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Seduta del 22/3/2001


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Audizione del presidente e del direttore generale della RAI.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del presidente e del direttore generale della RAI.
Saluto il professor Roberto Zaccaria, presidente della RAI, il dottor Claudio Cappon, direttore generale, l'avvocato Rubens Esposito, direttore degli affari legali, il dottor Pierluigi Malesani, direttore delle relazioni istituzionali e il dottor Vittorio Vitalini Sacconi, dirigente delle relazioni istituzionali. Stanno per arrivare il dottor Nava, capo ufficio stampa, e il dottor Di Loreto.
Quest'audizione, come tutti sapete, è stata decisa dal presidente, sentito l'ufficio di presidenza, in merito alle polemiche sollevate dalle trasmissioni Satyricon e Il raggio verde e a tutto ciò che in questi giorni abbiamo appreso dai giornali e dagli altri mezzi di informazione.
Cedo subito la parola al presidente Zaccaria.

ROBERTO ZACCARIA, Presidente della RAI. Non ho dichiarazioni da fare perché ritengo che i fatti e le posizioni siano state ampiamente illustrate. Credo quindi di dover dare più spazio alla Commissione per eventuali domande.

CLAUDIO CAPPON, Direttore generale della RAI. Mi associo a quanto detto dal presidente.

PRESIDENTE. Procediamo, dunque, ad un primo giro di domande.

MARCO FOLLINI. Avrei immaginato di rivolgere una domanda relativa a considerazioni che speravo il presidente e il direttore generale rendessero anche alla Commissione. In mancanza di questo, debbo fare riferimento alle cose che il presidente e il direttore generale hanno detto in sedi non istituzionali, nelle interviste e nelle chiacchierate di questi giorni.
Per quanto mi riguarda, parto da un giudizio molto severo e critico (dire «critico» è un eufemismo) sulle trasmissioni a senso unico, sulle trasmissioni militanti a cui abbiamo assistito nei giorni passati.
Ho con il presidente della RAI una vecchia consuetudine: spero che non gli dispiaccia ricordare che siamo stati insieme nel consiglio d'amministrazione di tanti anni fa. Mi è tornata in mente in questi giorni una discussione che ci ha impegnati entrambi in quella fase, con un'opinione comune riguardo al valore del pluralismo e al modo in cui il servizio pubblico si dovesse ad esso rapportare. Allora, all'interno della RAI vi era l'opinione, che il presidente Manca rappresentava, che il pluralismo fosse la composizione di spicchi di verità diverse; mentre ricordo bene che l'opinione di Zaccaria,


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così come la mia, era che ogni trasmissione e ogni operatore del servizio pubblico dovessero interpretare nel suo complesso l'esigenza di pluralismo e che esso non potesse essere la giustapposizione tra una trasmissione di opinioni unilaterali e l'altra, a fronte delle quali al telespettatore non era dato modo di esercitare lo spirito critico, di formarsi un'idea che nascesse dal confronto di più voci.
Io sono rimasto a quel punto di vista e credo che alcune cose andate in onda in queste ultime ore e in questi ultimi giorni non rispecchino quella fondamentale caratteristica, che è una regola e un dovere del servizio pubblico. Peraltro, sono convinto che chi ha a cuore le sorti della RAI debba adoperarsi il più possibile per abbassare il tasso delle polemiche politiche dentro e intorno all'azienda, in modo da ricondurre la programmazione a quei criteri che delibere su delibere della Commissione hanno indicato e che rappresentano un fondamentale dovere per l'azienda stessa.
Dico ciò perché ho sotto gli occhi una difficoltà più generale che in questa fase, in questi mesi, in questi anni attraversa l'azienda, una difficoltà che comincia ad erodere il primato degli ascolti, una difficoltà che intacca la credibilità presso la pubblica opinione (sono rimasto abbastanza colpito dai dati che qualche giorno fa ha rivelato il professor Mannheimer sul Corriere della Sera), una difficoltà che riguarda l'identità di un servizio pubblico, che si giustifica e ha fondati motivi per chiedere il versamento del canone in ragione di una sua differenza rispetto al resto del panorama televisivo. Se su questa difficoltà si innesta anche un grado di faziosità politica che, come è accaduto più di una volta, passa il segno, credo che si metta a rischio seriamente il futuro di un'azienda che è patrimonio comune del paese.
Vi sono aspetti che attengono alla politica e alla campagna elettorale, c'è una crisi di fiducia che alcuni di noi hanno avuto modo in Commissione nei giorni passati di denunciare, però richiamo l'attenzione sul fatto che il problema non è tra l'azienda e una parte del sistema politico, ma tra l'azienda e i cittadini, tra l'azienda e quanti pagano il canone. Proprio per la portata di questi argomenti e di queste difficoltà mi sarei aspettato oggi dal presidente e dal direttore generale - ma forse questo avverrà nelle loro repliche - quantomeno il riconoscimento di tale stato di cose e delle difficoltà (anche in questo caso ho voluto usare un eufemismo) che esistono, nonché l'individuazione di un percorso che aiuti ad uscirne.
Per la verità ho colto in un'intervista del direttore generale parole diverse e un giudizio fortemente differenziato sulla vicenda di Satyricon, da cui prende spunto anche questa audizione. Ho apprezzato questa differenza, ma quello che mi sta a cuore è che a partire da quella vicenda ci sia una correzione di tiro che riguardi non il rapporto tra RAI e una parte politica, ma il modo di essere del servizio pubblico.
Poiché il rito della Commissione presuppone che si rivolgano al presidente e al direttore generale delle domande, ne esprimerò due che vorrei si collocassero all'interno del quadro generale che in modo molto sommario ho cercato di delineare.
Le mie domande attengono all'attualità delle prossime ore piuttosto che di quelle passate. La prima verte su un precedente che riguarda la campagna elettorale dello scorso anno, quando, a fronte di polemiche politiche e di qualche polemica anche dentro l'azienda, fu deciso di ricondurre la trasmissione Porta a Porta sotto la responsabilità del direttore delle Tribune elettorali. La decisione faceva riferimento ad un'indicazione dell'Autorità per le garanzie nelle telecomunicazioni, ma venne accompagnata da parte dell'azienda da una convinzione favorevole, che riteneva di salvaguardare meglio le caratteristiche di pluralismo, che anche in quel passaggio venivano messe in discussione, attraverso la riconduzione non alla direzione di testata, come tradizionalmente era avvenuto, ma alla direzione delle Tribune.
Chiedo al presidente della RAI un giudizio su quella vicenda e lo chiedo


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anche con riferimento agli argomenti di cui abbiamo discusso, per la verità in toni molto pacati, questa mattina in Commissione. Lo chiedo perché credo che il minimo comune denominatore esilissimo che possiamo cercare di trovare riguardo a trasmissioni che non fanno parte dell'informazione in senso stretto e delle tradizionali forme di tribuna politica consista nel sottolineare il carattere di comunicazione che esse assumono soprattutto in campagna elettorale. Formulo una domanda su quell'esperienza perché mi chiedo se essa possa guidare questa Commissione nell'individuazione di una soluzione che eviti, per un verso, la cancellazione di programmi di approfondimento e, per un altro, l'idea che questi programmi siano sottratti a regole che abbiano una certa cogenza e offrano una minima garanzia di non cadere negli episodi assolutamente deprecabili che abbiamo alle nostre spalle.
La seconda domanda riguarda quella che è stata definita nel regolamento proposto questa mattina dal senatore Baldini «un'unità di garanzia». In questo caso, chiedo sia al presidente sia al direttore generale se ritengano che uno strumento di alta consulenza - non di gestione - su questa materia possa aiutare ad offrire garanzie che una parte politica chiede, ma che sono dovute anche all'interesse dell'azienda.

PAOLO ROMANI. Anche a me spiace che il presidente e il direttore generale non abbiano ribadito in questa sede le tesi che hanno espresso in questi giorni sui giornali. Comunque, ascolteremo poi le risposte ai nostri quesiti.
Devo dirle, presidente Zaccaria, che non abbiamo per nulla condiviso i ragionamenti che ha fatto sui giornali e che penso ripeterà in questa sede. Invece mi convince un altro ragionamento che per noi è sempre stato molto importante e cioè che il punto sta nel fatto che il pubblico televisivo, il popolo italiano ha costruito attraverso i suoi rappresentanti un sistema pubblico che deve rispettare determinate regole, che conosciamo: l'editore del pubblico è costituito da un consiglio di amministrazione, nominato dal Parlamento nei suoi massimi vertici, e da un direttore generale. Questo è l'organismo che ha il compito di applicare certe regole nel settore pubblico, regole fissate dal Parlamento che, oltre a nominare l'editore, indica alcuni principi. Tali regole sono l'imparzialità, l'apertura alle diverse opinioni culturali e politiche, il pluralismo, l'obiettività. Sono regole che non valgono in linea generale per il privato, che non è tenuto a rispettarle. Durante la campagna elettorale ci sono regole rafforzate di equilibrio e imparzialità ed è in virtù del loro rispetto che si è arrivati a chiedere - nel periodo della campagna elettorale, ripeto - non di chiudere un programma ma di sospenderlo: una scelta dovuta non al fatto che la trasmissione possa non piacere per le cose che vi si possono dire, ma al fatto che le regole che il Parlamento ha posto, regole di equilibrio e di apertura alle varie tendenze politiche, valgono per il pubblico e non per il privato, che in campagna elettorale la Commissione ha richiamato più volte al loro rispetto e che quindi devono essere rispettate.
Abbiamo sentito e abbiamo capito certe considerazioni, ma bisogna sapere quali sono le regole del settore pubblico che sono diverse da quelle del settore privato. Quindi rimangono i telegiornali, ma le altre trasmissioni dovrebbero essere sospese in omaggio a questi obblighi, che rispondono a precisi valori. Intendiamoci bene, sono valori non solo la libertà di espressione ma anche il rispetto di certe regole, quindi è necessario un equilibrio tra valori di eguale portata. In effetti, ciò che si vuole è che l'informazione sia massima, però bisogna evitare che nel periodo elettorale si faccia premio alle emozioni più che al ragionamento.
Devo dirle, presidente, che questa argomentazione, che abbiamo espresso in più occasioni, mi convince soprattutto perché la manifestò proprio lei nel 1992 quando, in occasione di una trasmissione televisiva in cui veniva dibattuta la sospensione di Samarcanda, si espresse esattamente


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in questi termini. Le chiedo oggi come mai abbia cambiato completamente idea, precisando che le parole che ho detto sono esattamente quelle del resoconto stenografico della trasmissione in questione. La cassetta è qua a sua disposizione.

ANTONIO FALOMI. Come tutti sanno, questa audizione è stata decisa dal presidente della Commissione più che «sentito» l'ufficio di presidenza, «dissentito» l'ufficio di presidenza. Comunque, abbiamo già manifestato in altra sede le nostre rimostranze per una decisione che troviamo assolutamente curiosa, perché si chiede al presidente e al direttore generale della RAI di rispondere su ipotesi, proposte, strumenti che ritengo debba essere non la RAI a decidere ma la Commissione di vigilanza; semmai, il presidente e il direttore generale debbono poi rispettare ciò che la Commissione ha deciso. Si chiede, da parte dell'onorevole Follini, al presidente e al direttore generale di ricondurre le trasmissioni di informazione dentro l'ambito della comunicazione politica, ma questa è una decisione che dobbiamo prendere noi e non la RAI; oppure si ipotizza, come si è fatto nel regolamento Baldini, una sorta di comitato di garanzia attorno al direttore generale della RAI, ma questa paradossalmente è una questione che dovete decidere voi e non noi, perché non compete a noi stabilire in che modo e con quali strumenti la RAI debba intervenire per garantire che i codici deontologici e gli indirizzi vengano rispettati.
Siamo di fronte a un'audizione che si inserisce nell'ambito di una campagna politica il cui obiettivo centrale - almeno questa è la nostra opinione - è quello di delegittimare la RAI, di rappresentare un servizio radiotelevisivo fazioso, fatto di trasmissioni a senso unico, fatto di trasmissioni militanti: questo mi pare il punto chiave della questione.
Noi abbiamo ripetuto fino alla noia dati e fatti che dimostrano che si tratta di una campagna politica priva di fondamento. So bene che i dati quantitativi sono sempre un pezzo della realtà e che come tali non dicono tutto ciò che accade, ma essi - costruiti su un arco di tempo sufficientemente lungo perché possa essere fatta una valutazione obiettiva - comunque danno un quadro impressionante di uno strapotere sul sistema radiotelevisivo italiano del leader della Casa delle libertà, di uno strapotere di presenza sull'insieme del sistema radiotelevisivo italiano delle forze dell'opposizione, di una presenza, a mio avviso equilibrata con lieve prevalenza delle forze dell'opposizione e del leader della Casa delle libertà, Berlusconi, anche nel servizio pubblico radiotelevisivo.
Questo è il dato che spesso viene contestato: ho sentito ripetere fino alla noia una sorta di favola secondo la quale un minuto del TG1 non è la stessa cosa di un minuto del TG4. I dati dimostrano che il TG1, il quale ha più ascolto del TG4, è sostanzialmente equilibrato con - ripeto - una lieve prevalenza delle opposizioni; che il TG2 è squilibrato, abbastanza significativamente, verso il Polo e che il TG3 è lievemente squilibrato a favore del centrosinistra. Complessivamente emerge un'informazione dei telegiornali del servizio pubblico che non ha alcun confronto; evidentemente, se più gente guarda il TG1 vuol dire che quella gente guarda un telegiornale equilibrato; se meno gente segue il TG4, vuol dire che guarda un telegiornale fortissimamente squilibrato.
Sono stati forniti dati ponderati con l'ascolto, i quali testimoniano che la differenza è poco significativa rispetto ai dati puramente quantitativi. Lo scandalo vero che si vuol coprire, a mio avviso, è quello di un sistema radiotelevisivo gravemente distorto nel nostro paese, fermo restando che la RAI svolge una funzione complessivamente equilibrata. Non possiamo condividere un giudizio tendente ad una rappresentazione del tutto distorta dalla realtà, che è un'altra.
La polemica alla quale abbiamo assistito, che è stata caratterizzata da una virulenza e una pesantezza notevoli, che ha visto la discesa in campo di tutti i


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massimi leader politici, è legata alla trasmissione di Luttazzi. Possiamo discutere se quella sia satira oppure non lo sia, così come possiamo discutere se quella sia la sede propria oppure no, osservo però che in Italia si vuole costruire una situazione in cui di certi problemi si può parlare sui libri (che o non vengono querelati o lo sono a scoppio ritardato) o se ne può parlare sugli organi di stampa, ma se si decide di proporli ad una opinione pubblica più ampia scatta una reazione furibonda. La questione politica è la seguente: è possibile che su certi temi - che vanno affrontati con le garanzie e i contraddittori del caso - i quali possono anche non interessare gli italiani, perché ci sono due candidati che aspirano a guidare il paese, non interessi avere il massimo della trasparenza di fronte all'opinione pubblica? Paesi democratici come gli Stati Uniti hanno inchiodato il presidente sul caso Whitewater o su quello Monica Lewinsky, su cui i mezzi di comunicazione hanno costruito interi cicli di trasmissioni, mentre in Italia se certe domande escono da un circuito limitato per essere trasmesse in uno televisivo determinano una reazione completamente spropositata.
Sono dell'opinione che devono essere concesse tutte le garanzie possibili, ossia la replica e il contraddittorio, ma non si può accettare una idea di servizio pubblico che non ponga a chiunque certi interrogativi. Nel fuoco delle polemiche dei giorni scorsi ho ascoltato una sorta di appello alla responsabilità rivolto a noi dai colleghi del centrodestra, secondo i quali scendendo su questo terreno si metterebbe in moto un meccanismo di ripicche, di contrasti e di conflitti infinito. Certo, la televisione è un mezzo di comunicazione potentissimo perché arriva in tutte le case ed ha un'influenza enorme - come sa bene Silvio Berlusconi -, ma attenzione a non confondere gli appelli alla responsabilità con gli appelli all'omertà. Gli italiani hanno bisogno di trasparenza! Possiamo sollevare tutte le critiche che riteniamo opportune, così come possiamo approfondire il dibattito sull'opportunità o meno di fare certe dichiarazioni in un modo o in un altro, ma il servizio pubblico deve difendere il diritto degli italiani alla trasparenza. Da qui discende anche la nostra valutazione, che non intendo ripetere in questa sede, sulla vicenda che ha provocato il dibattito per il quale siamo riuniti oggi.
Concludo con una notazione. Vorrei ricordare al collega Romani che si è riferito alle regole certe, all'imparzialità e alla completezza dell'informazione, come se si trattasse di principi generali riguardanti soltanto il servizio pubblico...

PRESIDENTE. In verità, l'aveva detto il professor Zaccaria.

ANTONIO FALOMI. Avevo capito male il riferimento. Ad ogni modo, i principi generali di imparzialità, di completezza e di pluralismo ispirano l'intero sistema televisivo pubblico e privato e noi siamo di fronte alla loro permanente e quotidiana violazione. Voi vi scandalizzate di una trasmissione, ma quello che accade sulle reti Mediaset da questo punto di vista è impressionante. Forse per una nostra eccessiva prudenza non l'abbiamo mai sottolineato, mentre è giusto farlo così come è giusto invitare l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni a farsene carico. Il dovere del pluralismo, della non faziosità, dell'apertura e dell'imparzialità deve riguardare l'insieme del servizio radiotelevisivo pubblico e privato.
Certo, il servizio pubblico ha dei doveri particolari ed aggiuntivi, sanciti dal contratto di servizio e dalla convenzione Stato-RAI, ma questi principi devono valere per tutti, in tutti i momenti, in tutte le occasioni e non essere invocati soltanto in presenza di interrogativi non graditi posti in una sede che può essere discutibile.

PRESIDENTE. Poiché è terminato il primo ciclo di domande, do la parola al presidente della RAI e, successivamente, al direttore generale.

ROBERTO ZACCARIA, Presidente della RAI. Non ho fatto alcuna introduzione per


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una ragione pratica, ossia l'elevato numero di presenti ed il fatto che gli eventi sui quali avrei potuto esprimere la mia opinione sono abbondantemente conosciuti, non dico notori, e in larga misura rappresentano delibere del consiglio di amministrazione che forse avrei dovuto riassumere o leggere.
Nel corso di questi tre anni abbiamo esaminato molti casi riguardanti la programmazione; in altri termini, ci siamo spesso interrogati in relazione a singoli programmi, dal processo Marta Russo alla vicenda del cardinale Giordano, ai servizi sul Gay pride, ad altri temi delicati su cui abbiamo discusso e formato un'opinione. Il caso più vistoso discusso dal consiglio di amministrazione ha riguardato la trasmissione sulla pedofilia - che ha coinvolto due telegiornali - su cui sono state espresse molte valutazioni e manifestate tensioni e contrasti. In qualche modo questi argomenti appartengono alla fisiologia di un organismo come il nostro, la cui struttura è stata disegnata da una legge approvata dal Parlamento nel 1993, che ribadisce un orientamento costante a partire dalla legge di riforma del 1975, ossia la costruzione di un sistema normativo e di garanzie intorno agli organi amministrativi della RAI basato sul principio di autonomia discendente da alcune sentenze della Corte costituzionale. Ricordo che la cesura del meccanismo di dipendenza dall'esecutivo che caratterizzava l'ordinamento precedente è stata attuata con una sentenza storica della Corte costituzionale, che ha ribadito l'autonomia degli organi di amministrazione della RAI strutturando una serie di garanzie a sua difesa. La Commissione parlamentare davanti alla quale io parlo è storicamente concepita quale garanzia dalle interferenze sugli organi di amministrazione della società, i quali sono sottoposti a meccanismi di controllo molto significativi e articolati, basati sulla durata del mandato breve, sulla sfiducia legata alla maggioranza qualificata e così via. È un sistema delicato, perché si parte dal presupposto che la radiotelevisione amministra la libertà fondamentale di espressione del pensiero ed il diritto dei cittadini all'informazione, che è l'aspetto simmetrico e contrapposto. È un principio chiave della normativa vigente che tutte le leggi succedutesi negli anni, dalla riforma del 1975 fino alle leggi più recenti, hanno ribadito, ossia la libertà di espressione, l'autonomia e il diritto all'informazione.
Il valore del pluralismo non è da intendere soltanto in un modo, ossia nel senso di offrire una visione imparziale con riferimento al dibattito ricordato dall'onorevole Follini, perché vuol dire garantire non solo le opinioni della maggioranza - quella che si può ritenere tale - ma anche le diverse opinioni presenti nel paese. Dunque, l'equilibrio che si gioca intorno al consiglio di amministrazione è delicatissimo; non a caso sono previste maggioranze qualificate per rimuoverlo, non a caso esso prescinde totalmente dal rapporto con il Governo, non a caso si ritiene debba essere difeso di fronte a possibili forme di intimidazione riguardanti i dipendenti che operano nell'azienda. Non va dimenticato che non tutte le persone sono soggettivamente fortissime, ma possono essere turbate da un determinato clima.
L'unico motivo per cui con energia abbiamo difeso certe posizioni è che queste concernevano i principi fondamentali, ossia l'interpretazione che di questi principi dà l'organo posto a presiedere l'amministrazione dell'azienda. In passato erano previsti sedici consiglieri, oggi ve ne sono cinque, i quali se agiscono legittimamente nell'esercizio dei loro poteri sono investiti di queste responsabilità. Vi deve essere una certa cautela nel controllare che tutto questo avvenga legittimamente; ma se ciò avviene, questa è la garanzia più ampia per la libertà di espressione esercitata nell'azienda. Questo è il punto che giustifica il contrasto su questi temi, perché si tratta di valori fondamentali.
Nelle domande poste sono stati ricordati miei precedenti comportamenti; sinceramente non ho ricercato la cassetta citata dall'onorevole Romani, né ho riguardato i verbali ai quali si è riferito l'onorevole Follini, dico però che siamo in


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presenza di situazioni diverse, molto diverse. Il dibattito sul pluralismo, sugli spicchi di verità o meno, riguardava il piano editoriale del 1988, che poneva al centro il tema dell'informazione. Il dibattito allora verteva sulla possibilità o meno di offrire oggi un punto di vista e tra un mese un altro, ma quando il tema è controverso il pluralismo deve essere contestuale e riguardare l'informazione. Nel caso di Satyricon parliamo di un genere da noi qualificato diversamente, cioè satira, che da un punto di vista concettuale e storico non è collocabile nella dimensione dell'informazione. Anche dal punto di vista costituzionale - non dovrei ricordarlo in questa sede - i limiti che si pongono alla satira nei confronti della diffamazione (la giurisprudenza è costante sotto questo profilo) sono molto più leggeri. Nel nostro ordinamento la diffamazione non è sempre garantita nello stesso modo: quando lor signori si esprimono, sono tutelati dall'insindacabilità, che riduce i diritti soggettivi delle persone che sono di fronte alle loro manifestazioni del pensiero, espresse in sede parlamentare e non. In alcuni casi specifici si assiste ad una riduzione per un valore superiore. Nel caso della satira la diffamazione opera con limiti più leggeri, perché si ritiene che essa sia un valore da tutelare; la satira non è informazione. Quindi, non abbiamo mai espresso quegli indirizzi sul pluralismo con riferimento alla satira, perché chiedere ad essa il pluralismo - sia esso a spicchi oppure no - non ha senso, come non ha senso confrontare la mia posizione sulla vicenda Samarcanda, che è stata per me motivo di particolare sofferenza, come lo sono gli interventi sulle trasmissioni, non per esprimere un giudizio critico, ma per interromperne la programmazione. E nella storia della RAI gli interventi di questo genere si contano sulle dita di una mano.
Il caso Samarcanda probabilmente lo ricorderete: era stato ucciso Salvo Lima; il giorno stesso, o il giorno dopo, la situazione a Palermo era ancora caldissima. Fu fatta una trasmissione in piazza a Palermo. Un giornalista si alzò, prese il microfono (chiedo scusa di qualche leggera imperfezione che dipende dalla mia memoria) e si rivolse al pubblico presente dicendo - in pratica di fronte alla salma di Salvatore Lima -: «Avreste ucciso Salvatore Lima o avreste in qualche modo condiviso questo delitto?». Era una domanda che al consiglio di amministrazione dell'epoca, di cui facevo parte, non sembrò giustificata per una trasmissione di informazione come era Samarcanda. Resto dell'avviso che su queste cose si possono nutrire opinioni differenti, ma il consiglio di allora arrivò a quella conclusione, sofferta come ogni decisione del genere. Esprimere un giudizio eventualmente critico su un programma è diverso dal determinare l'interruzione di una linea di programmazione.
La cassetta citata si riferisce quindi ad un caso di informazione, mentre oggi siamo in una situazione diversa e siamo consapevoli di questa diversità. Non posso affermare che il caso in questione si può giudicare alla luce dei precedenti perché pensare di applicare il pluralismo alla satira è molto difficile, anzi credo sia impossibile.
Certo, dovremo vedere quali sono i valori in gioco. Ma chi di noi non ricorda le discussioni ed i contrasti che ci furono nel paese dopo le trasmissioni di Fo? Ricordiamo il clima che c'era quando Fo faceva i suoi monologhi, che oggi sono tutti considerati appartenenti alla storia, anche perché ha avuto il Nobel, oppure quando parlavano Grillo o altri personaggi del genere. Non cito Benigni perché ormai, avendo ricevuto l'Oscar, non è più attaccabile.
I casi di questi soggetti sono stati tutti al centro di tensioni fortissime. Non è strano che sia così. Voglio, in un certo senso, relativizzare la posizione della RAI: questo consiglio di amministrazione, a maggioranza (certo lacerandosi, ma d'altra parte in un sistema democratico o c'è la maggioranza o c'è l'anarchia), si è assunto la responsabilità di dire che il programma apparteneva alla satira e ha ritenuto che non fossero giustificati i due provvedimenti richiesti, vale a dire l'interruzione


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dello stesso a finalità sanzionatorie o addirittura la rimozione del responsabile del programma. Questo è ciò che l'attuale consiglio di amministrazione non ha accettato, e non lo ha fatto a cuor leggero, ma consapevole dell'esistenza di un grande problema e della sua delicatezza.
Si è svolto un dibattito, che ho seguito con molta attenzione, sull'ipotesi che all'interno di un programma di satira si possa distinguere fra quest'ultima e l'informazione, fra la satira fatta o meno con buon gusto, eccetera. Voi pensate che in altre epoche, per arrivare a criminalizzare la satira, non si facessero operazioni di questo tipo, isolandone un pezzetto e dicendo che esso non era di buon gusto? Il buon gusto risponde al canone valutativo di un soggetto, ma noi dobbiamo tener conto della diversità delle valutazioni: corriamo dei rischi con la satira, ma crediamo che essa sia anche un valore. Il consiglio ha affrontato con sofferenza questi problemi e si è lacerato, come è avvenuto in altre occasioni: quello però è stato il giudizio che ha dato sulla vicenda.
Per quanto riguarda l'immagine della RAI, Follini ha citato Mannheimer; noi disponiamo di altre indagini che danno della RAI una valutazione molto più positiva. Sono in possesso di indagini Makno e di altri enti che affermano sostanzialmente che la RAI ha una credibilità nel paese molto superiore a quella di qualche anno fa: ci troviamo insomma su un territorio sul quale ci si può confrontare, ma non abbiamo certezze. Credo che per un'azienda come la nostra sia molto più importante essere al centro del dibattito anche degli esperti di televisione perché propone programmi di informazione o di satira che fanno discutere, piuttosto che per il fatto di diffondere programmi come Il grande fratello. Penso che questo sia un elemento di grande ricchezza e non qualcosa che debba crearci turbamenti: è il rischio dell'informazione.
Passando alle domande specifiche, non credo che il riferimento alle vicende di Porta a Porta ci aiuti molto. Se non vado errato - anzi sono piuttosto sicuro di questo fatto - questa Commissione giudicò Porta a Porta programma di informazione e di approfondimento. Sapete meglio di me che esistono quattro categorie, previste dalla legge sulla par condicio: news, approfondimento informativo, comunicazione politica e messaggi autogestiti, che si trovano in una correlazione molto particolare soprattutto per quanto riguarda l'azienda pubblica.
Tutte le categorie sono tutelate dalla Costituzione: le news e l'approfondimento informativo rientrano nel principio della libertà di espressione di un'impresa; ogni intervento limitativo su tale libertà cozza frontalmente con l'articolo 21 della Costituzione. La comunicazione politica riguarda invece un altro profilo della libertà di espressione, vale a dire l'obbligo che per effetto di una legge varata dal Parlamento hanno i soggetti di dare informazioni a tutti durante la campagna elettorale. Mentre nel primo caso siamo di fronte ad un diritto, in questo siamo al cospetto di un obbligo. Questi due elementi non possono essere scissi perché sono entrambi fondamentali.
La vicenda di Porta a Porta non è da ripetere: la Commissione parlamentare ha deciso che si tratta di approfondimento informativo, mentre l'Authority ha ritenuto si trattasse di comunicazione politica. L'ambiguità nasce dal fatto che due soggetti con competenze diverse esprimono giudizi differenti. Questo per un'azienda è un problema; ma la mia opinione netta sull'argomento è che Porta a Porta fosse e debba restare una trasmissione di approfondimento informativo, come le altre cinque trasmissioni del genere che abbiamo. La comunicazione politica si aggiunge a tutto ciò: il concetto di fondo che abbiamo espresso è che in campagna elettorale non si devono chiudere linee informative, anzi bisogna aggiungerne, perché rappresentano una ricchezza. Su questo aspetto resto profondamente convinto dell'opinione che ho espresso.


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Quanto all'unità di garanzia, devo dire con franchezza che il discorso cambia molto. Innanzitutto, questa espressione mi pare un po' fantasiosa. Il consiglio di amministrazione della RAI ha chiari compiti di garanzia: i regolamenti che questa Commissione ha varato, anche quello dello scorso anno, prevedevano, quanto alla responsabilità in ordine all'applicazione di tali regole, che il consiglio di amministrazione e il direttore generale sono impegnati, nell'ambito delle rispettive competenze, ad assicurare l'osservanza delle indicazioni e dei criteri contenuti nel regolamento stesso.
La Commissione emanerà il regolamento e noi lo applicheremo in osservanza del regolamento stesso e della legge; rispetto a tutto ciò, avremo responsabilità scalari tra il consiglio di amministrazione, che è l'organo di garanzia dell'azienda, ed il direttore generale, che è il soggetto che risponde al consiglio di amministrazione ma è investito della gestione dell'azienda stessa.
Mi pare del tutto possibile che il consiglio di amministrazione ed il direttore generale, nell'ambito delle rispettive responsabilità, si dotino di strumenti (si chiamino esse commissione, task force o in altro modo) per garantire l'applicazione delle vostre e delle nostre direttive; che questo però sia imposto da un regolamento mi parrebbe in contrasto con i principi di organizzazione.
Credo di aver risposto alle domande che finora mi sono state poste.

CLAUDIO CAPPON, Direttore generale della RAI. Per quanto riguarda i temi di carattere generale sollevati, credo di poter semplicemente ricordare quanto ho detto a questa Commissione all'atto della mia presentazione dopo la nomina e cioè che ho la piena consapevolezza che la RAI, svolgendo un servizio pubblico, debba avere presso tutti i cittadini una forte identità e legittimazione. Mi pare di aver usato un termine forse un po' enfatico, ma che credo rendesse sinteticamente questo concetto, quando ho detto che la RAI deve essere «amata» dai cittadini. Questa è la sola preoccupazione che ho avuto anche nelle espressioni pubbliche che sono state citate.
Per quanto riguarda il tema delle regole e dei comportamenti dell'azienda rispetto alla campagna elettorale, esiste un'articolazione delle fonti: ci sono le leggi, le disposizioni della Commissione parlamentare (che più sono esplicite e chiare e maggiormente rendono facile l'attuazione di queste disposizioni per l'azienda), le decisioni del consiglio di amministrazione che ha una specifica competenza in questo campo in termini di indirizzi.
Credo altresì che tutto ciò che è stato accumulato in questi anni in termini di esperienza e anche di comportamenti pratici da parte dei professionisti dell'azienda sia di grande utilità. In larghissima misura i dipendenti, gli operatori ed i professionisti della RAI sono pienamente consapevoli dei comportamenti cui si debbono attenere in queste situazioni di particolare delicatezza e sono dotati di sufficiente senso di responsabilità per attuarli.
Per quanto concerne poi l'esecuzione, cui come organo di gestione sono tenuto, di disposizioni auspicabilmente facili da interpretare, ritengo che la complessità dell'azienda, la sua articolazione, la vastità della sua offerta suggeriscano la costituzione di uno strumento tecnico che faciliti tale attuazione. Mi riferisco ad un organo tecnico di consulenza, dotato di competenze su discipline adatte, che immaginavo potesse essere posto sotto la presidenza di una figura dotata di particolari caratteristiche di serietà e di imparzialità capace di aiutare la direzione generale nel suo lavoro e rappresentare un punto di riferimento per le stesse strutture di programmazione, che a loro volta hanno spesso la necessità di consultarsi sul modo in cui comportarsi in specifiche circostanze. Tale organo potrebbe quindi contribuire ad attuare pienamente e serenamente gli indirizzi forniti, dando anche suggerimenti, se del caso, per i comportamenti da tenersi e le rettifiche che si


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dovessero effettuare. Questo è l'intendimento che mi ponevo come direttore generale.

PRESIDENTE. Prego i colleghi, in considerazione dell'elevato numero di coloro che hanno richiesto la parola, di rivolgere ai nostri ospiti domande precise e di essere i più sintetici possibile nei loro interventi.

MARIO BORGHEZIO. Il presidente della RAI - di questo lo ringrazio - ha effettuato una dissertazione giuridica, che personalmente ho molto apprezzato, sulle finalità del complesso giuridico e normativo in cui si inquadra il sistema pubblico radiotelevisivo, complesso che definisce, anche ai sensi della nostra Costituzione, le garanzie e le cautele poste a presidio della libertà di espressione.
Egli ha fatto cenno all'enorme delicatezza del tema e al sistema di cautele che il nostro ordinamento prevede con riferimento al sistema pubblico radiotelevisivo. Ho con me un ritaglio del Corriere della Sera che leggo testualmente: «'Le richieste per le mie dimissioni? Panna montata'. Così ha risposto ieri Roberto Zaccaria, presidente RAI, ad un cronista che a Perugia lo sollecitava sulla crisi della TV pubblica. E Zaccaria non è uomo che parla a caso. Soprattutto se insiste su un punto, come sta facendo da almeno un mese, dall'addio di Pierluigi Celli in poi e in particolare nelle ultime ore: 'Resterò fino al febbraio 2002, ogni giorno che passa aumenta la mia determinazione a restare'».
Siamo di fronte ad una crisi della TV pubblica. Una metà del paese (parlo di quella politica) è insorta come un sol uomo in seguito ad una serie di episodi concatenati che hanno dato luogo in sede politica ed istituzionale a richiami diretti e indiretti del Presidente della Repubblica e addirittura ad una presa di posizione del Presidente Violante in ordine agli insulti verso l'Italia formulati nel corso della trasmissione di Luttazzi. Rispetto a questa complessa e delicata situazione di contestazione del ruolo e della gestione complessiva del sistema radiotelevisivo pubblico, chiedo al presidente Zaccaria perché si ostini a non fare il passo che metà del paese gli chiede di compiere, vale a dire dimettersi.
Passo ora ad una serie di domande sintetiche. Uno dei colleghi intervenuti ha richiamato il dovere della RAI di fare informazione ed ha difeso la trasmissione cosiddetta di satira ed il dialogo Luttazzi-Travaglio dicendo che sono argomenti dei quali si deve parlare nella RAI perché se non c'è spazio da una parte lo si deve trovare nell'altra, e nessuno deve scandalizzarsi per questo.
A proposito di questo ragionamento, chiedo perché nelle trasmissioni di approfondimento non si sia dato spazio al più grande affaire degli ultimi anni, quello Telecom-Serbia. Le ho già posto questa domanda e lei mi ha inviato una cortese lettera nella quale elencava i telegiornali in cui si sono date notizie sull'argomento. Sono state presentate interrogazioni parlamentari e un presidente di gruppo parlamentare di opposizione ha intrecciato una polemica fortissima con il ministro degli esteri: ci mancherebbe altro che nei telegiornali non ve ne fosse traccia; fortunatamente non siamo in Bulgaria.
Insomma, perché a questo affaire non è stato dedicato alcun approfondimento? Non si è trovato spazio? Mi sposto temporaneamente dalla parte di coloro ai quali piacciono i temi politici nelle trasmissioni di satira: vivaddio, anche in una trasmissione di questo genere si poteva parlare dell'argomento, se esse devono rappresentare - come sostiene una certa parte - un contenitore degli argomenti per i quali non si trova spazio nelle trasmissioni di approfondimento. Non avete nessuno da Belgrado che possa illustrare ciò che ormai la stampa nazionale ed internazionale tratta? Si potrebbe intervistare il nostro ex ambasciatore a Belgrado: l'hanno relegato a Cipro, ma si tratta sempre dell'area mediterranea e quindi poteva essere raggiunto in qualche modo. Sono questi i fatti che delegittimano la RAI e non le polemiche dell'opposizione.


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Un'altra domanda. Lei ha contestato i riferimenti del collega Romani all'indagine svolta da Mannheimer sulla delegittimazione della RAI. Vorrei sapere quanto sono aumentate le disdette del canone RAI in queste ultime settimane rispetto al trend normale. Sarebbe un dato molto interessante per consentire a tutti di formarsi un'opinione basata sui numeri.
Il presidente della RAI non è ingeneroso di esternazioni con i giornali su queste vicende. Vorrei allora sapere perché non ha ritenuto di dare una chiara, completa e trasparente informazione su un argomento di cui tutti parlano in ambiente radiotelevisivo. Mi riferisco agli addebiti che una parte rilevante della dirigenza RAI muove al capo delle divisioni 1 e 2 Brugola e all'ex direttore generale Celli in ordine ad aspetti poco chiari della gestione degli appalti, anche in riferimento a casi che sono sotto gli occhi di tutti, compreso me, che sono totalmente estraneo a questi boatos e non ho rapporti con nessuno in RAI. Per esempio, lo scandalo del Festival di Sanremo, che ha profuso miliardi e non ha reso niente in termini di audience: mi sembra un flop su cui sono tutti d'accordo. C'è stata una trasmissione, Rido, che è andata in onda solo per due puntate e potrei citare tanti altri casi. 13 mila dipendenti e miliardi a profusione per consulenti, trasmissioni ed esternalizzazioni: mi sembra più che significativo.
In conclusione, vorrei sapere - visto che in sostanza la mia domanda concerne le dimissioni - se sia reale l'impressione generale che hanno molti cittadini, indipendentemente dalla loro collocazione politica, cioè che siamo di fronte ad una RAI incontrollata, dove peraltro ci sono tante trasmissioni e anche tanti professionisti che sicuramente svolgono molto bene il loro lavoro e conoscono il loro mestiere, professionisti - come ho detto spesso in questa sede - riconosciuti a livello internazionale.
Esiste in Europa occidentale un'altra fattispecie di servizio radiotelevisivo a disposizione della maggioranza contro l'opposizione? Infatti è questo che si è verificato o di cui queste trasmissioni RAI vengono accusate. Signor presidente, ce lo dica: esistono altre fattispecie? Io credo che siamo di fronte ad un caso unico nell'Europa occidentale, che può ricordarci (Commenti dell'onorevole Lombardi)...

PRESIDENTE. Onorevole Lombardi, lei è libero di andare via; se non vuole più stare qui, non è obbligato a farlo. La invito a tenere un comportamento consono ad un'aula parlamentare! Grazie.

MARIO BORGHEZIO. ...che può ricordarci altri paesi ma non quelli democratici. Per questi motivi ribadisco quanto ho detto all'inizio: c'è veramente da stupirsi, caro signor presidente Zaccaria, che lei non abbia avuto la sensibilità... (Commenti del senatore Mele).

PRESIDENTE. Per cortesia, senatore Mele, si contenga! La richiamo all'ordine!

MARIO BORGHEZIO. ... di fronte a questa situazione...

PRESIDENTE. La richiamo all'ordine per la seconda volta! Non mi costringa ad espellerla!

MARIO BORGHEZIO. A fronte di una situazione oggettiva di delegittimazione della RAI dovuta anche alla mancanza di un adeguato controllo da parte sua nei confronti di certe trasmissioni e di certi personaggi, siamo arrivati a queste punte di volgarità e di disdoro. Ho fatto qualche cenno: non è stato risparmiato neanche il Papa, ne hanno combinate di tutti i colori. Sono mancati la guida ed il controllo e proprio per quello che lei diceva, vale a dire che il nostro ordinamento pone giustamente una serie di cautele a tutela dell'informazione nonché degli interessi e dei diritti diffusi dei cittadini utenti ad un servizio pubblico radiotelevisivo che li informi ma anche che rispetti le regole e le norme.


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PRESIDENTE. Chiedo scusa al senatore Semenzato, ma prima di dargli la parola vorrei porre qualche domanda al presidente e al direttore generale.
Signor presidente, noi abbiamo ascoltato qui dalla sua viva voce ancora una volta la difesa acritica di un programma come Satyricon. Mi permetto di ricordarle che in questa stessa sede il 21 febbraio scorso, nel corso di un'audizione, l'onorevole Romani la invitò ad una particolare vigilanza su questo tipo di trasmissioni proprio perché, una volta varato il regolamento sulla par condicio, si correva il rischio che programmi del genere potessero trasformarsi in contenitori politici e sfuggire a qualsiasi classificazione, diventando pascolo abusivo per polemiche politiche o per altro tipo di contenuto, sempre a carattere politico. È accaduto quanto avevamo previsto e quella trasmissione si è trasformata di fatto in un luogo dell'agguato mediatico; senza alcuna garanzia di contraddittorio, un programma di satira si è trasformato in una sorta di linciaggio televisivo ai danni di un cittadino che è anche capo dello schieramento di opposizione e candidato alla guida del paese. Si tratta di una trasmissione registrata, per cui non ci si può giustificare attraverso «il bello della diretta»; è una trasmissione che è stata registrata il lunedì, che penso sia stata visionata il giorno successivo e che si è deciso di mandare in onda il mercoledì. Lei dice di non poter intervenire perché è satira e che appartiene ad anni passati la volontà o la possibilità di cominciare a muovere dei distinguo (Commenti del senatore Bergonzi)... Prego i colleghi di tenere un comportamento che permetta a chi sta parlando di intervenire.

PIERGIORGIO BERGONZI. Signor presidente, non riusciamo a trattenere un mormorio di dissenso!

PRESIDENTE. Se non vuole trattenere un mormorio di dissenso può dissentire fuori e poi entrare quando vuole parlare. Le sarei grato se mi lasciasse parlare così come vorrei parlassero tutti i commissari.
Come dicevo, si tratta di una trasmissione registrata, che è stata mandata in onda nonostante si sapesse ciò che conteneva, e ritengo che vi sia una catena di responsabilità; infatti, vi deve essere una catena di decisioni, una catena di controllo delle procedure, al termine della quale si decide se mandare in onda o se apportare qualche correzione ad una determinata trasmissione. Lei invece dice che si tratta di satira e che, essendo satira, non si può neppure lontanamente pensare di sindacare quello che viene detto. Io potrei citare tantissimi non dico esponenti politici ma artisti, gente che fa satira, che ha messo in dubbio che quella di Luttazzi si possa considerare tale; cito per tutti Forattini, che è stato vittima di una ritorsione giudiziaria per una vignetta. Oggi sento tante persone ergersi a difensori della satira: peccato che qualche tempo fa siano state proprio loro o qualcuna di loro a querelare Forattini per una vignetta. Molti di noi dubitano che il programma di Luttazzi possa essere satira.
Le voglio porre una domanda molto semplice: condivide quanto ha detto il direttore generale Cappon in un'intervista al Corriere della Sera qualche giorno fa, vale a dire che Satyricon è stato un errore, che sono stati commessi alcuni errori di contenuto perché in campagna elettorale e in presenza di specifiche disposizioni di comportamento fornite dall'azienda è stato trattato senza contraddittorio un tema strettamente politico e molto forte (Commenti dei commissari Lombardi e Bergonzi)? Onorevole Lombardi, la richiamo all'ordine! Senatore Bergonzi, la richiamo all'ordine! Ha parlato di errori di metodo perché di questo programma (Commenti dell'onorevole Lombardi)... Onorevole Lombardi, la richiamo all'ordine per la seconda volta!

MARCO BOATO. Signor presidente, faccia il suo intervento tranquillamente...

PRESIDENTE. Non ci riesco, onorevole Boato! Vi sto invitando a consentirmi di parlare! L'ho detto parecchie volte! Di solito sono molto tollerante...


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EMIDDIO NOVI. Presidente, non cada nelle provocazioni! Non sia così ingenuo!

PRESIDENTE. Siamo tanti e se ognuno di noi bisbiglia ne esce fuori un mormorio incredibile. Ve lo chiedo per cortesia!

MARCO BOATO. Questo è già diverso!

PRESIDENTE. L'ho detto prima. Abbiamo una catena di responsabilità e di decisioni. Ha parlato di errori di metodo perché di questo programma - e c'era il tempo di farlo perché era registrato - non è stata data informazione ai responsabili aziendali (il capo della divisione, il direttore generale, il capo dell'ufficio legale), perciò ha scritto una lettera di richiamo al direttore di RAIDUE Carlo Freccero. Questa è la posizione del direttore generale. Il consiglio di amministrazione ha invece emanato un ordine del giorno di solidarietà al direttore Freccero. Voglio conoscere la sua posizione, presidente Zaccaria, e sapere se condivida o meno l'impostazione che di questa vicenda ha dato il direttore generale: ritengo infatti doveroso da parte nostra sapere se all'interno dell'azienda, rispetto a questa vicenda che ha scatenato tante polemiche, vi sia una visione univoca ai vertici aziendali oppure se esistano delle posizioni differenziate, come è giusto e legittimo che sia. Il direttore generale ha citato poi il caso del direttore di RAI News, Roberto Morrione, a proposito dell'intervista a Borsellino, dicendo che l'intervista è stata mandata in onda dopo aver avvertito l'ufficio affari legali dell'azienda, perché potevano esserci delle risposte di tipo giudiziario e quindi l'azienda si è cautelata attraverso il comportamento corretto del direttore Morrione.
Signor presidente, questo è il primo dato. Poi vi è il secondo dato più politico, vale a dire la lettera del Presidente Violante che la invitava a riflettere sul fatto che in una trasmissione del servizio pubblico (satira o non satira) il conduttore abbia definito l'Italia «un paese di merda». Lei ha detto: è satira. Io mi chiedo: se la TV commerciale dovesse fare un programma di satira in cui si dice che la RAI è un covo di mazzettari, prendendo spunto da alcune lettere anonime, tale programma sarebbe inserito nel genere satira oppure non si ravviserebbe una diffamazione terribile in danno di un'azienda e dei suoi rappresentanti e dirigenti?
Quanto al problema dei dati relativi alle presenze in televisione, anche in questo caso mi sembra che lei, presidente Zaccaria, al di là delle sue intenzioni, abbia finito per dare un assist a chi è pronto a saltare addosso ai dati che lei trasmette. Tutti abbiamo fatto riferimento (mi pare anche il senatore Falomi) a dati assemblati solo sotto il profilo quantitativo; addirittura pare che i 27 minuti di Satyricon siano a carico di Berlusconi!

PAOLO ROMANI. È attenzione...

PRESIDENTE. È attenzione anche un linciaggio! Pare che i secondi negativi - questa è un'anticipazione di un quotidiano che uscirà domani, Milano finanza - a carico del centrodestra siano 6.066 contro i 3.762 a carico del centrosinistra. Diversamente, la classifica dei complimenti vede 39.035 secondi in favore del centrodestra contro i 47.178 a carico del centrosinistra. C'è qualcosa di maniacale nella raccolta e nell'elaborazione di questi dati, ma se dobbiamo discutere di questo è meglio farlo in maniera molto approfondita.
C'è poi un'altra questione sempre riferita ai dati, il problema dell'Osservatorio di Pavia. Oggi due quotidiani - Milano finanza e il Giornale di Milano - hanno pubblicato alcune cose relative all'Osservatorio di Pavia, in particolare al rapporto con la RAI; pare - è una domanda che pongo - che il fatturato della cooperativa di Pavia, cui fa capo l'Osservatorio, dipenda per il 75 per cento dalla RAI, nel senso che le commesse RAI assicurano il 75 per cento del fatturato. Sembra che nella relazione all'ultimo bilancio dell'Osservatorio si faccia riferimento alla necessità, visto il venir meno della commessa


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dell'Authority e che il 75 per cento del bilancio dipende dalle commesse RAI, di accentuare al massimo la «fidelizzazione» con la RAI. Non le sembra che il fatto che la RAI sia per il 75 per cento la committente dell'Osservatorio di Pavia possa creare un rapporto di interdipendenza e di subordinazione di quest'ultimo nei confronti della RAI? Si può nutrire il sospetto, come oggi i giornali facevano notare, che anche l'assemblaggio dei dati possa non essere così perfetto come si vorrebbe far credere. Mi può dare una risposta rispetto a questo problema?

STEFANO SEMENZATO. Vorrei partire da un dato: perché il presidente Landolfi ha imposto questa audizione? Come dice Sabina Guzzanti nelle sue parodie, in televisione si dicono delle cose che la prima volta appaiono incredibili ma che poi, a forza di dirle e ridirle, si cerca di far diventare vere. Quel che si vuol far diventare vero è che la RAI è militante, come dice l'onorevole Follini, ed è militante in favore dell'Ulivo; questa è la grande tesi su cui convergono tutti i punti di riflessione e tutte le critiche che possono partire, come ha fatto adesso l'onorevole Landolfi, da vari episodi e punti di vista il cui risultato è uno solo.
Su un punto dissento dall'onorevole Falomi: credo che questo attacco in qualche modo orchestrato sulla RAI sia partito non dalla vicenda Luttazzi, che invece è stato uno degli episodi, ma dalla conferenza stampa dal presidente Zaccaria che, nella crudezza dei dati, evidenziava l'anomalia del sistema televisivo italiano, che in altri termini politici è l'anomalia del conflitto di interessi. Nel momento in cui è emerso che la campagna elettorale o comunque tutta la precampagna elettorale (perché i dati erano riferiti al 2000) era totalmente sbilanciata, perché esistono telegiornali e sistemi informativi privati di proprietà dell'onorevole Berlusconi che falsano completamente i quadri della par condicio in Italia, l'attacco viene mosso per spostare l'attenzione su un altro terreno. Oltre a Sabina Guzzanti c'è Emilio Fede, che è un indicatore forte di questa sintomatologia, in quanto da alcune settimane sta conducendo una campagna sistematica contro la RAI, contro la Commissione di vigilanza e così via.
La domanda che pongo al presidente Zaccaria e al direttore Cappon è la seguente: quali sono i dati della produzione RAI in termini di par condicio? Esiste una disparità? Ce lo dicano, perché questo dato deve emergere. Da dove viene la pretestuosità di tutti gli altri attacchi? Quando Berlusconi è andato da Vespa a fare i suoi disegni e i suoi tracciati molti di noi hanno individuato in questo una forzatura del meccanismo che Vespa conduceva, ma questa forzatura era in qualche modo dovuta alla storia di quella trasmissione; la RAI ha prodotto dei bei saggi con il proprio centro studi di analisi delle trasmissioni di Vespa, Santoro, Lerner e via dicendo, individuando proprio le modalità diverse, individuando la modalità a salotto e ad ospite che accoglie e si complimenta sempre con chi arriva attuata da parte di Vespa, il carattere invece molto più di contrasto e di conflittualità messo in piedi da Santoro e per altri versi a suo tempo da Lerner. Ognuno di noi, nella critica doverosa quando è necessaria, ritiene che queste siano configurazioni specifiche di programmi informativi della RAI, così come ne rispetta altri; oggi tutti hanno un grande rispetto per Le iene piuttosto che per Striscia la notizia perché evidenziano nella loro modalità degli approcci di funzionamento che sono importanti per un pluralismo anche di forme nella produzione televisiva. Però, per sottolineare la diversità dello stile ma anche la strumentalità dell'attacco, ricordo che noi abbiamo fatto tutti insieme una difesa di Vespa anche quando non era condivisibile, proprio per mantenerne il carattere di autonomia, il carattere di informazione giornalistica. Mi sembra paradossale il fatto che se è Vespa che piace allora tutto va bene, se è Santoro che non piace allora bisogna chiudere le trasmissioni. Qui si pone semmai un altro problema. Voglio ricordare che la Commissione di vigilanza fece a suo tempo una difesa del carattere informativo della trasmissione di Vespa e


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ciò che non funzionò e che decretò l'intervento dell'Autorità fu non il fatto che si contestava quell'indicazione della Commissione, ma che la modalità con cui Vespa applicava il suo carattere di informazione saltava nel momento in cui egli programmava gli interventi dei politici con criteri tipici della comunicazione politica invece che del radicamento dell'attualità. In quel caso vedo una carenza da parte della direzione RAI e vorrei sapere come si intenda risolvere la questione.
La seconda domanda è la seguente. Vorrei conoscere la programmazione esistente sulla satira in RAI (in particolar modo L'ottavo nano, Satyricon e così via), perché ieri sera ho sentito l'onorevole Berlusconi criticare, in sostanza, non la programmazione della satira in generale ma il fatto che questa venga programmata negli ultimi trenta giorni, insomma a ridosso delle elezioni vere e proprie, per cui ciò determina alcuni elementi di scompenso.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MASSIMO BALDINI

STEFANO SEMENZATO. Una conoscenza esatta del calendario aiuterebbe anche la Commissione di vigilanza nella decisione definitiva rispetto al regolamento, perché è evidente che una satira che sta in un plafond di carattere generale è diversa da una satira che viene condotta, ad esempio, il venerdì sera prima delle elezioni, quindi con un impatto diverso rispetto alla scadenza. Questo sarebbe un elemento utile di informazione.
L'ultima domanda la rivolgo in particolare al direttore generale. In questa Commissione, discutendo più volte di contratto di servizio e di altre questioni, ci è sempre stato contestato il fatto che la Commissione potesse intervenire per definire delle modalità di organizzazione aziendale. Valga per tutti quando nel contratto di servizio si chiese che la consulta qualità diventasse organo di garanzia e garante dell'abbonato e si sostenne che la Commissione non poteva decidere l'uso e le modalità di funzionamento di un organismo che era invece interno alla RAI. Nella nostra discussione sulla regolamentazione relativa alla par condicio si prevede espressamente una sorta di tutela del direttore generale, nel senso che si dice che il direttore generale della RAI si avvale dell'opera di un'unità di garanzia che verifica, anche in collegamento con la Commissione. Vorrei un'opinione precisa del direttore generale, a cui questo articolo è rivolto. È evidente che è fortemente differente dal punto di vista formale e sostanziale che la RAI si organizzi come vuole per gestire il tema della par condicio oppure che accetti da parte della Commissione una commissione di tutela di funzionamento, perché questo apre non soltanto un problema per l'immediato, per il caso specifico, ma anche un problema di carattere più generale che segna un mutamento nel funzionamento del rapporto in particolare tra direttore generale e Commissione di vigilanza su cui sarebbe utile avere dei chiarimenti precisi.

PIERGIORGIO BERGONZI. Anch'io all'inizio del mio intervento voglio stigmatizzare la strumentalità di questa audizione, indetta nonostante il parere contrario della maggioranza dei capigruppo e, a mio avviso, sulla base di una motivazione del tutto pretestuosa e pericolosa. Come hanno sottolineato in modo egregio altri colleghi prima di me, il problema oggi non è la RAI, ma è soprattutto il sistema informativo del nostro paese; il problema non è Satyricon o una puntata di Satyricon, ma è il problema generale dell'informazione e quindi, nel nostro caso, il problema del conflitto di interessi. L'operazione politicamente scandalosa e pericolosissima che si cerca di fare partendo da Satyricon, per delegittimare il sistema pubblico dell'informazione, è quella di porre limiti pesanti all'informazione pubblica a danno del cittadino.


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MARIO LANDOLFI

PIERGIORGIO BERGONZI. Voglio tradurre in un esempio molto concreto questa mia affermazione. La conseguenza politica che il Polo, il centrodestra ha tratto da tutto il polverone che ha sollevato sulla questione di Satyricon è stata la bozza di regolamento che oggi ci è stata sottoposta; questa bozza contiene delle regole che limitano pesantemente ed in modo inaccettabile la libertà di informazione in campagna elettorale, perché proporre di sopprimere tutte le forme di informazione politica durante la campagna elettorale, bontà loro, salvo i telegiornali...

PAOLO ROMANI. Parla un comunista!

PIERGIORGIO BERGONZI. Parla un comunista che non ha neanche una televisione; Romani, cosa vuoi che ti dica, tu ne hai tre di televisioni! I comunisti non ne hanno di televisioni! (Commenti del deputato Romani).

PRESIDENTE. Onorevole Romani, la richiamo all'ordine.

PIERGIORGIO BERGONZI. Le hai tu le televisioni, collega Romani! Tu e il tuo grande capo avete le televisioni; capo o manager o padrone, collega Romani, come preferisci! (Commenti del deputato Romani).

PRESIDENTE. Prego, onorevole Bergonzi (Commenti del deputato Giulietti). Onorevole Giulietti...

GIUSEPPE GIULIETTI. Non ce l'avevo con lei.

PRESIDENTE. Lo so; volevo solo chiederle di consentire al senatore Bengonzi di continuare il suo intervento.

PIERGIORGIO BERGONZI. Stavo dicendo, presidente, che a mio avviso nella proposta di regolamento che è stata avanzata sono contenute disposizioni che limitano in modo inaccettabile, antidemocratico i diritti all'informazione che hanno i cittadini italiani durante la campagna elettorale. Non voglio banalizzare, ma secondo quel regolamento i programmi di informazione si dovrebbero escludere; le tribune dovrebbero vedere la partecipazione contemporanea di tutti i soggetti politici; ogni tribuna dovrebbe vedere la presenza, credo, di dieci o quindici soggetti politici contemporaneamente.

MARCO BOATO. Anche di più.

PIERGIORGIO BERGONZI. Anche di più, dicono. Sarebbe il massimo del pluralismo. Forse l'unico momento di informazione chiara sarebbe rappresentato dai programmi autogestiti che, come si sa, si tengono a tarda ora della notte.
Mi domando quale potrebbe essere sulla base di queste proposte l'informazione che il servizio pubblico radiotelevisivo fornisce ai cittadini durante la campagna elettorale. Il problema, presidente, mi sembra un altro: il problema è quello dei programmi di Fede, è quello dell'informazione. Da quindici giorni abbiamo sulle prime pagine dei giornali il problema di Satyricon, venticinque minuti di satira, e nessuno di quelli che oggi menano tanto scandalo per questo ha alzato un dito contro gli Sgarbi quotidiani che chiamavano «assassini» i giudici; nessuno di questi ha sollevato un dito contro i programmi di Fede, che dedicano l'80 per cento dello spazio a Berlusconi. Io lo dico tra virgolette, ma questa è informazione di tipo autoritario, e non dico fascista; altro che comunisti e non comunisti! (Commenti del deputato Romani). Questo è un tipo di informazione a senso unico; è questa l'informazione che vogliamo?
Precedentemente l'onorevole Romani ha citato (non so se a proposito o a sproposito, non mi preoccupo di questo) un testo che doveva essere, presidente Zaccaria, di qualche anno fa. Ha fatto bene il presidente a non accettare questa sorta di provocazione, ma è certo che accade normalmente che la televisione


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privata oggi in Italia non accetti e non faccia propri i canoni più elementari della democrazia di informazione, quali il pluralismo, la libertà di informazione.
Mi consenta, presidente, di osservare (in questo contesto mi sembra necessario) che la mia parte politica nei confronti della RAI dovrebbe sollevare delle forti rimostranze. Nella RAI, tanto più in Mediaset, nessun personaggio, nessun rappresentante della mia parte politica rientra mai nelle prime trenta persone che parlano in TV; è l'unica forza politica che non appare, forse perché, dice Romani, siamo comunisti. Non lo so, spero che non sia per questo; però è così, questo è il dato di fatto. Ciò nonostante, presidente, la ringrazio per l'entusiasmo che ha messo in questi giorni per difendere il servizio pubblico televisivo. Le dico la verità, non vorrei trovarmi con tante reti rappresentate da Fede in Italia.
L'ultima domanda che intendo rivolgerle, presidente, si riferisce al regolamento. Lei ha già risposto per quanto riguarda l'informazione politica. Ritengo che l'eliminazione dell'informazione politica in campagna elettorale rappresenti un grave danno, inaccettabile per la democrazia e per il dovere di informare i cittadini. Le chiedo dunque se disponga di dati rispetto al passato (le ultime elezioni regionali, le ultime elezioni europee) che possano quantificarci il grado di ascolto dei cittadini sull'informazione politica rispetto alle tribune politiche. Questi dati, se ci fossero messi a disposizione (mi rendo conto che si tratta di una richiesta improvvisa, magari lei potrà fornirceli in un momento successivo), potrebbero consentirci di comprendere l'utilità o l'inutilità dell'informazione politica durante la campagna elettorale.

GIUSEPPE GIULIETTI. Non parlerò dei fascisti e dei comunisti, quindi nessuno si irriti, perché vedo che c'è molto nervosismo. Ieri si è gridato un po' troppo verso il cielo chiedendo la chiusura di tutto e tutti, anche delle stazioni dei carabinieri della RAI; mi pare che oggi si convenga che nessuno ieri ha chiesto la chiusura della satira. Le darò anch'io le cassette, presidente. Hanno aggredito anche Santoro direttamente: non vi ho ancora sentiti fiatare. Altro che RAI controllata! Vorrei capire come mai si consentano aggressioni di questa natura, nominative, con minacce nei confronti di autori e dipendenti. Ho letto belle interviste sui quotidiani, mi è sfuggita questa dichiarazione così netta ieri sera (su altre cose vi ho visti più arditi), ho letto anche l'intervista del direttore generale sul Corriere della Sera. Considero ipocrita una discussione sul sistema radiotelevisivo che tenda ad elidere (ringrazio Bergonzi e Semenzato) una eccezionale anomalia. Qui si parla di Samarcanda, degli anni settanta, ma esiste una piccola anomalia, che segnalo solo per gli archivi: esiste una coincidenza, credo casuale, non anagrafica, tra il capo dell'opposizione e i tre quarti, compreso il TG2 (c'è anche il TG2 sotto la tutela della RAI, ho visto dei dati molto interessanti)... Sembrano impaginati in modo uguale metà della RAI e metà delle aziende del capo dell'opposizione: è singolare. L'anomalia è stata confermata dai dati dell'Osservatorio di Pavia, che intanto segnano un dato (che a me non interessa), cioè che la Lega non c'è più nel paese; se non ci fosse la RAI, sembra quasi una scelta di non far apparire la Lega in casa Mediaset. Ricordo che qualche anno fa alcune trasmissioni furono sganciate contro la Lega; c'erano una serie di trasmissioni per strada, in cui alcuni autori, alcuni giornalisti chiedevano ai cittadini cosa ne pensassero della Lega sulla rete di Mediaset. Oggi ho visto che su Italia 1 esiste una trasmissione, Vox populi, in cui davanti ad alcuni uffici si formula una domanda mirata, chiedendo «che ne pensa del Governo?» e si incassano le risposte. È interessante che, mentre si chiede di abbassare i toni e trovare l'accordo sulle regole, si usi la clava. Non siamo tutti dipendenti, non ce ne può interessare di meno, è un metodo che non funziona, le intimidazioni ciascuno se le faccia nel giardino di casa con i giardinieri che preferisce. Ma questo non è un sistema, se si vuole discutere. Mi pare,


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quindi, un'anomalia grave che deve essere discussa in modo molto serio. Si fa strada un'idea prepotente, tendente ad eliminare quello che non piace. Ma quale Luttazzi! Questa storia è iniziata con Montanelli. È un continuo: non piace e te ne vai. Mi pare una prosecuzione del discorso di Parma: licenziare tutto e tutti. Si parte dalla satira e si arriva alle aziende. Lo ritengo un modo che ha una coerenza ma che non si può pretendere di condividere. È un'idea che non mi piace, che non è andata contro Luttazzi ma contro diversi autori, ideatori, produttori. Ho sentito che non piace la trasmissione Comici: neanche a me, fate qualche cosa, l'ho segnalato mesi fa; forse allora erano più in voga alcuni di questi ideatori ed autori. Poiché io non guardo le tessere degli ideatori e degli autori, mi fa piacere che alcune trasmissioni non piacciano e mi associo a questa protesta.
Discutendo del contratto di servizio, non di bagattelle, si è invocata una RAI che non potesse competere né nelle nuove tecnologie né altrove, e questo affossa la RAI; ora si invoca una RAI imbavagliata. Non dovrei occuparmene io, penso che occorra una risposta un po' più ferma, non di un gruppo dirigente di centrosinistra, ma di un gruppo dirigente, che è una cosa diversa, perché questo mette in discussione i posti di lavoro, l'indotto e la sopravvivenza di un'impresa. Si sono sentite minacce di licenziamento e di epurazione. Io faccio un esempio. Vorrei sapere da voi come l'Osservatorio di Pavia classifichi Vittorio Sgarbi. Come comunicazione politica? Come Eridania spot pubblicitario? Come satira? Vorrei capirlo, perché visto che sento molto scandalo su Luttazzi, mi piacerebbe discutere liberamente di questi temi, con l'intelligenza che ancora una volta ha contraddistinto Follini ed altri, perché il tema della volgarità è una grande questione per la televisione, e lo si può affrontare non a colpi di clava ma a colpi di ragionamenti seri. Ma allora deve trattarsi di un ragionamento serio che non dia l'idea che chi mi piace fa quello che vuole e chi non mi piace lo censuro: questa è un'idea illiberale, perché non si può tacere su mitragliamenti continui. Sotto quale voce va Sgarbi?
Fede: ha detto molto bene l'onorevole Romani ed ha ragione: abbiamo mandato (non lui, Rete4) in onda anche Rutelli. Peccato che abbia visto Fede per un'ora fare una serie di interventi del tipo: «ma è un inglese?». Avete mai visto un telegiornale europeo dove un direttore alza il telefono e dice: «chi è questo che parla? È un inglese?». Hanno mandato un pezzo mentre parlava in inglese. A chi si riferisce: «chi è? È il candidato?» È sotto la voce «satira»? Bene, allora Luttazzi e Fede vanno assieme. Sono d'accordo con voi: Luttazzi non è informazione, però Fede va con Luttazzi, va sotto le stesse regole. Io voglio che i cittadini possano vedere Fede, voglio che vada in onda Striscia la notizia, che vada in onda Fede come Luttazzi, lo stesso genere. Non chiedo il taglio di nessuno, però dobbiamo capire che parliamo di un genere diverso dal giornalismo. Su questo non si può far finta di niente.
Vengo allora alle domande. Vorrei capire meglio un punto, che forse mi è sfuggito. Ho condiviso molte delle cose che sono state qui dette dal presidente Zaccaria, così come alcune delle cose dette dal direttore generale nella sua intervista. Però non ho avvertito, checché ne dicano altri, una risposta ferma ed autorevole a difesa non di un autore ma del complesso dell'azienda come azienda di garanzia: mi riferisci al fatto che in un sistema alterato non basta dire che la parità viene rispettata, perché in un sistema alterato la par condicio è data dall'insieme di due aziende, una delle quali è di partito. L'azienda privata è un'azienda di partito, non è un'azienda qualunque. Io sono a favore di una crescita di questa azienda, perché penso si tratti di una grande realtà del paese; ma si deve sapere che è di partito. La par condicio si assicura non sostenendo che ce la caviamo con il 50 per cento per parte, ma garantendo pari opportunità nel complesso del sistema, altrimenti si è ipocriti e tartufeschi nel dire che l'equità è stata garantita mentre


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in realtà non c'è nessuna equità e c'è uno squilibrio spaventoso, sul quale la RAI dovrebbe piuttosto recuperare. Siamo noi, quindi, a porre la questione del mancato rispetto delle condizioni di pari opportunità di accesso. Chiedo di sapere se su questo argomento la RAI assumerà una posizione ferma e autorevole. Non intendo prestarmi al gioco scorretto di chi parla bene del presidente e male del direttore generale o viceversa; né intendo portare avanti il tentativo, che ho ascoltato in questa sede, di mettere l'uno contro l'altro. Solo una banda di persone irresponsabili, che non hanno il senso delle imprese pubbliche e private, gioca su questo terreno, che ha per oggetto lo sfascio: chi si presta a questo gioco, anche se è dirigente, sa che sta mettendo a repentaglio l'impresa.
Chiedo dunque di sapere se su queste tematiche vi sarà una risposta ancora più dura e autorevole, a difesa di tutti, compreso Bruno Vespa, che a me non piace. Come sapete, in questa sede non ho mai chiesto il taglio di una trasmissione di Bruno Vespa: ho soltanto chiesto per quale ragione su RAIUNO vi fosse soltanto una trasmissione politica e non si fosse mai pensato ad altre. Altro che monopolio, allora! Su questo vorrei una risposta ferma.
Ieri sera qualcuno ha chiesto il licenziamento dei direttori. Sembra veramente si stia parlando di altra cosa. Qui c'è un Previti, qualcuno che ha definito la RAI una cloaca, qualcuno che ha annunciato le epurazioni e le liste di proscrizione. E facciamo finta che stiamo parlando al Rotary? Sono state dette e scritte cose del genere. Voglio portare anch'io le cassette e le agenzie di stampa, in modo che Romani disponga di un'informazione completa. Vi fornirò un intero dossier di agenzie e di cassette; ma spero che il vostro ufficio stampa vi passi queste continue richieste di liste, di epurazioni e di aggressioni. Le risposte, infatti, mi sembrano deboli. Qualcuno le giudica eccessive. «Zaccaria militante»: non so di che cosa. Militante dell'azienda del servizio pubblico, forse, come credo sia anche Cappon: certo, fanno bene il loro mestiere e sono pagati per questo. Per cosa dovrebbero militare, allora? Penso, invece, che ci voglia un surplus di fermezza. Chiedo di sapere se la RAI, oltre a offrire i dati, abbia preso atto di una situazione di im-par condicio, che anzi la stessa RAI ha aggravato. Questo senza nulla togliere alle centinaia di professionisti che in molte emittenti (RAI, Mediaset, Telemontecarlo, che esiste nonostante qualcuno voglia soffocarla, e molte altre) lavorano con onestà e con serietà. A forza di alzare polveroni rischiamo di insultare migliaia e migliaia di lavoratori per bene, che operano anche nelle aziende private e che vanno valorizzati.
Chiedo poi di sapere se la RAI intenda aumentare o diminuire l'offerta di satira e di comunicazione politica. In parte Zaccaria ha già risposto su questo punto. Da parte mia ritengo che l'offerta vada aumentata. Vorrei però sapere in che modo.
Vorrei che fosse dimostrata un'attenzione quasi esasperata (e non dovrei essere io a dirlo) anche alle forze politiche che non appartengono al Polo o all'Ulivo: in un grande paese democratico non ci si fa carico soltanto della bottega e del capo; ci sono anche le altre forze politiche. Non a caso in questi giorni hanno protestato D'Antoni, Di Pietro e gli esponenti della lista Bonino, qui non rappresentati. Un tempo sentivo citare la lista Bonino ad ogni piè sospinto, da parte di molti colleghi del Polo; vedo che oggi non fa più opinione. Ha protestato Bertinotti e avrebbero motivi di protestare anche molte liste politiche minori (minori dal punto di vista delle presenze in televisione): mi riferisco ai Comunisti italiani e ai Verdi, per esempio. Pongo quindi la questione: si va verso un aumento dell'offerta? C'è una scelta, al di là dei regolamenti della Commissione, di potenziare la presenza dei rappresentanti estranei ai due poli?
Infine non ho capito cosa si intenda per «unità di garanzia»: equivale all'unità di crisi per l'Albania? Pensate ad un accordo con il Ministero degli esteri e con Vattani? Cos'è l'unità di garanzia? Non


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ne ho mai sentito parlare prima. Da parte mia ricordo che ci sono un consiglio, un direttore generale e dei dirigenti, tutti retribuiti per essere unità di garanzia. Ci sono anche i direttori di rete e di testata e c'è l'articolo 6. Ma non so cosa sia l'unità di crisi. Altra cosa, dunque, è intendere in modo più collegiale la collaborazione tra presidente e direttore generale. Perché se fossero divisi, sarebbe inaccettabile, intollerabile: sarebbe la crisi aziendale. Quindi il presidente e il direttore generale, insieme con i loro direttori di rete e di testata, rappresentano l'unità di crisi (non so, però, di quale crisi...): ma solo di questo si tratta. Non conosco contratti di lavoro che prevedano un superamento dei direttori di rete o di testata su materie come queste. Se così non fosse, invece, saremmo duramente contrari. Se si tratta di un'altra cosa, come mi è sembrato di capire da Cappon, allora basta spiegarlo, perché le persone lo capiscono: in questi termini si può discutere, come ho colto anche nell'intervento di Follini.
Si parla con toni appassionati, ma sono gli stessi dei colleghi del Polo (sarebbe singolare che uno mena e l'altro applaude...): io e il presidente Landolfi, venendo da altre scuole, sappiamo che la democrazia è una conquista faticosa; e sappiamo che un'azienda non può comandare (né Mediaset, né la RAI). Quando si difende l'esistenza dei partiti c'è passione politica: infatti si tratta di radici storiche, che sono ben piantate.
Il senatore Semenzato ha detto che i colleghi del Polo si sono irritati per il fatto che Zaccaria ha pubblicato i dati. Secondo me l'inizio dell'irritazione va invece ricercato nell'invito del presidente ad un faccia a faccia, non nei dati dell'Osservatorio di Pavia. Il presidente Zaccaria ha fatto la cosa più grave possibile in questo paese: invitare il figlio di Dio ad un faccia a faccia con un terreno! Lei ha bestemmiato nel tempio, presidente, non so se le è chiaro! Il tempio è la televisione e lei ha bestemmiato invitando i candidati ad un faccia a faccia. Vorrei allora sapere se il servizio pubblico ha ancora la spina dorsale per rilanciare quella proposta in forma ufficiale. Mi auguro che in questa direzione sia anche approvata una delibera della Commissione di vigilanza, magari a partire da un ordine del giorno. Chiedo anzi al presidente Landolfi di sollecitare la RAI ad organizzare, nelle forme date, il faccia a faccia tra i candidati; se davvero vogliamo finirla di parlare di Luttazzi.
Sono d'accordo che non bisogna trasferire in sedi improprie grandi vicende come quella del giudice Borsellino. Vi ricordo però, colleghi, che io non ho atteso Luttazzi, perché la questione è stata da me posta sei mesi fa. Ma allora, guarda caso, non c'era stato scandalo e il caso Borsellino era passato nel silenzio: all'epoca si ritenne che il silenzio fosse preferibile, perché l'intervista era andata in onda. Evidentemente si trattò di un tacito assenso affinché non se ne parlasse. Anch'io penso sia grave che la questione venga risollevata dalla satira, ma questo pone un problema alla comunicazione: ed è una cosa diversa, che mi piacerebbe discutere seriamente.
Sul caso Borsellino il problema fu posto e vorrei ancora capire perché all'epoca non arrivò alcuna risposta; ecco il vero aspetto inquietante della vicenda, altro che Luttazzi: mi riferisco al silenzio su Chiara Borsellino, quando il giorno dopo essa «autenticava» l'intervista. A quel punto ho visto balbettii e poche parole in televisione. Ma è stata Chiara Borsellino, altro che Luttazzi! Quale satira! Chiara Borsellino non fa parte della satira! Stiamo attenti, perché poi si usano toni che diventano insultanti anche per chi è fuori di qui. In realtà c'è un solo modo per recuperare un terreno serio: che i candidati tra di loro e pubblicamente discutano di fisco, di sicurezza, di lavoro, di federalismo. Se poi non bastassero Rutelli e Berlusconi, se fosse questo il problema, si vedrebbe quale forma individuare. Ma un grande paese civile, se non vuole gridare su Luttazzi, offre un terreno di discussione. Alcuni conduttori non sono affidabili? Siano convocati i direttori dei più grandi quotidiani italiani


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e delle testate RAI e si organizzi un contraddittorio in forma ordinata. Ma non esiste che uno dica che non vuole il contraddittorio e l'azienda pubblica si inginocchia! Ve ne rendete conto, vero? Lo so che non potete darmi ragione! Ho visto che in questi giorni molti hanno studiato i codici; ho letto che anche Cappon ne ha parlato. Ebbene, la BBC sul contraddittorio dice una cosa molto semplice: i protagonisti vengono invitati e se uno dei due non si presenta la trasmissione va in onda ugualmente, con una sedia vuota in scena; così si dà conto ai cittadini del fatto che uno dei candidati non si è presentato. Lo so che sembra un'astuzia bolscevica (tradurrò poi cosa significa...), ma non è possibile che si arrivi a dire che il faccia a faccia, l'essenza del confronto liberaldemocratico, sia un'astuzia. Ho proposto perfino di farlo ad Arcore, con la direzione di Emilio Fede, dando 40 minuti a Berlusconi e 8 minuti a Rutelli, con il cronometro truccato, facendo in modo che Berlusconi conosca le domande e l'altro no. Ma almeno lo si faccia!
Lei ci ha invitato a dissentire. Io, per esempio, ho dissentito sulla vicenda di Forattini. Lei sa bene che a me non piace la querela alla satira. Non si trova, però, uno che si alzi a dire che Berlusconi - con un po' di coraggio - deve andare in onda a confrontarsi. Non posso credere che nel Polo non ci sia la stessa tensione per invocare la fine di questa pagliacciata! Si faccia un confronto, finalmente!
Mi rifiuto di ragionare in termini di legittimazione e di delegittimazione. Vorrei avere i dati della Makno. Vorrei che qualcuno dicesse al professor Cheli, senza disturbarlo eccessivamente, se è possibile prima del 13 maggio (ho grande rispetto per i ritmi di lavoro degli altri organismi), come mai l'Authority continui a non fornirci i dati sul monitoraggio. Può almeno darci quelli del 1996? Possiamo averli? Non si può accusare Zaccaria di commercio di dati e poi non dire all'Authority che non ha trasmesso i dati! I dati del privato sono segretati? Non è possibile. Lo dico anche a voi. Non so come andranno le elezioni, ma domani alcune forze politiche, anche della futura maggioranza, rischiano di sparire. Starei molto attento a mettere in moto un meccanismo per il quale il proprietario decide chi prende la parola, chiunque sia. Chiedo allora se Cheli possa farci sapere se il monitoraggio è in corso e cosa si pensa dell'Osservatorio di Pavia, che un giorno sento definire come il punto di ancoraggio della libertà dal Polo e il giorno dopo come il luogo del ritrovo dei Comunisti, il terzo giorno come amici di Zaccaria, il quarto giorno come autentici liberali. Io non conosco l'Osservatorio di Pavia, ma almeno mettiamoci d'accordo. La città mi è simpatica, ospitò il regno Longobardo e ha grandi tradizioni. Vorrei allora capire se l'Osservatorio va bene. Per anni ci avete detto che andava bene solo Pannella (evviva il Centro di ascolto radicale!). allora mi avete convinto: facciamo una convenzione con i radicali. Va bene? O adesso anche i radicali sono diventati cattivi? Vorrei capirlo, perché vorrei essere aggiornato almeno ogni semestre sugli osservatori buoni e su quelli cattivi. Probabilmente sono buoni gli osservatori che dicono che Berlusconi non parla mai, che è un pover'uomo, che è un peone. Ma finiamola! Almeno, ci deve essere un limite, anche sul fatto di presentare un grande proprietario come un povero contadino disarmato che non ha accesso ai mezzi di comunicazione! Ci sarà un limite al ridicolo? Povero Luttazzi! Noi parliamo di Luttazzi, ma la satira la facciamo noi! Uno che dice queste cose fa grande satira: e se non lo sa, è meglio che si curi, perché ha qualche disfunzione!
Vorrei sapere se le posizioni che ho richiamato siano condivisibili.
Un giorno mi piacerebbe discutere sulla volgarità: un tema che mi interessa. Vi ricordate quanta passione sulla pedofilia? Però, una volta cacciato Gad Lerner, il tema è sparito.
Accolgo la sfida venuta da Zaccaria e da Cappon - mi pare in questo caso sulla stessa posizione -, i quali hanno parlato di discutere sulle regole future: un problema posto anche da Follini. È un tema


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che mi interessa, Follini lo sa. Troviamo allora una base di razionalità alla proposta che ho visto avanzare questa mattina. Torniamo al regolamento delle elezioni amministrative: vi pare una proposta seria? Basta con i tagli: ragioniamo di una cosa già votata, seria, documentata, e poi costruiamo un terreno di regole e di rispetto verso i diritti fondamentali dei cittadini. Io ci sto, se questa è la strada. Ma discutiamo davvero della volgarità, non solamente dal punto di vista degli amici e dei nemici (che sarebbe sbagliato).
Mi permetta una domanda, presidente. Abbiamo parlato molto di Luttazzi, ma la RAI è fatta anche da centinaia di precari. Il TAR ha annullato un certo tipo di selezione e non ho più sentito parlare dell'argomento. Vorrei sapere, non necessariamente subito, se è in vista un incontro e se questo tema del precariato sarà affrontato. Si tratta di una grande questione sulla piazza di Roma, che coinvolge centinaia e centinaia di autori e di produttori. Come si vuole affrontare questo problema? L'azienda intende o non intende potenziare la scuola di Perugia? Vuole mantenerla come una succursale che non serve a niente, visto che i titoli poi non risultano? Pongo il problema perché a me interessa anche il lavoro, soprattutto in una città come Roma, nella quale l'audiovisivo ha una grande importanza.
Infine una segnalazione sul regolamento proposto dal senatore Baldini (una segnalazione scherzosa nei confronti di Baldini, perché so che è toscano, meno scherzosa nei confronti di Cappon). Nel regolamento di Baldini - ed anche nelle vostre dichiarazioni - è sfuggito un dato: la satira involontaria che avviene nei corridoi e nei bar. Sono a conoscenza che a Viale Mazzini e a Saxa Rubra spesso vengono raccontate barzellette sul conto del proprietario di Mediaset. Vi pregherei di stroncare questo malcostume. Grazie!

PRESIDENTE. Do la parola al Presidente Zaccaria ed al direttore generale Cappon per rispondere a questo secondo giro di domande.

ROBERTO ZACCARIA, Presidente della RAI. Signor presidente ho elencato approssimativamente quindici domande. Cercherò di rispondere seguendo una linea logica e un criterio di accorpamento, attenendomi per quanto possibile alla sintesi.
L'onorevole Borghezio ha formulato diverse domande, che però ha voluto riassumere in un solo interrogativo: perché come presidente non ho sentito la necessità di dimettermi, avendo avuto la percezione che la metà del paese si era ribellata alla decisione del consiglio d'amministrazione della RAI sul problema di Satyricon? La risposta è semplice: non ho strumenti così raffinati per valutare se la metà del paese si sia ribellata chiedendomi di prendere atto di un errore commesso. Quando si leggono le prese di posizione di una serie di soggetti di alto livello, ognuno dà una lettura in qualche modo parziale. Quando sono stato ricevuto dai Presidenti delle Camere ho chiesto una sola cosa: al di là del loro legittimo intervento a favore del rientro delle dimissioni dei due consiglieri d'amministrazione trovatisi in dissenso e quindi in minoranza, ho chiesto di sottolineare in maniera chiara che il consiglio di amministrazione aveva assunto la sua decisione nell'esercizio di un potere che la legge - fondata sugli equilibri di garanzia di cui ho parlato in precedenza - riconosce a quest'organo. Ecco il punto, onorevole Borghezio. Su questo terreno la Commissione parlamentare di vigilanza dispone degli strumenti adeguati: e credo sia molto importante che sia chiaro, almeno per la nostra possibilità di comportamento.
Distinguo sempre (credo sia inevitabile) tra gli interventi dei singoli componenti della Commissione - i quali possono formulare valutazioni, domande o esortazioni - e le indicazioni della Commissione nel suo complesso. Come ho ricordato in precedenza, la Commissione di vigilanza può esprimere - con una maggioranza di due terzi - una sostanziale sfiducia nei confronti del consiglio di amministrazione della RAI provocando una decisione dei


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Presidenti delle Camere (non obbligatoria, ma in qualche modo certamente significativa). È una norma di garanzia: l'unico modo che conosco nel nostro sistema, onorevole Borghezio, per accertare non il giudizio della metà degli italiani (cosa che mi riesce piuttosto difficile valutare) ma il giudizio di quella maggioranza qualificata che voi rappresentate. Ma se voi non esercitate questa prerogativa, io non posso prendere atto di un sondaggio di opinione derivante da un singolo - per quanto autorevole - membro della Commissione. Devo presumere che fino a quando questo meccanismo di garanzia non scatta, la Commissione abbia fiducia in noi, altrimenti diventa difficile il comportamento di un amministratore che esercita responsabilità a volte su temi controversi e quindi sofferti.
Presidente Landolfi lei ha detto, con una concatenazione che mi sfugge, che l'onorevole Romano aveva esortato a fare attenzione sui problemi della satira e che invece noi ci siamo caduti dentro. Mi scusi, ma io non ho mai avuto il sentore che in Commissione vi fosse l'intenzione di dettare su questo argomento indirizzi che riassumessero la volontà complessiva della Commissione stessa. Quindi per me l'esortazione dell'onorevole Romani è certamente importante, perché avviene in questa sede, ma la considero equivalente a quella dell'onorevole Giulietti, che magari può essere di avviso diametralmente opposto. Allora io, per un comportamento ragionevole, ricevo un indirizzo della Commissione parlamentare e do seguito e attuazione a quell'indirizzo; ma le singole esortazioni, soprattutto quando si neutralizzano l'una con l'altra, non possono essere per me motivo di particolare attenzione o di vincolo. D'altra parte ripeto: non ho detto che la satira consente tutto, ho solo detto che la satira consente un tipo di intervento che certamente non vincola lo schema del pluralismo e che ha limiti diversi da quelli che funzionano per gli altri generi di programmazione. Cito (parzialmente) la frase che lei ha voluto ricordare: «paese di...». Ebbene, due giorni dopo la trasmissione del programma (i famosi venti minuti che hanno costituito oggetto di così intensa attenzione) ho provato ad interpellare le persone che incontravo e a domandare se si ricordavano di quella frase.

PRESIDENTE. Significa fare un po' come Borghezio, cioè parlare della metà degli italiani...

ROBERTO ZACCARIA, Presidente della RAI. No, ho fatto soltanto una valutazione per capire se dire una frase di questo genere in un servizio di informazione è la stessa cosa che dirla con espressione gergale all'interno di un programma di satira. È chiaro che non ho pensato nemmeno per un attimo che questa frase potesse essere presa in considerazione. Quante volte, parlando con i ragazzi in qualche contesto o parlando in una discussione accesa, si sente usare quest'espressione, che certamente non corrisponde a un giudizio riconducibile ad una responsabilità analoga a quella di un programma di informazione? Questo è il motivo per il quale parliamo di satira; questo è il motivo per il quale sostanzialmente si possono fare dei distinguo. Il dibattito su questo tema è aperto. Tuttavia, il consiglio di amministrazione ha preso una posizione e lo ha fatto responsabilmente, anche se la Commissione parlamentare di vigilanza sui servizi radiotelevisivi ha espresso, a titolo diverso, valutazioni critiche. Il consiglio di amministrazione deve ritenere che la sua valutazione, allo stato, sia quella che vale per l'azienda e per i suoi dipendenti.
Questa mattina...

PRESIDENTE. Presidente Zaccaria, lei condivide ciò che ha detto il direttore generale Cappon?

ROBERTO ZACCARIA, Presidente della RAI. Sto seguendo nella mia esposizione un collegamento logico; arriverò anche alla sua domanda. L'onorevole Giulietti ci ha in un certo senso rimproverati di non aver tenuto un atteggiamento sufficientemente energico nel difendere l'impresa, la


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RAI, i nostri dipendenti di fronte ad aggressioni, anche di natura specifica, che sono state rivolte a singole persone. Credo che nel complesso di questa vicenda l'atteggiamento dei vertici della RAI sia stato certamente di forte difesa dell'azienda, dei suoi dipendenti, del principio al quale mi sono richiamato in precedenza.
In ogni caso, questa mattina, proprio perché si era verificata una situazione molto particolare, per cui i nostri telegiornali, nel dare conto del dibattito di ieri, avevano riportato le dichiarazioni, anche energiche e dirette, dell'onorevole Berlusconi - il quale si richiamava non alla RAI, all'imparzialità dei suoi programmi o a un qualsiasi programma di satira, bensì a singole persone, indicandole per nome e cognome - il consiglio di amministrazione ha approvato un ordine del giorno in cui si esprime la più ampia e convinta solidarietà ai dipendenti e ai collaboratori che, in relazione al lavoro svolto per conto dell'azienda nell'esercizio delle responsabilità di autori di programmi e della libertà di espressione ad essi garantita, sono oggetto di attacchi personali, tanto più gravi e scorretti in quanto provengono da autorevoli esponenti politici. Questo è in breve il contenuto dell'ordine del giorno che abbiamo votato; si sono assentati durante la votazione i due consiglieri Contri e Gamaleri; l'ordine del giorno è stato proposto dal consigliere Emiliani.
È chiaro che noi abbiamo sentito questo tipo di necessità. Devo dire peraltro - e vengo alle domande più specifiche del presidente Landolfi - che nell'organizzazione complessiva che riguarda la RAI è ben noto che esiste un meccanismo di responsabilità che la legge del 1993 elenca in maniera molto precisa: responsabilità del consiglio di amministrazione, del direttore generale e dei direttori di rete. Questo meccanismo, che è complesso ed articolato e che, come dicevo prima, si basa su un concetto fondamentale che non è della verticalizzazione piramidale (per cui c'è uno che comanda e gli altri eseguono meccanicamente), tiene conto del fatto che il consiglio di amministrazione non interviene sui programmi, che invece giudica a posteriori; è questa una garanzia della libertà ed anche delle responsabilità che sono in capo all'azienda. Il direttore generale interviene sulla base degli indirizzi del consiglio di amministrazione; ricordo che i programmi sono approvati nel loro complesso e che ogni variazione, quindi ogni interruzione di programma, deve essere approvata dal consiglio di amministrazione. Naturalmente, poi ci sono le responsabilità dei direttori di rete, che evidentemente sono a garanzia del sistema delle autonomie, del pluralismo che deve esistere. Ho ricordato sempre il caso famoso di un programma - quello di Veronique, una trasmissione con la candid camera - che fu bloccato e successivamente messo in onda e lì scattò la responsabilità del direttore di rete. Se in quel caso per lui è scattata la responsabilità, vuol dire che egli ne aveva una sul contenuto della trasmissione che invece non avevano né il consiglio di amministrazione né il direttore generale.
Pertanto, il sistema è complesso. Il presidente Landolfi vuole sapere cosa penso dell'intervista del direttore generale...

PRESIDENTE. Vorrei sapere se lei ritiene che sia normale che mentre il direttore generale scrive una lettera di richiamo al direttore di rete, quest'ultimo è oggetto di una dichiarazione di solidarietà da parte del consiglio di amministrazione.

ROBERTO ZACCARIA, Presidente della RAI. Devo dire con grande chiarezza che noi abbiamo esaminato il problema proprio nella sequenza - che qualcuno ha proposto - di interrompere il programma per effetto sanzionatorio rispetto al comportamento tenuto. Su questo atteggiamento il consiglio di amministrazione si è espresso negativamente ed ha scelto una strada diversa, che è quella dell'ordine del giorno sul programma Satyricon. Era stato chiesto anche di allontanare il direttore della rete, ma il consiglio di amministrazione, giudicando che il programma


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avesse le giuste caratteristiche, ha espresso un parere negativo e non ha preso in considerazione quella proposta; ha invece predisposto un ordine del giorno in cui ha ritenuto che il programma Satyricon fosse una trasmissione di satira, la cui caratteristica strutturale è l'attenzione critica, a volte con toni anche molto aspri, verso la società, il costume e naturalmente la politica. Avere in palinsesto trasmissioni satiriche è una ricchezza importante per il servizio pubblico.
Ecco perché dico che noi non abbiamo avuto bisogno di esprimere solidarietà; noi abbiamo ritenuto che quel programma potesse essere trasmesso da un servizio pubblico e lo abbiamo detto a maggioranza (tre a due); questo è stato il giudizio del consiglio di amministrazione.

PRESIDENTE. C'è stata una dichiarazione di solidarietà dei vertici RAI; tant'è vero che si sono dissociati Contri e Gamaleri...

ROBERTO ZACCARIA, Presidente della RAI. Lei la può ritenere implicita, ma noi non abbiamo...

PRESIDENTE. Lei è d'accordo con quello che ha detto il direttore generale, il quale ha definito Satyricon un errore? Vorrei una risposta su questa domanda. Sì o no!

ROBERTO ZACCARIA, Presidente della RAI. Le darò la risposta, ma prima devo far capire che il consiglio di amministrazione ha preso una posizione con l'ordine del giorno al quale ho fatto riferimento. L'ordine logico era non interrompere e non rimuovere il direttore; non c'è bisogno di dare solidarietà quando si ritiene che il programma sia importante. Abbiamo più volte sottolineato che le responsabilità degli autori sono particolarmente forti; il programma non è impedito dalle regole della par condicio e abbiamo detto che la RAI ha anche offerto uno spazio di discussione su questo punto. Pertanto, il consiglio di amministrazione ha sostanzialmente espresso un giudizio sul programma Satyricon, un giudizio positivo che vuol dire non interruzione della trasmissione né allontanamento del direttore. Quindi, nessuna solidarietà, perché questa è implicita nel fatto che si ritiene il programma compatibile con le nostre regole.
Dopo di che il direttore generale ha reso un'intervista e su questa non vi è alcuna opinione nascosta. In relazione all'intervista del direttore generale ho emanato un comunicato che ora vi leggo e che in un certo senso risponde alla domanda del presidente. «Il direttore generale Cappon è stato scelto da tutto il consiglio di amministrazione, che conosce bene la sua personalità e la sua sperimentata storia da dirigente dell'area pubblica»: quindi, noi l'abbiamo scelto sapendo chi era Claudio Cappon. «Nella sua intervista di oggi sono espresse alcune valutazioni generali di metodo perfettamente condivisibili e che rappresentano il tradizionale punto di vista della RAI. Evidentemente è diverso il suo giudizio nel caso specifico del programma Satyricon. Non entro nel tema dei rapporti tra direttore generale e direttore di rete» - nel senso che il direttore generale può benissimo richiamare un direttore di rete nel rapporto tra i due; evidentemente il consiglio non ritiene che questo tipo di richiamo debba essere fatto a livello consiliare, perché attiene ai rapporti tra direttore generale e direttore di rete - «anche se ricordo che nel nostro ordinamento il direttore di rete gode, nel rispetto delle direttive del direttore generale e a garanzia della libertà di espressione pluralistica, di alcune autonome responsabilità in ordine al contenuto dei programmi, anche ai fini della loro messa in onda. In materia editoriale e di garanzia delle regole, è evidentemente il consiglio di amministrazione, per le sue caratteristiche strutturali, cioè pluralistiche, che esprime l'indirizzo complessivo dell'azienda. Il nostro orientamento preciso» - quello del CDA, al di là del caso Satyricon, perché ci tengo a sottolineare che il consiglio di amministrazione ha


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espresso un orientamento di carattere più generale - «è che in campagna elettorale si devono aggiungere programmi di informazione e di dibattito critico, ma non certo ridurre questi spazi. Si deve offrire una ricchezza di proposte nel garantire ai cittadini una piena libertà di scelta. In altre parole, l'indirizzo strategico della RAI è quello di favorire il pluralismo dell'offerta e non il suo appiattimento. Il grado di compatibilità tra questo chiaro indirizzo e quello di ogni altro soggetto operante in azienda è rimesso alle valutazioni prudenti del CDA». Questo vuol dire che è una ricchezza la nostra articolazione; noi la difendiamo anche quando ci possono essere su singoli casi valutazioni differenziate. Tuttavia, l'azienda è rappresentata, quando si esprime, dal consiglio di amministrazione, perché questa è la sua regola, quella che avete voluto voi votando le leggi che io ho ricordato.
Per quanto riguarda l'Osservatorio di Pavia, devo dire che esso è sostanzialmente nato per la campagna elettorale sotto la presidenza Demattè; ha esteso i suoi compiti sistematici a tutta la programmazione sotto la presidenza Moratti; ha lavorato in questi anni costantemente in una sorta di raffronto con il centro d'ascolto televisivo, fornendo dati dal punto di vista metodologico, con risultati convergenti. La metodologia adottata e i dati raggiunti, sia con riferimento al settore pubblico che a quello privato, sono conformi. Questi sono i due organismi che operano in Italia e sono i nostri certificatori.
Contrariamente all'avviso del consiglio di amministrazione, nel mese di novembre non è stato rinnovato il contratto con l'Osservatorio di Pavia (che quindi, a questo punto, non avrà più il suo fatturato dipendente solo dalla RAI) per quanto riguarda il settore privato (non quello pubblico). A quanto mi risulta, in riferimento al settore privato l'Osservatorio di Pavia è stato contrattualizzato dal gruppo Mediaset, che mantiene naturalmente l'esclusiva in ordine a questi dati. Pertanto, la situazione è la seguente: evidentemente l'Osservatorio di Pavia è considerato dagli operatori televisivi un soggetto interessante, perché al momento in cui si interrompe, non per volontà del consiglio di amministrazione, il rapporto con tale istituto, questo viene contrattualizzato da un altro soggetto privato che quindi possiede i dati che lo riguardano (e non li possediamo più noi). Abbiamo così un soggetto accreditato sul mercato che offre dei dati con criteri comparabili a quelli del centro d'ascolto. I dati che noi abbiamo sul sistema privato sono quelli che riguardano il centro d'ascolto.
Devo dire, con riferimento alla vicenda Luttazzi, che abbiamo avuto diverse questioni ed anche contestazioni giudiziarie in sede civile; ce ne sono state preannunciate altre in sede penale. Pertanto, da questo punto di vista, accumuliamo anche responsabilità di tal genere.
Il quadro complessivo che ho descritto non è certo facile, ma ci muoviamo in esso per quel valore al quale ho fatto riferimento all'inizio del mio intervento: offrire programmi in più e non in meno, aggiungere e non ridurre informazione.

CLAUDIO CAPPON, Direttore generale della RAI. Per quanto riguarda l'intervento del senatore Semenzato, confermo le considerazioni già espresse in occasione del contratto sui servizi circa l'autonomia dell'azienda rispetto alla propria organizzazione. Confermo altresì il fatto che il direttore generale, di fronte agli indirizzi e alle norme che vengono varati dalla Commissione parlamentare di vigilanza sui servizi radiotelevisivi e dal consiglio di amministrazione in relazione ad un tema di particolare complessità e delicatezza, quale quello della campagna elettorale o dei comportamenti in campagna elettorale, può, anzi deve valutare opportuno dotarsi di quegli strumenti che lo aiutino nella maniera più propria a gestire questa fase.
Sul tema della immobilità industriale - se non ho capito male - accennato dall'onorevole Giulietti vorrei dire che proprio in queste ore l'azienda è impegnata in un negoziato di grandissima


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rilevanza con una partnership industriale e finanziaria che potrebbe essere determinante anche per il futuro, non dico di lungo termine ma certamente di medio termine, dell'azienda; questi sono forse i temi sui quali la RAI può fondarsi per il proprio sviluppo e la propria crescita. Ed è a questo che mi riferivo nelle dichiarazioni pubbliche, cioè al fatto che l'azienda possa avere la serenità, il tempo e la concentrazione per operare in spazi e in settori che sono determinanti per il proprio futuro.

PRESIDENTE. Do ora la parola agli altri colleghi che intendano intervenire.

MASSIMO BALDINI. Mi richiamo alle ultime parole che il presidente della RAI ha voluto pronunciare a chiusura del suo intervento, cioè che è necessario che la RAI arricchisca sempre più l'informazione con programmi di maggiore approfondimento. Su un'impostazione di questo tipo siamo tutti d'accordo: più ricchezza c'è, più articolazione c'è, più possibilità di confronti e di approfondimenti di programmi e di informazione c'è e meglio è.
Vorrei tuttavia riportare la discussione sull'oggetto del contendere, cioè su ciò che è successo fino ad oggi. I problemi sono nati recentemente - ma non solo recentemente - in relazione al comportamento dell'azienda in riferimento alla sua capacità di tutelare o meno gli indirizzi dettati dalla Commissione di vigilanza e il principio del rispetto del pluralismo. Questa è la vera questione. Rispetto alla vicenda di Satyricon, credo che in via generalizzata tutte le forze politiche, con toni diversi, compreso il leader dell'Ulivo, cioè il candidato premier, Rutelli, abbiano riconosciuto che la trasmissione, attraverso quella famosa intervista, è tutto meno che satira; è un attacco a freddo, di carattere calunniatorio e diffamatorio nei confronti del leader dell'opposizione.
Questo giudizio era tanto pacifico che non solo il direttore generale, nella sua famosa intervista, l'ha sottolineato, dicendo che il programma è stato un gravissimo errore da parte della RAI, ma lo hanno affermato anche altri autorevoli esponenti della maggioranza. Nel momento in cui Rutelli - come altri - ha affermato l'opportunità e l'esigenza di fare un programma in qualche modo riparatorio di ciò che era accaduto nella puntata di Satyricon, ciò voleva dire riconoscere di fatto che quei comportamenti e quei contenuti non si erano certamente svolti nel rispetto del principio del pluralismo e della correttezza fra le varie parti politiche in campo, soprattutto in questo particolare momento politico.
Tra l'altro, in una nostra precedente riunione (non ricordo se in ufficio di presidenza o in altra sede) lo stesso onorevole Boato, che non è certamente da ascrivere alle posizioni politiche del centrodestra, affermava che «quanto ai contenuti della trasmissione Satyricon, condivide le riserve espresse allora dal senatore Semenzato ed anzi reputa del tutto inaccettabile che un programma con simili contenuti sia stato trasmesso all'inizio del periodo elettorale. Non si tratta di combattere o di scoraggiare la satira in sé, quanto di prendere atto che il programma non aveva nulla di satirico, se non il contesto generale». Questo è un giudizio che fu espresso dall'onorevole Boato in quell'occasione. Anzi, l'onorevole Boato andò oltre, facendo un'ulteriore riflessione, chiedendosi cioè se questo tipo di programmi con questi contenuti non fosse un vantaggio per il Polo piuttosto che per lo schieramento di centrosinistra.
Indubbiamente, quello che lei ha detto oggi, presidente, in relazione a questo programma, così come del resto a tante altre situazioni analoghe che si sono verificate, è preoccupante, e lo è non perché non si capisca chiaramente quali sono le logiche sul piano politico che ispirano lei, presidente, a mantenere queste posizioni. Quando lei afferma che la televisione, il servizio pubblico è pluralismo e che il pluralismo non deve intendersi come una pluralità di posizioni che si pongono nella loro contestualità in quanto si può presentare anche con approfondimenti o sottolineature di problemi diversi che rispondono a questo o a


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quell'orientamento politico, posso capire la sottigliezza di tale ragionamento, però è una sottigliezza che non risponde ad una esigenza primaria, qual è quella del rispetto delle posizioni politiche di ognuno, e non risponde oggettivamente all'esigenza di tutelare il leader di uno schieramento politico di fronte ad attacchi totalmente gratuiti, che hanno contenuto diffamatorio e calunniatorio. Io non credo che questo sia un modo corretto di fare programmi televisivi e un modo corretto per rispettare quei principi che noi ripetutamente abbiamo sottolineato e difeso.
Oggi devo prendere atto della sua posizione, del resto lo avevo già fatto (e questo può essere un rimprovero: lo valuti come crede). Io mi rendo conto che lei intende sottrarsi agli indirizzi della Commissione di vigilanza RAI, anche perché, in relazione all'episodio specifico, lei ha ribadito che quel programma costituisce una ricchezza nell'ambito della programmazione della RAI e che come tale va tutelato anche nelle forme in cui si è espresso. È chiaro infatti che lei, difendendo quel programma come ricchezza, come articolazione dei programmi RAI, nella sostanza lo difende anche nei suoi contenuti, tanto che, per quanto riguarda la sostanza, i contenuti e così via, lei non ha detto una parola, non ha adottato alcun provvedimento in quanto, secondo la sua costruzione logica, politica e anche giuridica, ritiene che per quanto concerne la satira determinate situazioni si presentano in termini affievoliti rispetto ad altre situazioni e ad altri programmi. Pertanto noi dobbiamo prendere atto dell'affievolimento di determinati termini e di determinate condizioni e dobbiamo accettare i programmi di satira così come essi vengono offerti.
Noi dobbiamo prendere atto di questo. Ha ragione infatti il presidente Zaccaria: se non c'è un deliberato della Commissione o di qualche altro organo che invita il presidente Zaccaria a smontare e quindi ad andarsene, è chiaro che lui è autorizzato a rimanere su queste posizioni; perché egli ritiene dal suo punto di vista, in base alla sua valutazione politica e non, che questo tipo di programmi e questo tipo di contenuti debbano essere comunque difesi perché costituiscono una ricchezza per la RAI. Credo pertanto che vi sia poco da fare al riguardo, se non, naturalmente, mantenere gli elementi di distinzione e di diversa caratterizzazione dei nostri giudizi rispetto a quelli espressi dal presidente della RAI e raccogliere con preoccupazione questa posizione che oggettivamente disattende tutte le indicazioni che noi abbiamo dato.

ROBERTO ZACCARIA, Presidente della RAI. Io non conosco queste indicazioni. Lei continua a citarle, ma io non le conosco.

MASSIMO BALDINI. Mi riferisco agli indirizzi...

ROBERTO ZACCARIA, Presidente della RAI. Lei parla di indirizzi della Commissione su questo argomento che io non conosco.

MASSIMO BALDINI. Non su questo argomento. Mi riferisco agli indirizzi di carattere generale: l'ho già specificato l'altra volta.

ROBERTO ZACCARIA, Presidente della RAI. Non parlano di satira!

MASSIMO BALDINI. No, assolutamente.

ROBERTO ZACCARIA, Presidente della RAI. E allora...

MASSIMO BALDINI. Io parlo degli indirizzi di carattere generale: il rispetto del pluralismo, il rispetto delle posizioni politiche. Perché vede, presidente, se io dovessi fare una trasmissione che riguarda la sua persona e dovessi riversare nella trasmissione una valanga di calunnie sulla sua persona perché ho sentito dire stupidità (il mio, ovviamente, è solo un esempio, perché chiaramente non mi permetterei mai di fare una cosa del genere), lei verrebbe trascinato in un programma nel


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quale io attaccherei a freddo, in modo gratuito, la sua persona, il suo operato, le sue relazioni e i suoi rapporti. E poi direi: «Questa è satira, quindi se lei si vuole difendere venga ad una trasmissione successiva: le do un'ora di tempo per dire tutto quello che vuole», però nel frattempo le avrei arrecato un danno enorme. Ebbene, è accettabile un comportamento di questo tipo? Lei accetterebbe che da parte mia vi fosse un'aggressione che la calunnia, la diffama e la mette in pessima luce di fronte ai telespettatori? Io penso che lei un'operazione così ignobile non l'accetterebbe mai; anzi, sono convinto che reagirebbe in modo molto duro, molto violento e userebbe tutti gli strumenti a sua disposizione per impedire che questo si ripeta.
Ma la pericolosità della sua posizione è proprio questa: il suo atteggiamento omissivo (perché il suo è senz'altro un atteggiamento omissivo; come Ponzio Pilato, si lava le mani di fronte a queste situazioni e si limita a dire: questo è un arricchimento, i diritti sono affievoliti, quindi tutto va bene, nel senso che tutto può passare) comporta in prospettiva e anche nel corso della campagna elettorale che simili episodi si ripetano, perché nessuno ha preso al riguardo una posizione precisa, nessuno ha richiamato nessuno e quindi ognuno si ritiene, anche in relazione a quei deliberati del consiglio di amministrazione, autorizzato a proseguire sulle orme di questa che è un'esperienza disastrosa, che non tutela nulla e nessuno.
Non voglio aprire ulteriori spazi di polemica. Prendo atto di quello che lei dice, presidente Zaccaria. Ne avevo già preso atto anche in precedenza, come lei sa. Mi rendo conto che su queste posizioni è totalmente ed assolutamente indisponibile. Infatti le ho detto più volte che rappresenta una parte politica e non rappresenta la presidenza della RAI; lo riconfermo in questa sede, perché oggettivamente la sua presidenza non garantisce nulla e nessuno, se non una parte politica. Quello che voglio evidenziare, però, è che noi oggi siamo nel bel mezzo della campagna elettorale. Se diciamo che ci deve essere più informazione, siamo tutti d'accordo, se diciamo che ci devono essere più trasmissioni di approfondimento, siamo tutti d'accordo, se diciamo che non deve essere messo il bavaglio alla satira... benissimo! Credo che qui nessuno sia così stupido da poter affermare politicamente che vuole imbavagliare la satira, che non vuole approfondimento, che non vuole maggiore informazione, che non vuole maggiore articolazione, ma dobbiamo porre delle regole a tutela di tutti, di tutte le posizioni e della dignità e della onorabilità di tutte le persone che sono coinvolte nella campagna elettorale. Allora bisogna porre dei paletti, delle regole; non si possono fare dei sofismi di carattere giuridico quando si va a toccare la dignità e l'onorabilità delle persone, presidente. Anche perché si tratta di regole che, una volta stabilite, valgono per tutti, perché la politica gira: oggi a te, domani a me, dopodomani a un altro; a chi tocca, poi non pianga! L'altro giorno, parlando, facevo riferimento al buon senatore Andreotti, che ha sempre scherzato sulla regola «a pensar male si fa peccato, però talvolta ci si indovina». Ebbene, a pensar male, i giudici di Palermo, da una parte, e i giudici di Perugia, dall'altra, l'hanno tritato in due procedimenti penali! Non credo quindi che questa sia una regola sulla quale noi possiamo seguire la sua impostazione, presidente, che - ripeto - sul piano della sottigliezza giuridica e del ragionamento in sé può essere in qualche modo suggestiva, ma sul piano della sostanza non può essere assolutamente considerata accettabile da noi.
Né può essere accettabile, senatore Falomi, la considerazione che prima faceva lei. E questo lo dico non per alimentare la polemica, ma come elemento di riflessione. Io ho uno scontro con il mio avversario politico nel mio collegio elettorale o uno scontro con lei in un dato collegio elettorale. Ebbene, è ammissibile che io vada a scavare negli armadi suoi, a verificare la sua privacy personale, a verificare quale è stato il suo passato, a scavare tutto quello che ha combinato per riportarlo alla ribalta della cronaca, per


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attaccarla sul piano della denigrazione personale, considerato che non vi sono elementi definitivi che, per quanto attiene all'eventuale commissione di reati, arrivano solo da una sentenza definitiva di condanna? È mai possibile affermare questi concetti così barbari? Questo mi preoccupa. È questo che ci preoccupa, Falomi: questi sono concetti barbari, di grande inciviltà giuridica (Commenti del senatore Falomi). Mi meraviglio: siamo in un paese occidentale, in un paese che è considerato la casa e la culla del diritto! E io debbo sentire fare così serenamente e tranquillamente affermazioni veramente terribili sul piano della convivenza civile, democratica, dei rapporti corretti tra forze politiche, che debbono certo confrontarsi, ma sui problemi, sui programmi, sugli obiettivi. Su questo voi cercate di evitare il confronto per portarlo su un altro terreno, che non è assolutamente il nostro. Noi non vogliamo scendere sul terreno dell'attacco e della criminalizzazione personale: ci mancherebbe altro! Noi abbiamo un altro modo di vedere le cose. Noi siamo garantisti fino in fondo, abbiamo rispetto dell'avversario politico, vogliamo avere un confronto serio, serrato, anche polemico, anche duro, se vogliamo, ma sulle posizioni politiche, non sulle vicende personali, non sui fatti personali, non sul «si dice e non si dice», non sul sospetto come anticamera della verità. Su questo terreno noi non ci vogliamo far trascinare, perché è un terreno terribile sul piano proprio delle regole della convivenza democratica di questo paese.
È inutile quindi che il collega Giulietti scherzi tanto su questi problemi, perché sono problemi molto delicati. Allora, quando noi abbiamo affrontato la questione, cercando di dare una risposta in positivo con il regolamento che vogliamo andare ad approvare, ci siamo posti due problemi. Abbiamo visto quali guasti può produrre Satyricon e ci siamo chiesti: di fronte a trasmissioni di questo tipo dobbiamo consentire che al loro interno possano ripetersi episodi di questo tipo? Che si dica cioè che l'Italia è quel paese che è, che il leader dell'opposizione è quel mascalzone che è? Tutto questo si deve ripetere?
Anche per quanto riguarda le trasmissioni di approfondimento in passato abbiamo avuto una serie di problemi in questa Commissione. All'epoca, fra l'altro, seguivo direttamente la questione. Mi ricordo che su Porta a Porta si scatenava costantemente da parte soprattutto del centrosinistra, ma non soltanto da quella parte, una reazione negativa sui contenuti, sui metodi di conduzione della trasmissione. E più volte siamo stati richiamati alla esigenza di ricondurre Porta a Porta dal genere dell'informazione a quello della comunicazione. E tutti insieme all'epoca facemmo uno sforzo per cercare di mantenere Porta a Porta nell'ambito dell'informazione, per consentire ad una trasmissione come quella di mantenersi in vita e di rendere più agevole, più accessibile e più gradevole il confronto fra le parti politiche rispetto alle tribune politiche, che erano meno gradite dai telespettatori. Però, nonostante gli sforzi che noi facemmo all'epoca, l'Authority per le comunicazioni, sulla base di un ricorso presentato dalla lista Emma Bonino, decise che quella trasmissione doveva ricondursi nella comunicazione politica. Al riguardo, occorre un chiarimento. C'è una famosa legge, che è quella sulla par condicio che dice testualmente all'articolo 2, comma 2 (lo dicevo anche stamane mentre svolgevo la mia relazione)...

PRESIDENTE. Senatore Baldini, la invito a contenere i tempi. Ho tenuto conto comunque che lei è relatore sul provvedimento di attuazione della legge n. 28 del 2000.

MASSIMO BALDINI. Va bene, presidente. All'articolo 2, comma 2, di quella legge si dice quello che si intende per comunicazione politica e si afferma: «ai fini della presente legge la diffusione sui mezzi televisivi di programmi contenenti opinioni e valutazioni politiche»; cioè le opinioni e le valutazioni politiche rientrano nella comunicazione politica. Allora,


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in trasmissioni come Porta a Porta, come Il raggio verde, come Il fatto e così via, quando si affrontano problemi di carattere politico si esprimono opinioni politiche e valutazioni politiche. Guardi, presidente, che non le abbiamo scritte noi queste cose: le ha scritte il centrosinistra. Il bavaglio non lo abbiamo messo noi: l'hanno messo loro, perché quella legge l'hanno fatta loro! Noi quindi abbiamo riportato pari pari questa dizione, dicendo che questo tipo di trasmissioni (quali appunto Porta a Porta, Il raggio verde e così via), ove dovessero contenere opinioni politiche o valutazioni politiche, rientra, come dice la legge, nella comunicazioni politica. Questo è il dato oggettivo. Come lei sa, anche l'Authority per le comunicazioni affermò che, nonostante fossero ricondotte all'informazione e nonostante vi fosse la responsabilità di un direttore di testata, per le modalità, i contenuti, le strutture e così via queste trasmissioni erano riconducibili alla comunicazione politica. E così fu.
Allora, se oggi noi abbiamo due tipi di programmi, la satira da una parte e l'approfondimento dall'altra, come possiamo regolamentarli in modo da avere regole certe che tutelino la posizione di tutti e per non creare situazioni di grande disagio per alcune forze politiche o perché questi programmi non diventino strumenti di lotta politica ma siano strumenti di discussione e di confronto? Questa è la domanda che noi poniamo anche a lei, presidente Zaccaria, per capire esattamente se ritenga opportuno continuare a mantenere questi programmi svincolati da qualunque regola, programmi in cui ognuno può fare quello che crede e che può utilizzare come vuole, oppure se riconosca l'esigenza, anche per quei programmi, di arrivare ad una formulazione per quanto attiene ai metodi di conduzione, ai contenuti, all'articolazione, ai calendari e così via in modo tale non solo da assicurare più informazione e più approfondimento, ma anche da tutelare il principio fondamentale del rispetto del ruolo di tutte le forze politiche.

EMIDDIO NOVI. Presidente, poco fa abbiamo avuto l'opportunità di seguire un saggio di efficace sapienza e professionalità tribunizia e assembleare dell'onorevole Giulietti, il quale ha dato un saggio non solo di oratoria tribunizia ma anche di satira, e si è lasciato andare anche a qualche intimidazione.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MASSIMO BALDINI

EMIDDIO NOVI. Giulietti, in realtà, si è sforzato di dimostrare che esiste una sorta di Spektre mediatica. Di questa Spektre mediatica fanno parte uomini RAI e naturalmente tutto il vertice di Mediaset. E qui Giulietti si è lasciato andare anche a qualche intimidazione allusiva nei confronti del direttore generale Cappon e nei confronti del direttore del TG2 Clemente Mimum. Ma questa Spektre, che domina sostanzialmente il sistema mediatico e che è frutto del conflitto di interessi, in realtà poi annovera o annoverava manager televisivi come Gori, che notoriamente è un uomo di sinistra riferibile alla sinistra veltroniana, un altro uomo di sinistra come Costanzo (quest'ultimo, in realtà, di riferimento dalemiano, che è stato anche un po' il pigmalione del candidato premier Rutelli), un altro uomo di estrema destra come Ricci, che è un bravissimo professionista e che, come tutti sanno, è un comunista di osservanza gramsciana... Certo, c'è Mentana che svolge un ruolo di mediazione, comunque; non scoraggiatevi perché, come l'ultimo giapponese, il TG 5 di Mentana è l'unico telegiornale che ancora, ieri sera, dava la sinistra francese per vincente nelle elezioni, nello stesso momento in cui Le monde pubblicava in prima pagina: «La sinistra si interroga sulla sua sconfitta». Quindi, non preoccupatevi, perché anche Mentana sa far bene il suo lavoro di uomo notoriamente di destra e che appunto risponde agli ordini di questa Spektre dell'informazione o della disinformazione televisiva.


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MARCO BOATO. Ma che cos'è questa Spektre?

EMIDDIO NOVI. La Spektre sarebbe un kombinat frutto del conflitto di interessi. Questa Spektre in realtà controlla buona parte del sistema mediatico italiano, perché controlla Mediaset - con gli uomini, appunto, di cui ho parlato - e controlla nello stesso tempo alcuni settori importanti della RAI; sostanzialmente, buona parte dell'informazione televisiva italiana (questo è stato in sostanza il discorso di Giulietti) è controllata appunto da questo kombinat, da questo gruppo di comando che risponde a logiche subalterne a quelli che sono gli interessi del leader dell'opposizione.
In realtà, presidente, si è commesso un errore, anche da parte nostra. Siamo caduti nella trappola del minimalismo polemico sulla vicenda di Satyricon e rischiamo di immiserire un serio confronto politico sul sistema di potere dell'informazione televisiva in Italia, riducendolo ad una sorta di dibattito su Luttazzi e su un suo guardaspalle. Secondo me questo non è serio né decente, quindi dobbiamo uscire da questa sorta di trappola che in parte ci siamo tesi.
Il discorso è diverso e riguarda una divaricazione netta e profonda tra due modi di fare informazione e tra due culture politiche. Nel nostro paese, in questo momento, siamo di fronte a due opzioni. Da parte di molti uomini appartenenti al sistema mediatico della televisione di Stato vi è una metodologia della disinformazione e dell'inquinamento, che è quella della menzogna allusiva, tipica del familismo mafioso. Questa menzogna allusiva è riferibile ad alcuni settori dell'Ulivo, i settori dell'avventurismo e del radicalismo, che stanno portando l'Ulivo alla deriva e alla sconfitta. Poi vi era un altro tipo di menzogna, quella dichiarata, che era rispettabile perché frutto di profonde convinzioni politiche: era la menzogna della RAI degli anni settanta. Questa menzogna dichiarata ha ancora dei cultori nella RAI degli anni 2000, come li ha avuti in quella degli anni novanta. Essa è frutto di una cultura totalitaria ed è comunque rispettabile perché ha un progetto politico; l'altra menzogna, quella allusiva familistico-mafiosa, è invece figlia della secolarizzazione della sinistra. La sinistra che perde di vista i suoi valori diventa sinistra secolarizzata e quindi finisce per utilizzare personaggi del livello di Luttazzi.

MARCO BOATO. Non è ancora una tribuna politica!

EMIDDIO NOVI. Lasci stare! Lasci stare perché...

MARCO BOATO. Non è ancora una tribuna politica: abbiamo un tema da discutere! La sua affermazione è un po' esagerata!

EMIDDIO NOVI. No, lasci stare! Abbiamo permesso a un deputato della sinistra di intimidire il direttore generale della RAI...

MARCO BOATO. Si può criticare, ho criticato anch'io, ma lei non può fare tribune politiche! Presidente, credo che un richiamo sarebbe opportuno.

EMIDDIO NOVI. ...e di intimidire anche (e nessuno di voi garantisti ha avuto nulla da obiettare) il direttore del TG2 Clemente Mimun. Queste cose noi riusciamo a capirle e a decodificarle perché le ascoltavamo nelle sciagurate assemblee universitarie di 25-30 anni fa. Quindi, le capiamo bene!

MARCO BOATO. Presidente, sta dando del mafioso ad un collega: non lo può fare!

PRESIDENTE. Colleghi, per favore!

EMIDDIO NOVI. Io sto parlando di cultura dell'allusione mafiosa. Ditemi se non è cultura dell'allusione mafiosa andare in televisione e sostenere, negando la verità e non tenendo conto di quanto affermato e richiesto dalla procura di


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Caltanissetta, che Berlusconi sarebbe il regista della politica stragista delle cosche mafiose! Questo è stato sostenuto leggendo degli atti processuali che sono stati (e il signor Travaglio lo sapeva benissimo) alla base di un'inchiesta giudiziaria della procura di Caltanissetta, la quale ha affermato che era tutto infondato.

MARCO BOATO. Lo hai imparato dal Borghese!

EMIDDIO NOVI. Si è sostenuto anche che Tremonti ha varato una riforma per far risparmiare 200 miliardi di tasse a Berlusconi, quando tutti sanno che Berlusconi risparmiò questa somma a seguito di una circolare del ministro Fantozzi e che un ministro di questa Repubblica, Visco, ha fatto risparmiare a Berlusconi 700 miliardi con una sciagurata legge che tutti ricordiamo, quella sull'IRAP, che colpiva i piccoli e medi imprenditori meridionali indebitati e faceva gli interessi della grande impresa settentrionale.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MARIO LANDOLFI

EMIDDIO NOVI. Quando ci si presenta in televisione e si sostengono queste cose, come è avvenuto sulla televisione di Stato, e quando si costruisce una trasmissione di approfondimento come quella curata dal signor Santoro, vi sfido a dimostrare che tutto questo non è cultura dell'allusione mafiosa e che non siamo di fronte a «coppole storte» dell'informazione.
Per quanto riguarda ciò che è stato sostenuto poco fa in merito all'Osservatorio di Pavia, vi richiamo alla logica. Si è parlato di 702 minuti per Berlusconi e di 542 per Rutelli; poi, quando si passa alla presenza video, i minuti risultano 260 per Berlusconi e 237 per Rutelli. Non ci si ricorda, però, che nei 702 minuti di attenzione dedicati a Berlusconi rientrano anche le calunnie del signor Travaglio. Non solo. Si è avuta anche l'impudenza (e devo dirle, presidente Zaccaria, che sono rimasto esterrefatto) di presentare ai giornalisti una ricerca dell'Osservatorio di Pavia in cui il mio amico Gennaro Malgieri risulta al quarto posto e diventa quindi una star della comunicazione televisiva, in quanto va in onda per ore ed ore, alle 6 del mattino e alle 2 di notte. Malgieri, sostanzialmente, ha umiliato anche il leader del suo partito! Se non ci fossimo trovati in un clima di mistificazione e di scontro politico, il vertice della RAI non avrebbe mai accreditato una ricerca del genere, nella quale Gennaro Malgieri risulta più presente in televisione del segretario del suo partito.
Per quanto riguarda la famosa cassetta di cui state tanto parlando, la democrazia deve difendersi dall'allusività, dalla menzogna ed anche dagli agguati nelle trasmissioni televisive, perché in nessun paese democratico il signor Santoro avrebbe tentato, come ha fatto, di far tacere il leader dell'opposizione. E non mi sembra che da parte dei vertici della RAI vi siano stati dei richiami per il modo con il quale Santoro ha tentato di provocare...

ROBERTO ZACCARIA, Presidente della RAI. È stato esemplare!

EMIDDIO NOVI. Quelle sono tecniche assembleari! Non è stato esemplare, perché il signor Santoro ha tentato di impedire a Berlusconi di parlare, tant'è vero che egli, dipendente del servizio pubblico...

GIOVANNA GRIGNAFFINI. Ma non di Berlusconi!

EMIDDIO NOVI. Quando era dipendente di Berlusconi, Santoro faceva le trasmissioni garantiste su Previti: questa è la sua coerenza professionale e morale!
Per quanto riguarda la famosa cassetta, persino in quella trasmissione gli autori hanno ammesso che era un sunto e non l'originale. Nei giornali, una volta, c'era la compilazione: arrivavano le agenzie, si tagliavano, si legavano tra di loro, si incollavano e si mandava il pezzo in tipografia. La compilazione, chiaramente, era fatta in modo tale da essere coerente


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con la linea politica del giornale. Quindi, si tagliava una dichiarazione e se ne lasciava un'altra. Sto parlando dei giornali di 25-30 anni fa. Io stesso ho iniziato la mia attività professionale facendo il compilatore. La cassetta di cui si parla, in realtà, è una cassetta compilata con una certa professionalità. Se il sostituto procuratore Pititto non sarà cacciato dalla procura di Roma, potremo sapere alcune cose su quella cassetta, perché, come lei sa presidente, è stata aperta un'inchiesta per i reati di attentato contro i diritti civili dei cittadini, di falso in scrittura privata e uso di atto falso, nonché di diffamazione. Se Pititto non sarà cacciato dall'ufficio in cui ancora lavora, probabilmente su quella cassetta sapremo molte cose. Così come sapremo molte cose da altri giudizi che ci saranno, perché chi rappresenta la RAI, il presidente, il signor Travaglio e il signor animatore della trasmissione Satyricon dovranno dimostrare in giudizio che la legge Tremonti fu varata per far risparmiare 200 miliardi a Berlusconi e non, invece, per far crescere del 2 per cento il PIL di questo paese nel 1995 e per 1 milione 750 mila imprenditori, lavoratori autonomi e professionisti.
Se il signor Travaglio riuscirà a dimostrare questo ed anche che il decreto firmato da Fantozzi in realtà era stato firmato da Tremonti, probabilmente lei, presidente Zaccaria, il signor Travaglio e l'animatore di Satyricon non sborserete una lira. Ma, se si riuscirà a dimostrare il contrario, non vorrei stare nei vostri panni!

SERGIO ROGNA MANASSERO di COSTIGLIOLE. Presidente, poc'anzi abbiamo avuto dal collega Novi un esempio di intervento che non so se si possa definire allusivo, perché in qualche punto era abbastanza esplicito, ma senza dubbio minaccioso.
La mia perplessità riguarda proprio l'uso del tempo nella nostra Commissione. Vorrei infatti ricordare (lo dico esplicitamente al presidente Zaccaria) che in realtà questa non è la nostra audizione, nel senso che non ritenevamo che il pomeriggio di oggi dovesse essere dedicato ad un'audizione certamente interessante ma che sottrae del tempo al dovere primario di questa Commissione, che è quello di consegnarvi il regolamento. Noi riteniamo che ciò avverrà domani, ma crediamo che farlo con un giorno di anticipo sarebbe stato gradito al paese, perché sul punto vi sono interessi notevoli, che sono quelli della democrazia.
Non rivolgerò quindi domande al presidente Zaccaria e al dottor Cappon e mi limiterò a svolgere alcune considerazioni, che mi sembrano necessarie, soprattutto in quanto sembra che la nostra Commissione (o per lo meno una parte di essa, la maggioranza) abbia preso atto che ormai esiste una preoccupazione di sistema radiotelevisivo a cui essa non si può sottrarre. Debbo dire, per non dispiacere al senatore Novi, che ci troviamo in una situazione di presunto duopolio; ma in realtà che vi siano regole non uguali per il settore pubblico e per quello privato, secondo le intenzioni e le idee di qualcuno che continua ad esprimerle, è sbagliato.
In periodo elettorale si applica la legge n. 28 del 2000 sulla par condicio, che afferma due concetti assolutamente chiari. Per quanto riguarda la comunicazione, essa stabilisce che è assicurata la parità di condizioni nelle esposizioni di opinioni e posizioni politiche nelle tribune politiche, nei dibattiti e nelle tavole rotonde. Questo vale per tutte le concessioni televisive del nostro paese. Quindi, questa non è una legge a cui una parte del nostro sistema si può in alcun modo sottrarre (e questo non vale solo nei confronti del servizio pubblico).
Per quanto riguarda l'informazione, nella suddetta legge si afferma che dalla data di convocazione dei comizi elettorali fino alla chiusura delle operazioni di voto è vietato fornire, anche in forma indiretta, indicazioni di voto o manifestare le proprie preferenze di voto. Questa è una norma di legge. Ciò vale addirittura per i registi e i conduttori, che sono altresì tenuti ad un comportamento corretto ed imparziale nella gestione del programma (quindi anche nelle inquadrature), così da


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non esercitare, anche in forma surrettizia, influenza sulle libere scelte degli elettori.
La legge in questione ipotizza un mezzo di informazione indipendente. L'elemento che cerchiamo invano di affermare è che l'indipendenza è un valore. Dobbiamo cercare di ottenere l'indipendenza da tutti i mezzi di informazione che agiscono su concessione. Altra cosa è invece la stampa. Il numero di giornali, in realtà, è teoricamente illimitato (anche se sappiamo bene come sia composta la proprietà della stampa quotidiana), ma questo significa che ci sono regole che nel nostro regolamento sono assolutamente «vicarianti». Non credo che occorrano regole più severe, perché queste sono regole chiare e debbono essere osservate. Chi è garante della loro osservanza per quanto riguarda le trasmissioni cosiddette di approfondimento? Il direttore, che riteniamo sia responsabile proprio dell'indipendenza e del fatto che il conduttore non influenzi il voto. Sono regole severe: mi sembra difficile inventare regole che lo siano ancora di più. Vi è la regola dell'oscuramento, ma francamente non ci sembra una regola da paese democratico.
Veniamo ora alla satira. La satira è una presenza costante solo in alcune televisioni del mondo. Normalmente, essa è presente nelle televisioni delle democrazie occidentali. Credo che la presenza della satira sia un po' come la presenza, nei corsi d'acqua, delle salamandre, che sono un indicatore di basso inquinamento. Un basso tasso di autoritarismo significa che la satira è possibile, che non ci sono regole per la satira e quindi che essa è presente. Ci sono regole che possono essere eccezionalmente applicate in alcuni periodi particolarmente limitati, come quello elettorale, ma per la satira non c'è regola. Altrimenti, ritorneremmo ai periodi, come quelli che abbiamo visto alla Galleria Borghese, in cui le statue erano ornate da calzoncini! Noi siamo contrari a questo.

PRESIDENTE. Questo è successo nell'Italia democratica. È successo nel dopoguerra!

SERGIO ROGNA MANASSERO di COSTIGLIOLE. Sentiamo una grande voglia di «braghette»: a noi non interessa!
Perché vogliamo che si parli di politica? Per un solo motivo, cioè perché i cittadini, quando vanno a votare, siano informati. Perché ci siamo tanto preoccupati di Porta a Porta? Per un motivo molto semplice: perché in quella particolare circostanza Porta a Porta era una trasmissione unica. Il problema non era Porta a Porta, ma il fatto che non c'era un ventaglio di trasmissioni che consentisse di dare spazi sufficienti, per cui essere invitati o meno a Porta a Porta diventava un fatto politico: questo non deve più ripetersi. È questo l'elemento che ha portato alla decisione dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni di considerarla comunicazione, semplicemente perché si era creata quest'ansia di presenza nella trasmissione che non era altrimenti regolabile. Noi crediamo che la RAI abbia il dovere, invece, di assicurare spazio sufficiente all'informazione dei cittadini, anche con questo sistema e quindi non solo con Porta a Porta.
Una questione che sembra nata in questi giorni è quella riguardante l'unità di garanzia. Non sono fatti nostri; non c'è motivo perché la nostra Commissione introduca un organismo con compiti che, per quanto riguarda la vigilanza, sono già affidati alla Commissione. Tra l'altro, non vorrei che questo diventasse per la RAI un elemento aggiuntivo al contratto di servizio, che porti alla fine ad un aumento del canone. La RAI è perfettamente autonoma e può dotarsi di tutti i meccanismi che ritiene idonei a garantire che le prescrizioni precise della Commissione vengano effettivamente seguite nel quadro della legislazione vigente, alla quale la Commissione non si sostituisce: semmai può dare in qualche caso interpretazioni più stringenti per quanto riguarda fatti specifici che rientrano nella sua responsabilità.
Vi è un fatto che mi sembrava smentito ma che oggi è stato confermato e che mi porta a chiedere quali siano i dati di ascolto sul complesso del sistema. Vogliamo averli in tempi piuttosto brevi,


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perché l'anomalia non è la presenza dell'onorevole Malgieri ma quella dell'onorevole Berlusconi. Da questo punto di vista credo sia necessario che noi sappiamo, se davvero i dati dell'Osservatorio di Pavia che si riferiscono a Mediaset non saranno più disponibili, quali altri lo saranno e come saranno disponibili i dati di valutazione complessiva che sono a noi necessari con una tempestività maggiore rispetto a quella che in questo momento è stata sperimentata. Non mi sembra che questa sia una dichiarazione esclusivamente politica.
Su tale aspetto credo che la Commissione - la questione non riguarda il nostro regolamento - debba compiere un approfondimento, poiché ha bisogno di tutti i dati e non solo di quelli che riguardano la RAI.

GIOVANNA GRIGNAFFINI. Non posso non rilevare l'andamento altalenante che ha avuto questa nostra giornata di incontro, anche con risvolti per qualche aspetto comici. Non mi riferisco tanto all'intervento del collega Giulietti, la cui sostanza e il cui contenuto condivido ma che nel tono lasciava intravedere una passione e la voglia di far emergere l'aspetto ridicolo che l'intera vicenda ha avuto, quanto agli interventi del presidente e dei colleghi Romani e Follini che, dopo essere partiti con la lancia innalzata nei giorni precedenti (dimissioni, non dimissioni), oggi sono arrivati alla filologia classica, portando interventi di verifica delle posizioni del presidente Zaccaria sulle questioni del pluralismo e provando a mettere in discussione i dati dell'Osservatorio di Pavia (è una pratica quella della delegittimazione degli istituti di ricerca: lo ha fatto anche Tremonti con l'Istat), oppure insinuando un cuneo nelle relazioni tra il presidente Zaccaria e il direttore Cappon. All'inizio di questa giornata è arrivato un messaggio: «Compagni, retromarcia; abbiamo esagerato con i toni; andiamo a vedere dove ricucire», ora è arrivato un contrordine con i due interventi dei colleghi Baldini e Novi. È atteso anche l'intervento del guastatore Vito, per cui immagino che la recrudescenza aumenterà.
Perché dico questo? Perché cerco di capire qual è la filosofia - quella che ha mosso la convocazione odierna mi è chiara - e qual è l'atteggiamento del Polo delle libertà, che forse aveva pensato di essere già andato all'incasso rispetto a questa vicenda nel produrre un effetto molto preciso, quello della delegittimazione della RAI e del suo gruppo dirigente. Tutto ciò significa, indipendentemente dalle procedure, dalle modalità e dalle tipologie che verranno istituite non solo dal regolamento ma anche dagli atti futuri, minare la legittimità. Da questo punto di vista mi sembra che il dato che risulta chiaro è di tutt'altro ordine, nel senso che abbiamo un problema di riqualificazione e ridefinizione di un vero pluralismo dentro il sistema generale radiotelevisivo.
Invito il presidente Zaccaria a ripetere ciò che è accaduto dal punto di vista della certificazione dei dati dell'Osservatorio di Pavia, perché la vera notizia che abbiamo avuto oggi è che un soggetto sottrae alla sua pubblicità i dati relativi a un pezzo del sistema informativo, attraverso la procedura della contrattualizzazione. Il vero dato politico che abbiamo avuto oggi è che Mediaset si sottrae al confronto e alla verifica, sottrae all'opinione pubblica un dato relativo...

PRESIDENTE. Non ho capito.

GIOVANNA GRIGNAFFINI. Per questo ho invitato il presidente Zaccaria a definire meglio l'ordine delle questioni. Forse lei era assente in quel momento.

MARCO BOATO. Questo è un tema che volevo riprendere anche io.

GIOVANNA GRIGNAFFINI. Detto questo, mi interessa sottolineare due punti che costituiscono l'oggetto specifico della nostra convocazione. Uno di essi è stato sollevato e ripreso più volte e riguarda la questione specifica della trasmissione di


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Luttazzi, ma anche più in generale le altre trasmissioni dedicate al libro di Travaglio e Veltri.
Il presidente Zaccaria ha già ricordato quali sono le diversità dei risvolti penali che hanno il regime discorsivo della satira e quello informativo. Queste diversità hanno a che fare con le diverse tipologie e credenze che il discorso satira e il discorso informazione attivano. Non mi ha convinto la definizione data da Boato di un contesto generale, o meglio mi convince se è vero che la satira, come genere, è una cornice discorsiva che pone l'interlocutore in un'attitudine di non credibilità rispetto a ciò che viene detto. L'ordine del discorso della satira non è il sembrare vero o l'essere vero ma è il mettere in atto un meccanismo di piacere, di reazione, di attenzione, di riso. Invece, l'ordine del vero è l'ordine del discorso informativo. Si tratterà di sfumature, ma sono due attitudini, due modalità, due attenzioni spettatoriali profondamente diverse che fanno sì che ciò che si chiede all'informazione non sia lo stesso che si chiede alla satira. Dunque, due ordini del discorso diversi.
Sono felice di aver appreso qui che l'ordine del discorso della satira, che si pone su un altro registro e regime anche di percezione, non verrà penalizzato, ma anzi, essendo uno degli elementi che caratterizzano il pluralismo, verrà rinforzato e aperto prossimamente.
Allora, se la questione non è relativa all'ordine del discorso, è relativa all'oggetto del discorso? Quindi non riguarda la modalità e la procedura dell'intervento di Luttazzi all'interno della trasmissione, ma riguarda l'oggetto, cioè il libro. Come è stato ricordato e detto più volte, si tratta di una serie di atti pubblici - che non hanno niente a che fare, collega Baldini, con il privato messo in piazza - non destituiti di fondamento, ma sicuramente non in grado di diventare elementi pregnanti da un punto di vista processuale. Bene, questi atti pubblici, che esistevano nella realtà indipendentemente dalla trasmissione di Luttazzi, hanno o non hanno diritto di diventare oggetto di un discorso televisivo? Ciò anche considerato che nel momento in cui tali materiali sono stati resi oggetto di un discorso televisivo non c'erano querele o smentite, essendo contenuti in un libro che circolava come tanti altri e come le tesi dei radicali che pure hanno avuto ospitalità nella trasmissione di Luttazzi, idee che circolano nella società e che non trovano una ribalta. Il libro, che fa parte del nostro contesto culturale, informativo, reale e non reale, diventa oggetto...

PRESIDENTE. Diventa satira?

GIOVANNA GRIGNAFFINI. Certo, smontando, per il tipo di contesto in cui viene inserito... (Interruzione del senatore Novi).

PRESIDENTE. Senatore Novi, per cortesia!

GIOVANNA GRIGNAFFINI. La domanda allora riguarda l'oggetto che è stato presentato e discusso in tre diverse trasmissioni: prima in quella di Luttazzi, senza contraddittorio - che non è previsto perché è la contraddizione dell'idea stessa della satira, è una figura che appartiene ad un altro ordine del discorso - poi in altre due trasmissioni in cui è stato ampiamente analizzato, con limiti e tempi diversi: quella di Enzo Biagi, che mi spiace non venga mai ricordato quando si parla di faziosità e di presa di posizione «militante» di alcuni conduttori, e quella di Santoro, che, essendo una trasmissione di informazione, ha offerto la possibilità di un contraddittorio, ma le sedie erano vuote. Invece, la trasmissione di Enzo Biagi ha incarnato il contraddittorio nella figura di Paolo Guzzanti che dibatteva insieme a Travaglio.
La domanda è: il problema è il libro, cioè l'oggetto, ed il fatto che non se ne debba parlare in trasmissione oppure è rappresentato dalle garanzie di contraddittorio che quel libro ha avuto o non avuto nella trasmissione di Santoro? Abbiamo constatato che nella satira non era caso, non era ordine, da Biagi lo è stato?


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Poiché oggi si è parlato di sfumature nello sguardo, nel corpo e nell'attenzione, sfido chiunque a dire che non ha capito il pensiero di Enzo Biagi a proposito di quel libro e delle argomentazioni di Paolo Guzzanti. Forse anche per voi Enzo Biagi è un obiettivo troppo alto da attaccare, per cui è più semplice cadere sul militante Santoro - nella vostra accezione - che offre la possibilità del contraddittorio (peraltro rifiutato in seguito all'idea di disertare il video) e che riceve in diretta l'intervista di Berlusconi, il quale ha ritenuto di dover sostenere alcune argomentazioni.
Non di cose private si trattava, perché siamo di fronte ad un signore che fa del proprio essersi fatto da sé - è l'imprenditore che si è costruito con le proprie mani - la ragione e il fondamento della «limpidezza» politica e che irride ad un signore che si chiama Francesco Rutelli perché ha solo dieci milioni sul conto corrente! È cosa pubblica che questo signore, del punto di forza della sua attività politica, esibito come fondamento della propria forza e credibilità politica, renda conto agli italiani, con tutte le garanzie ed i contraddittori del caso, senza continuare a pensare che i libri è meglio bruciarli anziché farli circolare liberamente!

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Grignaffini. Le ricordo che nessuno impedisce al suo partito di fare una campagna elettorale su questi temi. Non vedo per quale motivo una trasmissione di satira debba essere trasformata in una tribuna politica senza le garanzie proprie di questo tipo di trasmissioni.

ELIO VITO. Signor presidente, la ringrazio per aver deciso di convocare questa audizione...

PRESIDENTE. Meno male.

ELIO VITO. ...considerato il numero e la qualità degli interventi. Vorrei però sfuggire alla tentazione di fare un dibattito politico tra di noi, di rispondere ad alcuni interventi, ricordando qual è il compito della Commissione di vigilanza e di controllo sulla RAI, in particolare durante il periodo di scioglimento delle Camere.
Mi limiterò a porre una serie di domande al presidente della RAI, la prima delle quali riguarda il rapporto tra la legge sulla par condicio, i compiti della Commissione e il consiglio di amministrazione della RAI. Vorrei sapere per quale ragione il consiglio di amministrazione abbia adottato la famosa delibera con la quale avocava a sé la decisione rispetto ai programmi da rimettere sotto le testate giornalistiche solo perché erano scaduti i cinque giorni nei quali la Commissione avrebbe dovuto deliberare, secondo il dettato normativo. È una decisione gravissima e scorretta dal punto di vista istituzionale, sulla quale speravo il presidente dicesse qualcosa, che successivamente lo stesso consiglio di amministrazione ha riconosciuto di dover sospendere.
Ricordo a me stesso che la legge non dava alcun termine perentorio a quei cinque giorni; che era stato deciso all'unanimità un calendario che prevedeva per questa settimana l'approvazione del regolamento; che lo stesso calendario era a conoscenza del presidente Zaccaria e che lei stesso aveva invitato la RAI ad attendere l'emanazione del regolamento. Per tutta risposta la RAI, dopo il quinto giorno, ha dichiarato di fare da sola e di assumere un proprio regolamento. Questo atto mi è parso molto grave e credo sia stato censurato, in qualche modo, dai Presidenti delle due Camere quando, invitando la Commissione a fare il proprio dovere - che sta facendo e che avrebbe comunque fatto in base al calendario approvato -, hanno invitato il consiglio di amministrazione della RAI a sospendere quella delibera e ad attendere il regolamento. Lo dico perché più volte oggi è stato ripetuto che si attende con rispetto il regolamento, che ci si atterrà alle sue regole: molto bene, dato che questi sono i compiti attribuiti alla RAI. Non si capisce perché continuate a ripetere queste cose stasera e non le avete fatte la settimana


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scorsa, quando avete approvato quella delibera che a proposito di satira era involontariamente autoironica, dato che sospendeva le trasmissioni per sei o otto ore! Sono azioni al confine con la satira, posto che stiamo parlando di compiti che la legge affida alla Commissione di vigilanza. Se vi erano urgenze specifiche, il consiglio di amministrazione poteva rappresentarle alla Commissione, la quale avrebbe sicuramente modificato il calendario dei lavori e magari anticipato l'approvazione del regolamento. Così si fa! Ad una lettera del presidente della Commissione, si poteva rispondere in altra maniera e sicuramente la Commissione avrebbe soddisfatto queste esigenze. Invece, per tutta risposta, alla Commissione parlamentare di vigilanza che rappresenta il Parlamento e che non deve essere vista come uno strumento di oppressione o di gestione dell'opposizione quasi che ci si contrapponesse alla RAI, si è risposto «faccio da me!». Lo dico perché voglio che vi sia rispetto politico degli organi istituzionali che rappresentiamo; diversamente non capirei i nostri compiti. Per fare polemica politica con i colleghi della sinistra posso utilizzare la campagna elettorale!
È stato giustamente osservato dal presidente Zaccaria come la satira abbia una serie di caratteristiche che la chiamano fuori dal gioco politico e la sottraggono ai principi generali del nostro ordinamento. Sono d'accordo e credo che il presidente Zaccaria si riferisse alla famosa querela presentata dal Presidente D'Alema al vignettista Forattini, che è un'utile censura e un utile argomentare alle lesioni vere del diritto di satira provenienti da autorevoli esponenti della sinistra. Il primo precedente di reazione alla satira delle vignette è stato questo e non mi pare siano stati lanciati appelli in difesa dei giornalisti o degli autori di satira! Né credo sia stato sviluppato un dibattito da parte della sinistra, così attenta a difendere la satira, quando - lo ripeto - un esponente politico di primo piano ha querelato un vignettista.
Per me la trasmissione Satyricon non era satira, né lo era per tutti coloro che l'hanno vista. Forse il presidente Zaccaria non sa che la nostra Commissione ha già discusso - con unanimità di opinioni - sul fatto che non si trattasse di satira...

ROBERTO ZACCARIA, Presidente della RAI. Perché non avete votato?

ELIO VITO. Presidente, sono abituato ad essere interrotto durante le trasmissioni della RAI, speravo di non esserlo in questa sede!

PRESIDENTE. Presidente Zaccaria, risponderà dopo.

ROBERTO ZACCARIA, Presidente della RAI. Ripeto, perché non avete votato?

ELIO VITO. Gli onorevoli Boato, Semenzato e in parte il collega Falomi hanno condiviso il giudizio che non si trattasse di satira, ma di qualcosa di diverso, come non era satira la presenza di esponenti politici. Ammesso che fosse un'intervista, non aveva nulla a che fare con la satira; se invece era satira, non si capisce perché il consiglio di amministrazione della RAI ha dato il diritto di replica, cosa per me ridicola ed offensiva. Che dovevano fare gli esponenti della Casa delle libertà, un'altra trasmissione satirica? Dovevano chiamare qualche comico? Se era satira, ad essa non si replica, si ride! Se invece era qualcosa che non ha nulla a che vedere con la satira e con la politica, si risponde in altre sedi.
Presidente, noi siamo in campagna elettorale e quella trasmissione, nel bene e nel male, ha fatto parlare molto di sé anche nelle puntate precedenti. A noi risulta che sia stata registrata 48 ore prima di andare in onda: c'è qualcuno, nell'azienda da lei presieduta, che aveva visionato prima quella cassetta? Lei era stato informato del contenuto della trasmissione? All'interno della RAI esistono oppure no meccanismi di controllo, di decisione e di scelta su quello che avviene?


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Questo è il motivo della richiesta al presidente Landolfi di svolgere la sua audizione.
In quelle 48 ore, dalla registrazione del lunedì alla messa in onda del mercoledì, che cosa è successo in RAI? Oltre all'intervistatore e ai responsabili della rete, vi sono altre persone in grado di assumersi la responsabilità della messa in onda della trasmissione? Lei lo sapeva o non lo sapeva dal lunedì al mercoledì? Ripeto, in campagna elettorale, in una fase particolarmente delicata della vita democratica di un paese, lei era a conoscenza di quella messa in onda? Era stato informato? Se non era stato informato, ha ritenuto suo dovere chiedere a qualcuno «perché non me l'avete detto prima»? Personalmente immagino che rispetto ad una trasmissione su cui già tanto si è parlato - le mutandine, l'episodio della cacca, il Papa - il presidente della RAI sia attento, abbia gli occhi aperti specie in campagna elettorale. Ritengo che il presidente della RAI debba chiedersi che cosa succede mercoledì. Nessuno le ha detto nulla? E lei, se nessuno le ha detto nulla, non ha obiettato nulla? Lo ritiene pacifico? Noi facciamo i processi alle intenzioni, facciamo la parte delle vittime oppure è giusto chiederle se in questi 45 giorni di campagna elettorale è informato oppure no sulla messa in onda della RAI? Vuole evitare o meno che succedano cose spiacevoli che hanno creato polemiche e un caso? Oppure lo sapeva e l'ha mandata in onda beandosi di poter ridere della satira! E se non lo sapeva, chi è il responsabile della mancata informazione nei suoi confronti? Lei non ritiene che, non essendo stato avvertito, ci sia qualcosa che non funziona nella RAI ed anche rispetto al consiglio di amministrazione che lei presiede? Queste sono le ragioni per le quali abbiamo chiesto la sua audizione.
Ripeto, abbiamo chiesto la sua audizione perché sono in ballo il servizio pubblico, la concessione e la campagna elettorale.
In base alle dichiarazioni riportate, le porrò altre domande. Nessuno fa la difesa d'ufficio di una parte politica o di un'altra, men che mai rispetto al consiglio di amministrazione della RAI, ma sono preoccupato del modo di funzionare di questo consiglio di amministrazione durante la campagna elettorale. Sappiamo che l'equilibrio sul quale si fonda il rapporto RAI-politica, RAI- Parlamento, RAI- Commissione di vigilanza è delicato e particolare; il consiglio di amministrazione della RAI è stato nominato dai Presidenti delle Camere che, nominando cinque persone, hanno ritenuto di garantire la completezza della professionalità, dell'esperienza, del pluralismo di idee e, di conseguenza, il buon funzionamento della RAI. Ritiene che possano essere rispettati l'opinione e il mandato dei Presidenti delle Camere quando in campagna elettorale questo organismo funziona a tre? Dal punto di vista giuridico, tre è la maggioranza, ma nel periodo più delicato della vita democratica del paese - la campagna elettorale - si deve tener conto o meno della completezza delle professionalità, delle ricchezze culturali, del pluralismo che i Presidenti delle Camere hanno inteso mettere alla guida della RAI? Oppure lei ritiene che in questo periodo la RAI debba funzionare lo stesso? Ripeto, non faccio la difesa di ufficio di persone che non conosco - lo rivendico con orgoglio - perché non ritengo debbano esistere principi di appartenenza che offenderebbero i Presidenti delle Camere, ma il punto è che i Presidenti delle Camere hanno trovato un equilibrio che in campagna elettorale va rispettato sotto tutti i punti di vista. Come presidente è suo compito rispettare questo equilibrio oppure ritiene che se ne possa fare a meno? Questo rispetto alle polemiche spiacevoli di questi giorni; spiacevoli perché abbiamo a cuore l'immagine e la credibilità dell'azienda sia in una fase delicata com'è la campagna elettorale, sia in genere.
Signor presidente, lei è molto bravo nel rendere noti con una precisa puntualità informativa i dati sulle presenze TV. Non voglio entrare in polemica con lei su questi dati, perché le polemiche sono state già fatte; noi riteniamo questi dati in


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parte distorti per come vengono sommati, ma poiché stiamo facendo il regolamento le pongo alcune domande: in campagna elettorale, la famosa ripartizione per la quale si vanta titolo di equidistanza della RAI e dei TG - un terzo, un terzo, un terzo, più o meno - ha valore o no? Io le chiedo con senso di curiosità, signor presidente (giri poi lei la domanda all'Osservatorio di Pavia), se la trasmissione Porta a Porta dedicata ai vicepremier (un giorno Fini e un altro giorno Fassino) venga computata come spazio istituzionale o come spazio di una parte politica. Quando in campagna elettorale il ministro della giustizia è vicepremier, il ministro dell'interno è candidato capolista della Margherita, il ministro degli affari esteri è uno dei fondatori della Margherita, il Presidente del Consiglio è un autorevole candidato dell'Ulivo, questi spazi istituzionali sono o non sono anche gli spazi dei candidati? Sono o non sono anche spazi di un soggetto politico? Ha ancora senso quella ripartizione che per tutto l'anno ha sicuramente senso, perché è corretta, tra spazio istituzionale, maggioranza e opposizione, in campagna elettorale, quando c'è una precisa coincidenza delle stesse persone? Ripeto, quello spazio di Porta a Porta con la scritta vicepremier era spazio istituzionale o no, secondo lei? È giusto che venga conteggiato come spazio istituzionale? E come si fa a non sovrapporre l'intervista al ministro dell'interno, che è anche capolista, e viceversa? Il ministro Veronesi non è candidato, il ministro Bordon non sappiamo se sia o meno candidato: sicuramente non vogliamo censurare le loro apparizioni, ma il punto è che in campagna elettorale accade qualcosa di diverso, nel senso che c'è il rischio oggettivo che quella carica istituzionale venga ad essere confusa o possa essere comunque riconosciuta dagli elettori nel capolista o nel candidato di un collegio. Vale ancora la ripartizione: un terzo, un terzo, un terzo? Credo sia questo uno dei problemi posti nella bozza di regolamento presentata dal senatore Baldini, che non è stato recepito, mentre vorrei fosse colto dalla RAI: nei trenta giorni la regola un terzo, un terzo, un terzo sicuramente non vale, quando gli esponenti di Governo sono candidati e quando la loro apparizione in televisione non ha nulla a che vedere con le funzioni istituzionali. Sappiamo infatti che in questo periodo anche l'attività del Governo è limitata e quindi non si va a spiegare un provvedimento che l'esecutivo non può più neanche assumere; sono cose ovvie, quindi è ovvio che l'apparizione è l'apparizione di un candidato, e vorrei che venisse conteggiata nella parte dello schieramento per il quale si candida.
Signor presidente, richiamo il principio della legge che io non ho votato e che ho fortemente contrastato, vale a dire che i valori (perché qui qualcuno ha parlato di valori) di pluralismo e di correttezza nell'informazione sono valori generali che si applicano, naturalmente senza alcun limite censorio, anche alle trasmissioni informative e pure a quelle ricondotte sotto la responsabilità della testata giornalistica. Ammettiamo che per queste trasmissioni non debba esistere - non credo sia giusto, stante una legge ingiusta e sbagliata come la cosiddetta legge sulla par condicio - alcun vincolo ed alcuna responsabilità, che possano invitare chi vogliono, che possano fare le trasmissioni come vogliono e sui temi che vogliono; non credo che questo sia giusto e che corrisponda ai criteri di quella legge, ma se anche fosse così, lei ritiene che le ultime trasmissioni che sono state fatte, quelle che sono state oggetto di polemica politica e che ora richiamerò, siano state impostate secondo i criteri di pluralismo e di correttezza dell'informazione? Lei ritiene che fare, ad esempio, una trasmissione sul tema del conflitto di interesse (ne parlo per diretta esperienza, visto che mi sono trovato in evidente condizione di inferiorità numerica) corrisponda ai principi di pluralismo e correttezza d'informazione? Quando un conduttore minaccia il rappresentante dell'opposizione di deferirlo alla Commissione parlamentare di vigilanza, io che cosa devo chiedere ai colleghi, la delibera di solidarietà, o dovete


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fare voi, consiglio d'amministrazione della RAI, la delibera di solidarietà al dipendente?

PRESIDENTE. O quando si dice che la Commissione di vigilanza rompe le scatole?

ELIO VITO. Che cosa devo chiedere? La delibera di solidarietà ai colleghi perché sono stato minacciato di deferimento? E quei criteri della trasmissione: lasciamo stare il diritto della par condicio, si discute di ciò che si vuole. Perfetto, è la RAI. C'è la legge della par condicio. Deve attenervisi comunque, anche se non fosse comunicazione politica, come secondo noi dovrebbe al limite essere, per poterla fare in campagna elettorale. Ci sono dei principi di correttezza e di pluralismo che valgono comunque o no? Lei ritiene che da parte del conduttore, quando il leader dell'opposizione telefona, sia corretto o meno e corrisponda o meno ai principi del pluralismo e dell'informazione dire alla regia di chiudere il collegamento? Corrisponde ai canoni deontologici, avendolo prima sfidato altre persone a rispondere e a fornire dati? E quando risponde, poiché il tono non piace, si minaccia di chiudere il collegamento (Commenti del senatore Falomi). Si chiede un intervento di replica.

PRESIDENTE. Voleva fare il patteggiamento: torni qui, che la faccio parlare!

ELIO VITO. Voi avete parlato di regime: il regime è proprio questo: scegliersi l'oppositore e fare in modo che parli con i toni, con i modi e con i contenuti che volete voi. Se l'oppositore si rifiuta di stare al ruolo assegnato dal conduttore si deve chiudere il collegamento, lo si deve zittire (Commenti). Io sto chiedendo non a voi ma al presidente della RAI se ritenga che questi comportamenti corrispondano all'interesse generale, perché quando una parte politica (probabilmente maggioritaria, ma lo vedremo dopo le prossime elezioni) che comunque rappresenta metà del Parlamento afferma di non riconoscersi in queste funzioni di garanzia e di non partecipare non lo fa per gioco, per scherzo, ma per porre un problema serio, dietro il quale il presidente della RAI non si deve trincerare come se fosse un attacco personale, dicendo che va avanti lo stesso. È accaduto qualcosa o no? Va bene allora la delibera di oggi, per carità, perché noi difendiamo i dipendenti RAI (certo, non con il comizietto che è stato fatto), ma il problema è capire cosa accada quando si verificano delle cose che a nostro giudizio (e forse a giudizio unanime, perché abbiamo raccolto su questo dei giudizi molto convergenti) non corrispondono comunque ai principi di correttezza, di pluralismo dell'informazione e deontologici che la stessa RAI si è data. Quegli atteggiamenti sono tollerati? È questo il punto. Ciò non vuol dire voler stabilire delle censure, che noi non vogliamo, perché siamo per nostra natura e per nostro principio politico contrari alle censure ed ai bavagli, che pure siamo stati costretti a subire in maniera unilaterale. Quando accadono queste cose chi presiede l'azienda deve avere una funzione di garanzia. Certo che l'azienda è autonoma, però non dobbiamo dimenticare che è di tipo speciale, come deriva anche dal rapporto parlamentare, dal rapporto con il Governo e dagli stessi criteri di nomina da parte dei Presidenti delle Camere; non si capirebbe l'esistenza di quei criteri di nomina, se non per esprimere una funzione di garanzia complessiva del paese attraverso le massime autorità indipendenti, non per nome di un'Authority ma di chi rappresenta l'intero Parlamento. E in campagna elettorale, quando qualcuno dice di non sentirsi garantito in ordine a quanto sta accadendo e quando avvengono questi episodi? È satira, va tutto bene, no alla censura, solidarietà ai dipendenti, o prima ancora si dice: io non devo attendere la delibera della Commissione di vigilanza, mi faccio il regolamento da me? Sono questi i problemi, presidente Zaccaria, che io le pongo come componente della Commissione parlamentare di vigilanza (ho sentito parlare di tante aziende che non


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c'entrano con i nostri compiti istituzionali), come uno che ha a cuore che l'azienda funzioni e funzioni bene, garantendo il servizio pubblico. Altrimenti, che ci stiamo a fare? Perché la legge ha istituito una Commissione parlamentare di vigilanza sulla RAI? Forse, per opprimere la RAI? No, per garantire alcuni principi, per garantire che il servizio pubblico rispetti alcuni principi e valori, altrimenti non ha senso il rapporto tra un'azienda privata e il Parlamento.
Ringrazio ancora il presidente Landolfi per aver voluto questa audizione e le pongo queste domande, presidente Zaccaria, le assicuro senza alcuno spirito polemico e senza sentirmi come sua controparte, anzi cercando di riconoscermi in un tentativo di ripristinare quelle regole e quel ruolo di garanzia che oggi purtroppo - non lo dico con gioia - sono venuti meno.

PRESIDENTE. Do nuovamente la parola al presidente Zaccaria.

ROBERTO ZACCARIA, Presidente della RAI. Le domande sono molteplici, i tempi di intervento sono stati molto ampi. Mi rendo conto che il problema suscita nella Commissione e nei suoi componenti un'attenzione particolarmente rilevante.
Ripeto quanto ho detto nelle risposte precedenti: se continuiamo a girare intorno a questo problema giocando sulla questione relativa agli indirizzi di questa Commissione e al rispetto da parte del consiglio di amministrazione, evidentemente non ne usciamo, perché la Commissione ha dato indirizzi in materia di pluralismo ma in quegli indirizzi non c'è riferimento all'argomento satira. La satira, che è un genere autonomo (l'ho detto io e l'hanno detto anche altri partecipanti a questa audizione), si trova al di fuori di questo contesto; naturalmente è oggetto di discussione. Non credo che necessariamente maggioranza, opposizione, singoli membri di questa Commissione debbano condividere, in ragione della loro appartenenza politica, queste valutazioni. Il consiglio di amministrazione della RAI è composto con criteri diversi, non di rappresentanza automatica degli schieramenti, che sono molto più articolati, presenti in questa Commissione; il consiglio ha dato una determinata valutazione, che evidentemente sarà soggetta - come è soggetta qui - a valutazioni differenziate, ma è la valutazione che ha dato questo organismo che assume questo ruolo di garanzia, un organismo autonomo circondato da tutte quelle cautele di cui ho parlato all'inizio.
Non mi sorprende che molti pongano alla base un ragionamento diverso, però non si può invocare indirizzi che, come tali, se fossero indirizzi, sarebbero per noi vincolanti e passare continuamente da un piano all'altro del discorso, perché con queste operazioni non ci si ritrova. Insisto nella valutazione che ho già dato, che sarà opinabile ma che ha la certezza di essere presa dall'organo di governo, l'editore di questa azienda. È questo l'elemento di fondo, altrimenti torniamo sopra il problema in continuazione e diciamo le stesse cose fino alla noia.
Naturalmente anche il rapporto tra la legge sulla par condicio e la satira si pone in termini tali per cui abbiamo avuto benissimo la percezione di questo problema, ma non abbiamo ritenuto - e io personalmente continuo a non ritenere - che la satira come genere sia sostanzialmente stata disciplinata dalla legge n. 28 del 2000, normativa che si riferisce a situazioni diverse. Tanto per fare un esempio, Blob non l'abbiamo ricondotta alla responsabilità di una testata; Blob contiene degli accostamenti particolari tra interventi di soggetti politici, trasmissioni di altro genere e, in qualche modo, ha un contenuto satirico. Ricondurre questa trasmissione alla responsabilità di una direzione di testata avrebbe voluto dire sottoporla a meccanismi di tipo informativo che essa non ha; lo stesso discorso vale per altre trasmissioni che possono essere fatte su altre reti, come Striscia la notizia, che, come è stato detto, ha caratteristiche simili. Non potete pensare che le leggi disciplinino ogni fenomeno: disciplinano le cose che contengono. Penso che una legge


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valga anche per l'interpretazione precedente, e l'interpretazione precedente è stata in un determinato senso, nel senso di individuare - insisto - alcuni generi come l'informazione, l'approfondimento, la comunicazione, i messaggi. Sono queste le categorie disciplinate. Però noi non ci siamo soltanto limitati a questa valutazione, ma abbiamo detto, proprio nella delibera che ho richiamato, una cosa molto precisa: anche se il programma definito satirico... All'inizio Satyricon era un programma di satira; questo è il giudizio espresso dal nostro consiglio. D'altra parte, lei non può dire «siete in cinque, scelti dai Presidenti delle Camere come una sorta di strano assunto per cui o decidete all'unanimità o non decidete».

ELIO VITO. Una ricerca del consenso...

ROBERTO ZACCARIA, Presidente della RAI. È un argomento che prova troppo, perché paradossalmente decidere all'unanimità significa sostanzialmente rimettere la decisione ad un singolo.

ELIO VITO. Ma voi non decidete mai all'unanimità!

ROBERTO ZACCARIA, Presidente della RAI. No, lei si sbaglia. Questo è il consiglio che ha deciso all'unanimità il maggior numero di volte rispetto a tutti i consigli precedenti, quindi lei si sbaglia di grosso in proposito, perché il nostro consiglio su alcune questioni si è diviso ma sostanzialmente ha deciso questioni molto delicate ed importanti. Ricordo altre decisioni che abbiamo preso insieme e che riguardavano temi e contenuti dell'informazione. Abbiamo stabilito che, anche se il programma non si pone, in linea di principio, in contrasto con le regole sulla par condicio, perché evidentemente è un programma che per le sue caratteristiche va al di fuori di queste, ciò nonostante, in considerazione della campagna elettorale già in atto (evidentemente è difficile non tener conto di tale contesto; d'altra parte, la legge prevede scansioni diverse nel primo periodo e nel secondo, anche con riferimento ai soggetti presentati), il consiglio d'amministrazione invitasse il direttore generale a verificare con il direttore di rete le caratteristiche strutturali delle prossime puntate e a prendere in considerazione eventuali modifiche del calendario, sottoponendo in questo secondo caso al consiglio di amministrazione la soluzione proposta. Si è quindi tenuto presente che man mano che la campagna elettorale si avvia verso la parte più intensa e finale si possono porre problemi di questo genere; infatti si è posto il problema delle presenze soggettive, perché evidentemente la presenza di personaggi politici o di soggetti che, pur non essendo personaggi politici, pongano al centro questi temi politici può porre problemi, per cui il consiglio ha voluto inserire questa disposizione di cautela, ed è quello che è avvenuto nelle sequenze successive.
Da questo punto di vista, non è affatto vero quanto è stato osservato in questa sede con riferimento al problema relativo alle norme. Lei, onorevole Vito, ha parlato ad un certo punto del fatto che il consiglio di amministrazione, trascorsi i cinque giorni assegnati dalla legge alla Commissione per definire il regolamento, avrebbe preso una decisione che è giudicata non appropriata, discutibile. Io sento dire in questa Commissione che si tratta di una legge non condivisa ma che si vuole applicare. Per noi è molto difficile capire se una legge sia condivisa o meno; è una legge. Se si afferma che non la si condivide ma la si vuole applicare, si crea una serie di condizioni che rendono impossibile per chi deve operare capire se la legge, una volta approvata, a prescindere dai consensi di maggioranza e opposizione, sia una legge. Se lo è, questa legge prevede che «la Commissione e l'Autorità, previa consultazione fra loro, e ciascuna nell'ambito della propria competenza, definiscono non oltre il quinto giorno successivo all'indizione dei comizi elettorali i criteri specifici (...)». È una legge di per sé molto chiara, perché prevede queste categorie, una legge che tocca - le ricordo bene - il principio fondamentale della libertà di espressione, quindi essa non può


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consentire interventi restrittivi, perché se questi venissero praticati (di ciò sono fermamente convinto) si andrebbe a confliggere con il valore fondamentale rappresentato dalla libertà costituzionale. Questa legge, quindi, deve essere interpretata in maniera restrittiva, non può essere subordinata alla mancanza di un regolamento, paralizzando così una libertà costituzionale.
Le ricordo che noi siamo stati oggetto di un atto penale da parte di Pannella (almeno l'ho visto annunciato dalle agenzie) per il fatto che, aderendo alla sollecitazione dei Presidenti delle Camere in ordine ad un'attesa superiore ai cinque giorni, ci saremmo resi responsabili di interruzione di pubblico servizio. Vi ricordo che qui giochiamo con le libertà costituzionali, non con delle interpretazioni opinabili. Quando una legge dice «non oltre il quinto giorno», non si tratta di un termine facoltativo. A mio modo di vedere, trattandosi di questa materia, ciò significa che dopo il quinto giorno scatta un meccanismo di autonoma valutazione, che il consiglio di amministrazione ha adottato in questo caso all'unanimità; sostanzialmente ha detto di sospendere la presenza di soggetti politici in tutte le trasmissioni fino al 15 marzo 2001, termine ultimo previsto dalla legge, dopo il quale la RAI assumerà le determinazioni direttamente applicative della legge e più aderenti al dettato costituzionale. Di fronte a questa delibera, assunta all'unanimità, lei può dirmi che io mi sono arrogato dei poteri comunicando questa cosa alla Commissione... Quest'ultima è una Commissione bicamerale, un organo del Parlamento, io ne conosco la natura, ma quando approva un regolamento compie un atto diverso dall'attività legislativa, fino a prova contraria. Il regolamento, poiché incide su libertà fondamentali, è ovviamente soggetto a tutte le impugnazioni previste dal nostro ordinamento. Quindi io, in presenza di una delibera di questo tipo, se non la attuo - e si tratta di materia costituzionale - contraggo delle responsabilità. Secondo Pannella le ho contratte, anche perché ho aderito all'invito dei Presidenti delle Camere. Non credo di averle contratte, ma il problema si è comunque posto.
Vorrei dunque che a lei, a tutti coloro che hanno mosso delle critiche sul nostro tipo di comportamento, non sfuggisse il delicato meccanismo sul quale siamo impegnati a riflettere. Lei mi ha rivolto una domanda molto diretta, chiedendomi se io conoscessi il contenuto di quel programma, di quella cassetta. L'ho già dichiarato: no, non lo conoscevo...

ELIO VITO. È grave!

ROBERTO ZACCARIA, Presidente della RAI. No, non è grave, è la garanzia delle libertà! A lei sfugge una cosa che per gli addetti ai lavori è elementare: le garanzie delle libertà si giocano su un combinato equilibrio nel nostro sistema tra la responsabilità editoriale, che è del consiglio di amministrazione, il quale giudica a posteriori e non può essere coinvolto sulla responsabilità della messa in onda, perché ciò garantisce le autonomie e le diversità, la possibilità che nella nostra società vi sia qualcuno che si assuma la responsabilità... Io non le dico che nessuno si assume la responsabilità; le ho ricordato tanti casi in cui direttori di rete, direttori di struttura sono stati portati in giudizio penale per rispondere delle cose di cui mettevano in onda il contenuto.
Il discorso è diverso nel rapporto tra direttore di rete e direttore generale e quindi, da questo punto di vista, il direttore generale, nel rapporto con il direttore di rete, ha ritenuto di fare un richiamo, perché il direttore generale (ed anche questo è un importante elemento di sfumatura), anche se non è tenuto a conoscere i contenuti delle singole trasmissioni che vanno in onda, ha tuttavia il potere di dare direttive specifiche e di chiedere un'informazione più dettagliata ai responsabili delle strutture. Ma proprio questo sistema complicato, che può apparire meno «padronale», è la ricchezza del servizio pubblico; è la ricchezza che è la pluralità di fabbriche di libertà. Questo garantisce la diversità, la non omogeneità.


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Se un programma non mi piace, io non gli taglio le unghie, perché può darsi che piaccia ad altri nel nostro paese; questo dobbiamo garantirlo. Lei si deve rendere conto che la sua visione un po' schematica la porta sostanzialmente ad un sistema che tende a dire «vada in onda quello che rappresenta, secondo la mia mentalità, o quella della maggioranza, il denominatore comune»...

ELIO VITO. Io dico: vada in onda quello che risponde ai principi di correttezza dell'informazione!

ROBERTO ZACCARIA, Presidente della RAI. Questo è pericolosissimo ed io credo che proprio in questo Parlamento un'affermazione del genere non possa essere pronunciata con tranquillità.
Spero che questo dibattito sulla satira rimanga nella storia del nostro paese, con il contributo che tutti abbiamo dato, perché ce ne ricorderemo in altre epoche; ma stiamo attenti a non semplificare in una materia complessa come quella che abbiamo di fronte.
Il senatore Novi ha espresso valutazioni gravemente lesive della dignità delle persone, di cui egli si assume la responsabilità, peraltro notoriamente coperte dall'insindacabilità. A mio giudizio Santoro è un grande professionista, ha condotto programmi esemplari ed i giudizi che riguardano altre sue esperienze non mi appartengono, perché io non ero con lui in quell'esperienza. Tuttavia devo dire che, se avessimo tutti professionisti di questo livello, il grado di libertà e dibattito nel nostro paese sarebbe certamente più elevato. Difendo Santoro come difendo Vespa, come difendo Biagi, come difendo Primo piano, come difendo TV7, come difendo tutti i nostri programmi informativi, e l'ho sempre fatto. Però vi prego di credere che la tesi che è alla base di questo discorso («stiamo attenti, togliamo perché può essere pericoloso») è una tesi pericolosa per i valori complessivi che voi avete di fronte.

PRESIDENTE. Lei deve ancora una risposta all'onorevole Grignaffini.

ROBERTO ZACCARIA, Presidente della RAI. L'avevo già fornita, però la ripeto perché lei, presidente, era assente. La risposta è molto chiara. L'onorevole nel suo intervento ha messo sostanzialmente in discussione la serietà, richiamando il meccanismo di rilevazione dei dati...

PRESIDENTE. Ha formulato una domanda.

ROBERTO ZACCARIA, Presidente della RAI. Non c'è dubbio. Io ho specificato che l'Osservatorio di Pavia ha cominciato a lavorare con i professori...

PRESIDENTE. No, è un'altra cosa, a proposito dell'emittenza privata.

ROBERTO ZACCARIA, Presidente della RAI. D'accordo, ma volevo dire che l'Osservatorio di Pavia in tutti questi anni ha lavorato, ha fatto il suo mestiere con metodologia giudicata conforme rispetto a quella del Centro d'ascolto, che è un altro istituto. Questo è il primo elemento che risponde alla domanda se esista una serietà metodologica in questi organismi: la mia risposta è sì, è elevatissima, è la più elevata che abbiamo nel nostro paese.
Secondo elemento. Fino ad un certo periodo abbiamo avuto un contratto con l'Osservatorio che ci consentiva di utilizzare i dati relativi alla RAI ed anche i dati di sistema. Proprio oggi il nostro consiglio d'amministrazione, dibattendo di questo argomento, ha detto che non solo è opportuno, ma è doveroso avere la conoscenza dei dati di sistema. Nel novembre dell'anno scorso- se non erro - per ragioni, devo ritenere, di ordine economico, è stato interrotto da parte della RAI il contratto di collaborazione in relazione ai dati relativi al sistema privato; immagino che vi fosse una scadenza e la RAI non lo abbia rinnovato. In consiglio avevamo chiesto ragione di questo fatto; ci è stato detto che era molto oneroso e quindi ci siamo fermati lì, avendo a disposizione il Centro di ascolto. Qualche settimana dopo ho saputo che ci sono stati dei contatti da parte di Mediaset per avere la


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collaborazione del centro di Pavia sui dati relativi a Mediaset. Adducevo questo argomento come elemento di comprovato valore dell'istituto, perché evidentemente se non fosse valido non gli verrebbe offerto un altro contratto. Ho detto però che il risultato definitivo di questa combinata operazione, in parte dipendente dalla RAI, ma non dal consiglio, ed in parte dipendente da un'offerta concorrenziale, è che noi oggi da Pavia abbiamo solo i dati che ci riguardano, non abbiamo quelli di sistema. Infatti i dati che ho fornito a questa Commissione sono del Centro di ascolto. Quindi, per la RAI abbiamo Pavia, per il privato abbiamo il Centro di ascolto. Da questo punto di vista, arriviamo dunque ugualmente al risultato, ma ci arriviamo non attraverso due istituti paralleli, bensì attraverso uno più uno.

PRESIDENTE. Chiedo al direttore generale Cappon se intenda aggiungere altre considerazioni.

CLAUDIO CAPPON, Direttore generale della RAI. No.

PRESIDENTE. Avverto che, poiché l'onorevole Lombardi non è presente, si intende che abbia rinunciato al suo intervento.

GIORGIO MELE. Stiamo svolgendo una maratona lunghissima di discussione su questa vicenda, talvolta con toni poco simpatici. Tuttavia mi posso permettere di essere abbastanza conciso perché confesso di concordare con tutto quanto ha ora affermato il presidente Zaccaria, il quale ha fornito alcune risposte che mi sembrano estremamente importanti e che ritengo non potessero essere diverse.
La discussione che abbiamo svolto in questi giorni è cominciata da tempo, non è stata avviata solo perché adesso siamo in campagna elettorale. La vicenda di Luttazzi è cominciata da subito, tant'è vero che mi pare che il presidente della nostra Commissione sia stato ospite di una trasmissione di Santoro proprio su questo punto; io non ho condiviso quanto affermato dal presidente della Commissione, il quale aveva espresso giudizi abbastanza pesanti già su altri temi, dalla Falchi ad altre questioni. Da un certo punto di vista, quindi, la vicenda non è cominciata oggi, anche se oggi si acuisce per altri motivi di cui parlerò in seguito. D'altra parte, è indubbio che è impossibile parlare se il clima e l'opinione diffusa portano a censurare in qualsiasi momento una trasmissione come quella di Luttazzi. Allora non soltanto non si fa satira, ma diventa veramente impossibile parlare. Adesso si pone la questione della cassetta relativa all'intervista a Borsellino, che peraltro riguarda argomenti non personali ma pubblici, come ha sottolineato la collega Grignaffini: su questo è bene discutere. Ma si è discusso anche di cose di importanza molto minore e devo dire sinceramente che non mi pareva nemmeno il caso di affrontarle; come ha detto giustamente l'onorevole Grignaffini, in quei casi si poteva anche rasentare il ridicolo, eppure ne abbiamo discusso.
Devo poi dire che Santoro è riuscito a far discutere anche di questo problema: la RAI ha quindi consentito lo svolgimento di una trasmissione seria intorno a questo tema. D'altra parte il problema dovrebbe già essere risolto. L'onorevole Vito domanda: non era il caso di tagliare il programma, visto che era registrato? Se si rispondesse di sì vorrebbe dire che in questo paese c'è il buio della ragione; se dopo il 13 maggio volete questo buio, spero che possiate ripensarci seriamente in tempo, perché sarebbe drammatico! È chiaro che bisogna combattere per la libertà e per la democrazia in modo diverso. Penso sia questo il punto.
D'altra parte la RAI è stata attaccata anche in altre occasioni. Ricordo un programma sul Gay pride, peraltro andato in onda alle 11: la trasmissione è stata attaccata per indecenza, per mancanza di buon gusto e per altri motivi del genere. Ma il servizio pubblico non deve garantire proprio la messa in onda di questo tipo di programmi? Si tratta di un aspetto molto importante.


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Mi dispiace, presidente Landolfi, che lei si sia sempre fatto carico di queste lamentele. Vito ha detto che sono sempre state lamentele unanimi, ma non sono assolutamente d'accordo; anzi, è stato il contrario. Qui si tratta della libertà. Io su Canale 5 vedo tutto, comprese le trasmissioni di Ricci e di tutti i «bolscevichi» di cui parla il senatore Novi (noi lo ascoltiamo da cinque anni in Senato e quindi sappiamo come parla...). Spesso e volentieri si ride o ci si incazza anche, ma sarebbe ben strano passare a qualcos'altro, come invece è accaduto (secondo me anche in maniera drammatica, da questo punto di vista).
Come ha detto Novi, nella trasmissione di Santoro la cassetta è stata ricostruita accuratamente. Allora qualcosa in questa discussione non mi convince e deve essere valutato (e penso che gli italiani sapranno valutarlo). Mi pare che le risposte date dal presidente Zaccaria anche rispetto al regolamento in campagna elettorale siano giuste. Durante la scorsa settimana abbiamo anche registrato una perdita di tempo. Noi abbiamo fortemente sollecitato la discussione del regolamento, che a un certo punto è stata bloccata. Ne discutiamo oggi. Da questo punto di vista mi pare molto importante il riconoscimento di un ruolo serio della Commissione di vigilanza, che è quello che ci spetta. Se il ruolo della Commissione dovesse essere di censura e di inquisizione, non servirebbe e in pratica la funzione della Commissione non esisterebbe più. Altra cosa è il controllo e la discussione seria
Il caso di Travaglio è l'ultimo, ma queste reazioni sono cominciate da tempo, anche su temi molto più trascurabili. Questo stillicidio ci dice che qualcosa non va. Oggi abbiamo visto che l'obiettivo, più che Luttazzi, era Santoro. A Santoro e a Luttazzi va tutta la mia solidarietà. Forse a Novi piaceva Santoro quando faceva le trasmissioni sul garantismo, riferite alla vicenda di Previti; oggi non gli piace più. Da questo punto di vista, si rasenta l'indicibile.
Mi permetto di sottolineare che mi riconosco pienamente in molte delle cose dette dal presidente Zaccaria. Abbiamo bisogno di una riflessione nostra. Approviamo presto il regolamento, allora. Ma prima modifichiamolo, perché la bozza presentata da Baldini, a seguito del dibattito promosso dalla Casa delle Libertà, significa soltanto mettere un bavaglio all'informazione e al concetto di satira; e questo sarebbe sbagliato. La satira è sempre stata importante in ogni epoca e lo dovrà essere anche oggi e in futuro.

MARCO BOATO. Signor presidente, continuo a ritenere che oggi il presidente e il direttore generale della RAI abbiano audito la Commissione di vigilanza piuttosto che essere auditi (purtroppo sono parte in causa anch'io).
Già altri colleghi hanno detto, ma lo voglio ripetere, che non esisteva alcuna pregiudiziale ad ascoltare in audizione il presidente della RAI. Per me era la prima volta, visto che faccio parte della Commissione di vigilanza da pochi giorni; quindi ero anche intellettualmente curioso di ascoltare il presidente e il direttore generale. Tuttavia, abbiamo ritenuto scorretto che l'audizione fosse richiesta dopo aver dichiarato urbi et orbi che il presidente della RAI doveva dimettersi per la vicenda Satyricon, su cui peraltro ripeterò il giudizio critico che ho già formulato (non ho doppie verità e non sono abituato alla slealtà intellettuale). Ho trovato politicamente sleale e metodologicamente sbagliato questo atto da parte di una Commissione di indirizzo e di vigilanza (che pure può opportunamente promuovere audizioni per esercitare la propria funzione di vigilanza): il presidente della Commissione e i colleghi dell'opposizione (ma il presidente ha un ruolo istituzionale più importante, che in qualche modo dovrebbe andare al di là della sua legittima collocazione politica) hanno premesso alla richiesta di audizione un'intimazione di dimissioni. Questo è stato politicamente gravissimo e


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forse ha anche impedito ad altri colleghi (ma non a me) di essere molto più aperti nel confronto sul merito della questione. In altre parole, se non ci fosse stata questa premessa radicalmente sbagliata, la strumentalità politica non avrebbe prevalso sul ruolo istituzionale della Commissione.
Oggi stiamo dunque facendo un lungo colloquio (e noi parliamo molto più dei nostri ospiti), a scavalco tra la presentazione da parte del relatore Baldini del testo del regolamento (ieri), la presentazione di emendamenti (questa mattina), il dibattito generale sul regolamento, le votazioni (che avverranno domani): in mezzo è stata infilata quest'audizione. Signor presidente, lei ha agito legittimamente dal punto di vista formale, poiché in sede di ufficio di presidenza non era stato raggiunto l'accordo. Lei sa che io rispetto il suo ruolo istituzionale, ma a mio parere lei ha sbagliato: in altre parole, lei ha legittimamente assunto una decisione a mio parere politicamente sbagliata. Al contrario, sarebbe stato molto più forte e molto più cogente che dopo aver concluso (ieri o oggi) l'esame del regolamento avessimo ascoltato il presidente e il direttore generale della RAI, previa opportuna informazione sul testo votato: in tal modo, avremmo potuto ascoltare i dirigenti della RAI sulle modalità di attuazione di un regolamento già votato dalla Commissione, anche alla luce dei problemi che si sono verificati in precedenza...

PRESIDENTE. Ma il regolamento va attuato e basta!

MARCO BOATO. No, presidente, lei non può dirmi questo dopo che avete sollecitato l'adozione di misure di garanzia!

PRESIDENTE. Certo. Prima e non dopo! Questo punto è importante.

MARCO BOATO. Come tutti i regolamenti del mondo, anche quello di cui ci stiamo occupando può essere attuato in un modo o nell'altro, soprattutto in una materia che può porre problemi e può sollecitare garanzie in termini di attuazione. Avremmo potuto utilmente discutere con il presidente, con il direttore generale e con la direttrice delle tribune su come attuare il regolamento nel modo più corretto possibile e nel rispetto dei diritti di tutte le forze politiche, comprese quelle che nella Commissione di vigilanza non sono rappresentate (Rifondazione comunista, lista Di Pietro, lista Bonino, Democrazia europea di D'Antoni). A mio parere è stato un fuor d'opera infilare l'audizione nel periodo da dedicare all'approvazione del regolamento: una forzatura.
Lo ripeto, presidente: io non contesto il suo diritto di assumere questa decisione in assenza di un accordo in ufficio di presidenza. Però a mio parere lei si è fatto forza di una lettera del Presidente della Camera, anche a nome del Presidente del Senato, che io rispetto, ma sulla cui prima parte ho qualche dubbio. Mi riferisco al passaggio della lettera che ha indotto la RAI ad annullare la decisione assunta dopo i famosi cinque giorni: ricondurre alla responsabilità dei direttori di testata una serie di trasmissioni molto limitata (più limitata che nel passato dal punto di vista dell'informazione). La prima metà di quella lettera ha portato a questo risultato, che non era necessariamente dovuto, a mio parere: da parte dei Presidenti delle Camere è stata opportunamente esercitata (dal loro punto di vista) una magistratura di persuasione per superare una situazione di crisi, di difficoltà e di scontro. Capisco perché l'abbiano fatto, ma ho qualche dubbio sul fatto che quell'invito fosse cogente per la RAI. Al tempo stesso, però, la Commissione di vigilanza ha disatteso la seconda metà di quella lettera, che diceva che la cosa più urgente e immediata era il regolamento, da approvare al più tardi entro quattro giorni (al più tardi!). Noi approveremo nel quarto giorno, dopo i cinque già trascorsi, il regolamento che


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la legge ci imponeva di fare entro il quinto giorno, come è stato giustamente ricordato.
In dottrina si usa distinguere fra termini ordinatori e termini perentori: lo stesso vale nel campo della giurisprudenza costituzionale, che nella Carta costituzionale ha distinto fra una parte precettiva e una parte non precettiva (c'è una famosa sentenza della Corte di cassazione degli anni cinquanta). Ma credo che quando si tratta di tutelare diritti costituzionalmente rilevanti e prioritari, i termini dovrebbero essere considerati come perentori e l'eventuale sforamento dovrebbe comunque essere ridotto al minimo, mentre noi abbiamo prolungato il termine. Mi auguro che non si vada oltre un giorno, ma credo che da questo punto di vista il presidente sarà buon tutore della responsabilità che abbiamo di fronte ai Presidenti delle Camere, alla RAI e, prima di tutto, di fronte ai cittadini (perché tutto quello che noi facciamo è a tutela dei diritti dei cittadini).
Su tutte le altre cose ho ascoltato fin dall'inizio i colleghi Falomi, Semenzato e Rogna e devo dire che condivido i loro interventi. Quindi non li riprenderò. Condivido anche molte delle cose dette da Giulietti, sia pure in modo molto appassionato. Non ho condiviso tutto del discorso di Giulietti, però qualche volta è anche necessario che qualcuno dica - come il bambino nella favola - che «il re è nudo», cioè che faccia apparire in qualche modo (sia pure con il tono appassionato e virulento utilizzato dal collega Giulietti) aspetti della paradossalità della situazione che stiamo vivendo.
Condivido anche l'intervento della collega Grignaffini, che considero l'intervento più lucido e culturalmente più interessante. Sul punto specifico, presidente Zaccaria - lo dico con molta lealtà - non sono d'accordo con la collega Grignaffini e non sono d'accordo con lei.
Ribadisco di condividere, pressoché alla lettera, tutto ciò che lei ha detto, salvo il punto specifico, professor Zaccaria (e la chiamo così perché lei ha parlato anche da docente in materia costituzionale). Condivido tutto ciò che lei ha detto in modo assolutamente corretto e rigoroso sotto il profilo giuridico e istituzionale. Tuttavia, c'è un aspetto che a mio parere rende problematico chiudere questo capitolo non bello, che pure ha dei precedenti, ma ontologicamente diversi.
Il punto vero - e lo dico con il massimo del rispetto e con la lealtà individuale che mi permette di firmare tutti gli emendamenti della maggioranza che condivido, che mi permette di avanzare le critiche che rispettosamente ho rivolto al presidente e ai colleghi dell'opposizione sul modo in cui è stata convocata questa audizione e sulla sua sbagliata finalità - è che tutto sarebbe diventato più forte se si fosse riconosciuto che quella trasmissione è stata un grave errore. Punto e basta!
Presidente Zaccaria, lei ha detto che Satyricon è satira e non informazione; mi piacerebbe che questa sera ci fermassimo tutti quanti insieme a rivedere la videocassetta di quella trasmissione: quella trasmissione non era satira! Allora diventa fictio iuris, diventa un artificio intellettuale dire che, siccome è satira, non si applicano gli altri criteri del pluralismo e così via. Lei dice che non si può far passare il discorso da un piano all'altro: convengo su questa obiezione, ma quella trasmissione è passata da un piano all'altro! Sotto la copertura di una trasmissione di satira, è passato un programma che satira non era e pertanto non è accettabile per come è stato realizzato.
Non è mia intenzione aprire la dialettica tra diversi ruoli istituzionali (presidenti e direttori generali); tuttavia, se ho capito bene, che c'è stata una lettera di richiamo del direttore generale al direttore di rete, credo che sia stata una iniziativa opportuna. Non era necessario chiudere la trasmissione né licenziare qualcuno; tuttavia, un richiamo alla responsabilità ci doveva essere e forse, dal mio punto di vista, senza sospendere nulla, senza licenziare nessuno, senza fare barricate, un richiamo


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anche da parte del consiglio di amministrazione non l'avrei considerato sbagliato. Ovviamente, su questo punto specifico voi avete agito diversamente ed io non posso che rispettare anche ciò che non condivido. Tuttavia, la forza straordinaria, sul piano politico, istituzionale, giuridico e starei per dire intellettuale di tutte le cose che il presidente Zaccaria ci ha detto oggi - e che io condivido tutte, tranne il giudizio di merito - sarebbe stata ulteriormente avvalorata se ci fosse stata la consapevolezza di un errore compiuto.
Mi rivolgo ora ad alcuni colleghi dell'opposizione. In particolare, devo dire al collega Borghezio - e non alla Lega - che politicamente non gli è concesso affermare che metà del paese è insorto in modo unanime contro la trasmissione, perché quelle affermazioni, prima ancora che i protagonisti del programma, le ha fatte e urlate in tutte le trasmissioni e in tutte le piazze d'Italia il leader della Lega! Mi sono procurato la raccolta degli articoli de la Padania che ha pubblicato tre anni fa quelle cose!
Senatore Novi: il riferimento alla «cultura allusiva familistico-mafiosa» per prima cosa lo dica al suo alleato della Lega, perché quelle affermazioni lui le ha dette, scritte e dichiarate per settimane, dando del mafioso, del piduista, del complice della mafia al leader della Casa delle libertà! E non è che io sono più contento se lo fa Bossi, perché da sempre sono abituato ad una lotta politica senza questi metodi. Trovavo indecente quando Bossi attaccava Berlusconi: faceva bene ad attaccarlo politicamente, se riteneva di farlo, ma non con quei metodi! Allora Borghezio non può venire a farci la lezioncina a noi o a loro, quando il leader del suo partito, quando l'organo del suo partito è stato il primo a legittimare questi metodi nei confronti del leader del Polo, Silvio Berlusconi.
E aggiungo che questa operazione, se pure qualcuno ci avesse pensato - non dico Zaccaria, ma chi l'ha costruita -, non ha portato un voto all'Ulivo, al centrosinistra; se qualcuno ci guadagnerà, anche perché sa fare la vittima - ma in questo caso è stato davvero vittima di un'operazione sbagliata - è il leader della Casa delle libertà. Se c'è una forza politica che se ne può approfittare, visto che il coautore di quel libro appartiene a quella forza politica, è la lista Di Pietro. Non c'è ombra di dubbio!
Pertanto, chi ha immaginato, colleghi dell'opposizione, il complotto del centrosinistra contro Berlusconi in quella trasmissione ha immaginato una cosa da cultura del sospetto. È stato un grave errore, presidente Zaccaria, ma non è stata colpa sua. Trovo ridicolo che si vada dal presidente della RAI in prima battuta a chiedere le dimissioni perché è stato fatto un grave errore: forse noi immaginiamo che il presidente della RAI controlli tutte le trasmissioni. A mio parere, diventava tutto più credibile se il consiglio di amministrazione, pur rifiutando dimissioni e interruzioni di programmi, avesse semplicemente condiviso un richiamo e non coperto la questione dicendo che si trattava di satira. Quella della satira è una fictio iuris, una finzione intellettuale.
La questione della querela da tre miliardi di D'Alema a Forattini non l'ha citata per primo Vito oggi; l'ho fatto io in questa Commissione, eppure sono amico di D'Alema. Ma proprio perché lo stimo, l'ho criticato; e lo stesso discorso vale anche per il professor Zaccaria, che affronta a viso aperto un dibattito così difficile. Proprio perché la stimo, presidente le dico che su questo punto, a mio parere, avete sbagliato. Hanno sbagliato coloro che hanno fatto quella trasmissione e voi avete sbagliato a non fare emergere in qualche modo che lì c'è stato un errore. Un errore può capitare in un'azienda così complessa e grande come la RAI; rilevarlo non la indebolisce, ma semmai la rafforza.
Per settimane su Il Borghese gli stessi metodi adottati dalla trasmissione erano usati per un altro argomento (e non mi risulta che quel settimanale sia di centrosinistra); quella è la cultura giornalistica da cui viene quel modo di fare informazione


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mascherata da satira! Professor Zaccaria, si faccia dare la cassetta di quella trasmissione e se la riguardi con calma...
Si vuole discutere della vicenda Mangano? Lo si faccia! È un dato di fatto accertato, ma non lo si faccia in quel contesto, bensì in un contesto di scontro politico. Si vuole proiettare di nuovo l'intervista a Borsellino? Sono favorevolissimo, salvo che un giornalista de Il Corriere - e non Boato - ha detto che è di nove anni fa; quindi, informate anche di ciò che è successo dopo dal punto di vista giudiziario. Anche perché, se non sbaglio, in quell'intervista i nomi di Dell'Utri e di Berlusconi al pubblico ministero Borsellino non vengono spontaneamente, ma gli vengono suggeriti dai giornalisti. Tutto ciò riguarda la vicenda Mangano e non si poteva arrivare alle stragi, visto che Borsellino era vivo e per tre giorni ancora era vivo Falcone.
Ciò che è successo in quella trasmissione - e non è satira, professor Zaccaria! - è che si è imputato al capo dell'opposizione di essere il mandante occulto delle stragi di Capaci e di via D'Amelio e probabilmente anche dei Georgofili, di via Palestro, di San Giovanni in Laterano, del Velabro e perfino del mancato attentato a Costanzo!
Professor Zaccaria, questa non è satira! Sono cose che non si possono ammettere in uno Stato democratico. È stato fatto un grave errore. Se qualcuno lo fa, se ne assume la responsabilità in una tribuna politica, lo scrive in un articolo di un giornale, ma non è immaginabile che questo venga contrabbandato come satira nel contesto nel quale è avvenuto. Dico ciò perché mi sento in pace con la mia coscienza e con la mia intelligenza nel dire tutto il resto, nel criticare il presidente, nel criticare tutto il Polo e la Casa delle libertà che ha fatto una fesseria gigantesca nel chiedere automaticamente le dimissioni del presidente della RAI, nell'imporre questo tipo di audizioni, anche per esasperare il contesto del nostro lavoro sul regolamento (che però mi auguro si concluda positivamente e magari anche con un consenso unanime). Posso dire tutto ciò e condividere quello che lei ha detto oggi se però faccio rilevare che esiste una distonia, una discrasia, un'arroccarsi sulla difesa di un bombardamento spaventoso che è stato fatto in quei giorni. Capisco l'autotutela, però in certi momenti bisogna avere la forza intellettuale e politica di difendere la RAI anche da richieste censorie o soppressive delle trasmissioni (che io non condivido). Sono d'accordo con lei quando dice che il vostro problema è che si faccia di più dal punto di vista dell'informazione politica. La logica della bozza Baldini è invece di prevedere meno spazi possibili, di spazzare via tutte le trasmissioni di informazione politica che non siano i telegiornali, perché il resto è comunicazione politica. Siamo in totale disaccordo con questa logica. Chiederemo di votare e di approvare il nostro emendamento. Il relatore Baldini ha citato impropriamente la legge n. 28 del 2000 che richiama, modificando e estendendo addirittura il termine, all'articolo 5, comma 4, la legge n. 515 del 1993 e sostiene che la riconduzione alle testate giornalistiche deve avvenire non a decorrere dal trentesimo giorno, ma dalla data di convocazione dei comizi per le elezioni (cioè prima): quello che voi avete fatto, a mio parere legittimamente anche se poi avete sospeso per quattro giorni.
Pertanto, a mio avviso, Baldini non ha le idee chiare su questo punto essenziale dell'informazione politica (e mi dispiace che non sia presente in questo momento, perché ha fatto un intervento pacato, riflessivo e discorsivo). Tanto è vero che sulla Gazzetta Ufficiale, quando la legge è stata pubblicata, in nota è riprodotto il comma 5 dell'articolo 1 della legge n. 515 del 1993 che afferma esattamente ciò che voi avete fatto legittimamente (e che a mio parere è stato un errore) per ricomporre il dissidio che si era creato.


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Come vedete, presidente Landolfi e professor Zaccaria, ho cercato di interloquire e non mi dispiacerebbe che il presidente della RAI facesse altrettanto con me o che si riservasse una pausa di riflessione al riguardo, perché questo è il punto più delicato che ha messo in ombra tutto il resto, che era invece straordinariamente efficace.
Infine, siamo contrari a che nel regolamento si istituisca l'unità di garanzia, che è assolutamente inaccettabile e che probabilmente viola l'autonomia della RAI; invece, personalmente, ritengo non sbagliata l'ipotesi di un organo tecnico di consulenza che autonomamente la RAI potrebbe darsi in una fase così difficile, complessa e delicata, in cui in ogni minuto può verificarsi qualche problema. A tale riguardo chiederei al direttore generale di pronunciarsi.

GIOVANNA BIANCHI CLERICI. Presidente Zaccaria, se avessi avuto l'avventura di poter parlare tra la prima e la seconda tranche di domande, le avrei chiesto di confermarmi la sua convinzione sulla giustezza della posizione che lei ha assunto riguardo al destino della trasmissione Satyricon e che, come è stato fatto rilevare da altri colleghi, è in realtà almeno in parte un po' diversa dalla posizione che ha invece esplicitato il direttore generale in un'intervista rilasciata domenica scorsa al Corriere della Sera. Però, nella seconda tranche di risposte lei ha già confermato di ritenere corrette le sue posizioni, per cui...

ROBERTO ZACCARIA, Presidente della RAI. Del consiglio di amministrazione! Altrimenti, sembra quasi che sia un problema personale. Parliamo del consiglio di amministrazione della RAI.

GIOVANNA BIANCHI CLERICI. Per l'amor di Dio! Non volevo insinuare nulla del genere. Farò quindi adesso solo qualche considerazione, dopodiché, se lei riterrà di aggiungere qualcosa, bene, altrimenti, visto che ha già risposto per ben due volte, non insisterò certo per avere un'ulteriore risposta.
Almeno su un punto ha ragione il collega Boato: nel dire che la trasmissione Satyricon che è andata in onda, con l'intervista a quel signor Travaglio, non apparteneva assolutamente al genere della satira. Del resto, presidente Zaccaria, lei stesso, rispondendo, ha detto correttamente un paio di volte che la satira non è informazione, che la satira è un genere a sé stante, che non ha nulla a che fare con l'informazione; semmai potremmo dire che la satira presuppone l'informazione, perché si ride e si può far ridere su qualcosa che è conosciuto in un ambito molto vasto di persone, ma certamente non può essere ricollegata al genere dell'informazione.
Quello che è avvenuto l'altro giorno va distinto da quello che accade in altre trasmissioni. Lei prima citava correttamente Blob. Blob è satira, perché utilizza delle caratteristiche fisiche o caratteriali, dei modi di porsi, delle battute, magari anche manipolandole o distorcendole (nel senso che se ne riportano solo alcune parti), per provocare un effetto comico, umoristico. Allo stesso modo, anch'io ritengo sia satira quello che si è fatto in un'altra trasmissione qualche giorno fa con l'imitazione di Berlusconi e di Rutelli; quella è satira, non discuto che quella sia satira: può piacere o no, può essere più o meno ben fatta, ma è certamente satira. Quella che è andata invece in onda camuffata in un contenitore che vorrebbe essere satira è stata un'operazione di propaganda e soprattutto di diffamazione. Su questo credo non vi siano dubbi.
Confesso che, come cittadina, quando domenica mattina ho letto l'intervista del dottor Cappon, ho apprezzato francamente la sua correttezza nell'affermare che probabilmente era stato un errore mandare in onda quella trasmissione.
Detto ciò, dottor Zaccaria, il problema è che noi ci troviamo in campagna elettorale, dopo un periodo, che dura da mesi, in cui sono stati costanti e continui i momenti di difficoltà, i momenti in cui


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numerose forze politiche, soprattutto di opposizione, hanno dovuto protestare presso di lei, presso questa Commissione e presso tutti gli organismi contemplati dalle istituzioni, per episodi che sono stati da noi considerati poco scarsamente rappresentativi oppure volutamente mistificatori della realtà. A maggior ragione, ora che, di fatto, siamo in campagna elettorale (e tra poco ci saremo anche formalmente), è evidente che queste preoccupazioni si ingigantiscono e noi sentiamo di doverle esprimere e di doverci tutelare in ogni modo.
Le faccio qualche rapido esempio. Prendiamo il discorso dei dati. Non voglio entrare nei particolari, ma quando si legge sui giornali che perfino un nostro simpaticissimo collega, con il quale io sono personalmente in ottimi rapporti, l'onorevole Malgieri, risulta avere quel numero di presenze in video, i cittadini possono non sapere che quel numero di presenze in video è dato dal fatto che lui è il direttore del giornale del suo partito e quindi, in quella veste, è chiamato a commentare i titoli e gli articoli dei quotidiani nelle vostre trasmissioni in cui si fa rassegna stampa, peraltro alle 6.30 del mattino, quindi anche in un orario non particolarmente felice...

PRESIDENTE. Credo che siano registrate: non penso che vada in studio alle 6.30!

GIOVANNA BIANCHI CLERICI. Può darsi siano registrate, però comunque vanno in onda alle 6.30 del mattino, quindi con uno share non particolarmente felice. Le faccio notare (senza polemica, non perché pretenda che venga invitato) che il direttore del giornale del mio partito proprio l'altro giorno, in una chiacchierata amichevole, mi raccontava che a lui non è mai stato fatto questo invito; eppure è il direttore di un giornale, esattamente come lo è Malgieri e come lo sono molti altri che vengono chiamati in quanto sono direttori magari anche di settimanali o riviste di non particolare fama o diffusione.
Vi sono una serie di situazioni su cui occorre riflettere. L'onorevole Borghezio prima richiamava la volontà di non affrontare alcuni argomenti. Il caso Telecom-Serbia - ha ragione l'onorevole Borghezio - non è stato trattato né in un contenitore di satira né in un contenitore di informazione. Non posso non ricordare quando, qualche mese fa, di fronte ad un gravissimo e bruttissimo episodio che è avvenuto nella mia città, in cui un imprenditore o pseudoimprenditore, tale signor Iannace, diede fuoco a un suo dipendente extracomunitario, uccidendolo, la RAI dedicò molti servizi a questo fatto. Addirittura, il dottor Santoro, che aveva intenzione di fare una trasmissione su questo caso, mandò degli inviati sul luogo; vennero fatte interviste a cittadini, anche a simpatizzanti del mio movimento, pescati non so come ma non certo attraverso le segreterie provinciali o comunali del partito, dopo di che la trasmissione - non so per quale motivo - venne sospesa. Ebbene, qualche giorno fa questo imprenditore è stato giustamente condannato a trent'anni di carcere, ma di questa notizia, che ha indubbiamente una certa rilevanza, non ho sentito parlare né in notiziari né in trasmissioni di approfondimento.

MARIA CHIARA ACCIARINI. L'hanno data ripetutamente! E hanno anche intervistato la compagna della vittima!

GIOVANNA BIANCHI CLERICI. Sì, ma non sono stati fatti gli approfondimenti e i servizi che erano stati fatti in altri casi.
Ciò detto, presidente Zaccaria, cerchi di rendersi conto che noi abbiamo molti timori sull'applicazione delle regole di correttezza e di imparzialità anche in questa campagna elettorale, timori acuiti dalla circostanza che si è voluto in un certo qual modo, vuoi per negligenza vuoi per effettiva volontà, evitare di esercitare un controllo sul fatto che dei contenuti di altissima importanza e di carattere informativo entrassero in una trasmissione di cosiddetto intrattenimento, in una trasmissione leggera, che dovrebbe avere il


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compito di rasserenare gli animi dei cittadini che alla sera, dopo una giornata di lavoro, si apprestano a scegliere appunto una trasmissione di questo tono, di intrattenimento.
Queste sono le nostre preoccupazioni, quelle per le quali la settimana scorsa abbiamo a gran voce e in tanti chiesto che si facesse un'audizione, che poi si è svolta oggi. Non credo comunque che questo sia tempo perso, perché era necessario fare questo confronto. Per quello che mi riguarda, ovviamente, al di là di quello che succederà con riferimento alle decisioni tese a regolamentare il comportamento della RAI in campagna elettorale, resta il fatto che un'attenzione e una sensibilità su queste tematiche sono assolutamente fondamentali.

LUIGI PERUZZOTTI. Cercherò di essere telegrafico. Presidente Zaccaria, lei ha ribattuto al collega Borghezio, che aveva richiesto a gran voce le sue dimissioni. Io penso che le dimissioni del presidente della RAI in questo caso non debbano essere considerate come un problema personale ma come una necessità. Mi spiego. In Portogallo è caduto un ponte, provocando un gran numero di morti, e il ministro dei lavori pubblici ha ritenuto opportuno dimettersi; in Austria, un aereo militare è caduto e il ministro della difesa si è dimesso; in Giappone, addirittura, hanno fatto di più: è caduto un aereo militare e il ministro della difesa ha fatto harakiri (Commenti).
Lei, presidente Zaccaria, mi potrà dire che alla RAI non è successo niente di tutto ciò. No, io dico che alla RAI è successo ancora di più, perché, presidente Zaccaria, la prima volta che ci siamo incontrati proprio chi le parla si era lamentato della disinformazione della RAI nei nostri confronti. Qui ho sentito parlare di oscurantismo. Io posso parlare perché rappresento la Lega in questo momento e le posso assicurare che la Lega è sempre stata discriminata dalla RAI. Lei mi potrà rispondere con i dati dell'Osservatorio di Pavia, ma io le darò altri dati. Le posso assicurare che la RAI possiede le riprese aeree di quando abbiamo fatto la manifestazione sul Po nel 1996; mi riferisco non a quelle andate in onda nei telegiornali, ma alle vere riprese aeree, in cui si vedevano veramente milioni di persone che stavano sul Po. Le posso assicurare che la Lega è censurata persino dalle trasmissioni parlamentari. Le posso assicurare che alcuni nostri deputati e senatori vengono intervistati e filmati ma non sono mai andati in onda (poi lei mi potrà obiettare che si fanno interviste a tutti e che poi vengono mandate in onda soltanto quelle a determinati personaggi). Ma c'è di più: quando nelle trasmissioni parlamentari si parla di come hanno votato i rappresentanti eletti dal popolo, non si fa quasi mai menzione dei rappresentanti della Lega e di come hanno votato.

ANTONIO FALOMI. Devi ammettere che Mediaset vi tratta bene!

LUIGI PERUZZOTTI. Io sto parlando della RAI: siamo in Commissione di vigilanza RAI e non in Commissione di vigilanza Mediaset!
Quindi, presidente, Satyricon è solo l'ultimo anello di una catena, perché mi pare che in RAI di episodi alquanto squallidi ne siano avvenuti diversi e sono fermamente convinto che continueranno a verificarsi. Sinceramente, a questo punto, non so cosa succederà in campagna elettorale e soprattutto non so come si comporteranno certi personaggi che nella RAI lavorano. Faccio riferimento ai giornalisti che sono stati citati anche da altri colleghi e soprattutto faccio riferimento ad alcuni fatti che sono obiettivi e sono sotto gli occhi di tutti. Non ho mai visto la RAI, e nella fattispecie i telegiornali, parlare di quello che avveniva, per esempio, in Commissione antimafia. Il collega Novi faceva alcuni riferimenti chiari. Perché non se ne è parlato? Anche quelli sono atti pubblici, presidente Zaccaria, e le posso assicurare che se la RAI li mandasse in onda anche nei telegiornali ci sarebbe da divertirsi perché si potrebbero


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conoscere tanti retroscena, non quelli scritti in un libercolo, tra l'altro già oggetto di altra pubblicazione, già oggetto di discussione e già oggetto di accertamenti da parte della magistratura. Le posso assicurare che su questo la RAI ha fatto solo disinformazione. Questi sono dati di fatto inoppugnabili. Non ho alcun problema a spiegare queste cose perché è la verità; del resto, anche i colleghi del PDS e della Commissione antimafia ne sono al corrente e si guardano bene dal comunicare all'esterno ciò di cui sono venuti a conoscenza.
In questo caso chi dovrebbe pagare è il presidente, anche perché sono fermamente convinto che alla RAI vige un sistema di anarchia, in cui alcuni ras locali si fanno la guerra tra di loro, non si sa per quale motivo (molto probabilmente perché poi saranno pronti ad ossequiare il nuovo padrone, se mai arriverà!). È una realtà in cui tutti si sentono autorizzati a fare tutto e il contrario di tutto. A questo proposito, vorrei che mi spiegasse (sempre che sia vera) la scena poco edificante di cui è stato protagonista il direttore di RAIDUE Freccero, che dopo la trasmissione, con il pugno alzato (questa notizia è stata riportata da un giornale e, forse, da più di uno), è entrato nello studio dicendo «abbiamo vinto». Non so di che cosa andasse orgoglioso (dalla Rassegna stampa si può comunque risalire ai giornali che hanno riportato questa notizia) e non so per che cosa abbia vinto: forse per aver mandato in onda questo squallido episodio e lo squallido personaggio che ha detto ciò che sappiamo!
La richiesta di dimissioni, quindi, non è niente di personale nei suoi confronti, presidente Zaccaria. Quando c'è una televisione di Stato finanziata, tra l'altro, anche con il canone pagato dai teleascoltatori, il minimo che si possa fare è chiedere le sue dimissioni. Non è l'onorevole Borghezio né il sottoscritto che gliele chiedono, io non mi arrogo il diritto di chiederle a nome dell'altra metà del paese, ma vi posso assicurare che se non è la metà del paese che chiede le dimissioni del presidente Zaccaria e dell'intero CDA della RAI, poco ci manca! Ribadisco quindi che non c'è niente di personale, ma forse è opportuno cambiare registro in RAI. Se le cose rimarranno quali sono, temo che la campagna elettorale sarà viziata dai comportamenti poco democratici di chi si ritiene democratico ma tale non è.

GUIDO CESARE DE GUIDI. Presidente, quando ho visto che a chiudere il dibattito erano due illustri rappresentanti della Lega nord Padania ho pensato che forse sarebbe stato opportuno far sentire una voce probabilmente dissonante... La mia è solo una battuta per alleggerire un po' il clima!
Sono cinque ore che stiamo dibattendo su questo tema. Tutti hanno sentito il dovere di prendere la parola in questo dibattito, che peraltro riproduce un dibattito molto più ampio avvenuto nel paese e sollevato da una parte, la Casa delle libertà. Mi pongo delle domande e do delle risposte, senza la pretesa di avere la verità in tasca.
È evidente (credo che ciascuno lo possa ammettere in un momento di serenità e distensione) che l'amplificazione data a questo episodio è decisamente smisurata e non proporzionata all'entità dello stesso. Mi chiedo allora perché sia stato sollevato tutto questo clamore attorno ad un episodio che può avere dei risvolti suscettibili di critica ma che, a mio parere, ha suscitato toni eccessivi. La stessa difesa che l'onorevole Boato ha fatto del suo pensiero circa l'errore grave che è stato commesso si inquadra in questo contesto, quello (mi permetto di dissentire con lui) di creare intorno a quell'episodio qualcosa che va al di là dello stesso. Mi chiedo perché. La risposta che a me viene spontanea è che ciò sia avvenuto per mettere comunque in difficoltà la RAI.

MARCO BOATO. Sicuramente non da parte mia!


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GUIDO CESARE DE GUIDI. No, certamente non da parte tua. Il fatto di mettere comunque in difficoltà la RAI si traduce addirittura in una richiesta di dimissioni, anche se questa proviene da una sola componente politica. Si è certamente tentato di far calare il silenzio attorno ad alcune informazioni che la RAI fornisce e che non sono gradite. Quanto è contenuto nella bozza di regolamento Baldini (che probabilmente sarà rivisto; vedremo se si riuscirà ad arrivare ad un accordo) tende a far sì che alcune cose non siano dette, specialmente quelle che non sono in linea con ciò che pensa il Polo. Si è voluta creare una barriera di difesa attorno al leader, che forse credo sia controproducente. Una barriera di difesa così eccessiva e violenta fa quasi dubitare che le accuse fatte non abbiano un fondamento. Credo che lo stesso Berlusconi abbia posto un freno al tentativo di difenderlo comunque, perché l'infondatezza delle accuse era tale che non era necessario creare questa barriera di difesa. Invece si è voluto costruire attorno all'episodio di cui stiamo parlando un grande clamore.
È stato richiamato il modo in cui negli Stati Uniti viene rispettata la par condicio. Gli Stati Uniti sono certamente un esempio di democrazia, ma lo sono sempre e comunque, in tutti gli aspetti. Mi chiedo se il conflitto di interessi, in cui è chiaramente implicato il leader del Polo, passerebbe inosservato nella democrazia degli Stati Uniti. Bisogna quindi ragionare bene su queste cose.
Concludo il mio intervento con una domanda al presidente Zaccaria. La RAI è un'azienda in parte pubblica e in parte privata. La concezione che il Polo delle libertà ha delle aziende (il suo leader massimo lo proclama sempre) è quella della massima libertà di movimento al loro interno: affinché l'azienda possa essere concorrenziale, non deve avere nessun tipo di lacci e lacciuoli (un tempo si usava questa espressione quando si voleva confliggere con i sindacati, che tentavano, appunto, di mettere lacci e lacciuoli). Se nel regolamento si desse il via libera a tutti i lacci e lacciuoli che si tenta di mettere all'azienda, mi chiedo se il presidente Zaccaria se la sentirebbe ancora di condurre in porto la RAI con un concorrente forte che non ha e non vuole avere lacci e lacciuoli. Perché allora questo accanimento nel voler porre dei condizionamenti, che possono certamente determinare delle difficoltà?

ALESSIO BUTTI. Mi associo alle considerazioni dell'onorevole Vito, che l'ha ringraziata, presidente, per aver convocato questa audizione. Il senatore De Guidi diceva che stiamo discutendo da cinque ore: non mi sono certamente divertito, ma i contributi venuti da una parte e dall'altra mi hanno di sicuro arricchito. Credo quindi che il presidente abbia centrato l'obiettivo, in quanto ci ha consentito di confrontarci e ha dato al presidente Zaccaria e al direttore Cappon la possibilità di rispondere compiutamente alle domande che sono state poste.
È stato un dibattito interessante e voglio prendere spunto dall'intervento del collega Boato (che è stato un pessimo esempio di sintesi!), il quale ha detto delle cose corrette. Egli, ad esempio, ha giustamente affermato, mutuando le dichiarazioni del direttore Cappon, che la trasmissione è stata una sciocchezza ed ha parlato in modo corretto dell'intervista a Borsellino di nove anni fa. È stato detto molto, forse da entrambe le parti non sempre con quella obiettività che avrebbe dato più lustro al dibattito. Ma questo è il gioco delle parti.
Voglio fare una domanda breve, un auspicio ed una constatazione. Gradirei una risposta brevissima alla domanda breve e un commento all'auspicio e alla constatazione.
L'auspicio è questo. Possiamo sperare che in RAI, da questo momento in poi, i giullari (riprendo un intervento simpaticissimo del direttore Freccero, che in una audizione citò addirittura Erasmo da Rotterdam), i buffoni di corte, i comici tornino a fare i giullari, i buffoni di corte, i comici, e che i giornalisti tornino a fare i giornalisti?


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La domanda è la seguente. In programmazione, nel palinsesto RAI, vi erano dei promo relativi alla trasmissione di Celentano, che, mi dicono, andrà in onda in aprile, quindi in piena campagna elettorale. Celentano è un personaggio eclettico, un istrione, difficilmente controllabile. Il promo dice: che cosa dirà o farà Celentano? È un promo inquietante, per certi versi. Presidente Zaccaria, che cosa farà e che cosa dirà Celentano durante la campagna elettorale nelle sue quattro trasmissioni? Tra l'altro, è un ciclo di trasmissioni che viene tenuto segretissimo; l'unica cosa che riteniamo di sapere è il costo, che dovrebbe aggirarsi intorno ai 20 miliardi.
Vengo ora alla constatazione. Mi auguro che si giunga quanto prima a definire regole sicure e certe, di cui abbiamo parlato tantissimo in questi giorni, perché vorrei poi interloquire con lei su altre questioni che sono state coperte dallo scandalo di Satyricon, del L'Ottavo nano, della satira e della comicità. Ad esempio, è ormai nota la privatizzazione del 49 per cento di RAI WAY alla società americana Crowne Castle. Mi sembra un ottimo affare, considerando la cifra di 800 miliardi che gira! Di questo non si è saputo quasi nulla, i giornali non ne hanno parlato quasi per niente e i vertici della RAI lo hanno tenuto estremamente segreto, altrimenti avrebbero abbassato ulteriormente i costi.

ROBERTO ZACCARIA, Presidente della RAI. No!

ALESSIO BUTTI. Credo che chi acquisterà non farà un pessimo affare, perché si tratta di una rete di trasmissione di segnali radiotelevisivi distribuita capillarmente su tutto il territorio nazionale e pronta per la futura riconversione in digitale.

PRESIDENTE. Prima di dare la parola al presidente Zaccaria per la replica, vorrei fare alcune considerazioni finali.
Ringrazio anzitutto la Commissione. Ci sono stati 21 interventi e una presenza che non si vedeva da tempo in questa Commissione: è il segno che l'audizione di oggi non è stata un atto di prepotenza e di arroganza da parte del presidente, ma un atto doveroso, perché se ne sentiva il bisogno, forse anche da parte di coloro che ufficialmente e formalmente non la auspicavano e non la chiedevano, oppure volevano che avvenisse dopo l'approvazione del regolamento.
Invito ancora una volta il presidente Zaccaria a riflettere su un dato. Mi richiamo all'intervento dell'onorevole Boato, perché proprio dalle sue parole traggo la convinzione che questa audizione si doveva tenere subito, sicuramente prima dell'approvazione del regolamento. Questa audizione avviene proprio mentre noi parliamo di regole e riguarda la violazione di regole. Se sommo gli interventi a favore e quelli contro, grazie anche agli interventi intellettualmente onesti di rappresentanti della maggioranza...

MARCO BOATO. Presidente, «intellettualmente onesti» sono tutti gli interventi...!

PRESIDENTE. Mi lasci concludere, onorevole Boato. Anche lei ha espresso delle valutazioni: consenta anche a me di farlo! Lei ha talmente tanta esperienza politica! Figuriamoci se potrei in qualche modo strumentalizzare quello che ha detto!
Nel suo intervento ci sono stati spunti interessanti. Lei ha detto che attaccare in quel modo un cittadino capo dell'opposizione e farlo passare per il mandante occulto delle stragi, per l'organizzatore del traffico internazionale di droga, per un sodale di Riina è stato un errore. Rispetto a questo, non è stato un errore chiedere le dimissioni, che io chiedo ancora sul piano politico e non sul piano istituzionale, perché non avrei la maggioranza (Commenti del deputato Boato). Non ho perso i diritti politici nel momento in cui sono stato eletto presidente di questa Commissione! Mi consenta quindi di chiedere le dimissioni sul piano politico, in quanto ritengo che quando viene commesso


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un errore di questo genere non possano volare gli stracci, soprattutto perché non si trattava di una trasmissione di tipo informativo. Non c'è un direttore di TG; c'è un direttore di rete considerato irresponsabile ai fini di tutto, anche dallo stesso presidente del consiglio di amministrazione della RAI. Ci sono stati diversi livelli di critica rispetto alla trasmissione che non sono mai stati tenuti nella debita considerazione. Il ragionamento è quello che faceva il senatore Perruzzotti: se una nave affonda non paga il comandante in seconda, paga il comandante.
Poiché ciò che è avvenuto è particolarmente grave e vi è stato un arroccamento a difesa dell'errore, una chiusura tetragona senza uno spiraglio, chi paga? Chi è responsabile? Nessuno! C'è una lettera di richiamo alla quale fa da pendant un attestato di fiducia del consiglio di amministrazione verso il direttore di rete. Non abbiamo capito quale sia la catena di responsabilità, quale sia la catena delle decisioni e quale quella dei controlli; sappiamo che si tratta di un'azienda ricca, in cui c'è pluralismo, un'azienda dove chi rompe non paga, chi si rende responsabile di questo tipo di fatti è praticamente irresponsabile e non c'è nulla da fare. Allora, se non chiediamo garanzie oggi, prima di approvare il regolamento, qual è il senso della nostra funzione e del nostro ruolo? Sono pronto a dire - e mi avrebbe fatto piacere - che ritiro la mia richiesta politica personale di dimissioni se il presidente Zaccaria è oggi in grado qui di dire una parola diversa rispetto all'arroccamento tetragono su una trasmissione che, a detta di molti, non è satira, se ascoltiamo una parola diversa rispetto a questo, se c'è uno spiraglio e non il rispetto formalistico e nominalistico di un regolamento, poiché ci sono altre regole che attengono ai codici deontologici, all'imparzialità e all'obiettività del giornalista del servizio pubblico che ha un onere in più rispetto al giornalista dell'emittenza privata, ha una credibilità maggiore, un'attesa maggiore da parte del telespettatore. Non dimenticate mai che quello che dice la RAI è ufficiale, è percepito dai cittadini come più veritiero rispetto a quello che dice un giornalista di un TG seppure importante ma comunque del settore privato. La forza del pubblico è un onore e un onere: non prendiamoci solamente l'onore senza subire l'onere.
Quando il direttore generale dice che la RAI è amata dagli italiani dice una cosa bella, ma rischia di rimanere una pia intenzione se non è corroborata da un sistema di regole certe che danno l'idea che vi è un servizio pubblico in Italia.
Senatore De Guidi, vi è stata una barriera a difesa del leader e vi è una barriera a difesa della RAI che non si spiega se non con un conflitto di interessi che riguarda una parte politica e la RAI. Fin quando questo sistema politico non troverà una legittimazione anche rispetto a questo problema - allora potremo parlare di conflitto di interessi e di altro -, fin quando ci sarà un partito RAI che ritiene lesa maestà qualsiasi critica venga rivolta all'azienda pubblica radiotelevisiva, noi non arriveremo ad una piena, completa, reciproca legittimazione politica.
Io non sono iscritto al partito Mediaset; io sono per il servizio pubblico e voglio tre reti pubbliche e un servizio pubblico forte, moderno, aperto, innovativo. Non sono un dipendente né faccio parte del partito Mediaset; voglio la mia libertà di criticare la RAI senza essere scambiato per un delegittimatore della RAI, che si delegittima bene da sola attraverso questo tipo di programmi. Non vi è bisogno delle critiche; non siamo noi che delegittimiamo la RAI se chiediamo di fare chiarezza su un programma, lo fa la RAI da sola attraverso la volgarità, la trivialità e disattendendo le aspettative di gran parte dei telespettatori. Questo è il problema che abbiamo di fronte, un problema di garanzie.
Spero che adesso il presidente Zaccaria ci possa dare, anche alla luce del lavoro che ci aspetta domani, delle garanzie certe sul periodo che verrà, sui quarantacinque giorni della campagna elettorale. Non mi


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piacciono le difese del tipo «è un grande professionista»: chi lo mette in dubbio? Essere un grande professionista però non significa che non debba sembrare - non essere - imparziale. Una volta Pertini disse che i giudici non solo devono essere ma devono sembrare e i giornalisti del servizio pubblico devono sembrare imparziali. Questa è la forza del servizio pubblico. Nessuno contesta ad un altro di avere le idee che vuole professare, ma quando si sta su uno schermo televisivo, pagato da tutti i cittadini di qualsiasi colore politico, si ha il dovere di sembrare imparziali, di non far capire per quale parte politica in realtà si propende. Su questo, presidente Zaccaria, la invito a dare delle risposte certe e chiare che potrebbero contribuire a rendere più efficaci e improntati a fair play i rapporti fra Commissione di vigilanza e RAI e a farci immaginare una larga convergenza sul documento che dobbiamo approvare e approveremo domani.

SERGIO ROGNA MANASSERO di COSTIGLIOLE. Signor presidente, voglio che rimanga agli atti una protesta formale, perché lei dalla sedia di presidente della Commissione e in seduta ha avanzato una sua richiesta politica che sarebbe stata del tutto legittima se lei si fosse seduto...

PRESIDENTE. Ho specificato che non è istituzionale.

SERGIO ROGNA MANASSERO di COSTIGLIOLE. Non basta specificare. Lei lo ha fatto e ciò mi sembra una scorrettezza!

PRESIDENTE. Faccia una mozione di sfiducia!

SERGIO ROGNA MANASSERO di COSTIGLIOLE. Non è il caso di sfiduciare...

PRESIDENTE. Io ho specificato.

SERGIO ROGNA MANASSERO di COSTIGLIOLE. Non è possibile che venga usata in questo modo la presidenza della Commissione!

PRESIDENTE. La sua è un'ipocrisia che non posso accettare!

SERGIO ROGNA MANASSERO di COSTIGLIOLE. Questa non è ipocrisia, è rispetto delle regole che valgono per tutti, anche per il presidente della Commissione!

PRESIDENTE. Ho detto che era una richiesta a titolo personale...

SERGIO ROGNA MANASSERO di COSTIGLIOLE. Ma non la può fare da lì!

PRESIDENTE. ... non a livello istituzionale perché su questo non c'è la maggioranza della Commissione, cioè non lo chiede la Commissione.

SERGIO ROGNA MANASSERO di COSTIGLIOLE. Certo che non lo chiede la Commissione!

PRESIDENTE. L'ho specificato. Me lo doveva dire lei? Pensa che io non sia in grado di arrivarci?

SERGIO ROGNA MANASSERO di COSTIGLIOLE. È scorretto che sia stato fatto in questi termini.

PRESIDENTE. È la sua opinione ed io la rispetto.

ROBERTO ZACCARIA, Presidente della RAI. Sarebbe piacevole e forse importante poter dare risposte alle singole domande dei commissari, considerato che stiamo trattando una materia in cui evidentemente il tipo di confronto ed anche la struttura degli interventi non consentono delle schematizzazioni assolute.
Devo ripetere alla fine ciò che ho detto all'inizio in risposta all'onorevole Borghezio: è evidente che se si assume come premessa il riconoscimento di un errore particolarmente grave nel corso della programmazione, da ciò possono scaturire quelle dimissioni che sono state ricollegate ad eventi catastrofici in varie parti del mondo.


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MARCO BOATO. Non in conseguenza dell'ultimo episodio citato...!

ROBERTO ZACCARIA, Presidente della RAI. No, l'ho rimosso. Però, mi pare - scusate se mi permetto di considerare coloro che sono rimasti nella parte finale dell'audizione - improprio assumere un pezzo dell'intervento di Boato, che ha una sua unitarietà logica, come premessa della motivazione di dimissioni, che ha alla base un elemento catastrofico, quando l'onorevole Boato dice che giudica quello un errore e che avrebbe richiamato il direttore di rete ma non lo avrebbe rimosso, né avrebbe interrotto la programmazione di Satyricon. Allora, in uno strano meccanismo di incroci e di mosaico, Boato viene richiamato fino a che fa comodo per assumere che quello è un errore, però poi le conseguenze devastanti sul vertice della RAI vengono tratte con una logica diversa. Questo non riesco a capirlo, come non riesco a capire come il presidente della Commissione parlamentare possa dirmi ciò che ha detto, sapendo che le regole della sua Commissione gli consentono di arrivare, in caso di giudizio discordante rispetto al consiglio di amministrazione della RAI, alla sanzione estrema, sia pure con una maggioranza qualificata, che - come ricordavo all'inizio - è una garanzia del sistema complessivo, perché si poteva anche prevedere la rimozione del consiglio a maggioranza assoluta della Commissione. Invece, è stata prevista la maggioranza qualificata dei due terzi e non vi è l'obbligo per i Presidenti delle Camere di rimozione del consiglio. In questo quadro, il presidente della Commissione, ricoprendo un ruolo istituzionale, dopo avere accertato che non vi sono i presupposti istituzionali per rimuovere il vertice della RAI, che ha tenuto un comportamento diverso da quello che si riteneva dovesse tenere, ne chiede le dimissioni politicamente.
Non nego la sovranità delle valutazioni politiche, però nego la possibilità che in questa discussione si oscilli costantemente in un dibattito aperto in cui si incrociano le valutazioni, dibattito che a me personalmente serve moltissimo dal punto di vista della conduzione di un'azienda che non è anarchica. Ho cercato di dirlo e desidero ripeterlo in sintesi alla fine: il meccanismo di equilibrio di potere all'interno della RAI non è anarchia, lo è se lo si vede con la logica di un'impresa padronale. Lì, sì, chiunque si dissocia è rimosso o addirittura licenziato e il prodotto viene sostanzialmente soppresso. In un'azienda così complessa come la RAI, ciò che lei giudica anarchia in realtà è un equilibrio delicato di poteri tra un organismo collegiale fatto in un certo modo e un direttore generale che ha determinate prerogative, può dissentire da una valutazione del suo vertice e adottare nel rapporto con il direttore di rete un comportamento sanzionatorio e, nonostante ciò, essere compatibile in questa architettura. È difficile da spiegare, ma io credo che questa sia la difficoltà che poi giustifica un'azienda pubblica, dove possono esserci diversità di valutazioni entro un certo margine di compatibilità.
Nel caso di Lerner e dei servizi sulla pedofilia il consiglio ha riconosciuto pubblicamente l'errore commesso: ci sono state delle sanzioni e un direttore ha ritenuto, nonostante il contrario avviso del consiglio, di trarne le conseguenze e lasciare l'azienda. L'esperienza Lerner è durata per un periodo limitato e si è chiusa su quella vicenda. Il consiglio ha riconosciuto un errore e ha adottato dei comportamenti sanzionatori. Quindi non vi è un meccanismo assoluto per cui vi è sempre una chiusura a riccio.
Ci sono stati altri casi, come quello del Gay pride, su cui il consiglio, pur dividendosi, non ha applicato alcuna sanzione. Dopo aver proceduto all'analisi critica di quel programma, il consiglio ha sviluppato una dialettica forte con i responsabili della trasmissione, a dimostrazione dell'articolazione presente che, insisto, rappresenta un grande valore per l'azienda. Se, a garanzia del rispetto del regolamento che verrà approvato domani, il presidente della Commissione parlamentare chiede una sorta di ritrattazione da parte del vertice della RAI in ordine al


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giudizio dato sulla trasmissione e sulla sua continuazione, da me non la otterrà. Lo dico perché il consiglio ha raggiunto questa conclusione e posizione motivatamente, in dissenso da alcune opinioni espresse questa sera.
Gli interventi dell'onorevole Boato e di altri commissari sollecitano in me un approfondimento sul discorso satira-informazione. Il perimetro della satira è complicato perché il genere satira si colloca in una certa dimensione: qualcuno ha tentato di abbinare il mio giudizio e quello del consiglio alla vicenda Forattini, che però non mi riguarda minimamente; non ci siamo pronunciati su questa vicenda e quindi non devo dare giustificazioni di coerenza sui due casi. È un abbinamento politico che non ci riguarda.
Negli Stati Uniti esiste una trasmissione, David Letterman show, che se non è considerata un'antesignana del Satyricon, certamente è un riferimento. In quel programma si mescolano la comicità con i monologhi e i collegamenti con l'informazione, non con le cadenze dell'informazione tradizionale, onorevole Boato. Lo dico perché l'intervista a Borsellino in RAI è stata oggetto di discussione tanto che alcuni direttori, come Morione, hanno deciso di ritrasmetterla, mentre altri l'hanno considerata non attuale; dunque, valutazioni diverse nella stessa azienda legate a ragioni di natura informativa. In un genere particolare, nella satira, richiamare un pezzo di informazione è provocatorio rispetto al dibattito complessivo, è una scansione temporale e cronologica diversa da quella dell'informazione. Il David Letterman show ha creato dei casi, l'ultimo dei quali si riferiva alla presidenza Clinton.
Registro valutazioni diverse e ne prendo atto; voi dovete prendere atto che il consiglio, legittimamente costituito e con una maggioranza legittimamente raggiunta, ha espresso una valutazione diversa. La sua ritrattazione non è possibile, eventualmente sarà approfondita e discussa.
Le garanzie sul regolamento sono un'altra cosa. Noi abbiamo interesse a dare a questa Commissione le maggiori garanzie possibili, che però chiederei alla nostra storia. Questa non è la prima competizione elettorale che affrontiamo, dato che si sono già svolte le elezioni amministrative, i referendum, e la risposta della RAI, a giudizio unanime, è stata soddisfacente perché ha garantito la presenza dei soggetti applicando la legge e il regolamento. Il direttore generale ha detto che se potrà strutturare qualcosa di ausilio al monitoraggio della materia, lo farà. Potremo fare tutto ciò e saremo disposti a farlo, ma vi chiediamo due cose: la prima è di non chiudere le linee di informazione non solo perché reagiremmo duramente, ma anche perché equivarrebbe a «chiudere» una parte dell'articolo 21 della Costituzione, il che costituirebbe una lesione di un diritto fondamentale. Non chiudete le linee informative, anche perché la legge n. 28 del 2000 non lo prevede! Chiedeteci garanzie sulla base di quello che è successo nelle precedenti elezioni e di quello che il direttore ha detto (e che io mi impegno a dire per quanto riguarda il consiglio), ma - ed è la seconda cosa - non potete chiedere una sorta di patteggiamento tra la modificazione di un giudizio del consiglio su un fatto precedente e una vicenda elettorale che riguarda il futuro.
Questo è lo schema mentale con cui ci avviciniamo all'appuntamento e queste sono le garanzie che possiamo dare.

CLAUDIO CAPPON, Direttore generale della RAI. Ringrazio l'onorevole Boato per la serietà della sua analisi, che mi ha convinto, in base alla quale ho ritenuto di dare un giudizio critico sulla conduzione del programma Satyricon esprimendo una sanzione nei confronti del responsabile della rete. È per questa difficoltà concreta e verificata che ho ritenuto e ritengo tuttora utile la costituzione, in un periodo così delicato e in un'azienda di questa articolazione e complessità, di un organismo tecnico di natura consultiva, composto da responsabili di competenze diverse - penso alle relazioni istituzionali, al direttore delle tribune, probabilmente agli


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affari legali - sotto una responsabilità che dia un segno visibile di autorevolezza. Ho citato un nome, quello del responsabile della Consulta qualità; ciò potrebbe aiutare la direzione generale e le stesse strutture di programmazione che spesso hanno bisogno di confrontarsi su temi delicati. Il compito è di verificare e gestire l'attuazione dei principi e delle norme di cui si è a lungo discusso in questa sede, che nel concreto e nella quotidiana applicazione sui programmi possono dare luogo oggettivamente a difficoltà, a problemi ed anche ad errori.

PRESIDENTE. Vi ringrazio e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 20.35.

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