cerca di dare un giudizio equilibrato, valorizzando i risultati raggiunti, ma criticando al tempo stesso una situazione grave che è sotto gli occhi di tutti, una situazione merita di essere esaminata in modo tale da produrre un serio intervento di contrasto. Siamo consapevoli che la camorra ha potuto ricomporre le proprie fila, riorganizzare alcuni clan, effettuare un ricambio delle leve interne. Possiamo ora arrivare ad alcune considerazioni.
Abbiamo bisogno di capire perché la camorra sia oggi ancora tanto forte. Penso che vi siano alcuni punti che non possiamo assolutamente sfuggire, a partire dal carattere della camorra, che è differente dalla mafia, perché è più di massa, ha una maggiore aderenza sociale, è meno fenomeno verticale; è sempre stata storicamente un fenomeno con forti radici nella società. Anche su questo aspetto credo ci sia un'unica lettura fra noi e la magistratura impegnata in Campania, che con il procuratore Cordova, ci ha sottolineato come dal 1997 ad oggi in Campania siano stati avviati procedimenti per appartenenza a clan camorristici nei confronti di ben 12 mila persone; di fronte ad un dato come questo, c'è da presumere che l'ambiente sociale che si rapporta all'illegalità criminale sia almeno di 50 mila persone interessate. Un fenomeno di tali dimensioni non può essere risolto o superato nell'arco di pochi anni. Ecco perché sono pretestuose e strumentali le polemiche dei colleghi del Polo quando vogliono dare pagelle sommarie al Governo o sui nuovi sindaci della Campania. Chi può pensare di risolvere un fenomeno sociale che interessa oltre 50 mila persone in pochi anni?
C'è, dicevo, un carattere della camorra che va esaminato per quello che esso è. Dopo gli anni ottanta, nel dopo terremoto, la camorra ha fatto un salto di qualità; che è stato sottolineato anche da altri colleghi, in particolare da Florino. Condivido un passaggio della relazione che è ormai patrimonio di tutti: la camorra è divenuta imprenditrice, una camorra di potere, verso la quale bisogna smettere - lo dico anche al collega Florino, che ha richiamato un siffatto giudizio, ed anche ad altri colleghi del Polo - di usare categorie sociologiche. Le letture sociologiche non ci aiutano più, nella camorra ci sono ormai vere e proprie forme di potere


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consolidate sul territorio, non sii può più guardare al fenomeno criminale solo con letture depauperistiche dei bisogni che fanno nascere la camorra, ma con l'analisi dei poteri forti deviati su un territorio, che producono, generano camorra; quindi un'analisi che sappia guardare anche alla categoria dei poteri criminali sul territorio, piuttosto che a quella dei bisogni.
Nella relazione Satriani c'è un passaggio sui valori di riferimento della camorra che vorrei fosse meglio specificato. Non si può minimamente guardare alla borghesia come ad una classe che, in un modo o nell'altro, possa avere contiguità di per sè con la camorra. In Europa e nel mondo occidentale, la classe borghese è stata uno dei principali argini contro la criminalità. Penso alle situazioni della Francia, della Germania, dell'Inghilterra, dove la borghesia ha saputo essere forza d'ordine contro l'espansione della criminalità, ma anche agli Stati Uniti, dove costituisce tuttora motivo di scandalo scoprire che la ciminalità ha varcato alcune soglie del capitale. Penso che la borghesia sia una forza importante e che possa svolgere un ruolo positivo. Per questo, per quanto riguarda il riferimento alla camorra che aspira ai valori borghesi, chiederei al relatore di esplicitare meglio il pensiero perché in nessun modo si possa equivocare su una naturale predisposizione della borghesia ai valori criminali o alla contiguità con la criminalità. Abbiamo bisogno però, di affrontare la nuova camorra che c'è in Campania, una camorra di potere, imprenditrice, che poggia su 134 clan, opera per posizioni di dominio assoluto. In alcune zone la Camorra può essere definita «mafiosa» per i suoi caratteri strutturali, che somigliano sempre più a quelli della mafia.
È allarmante che in alcune zone della Campania sia ancora troppo forte il controllo del territorio da parte della camorra che si manifesta attraverso estorsioni fatte a tappeto, attraverso il controllo degli appalti e dei subappalti, e persino dei servizi resi all'industria. Voglio appunto denunciare che la camorra sta per penetrare anche nell'ambito dei servizi resi all'industria, ad aziende che prima non erano toccate da questo fenomeno. La camorra è arrivata a mettere le mani sulla rete distributiva, sulle rappresentanze commerciali, sulle forniture, sui trasporti funebri, sul mondo delle assicurazioni. Va peraltro segnalato che nel comparto assicurativo non c'è una frangia di illegalità criminale da una parte e compagnie assicuratrici vergini dall'altra; senza complicità interne alle compagnie assicuratrici non sarebbe stato possibile ciò che è accaduto in Campania e che è stato fortemente denunciato dalla magistratura, in particolare dal procuratore Cordova.
Vorrei sottolineare i tanti guasti che la camorra sta producendo sul territorio. Mi riferisco al controllo in alcuni territori del mercato fondiario. Il diritto di proprietà, che è stato affermato dopo secoli e secoli, in alcune zone della regione Campania è messo in discussione dalla camorra, dal momento che in alcuni comuni non si può vendere terreni senza passare per il clan che controlla quel territorio. La camorra ha prodotto effetti nefasti, effetti che hanno portato anche alla «desertificazione» economica di certi territori. A tal proposito non condivido un passaggio del collega Florino che arriva a dichiarare che se la camorra chiudesse le sue attività economiche si registrerebbe una situazione di grave disagio sociale in Campania. Ritengo questa affermazione assolutamente sbagliata e tale da provocare il rischio di legittimare ancora una volta la presenza della camorra. La realtà è che la camorra sta «desertificando» la regione Campania in alcuni territori e non rende possibile lo sviluppo: è la camorra che produce il sottosviluppo e non il contrario.
Sui giudizi e nelle analisi espresse nella relazione possiamo continuare a lavorare. Il relatore ci ha presentato questa mattina alcune proposte di modifica che a me sembrano positive ed altre potranno essere predisposte nei prossimi giorni per disegnare una strategia complessiva di contrasto alla camorra. L'azione repressiva dello Stato non si è potuta espletare


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in pieno per il sistema giustizia che abbiamo nel nostro paese e che con questo Governo abbiamo cercato di riformare. Abbiamo già realizzato alcune riforme ma sappiamo che altre ne occorrono. Il sistema giustizia italiano non ha retto ai maxiprocessi, non ce l'ha fatta a gestire ciò che l'offensiva dello Stato aveva prodotto. Avere arrestato migliaia di mafiosi e di camorristi ha comportato un carico di lavoro per i tribunali che non ce l'hanno fatta a reggere, al punto che ormai molti maxiprocessi stentano ad arrivare a conclusione. La lentezza di celebrazione dei processi sta determinando scarcerazioni per decorrenza dei termini, cosa che rappresenta uno dei fatti più devastanti perché fanno abbattere il livello di fiducia dei cittadini, portano alla rilegittimazione dei capiclan che tornano in libertà ed alla riaffermazione del potere camorristico sul territorio. Per queste ragioni partendo la relazione riafferma ancor più il bisogno di rilanciare un processo riformatore del sistema giustizia, che renda possibile la rapida celebrazione dei processi e garantisca alla giustizia coloro che vengono ritenuti responsabili di reati.
Un altro punto mi preme sottolineare. Perché la camorra è ancora tanto forte? Sono cambiati i sindaci, i rappresentanti istituzionali, ma non i poteri burocratici ed economici fra i quali vi sono quelli che hanno avuto collusioni con la camorra. Abbiamo bisogno di estendere l'azione di innovazione e di riforma della società e delle istituzioni perché possano essere eliminati tutti gli ostacoli all'affermazione della legalità e si possa arrivare a spezzare ancora meglio i legami tra criminalità e apparati della pubblica amministrazione nonché - perché no? - i rapporti con la politica.
Su questo punto vorrei segnalare che non è accantonato il rischio di ripresa dei rapporti tra esponenti della criminalità e rappresentanti politici: lo dimostra il fatto che in diversi consigli comunali sciolti ritornano gli stessi sindaci e gli stessi amministratori che in precedenza erano stati fatti oggetto di scioglimento di consigli comunali. Questo è un tema che il centrosinistra e il Polo possono affrontare serenamente, cominciando a guardare con obiettività a taluni casi, come quello di Afragola dove il TAR ha annullato il decreto di scioglimento. Ma vi è da registrare - come già sottolineava la collega Albanese - il rinvio a giudizio degli amministratori che erano citati nel decreto di scioglimento, un mese dopo la sentenza del TAR. Penso che questo sia un punto da riprendere e da approfondire nell'ambito della relazione.
Vi sono fatti che possono riguardare i rapporti tra forze politiche e camorra a questo proposito, nessuno di noi si può sottrarre solo perché le denunce riguardano gli amministratori della propria parte politica. Da questo punto di vista riprendo le considerazioni del collega Scozzari in risposta ad un'affermazione del collega Centaro: se vi sono fatti da riportare nella relazione del collega Lombardi Satriani siano esplicitati perché nessuno di noi intende tirarsi indietro, ma che siano fatti e non teoremi politici, del tipo «la camorra sta al potere e, poiché in diversi enti locali al potere c'è il centrosinistra, non può che esservi un rapporto tra camorra e centrosinistra». Questo sarebbe come criminalizzare la categoria degli assessori e degli amministratori; tutti sanno invece che le responsabilità non possono che essere individuali. E mi meraviglia che obiezioni di questa natura vengano da persone che si fanno paladine del garantismo e delle responsabilità individuali. Qui andremmo per categorie astratte di assessori, di sindaci o di politici. C'è modo e modo di stare in politica. Ma a questo riguardo permettetemi di richiamare esperienze che ho vissuto personalmente. Negli anni ottanta, quando alcuni di noi decisero di rompere alleanze di sinistra con il partito socialista che si era macchiato di collusioni con il clan Bardellino, a cominciare dal comune in cui sono nato, dove si arrivò ad espellere alcuni consiglieri comunali. Tutto ciò si svolse all'interno della coalizione di sinistra, e in anni non sospetti.


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Non si può dunque pensare che tutti esercitino nello stesso modo il proprio mandato politico.
Mi avvio alla conclusione richiamando alcuni punti in modo specifico. Molti degli intervenuti, ed in particolare il collega Novi, si sono soffermati sul caso del magistrato Miller. Penso che non sia consentito a nessuno strumentalizzare fatti marginali per arrivare a creare - e penso che il collega Novi abbia un obiettivo politico ben chiaro, che non ha nulla a che vedere con la lotta alla camorra e con la relazione sulla situazione criminale in Campania - uno spartiacque tra chi difende i magistrati, e in questo caso tra il Polo amico del procuratore Cordova, e il centrosinistra nemico del procuratore Cordova. Non c'è nulla di più banale, strumentale e infondato di tutto ciò. Mi sembra che finalmente si avverta di più la consapevolezza della gravità degli attacchi ai magistrati, cosa che è stata fatta continuamente in passato. Noi condividiamo le richieste che sono state avanzate con forza dal procuratore Cordova. Proprio questa mattina il ministro Fassino sulla edizione napoletana della Repubblica riconosce che sono sacrosante alcune richieste dei magistrati e risponde annunciando l'invio di 50 nuovi magistrati nel distretto di Napoli e garantendo una serie di interventi in direzione di quanto richiesto dal procuratore Cordova e da altri magistrati, come Alemi, e cioè di rafforzare gli organici del tribunale di Napoli, Santa Maria Capua Vetere, di Nola e di altri comuni. Qui non ci sono amici e nemici di nessuno. Qui c'è bisogno di creare il discrimine tra come e chi meglio possa combattere la criminalità, senza distinzione fra schieramenti politici. Per questo è estremamente nociva la posizione di un parlamentare che vorrebbe occultare una montagna enorme, quella della camorra che insiste nel nostro territorio. Il problema per qualcuno è forse qui ancora una volta una contrapposizione politica tra centrosinistra e centrodestra. Sul procuratore aggiunto Miller invece si possono usare parole e valutazioni obiettive. Non abbiamo bisogno di dividerci né di discreditare o elogiare nessuno. Il problema è quello di evitare un abbassamento della guardia e qualche volta anche comportamenti improntati alla leggerezza se non addirittura alla complicità. Scopriamo forse l'acqua calda se sottolineiamo che presso la procura di Salerno ci sono provvedimenti che riguardano magistrati? È un problema che il collega Lombardi Satriani fa bene a richiamare. Lo abbiamo fatto a Messina ed in altre località: perché non dovremmo farlo anche in Campania? Ciò non vuol dire assolutamente che questa diventa la relazione sul caso Miller; io sono totalmente contrario a questa interpretazione che viene data da qualche collega del Polo.
Io propongo di stare ai fatti, perché così si può rasserenare la discussione e smettere di sollevare polveroni strumentali. Ci sono problemi che riguardano magistrati in Campania e, per quanto riguarda il caso specifico, da una parte non può non essere richiamato il fatto che il magistrato, pur prosciolto, non ha riconosciuto totalmente infondati alcuni addebiti. D'altra non si può non tener conto del giudizio positivo che lo stesso procuratore Cordova ha dato sul procuratore aggiunto Miller e non si può non accogliere la decisione del CSM di destinare questo magistrato ad un tribunale di quella regione. Pertanto per noi il dottor Miller non può non essere legittimato a svolgere il suo lavoro in quel tribunale, ed in ciò avrà il nostro pieno sostegno perché esprimiamo una posizione di totale rispetto delle funzioni che sta svolgendo quel magistrato. Nel contempo chiediamo che in una regione con tanti rischi sia innalzato il livello di guardia da parte di tutti, della politica, delle istituzioni e persino della magistratura; per questo la vicenda Miller può essere inserita nella relazione con un giudizio di grande equilibrio e serenità in modo da mettere fine a qualsiasi rischio di strumentalizzazione, perché intendiamo presentare una relazione sulla camorra e sui rischi che corrono le istituzioni in Campania, non su altro. E su questo non possono esservi divisioni. Figuriamoci poi da quale pulpito


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dovrebbe venire la predica per ergersi a difensori della magistratura, per questo parla la storia di ciò che abbiamo fatto e di ciò che rappresentiamo sul territorio.
Per quanto riguarda le proposte avanzate, credo che dobbiamo fare tesoro delle richieste che provengono da più parti e dalla stessa magistratura campana, ponendo al centro alcune priorità, la prima delle quali è come liberare i territori della Campania da un controllo asfittico da parte della criminalità. La stessa procura di Napoli ha avanzato alcune proposte, ricordo per esempio il sostituto procuratore, coordinatore del pool del distretto di Napoli che si occupa della provincia di Caserta, il quale propose l'istituzione di alcuni presidi della Guardia di finanza per accrescere le capacità di indagine patrimoniale. Per me resta fondamentale - come ha sottolineato il presidente Lumia in un'intervista di pochi giorni fa al quotidiano Il Mattino - innalzare il livello di aggressione dello Stato nei confronti dei patrimoni criminali, così da incidere sui fattori di riproduzione dei clan. Per questo è necessario avere un'altra strumentazione di contrasto anche organizzativa sul territorio, sono necessari più uomini, con maggiore esperienza e meglio formati per le indagini patrimoniali; è necessario procedere alla revisione degli organici, come chiede il procuratore Cordova e come garantisce stamattina sulla stampa il ministro Fassino; è necessaria anche da parte della magistratura una maggiore attenzione alle misure di prevenzione patrimoniale. Vi sono anche dei rischi - lo diceva già il procuratore Vigna poche settimane fa - di ritorni economici a favore dei clan nella gestione dei beni confiscati addirittura attraverso i custodi giudiziari; questo è uno degli aspetti da esaminare per evitare che rientri dalla finestra ciò che viene cacciato dalla porta.
Ritengo poi che sia fondamentale aiutare gli enti locali ed i sindaci, questa nuova classe dirigente che si è affermata sul territorio, a disporre di tutti gli strumenti indispensabili per andare avanti, innanzitutto attraverso il ricambio di quei pezzi di burocrazia che negli anni passati siano stati compromessi con la camorra, nonché a disporre delle risorse economiche per risanare i presidi sul territorio in comuni le cui casse sono spesso dissestate proprio a causa del governo della camorra degli anni passati. È infine necessaria una azione che veda affiancate e l'opera di repressione e quella di prevenzione e di inclusione sociale, attraverso la ricostruzione delle periferie, del tessuto economico e sociale di vaste zone della regione, per aiutare quei territori ad uscire dalle situazioni di degrado in cui si trovano. Per questo, a mio parere, resta fondamentale che repressione e ricostruzione sociale della legalità procedano parallelamente. Su questi punti credo sia possibile arrivare ad un documento unitario certo non su qualche sceneggiata riferita a vicende marginali che porterebbero la Commissione lontano dai suoi obiettivi.

PRESIDENTE. Ringrazio tutti i commissari per i loro interventi. Il testo predisposto dal senatore Lombardi Satriani è un buon punto di partenza che ci mette nelle condizioni di approvare un'ottima relazione.

LORENZO DIANA. Nel mio intervento ho parlato anche dei rischi di una ripresa dei rapporti tra camorra e politica: mi riferivo a vicende richiamate nella relazione. Credo inoltre che, disponendo degli elementi necessari, si dovrà fare riferimento anche alla vicenda di un consigliere regionale, Boffa, sospeso dalle sue funzioni.

PRESIDENTE. La camorra è stata da tempo analizzata da parte di questa Commissione (la relazione Violante allora costituì un punto molto qualificato, fornite analisi, strumenti, piste di lavoro), ora abbiamo avvertito l'esigenza di tornarci sopra perché lo scenario è cambiato notevolmente dopo le inedite strategie eversive della nuova camorra e della nuova famiglia, che hanno cercato di aggredire l'istituzione e la società campana per farle diventare strutturalmente colluse ed intrecciate con essa. Abbiamo avuto delle


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reazioni utilissime, che forse mai nella storia del nostro paese si erano registrate; vi è stata un'azione incessante da parte della magistratura e delle forze dell'ordine, ma vi è stata anche una reazione della società civile organizzata, e mi riferisco al mondo del volontariato, a settori vitali della chiesa, al grandissimo e straordinario lavoro delle scuole a Napoli ed in Campania. Mi riferisco anche all'avanzare di una nuova classe dirigente in molti comuni - è stato già sottolineato - dove sindaci, assessori e consiglieri comunali hanno provato ad affermare il primato della legalità sulla collusione e sulle aree grigie che regnavano in molte realtà della Campania.
La nuova camorra e la nuova famiglia sono state abbattute nella loro strategia eversiva che cercava di mettere in ginocchio la convivenza civile e delle istituzioni democratiche, eppure la camorra si è riprodotta ed ha ripreso il suo cammino. Intorno a questo dobbiamo interrogarci e la relazione ci mette nelle condizioni di capire il perché di questa capacità di produzione, di avere una visione globale del fenomeno camorristico ed un approccio integrato in grado di contrastarlo sia nella fase di prevenzione sia in quella di repressione, ma anche in quella di « riabilitazione » della società e delle istituzioni campane. È chiaro che dei colpi ci sono stati, ne è testimonianza quanto sta avvenendo in Campania, in particolare a Napoli città: è stato spezzato il meccanismo di compattamento gerarchico della camorra. Il conflitto tra la nuova camorra e la nuova famiglia, che aveva come obiettivo l'egemonia, è stato sconfitto; ci sono stati tentativi di riorganizzazione intorno al cartello di Secondigliano, ma per la prima volta la riorganizzazione della camorra è avvenuta perché lo Stato e la società civile sono avanzati, perché le istituzioni, con in testa il sindaco Bassolino, hanno spostato in avanti i livelli di legalità presenti nelle istituzioni. Questo non era mai avvenuto prima, avevamo sempre assistito a riorganizzazioni della camorra per dinamiche interne, per processi interni di aggregazione, conflitto, scomposizione e ricomposizione; per la prima volta abbiamo ottenuto questo risultato, eppure la camorra si è riprodotta.
Credo che dobbiamo leggere le ragioni di questa riproduzione della camorra in una incapacità culturale, strategica, progettuale di colpirla modo integrato; abbiamo avuto sconnessioni tra i risultati ottenuti sul piano repressivo e giudiziario ed i ritardi nell'aggressione sul piano economico; abbiamo avuto punte avanzate sul piano istituzionale e politico e ritardi negli altri livelli. Non abbiamo mai avuto nella storia del nostro paese - e questo è il compito che la Commissione deve svolgere per tutti, al di là delle stupide strumentalizzazioni - la possibilità di trovare vie integrate, mentre abbiamo bisogno di una aggressione permanente, militare e organizzativa, alla camorra. Per questo è importante «l'operazione del golfo» che si sta organizzando a Napoli città, perché in quel contesto la camorra vive una dimensione di frantumazione che le fa esprimere violentemente la sua presenza sul territorio, e lo Stato non può tollerare che la violenza pervada la città di Napoli e sia il dato costante della manifestazione della camorra. Per questo è importante in un'azione di questo tipo, ma nello stesso tempo è importante aggredire la camorra sul piano investigativo, perché già nella provincia di Napoli, nel casertano e nel salernitano, abbiamo una presenza più compatta, più gerarchica e più pervasiva nei confronti delle istituzioni e della società civile.
Abbiamo quindi bisogno non solo di una presenza militare dello Stato che sia in grado di battere la violenza della camorra, ma anche di una presenza investigativa in grado di sconfiggere la sua strategia (che fa il paio con quella di Provenzano) basata sul tentativo non di sfidare le istituzioni e la società ma di aggredirle attraverso rapporti collusivi. Abbiamo bisogno anche di una società civile che rompa il muro dell'omertà, che partecipi e si organizzi, abbiamo bisogno di cittadini più disponibili e con più fiducia nei confronti delle istituzioni per


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accompagnare questo processo repressivo sia sul piano militare sia su quello investigativo.
Per questo è importante raccogliere, come fa la relazione, il grido di dolore che il procuratore Cordova ha lanciato, perché l'azione forte e qualificata di aggressione alla camorra da parte di questi magistrati a Napoli città deve poter essere seguita con un rafforzamento di tutti i livelli della magistratura, inquirente e giudicante, perché più si investiga, più aumenta il lavoro giudiziario e più piste di indagine si aprono; perciò è importante accogliere quel grido di dolore, chiudendo qualsiasi ipotesi polemica si dovesse aprire tra le istanze della magistratura ed i diversi livelli di Governo del nostro paese, accogliendo tutte le richieste avanzate dalla magistratura - che la Commissione ha fatto proprie in diverse occasioni - come fa questa relazione e come ha fatto il ministro Fassino.
È necessario anche aggredire economicamente la camorra: qui la relazione propone un salto di qualità, qui ci sono spazi di analisi critica dell'insufficienza dello Stato nel complesso, istituzioni e società civile. Per questo si propone il rafforzamento delle misure di prevenzione patrimoniale e delle indagini economiche; un utilizzo ferreo, qualificato e intelligente della legge Mancino per seguire i passaggi di proprietà e colpire il riciclaggio; l'attenzione alla normativa europea per sfidare la camorra nella sua capacità di riciclaggio sul piano nazionale e internazionale; una definizione della questione degli appalti. Credo che la proposta di un'authority avanzata da Bassolino ed altri sia importante, ma forse va rivisto anche il proliferare delle stazioni appaltanti che impedisce una presenza qualificata di amministratori ed investigatori nel momento cruciale della gara di appalto, che andrebbe ricondotta presso le prefetture con una presenza forte e qualificata di amministratori e di investigatori.
Abbiamo anche bisogno, nell'aggressione economica alla camorra, di una presenza qualificata della società civile, degli imprenditori, delle associazioni di categoria, delle associazioni sindacali; anche lì deve crescere la cultura che si deve sottrarre al racket, al pizzo, come ha denunciato di recente il commissario antiracket Tano Grasso. È necessario che anche lì cresca una cultura forte, in grado di accompagnare i processi, che già esistono nella economia della Campania, di legalità e di sviluppo.
Abbiamo bisogno anche di un terzo livello di attacco, che è l'aggressione sociale alla camorra. È vero, la camorra ha in sé, dentro di sé le capacità di sfoderare un fenomeno capillare, di massa; in alcune realtà addirittura popolare; ecco perché è importante il ruolo della scuola, che non parte da zero, ma che qualifica e potenzia il lavoro che è stato fatto nelle scuole napoletane, che la relazione riprende, sviluppa e continuamente riporta avanti; il lavoro dei gruppi di volontariato, il lavoro di qualificazione dei quartieri e dei territori.
Abbiamo in sostanza bisogno di nuovi profili di cittadinanza che battano quelli di sudditanza che propone la camorra. Qui il lavoro della Chiesa è importante; si citava appunto il lavoro esemplare che don Peppino Diana ha sviluppato, il lavoro straordinario che alcuni vescovi, a cominciare dal vescovo di Caserta, come in passato don Riboldi, hanno fatto e fanno su questo territorio; iniziative cui si accenna nella relazione e che vanno precisate, sviluppate e indicate come momenti esemplari per quella aggressione sociale che va portata avanti.
Abbiamo tra l'altro in Campania la qualificatissima presenza di «Libera» in Campania, che è uno strumento prezioso per dare sistematicità, con il lavoro che avvieremo il 12, al rapporto con il Ministero della pubblica istruzione che la Commissione rilancia e che diventa un paradigma di presenza sociale sistematica da realizzare anche in Campania; ma occorre anche un'aggressione politica; ecco perché è sbagliato puntarsi reciprocamente, il Polo contro il centrosinistra o viceversa. Ho notato nel centrosinistra da questo punto di vista un'attenzione maggiore; invito anche il Polo a mettere da


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parte qualunque ipotesi strumentale perché per realizzare un salto di qualità nel verificare se le amministrazioni siano o no ancora colluse, se il grado di legalità si sia innalzato o meno nei territori, nei comuni e nelle città, se vogliamo che le altre istituzioni siano ancora più rafforzate e forti rispetto alle infiltrazioni e ancora più in grado di fronteggiare e sfidare la camorra, abbiamo bisogno di un clima politico progettuale, non strumentale.
Ecco perché è importante accogliere questa relazione e fare in modo che essa sia discussa, integrata ma sostenuta; certo, vi possono essere spazi successivamente per relazioni di minoranza, questo non ci deve scandalizzare perché la storia della Commissione antimafia è scandita da questi appuntamenti, ma prima bisogna fare di tutto perché questa relazione sia il patrimonio possibile della Commissione e dagli interventi svolti fino ad ora sostanzialmente questa relazione è di tutta la Commissione, sono pochi i punti contestati.
Cito quello che più ricorre, la questione Miller. Ritengo sarà compito del relatore nella prossima seduta fornirci gli strumenti per evitare che vengono messi da parte due fatti importanti qui evidenziati: i pronunciamenti di organi autorevoli, che la Commissione apprezza, come il CSM e come i pronunciamenti giudiziari intervenuti a tal proposito e come evitare nel modo più assoluto che questo magistrato possa essere anche lontanamente delegittimato nella sua funzione, che oggi è chiamato a svolgere anche nell'incarico importante di procuratore aggiunto a Santa Maria di Capua Vetere.
Sono sicuro che il relatore ci fornirà una base di analisi e di proposta anche su questo tema in grado di fugare queste due legittime preoccupazioni, che sono di tutti, accanto a quell'altra legittima preoccupazione che dobbiamo avere, che è quella di essere esigenti nei confronti di tutti i livelli istituzionali, innanzitutto della politica ed anche degli altri livelli istituzionali, compresi i singoli casi denunciati all'interno della magistratura, per non sottacere il ruolo della Commissione antimafia che va al di là dei pronunciamenti giudiziari ma si arricchisce della sua autonoma, libera e profonda valutazione e per fare in modo che la Commissione antimafia stessa sia attenta, attentissima a non delegittimare funzioni e ruoli che nella magistratura ci sono e che sono per noi, ripeto, una risorsa in questo momento ancora oggi nella vita del paese di lotta alle mafie ed alla camorra.
Ringrazio nuovamente il relatore. La prossima volta avrà un compito importante, dovrà partire da un'attenzione positiva che ci è stata nei confronti della proposta e quindi dal lavoro prezioso qui valorizzato e fare di tutto per integrare nell'impianto della relazione i contributi che si sono avuti; poi la democrazia sarà sovrana nel determinare maggioranza e minoranza, convergenze o altri tipi di apporti. Comunque sulla camorra avremo fatto, abbiamo fatto un lavoro prezioso, sostanziale, che ha fatto discutere, riflettere, esprimere giudizi critici; per la prima volta un approccio globale con strategie in grado di colpire globalmente la camorra.
Dichiaro chiusa la discussione, rinviando ad altra seduta lo svolgimento della replica del relatore e delle dichiarazioni di voto.

La seduta termina alle 12,50.

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