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Seduta del 23/1/2001


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Seguito dell'esame del Piano per la Nuova Rai Tre, ai sensi dell'articolo 3, comma 9, della legge n. 249 del 1997: Audizione di rappresentanti degli enti locali.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione dell'esame del piano per la nuova RAITRE, ai sensi dell'articolo 3, comma 9, della legge n. 249 del 1997. In particolare, dobbiamo oggi procede all'audizione dei rappresentanti degli enti locali.
In attesa di essere raggiunti dai rappresentanti dell'UPI, do il benvenuto alla dottoressa Gaia Grossi, assessore all'istruzione, al diritto allo studio e alla formazione professionale della regione Umbria e delegata, quindi, dalla Cinsedo a relazionare in questa audizione a nome delle regioni; un bentornato al dottor Raffaelli, sindaco di Terni, quindi rappresentante dell'ANCI, e già autorevole componente di questa Commissione parlamentare; all'assessore Giorgio Pozzo, rappresentante della regione Friuli Venezia Giulia e, naturalmente, al dottor Vittorio Vitalini Sacconi, dirigente delle relazioni istituzionali della RAI.
Do la parola alla dottoressa Grossi.

GAIA GROSSI, Assessore all'istruzione, al diritto allo studio e alla formazione professionale della regione Umbria. Innanzitutto vi trasmetto le scuse della presidente Lorenzetti, che è impossibilitata a partecipare a quest'incontro poiché, come è consuetudine nei primi giorni della settimana, è in corso da ieri un consiglio regionale che ieri sera ha però avuto, se così si può dire, un'improvvisa impennata politica, che rende necessaria la presenza della presidente. Parlo, dunque, a suo nome.
Il documento delle regioni sul progetto di nuova RAITRE - credo che abbiate di fronte la documentazione - parte da uno sguardo d'insieme che è di forte critica da parte delle regioni a questo tipo di impostazione; una critica nel metodo e nella sostanza. Direi quasi, nel metodo, anche una forma di irritazione, perché questo documento dal punto di vista della necessità di articolare questa parte della RAI in senso regionalista, cioè nel senso di una partecipazione reale delle regioni non soltanto alla fruizione ma anche alla costruzione di informazione, e anche di un settore più largo, è carente. Parlo di irritazione perché la Conferenza dei presidenti delle regioni trova questo documento addirittura più carente di quello già presentato nel 1998; quindi, non può che ribadire le critiche fatte all'epoca, che si incentravano essenzialmente sul fatto che non fosse chiarito e dettagliato il meccanismo istituzionale, aziendale, di rapporti con cui si veniva a costruire questa dichiarata intenzione di avvicinare la RAI in senso federalista ai territori, in


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modo tale da portare un contributo a questi ultimi ma anche da ricevere da essi la ricchezza culturale di cui, come sappiamo, sono capaci.
Quindi, confermiamo le critiche espresse a suo tempo, nel senso che non basta una affermazione di territorializzazione e di decentramento, che peraltro nel documento precedente è addirittura più chiara di quanto non sia del documento che ci è stato ora presentato, per costruire un'ipotesi di nuova RAI, quando poi tutto il resto del documento è incentrato su un approccio, direi, centralista: certo, orientato ad una riorganizzazione del servizio, ad una diversa sistemazione, all'unificazione di reti e testate, però tutto costruito in un certo senso. In questo documento c'è soltanto un riferimento, peraltro vago, a progetti di interesse interregionale, non altrimenti dettagliati. Alla Conferenza sembra che questo sia poco e che la logica del riassetto sia orientata essenzialmente ad una visione centralista, che non coglie affatto la specificità, la vocazione, le culture diverse presenti nelle regioni, le quali, appunto, possono tanto ricevere quanto dare in questo settore.
Esprimiamo un giudizio sostanzialmente negativo dell'impostazione, perché fare una RAI regionalista, federalista, diversa non può significare prevedere una sommatoria di contributi attaccati ad un modello centralista: significa ridiscutere profondamente il modello, ma non ridiscuterlo in astratto. Infatti, mentre diciamo che questo documento è assolutamente insufficiente - non so come esprimere più chiaramente la posizione - cogliamo anche l'occasione di questa audizione per sottolineare e ribadire la necessità e l'auspicio che venga portata a compimento quanto prima la riforma complessiva del settore, poiché è chiaro che qualunque intervento ha senso se inserito in un contesto normativo certo e completo.
Quindi, pensiamo che sia necessario rivedere - ma rivederlo rapidamente, con tempi certi - il documento che ci è stato presentato, tenendo presente che bisogna valorizzare pienamente la funzione del servizio pubblico in una ottica cooperativa fatta di attori diversi, che partecipano ad un progetto che è costruito non per sommatoria ma, come dicevo, da attori diversi.

PAOLO RAFFAELLI, Sindaco di Terni. Inizio con il motivare l'assenza, legata ad impegni istituzionali, del presidente nazionale dell'ANCI Leonardo Domenici, ribadendo tuttavia che le posizioni che qui esprimerò sono, a tutti gli effetti, le posizioni dell'ANCI nazionale. Credo che i commissari abbiano già avuto possibilità di prendere in mano, se non di esaminare, il documento predisposto unitariamente dall'ANCI e dall'UPI nazionale, che solo da un punto di vista funzionale ed organizzativo è distinto dal documento che or ora la professoressa Grossi ha riassunto, nel senso che sono mancati il tempo e le condizioni materiali per realizzare un'opera di collazione e di sintesi; potranno comunque rendersi conto che tra i due impianti, critici e propositivi, vi sono numerosissimi punti di contatto.
Chiedo scusa ai commissari se, in qualche modo, in questo mio breve intervento si intrecceranno, forse in maniera un po' schizofrenica, le tre identità che io non posso, però, dimenticare di aver rappresentato in momenti diversi della mia esistenza: il giornalista RAI che viene da una sede regionale, il parlamentare della Repubblica membro di questa Commissione e, oggi, il sindaco di un capoluogo di provincia. Ebbene, io credo che le valutazioni compiute dalla professoressa Grossi siano un punto di partenza corretto: noi siamo alle prese con uno straordinario patrimonio industriale, culturale ed organizzativo, quello costituito dalla RAI nei territori; un patrimonio straordinario ed unico nel suo genere, non soltanto nel nostro paese ma su scala europea; un elemento vero di valore aggiunto, di diversità funzionale e sostanziale, di qualificazione estrema - io direi - rispetto a qualunque altra modalità di comunicazione, a qualunque altro media, del servizio pubblico radiotelevisivo. Di qui la sottolineatura molto forte, che viene


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dalle autonomie locali (regioni, provincie e comuni), dell'insoddisfazione nel vedere non pienamente espresso il volume di potenzialità e di risorse contenuto in questo grande patrimonio.
Voi sapete - è materia del vostro lavoro quotidiano e siete, quindi, in grado di insegnarcelo - che oggi il sistema delle comunicazioni del nostro paese è fatto di alcuni grandi network nazionali - per comodità, metto in questo novero anche le trasmissioni nazionali della RAI - che operano in un contesto di informazione globale, di globalizzazione della comunicazione, di una enorme (anche questa è una peculiarità del nostro paese) rete di informazione territoriale diffusa, fatta di piccole e piccolissime emittenti radiofoniche e televisive, che danno voce a città grandi, medie e piccole e, in alcuni casi, anche a quartieri e piccoli borghi (questo soprattutto sul versante della radiofonia), con una difficoltà estrema a tematizzare, su un versante, ed a problematizzare, sull'altro, l'elemento di connessione tra la dimensione globale e quella locale della comunicazione. Ciò produce dispersione di risorse ed anche, secondo me, una schizofrenia più grave di quella che ho confessato rispetto ai miei ruoli, cioè a dire: un locale che non riesce mai ad essere spia territoriale del globale ed un globale che non riesce ad essere la sommatoria e la sintesi della questioni specifiche territoriali.
Non voglio allargare il discorso - non è forse l'ambito di riflessione dell'odierna audizione - ma in un'epoca in cui il tema del federalismo, in risposta ad esigenze di nuovo equilibrio tra i poteri, pone la questione forte che con un brutto termine anglofono è stata definita glocal - glocale (globale e locale) - credo che questo sia un vero e proprio buco nero del servizio pubblico radiotelevisivo. È un buco nero del sistema informativo di questo paese che attribuisco oggi alla RAI, cioè al servizio pubblico radiotelevisivo, perché è di questo che parliamo ed è su questo che è competente la Commissione. È un problema generale che credo la RAI abbia gli strumenti che altri non hanno per riempire con uno sforzo di progettazione, di allocazione delle risorse, di invenzione di modalità produttiva e distributiva dell'informazione che, a nostro avviso, fino ad oggi non è stato adeguatamente compiuto se non per esperimenti pure importanti, se non con momenti certo significativi di innovazione: il fatto che in tutte le regioni italiane oggi vi siano tre edizioni dei telegiornali regionali scanditi in tre fasce orarie importanti, in particolare che sia coperta l'edizione serale che per molte famiglie rappresenta il momento di sintesi dell'informazione con una edizione locale collocata a mezza sera è sicuramente un'acquisizione importante. Che ci sia una RAI che ormai riesce a spalmare fin dalle prime ore del mattino, con la prima edizione radiofonica, per concludere, appunto, con l'edizione di mezza sera del TGR con una informazione che sicuramente non lascia sprovvisto il territorio, è di certo un fatto importante; non ci sogniamo neppure di negare il rilievo di questi elementi di crescita del sistema informativo locale di competenza della RAI. Tuttavia, non riteniamo che basti, pensiamo che queste siano le acquisizioni di un'epoca di forte sviluppo dei sistemi di comunicazione che oggi, però, è fortemente superata non solo dall'evoluzione tecnologica ma anche dalla modifica dei rapporti sociali ed istituzionali e che richiede un aggiornamento che, a nostro avviso, sin qui non vi è stato. La nostra delusione per la debolezza della proposta che oggi stiamo esaminando è legata proprio all'amaro in bocca che ci ha lasciato quella che consideriamo un'occasione mancata.
Riteniamo che la RAI abbia, in termini sia quantitativi sia qualitativi, le risorse soprattutto umane ma anche tecnologiche e finanziarie per impegnarsi con importanti risultati in questa direzione, ma per farlo serve un salto di cultura. Se si rileggono i verbali di una precedente seduta della Commissione di vigilanza del 1998 su un tema analogo, si potrà constatare che diversi interventi svolti in quella sede da parte di rappresentanti dell'UPI, dell'allora presidente dell'ANCI e


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delle regioni vertevano proprio sull'esigenza di individuare modalità di produzione e di distribuzione dell'informazione che si ponessero il problema dell'area vasta, un'area dimensionalmente inferiore rispetto al contesto nazionale ed alla sua pluralità, ma superiore a quella del singolo municipio, del borgo, del quartiere, capace in qualche modo di costruire tessuti di identità comune tra territorio limitrofi e di prescindere da una dimensione...

PRESIDENTE. Mi scusi, ma lei si riferisce alle macroregioni?

PAOLO RAFFAELLI, Sindaco di Terni. Quello delle macroregioni è un tema molto datato, molto legato a quell'epoca. In Umbria, per esempio, stiamo continuando a discutere degli elementi di somiglianza, dal punto di vista sia materiale sia culturale, tra regioni o realtà territoriali che vanno dall'Alto Lazio extrametropolitano alla Toscana, all'Umbria, alle Marche; realtà territoriali che presentano sicuramente problematiche e caratteristiche culturali e di identità comune, per cui sicuramente lì ci sono problematiche comuni rispetto, per esempio, ai beni culturali o all'assetto del territorio.
Credo rimanga attuale un tema che già allora avevo posto in un mio intervento: è vero che per il cittadino utente del servizio informativo, quale che esso sia, la notizia più importante è quella che riguarda la porta della sua abitazione, così come per un sindaco la strada più importante rispetto al cittadino che ha di fronte, non è la grande arteria di collegamento ma il tratto di strada da asfaltare che passa davanti alla sua porta di casa. Allo stesso modo, ripeto, la notizia più importante dell'informazione locale finisce con l'essere sempre la più vicina. Non c'è dubbio che lo sforzo che la RAI deve compiere è quello di spingere questa propensione alla frammentazione dell'interesse e della comunicazione verso la costruzione di modelli comunicativi. La risposta che invece ci sembra di intravedere in questo documento è quella di una tendenza nuovamente centralizzatrice che in qualche modo smarrisce le distinzioni tra il servizio pubblico e il servizio privato e che per questa via perde una grandissima occasione, quella costituita dalla disponibilità di uno straordinario serbatoio di risorse umane e tecnologiche che può far essere la RAI il soggetto che ha la possibilità ed il dovere di colmare questo gap.

SILVANO MOFFA, Presidente della provincia di Roma e componente della presidenza dell'UPI. Signor presidente, onorevoli membri della Commissione di vigilanza, in rappresentanza dell'UPI ringrazio per questa ulteriore opportunità che viene data all'UPI ed al mondo associativo di esprimersi rispetto ad un percorso avviato da tempo ma ancora non concretizzatosi. Poco fa il sindaco di Terni, a nome dell'ANCI, ha illustrato i punti di un documento comune che ANCI e UPI hanno elaborato e che presentano alla vostra attenzione.
Per parte mia, cercherò soltanto di aggiungere qualche riflessione, ovviamente condividendo appieno le riserve, le preoccupazioni ed anche i percorsi che testé sono stati illustrati. Le osservazioni che desidero svolgere riguardano innanzitutto la persistente mancanza di chiarezza circa la distinzione che deve esservi nell'ambito di un servizio pubblico tra un servizio pubblico largamente inteso per come si è affermato in questi anni ed un servizio pubblico che in questo caso dovrebbe assumere una forte identità con riferimento ad un ambito territoriale più ristretto rispetto a quello nazionale ed a quello globale. La percezione che abbiamo è ancora quella di una mancanza di chiarezza in ordine all'individuazione di cosa si vuole intendere per una terza rete dedicata, con quelle particolarità e connotazioni, che riesca ad integrarsi, evidentemente sviluppandolo, con un servizio privato che in questi anni a livello locale in un concetto di pluralismo, che noi riaffermiamo, si è sostanzialmente imposto all'attenzione, in alcuni casi raggiungendo punte di qualità, nella ricerca di un


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ruolo della TV privata a livello locale. La mancanza di chiarezza riguarda anche il modo in cui questa terza rete dedicata debba sostanzialmente essere in grado di sviluppare, anche nei suoi assetti societari, una conformazione che sia davvero capace di produrre un valore aggiunto e di andare nella direzione a suo tempo indicata.
Sottolineo questi aspetti perché già nel 1998 - partecipai a quella seduta come rappresentante dell'ANCI - sottoponemmo all'attenzione della Commissione di vigilanza una serie di connotazioni che, a nostro avviso, dovevano far parte della riflessione. Poco fa giustamente e correttamente il presidente chiedeva se il riferimento territoriale fosse all'area vasta o all'area regionale (intesa anche come più regioni). Mi limito ad osservare che probabilmente non siamo nelle condizioni di dire quale sia l'area ottimale per un riferimento territoriale certo, ma è un dato sicuramente inconfutabile che nel globale si afferma anche il locale ed il locale è fatto di processi fortemente basasti sull'identità e sulla comunità che debbono essere in grado di essere rappresentati a titolo di necessaria risposta ad una domanda di informazione, ma anche ad una domanda di crescita culturale. La sfida è tutta qui: essa è persa se non si riesce in qualche misura a creare un percorso che consenta sostanzialmente di immaginare una terza rete che accompagni questi processi di crescita culturale; vi sono state, per la verità, trasmissioni che hanno colto il profondo significato di questa domanda che esiste nell'opinione pubblica, e credo che possano essere anche prese in considerazione sperimentazioni sufficientemente in grado di dare delle risposte positive. Si tratta di lavorare ancora lungo questo percorso: mi riferisco a trasmissioni che, partendo da realtà locali, pongono anche problemi più complessi e più ampi, senza mai dimenticare però il dato di fondo territoriale e locale. Si tratta, a mio avviso, di un processo di inversione culturale molto importante. Spesso ho la sensazione che ci si perda molto nella connotazione di una valenza politica riguardo al contenuto dei programmi piuttosto che cogliere ciò che effettivamente si muove a livello di interesse di una comunità.
Come associazioni siamo convinti che processi di grande trasformazione stanno interessando anche la vita politica delle collettività, processi che passano attraverso meccanismi che, in qualche misura, stanno ridefinendo anche i ruoli degli enti. Ecco perché nel 1998 ponemmo l'attenzione sull'importanza di considerare alcuni aspetti che gli enti locali nel loro insieme, il mondo delle autonomie ponevano come sensibilità nuove sulle quali impostare un percorso di questa natura. Nel documento che è stato illustrato poco fa ed al quale io rinvio ritroverete tutti questi elementi; in esso abbiamo voluto introdurre anche una piccola «provocazione», magari per tentare di compiere un ulteriore passo in avanti in questo percorso sicuramente complesso, ma che prima o poi dovrà chiudersi, altrimenti rischiamo di parlarci tutti addosso senza che mai prenda vita questa nuova entità: si tratta di valutare, anche per effetto di alcune dinamiche che stanno sostanzialmente cambiando le regole del gioco, la possibilità di inserire l'elemento della presenza della pubblicità all'interno di questo canale televisivo come elemento importante per spostare l'asse su un piano di competizione. Non c'è dubbio che il sistema televisivo pubblico in questo caso non può essere ancorato soltanto al canone, ma deve anche sapersi muovere negli spazi di mercato con la limitazione che assolutamente occorre introdurre per evitare che possano subentrare fattori di rischio che voi conoscete meglio di me.
Concludo la trattazione dei due aspetti di riflessione che mi sembra completino l'illustrazione del documento fatta dal rappresentante dell'ANCI.

FRANCESCO SCIARRETTA, Assessore all'agricoltura, foreste, politiche rurali ed aree montane della regione Abruzzo. Devo convenire con il documento predisposto dalle regioni sul piano di nuova RAITRE perché balza evidente agli occhi il fatto


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che si cerchi di camuffare il tutto senza modificare alcunché: a nostro avviso, questa è un'operazione gattopardesca perché, se rimane la centralità dello strumento ed il territorio resta avulso dal momento della produzione e della programmazione, non abbiamo fatto niente per il territorio. Le regioni resteranno escluse dai processi produttivi della RAI e non si vede per quale motivo dovrebbero dare il proprio contributo.
Nel momento in cui si avvia un processo di privatizzazione, si segue un procedimento inverso ed allora, se tutto deve finire, come finisce il progetto di nuova RAITRE, con il chiedere un canone particolare in virtù del fatto (ed è una giustificazione risibile) che non ci sarà pubblicità commerciale su quel canale, graveremo i cittadini di 20-25 mila lire l'anno di canone in più solo per questa rete: per produrre cosa?
Quanto ai metodi, desidero occuparmi della par condicio. In varie regioni RAITRE applica la par condicio, una volta con la maggioranza, un'altra con l'opposizione, però guarda caso i colori sono sempre gli stessi. Allora, simili questioni vanno affrontate seriamente: la televisione regionale deve dare spazio anche agli enti locali (comuni, province e regioni) ed anche nei momenti decisionali, non per essere intervistati per un minuto o per dieci, perché ciò non serve a nulla. Allora, coinvolgiamo la regione, il comune, la provincia nelle scelte decisionali della RAI, per cortesia, altrimenti faremo solo un'operazione di natura fiscale.

GIORGIO POZZO, Assessore alle autonomie locali, foreste e parchi della regione Friuli Venezia Giulia. Porto alla Commissione il saluto del presidente della giunta regionale del Friuli-Venezia Giulia, che mi ha delegato a partecipare, il quale, al di là del comunicare l'evidente adesione al documento politico e programmatico delle regioni nonché ai contenuti che sono stati illustrati da parte dei rappresentanti dell'ANCI e dell'UPI, desidera che io faccia presente come nel nuovo documento sulla nuova RAITRE vi siano due aspetti che si richiamano alla legge n. 249 del 1997. In particolare, all'articolo 3, comma 9, nel disporre le norme riguardanti la ristrutturazione del servizio pubblico radiotelevisivo si stabilisce che «nel piano presentato dall'Autorità si prevedono apposite soluzioni per le regioni Valle d'Aosta, Friuli-Venezia Giulia e per le provincie autonome di Trento e Bolzano d'intesa, rispettivamente, con le regioni e con le provincie, a tutela delle minoranze linguistiche e in una logica di cooperazione transfrontaliera».
Questi sono due punti importanti dei quali abbiamo tenuto conto nella predisposizione della legge finanziaria 2001 e della triennale 2001-2003, prevedendo a carico della regione un onere di natura finanziaria che ci dovrebbe condurre, secondo le nostre aspettative, innanzi tutto alla stipula di una convenzione per la gestione della TV transfrontaliera, che in questo momento ci vede impegnati su un fronte solo, cioè quello del rapporto con la Slovenia, ma che vorremmo estendere anche all'Austria, alla Croazia e all'Ungheria che, come previsto nel congresso di Nizza, dovranno entrare a far parte dell'Unione europea e con le quali abbiamo già instaurato un dialogo.
Inoltre, a seguito dell'approvazione del regolamento attuativo della legge per la tutela delle minoranze linguistiche, la n. 482, si deve tenere conto che nella regione autonoma Friuli-Venezia Giulia - ed è questo il motivo principale della sua autonomia - oltre a quella ufficiale, che è l'italiano, sono parlate due lingue, il friulano e lo sloveno. Sia per la minoranza di lingua friulana che per quella di lingua slovena stiamo predisponendo il testo di una convenzione con la RAI locale, che vorremmo trovasse concretizzazione ed esplicazione soprattutto con l'estensione della rete TRE Bis al Friuli. Vi chiedo, pertanto, di tenere conto nella predisposizione del testo finale di queste indicazioni, richieste dalla specificità del Friuli e delle regioni autonome in genere.

PRESIDENTE. Certo, queste sono acclarate.


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Do ora la parola al senatore De Guidi, che desidera rivolgere ai nostri ospiti alcune domande.

GUIDO DE GUIDI. Devo anch'io chiedere scusa per l'assenza di un titolare, cioè del relatore Falomi, che a causa di altri impegni non ha potuto essere presente.

PRESIDENTE. Potrà comunque leggere il resoconto stenografico.

GUIDO DE GUIDI. Certo. Inoltre la documentazione che è stata consegnata alla Commissione credo sarà sufficiente per fornirgli le indicazioni necessarie all'espressione del parere sulla nuova RAITRE.
Da profano, io mi permetto di aggiungere una domanda, la cui risposta è forse già contenuta nei documenti che ci sono stati consegnati, ma che non ho avuto il tempo di esaminare con attenzione. Giustamente si reclama che il piano della nuova RAITRE è stato portato avanti senza un coinvolgimento profondo degli enti locali, mentre questa è proprio la rete nella quale vi è un decentramento a livello locale, e ciò che voi chiedete - mi rivolgo ai rappresentanti sia dell'ANCI, sia dell'UPI, sia delle regioni - è una maggiore presenza quantitativa della televisione pubblica nelle trasmissioni locali ed un tipo di differenziazione qualitativa. Certamente, la nuova RAITRE si presenta come una rete che intende avere ampia valenza culturale: si elimina la pubblicità ed io ritengo che la pubblicità è proprio quella che ha prodotto, in genere, il degrado della televisione.
Abbiamo sentito le lamentazioni delle imprese pubblicitarie, che avendo meno spazio aumenteranno i prezzi - e sono problemi che dovremo analizzare -, comunque vedo con estremo piacere questa nuova RAITRE senza pubblicità e credo che proprio per questo essa debba avere forte valenza culturale. In una società che si va globalizzando anche in termini culturali, essa deve fare emergere i valori della nostra cultura nazionale, in termini di unità ed anche in termini di differenziazione. Si è parlato delle minoranze linguistiche, ma praticamente ogni regione rappresenta una cultura a sé, nei dialetti, nelle usanze e nelle tradizioni. Dunque, la mia domanda si riassume in questo: cosa avete pensato di suggerire alla RAI affinché vi sia maggiore rappresentazione degli enti locali e delle regioni in termini di promozione culturale, oltre che di informazione?

PRESIDENTE. Io desidero innanzitutto ringraziarvi per il contributo che avete dato a questo ciclo di audizioni, che è stato reso necessario dalla presentazione di un'integrazione al piano del 1998 per la nuova RAITRE. Vi ringrazio perché avete portato elementi fondamentali per la nostra valutazione, anche perché mi sembra di capire dalle vostre parole che l'assenza di riferimenti alla territorialità, quindi alle regioni, ai comuni, alle provincie, al locale, metta in qualche modo in discussione una delle caratteristiche fondanti e qualificanti del servizio pubblico radiotelevisivo; questo ci interessa non solo ai fini del parere che dobbiamo formulare all'Autorità, ma anche ai fini di una discussione più ampia, essendo in itinere il progetto per la trasformazione della RAI, quindi una serie di processi che, in qualche modo, richiamano ad una privatizzazione, parziale o pronunciata, dell'azienda radiotelevisiva di Stato.
In questi due anni trascorsi tra la presentazione del piano e la sua integrazione mi ha colpito una contraddizione in esso contenuta in nuce: si fa riferimento alla divisionalizzazione dell'azienda ma questa, in realtà, si è trasformata in una grande innovazione centralistica, nel senso che la divisionalizzazione ha tolto competenze, funzioni e ruoli alle sedi regionali. Quindi esiste questa contraddizione: nel momento in cui si presenta il piano di nuova RAITRE con riferimento alla divisionalizzazione, questa stessa, di fatto, spoglia le sedi regionali di ogni spinta, di ogni capacità di intervento fattivo, reale sul territorio. Vorrei chiedervi se condividiate questa impressione di un depotenziamento


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delle sedi regionali - naturalmente per quanto ne possiate sapere, poiché non si tratta di una vostra competenza diretta -, se avvertiate questa differenza di ruolo tra il passato ed oggi per effetto dell'intervenuta divisionalizzazione a discapito, come dicevo, delle realtà territoriali.
Trovo molto interessante anche la domanda posta dal senatore De Guidi: cosa si può fare per valorizzare il ruolo della nuova RAITRE? RAITRE è nata come rete sperimentale, come televisione di nicchia, poi man mano, grazie a programmi innovativi, a format ed a linguaggi particolarmente creativi, è riuscita a ritagliarsi uno spazio di assoluto rispetto nel panorama delle TV italiane, con riferimento sia alle altre due reti pubbliche sia a quelle commerciali. Oggi si sente la necessità, anche nello spirito di una questione politico-istituzionale che riguarda le realtà territoriali e gli enti locali, di una RAITRE diversamente strutturata. Voi ritenete insufficiente il piano che è stato predisposto; noi raccogliamo queste vostre perplessità, queste vostre riserve espresse con molta decisione e molta forza - ed anche di questo vi ringrazio -, però ci piacerebbe conoscere più nel dettaglio quello che voi vorreste dal piano per la nuova RAITRE con riferimento alle realtà territoriali, regionali, provinciali o comunali che siano, in modo da poter trasferire queste considerazioni nel parere che formuleremo.

GAIA GROSSI, Assessore all'istruzione, al diritto allo studio e alla formazione professionale della regione Umbria. È abbastanza difficile dire esattamente cosa noi vogliamo e forse non è neanche possibile. Però certamente vogliamo entrambe le cose: un salto di qualità quantitativo e qualitativo della presenza delle regioni nel panorama dell'informazione, tanto più dell'informazione di servizio pubblico. Quantitativo perché non è più possibile fare dichiarazioni di buona volontà non basate su un assetto preciso: questa, d'altra parte, è una delle critiche fondamentali che facevamo al vecchio documento e facciamo, a maggior ragione, al suo aggiornamento odierno. Chiediamo anche un salto di qualità qualitativo (chiedo scusa per il bisticcio) proprio perché per i processi ai quali si accennava, cioè i processi aperti dalle leggi Bassanini, tendenti ad un'effettiva ridislocazione dei poteri, oggi il sistema dei poteri locali (regioni, provincie e comuni) sente di aver maturato competenze e ricchezze da porre sul tavolo in tutti i settori e dunque chiede di essere un partner, un soggetto attivo anche dell'informazione.
È chiaro che ciò di cui ci occupiamo oggi è solo una parte del problema, poiché questo è fatto di un impianto normativo e molto opportunamente l'assessore Pozzo ha richiamato la legge n. 249, che attende di essere compiutamente applicata, naturalmente nel quadro di una generale risistemazione di tutta la questione dell'emittenza. Ma a maggior ragione chiediamo all'azienda un salto di qualità, nel momento in cui le tecnologie ci consentono di astrarre dalle questioni di territorio geografico e di mantenere, in coerenza, un quadro complessivo che sappia accogliere anche i singoli contributi. Proprio l'applicazione compiuta di quel concetto di glocale (globale più locale) al quale accennava il sindaco Raffaelli ci permette di rappresentare l'informazione facendo una ricchezza di tutte le diversità, le specificità, le differenze di un paese come il nostro, che è un paese piccolo, complicato dal punto di vista geografico, con una storia lunghissima, quindi certamente complesso. Oggi la tecnologia ci offre il modo per ragionare di questo su un piano che non è di dispersione ma, al contrario, consente di portare unità alle ricchezze.
Per fare questo non basta inviare su Internet una trasmissione o parte di essa: bisogna assumere la diversa mentalità che oggi le nuove tecnologie ci permettono di applicare e che vede la cooperazione tra uguali resa assolutamente possibile. È questo che chiediamo, cioè di essere partner attivi di un progetto che crediamo possa rappresentare, in maniera elevatissima, anche le grandi ricchezze dell'azienda.


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Essendo infatti vero quanto ha detto prima il sindaco Raffaelli, cioè che l'azienda ha una grande ricchezza, quantità e qualità di personale umano, non vogliamo partecipare a questo processo come soggetto attivo.

PAOLO RAFFAELLI, Sindaco di Terni. Vorrei chiarire, per fugare ogni ragionevole dubbio, che né i sindaci, né i presidenti di regione, né i presidenti di provincia vogliono sostituirsi ai direttori di sede e ai capiredattori. L'autonomia della produzione, della distribuzione e anche delle modalità di costruzione del processo informativo è fuori discussione, è uno degli elementi cardine. Il problema è che in questo paese abbiamo vissuto un processo di modifica qualitativa e funzionale dell'informazione che è durato decenni: probabilmente, tutti voi ricorderete - chi per averlo visto all'epoca, chi per averlo visto dopo - il famoso servizio con cui il compianto Ugo Zatterin dava notizia dell'approvazione della legge Merlin senza citare mai le case chiuse; era un modello di RAI che aveva dei pregi, per i quali alcuni hanno ancora nostalgia, ma aveva, evidentemente, anche difetti di chiusura. La nascita della seconda rete produsse uno sconquasso, un mutamento radicale del linguaggio che era espressione di un processo innovativo molto forte. La terza rete - passaggio ulteriore quasi sempre o sempre effetto di mutamenti del quadro istituzionale e politico, perché i sistemi informativi non sono caciocavalli appesi - ha prodotto un analogo sconquasso in una società in movimento in cui le voci avevano bisogno di esprimersi, in cui l'emittente privata, per esempio, trovava i suoi strumenti legali o paralegali per dare voce a elementi dinamici. Non vi è dubbio che, nel suo momento di nascita, la terza rete sia stata il frutto di una grande capacità inventiva e creativa di format, linguaggi e modelli nuovi che ancora sopravvivono. E all'interno di questo meccanismo l'irruzione del sistema televisivo locale nel sistema televisivo pubblico è stato un elemento di novità radicale: prima, infatti, quello locale si attivava soltanto quando un ministro o un sottosegretario inauguravano, indossando la fascia tricolore, una grande opera pubblica; poi è diventato quotidianità.
Avvertiamo il bisogno - questa è la valutazione qualitativa che ci permettiamo di sottoporvi - di una fase che, nella logica del federalismo e del sistema locale, la stessa capacità di innovazione, di introduzione di criteri di vivacità, di creatività e di tempestività che hanno caratterizzato, per una fase, la crescita e la polverizzazione del sistema comunicativo di questo paese, venga compiutamente applicata anche al sistema territoriale, al sistema locale, altrimenti non vi è competitività ed è difficile distinguere, se non per un quid indiscutibile di qualità e di professionalità, il TGR di una regione da un buon telegiornale locale privato di un determinato territorio. Questo sotto il profilo del salto di qualità cui si faceva prima riferimento.
Sotto il profilo dell'assetto dei poteri, delle due l'una: o la RAI è autonoma, per cui non riconosce come interlocutore il soggetto istituzionale regioni, non richiede ad esso una lira, né una funzione e i suoi rapporti sono soltanto con il Governo centrale, in quanto soggetto concessionario - ma l'intero discorso sarebbe difficilmente conciliabile con una filosofia di progetto che non viene smentita dalla proposta - oppure è ovvio come questa interlocuzione non possa essere solo un mero fatto formale, una dichiarazione di intenti. Deve avere elementi di codifica. Ci chiedete proposte? Potremmo avanzarle, ma non so se sia opportuno farlo in questa sede. Al nocciolo, il problema è che se deve esserci una interrelazione tra il sistema istituzionale territoriale e la RAI, questa non può che avvenire sulla base di regole certe che al sistema istituzionale locale diano funzioni non di rottura di autonomia ma di indirizzo, di proposta. Ma tutto ciò manca all'interno di questo modello, e a nostro avviso ha a che vedere non tanto con la logica della divisionalizzazione, quanto con una visione dell'informazione locale che continua ad essere paludata. Più informazione istituzionale


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dalle periferie, come sento dire? Si po' discutere su com'è, ma non è questa che manca: deve esserci, più viva e materiale...

PRESIDENTE. La divisionalizzazione la riferivo alle sedi, non alle periferie regionali.

PAOLO RAFFAELLI, Sindaco di Terni. Però va detto, in proposito, che sono venute meno le produzioni in ambito territoriale. Si è trattato, sicuramente, di un impoverimento, di un mutamento degli equilibri. Non credo che una regione come l'Umbria, di 800 mila abitanti, abbia la forza per garantire un proprio specifico produttivo locale, a meno che ciò non venga pensato per blocchi di interesse (la proposta è questa, ma non è nuova perché vecchia più di due anni). L'Umbria, per esempio, non potrà mai essere un centro produttivo ad ampio spettro, ma sicuramente avrà un ruolo produttivo da assolvere se, in un contesto di collaborazione fra sistema istituzionale locale e RAI, alla regione si assegnerà il compito di una funzione particolare sotto il profilo della produzione di informazione e di programmi relativi al patrimonio culturale del nostro paese.
A nostro avviso, mancando la fase che va al nocciolo dei problemi, quella della proposta e del confronto, si continua a discutere di lesioni di autonomia che ci allontanano dalla questione fondamentale.

CHIARA BONI, Assessore alla comunicazione, informazione e nuove tecnologie della regione Toscana. Non avendo seguito l'inizio dei lavori, anzitutto mi scuso per eventuali ripetizioni.
La regione Toscana è ovviamente d'accordo con il documento presentato dall'Umbria e lo sottoscrive. Direi che tutti siamo rimasti un po' colpiti dal documento che ha presentato la RAI, che torna indietro rispetto a quello del 1998: l'ho guardato velocemente, ma non ho mai trovato la parola «regioni», e questo ci colpisce profondamente. Non è ancora molto chiaro quale sarà la riforma della RAI in senso assoluto, né si sa, per esempio, se RAIUNO e RAIDUE verranno privatizzate.
Anche in merito al discorso sulla pubblicità avrei qualcosa da dire, perché se RAIUNO e RAIDUE verranno privatizzate, equiparare il tetto della pubblicità a quello dei canali privati è cosa su cui ritengo non si debba decidere noi prima ma i soggetti che acquisteranno tali rete in un secondo tempo. Anche perché sono convinta che non tutte le persone che vogliono pagare un canone siano interessate ad una televisione soltanto di servizio. Anche su questo, quindi, bisogna stare attenti, nel senso che io, per esempio, potrei pagare volentieri il canone per una televisione di qualità, ma potrebbe anche esservi chi, forse, non lo farebbe volentieri soltanto per una rete televisiva. Dunque, anche il discorso della pubblicità va valutato con attenzione, perché può anche esserci una pubblicità qualificata, e oggi credo che le raccolte pubblicitarie siano differenziate rispetto a una volta: per lanciare nuovi titoli una casa editrice può essere interessata ad una trasmissione culturale e personalmente potrei esserlo, per esempio, alla pubblicità delle ultime edizioni di un grande direttore di orchestra avvicinata ad una trasmissione sulle opere liriche.
Il discorso sulla pubblicità, quindi, lo vedrei un po' diverso da quello...

PRESIDENTE. Questa è la legge.

CHIARA BONI, Assessore alla comunicazione, informazione e nuove tecnologie della regione Toscana. Però mi sembra una legge molto curiosa. Potrei capire se restassero tre televisioni pubbliche, ma per il cittadino sarebbe difficile pagare il canone soltanto per una rete televisiva. Sicuramente, si tratterebbe di una scelta che diversificherebbe i cittadini.
Come regione Toscana, credo che siano molte le proposte che potremmo fare, ma piuttosto che elencarle qui ritengo sia meglio farvele pervenire tramite un apposito documento. Già adesso stiamo cercando di portare avanti iniziative con la


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nostra sede regionale di RAITRE; stiamo cercando di mettere in connessione RAITRE con la regione Toscana e con le emittenti locali per produrre trasmissioni, per realizzare piccoli centri di produzione di trasmissioni multimediali via satellite. In occasione di un incontro, il direttore Celli ci ha detto che vi è bisogno di riempire di contenuti le reti via etere. Le regioni, allora, potrebbero anche diventare promotrici dei produttori locali, affinché possano crescere e produrre trasmissioni con la sede regionale di RAITRE.
Credo, in conclusione, che tutti questi punti potrebbero essere considerati nel nuovo sviluppo di RAITRE, a proposito del quale, come ho detto, invieremo alla Commissione un documento dettagliato.

FRANCESCO SCIARRETTA, Assessore all'agricoltura, foreste, politiche rurali ed aree montane della regione Abruzzo. Condivido le critiche al documento mosse un po' da tutte le parti, ma vorrei aggiungere qualche considerazione, visto che l'occasione è ghiotta, perché è la prima volta che, grazie a lei e alla sua cortesia, presidente, ci incontriamo in Commissione.

PRESIDENTE. Dovere istituzionale!

FRANCESCO SCIARRETTA, Assessore all'agricoltura, foreste, politiche rurali ed aree montane della regione Abruzzo. Se gli enti locali, regioni, province e comuni, diverranno stimolo al miglioramento della qualità del prodotto attiveremo un partenariato utile. Se questo non dovesse accadere, non è possibile pensare ad un decentramento, perché, in realtà, con questo progetto si verificherebbe soltanto un'espansione del monopolio RAI, quindi un tentativo per colonizzare ancor di più il territorio e le regioni.
Vale la pena ricordare che, essendo finora risibili gli spazi dedicati al territorio da parte di RAITRE, o ci si confronta su queste problematiche, oppure le regioni - come per esempio sta facendo l'Abruzzo - tenteranno una soluzione diversa, quella cui accennava la collega della Toscana: realizzare un progetto proprio. RAITRE deve cogliere questi tentativi, questi stimoli per farli propri, per inserirli nella TV pubblica. Deve farlo, però, attraverso una compartecipazione, non cercando di far diventare sudditi gli enti locali. Maggiori spazi e miglioramento della qualità eviterebbero di continuare nello scopiazzamento fra TV commerciale e TV pubblica.
Concordo anche sui rischi che comporta l'eliminare completamente la pubblicità e il far gravare i costi sull'utenza, perché quest'ultima non accetterebbe mai una simile soluzione e rischieremmo un grosso flop.
Un'ultima notazione, forse non consona all'argomento in discussione, riguarda la gestione dei concorsi per il precariato. Se resta centralizzata, infatti, il territorio non avrà mai alcun momento per poter dire la sua.

PRESIDENTE. Non esuliamo dal tema!
Ringraziando i rappresentanti delle regioni, dell'ANCI e dell'UPI, dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 14,40.

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