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Seduta del 21/2/2001


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Audizione del presidente e del direttore generale della RAI.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del presidente e del direttore generale della RAI.
Saluto il presidente della RAI, professor Roberto Zaccaria, il nuovo direttore generale, dottor Claudio Cappon, al quale la Commissione formula i migliori auguri di buon lavoro, il dottor Maurizio Beretta, direttore di Raiuno, il dottor Carlo Freccero, direttore di Raidue, il dottor Giuseppe Cereda, direttore di Raitre, il dottor Albino Longhi, direttore del TG1, il dottor Clemente Mimun, direttore del TG2, il dottor Mario Meloni, vicedirettore del TG3, il dottor Pierluigi Malesani, direttore delle relazioni istituzionali e il dottor Vittorio Vitalini Sacconi, dirigente delle relazioni istituzionali.
Prima di dare la parola ai nostri ospiti, do lettura di una lettera, ora pervenuta, del presidente della RAI: «Gentile presidente, con riferimento all'audizione in Commissione, le sarò grato se vorrà consentire nella delegazione RAI la presenza dei direttori di rete e di testata al fine di poter fornire risposte puntuali ed immediate ad eventuali quesiti relativi al prodotto. La presente richiesta tiene conto anche della circostanza che il nuovo direttore generale è entrato soltanto da pochi giorni nella piena operatività dell'incarico».
A tale proposito, ricordo che in sede d'ufficio di presidenza era stata esaminata, ed infine esclusa, l'ipotesi di procedere oggi all'audizione anche dei direttori di rete e di testata. Pertanto la loro presenza in aula, sicuramente possibile in base alla costante prassi della Commissione, ha in questa circostanza il solo significato di fornire un supporto tecnico relativo a quesiti eventualmente rivolti al presidente ed al direttore generale, che restano i soggetti dell'audizione, ed assumono la responsabilità delle risposte date e degli orientamenti espressi.

(La Commissione prende atto).

Do subito la parola al presidente Zaccaria.

ROBERTO ZACCARIA, Presidente della RAI. Per la verità, a differenza di altre occasioni, non ho particolari notizie da dare alla Commissione.

PRESIDENTE. L'audizione odierna si è resa necessaria per una serie di problemi emersi nel corso dell'ultima riunione dell'ufficio di presidenza relativi ad alcuni programmi, in particolare Satyricon e L'ottavo nano. Vi è poi il problema del pluralismo che la Commissione ha già affrontato con una serie di audizioni, ma che è tornato prepotentemente alla ribalta


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dopo le proteste di alcuni gruppi (lista Bonino e Italia dei valori) ed anche dopo l'esposizione di dati relativi al pluralismo nell'informazione con riferimento sia alle TV pubbliche sia alle TV private. Infine, vi è il problema dei costi delle trasmissioni e dei bilanci. Tutto ciò anche alla luce delle dimissioni del direttore generale, dottor Celli, e delle conseguenti polemiche.

ROBERTO ZACCARIA, Presidente della RAI. I temi sono diversi ed io mi limiterò, poiché è bene che le questioni siano affrontate dai diretti interessati, a sottolineare tre punti in rapida cronologia. Il primo riguarda la successione al vertice della RAI, che ha costituito oggetto di attenzione non solo da parte dei mezzi di informazione ma anche per la Commissione parlamentare alla quale mi pare giusto spiegare «in presa diretta» i fatti. Mi soffermerò poi sulla questione della qualità e dell'offerta del servizio pubblico e, infine, sul pluralismo politico.
Per quanto riguarda la successione al vertice, giovedì 8 febbraio, alle ore 17, ho ricevuto la lettera di dimissioni del direttore generale Celli, poco prima della riunione del Consiglio di amministrazione, che ho rinviato di un'ora per ascoltare i consiglieri e il direttore generale e chiedere le ragioni delle dimissioni. Celli mi ha detto che le dimissioni erano dettate da motivazioni di natura personale e che dovevano considerarsi sostanzialmente irrevocabili. Abbiamo riunito il Consiglio di amministrazione, al quale è stata data la relativa comunicazione in seduta formale, alla presenza dei sindaci. Vi è stata la conferma e ho sospeso la riunione per un'ora. Come sapete, la procedura di nomina del nuovo direttore generale è complessa e prevede un orientamento in sede RAI e una convocazione dell'assemblea degli azionisti per formare l'intesa con RAI holding, sulla base della quale procedere alla nomina. Quindi, un'ora dopo avere accolto le dimissioni irrevocabili, il Consiglio di amministrazione ha espresso l'orientamento ad indicare all'azionista, come nuovo direttore generale, il dottor Cappon. Questo è avvenuto alle ore 19 dello stesso giovedì 8 febbraio. La mattina dopo è stata convocata l'assemblea degli azionisti in seduta plenaria e si è realizzata l'intesa. Alle 18 del giorno successivo, venerdì 9 febbraio, abbiamo nominato formalmente il nuovo direttore generale.
Credo che questa procedura dia il miglior senso di una decisione autonoma del Consiglio di amministrazione, che in un'ora ha indicato il successore di Celli.
Voglio dire alla Commissione che intendo, non formalmente ma sostanzialmente, ringraziare il direttore generale Celli con il quale ho lavorato per tre anni. Il progetto industriale di riorganizzazione della RAI e l'offerta complessiva fatta dalla RAI in questi anni, l'equilibrio economico e il mantenimento dei dati solidi dell'azienda che hanno raggiunto il settimo anno con il bilancio 2000 sono la migliore sintesi di un lavoro fatto insieme in maniera estremamente positiva. Il nostro Consiglio di amministrazione ha lavorato assai bene, sostanzialmente d'intesa nel 95-96 per cento dei casi e credo che la produttività sia molto alta. Questo è l'elemento che, a mio modo di vedere, conferma in misura ampia, al di là di qualsiasi altra battuta, il discorso relativo alla cosiddetta governabilità della RAI, non solo per la sostituzione rapida del direttore generale, ma perché evidentemente esistono in RAI persone solidali ad un certo progetto: questo è un elemento portante che esiste ora e che mi sia confermato in futuro.
Sulla qualità del servizio pubblico non dirò molto perché ho avuto il vantaggio, nella giornata di ieri, di presentare una serie di dati - era presente anche parte di questa Commissione - nel corso di una tavola rotonda sul contatto di servizio. Ho fornito una fotografia per l'anno 2000 - i cui esiti rassegnerò agli atti della Commissione - dalla quale emerge che la RAI, nell'intera giornata, ha proposto (sapete che, come televisione generalista, abbiamo vari generi di programmazione) generi di servizio pubblico per il 75 per cento del totale della programmazione. Gli altri


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generi, intrattenimento, fiction e film, coprono in totale il 24,8 per cento. Questo è un elemento di quadro che credo la Commissione parlamentare debba conoscere, nel momento in cui si fanno bilanci complessivi sull'offerta della RAI.
Naturalmente la statistica è utile se sommata ad altri elementi. Nel 2001, gennaio e metà febbraio, la percentuale dei generi di servizio pubblico è arrivata al 77,9 per cento, contro il 22,1 per cento degli altri generi, che sono più caratteristici dell'offerta complessiva, nel senso che sono presenti nella televisione sia pubblica sia privata ma, mentre nella televisione pubblica coprono il 22 per cento della programmazione, in quella privata ne coprono circa il 70 per cento. Ciò è abbastanza naturale, perché dipende dalla tipologia dell'offerta.
Ho detto che in prima serata - e questo è molto importante quando si parla della qualità e della possibilità di identificare il servizio pubblico - in un mese e mezzo siamo al 64,4 per cento. Ciò vuol dire che in prima serata aumentano la fiction e l'intrattenimento (che arrivano fino al 17 per cento, perché sono i generi più concorrenziali), però rimane una percentuale molto alta di generi di servizio pubblico. In seconda serata, invece, la percentuale di questi generi aumenta fino all'82 per cento, per il fatto che abbiamo molta informazione, che arriva addirittura al 41,3 per cento. La nostra seconda serata è quasi per metà rappresentata da informazione.
Nello stesso fascicolo ho elencato, con un certo arbitrio che credo sia necessario per motivi di sintesi, le principali testate che offriamo. I generi possono essere indicati da statistiche, ma quando si collegano ad un genere determinate testate, si capisce concretamente come funziona la «fabbrica». Allora, per quanto riguarda i telegiornali, è chiaro che non ho bisogno di citare le varie edizioni, comunque si tratta di telegiornali leader. Parlo quindi degli approfondimenti della prima serata: Il fatto di Enzo Biagi, Il raggio verde, Il giallo della contessa e Turisti per caso, per l'informazione; per la cultura abbiamo Superquark, La messa da requiem da Parma, Gaia, Il pianeta che vive ed Elisir; per la fiction cito solo alcuni titoli: Incantesimo, Non lasciamoci più, Una donna per amico (esempi della prima rete, alcuni di lunga serialità come Incantesimo che è un prodotto tipicamente italiano significativo perché denota anche una importante capacità di produrre), La piovra 10, La squadra e Un posto al sole. Le ultime due sono lunghe serialità molto importanti della terza rete. Ricordo ancora, per la terza rete, Mi manda Raitre e Chi l'ha visto, che ieri sera ha avuto un successo particolarmente importante, un programma che va in onda da anni. A volte non ce ne rendiamo conto fino in fondo, ma alcuni di questi programmi hanno un ruolo molto importante e rientrano nella trasmissioni di servizio.
Per quanto riguarda la seconda serata, non mi soffermerò sui singoli titoli, che sono molti, ma solo sull'informazione che è la struttura portante, citando Porta a porta, TV7, Radici e sentimenti, Sciuscià, C'era una volta, Report, Sfide, Un giorno in pretura, Telecamere, Racconti di vita.
La mia conclusione, quindi, è la seguente: tutto il dibattito che registriamo sui giornali, con prese di posizione di vario genere, non riguarda alcuno di questi titoli, ad eccezione, forse, di Sciuscià che, essendo reportage giornalistico, può ovviamente suscitare discussioni, a proposito delle quali le più importanti hanno riguardato l'intrattenimento, un genere comune al pubblico e al privato in Italia e all'estero. Vi cito i nostri titoli in prima serata: Va dove ti porta il cuore, della Carlucci, Passo doppio, di Baudo, Stasera pago io, di Fiorello, Un pugno o una carezza, di Alda d'Eusanio, L'ottavo nano, di Dandini-Guzzanti. La discussione si è registrata su Un pugno o una carezza e su L'ottavo nano. Per la seconda serata, dove realizziamo, come intrattenimento, il 12 per cento, i titoli sono: Convenscion, Perepepè e Satyricon. La discussione si è concentrata su Satirycon; quindi, su tre titoli rispetto ai 45 che ho citato.
Intervenendo a Domenica in, il cardinale Tonini ha detto di trovare un po'


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sconcio, in certe parti, il programma di Fazio. Si riferiva alla presenza della Marchesini e al suo ruolo di sessuologa con gag giocate sull'ironia e, naturalmente, su allusioni sessuali. Credo che il linguaggio usato, rispetto a noi che forse ci meravigliamo un po' più di certe espressioni, sia considerato del tutto normale dai giovani. Si è trattato, comunque, di una critica certamente autorevole, peraltro fatta a Domenica in qualche giorno dopo, su un giornale del nord - mi sembra Il Giorno - ho visto scritto a caratteri cubitali che Franca Rame concordava con il cardinale Tonini, ritenendo anch'essa violenti i programmi della RAI. Ma nel testo dell'articolo risultava anche che Franca Rame apprezzava Satyricon e Quelli che il calcio, per esempio.
Voglio quindi riportare la vostra attenzione sul fatto che si dibatte del 3 per cento dell'offerta complessiva della RAI riferita all'intrattenimento, cioè a un genere spesso soggetto a discussioni ma che noi abbiamo difeso per una ragione semplicissima: la caratteristica della RAI è quella di contenere una serie di fabbriche di libertà, nel senso che i produttori producono, sono autori e creano. In un'azienda che non ha un padrone, per sua struttura istituzionale, credo che questo sia un elemento valido. Nei casi limiti siamo intervenuti, ma la satira ritengo che si debba difendere perché è un valore che il sistema richiede che esista.
Soltanto un cenno ai dati sul pluralismo politico. Circa due mesi fa avevo annunciato che avremmo voluto evitare, con riferimento all'avvicinarsi della campagna elettorale, lo stillicidio delle discussioni attorno alla lettura dei dati di un giorno, di una o due settimane, per cui abbiamo scelto una politica di comunicazione impostata su tre conferenze stampa. La prima - ci pareva logico che fosse la più ampia - abbiamo voluto farla con riferimento a tutta l'offerta dell'anno 2000. Come sapete, prima di questo incontro abbiamo parlato con i nostri direttori di testata, che nelle audizioni che abbiamo avuto ci hanno dato risposte molto convincenti. Hanno detto, infatti, che per l'informazione non seguono i dati dell'Osservatorio di Pavia ma l'elemento notiziale, essendo quello il loro punto di riferimento; a consuntivo è poi possibile gettare un occhio anche a quei dati, ma non sono essi ad ispirarli. Naturalmente, di questo teniamo conto, però sappiamo anche di dover rendere conto all'esterno di certi dati complessivi. Ci era sembrato quindi giusto fornire dati di un anno, anche perché ricordo che abbiamo costantemente inviato alla Commissione parlamentare sia i dati RAI, sia quelli Mediaset. Lo abbiamo fatto costantemente per tutto il periodo della nostra presidenza. La prima conferenza stampa vi è stata dopo che questi dati, che la Commissione parlamentare ha avuto, li avevamo letti insieme, nel loro complesso. La seconda conferenza stampa, che abbiamo già annunciato, avrà luogo alla fine del periodo preelettorale. Quindi, sciolte le Camere e indette le elezioni, terremo una seconda conferenza stampa nel corso della quale daremo conto del periodo dal 1o gennaio 2001 al momento preelettorale. La terza conferenza stampa sarà fatta alla fine del periodo elettorale. Quindi, tre conferenze stampa su dati di lungo periodo in cui l'elemento notiziale non falsa. Abbiamo sostanzialmente rappresentato, con una sorta di autoscatto, la fotografia dell'informazione RAI, distinguendo la presenza dal tempo di attenzione, trattandosi di due cose molto diverse. Sapete infatti meglio di noi che la presenza è quando uno parla direttamente, mentre il tempo d'attenzione è quando altri parlano di te. Su quest'ultimo si può discutere finché si vuole, mentre sul dato della presenza non vi è invece discussione, perché chi parla in presa diretta dice, in genere, ciò che vuole. Da questo punto di vista, quindi, il dato è più ristretto ma più sicuro. Su tale dato indagano, contemporaneamente, l'Osservatorio di Pavia e il Centro d'ascolto di Roma.
In pratica, quindi, abbiamo dato conto dei nostri percorsi, in primo luogo analizzando l'anno 2000 nel suo complesso, in secondo luogo ribadendo una cosa molto importante che mi preme sottolineare: per


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la comunicazione politica, in realtà l'Osservatorio di Pavia e il Centro d'ascolto fanno monitoraggio sul 3 per 100 del totale, cioè su cifre basse rispetto al totale della programmazione. Naturalmente, rapportate su un anno, queste cifre hanno proporzioni...

PRESIDENTE. Può chiarire questo aspetto?

ROBERTO ZACCARIA, Presidente della Rai. Per spiegarmi vi mostro un grafico su telegiornali, intrattenimento, informazione, tribune elettorali e sport autogestito. Il colore bordeau indica l'attenzione, il colore azzurro la presenza. Per i telegiornali, la parte di comunicazione politica rappresenta il 20 o 30 per cento delle notizie complessive, per cui la presenza diretta è un terzo. Vi sono progressive riduzioni, nel senso che, rispetto alla comunicazione politica del telegiornale, la parte prevalente è attenzione - quindi parla dei soggetti -, mentre la parte più ridotta è presenza. Nell'intrattenimento, il rapporto si capovolge, perché parla più il soggetto intervistato dell'intervistatore. Così anche nell'informazione intesa come rubriche (Porta a porta, per esempio). Nelle tribune elettorali la percentuale si alza moltissimo, perché il ruolo dell'intervistatore è ridotto. Negli spot, arriva al 100 per cento. Queste percentuali sono però riferite alla presenza e all'attenzione nei generi diversi. Il punto fondamentale è quanto abbiamo detto all'inizio della conferenza stampa, cioè che l'osservazione riguarda, sostanzialmente, 40.704 minuti in un anno. È questa la percentuale della comunicazione sulla quale si verifica il pluralismo politico. Quindi, come ci ha detto l'Osservatorio di Pavia, il 3 per cento rispetto al totale della programmazione che va in onda. Questo è un dato importante da conoscere, perché dà il senso del tipo di osservazione e della focalizzazione del problema.
Credo, dunque, che sia stata fatta un'operazione di chiarezza per far capire che la RAI ha sempre seguito il criterio dei tre terzi, cioè un terzo Governo, un terzo maggioranza, un terzo opposizione. Si tratta di un criterio certamente prudente, seguito in altri paesi, che configura il Governo come soggetto notiziale. Tolto il Governo, gli altri ripartiscono al 50 per cento.
La Commissione parlamentare di vigilanza è certo il soggetto più autorevole per poter dire di seguire orientamenti diversi. Ma abbiamo confermato che questo è stato l'atteggiamento della presidenza Moratti, della presidenza Siciliano e della mia presidenza. Quindi, è un atteggiamento che la RAI segue costantemente, anche quando sono cambiati i Governi (naturalmente tenendo conto delle oscillazioni da periodo a periodo, da testata a testata, come ha detto in maniera sintetica il rappresentante dell'Osservatorio di Pavia).
Nella conferenza stampa abbiamo poi precisato che gli obblighi della RAI e dei privati sono diversi. Operando in un sistema in cui siamo accanto ad altri, diamo anche i dati ad essi relativi. Sia ben chiaro, abbiamo fornito i dati che ci risultavano da queste due fonti e che sono sostanzialmente convergenti. Se qualcuno oggi vuol fare approfondimenti ulteriori sono possibili e li faremo di certo anche noi. Ma ciò che volevo confermare è che allo stato attuale questi dati si basano sulle fonti più attendibili e si riferiscono alla presenza. Si tratta, quindi, di un dato non controvertibile.

PRESIDENTE, Prima di dare la parola al dottor Cappon, comunico che nel frattempo ci hanno raggiunti il direttore del TG1, Albino Longhi, il direttore di Raidue, dottor Carlo Freccero, e il direttore degli affari legali della RAI, avvocato Rubens Esposito.

CLAUDIO CAPPON, Direttore generale della RAI. Anzitutto, vorrei testimoniare anche alla Commissione i sentimenti che ho espresso ai dirigenti della RAI quando ho assunto l'incarico, sentimenti che, ovviamente, sono di soddisfazione, di orgoglio personale e di consapevole emozione, in quanto si tratta di un incarico particolarmente


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complesso in una azienda che è nel cuore delle vicende del nostro paese.
I servizi pubblici radiotelevisivi, per quella che è stata la mia esperienza in questi anni e per il confronto con altre realtà internazionali, sono oggetto di un dibattito profondo in tutta Europa perché vivono una realtà - che voi ben conoscete - di profondo mutamento e di evoluzione sia industriale, sia di mercato, sia istituzionale. Quindi necessitano, fondamentalmente, di una definizione puntuale sia del rapporto con il pubblico e gli utenti, sia dell'azienda industriale che questo prodotto concepisce e realizza. La mia convinzione è che questi due elementi siano strettamente correlati tra loro: una rispondenza alle missioni di servizio pubblico comunque definite, che sono profondamente radicate nella cultura televisiva europea, necessita di un'azienda industriale forte ed efficiente, in grado di funzionare correttamente. Questo è un elemento importante.
Svolgerò considerazioni abbastanza generali, dato il breve tempo trascorso da quando ho assunto l'incarico di direttore generale della RAI, basate sulla mia precedente esperienza gestionale all'interno dell'azienda. Vi fornirò elementi di quadro, che credo possano interessarvi, in parte rispondenti ai temi che sono stati posti alla base di questa audizione.
Le sfide dell'azienda in questo momento riguardano fondamentalmente alcuni temi, il primo dei quali è l'ammodernamento organizzativo e funzionale. La RAI è una grande azienda che viene da una storia monopolistica nella quale è forte l'elemento delle competenze individuali e delle strutture, ma certamente la sua complessità e la sua forte integrazione determinano anche elementi di pesantezza che, rispetto al passo che è necessario tenere ai tempi d'oggi, richiedono interventi forti sulla funzionalità. Su questo si è lavorato in questi anni e credo si debba ancora lavorare.
Un altro elemento fondamentale è il prodotto, rispetto al quale abbiamo alcune difficoltà da qualche tempo in termini sia di ascolto sia di rapporto con il pubblico. Si tratta di temi che vengono da lontano e che, come ho detto anche ai dirigenti, non hanno soluzioni immediate. In televisione si lavora molto in anticipo, gli investimenti e i progetti di oggi si realizzano anche a due, tre anni di distanza. Penso che la cosa più importante in questo momento sia motivare e fare lavorare al meglio i professionisti che ci sono nell'azienda, con l'obiettivo, come slogan, di farci amare dagli italiani. È una sfida che richiede idee, capacità progettuali e di gestione, ma anche risorse economiche.
Nel panorama industriale di cui parlavo i media in generale e la televisione sono, almeno in alcuni aspetti, oggetto di un processo di globalizzazione che rende alcuni fattori produttivi ormai disponibili ad una pluralità di soggetti che investono su di essi e quindi, per avere il meglio, le risorse economiche sono fondamentali. Basti pensare al tema dei diritti sportivi, che certamente conoscete tutti molto bene; un discorso questo che vale anche per il cinema, per la produzione della fiction ed anche per gli artisti e gli interpreti. È necessario che le fabbriche intellettuali dell'azienda producano soggetti nuovi per il nostro pubblico e certamente la competizione che oggi c'è fa sì che per accedere a questi elementi siano fondamentali le risorse.
Da qui si passa al tema della gestione economica. Per quanto riguarda il 2000, il bilancio ancora non è definitivo, ma certamente si chiuderà su livelli in linea con quelli degli ultimi esercizi e quindi su livelli positivi, con un ulteriore miglioramento della posizione finanziaria dell'azienda e quindi dell'indebitamento. Da questo punto di vista posso fornire un elemento: in questo triennio, la RAI, che nel 1998 aveva un indebitamento di 350 miliardi (sono dati provvisori, ma attendibili), ha ridotto tale indebitamento nel 1999 e chiuderà il 2000 senza indebitamento, anzi con una disponibilità finanziaria attiva di quasi 50 miliardi come RAI e di oltre 150 miliardi come gruppo.
Tuttavia esiste qualche preoccupazione, considerato che siamo nel 2001, anno per


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il quale si prevede un esercizio più impegnativo perché vi è un rallentamento dell'economia complessiva, con un particolare impatto sulla raccolta pubblicitaria. Noi abbiamo strutturato gli obiettivi della nostra gestione per confermare comunque un equilibrio economico che riteniamo ci siano le condizioni per mantenere. Ovviamente monitoreremo - questo è il compito dell'azienda - questi fattori nel corso dell'anno per verificarne l'andamento e per prendere, se del caso, provvedimenti adeguati in tempo utile. L'obiettivo, confermato recentemente, della gestione equilibrata mi sembra raggiungibile. Ricordo, peraltro, che l'azienda ha in corso alcune iniziative di varia natura, tra le quali cito la cessione di una quota di minoranza, operazione che abbiamo sempre tenuto al di fuori della nostra gestione ordinaria e attraverso la quale, pur mantenendone il controllo sostanziale e formale, apriamo la nostra struttura di trasmissione e diffusione a privati con cui si possano sviluppare in futuro delle iniziative nel settore, per accrescerne il valore e per disporre di risorse utili per investimenti futuri.
L'ultimo tema che vorrei brevemente tracciare e del quale ha parlato il presidente è quello del servizio pubblico, un tema complesso di cui credo occorra sottolineare due elementi. Ritengo che fondante per il servizio pubblico sia il concetto del pluralismo della rappresentazione politica, sul quale anche questa Commissione interviene e ci dà indirizzi e sul quale abbiamo regolamentazioni precise. Però il pluralismo è anche una rappresentazione più vasta della realtà sociale e cultuale, difficile da realizzare in un paese che articola sempre di più il proprio costume e la propria cultura. Credo che un servizio pubblico debba essere più inclusivo delle diverse istanze. Ciò comporta qualche rischio di errore inevitabile ma che cercheremo di considerare con attenzione. Tuttavia, senza rischi non si ottengono risultati e quindi penso che mettersi in gioco sia comunque importante per un servizio pubblico.
L'altro elemento del servizio pubblico, che ho seguito più direttamente nella mia esperienza precedente e che credo sia importante per una legittimazione sostanziale che vogliamo dare, è la trasparenza e la correttezza nell'uso delle risorse. Su questo mi sembra che anche dal punto di vista normativo vi siano punti di crescita, come la definizione del contratto di servizio, che potrà essere sempre più puntuale ed oggettivo e, da parte nostra, l'identificazione più precisa delle aree di destinazione delle nostre risorse, su cui ancora vi è da lavorare, ma che comunque già ora ci consente di identificare la prevalenza della destinazione delle risorse pubbliche e quindi il rapporto che l'azienda ha con il sistema di indotto e di rapporti, un elemento fondamentale per un servizio pubblico.
Infine, vorrei ricordare, poiché siamo in una Commissione parlamentare, che questi obiettivi, queste sfide, queste modalità di gestione riusciremo ad attuarle in un contesto istituzionale che però non ci compete, essendo materia del Parlamento, ma che determina le condizioni in cui l'azienda opera.

LUIGI PERUZZOTTI. Penso che un'audizione come quella odierna non sia priva di argomenti da trattare: si potrebbe spaziare dalla faziosità di alcuni telegiornali, ai poco edificanti spettacoli offerti da alcune trasmissioni (ogni riferimento a Satyricon e a L'Ottavo nano è puramente voluto), alle invenzioni della signora D'Eusanio, di cui parla Striscia la notizia una sera sì e una sera no. Però, non vorrei privare i colleghi della possibilità di intervenire, per cui mi limiterò ad affrontare un argomento che è già stato - eziandio - oggetto di cronaca giornalistica: mi riferisco allo spettacolo che si sta preparando in RAI e che vede come protagonista Adriano Celentano. Non so se dare credito alle indiscrezioni giornalistiche, però l'esperienza mi insegna che quando tuona, da qualche parte piove e allora posso comprendere e fare mie le dichiarazioni apparse su qualche quotidiano che specifica nel dettaglio le spese


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che verranno sostenute dall'ente televisivo di Stato: si parla della cifra astronomica, mi pare mai raggiunta in RAI fino ad oggi, di 20-22 miliardi per la produzione di uno show, così suddivisi: un miliardo e mezzo per il signor Celentano, due miliardi e mezzo per le scene, un miliardo e mezzo per il teatro, 8 miliardi e 720 milioni per il produttore. Oltretutto mi si dovrebbe spiegare come mai, ad esempio, la produzione di alcune scenografie viene fatta a Roma, ma poi vengono trasferite a Milano, si recupera un'area dismessa con il rifacimento totale di impianti di condizionamento e addirittura di luce (dentro la struttura non c'è assolutamente niente). Lei parlava prima di gestione equilibrata, ma a me pare che spendere 20 miliardi per uno spettacolo di questo genere non rientri in una gestione equilibrata, soprattutto tenendo conto che la RAI, tra le sue entrate, oltre a quelle pubblicitarie, ha quelle del canone televisivo. Mi pare sinceramente un'offesa alla decenza e soprattutto alla gente, anche alla povera gente che paga il canone RAI, dottor Zaccaria e dottor Cappon, spendere 20 miliardi per uno spettacolo il cui unico scopo è quello di inseguire - dimostrazioni in tal senso ci sono già state - Mediaset su linee che ci lasciano perplessi.
Vorrei delle risposte: corrisponde al vero che la RAI ha in programma di spendere le cifre che ho indicato per quello spettacolo? Che cosa ritiene di ottenere e quali vantaggi porterà all'ente radiotelevisivo di Stato la produzione di quel programma? Ripeto che mai fino ad ora la RAI ha speso tanti soldi per una produzione di questo genere. È un'offesa alla morale, secondo il sottoscritto e secondo tante altre persone qua dentro e fuori di qui, che hanno ritenuto la cifra esorbitante, soprattutto se si considera - posso dirlo senza timore di essere smentito, poiché mi pare che anche altri programmi siano stati oggetto di critica da parte non solo di componenti dell'opposizione ma anche da qualche componente della maggioranza - che ultimamente la qualità dei programmi trasmessi dalla radiotelevisione di Stato lascia abbastanza a desiderare.

PAOLO ROMANI. Apprezzo sempre la puntualità, la precisione e il metodo del presidente Zaccaria nel descrivere il sistema RAI con numeri, cifre e percentuali. Ribadisco una richiesta che ho spesso formulato e che non è mai stata esaudita: visto che avete definito nel 75 per cento per l'intera giornata e nel 77,9 per cento in prime time la quota di programmi dedicati al servizio pubblico, vorrei avere la lista di tali programmi. Mi piacerebbe capire, ad esempio, se le peregrinazioni di Giusti a mezzanotte su Raitre facciano parte del servizio pubblico, poiché alcuni programmi sono difficilmente identificabili.

PRESIDENTE. I dati sono a disposizione.

PAOLO ROMANI. Desidero capire cosa vada a comporre questo 77,9 per cento del prime time.
Volevo riproporre alcune valutazioni già prospettate in altro momento al precedente direttore generale. Ritengo di aver sempre rivendicato, in questa sede, al quarto ed al quinto potere la obbligatorietà, per essi, per il sistema stampa, per il sistema mediatico nel suo complesso, la rivendicazione dell'autonomia rispetto alla politica. Però vi sono alcuni problemi che nascono proprio perché, se non vi fossero regole, tutti sarebbero ben felici di concedere ai professionisti della televisione e agli operatori dell'informazione tutta la libertà possibile, anche se sappiamo che il pluralismo, contrariamente a quanto detto prima dal dottor Cappon, non è fondante del servizio pubblico ma è il risultato del servizio pubblico: se uno fa servizio pubblico, si ritiene che come risultato abbia un sistema equilibrato e, quindi, pluralista. Ma siccome ci troviamo, invece, in un sistema mediatico impigliato nelle maglie di rigide regole - mi riferisco, naturalmente, alla par condicio - vi è un problema che, purtroppo, dobbiamo analizzare.


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La tesi che prima ha cercato di esporre il presidente Zaccaria è che tendiamo sempre a colpire solo i programmi che rappresentano il 3 per cento, dimenticando quel 97 per cento che non viene mai analizzato per la qualità che riesce comunque ad esprimere. Ce la prendiamo sempre con quel 3 per cento che rappresenta la punta di un iceberg di un sistema fuori controllo, ingovernabile, ingestibile, che non funziona, dimenticando il resto che invece funziona in un sistema equilibrato. Questa è la tesi del presidente Zaccaria, il quale ha anche aggiunto di procedere con le conferenze stampa come fase comunicazionale, anche se, personalmente, non ne ho condivisa una. Quando dice, infatti, che la presenza dei politici risponde a determinate percentuali di presenza, è come se io dicessi che la presenza sulla Gazzetta di Mantova e sul Il Corriere della Sera fosse la stessa cosa. In questo paese e con il sistema che abbiamo, la presenza dei politici va comunque tarata sugli ascolti che le televisioni raccolgono. Quindi, non è sufficiente il dato in quantità di minuti e secondi su un determinato mezzo, perché bisogna assolutamente incrociarlo, come tale, sull'effettivo ascolto che quella presenza comporta. Quella è la vera presenza, il numero di ascoltatori, che quella sera vede il politico che appare in televisione. Ecco perché non ho quindi condiviso quella parte della conferenza stampa del presidente Zaccaria.
Parlando di sistema mediatico impigliato nella stretta maglia della par condicio, anche oggi il presidente Zaccaria ha rivendicato la famosa legge dei tre terzi. Essendo però questa la prima volta che ci troviamo a percorrere la strettoia di una campagna elettorale in clima di par condicio - l'abbiamo già subita per le elezioni regionali, ma è la prima volta che la subiamo per le elezioni politiche - ho l'impressione che la politica dei tre terzi difficilmente potrà essere applicata in campagna elettorale. Se anche non condivisa, ma tuttavia sostenuta con argomentazioni, la si può quantomeno combattere dialetticamente e subire in periodo non di campagna elettorale, è difficile che oggi la si possa subire in piena campagna elettorale, anche perché il Governo, una volta sciolte le Camere, penso che poco o nulla abbia da comunicare al paese. Ritengo, invece, che molto o quasi tutto dovrà essere comunicato dalle parti in competizione elettorale, quindi la maggioranza e l'opposizione o le due parti o le due coalizioni. Ho l'impressione, dunque, che la prassi dei tre terzi dovrà essere «sfarinata», nel senso che dovrà esserci una riduzione di uno dei tre terzi in rappresentanza del Governo nella sua sfera istituzionale.
Non voglio, ancora una volta, entrare nel tunnel della polemica, perché non mi interessano gli «spottini» de L'Ottavo nano dove uno fa la pipì sul sofà perché nella Casa delle libertà «ognuno fa il cazzo che vuole» (scusatemi, ma se lo si dice in televisione, penso che lo si possa dire anche qui). Questi spot anziché preoccuparmi mi divertono, li trovo anche corrosivi al punto giusto. Mi preoccupa, invece, che, in un clima complessivo di abrogazione della comunicazione della politica, la satira, che è sempre stata un po' di destra ed un po' di sinistra - comunque sempre satira è - sia corrosiva sempre a senso unico. Questo è il problema che si pone. Se avessimo un sistema mediatico completamente libero, evviva la satira, di destra, di sinistra, di estremisti di centro, di destra e di sinistra! Ma in un sistema censurato, abrogato, bendato è probabile immaginare che alcuni programmi particolarmente corrosivi - probabilmente a senso unico, dal nostro punto di vista - possano essere invece prevaricatori rispetto all'equilibrio ed al risultato invocato dal dottor Cappon come pluralismo del servizio pubblico. Ecco perché siamo particolarmente sensibili a questo problema, a proposito del quale ci piacerebbe sapere - ripropongo una domanda che feci a Celli in una precedente occasione - se abbiate voi immaginato un equilibrio complessivo. Poiché vi troverete a scontrarvi con l'applicazione di una norma illiberale, che la Commissione e l'Autorità per certi versi


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hanno cercato di eludere - ricordiamo le lunghe discussioni sul regolamento, dove cercavamo di dare un po' più di proporzionalità ma «aspirando» sostanzialmente la legge - vorrei sapere se come RAI vi siate mai posti il problema di avere un sistema equilibrato per tutti i programmi, non solo per quelli prettamente ed esclusivamente di comunicazione della politica. Altrimenti, tutto torna o tornerà in questa Commissione, dove ogni volta saremo costretti a colpire ciò che non ci piace colpire, perché noi amiamo la satira, basta che non sia a senso unico e unico faro di comunicazione politica nel deserto totale della comunicazione politica stessa. Questo è il problema di cui oggi ci preoccupiamo.
Mi pare che il Parlamento non sia riuscito - ma anche qui non voglio entrare di nuovo in polemica con la maggioranza - a «liberare» il famoso disegno di legge n. 1138. Mi è sembrato però, se non ho capito male, che la maggioranza del Parlamento fosse favorevole ad una RAI che restasse in area pubblica. E siccome la divisionalizzazione che fu immaginata dal dottor Celli - almeno così mi fu detto - era propedeutica, prodromica ad una futura privatizzazione, che non ci sarà, che non c'è stata o che è difficile che avvenga, non ritenete che sia oggi una sovrastruttura inutile rispetto al sistema nel suo complesso?

GIUSEPPE GIULIETTI. Penso che di illiberale vi sia una situazione per la quale alcune considerazioni del senatore Peruzzotti, a mio avviso concrete, precise e serie, non possano essere discusse con serenità. Provo a spiegare perché. Perché se le aziende sono due e una è del capo dell'opposizione, il senatore Peruzzotti pone una questione giusta sui compensi e su Celentano, aspetto anche la risposta dell'azienda, purché il concorrente si impegni a non prendere Celentano dieci minuti dopo! Perché la vera situazione illiberale nasce da questa situazione di corruzione del mercato - dal punto di vista morale, ci mancherebbe altro! - e dal fatto che le aziende siano due. Capisco chi dice che vuole una RAI più libera, ma dove vanno poi a finire la satira e i suoi ideatori? In un terzo Polo che non c'è? In Germania o in Francia? Dove vanno alcuni talenti della RAI? La TV intelligente è cretina quando sta in RAI e non lo è quando viene reclutata a cifre doppie dall'altra parte? Questo tipo di ragionamento non regge. Così non si fa un passo in avanti e costringe me a dire che non mi interessa, che è meglio chiudere la Commissione di vigilanza che discutere di singole trasmissioni di satira, perché non parteciperò a discussioni insensate su singoli programmi che servono soltanto a delegittimare la parte migliore di un'impresa, a colpire i lavoratori delle tre reti, a mettere in condizione di non serenità, a creare un processo di autocensura e a cacciare numerosi autori e produttori di grande serietà. La RAI, infatti, non è una cloaca come l'ha definita un parlamentare (mi pare di AN); la RAI ha serie difficoltà, ha seri problemi ma ha migliaia e migliaia di persone serie, ideatori, autori, produttori. Bisogna stare anche attenti a come ci confrontiamo! A me non interessa partecipare ad un dibattito su L'Ottavo nano. Cos'è, pedagogia di Stato? Domani discutiamo di Vespa? Dopodomani facciamo un dibattito su un TG della RAI che a me non piace? No, non è questo che mi interessa. E non cederò alla logica della ritorsione chiedendo le convocazioni di quelli che non mi piacciono.
Passo adesso ad alcune domande. Anzitutto mi sembra, presidente Zaccaria, che Berlusconi abbia chiesto il suo licenziamento. Essendo il capo dell'azienda concorrente, vorrei sapere...

PRESIDENTE. Onorevole Giulietti...

GIUSEPPE GIULIETTI. Mi consenta, presidente. Ho letto di tutto e di più. Vi ricordo che c'è un problema parlando di televisione.

PRESIDENTE. Lei lo ha esposto fin troppo bene, per cui non penso...

GIUSEPPE GIULIETTI. Forse censurare la Dandini non è difficile...


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PRESIDENTE. Non risulta che il presidente Berlusconi abbia chiesto le dimissioni...

GIUSEPPE GIULIETTI. Il senso dell'intervento del capo dell'azienda concorrente era di particolare violenza. Lei capisce che questo è uno spettacolo di cabaret. Dovremmo chiamare a discutere non la Dandini, Freccero, Beretta, Cereda... Cabaret è il fatto che non si sappia se l'interlocutore parla di politica o per colpire l'azienda concorrente.
Ciò detto - che trovo sì un problema che ci riguarda - pongo alcune domande al presidente della RAI. Perché questi dati sono arrivati solo oggi? Avevo sottolineato al presidente Landolfi, al quale riconosco il senso delle istituzioni, di cui gli do volentieri atto, che da tempo l'Authority doveva fornire questi dati.

PRESIDENTE. Abbiamo sollecitato...

GIUSEPPE GIULIETTI. L'Authority li ha forniti solo dopo l'uscita del presidente Zaccaria. Si tratta, peraltro, di dati che confermano quelli della RAI, perché si fondano su un punto, cioè sulla sovraesposizione diretta. Continuo a chiedere che l'Authority, proprio perché non ci siano supplenze, fornisca i suoi dati sul pubblico e sul privato. Li dia in modo comparato. Non deve esserci una continua richiesta sottobanco di dati. Chiedo perché la RAI li abbia forniti oggi e non prima. Peraltro li ho visti e devo dire che non sono soddisfatto: proprio perché vi è un regime di duopolio, con queste caratteristiche, non mi basta che la RAI rispetti la teoria dei tre terzi, perché vi è una violazione della par condicio che si perpetua, vi è una «impar condicio». Il servizio pubblico, infatti, non riequilibra una situazione di svantaggio: si limita ad applicare le norme che applicava la signora Moratti nel 1994, con ciò creando nel complesso del sistema due terzi ed un terzo. Manifesto quindi una protesta forte per il fatto che vi sia ancora una monocultura dell'approfondimento politico televisivo.
Voglio sapere, per esempio, perché vi sia ancora una forte contrazione degli spazi di confronto sulle reti e perché ad oggi manchino ancora faccia a faccia, contraddittori. Nelle grandi televisioni europee, se uno dei candidati non si presenta, si fa il dibattito a sedia vuota (è il manuale della BBC, presidente). Voglio comprendere perché non vi siano contraddittori tra destra e sinistra, tra i candidati leader. Pongo, per correttezza, la questione sottolineata dal presidente Landolfi, cioè quella dei dati delle liste minori, perché se è vero che i Poli sono forti, è anche vero che non ci sono solo loro: ci sono una lista Rauti, una lista D'Antoni e una lista Di Pietro, per esempio. Risultano inoltre sconcertanti i dati presentati dai radicali. Sono veri o finti? Sono documentati? Pongono una questione che credo sia di interesse generale, anche se non rappresentati in questa Commissione; loro come altre liste di destra o di sinistra. Non è che mano a mano che ci accorpiamo nei Poli possiamo dimenticare le cose dette in precedenza. Vorrei quindi sapere come questi dati vengano giudicati dalla RAI; se siano stati presi in considerazione; se, al di là dei regolamenti che daremo noi come Parlamento, sia finalmente previsto un incremento del dibattito politico sulle tre reti e, quindi, un incremento delle presenze.
Prima di rivolgere un'ultima domanda, presidente, saluto con grande rispetto il direttore di Raidue, Freccero, per le posizioni di grande attenzione ai temi del bilancio, del rigore e del rispetto reciproco. Potremo anche litigare tra Parlamento ed azienda, ma importante è che vi sia un rapporto di reciproca correttezza e trasparenza. A me non basta che mi si dica che i professionisti sono liberi, per cui vorrei capire dall'azienda come intenda reagire ad un clima che a me non piace, che talvolta raggiunge punte di oscurantismo, di tardo integralismo che tende a colpire ogni idea di reazione e di produzione, che tende a reintrodurre l'idea della pedagogia di Stato. Dico, con grande chiarezza, che non intendo discutere di Sciuscià, di Santoro, di Dandini, di


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Fazio, di Celentano, peraltro persona distantissima da me, a proposito del quale il senatore Peruzzotti dice cose giuste. Su questo voglio capire come intenda reagire l'azienda, visto che su questo singoli consiglieri vorrebbero magari più facilmente allontanare qualche autore che non tutelare la loro libertà. È un clima pericoloso che non condividiamo, perché spetta all'azienda contrastare chi si pone fuori dal codice civile, dal codice penale, dalle carte dei doveri. Credo, quando la Commissione di vigilanza assume un'altra posizione, che sia meglio chiuderla; è meglio che non ci sia più nella prossima legislatura, chiunque vinca, perché rischia di diventare un luogo pericoloso. Penso, quindi, che sia opportuno stare molto attenti; siamo vicino al limite del suo autoaffondamento se si continua a discutere di singoli programmi e di singoli autori!
E sempre a proposito della libertà degli autori, pongo una domanda sui diritti sportivi. Guai a non rispondere alla domanda del senatore Peruzzotti - vorrei non essere equivocato - ma cosa si dice, a proposito dei diritti sportivi, dell'idea elitaria ed aristocratica che sento circolare nel paese circa le pay tv? Perché le vedono 5 milioni di italiani, si deduce che le guardino 20 milioni di italiani, che si possa sopprimere un grande avvenimento sportivo, compreso 90o minuto, perché ciò serve all'industria? Conosco la posizione, ma la vorrei riesplicitata, perché siamo una Commissione parlamentare...

PRESIDENTE. Sono intervenuto...

GIUSEPPE GIULIETTI. Lo so benissimo. Ma non è una polemica, tutt'altro. Penso che dobbiamo difendere anche 45 milioni di italiani: tra tre proprietari e 50 milioni di italiani, vi è anche un loro diritto. Ben venga la TV digitale, ma credo che alcuni grandi avvenimenti debbano essere difesi. Concludo con una domanda sulla qualità. Vorrei capire se sia stata sua intuizione o iniziativa personale la questione da lei posta sul canone e la pubblicità, che trovo sensata e ragionata, in quanto tende ad una possibile riduzione del canone.
Naturalmente non possiamo dire la mattina «Abbiamo il canone» e la sera «Per carità di Dio! Che resti anche il tetto pubblicitario!» Dobbiamo decidere se vogliamo un'azienda col solo canone, che allora va raddoppiato e portato ai livelli tedeschi, oppure dire che il canone è superato e l'azienda è libera, senza tetti. So che questo creerebbe problemi al concorrente, ma a me interessa poco. Può essere una via buona: se il canone va delegittimato, vadano liberi sul mercato tutti i soggetti! È una via che mi convince: più soggetti competono e chi ce la fa ce la fa!
Purtroppo, facciamo sempre la discussione sul tema della qualità con i rischi della campagna elettorale. La RAI pensa di poter assumere un'iniziativa, magari anche d'intesa con la Vigilanza, nella sede della RAI? Parlo di un incontro che non sia tra proprietari, gestori e politici, ma in cui parlino gli autori, gli ideatori, i produttori e i soggettisti. La televisione è di chi la fa. Ho la sensazione che non parli più chi fa la televisione, che non si manifesta e non viene messo in condizione di ragionare sulla qualità del prodotto.
L'azienda è puramente industriale o intende, nei prossimi giorni, recuperare la dimensione di azienda editoriale che pone al centro il prodotto, gli autori, i produttori, gli ideatori, i giornalisti e si apre a più imprese? Cosa pensa lei del fatto che quattro aziende stiano gestendo tutti i format e si riduca l'autoproduzione (per fortuna non dappertutto)? E cosa pensa di una proposta banale che qui avanzo, recuperando l'intervento di Peruzzotti? Su un punto sono per la pax televisiva. Ho visto che c'è una grande indignazione talvolta per L'ottavo nano, talvolta per Luttazzi, ne ho vista meno - chiedo scusa per il termine, presidente, ma spero che mi capisca - per il cornuto a pagamento, per il travestito a pagamento, per il finto travestito, per la finta posta del cuore, per le agenzie che recuperano 40 persone di compagnie di giro che piangono in televisione a pagamento. Siccome è un sistema duplice, nel senso che si batte solo


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se tutti riflettono sulla moralità e non solo alcuni, mi piacerebbe vedere firmata un'intesa Mediaset-RAI affinché questo tipo di agenzie sparisca, perché questo tipo di programmi non è obbligatorio e, se ci sono drammi, li vengano a raccontare, ma il dramma a pagamento francamente credo sia indecente e immorale per il pubblico e per il privato. Su questo fate un'intesa: sarebbe una bella pax televisiva.

ROBERTO ZACCARIA, Presidente della RAI. Risponderò in sintesi alle parti che mi possono riguardare. Il dottor Cappon integrerà per le parti di sua competenza.
Sinceramente ho qualche difficoltà a rispondere alla prima domanda del senatore Peruzzotti su Adriano Celentano. Fornirò risposte di contorno, ma non darò risposte che possano confermare le cifre. Lo dico con grande rispetto verso questa Commissione. So bene quali siano i meccanismi collegati con il potere ispettivo del Parlamento e con il fatto che non esiste un'autorità governativa di riferimento, per cui so che vengono portate in questa sede iniziative che in altri casi potrebbero essere formulate attraverso gli strumenti individuali dell'interrogazione e dell'interpellanza. Devo dire peraltro che la domanda viene fatta nel contesto della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, che io credo tuteli la RAI anche se la stimola ad applicare certi principi in materia di contenuti e di qualità.
Se le rispondessi - a meno che la Commissione nel suo complesso mi chieda di farlo - dandole delle cifre precise, con riferimento alle questioni che lei ha posto, darei al mercato degli elementi molto appetitosi. Sarei molto interessato a sapere quanto la televisione nostra concorrente paghi per una certa produzione, come Il grande fratello, nei dettagli analitici che riguardano il programma, lo sfruttamento sulle varie piattaforme, il marketing, l'investimento pubblicitario; sarebbe per me di grande interesse analizzare quelle cifre, ma non ho la possibilità di farlo, perché non esiste un soggetto in grado di chiederlo al mio concorrente. Ricordo che nel 1984 rinnovammo il contratto di collaborazione a Raffaella Carrà, il primo atto che pose la RAI seriamente sul mercato della competizione. In quel momento la RAI stava calando, le star andavano dall'altra parte e la RAI rischiava di perdere la grande sfida di presenza sul mercato, come tutti i grandi servizi pubblici in Europa, che hanno capito che per rimanere tali e raggiungere un pubblico ampio dovevano essere competitivi e quindi applicare le stesse regole industriali degli altri soggetti, per quanto riguarda sia i diritti sportivi, sia le star e i film. Non si può arrivare al paradosso di pensare - lei non lo ha detto e non vorrei farle torto - che, poiché il finanziamento viene dagli abbonati, i compensi debbano essere sottoposti ad una sorta di tariffa controllata da qualche soggetto esterno che giudica congrua una cifra piuttosto che l'altra. Ricordo che nel caso del compenso della Carrà, l'allora presidente Zavoli fu convocato a Palazzo Chigi, perché il Presidente del Consiglio non riteneva congruo che un presidente vicino potesse stipulare con una star un contratto per cifre molto rilevanti mentre era in discussione il contratto dei metalmeccanici. Non si possono confrontare queste due dimensioni; lei non lo ha fatto, ma per me quell'esempio è rimasto nella memoria fortissimo. Io allora dissi che dovevamo proteggere fortemente gli elementi economici dei nostri contratti perché hanno un valore concorrenziale.
Quindi, se permette, le posso dire che le cifre relative a Celentano - e naturalmente così sono presentate al Consiglio di amministrazione - sono all'interno dei budget delle reti e delle divisioni, per cui sono cifre compatibili con i saldi di bilancio che le ha dato Cappon, che sono l'elemento importante che la gente deve conoscere, perché testimoniano che l'azienda è sana. Poi, spendere cento per Celentano e cinquanta per un altro è prerogativa imprenditoriale, anche perché qui il rapporto tra l'investimento e gli ascolti diventa decisivo, anzi noi lo applichiamo costantemente; spendiamo per una partita di calcio fino a dieci miliardi,


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una cifra spaventosa, ma qui è venuto fuori il discorso che la RAI lo deve fare. Allora quale diventa il parametro? Dieci miliardi per una partita, sei miliardi per un film, cinque miliardi per un'altra cosa, tre miliardi per una collaborazione artistica? Possiamo far decidere ad un'autorità amministrativa una cosa di questo genere?
Senatore, con tutto il rispetto per la sua domanda, le dico che se questa Commissione mi chiederà di fornire i dati, noi li daremo, però, al tempo stesso, dirò che avete procurato un danno concorrenziale enorme all'azienda RAI che voi dovete sorvegliare e credo anche tutelare.
Per quanto riguarda le domande dell'onorevole Romani, devo dire che stiamo affinando progressivamente i generi di servizio pubblico, nel senso che ci siamo posti in una dimensione di progressivo affinamento di quelle categorie, che tre anni fa contenevano dei titoli addirittura incongrui. Anche grazie al nuovo contratto di servizio, abbiamo fatto questo affinamento e disponiamo delle tabelle che ho letto e che lascerò agli atti della Commissione; accanto alle tabelle, vi è per ogni programma una classificazione di genere che fa l'ufficio marketing e poi nella sintesi ho indicato i titoli principali. Credo che siamo su una strada di assoluta convergenza dei punti di vista. È evidente che giudicare Turisti per caso come un programma informativo o culturale oppure di servizio può essere opinabile; certo è che abbiamo chiaro che vi sono alcuni generi classificati come servizio pubblico, all'interno dei quali devono esserci i programmi corrispondenti. Il caso della fiction rappresenta l'esempio classico: abbiamo vari tipi di fiction, alcuni dei quali si classificano nei generi di servizio pubblico e altri no. Qui il discrimine è sottoposto ad un controllo del tutto legittimo, perché vi è una valutazione di genere di servizio pubblico.
Sul discorso degli ascolti e, in particolare, sulla critica ai dati che ho fornito e sul rapporto tra questi dati e gli ascolti, sono del tutto favorevole ad utilizzare strumenti più raffinati per analizzare i dati di carattere generale. Quelli che ho fornito sono dati esatti e, affinché siano letti in maniera appropriata, abbiamo cominciato a considerare i telegiornali di prime time. Credo che incrociare i dati, rete per rete, con gli ascolti sia un'operazione che facciamo. Non è che quei dati risultino inesatti; semmai si possono elaborare per arrivare a risultati ancora migliori.
Per quanto riguarda le tre quote di un terzo, voglio dire francamente che noi esaminiamo per ora il 2000, che è fuori dalla campagna elettorale. Vi sono state competizioni referendarie, ma quello è il trend. Se si vuole esaminare il periodo della campagna elettorale, si può fare. Io ho esaminato alcune trasmissioni di approfondimento politico, perché mi pare giusto che la Commissione conosca come si comportano Porta a porta, Il raggio verde, Primo piano, Il fatto, trasmissioni più dedicate a questi argomenti. Osservandole in periodo di campagna elettorale, abbiamo già notato che queste trasmissioni seguono di fatto il criterio del 50 e 50. È vero, analizzando il passato, che sostanzialmente in periodo elettorale la capacità notiziale autonoma del Governo si riduce di fatto (parlo della campagna elettorale in senso tecnico, cioè del periodo tra la convocazione dei comizi e le elezioni). Però, questa Commissione ha tutte le prerogative per dare ora delle indicazioni per il futuro alle quali certamente noi ci atterremo. Come dicevo, già ci sono comportamenti di prassi interessanti. Le prime due conferenze stampa del 2000 e del 2001 fino alle elezioni non riguardano il periodo elettorale. Comunque la Commissione è libera di convocarci e dirci che ha deciso che dobbiamo seguire criteri diversi: ci attrezzeremo per farlo.
Circa la satira, potrebbe rispondere Freccero, poiché io non sono assolutamente in grado di valutare il peso delle presenze in relazione al discorso complessivo del sistema. Credo che dobbiamo fornire i dati di osservazione reale che


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abbiamo sempre seguito. Però, se la Commissione ritiene che dobbiamo monitorare la satira, deve dircelo.

PRESIDENTE. No, presidente. L'onorevole Romani intendeva dire un'altra cosa e cioè che ci avviciniamo al periodo di par condicio della campagna elettorale tecnica e non vorremmo che gli spazi sottratti alla par condicio diventassero pascolo abusivo per la comunicazione politica, cioè fossero spazi liberi in cui si fa quel che si vuole perché i programmi di satira sfuggono alla normativa sulla par condicio. Si tratta, quindi, di un allarme condivisibile che dovrebbe indurre la RAI a prestare attenzione anche ai programmi di satira, che dovrebbero far ridere e intrattenere e non fare interviste politiche: questa non è più satira, è un altro genere che dovrebbe rientrare nella categoria della comunicazione politica ed essere sottoposto al regime della par condicio.

ROBERTO ZACCARIA, Presidente della RAI. Da questo punto di vista, insisto nel sottolineare che i nostri dati sono equilibrati.

PRESIDENTE. Quando termina L'Ottavo nano?

CARLO FRECCERO, Direttore di Raidue. Termina a marzo.

ROBERTO ZACCARIA, Presidente della RAI. Il progetto Rai, con riferimento all'organizzazione dell'azienda, è complessivo e riguarda l'intero gruppo Rai. Pur continuando il progetto relativo alla creazione di RAI Holding, abbiamo scelto la strada di non realizzare società nell'area editoriale, proprio in considerazione del fatto che ritenevamo importante che vi fosse una valutazione politico-parlamentare a monte di questo profilo particolare. Si è trattato di un'autolimitazione in senso tecnico che non sarebbe necessaria, ma abbiamo pensato, per ciò che attiene alla radio e alla televisione, che non fosse opportuno procedere a creare società prima che il Parlamento fissasse una cornice. Ripeto: non vi sono vincoli formali, per cui si è trattato di un'autodeterminazione del Consiglio d'amministrazione. Il progetto quindi continua e pertanto abbiamo creato società e delineato un percorso industriale, che con il dottor Cappon adesso analizzeremo in maniera più approfondita, che riguarda la creazione di un'attività in senso lato accessoria, anche se è riduttivo definirla in questo modo.
Con riferimento alla domanda dell'onorevole Giulietti sui dati - mi pare che l'osservazione si riferisse più all'Authority che a noi - li abbiamo sempre forniti; nelle tre conferenze stampa abbiamo solo adottato un criterio di comunicazione sistematica perché abbiamo ritenuto che fosse importate evitare lo stillicidio di discussioni rapportate a periodo troppo brevi.
Passo ai dati riferiti ai radicali per l'anno 2000 (mi è stata fatta una domanda in tal senso): in tutti i generi di trasmissione la presenza è del 4,5 per cento, per quanto riguarda le reti Rai; nei telegiornali è del 3,4 per cento; nelle trasmissioni di approfondimento del 3,2 per cento. Per quanto riguarda invece le presenze individuali, Emma Bonino risulta al dodicesimo posto, con 367 minuti, pari all'1,4 per cento del totale; Marco Pannella al sedicesimo posto, con 267 minuti, pari all'1,2 per cento del totale. Con riferimento alle domande poste su questo argomento, dispongo comunque di dati più analitici che potrò poi fornire alla Commissione.
Circa la distinzione tra canone e pubblicità, la mia opinione, che credo abbastanza condivisa, è la seguente: siccome dei 2.500 miliardi del nostro canone, 1.200 miliardi sono a fronte dei minori indici di affollamento, ciò che vado spiegando da tempo è che se la Rai avesse affollamenti competitivi potrebbe sostanzialmente configurarsi un'ipotesi alternativa di sistema. Ma si tratta di una mia opinione - peraltro espressa in risposta ad alcune interviste e condivisa da alcuni consiglieri - che non è stata oggetto di discussione.


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Sui diritti sportivi, devo alla Commissione una risposta specifica. Già da tempo stiamo cercando di raffreddare - uso un eufemismo - i costi dell'offerta. Si tratta, come sapete, di un circuito abbastanza complesso che va dalle società sportive alla Lega calcio, fino alla richiesta alle società televisive. Nei contratti precedenti, fino all'anno scorso, abbiamo cercato di tenere bassi questi valori. Al momento le emergenze sono due: la prima riguarda il campionato di serie A, di cui si è parlato, a proposito del quale non pensiamo di poter sostenere le cifre così rilevanti, eppure in parte ridotte, degli anni precedenti, soprattutto perché vi sono, secondo la tecnica della Lega calcio, diritti - mi riferisco proprio a 90o Minuto o ad alcuni spazi di altra natura - che, a nostro giudizio, non sono sufficientemente protetti dall'esclusiva. Intendo dire che non possiamo spendere cifre rilevanti senza avere poi un'adeguata tutela di utilizzazione in esclusiva, perché, evidentemente, perderebbero appeal rispetto al pubblico. Siamo ovviamente interessati al calcio, trattandosi di uno dei generi che la gente chiede, ma certo è che dovremmo «raffreddare» il mercato, perché non potremmo offrirlo nelle proporzioni e nelle cifre precedenti. Ciò vale per le varie offerte che sono in mano alla Lega calcio e che vanno dal campionato mondiale alla Coppa Italia, che per noi sono diventate molto onerose a fronte di altri generi. Volevo quindi tranquillizzare, da un lato, e dire a tutti, dall'altro, che non dobbiamo fare delle pazzie.
Per quanto riguarda il campionato mondiale, sottolineo alla Commissione che vi è un aspetto più delicato, perché la richiesta di acquisto dei diritti sportivi sta avvenendo a cifre spaventose: come ho già detto in altre occasioni, rispetto ai 30 miliardi pagati nel 1998, si parla di circa 400 miliardi (dico «si parla» perché non ci siamo neanche seduti al tavolo delle trattative); credo voi capiate cosa vorrebbe dire, per un'azienda come la Rai, spendere 400 miliardi nel 2002. Per noi sarebbe quindi del tutto improponibile, visto che anche i 10 miliardi di cui ho detto prima per la Nazionale verrebbero scavalcati e stravolti. Né è pensabile un canone straordinario, perché le regole europee non lo consentono facilmente per un avvenimento di questo genere. Si tratta quindi di una riflessione seria, che invito la Commissione in qualche modo ad anticipare, perché credo che le cifre siano, non solo per noi, fuori mercato.

PRESIDENTE. Il presidente Zaccaria ha detto che i costi della trasmissione con Celentano sono inseriti in un budget perfettamente compatibile con lo stato del bilancio; non essendovi quindi lo sforamento paventato dal senatore Peruzzotti, credo che ciò possa tranquillizzarlo. Per il resto, capiamo bene come l'azienda Rai debba tutelare le proprie prerogative imprenditoriali ed industriali.
Ho voluto precisare, anche per il resoconto stenografico, che quella del presidente Zaccaria non è stata una non risposta ma una risposta nei limiti consentiti dall'impresa RAI.

LUIGI PERUZZOTTI. Quando vi sono state illazioni sulle spese per L'Ottavo nano - si è parlato di un miliardo a serata - ci è stato detto, dai vertici Rai, che costava 800 milioni.

CLAUDIO CAPPON, Direttore generale della RAI. Solo un commento sui provvedimenti organizzativi, per sottolineare che quelli assunti in questi anni sono volti alla funzionalità dell'azienda, non alla privatizzazione, che fa eventualmente parte del contesto istituzionale, che non compete a noi ma al Parlamento. Quindi, ciò che si fa o si farà è unicamente volto al miglior funzionamento e in proposito attueremo tutte le verifiche necessarie.
Per quanto riguarda il tema dell'equilibrio, chiaramente esso è primario tra i compiti dei responsabili editoriali di testata. Da questo punto di vista l'azienda fornisce indirizzi e da parte del vertice del consiglio vi sono linee editoriali, che sono state specificate, che non è possibile misurare punto a punto ma nell'ambito di un'azione complessiva dei responsabili.


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ANTONIO FALOMI. Mi associo agli auguri rivolti dal presidente al dottor Cappon, con l'auspicio che si mantengano corretti i rapporti tra l'azienda e la Commissione parlamentare di vigilanza, ovviamente nel rispetto delle reciproche autonomie.
Entrando subito nel merito delle questioni proposte, mi auguro che la Commissione, anzitutto, ma anche la stessa azienda non accolgano alcune sollecitazioni espresse a proposito della satira, perché credo che ad essa non debbano essere posti né limiti di tempo, né condizioni che possano assomigliare ad una logica di par condicio, anche perché, se così fosse, dovrei subito protestare - cosa che non mi piace assolutamente fare quando si tratta di satira - contro l'eccesso che se ne fa contro la sinistra. Siccome a me non piace protestare contro la satira, spero che la Commissione e l'Azienda rifiutino la logica di applicare ad essa la par condicio.

PRESIDENTE. Chiedo scusa, senatore Falomi, ma nessuno ha chiesto la par condicio nella satira.

ANTONIO FALOMI. Ho ascoltato l'intervento dell'onorevole Romani e...

PRESIDENTE. Si è riferito ai segmenti di trasmissioni che non sono satira ma spazi diversi.

ANTONIO FALOMI. Comunque, insisto sul punto, anche perché non vorrei che, alla fine, l'unico spazio di libertà di satira resti al settore privato: non vorrei, cioè, che la RAI, che per definizione dovrebbe tutelare la libertà di satira, proprio perché è servizio pubblico, finisca per subire condizionamenti che il settore privato non ha. Sono un attento telespettatore - naturalmente quando posso - di Le Iene e di Zelig, per esempio, e devo dire che molte critiche che ho sentito rivolgere qui da esponenti della Casa delle libertà alle trasmissioni della RAI potrebbero essere tranquillamente rivolte a certe trasmissioni di Mediaset, che sono altrettanto forti, incisive, corrosive e con quel linguaggio volgare che sembra andare di moda.
Quanto alla questione dei costi, sulla quale si è molto insistito, vorrei dire al senatore Peruzzotti che ha posto il problema che una trasmissione che costa due miliardi e ha zero ascoltatori è molto più costosa di una trasmissione che costa venti miliardi ed ha 15 o 20 milioni di ascoltatori. È evidente che il problema dei costi va misurato con i contatti effettivi che si riescono a realizzare.
Passo ora alle questioni che riguardano il pluralismo politico, oggetto anche di una mia lettera al presidente della Commissione relativa ad un'edizione del TG2 che mi ha dato particolarmente fastidio. Non ho nulla di personale contro il dottor Mimun, una persona cortese e garbata, né intendo fare una polemica su una singola edizione; ho preso a pretesto un episodio per sollevare il problema più generale del pluralismo politico nelle reti televisive, anche perché siamo bombardati da un messaggio, che viene costantemente ripetuto, secondo il quale la RAI è asservita al centrosinistra e le reti Mediaset sono il bilanciamento. Da questo punto di vista, credo che i dati forniti siano illuminanti, in quanto smentiscono questa impostazione.
Insisto sul fatto che la RAI comunque non debba fare da contrappeso a ciò che avviene nel settore privato perché deve rispettare il pluralismo politico, mantenere l'equilibrio, la completezza e l'imparzialità dell'informazione, obblighi e principi, questi, ai quali si deve ispirare anche il settore privato.
A proposito del pluralismo in televisione, faccio due considerazioni. L'argomento che ho sentito anche in questa occasione sollevare dall'onorevole Romani, per cui bisogna mettere insieme i dati di ascolto con i dati di presenza, perché un minuto al TG4 non è la stessa cosa di un minuto al TG1, è un argomento che ha un suo fondamento, anche se, dal punto di vista del rispetto delle normative di legge, occorre giudicare non il successo di un programma, ma la politica editoriale che


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viene fatta. Qui sta il problema e dobbiamo esigere, almeno per quello che riguarda il servizio pubblico, che venga rispettato il pluralismo televisivo.
Questa è la prima considerazione. La seconda riguarda la solita questione delle tre quote di un terzo: anche qui deve essere chiaro di che cosa parliamo. È vero che non c'è alcuna norma scritta (esiste solo in Francia dove le quote di un terzo per la maggioranza, un terzo all'opposizione e un terzo al Governo sono codificate dalla legge), ma c'è una prassi. Sono contento che l'onorevole Romani abbia articolato un po' meglio il ragionamento rispetto al tradizionale modo di coniugarlo al passato, nel senso che ha sollevato il problema del periodo elettorale, anche se dobbiamo metterci d'accordo su cosa si intenda per «periodo elettorale», se quello ufficiale o quello ufficioso, che si apre perché qualcuno lo ha deciso.
Vorrei che fosse chiaro - e lo ribadisco - che la regola dei tre terzi, peraltro grosso modo rispettata dalla RAI (poi dirò in che senso non lo è), considera il fatto che il Governo è cosa distinta dal Parlamento e dalla maggioranza; certamente è espressione di una maggioranza ma ha una sua autonomia.

PRESIDENTE. Fassino come lo considererebbe?

ANTONIO FALOMI. Quando il Governo va in minoranza sui mutui, si tratta di una posizione della maggioranza? È associabile la posizione del Governo a quella della maggioranza che si esprime in tal modo?

PRESIDENTE. È una maggioranza che non c'è!

ANTONIO FALOMI. Il ministro Veronesi che annuncia in televisione una campagna antifumo è associabile alla maggioranza? Certo, quando un esponente di Governo partecipa ad un congresso del proprio partito, fa un dichiarazione di evidente contenuto politico ed è corretto attribuirlo alla maggioranza, ma la funzione di Governo è effettivamente distinta ed è bene che rimanga tale, qualunque Governo ci sia a Palazzo Chigi.
Da questo punto di vista, ho guardato i dati presentati dalla RAI e quelli dell'Osservatorio di Pavia, peraltro confermati dai dati dell'Autorità per le comunicazioni che però riguardano soltanto gli ultimi tre mesi dell'anno, e devo dire che essi confermano che la regola dei tre terzi è rispettata con una tendenza a privilegiare un po' il centrodestra, meno il centrosinistra, e un po' meno il Governo. Vorrei che su questo faceste qualche commento.
I dati relativi al 2000 ci informano che la RAI ha dedicato al centrodestra il 29,2 per cento del tempo delle dichiarazioni in voce; al centrosinistra il 24,4 per cento (con una prevalenza di circa 5 punti del centrodestra); alle altre opposizioni il 5,5 per cento e al Governo il 26,7 per cento. Come si vede, la regola dei tre terzi, nell'arco di un anno, per quello che riguarda le edizioni prime time dei telegiornali RAI, cioè quelle più ascoltate, non è effettivamente rispettata. Naturalmente non c'è confronto con i dati di Mediaset dove il centrodestra ha il 57,9 per cento; il centrosinistra il 18,4 per cento; le altre opposizioni il 2,2 per cento e il Governo il 15,2 per cento. Mi pare che i dati riferiti alle edizioni più viste dei telegiornali confermino che è inventata la favola di una RAI asservita al centrosinistra. Però io non mi lamento di questi dati complessivi, anzi dico che vi è un sostanziale equilibrio rispetto a quanto avviene nelle reti Mediaset, un equilibrio che tende a privilegiare gli spazi per il centrodestra.
Dentro questo spazio di informazione - l'autorità per le comunicazioni ci ha fornito delle tabelle riferite all'ultimo trimestre - gli elementi che riguardano il TG2 hanno sollecitato una mia reazione. Infatti, se guardo i dati relativi ad un anno forniti da Mediaset e dall'Osservatorio di Pavia, emerge che il TG2 dà il 39,9 per cento dello spazio al centrodestra; il 22,5 per cento al centrosinistra (parlo del prime time); il 6,8 per cento alle altre opposizioni e il 20,4 per cento al


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Governo. Se anziché le edizioni del prime time prendiamo quelle principali, comprese quelle del pomeriggio, i dati vengono sostanzialmente confermati, se è vero che negli ultimi tre mesi, secondo quanto dice l'Autorità per le comunicazioni, abbiamo, per ciò che riguarda il TG2, 45 minuti al centrosinistra; un'ora e 16 minuti al centrodestra; 15 minuti alle opposizioni e 39 minuti al Governo. Mi pare che questi dati, rispetto alle altre due reti che sostanzialmente mantengono un equilibrio (se volete, la rete tre dà un lieve vantaggio al centrosinistra, mentre il TG1 dà un lieve vantaggio al centrodestra), segnalino l'esistenza di uno squilibrio su cui chiedo si intervenga. Non si può affermare, come ho sentito dire da Berlusconi a Radio anch'io, che l'informazione del TG4 serve a riequilibrare quella del TG3, perché se guardiamo i dati dei due Tg, altro che riequilibrio! Tanto più se è vero che il TG3 nel periodo ottobre-dicembre ha dato un'ora e 26 minuti al centrosinistra; un'ora e 7 minuti al centrodestra e 17 minuti alle altre opposizioni. Se vado a guardare la media del TG4 nello stesso periodo, vedo 39 minuti di presenza in voce al centrosinistra; 3 ore e 28 minuti al centrodestra. Che mi veniate a raccontare che il TG4 serve a riequilibrare il TG3, francamente è una barzelletta che non fa molto ridere!
Circa le trasmissioni come Porta a porta, Il fatto, Il raggio verde, i radicali hanno sollevato una questione. I dati forniti dal presidente Zaccaria relativi alla presenza danno un quadro che non è di annullamento. Però vorrei invitare il presidente Zaccaria a tenere conto che i dati dell'anno 2000 comprendono la campagna referendaria e la campagna elettorale regionale, per cui vi possono essere elementi di crescita (parlo delle piccole forze politiche in particolare). Intendo dire che quei dati andrebbero depurati, perché, se si analizzano alcuni tipi di trasmissione, la loro presenza è ridotta ai minimi termini. Naturalmente lo dico per sollevare un problema relativo a questo tipo di trasmissioni - è una querelle che già abbiamo affrontato in Commissione - che o sono effettivamente di approfondimento giornalistico su fatti ed eventi che capitano, o sono delle tribune politiche. Non si può fare un ibrido, come sta accadendo, perché attorno ad un fatto, ad un evento, ad una circostanza vi è piena libertà di convocare chi si crede opportuno, chi può dare un parere o un'opinione, ma a volte si tratta di forme surrettizie di tribuna politica. In questa situazione vi sono, da un lato, le tribune politiche che noi regolamentiamo e, dall'altro, quel tipo di trasmissione con il rischio di creare programmi di serie A in cui vanno i big, i grandi leaders, e trasmissioni di serie B dove vanno gli esponenti minori dei partiti. Questo non è accettabile, per cui vi è il problema di ricondurre queste trasmissioni alla loro reale funzione, un problema riproposto dalla denuncia dei radicali.

PIERGIORGIO BERGONZI. Anche io desidero rivolgere un augurio al direttore della RAI, che credo ne abbia veramente bisogno.
Voglio poi esprimere una preoccupazione che è già stata evidenziata dall'onorevole Giulietti e da altri colleghi: mi riferisco alla satira. Ho l'impressione e il timore che il rischio principale non sia tanto quello della par condicio quanto quello della tentazione di censura sulla satira; è una tentazione pericolosa che si diffonde e che ho sentito in diversi interventi anche in questa Commissione.
Credo che sia questo il rischio maggiore. Come Commissione, non possiamo in alcun modo, anche inconsapevolmente, renderci partecipi di una tentazione del genere. Dobbiamo fare di tutto per contribuire ad allontanarla. Come ha detto lo stesso presidente, le trasmissioni di satira disturbano a volte noi, a volte altri, ma credo che questa sia cosa diversa rispetto ad ogni tentazione di censura. Ritengo che il giudizio sulla satira e sui programmi spetti solo alla dirigenza dell'azienda, per cui la Commissione parlamentare di vigilanza non deve assolutamente farsene carico, a meno che non si tratti di casi eclatanti.


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Un altro problema che voglio sollevare si riferisce al pluralismo, a proposito del quale voglio chiedere una conferma, a costo di apparire rozzo. Ho guardato frettolosamente i dati, ma ho davanti a me i grafici del tempo di presenza dei primi dieci esponenti politici su tutti i generi di trasmissioni Mediaset riferiti all'anno 2000: Berlusconi ha 2.500 minuti secondo l'Osservatorio di Pavia, un po' meno secondo il Centro di ascolto; secondo classificato è D'Alema, con 249 minuti, cioè con il 10 per cento. Il grafico successivo si riferisce al tempo di presenza dei primi dieci esponenti politici, in tutti i generi di trasmissioni RAI e Mediaset: 3.500 minuti per Berlusconi e 1.000 minuti per Amato. La RAI ha riequilibrato un po'. Stiamo discutendo della prassi dei tre terzi, ma qui vi è un problema di democrazia del quale non può farsi completamente carico la RAI. La RAI deve farsene carico per la parte che le compete, con tutti i difetti ed i limiti. Da questo punto di vista, per nostra fortuna la RAI costituisce, come servizio pubblico, una garanzia. Però dico che sul piano politico il problema dobbiamo porcelo, perché non possiamo permetterci che nel nostro paese vi sia questa predominanza assoluta di personaggi, senza alcuna competizione. Altro che un terzo, un terzo e un terzo! Mi fermo qui per non fare affermazioni più forti da questo punto di vista. Credo, però, se li ho interpretati bene - chiedo conferma agli estensori - che questi grafici facciano accapponare la pelle e mi domando come si farà ad arrivare ad un riequilibrio in campagna elettorale. Non so se sarà sufficiente la legge sulla par condicio. Ritengo che di questo tema ci si debba far carico sul piano politico e che debba occuparsene soprattutto l'Autorità per le telecomunicazioni. Chiedo al presidente della RAI - la domanda è difficile - in quali termini intenda farsene carico la RAI oggi più di prima, considerato che i dati sono recenti, per cui sollevano un problema che, a mio avviso, non ha precedenti per la sua entità.
La RAI come intende valutare la distribuzione dei minutaggi, soprattutto in campagna elettorale, nelle trasmissioni di maggiore ascolto? Mi riferisco, in particolare, ai telegiornali.
Circa i programmi di approfondimento - tema che si porrà nelle prossime settimane - in che modo la RAI intende garantire la presenza per tutti (per esempio a Porta a porta, a Primo piano, a TV 7), comprese le forze politiche minori, visto che sicuramente oggi ciò non si è verificato pienamente?

SERGIO ROGNA MANASSERO di COSTIGLIOLE. È singolare, essendo questa una Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, che ci occupiamo dei singoli programmi. È una deformazione professionale...

PRESIDENTE. Mi consenta, onorevole Rogna. Proprio oggi stiamo parlando di problemi molto più vasti, anche se è umano che qualche commissario faccia riferimento ad un singolo programma anziché ad un altro. Ripeto, oggi stiamo parlando del pluralismo, cioè di un argomento importante e fondamentale rispetto al quale la Commissione tre anni fa ha formulato indirizzi vincolanti per la RAI. Non ritengo, quindi, che oggi stiamo perdendo tempo: stiamo facendo il nostro lavoro.

SERGIO ROGNA MANASSERO di COSTIGLIOLE. Per la verità, presidente, il mio era un richiamo a quello che è veramente, dal punto di vista costituzionale, il nostro lavoro, che dovrebbe svolgersi con qualche elemento di maggiore efficienza.
Vorrei anche ricordare che vi è una particolare sensibilità a quanto scrivono i giornali, che è un fatto tutto italiano, perché non mi risulta che i giornali inglesi o tedeschi, per esempio, si occupino così tanto di televisione. Esiste quindi questa ulteriore cassa di risonanza.

PRESIDENTE. Vuole censurare i giornali?


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SERGIO ROGNA MANASSERO di COSTIGLIOLE. No, voglio semplicemente ricordare che, oltre alla Commissione per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, la RAI risponde al pubblico, più che ai quotidiani. È questo l'aspetto fondamentale.
Per quanto riguarda la questione dei compensi, vorrei sapere - in proposito mi aspetto una risposta precisa - a che punto sia la separazione contabile. Una cosa, infatti, è parlare della Carrà, cioè dell'impiegata dello Stato più pagata in assoluto, altra cosa è parlare - come ritengo più corretto - dell'investimento per un programma che non viene pagato con i soldi dei contribuenti. Qui non vi è assolutamente nulla di simile bensì, invece, un rapporto costi-benefici di cui deve tener conto qualsiasi azienda. Bisogna essere più chiari su questo. Bisogna cioè fare in modo che la separazione contabile arrivi a darci queste certezze. Dunque, in quanto tempo e a che cosa arriviamo? È su questo che vorrei avere una risposta.
In merito alla questione del pluralismo, sono invece molto grato al presidente Zaccaria per averci fornito i dati complessivi di un anno, che sono particolarmente significativi. Vi è, a proposito delle tabelle forniteci, un punto che a me sembra francamente anomalo. Non mi riferisco tanto all'esuberante presenza dell'onorevole Berlusconi, quanto all'aspetto dell'intrattenimento. Mi chiedo, infatti, cosa abbiano a che fare i politici con le trasmissioni di intrattenimento. Anche questo è un fatto tutto italiano, perché raramente le trasmissioni di intrattenimento della BBC, per esempio, ospitano membri del Governo o dell'opposizione o parlamentari. Ritengo, quindi, che anche qui occorra essere molto chiari. Mi sembra assolutamente paradossale che nelle trasmissioni di intrattenimento vi sia un 40 per cento di attenzione e un 60 per cento di presenza. Mi chiedo, soprattutto, cosa ci faccia la presenza. È questo l'aspetto che dovrebbe essere assolutamente visto come indirizzo generale. Mi sembra, cioè, che vi sia un cattivo uso di trasmissioni in cui la presenza del politico, che parla di come fa bene il risotto o dei suoi hobby particolari, sia francamente inutile. Ciò lo contesto vivacemente. Oltre tutto, mi è capitato anche di assistere a trasmissioni con errori evidenti: ieri sera, per esempio, ho seguito Primo piano, dove Angius e La Loggia parlavano contemporaneamente, commettendo un errore che, credo, dovrebbe essere evitato anche dal più inesperto candidato alle elezioni comunali, tant'è che il povero conduttore non sapeva più che pesci pigliare, visto che non c'era verso di farli parlare uno per volta. Ciò per dire, proprio per il rapporto, da un lato, di dipendenza della RAI dalla politica, dall'altro, di servizio alla politica reso dalla comunicazione, che le apparizioni dei politici richiedono uno straordinario rigore.
Sono dell'idea che il direttore di un telegiornale non debba consultare l'Osservatorio di Pavia, bensì valutare cosa è successo nella giornata e sono altresì favorevole al fatto che vi sia una ulteriore elaborazione, la stessa che proponeva il collega Romani, ma il piccolo moltiplicatore dell'audience, al quale egli si riferiva, in realtà ha valore solo per la tabella finale, in cui effettivamente è possibile aggiungere il moltiplicatore dell'ascolto, che forse potrebbe portare ad un riequilibrio. Tuttavia, non cambierebbe il fenomeno e, soprattutto, la distribuzione editoriale rete per rete, un aspetto, anche questo, che deve essere considerato e che non riguarda solo questa Commissione ma l'Autorità per le garanzie delle comunicazioni, il cui compito generale attiene anche all'aspetto privato del sistema radiotelevisivo.
Vi è ancora una piccola singolarità: ho visto una straordinaria crescita de I Democratici nei notiziari, ma poi abbiamo capito da cosa derivava questa improvvisa popolarità: dal fatto che veniva conteggiato il candidato premier Rutelli. È evidente come ciò porti a una deformazione del campione quando si analizzino le forze politiche una per una.


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Chiedo, infine, quando si pensi di arrivare effettivamente a RAI WAY, anche perché il passaggio al digitale significa altri servizi dalle stesse postazioni. Credo che questo aspetto dovrebbe avere rilevanza, trattandosi, da una parte, di un asset aziendale, dall'altra, di un qualcosa che può influenzare l'intera politica delle comunicazioni.

PRESIDENTE. Se può esserle utile, onorevole Rogna, ricordo che intervenni già a novembre per segnalare la presenza massiccia di politici nelle trasmissioni di intrattenimento.
Essendo imminenti votazioni alla Camera, rinvio il seguito dell'audizione in titolo alla seduta di domani, giovedì 22 febbraio 2001, alle ore 13,30, nel corso della quale avranno luogo gli interventi degli altri componenti della Commissione che hanno chiesto la parola e le ulteriori repliche degli auditi. È rinviato alla medesima seduta l'esame della proposta di risoluzione in merito all'utilizzo di animali nella programmazione della concessionaria pubblica; è altresì differita alla giornata di domani anche la prevista riunione dell'ufficio di presidenza integrato dai rappresentanti dei gruppi.

La seduta termina alle 16.

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