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Seduta del 25/10/2000


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Seguito dell'audizione dei direttori di testata della RAI.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'audizione dei direttori di testata della RAI. Sono presenti il direttore del TG1, Albino Longhi, il direttore del TG2, Clemente Mimun, il direttore del TG3, Antonino Rizzo Nervo, il direttore del GR, Paolo Ruffini, il direttore di Rai News, Roberto Morrione, il direttore delle Tribune, accesso e servizi parlamentari, Angela Buttiglione, il direttore di Televideo, Alberto Severi, nonché Pierluigi Malesani e Vittorio Vitalini Sacconi, rispettivamente direttore e dirigente delle Relazioni istituzionali della RAI.
Riprendiamo l'audizione con le domande dei commissari. Il primo iscritto a parlare è l'onorevole Falomi.

ANTONIO FALOMI. Come è stato detto nell'introduzione a questa nostra seduta, credo anch'io che sia difficile valutare il rispetto delle regole e del pluralismo utilizzando semplicemente dei dati quantitativi, soprattutto quando si tratta di informazione legata ai fatti, alle notizie, agli avvenimenti, che ovviamente possono dare un maggiore o minor peso a determinate forze politiche. Ciò nonostante, credo che comunque quello del dato quantitativo, anche se non da adottare in via esclusiva, sia un indicatore che serve a misurare la correttezza dell'informazione pluralistica.
Se analizziamo l'informazione e la comunicazione politica dei notiziari televisivi e radiofonici in termini puramente quantitativi, credo che complessivamente possiamo esprimere il giudizio di una informazione equilibrata da parte del servizio pubblico; naturalmente, andando nel dettaglio, vi sono accentuazioni, toni, modi di vedere le questioni che denotano una certa torsione politica del modo di fare informazione.
Tuttavia, vedo concretamente il rischio che la rappresentazione del dibattito politico, su cui ogni giorno vi è un volume di informazione adeguato, finisca per concentrarsi esclusivamente sui due grandi blocchi che si contrappongono: questo per un verso è naturale, ma il rischio è che i non allineati (parlo in questo caso della lista Bonino) rimangano schiacciati da questo meccanismo. Vi è una specificità nel non essere allineati all'interno di uno dei due grandi blocchi e in questo senso vedo che spesso, non sempre, vi è un'informazione adeguata e sufficiente in termini di rappresentazione del dibattito politico. Certo, il peso dei due grandi blocchi è quello che è, però la geografia politica italiana non è riducibile soltanto alla dialettica tra i due grandi blocchi.
Spesso ci concentriamo sull'aspetto della comunicazione politica, mentre in


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realtà vi sono altri aspetti della comunicazione (non a caso la delibera sul pluralismo votata da questa Commissione non si fermava al pluralismo politico, ma parlava di pluralismo culturale, sociale, e così via) che sono altrettanto importanti rispetto al tema della comunicazione politica e della rappresentazione del dibattito politico, anche perché alcune realtà finiscono con l'avere comunque un peso politico. Il modo in cui si fa informazione sui temi dell'ordine pubblico e della sicurezza a partire dagli episodi che capitano incide ovviamente nella formazione di un'opinione diffusa, di un senso comune dell'opinione pubblica. Mi è capitato di assistere ad un servizio in un telegiornale - non dico di quale si tratti - in cui la notizia era una conferenza stampa delle autorità di polizia che annunciavano la diminuzione dei cosiddetti piccoli reati in una determinata area urbana; tuttavia il taglio del servizio era tale per cui la notizia veniva ad essere in ombra e si poneva l'accento sull'elemento della drammatizzazione del tema. Ci sono temi come quello dell'ordine pubblico, dell'immigrazione e della salute dei cittadini (e penso al modo in cui il servizio pubblico, a mio avviso in maniera assai discutibile, ha affrontato il caso Di Bella) che non sono immediatamente politici, ma che contribuiscono a determinare un'opinione comune.
Vorrei capire se in proposito vi sia stata una riflessione da parte dei direttori delle testate e se a questi argomenti si riservi la medesima attenzione di quando ci si trova sotto la pressione delle polemiche continue che la politica ripropone nei confronti dei telegiornali, una polemica che ovviamente ha a che fare soprattutto con la tutela delle rispettive posizioni politiche più che con la tutela del contenuto della delibera della Commissione sul pluralismo.

ROSARIO GIORGIO COSTA. Non staremmo qui a parlare se il problema della faziosità e della parzialità non esistesse per cui, con l'animo sgombro da ogni pregiudizio, proverò a chiedere ai direttori presenti ciò che abbiamo già chiesto ai vertici amministrativi e direzionali della RAI.
Stiamo per vivere una stagione nuova di ingegneria societaria per l'ente radiotelevisivo; voi che siete gli operatori dell'informazione avrete pure consigli e suggerimenti idonei a rimuovere le cause della soggezione degli informatori e, in particolare, dei giornalisti. Sono convinto che desiderio di ogni giornalista è quello di non essere fazioso né succube di alcuno, tuttavia le modalità di elezione degli organi amministrativi e direzionali della RAI, quelli da cui promanano le nomine, sono tali che a mio avviso non ci mallevano da questa calamità.
Certamente voi penserete tutti i giorni a come vi piacerebbe che fosse la RAI e io al vostro posto farei altrettanto, per tentare di evitare o ridurre al massimo questa discrezionalità che poi degenera in faziosità. Cosa farei se fossi l'unico a dover decidere come reimpalcare la RAI in questo momento? Certamente se, come io mi auguro, alle prossime elezioni politiche dovesse vincere il Polo, da parte dei colleghi dell'opposizione si leverebbero delle lamentele, così come adesso accade che le lamentele vengano da parte nostra perché obiettivamente le autorità governative esercitano forme di condizionamento sulla RAI. Chiedo ai direttori presenti cosa pensino di suggerire in proposito, perché questa è la stagione dei suggerimenti, in quanto probabilmente l'occasione di ricostruire la RAI non si ripresenterà.

ALESSIO BUTTI. Questa mattina ho avuto modo di scambiare poche parole con una persona che stimo molto per l'equilibrio e per capacità e che ha definito, a mio avviso il modo molto acuto, la RAI un'anatra zoppa. Questo sta a significare che non tutto è da buttare a mare in questa azienda. Ad esempio, non vorremmo buttare a mare i servizi parlamentari, che in questi mesi hanno dato un esempio di equilibrio direi quasi assoluto; del resto, i servizi parlamentari sono il servizio pubblico per antonomasia. Siamo però curiosi di capire quale possa essere


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il rapporto tra un direttore di testata di servizio pubblico per antonomasia, come quello diretto dalla dottoressa Buttiglione, e le reti presso le quali trova ospitalità, visto che poi di fatto i vostri prodotti salgono sui palinsesti di Raiuno, Raidue e Raitre. In particolare, vorrei capire se l'inserimento sia deciso dai direttori di rete o comunque dalle reti in autonomia e con quali criteri e se lei, dottoressa Buttiglione, quale responsabile di un servizio così importante, sia coinvolta nella scelta di collocazione all'interno del palinsesto delle reti. In altri termini, vorremmo comprendere il suo ambito decisionale.
Ricordo, altresì, che il 12 luglio, durante un'audizione, la dottoressa Buttiglione ha affermato di essere intenzionata (cosa che peraltro abbiamo condiviso anche sotto il profilo tecnico) a sperimentare nuovi format per il periodo non elettorale. Sono passati quasi tre mesi e vorremmo capire...

PRESIDENTE. Avremmo dovuto farli noi!

ALESSIO BUTTI. Comunque, vorremmo capire quanto meno quale sia l'indicazione della dottoressa Buttiglione.

PRESIDENTE. Le spiegherà la dottoressa Buttiglione le difficoltà di ordine pratico in merito a una normativa al riguardo.

ALESSIO BUTTI. Bene, più tardi prenderemo dalle labbra della dottoressa Buttiglione.
Per quanto riguarda i direttori dei giornali, vorrei rivolgere la prima domanda al dottor Mimun. Trovo che il Tg2 sia un giornale equilibrato, cauto e anche attento; non sto facendo un elogio, considero il Tg2 un telegiornale guardabile, che del resto si è distinto sulla vicenda dei pedofili, come abbiamo più volte ricordato e che si è distinto anche per non aver partecipato alle polemiche successive, cosa che non ha fatto il direttore della Tg3, che mi ha addirittura minacciato di querela perché ho presentato un'interrogazione.

PRESIDENTE. A me capitato di peggio!

ALESSIO BUTTI. Ho presentato un'interrogazione che chiedeva lumi su alcune immagini equivoche riguardanti siti Internet trasmesse proprio dal suo telegiornale. A tale proposito, voglio farle presente, direttore Rizzo Nervo, che le cassette sono qua, le ha consegnate personalmente al presidente e che tra l'altro considero abbastanza ingiustificabile la pretesa di denunciare un parlamentare che presenta un atto di sindacato ispettivo (quando ho letto l'agenzia sono rimasto abbastanza deluso).
Dicevo che trovo il TG2 attendibile e pluralista. Vorrei fare una domanda al direttore Mimun: per l'edizione delle 20.30 del suo telegiornale lei ha uno scarso traino; combatte con Canale 5 che a quell'ora trasmette Striscia la notizia e la sorpresa è che la prima rete ha collocato il programma del dottor Biagi alle 20.35, creando di fatto una sovrapposizione di informazione. Vorrei conoscere la sua opinione in merito e capire se questa sovrapposizione di informazione su informazione vada a «castigare» il vostro equilibrio editoriale.
Per quanto riguarda il tema della radio, che secondo me è molto importante affrontare, avrei alcune domande da porre al dottor Ruffini. Dal marzo 1994 il giornale radio è di fatto unificato; tralascio di svolgere considerazioni sull'opportunità o meno di unificare questo servizio. Di fatto, però, gli ascolti sono decisamente calati, come hanno messo in chiara evidenza le indagini Audiradio. In quel comparto vi è una sola testa pensante, un solo direttore che si occupa di guidare Gr1, Gr2 e Gr3, Radio Parlamento, Radiouno. Ascolto i notiziari radio e credo che, a questo punto, sia inevitabile che il prodotto diventi omogeneo, non c'è diversificazione tra un notiziario e l'altro, possiamo anche dire che i giornali radio sono tutti uguali. Mi piacerebbe sapere come il


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direttore di questo importante servizio cerchi di ovviare alla piattezza e alla monotonia del prodotto giornalistico; se vi sia qualche ripensamento rispetto all'unificazione di cui abbiamo parlato poc'anzi, soprattutto se sia sufficiente un unico direttore e se il calo di ascolti evidenziato anche dalle indagini Audiradio sia imputabile all'omogeneità del prodotto giornalistico. La direzione unica comporta anche la presenza di sei vicedirettori, due dei quali vicari, un veltroniano di ferro ed un altro giornalista proveniente da un importante giornale di partito, La voce repubblicana. Vorrei capire quale sia attualmente l'esatto mansionario dei due vicedirettori vicari e che fine abbiano fatto i precedenti, se siano stati rimossi, se sia stata loro trasmessa comunicazione della rimozione.
Faccio riferimento alle mansioni perché ascoltando la radio non possiamo nascondere il nostro disappunto per il modo in cui vengono montati i servizi politici e per l'attenzione ad essi riservata. Molto spesso (pur essendovi lodevoli eccezioni, che del resto confermano la regola) i servizi politici si riassumono nella battuta schietta di un rappresentante dell'opposizione, della Casa delle libertà, ed in un successivo commento, molto corposo, da parte di un membro del Governo o della maggioranza. È inutile dire che il messaggio che resta maggiormente impresso nella memoria dell'ascoltatore è l'ultimo. Ripeto, esistono anche lodevoli eccezioni, che però confermano la regola.
In questo senso credo che il programma Radio anch'io abbia preso una piega piuttosto inquietante. Spesso la trasmissione presenta un siparietto in cui intervengono membri autorevoli del Governo e della maggioranza, qualche tecnico dell'argomento trattato, e la trasmissione si chiude in questo simpatico modo, senza dialettica tra minoranza e maggioranza, tra Governo e opposizione, e senza il minimo confronto politico. Vorrei capire se si tratti di una scelta editoriale oppure di una volontà politica o ancora di comodità tecnica, se possiamo definirla così. Quello che vogliamo far notare è che il pluralismo è scarso e che, quanto meno in alcuni casi, il pluralismo è fantasia.
La Rai peraltro, sempre per quanto riguarda la radio, si sta occupando di elevata tecnologia da applicare nei suoi vari settori. Ebbene, il segnale radio Rai è penoso. È una questione che stiamo vivendo ormai da diversi anni; però la signora Maria - per intenderci - che non ha grande dimestichezza con i portali Internet e con la nuova tecnologia (strada sulla quale la Rai si è immessa da tempo), vuole un segnale degno della Rai. Ricordo che il pubblico della radio è tendenzialmente conservatore ed abitudinario, quindi se non percepisce il segnale una, due volte, ripetutamente, si sposta, dà origine al fenomeno della transumanza radiofonica, così come viene definita dai tecnici. Chiedo se siano stati assunti provvedimenti per fronteggiare questa situazione da terzo mondo e quali investimenti siano previsti per adeguare il segnale radio Rai.
Sempre con riferimento alla radio, l'Audiradio sostiene che Radiouno è in testa agli ascolti, seguita da Radio Deejay, Radiodue, RTL, RDS e Radiotre. Vorremmo un'opinione sul sorpasso ormai stabilizzato di Radio Deejay rispetto a Radiodue e sulla drammatica situazione di Radiotre, che è stata «uccisa» dalla signora Reichlin.
Un'ultima domanda relativa alla radio riguarda Cristiano, il notissimo giornalista inviato a Gerusalemme che, appartenendo all'organico della radio, è rientrato in organico. Vorremmo conoscere qualcosa circa il suo futuro.
Affronto ora molto rapidamente alcune questioni. Il sindaco di Roma è anche candidato ufficiale del centrosinistra; tuttavia, fino a quando rimarrà in carica come sindaco, Rutelli godrà inevitabilmente di due binari preferenziali per quanto riguarda l'informazione, uno per la sua carica di sindaco, l'altro per la sua nomination a futuro candidato premier del centrosinistra. Vorremmo capire come venga conteggiato dai direttori il tempo a


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sua disposizione. La questione è particolarmente rilevante soprattutto per Raitre Lazio.
Esistono altre due questioni concernenti il senatore Di Pietro ed il dottor D'Antoni. L'Osservatorio di Pavia non calcola gli spazi destinati all'Italia dei valori, seppure Di Pietro abbia dichiarato più volte di voler partecipare da solo a questa competizione e di candidarsi quindi autonomamente. Vorremmo sapere anche in questo caso come i direttori delle testate stiano affrontando la delicata questione. Lo stesso ragionamento vale per il leader di Democrazia europea, che da poco non è più il numero uno della CISL ma ambisce anch'egli ad un posto importante tra i leader politici.
Chiedo inoltre se gli spazi destinati alla Margherita siano la somma degli spazi riservati ai partiti che compongono questa nuova coalizione, o se invece vengano considerati in un altro modo. Domando altresì se esistano indicazioni nuove fornite ai servizi esteri dopo il fatidico 19 ottobre scorso.
L'ultimo quesito riguarda una similitudine che si potrebbe creare con gli Stati Uniti, perché nella campagna elettorale, attualmente in corso, per le presidenziali negli Stati Uniti la par condicio è stata estesa ad Internet. Sarà adottato, o è già stato adottato anche in Italia per i siti Rai, come ad esempio Rai News 24, questo principio della par condicio on line, oppure tale ipotesi non viene neanche considerata?

GUIDO CESARE DE GUIDI. Interverrò brevemente, per consentire ai vari direttori di rispondere alle domande formulate, che coprono una gamma vastissima, per cui non so se aggiungerne altre giovi all'economia di quest'incontro. La mia sarà peraltro una riflessione molto breve. Non so quale dei tre direttori di testata ieri abbia accennato al fatto che nell'organizzare i programmi di comunicazione e di informazione si cerca di coniugare due aspetti ritenuti essenziali, cioè l'ascolto e la qualità. Io non sono un telespettatore assiduo, ma credo che spesso a tutti i livelli, non solo nell'informazione politica e nella comunicazione, si sacrifichi la qualità all'ascolto, che sembra essere dominante nella scelta sia dei programmi sia del modo di condurli. In particolare per quello che riguarda la comunicazione politica, ascolto e qualità non dipendono esclusivamente da chi organizza la trasmissione ma anche dagli interlocutori, da coloro i quali sono presenti. Poiché esiste una tendenza ormai inveterata nella classe politica, quella del confronto non dialettico e non razionale ma spesso rissoso, e poiché sembra che il confronto forte, che rasenta la rissa, sia più gradito nell'ascolto dei telespettatori, forse non si fa nulla per evitare che ciò avvenga, anzi spesso si incentiva questo fatto.
Credo che una comunicazione politica realizzata in questo modo diseduchi l'ascoltatore, il quale non riesce a percepire bene quali siano i contenuti reali di una proposta politica che viene dall'una e dall'altra parte, laddove si lascia molto spazio, ripeto, al confronto spesso di bassa lega ed eccessivamente rissoso. So che non è solamente responsabilità degli organizzatori della RAI, ma credo che incentivare questo aspetto sia un fatto negativo. Vorrei che ciò fosse tenuto presente.

ALBINO LONGHI, Direttore del TG1. Sono perfettamente d'accordo con il senatore Falomi nel ritenere che il pluralismo non riguardi soltanto l'informazione politica ma debba essere garantito anche su altri piani, per l'informazione religiosa, per i servizi culturali, in una società complessa ed articolata che nel servizio pubblico deve trovare tutte le rappresentanze.
È difficile rispondere al senatore Costa su come vedremmo noi la RAI. Le posso dire, senatore, come la vedo io: il mio sogno è di immaginare una RAI in cui agli operatori dell'informazione sia consentito di godere di una larga autonomia. Abbiamo troppi lacci e lacciuoli che condizionano il nostro modo di fare informazione. Naturalmente non rivendichiamo un'autonomia totale: sappiamo bene che è


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un'autonomia da servizio pubblico, per cui non ci appartiene l'autonomia di schierarci, di portare avanti nostre opinioni, di far valere una parte rispetto ad un'altra nel dibattito politico-culturale. Dobbiamo essere in grado di esprimere la società tutta, con le sue diversità, i valori che sono suo fondamento essenziale. Naturalmente non credo che a questo punto possiamo influire sulle scelte che si stanno operando in queste sedi. Tuttavia si tratta di un'esigenza che abbiamo sempre posto: lo dico io che forse sono il più vecchio, oltre che di età anche di esperienza nel settore dell'informazione radiotelevisiva.
Mi sembra di essere stato chiamato in causa quando qualcuno ha espresso l'ambizione di coniugare qualità ed ascolto. Il senatore ha sostenuto che molto spesso viene sacrificata la qualità all'ascolto. Non posso parlare di esperienze vissute prima di me da altri colleghi, però sento che questa è come la verità, alla quale ci si avvicina per approssimazione; quindi per approssimazione cercherò di avvicinarmi a questo ideale di informazione che sappia coniugare qualità e audience. Se dovessi compiere una scelta radicale, preferirei la qualità, anche perché sono convinto che questa alla fine sia vincente.

CLEMENTE MIMUN, Direttore del TG2. Condivido le osservazioni del senatore Falomi a proposito del pluralismo e sono assolutamente d'accordo con Albino Longhi: non esiste soltanto la politica, che peraltro non viene vissuta, almeno da me, come una cosa angosciante sulla quale misurare secondi, minuti, ore; la politica viene considerata come altra notizia, di peso, e possibilmente si cerca di far passare ciò che è davvero notizia. So che è difficile ammetterlo, ma è così. Capisco poco l'Osservatorio di Pavia e non lo leggo con frequenza; ogni tanto mi faccio dire dove ho sbagliato di più, perché naturalmente sbaglio, però non è quella la mia angoscia principale.
Per quanto riguarda i non allineati, sono convinto che il senatore Falomi abbia ragione: vengono schiacciati dai due grandi blocchi. Anche in questo caso non sento di avere la coscienza del tutto pulita, però ritengo, sulla base della mia non breve esperienza, che sui radicali in particolare abbiamo tentato di informare ogni volta che c'era una notizia e che era possibile farlo, non soltanto in epoche recenti rispetto alla morte del povero Russo piuttosto che alla vicenda dell'ONU.
Per quanto riguarda il tema dell'ordine pubblico e il fatto che anche con una informazione su tale tema si fa politica, naturalmente, l'onorevole Falomi conosce la comunicazione e sa che, se uno vuole, può giocare su altri tasti (si riferiva all'ordine pubblico). Si tratta di una grande questione di fondamentale importanza che insieme al lavoro è al centro delle preoccupazioni dei cittadini. Qualche volto vengo rimproverato per vie indirette (comunque, non ricevo bacchettate), però il dato di fondo è il seguente: negli ultimi anni in Italia sono diminuiti i reati, ma è cresciuta la paura. Tengo conto di entrambe le cose, non mi diverto a dire che certe cose accadono: non credo che l'Italia sia il Far west, ma se guardate con attenzione giornali più vicini alla vostra parte politica - mi riferisco sia al centrodestra sia al centrosinistra - vi accorgerete che nessuno nasconde i morti di camorra, di mafia, di 'ndrangheta, il fatto che i cittadini si sentono poco sicuri perché la microcriminalità continua a colpire, pochi finiscono in galera e quei pochi escono immediatamente. Quindi, credo che noi raccontiamo ciò che accade; quanto meno confido sul fatto che si creda alla mia buonafede e su eventuali casi specifici sono pronto a rispondere.
Per quanto riguarda l'impianto societario di cui parlava il senatore Costa, Longhi ha giustamente detto che è difficile immaginare che potremo incidere più di tanto. Io una cosa la so: voglio continuare ad essere servizio pubblico stando sul mercato, voglio una partecipazione dei privati minoritaria, voglio che Raiuno e Raidue rimangano alla Rai; questo è quanto so con certezza. Relativamente a chi dovrà eleggere i consiglieri d'amministrazione e sulla composizione del consiglio ognuno ha le idee che ha, credo si


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possano sviluppare diversi ragionamenti, anche se non sono sicuro che l'attuale sistema sia quello che ha offerto maggiori garanzie.
Ringrazio l'onorevole Butti per le gentili parole che ha usato sull'equilibrio del TG2; faccio osservare che personalmente ho un vantaggio rispetto agli altri direttori in quanto, avendo svolto questa funzione per un lungo periodo, ho imparato a correggere punte e asprezze. Sulla vicenda legata alla pedofilia non abbiamo commesso errori perché, se vi è una cosa chiara nella linea del TG2 è la seguente: ho spiegato ai miei che un errore in politica, in economia o nella finanza si può sempre aggiustare, mentre una cosa che colpisce profondamente l'opinione pubblica o le persone più sensibili o deboli è molto più difficile da rimuovere. Peraltro so con certezza (a me è capitato un episodio pochi giorni dopo di cui nessuno si è accorto e che qui vi svelo) che l'errore può avvenire anche in altre forme. Abbiamo trasmesso un servizio relativo ad un'inchiesta che riguardava la Banca d'Italia ed è stata usata, sbagliando, la videata del sito di una società che non c'entrava assolutamente nulla. È evidente che un fatto del genere colpisce in misura minore rispetto a filmati sulla pedofilia, ma è stato commesso un errore grave, la società poteva subire un danno grave. Si tratta di omesso controllo? Certamente sì e d'altronde non è possibile visionare tutto, neppure se moltiplicassimo per sette le redazioni e i vicedirettori. Sicuramente bisogna stare molto attenti alle cose che contano, che non sono soltanto la politica.
Quanto alla questione del traino, da molti anni cerco di evitare di ragionare sui traini perché sarei costretto a lamentarmi. Le faccio notare, onorevole Butti, che Biagi è presente sulla prima rete fin dai tempi della presidenza della signora Moratti e quindi la collocazione della sua trasmissione non può essere letta come un «dispetto» fatto da questa gestione. Considero Biagi un maestro di giornalismo ed ho con lui rapporti amichevoli ed assolutamente corretti; ho sempre detto che trovo sbagliato sovrapporre informazione ad informazione e già alcuni anni fa dissi che sarebbe stato più giusto collocare la trasmissione di Biagi in coda o al TG2 o al TG1, comunque ove non rappresentasse una scelta sullo stesso terreno, quello dell'informazione, perché potenzialmente entrambi abbiamo la possibilità di avere un ascolto maggiore. Ribadisco, però, che quello che io definisco un errore, e non certo per la qualità del programma di Biagi, esiste da cinque anni e quindi non è attribuibile all'attuale gestione della Rai.
Per quanto riguarda il futuro, mi rimetto alle scelte dell'azienda e vi faccio notare che le difficoltà di traino sono dovute anche alla circostanza che Raidue ha cambiato spesso obiettivo: la ricerca di un pubblico completamente diverso comporta una trasformazione assoluta dei palinsesti e Raidue è alla difficile ricerca di un nuovo equilibrio; alcune cose vanno molto bene, altre molto meno. Vi assicuro che chiunque dovesse trovarsi di fronte ad un compito di questo genere si troverebbe a dover fronteggiare notevoli difficoltà. Se guardate bene il palinsesto, c'è molto di buono e ci sono anche molti errori, così come avviene nel telegiornale.
Relativamente alla questione del sindaco candidato premier, ne parlo se fa notizia: se a Roma succede qualcosa di importante, non presto attenzione al fatto che Rutelli sia anche candidato premier e confido nel fatto che i leader fanno notizia un certo numero di volte a settimana (potrei esibire una statistica in proposito). Per esempio, il centrosinistra pensa che Berlusconi parli in continuazione: vi assicuro che egli parla, quando decide, un paio di volte a settimana, e lo stesso discorso vale per i grandi leader del centrosinistra; Veltroni non è un chiacchierone e lo stesso vale per Rutelli. Naturalmente chiacchiereremo tutti di più in prossimità delle elezioni.
Al senatore De Guidi dico che temo egli faccia un po' di confusione tra il programma e l'informazione. Premesso che egli ha perfettamente ragione quando afferma che talvolta la qualità va a scapito dell'ascolto, non ci sono più programmi politici urlati, l'unico programma politico


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che esiste oggi è Porta a porta, che non ha la caratteristica di dar fiato agli urlatori e che generalmente offre un confronto sereno dove tutti hanno la possibilità di parlare; in tal senso esso è rigorosamente legato alla par condicio anche quando non vi è necessità di applicarla.
Per quanto riguarda noi, l'unico programma in cui potremmo fare comunicazione politica è Dossier, non disponiamo di programmi in cui il confronto politico avvenga con frequenza e periodicità.
Da ultimo, ribadisco una circostanza importante di cui, a mio giudizio, dovreste tener conto: io non vivo con l'angoscia del cronometro, non ce l'ho più da molti anni. Poiché ho creduto di fare decorosamente il mio mestiere anche nel 1994 e nel 1995 e venivo continuamente bacchettato, successivamente non ho cambiato atteggiamento. Probabilmente adesso si guarda con maggiore serenità a questo aspetto e d'altra parte il mio sport preferito non è quello di mantenere la poltrona attuale né di sognarne altre.

ANTONINO RIZZO NERVO, Direttore del TG3. Vorrei innanzitutto rispondere al senatore Rogna che ieri mi ha posto una domanda sull'informazione regionale in occasione dell'alluvione che ha colpito il Piemonte e la Valle d'Aosta. Credo che in tale occasione la funzione di informazione di servizio non sarà forse stata esaustiva come molti avrebbero voluto, ma per la prima volta, anche in relazione al processo ormai completato di unificazione della testata, ha funzionato meglio di altre; basti considerare che per la prima volta sono state autorizzate edizioni straordinarie regionali, cosa che in passato non era mai avvenuta. La Valle d'Aosta ha fatto 14 edizioni straordinarie di telegiornale e 7 di giornale radio; tra l'altro, in quella realtà abbiamo usato maggiormente la radio perché, trattandosi di una comunità più piccola, abbiamo pensato che la radio fosse il mezzo più idoneo per dare informazioni. Dal canto suo, il Piemonte nei primi due giorni ha trasmesso tre edizioni straordinarie legate alle informazioni di servizio, perché sulle informazioni complessive le edizioni straordinarie sono state fatte a turno e a livello nazionale. Inoltre, per il lunedì ed il martedì successivi abbiamo smontato il palinsesto del mattino ed abbiamo trattato in una delle nostre trasmissioni, Diretta Italia, esclusivamente i problemi legati all'alluvione. Non lo dico per rivendicare un'informazione fatta in maniera esauriente, ma certamente essa ha rappresentato per la prima volta (spero che non vi sia più una simile necessità) un intervento diverso rispetto al passato, dando più spazio, anche in relazione alle rigidità del palinsesto che ci avevano sempre condizionati, a questo tipo di informazione. Tra l'altro, su iniziativa del caporedattore di Aosta, per tutta la giornata, quando la protezione civile ce lo chiedeva, mandavamo informazioni con scritte in sovrimpressione anche sui normali programmi di rete.
Relativamente alle questioni poste questa mattina, condivido quanto detto dal senatore Falomi: non v'è dubbio, e di qui le lamentele talvolta giustificate dei cosiddetti partiti minori non rappresentati nei due grandi poli, che questi ultimi finiscono per schiacciare le posizioni delle forze politiche minori. Ciò avviene soprattutto rispetto ad un'abitudine che non condivido della nostra informazione, ma che diventa necessaria rispetto al pluralismo: mi riferisco al pastone politico, che è la cosa più antica ma che ci consente di rappresentare le posizioni di tutti, ed il problema riguarda anche forze politiche che appartengono ai due blocchi; i Verdi, ad esempio, partecipando poco al dibattito di politica generale e preferendo invece assumere iniziative su temi, finiscono per essere meno presenti nel pastone politico.
Avendo visto una dichiarazione del partito radicale di questa mattina che mi accusa di essere falsario, debbo dire che il linguaggio colorito dei radicali mi piace molto, apprezzo la vivacità e l'informalità delle loro dichiarazioni, ma debbo dire di non essere abituato a falsificare nulla e di non aver falsificato alcun dato: mi sono limitato ieri a fornire i dati, che non so se siano esatti, ma sono quelli che vengono


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riconosciuti come ufficiali, dell'Osservatorio di Pavia, dati che consegno alla presidenza confermando che, nel periodo 16 luglio-6 ottobre, al TG3 per quanto riguarda le interviste lo spazio dato ai radicali è stato del 3,51 per cento, mentre invece contando notizie e servizi senza interviste è stato del 2,71 per cento, pari a 12 minuti e 35 secondi. Ripeto che la fonte è l'Osservatorio di Pavia e che personalmente non ho la possibilità tecnica di verificare se questi dati siano erronei, prendo atto di essi, noi li consideriamo uno strumento di lavoro, che oggi è però l'unico momento di riferimento per dare una valutazione, seppure solo quantitativa.
Il senatore Costa ci ha chiesto suggerimenti idonei a rimuovere la soggezione dei giornalisti. Non so se tale soggezione vi sia, sicuramente qualcuno ne ha di più, qualcuno meno, qualcuno non ne ha affatto, però, secondo me, il problema è complessivo e forse riguarda soltanto il giornalista che dovesse schierarsi, un atteggiamento che nel servizio pubblico è sicuramente illegittimo.
Sostengo sempre che l'autonomia dalla politica dipende molto dalla politica, perché è quest'ultima che fa le leggi e che decide come regolare il settore. Sono spesso indotto a riflettere (ma non è una critica al senatore Costa) quando la politica introduce leggi che consentono poca autonomia dalla politica stessa e poi rivendica che il sistema sia autonomo dalla politica. L'autonomia è in primo luogo nelle mani della politica. Pertanto in questo momento non mi interessa stabilire se il metodo di nomina del consiglio sia quello giusto o se ve ne possa essere uno migliore; credo che il primo soggetto a doversi porre il problema dell'autonomia del servizio pubblico dalla politica debba essere la politica stessa. Noi, come operatori del servizio pubblico, non possiamo dare un suggerimento o una soluzione al problema.
L'onorevole Butti ha sollevato una questione personale. Io ebbi la fortuna di essere assunto come praticante a diciotto anni, per cui svolgo questo lavoro dal 1971. In questi 29 anni ho presentato una sola querela (che ho vinto), quindi non sono una persona dalla querela facile; tra l'altro, ho sottoscritto recentemente la campagna de Il foglio per l'eliminazione delle numerose querele che invece contro di noi vengono quotidianamente presentate. Poiché a mio avviso il valore della persona prescinde dalla differenziazione politica o da quella che si presume possa essere una differenziazione politica, vorrei che si uscisse da un equivoco e questo lo chiedo alla politica. Tra l'altro, sono laureato in scienze politiche con una tesi in diritto parlamentare, quindi conosco perfettamente l'insindacabilità degli atti ispettivi, se rimangono atti ispettivi negli interna corporis della Camera o del Senato, ai quali io quotidianamente - perché le interrogazioni sono numerose - rispondo in maniera molto neutra ed asettica, fornendo giustamente gli elementi di conoscenza. Ma se l'atto ispettivo diventa il pretesto per fare un comunicato d'agenzia che inizia con le parole «Rizzo Nervo ci è ricascato», credo che si tratti della legittima presa di posizione di un parlamentare, il quale tuttavia non può oggi sostenere che Rizzo Nervo ha minacciato querela rispetto ad un atto ispettivo. Sappiamo quanto sia delicato il mondo della comunicazione. L'unico modo da parte mia di replicare ad un atto ispettivo reso pubblico era rappresentato da una comunicazione pubblica; successivamente ho consegnato le cassette all'ufficio affari legali della Rai, il quale ha ravvisato gli estremi della querela, con la quale io querelo non il parlamentare Butti rispetto ad un atto insindacabile, ma il cittadino Butti, che a mio giudizio ha utilizzato un atto ispettivo per condurre un altro tipo di attacco alla persona.

PRESIDENTE. L'atto ispettivo è comunque un atto pubblico.

ANTONINO RIZZO NERVO, Direttore del TG3. Non vi è dubbio (Commenti del deputato Butti). Credo che l'atto ispettivo contenga la dichiarazione «Rizzo Nervo ci è ricascato». Io non ho presentato querela,


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ho sottoposto la questione all'ufficio affari legali.
Quello posto dall'onorevole Butti per quanto riguarda il TG3 è un problema serio, che oggi casualmente può riferirsi a Rutelli sindaco di Roma e candidato Primo ministro, mentre domani potrà riguardare qualunque altro candidato a qualsiasi carica politica che nel frattempo ricopra invece una carica amministrativa. La questione è ancora più delicata per noi che non facciamo soltanto informazione nazionale (nella quale seguiamo i criteri, per me sacri, della notizia e della «notiziabilità» - come si dice utilizzando un brutto termine - dell'evento che descriveva Clemente Mimun) ma ci dobbiamo porre anche il problema dell'informazione regionale. Non so come risolvere la questione; considero sbagliato e disequilibrato fare una sovraesposizione di Rutelli come sindaco quando non c'è notizia, ma sarebbe altrettanto sbagliato per i cittadini di Roma se per sette mesi, sino a quando Rutelli resterà in carica, non si parlasse più del sindaco e dell'attività da questi svolta. È difficile che anche questi problemi possano essere risolti da noi; sarebbe forse preferibile che la politica decidesse domani che un amministratore che si candida si deve dimettere nel momento in cui annuncia la propria candidatura e non quando vengono depositate le liste. Non vorrei che ci venissero addossate responsabilità riconducibili a lacune della legge. Francamente è impossibile che io possa dare una direttiva oggi alla redazione del Lazio o domani ad un'altra redazione; visto che il sindaco si è candidato, a questo punto posso dire di trattarlo con quell'equilibrio e quella pluralità di posizioni che la Rai ha sempre rappresentato. Si tratta di un problema complesso, del quale non ho la soluzione.
Per quanto riguarda Di Pietro, D'Antoni e la Margherita, credo che sino ad oggi Di Pietro che si sgancia dal centrosinistra, D'Antoni che entra in politica e la Margherita siano stati trattati (non solo da parte delle testate Rai, ma credo anche dalle testate televisive private) come notizie e per il valore della notizia politica. La Commissione è sovrana, ma io eviterei disposizioni dettagliate, perché il rischio è di trasformare l'informazione politica in comunicazione politica; voi conoscete benissimo la differenza tra informazione e comunicazione politica.
Quanto all'osservazione del senatore De Guidi su ascolto e qualità, condivido le considerazioni di Clemente Mimun. Non mi sembra che nei telegiornali rappresentiamo risse tra i politici, a meno che la rissa non vi sia stata e sia diventata essa stessa un fatto di cronaca. Sono d'accordo che sarebbe sbagliata la ricerca dell'ascolto a detrimento della qualità e quindi la ricerca dello scontro per lo scontro; però credo che fino a questo momento ciò non possa riguardare i telegiornali.

ANGELA BUTTIGLIONE, Direttore delle Tribune e servizi parlamentari. Quanto al problema dei nuovi format per la comunicazione politica in periodo non elettorale, in questa fase mi dichiaro sconfitta, nel senso che, pur avendo lavorato in tal senso, con tutto l'appoggio sia dell'ufficio di presidenza sia della relatrice, per come è formulata la legge non è stato possibile definire un format differente che ci consentisse di sperimentare alcunché. Ci torneremo, non ci arrendiamo; vedremo se sarà possibile farlo in seguito.
Per quanto riguarda l'autonomia di questa direzione in merito alla collocazione in palinsesto dei nostri prodotti, noi, esattamente come gli altri, possiamo discutere con i direttori dei palinsesti, con i direttori di rete, possiamo combattere, a volte vinciamo, molto più spesso perdiamo; però devo dire che in quattro anni gli spostamenti effettuati rispetto agli orari ereditati sono stati tutti molto fruttuosi per la testata. Quest'anno, ad esempio, l'informazione pomeridiana è stata spostata ed ha quasi triplicato lo share e quasi raddoppiato l'ascolto; di ciò sono molto soddisfatta. È ovvio che noi cerchiamo di confezionare un prodotto che sia adatto per quell'orario. La grossa fatica giornalistica è stata quella, perché


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poi grande autonomia non ne abbiamo, siamo sempre nei binari della legge; cerchiamo tuttavia di «rosicchiarla» in modo tale da andare a vantaggio della professione e del pubblico che ci segue. A mio avviso darà buoni frutti anche lo spostamento della rubrica Giorni d'Europa dall'orario pomeridiano, che ci costringeva a fare un tipo di informazione più adatta al pubblico di quell'orario, ad una fascia serale, anche se in tarda serata, che ci consente di affrontare temi più politici e più interessanti.
Per ciò che riguarda globalmente questo tipo di informazione, devo dire che ci lavoro da quattro anni e ci credo molto. Certamente occorre però una grossa riflessione della politica e della Commissione, perché i lacci, i binari sono molto stretti; se nel prosieguo sarà possibile allargarli, allentarli, forse riusciremo a dare una migliore informazione e a coniugare ascolto e qualità. Sono infatti convinta che più alta è la qualità più alto è l'ascolto; da questo non mi smuovo. A volte - consentitemelo - ritengo che gli ultimi rimasti a credere veramente nel servizio pubblico e nella qualità siano gli operatori della Rai. Saremo forse pochi, però ci crediamo; alcuni di noi - ed io sono tra loro - ci hanno speso una vita.

PRESIDENTE. Il vertice non si sa...!

ANGELA BUTTIGLIONE, Direttore delle Tribune e servizi parlamentari. È ovvio che ci deve credere anche il vertice, perché la strategia è del vertice; quindi io non posso rispondere.

PRESIDENTE. Glielo chiederemo quando verranno in Commissione; abbiamo qualche dubbio in proposito.

ANGELA BUTTIGLIONE, Direttore delle Tribune e servizi parlamentari. Mi sento in coscienza di spendere invece una parola per chi lavora nell'azienda. Lo ribadisco, in alcuni periodi abbiamo avuto la netta sensazione di essere rimasti gli ultimi giapponesi nella giungla a non sapere che la guerra era finita.

PAOLO RUFFINI, Direttore del GR. Al senatore Costa rispondo che la mia opinione personale è che si debba cercare di rovesciare il modo d'intendere il servizio pubblico: se lo si continua ogni tanto a ritenere come un qualcosa che finisce con l'essere residuale, senza tenere conto che se è di qualità può realizzare grandi ascolti, alla fine si imposta un discorso di subalternità.
Per quanto riguarda i rapporti tra informazione e politica, ritengo che tutti debbano cercare di avere un reciproco rispetto per la buonafede gli uni degli altri, sia di chi fa informazione sia a volte di chi giudica l'informazione. Mi riconosco in pieno in quanto testé osservato dalla collega Buttiglione: credo che da parte dei giornalisti Rai vi sia molto più sforzo di non essere faziosi di quanto spesso non si ritenga e ciò andrebbe riconosciuto. Vorrei partire proprio da questo nel rispondere all'onorevole Butti. Credo che l'aver definito «veltroniano di ferro» un collega che non so se lei conosce personalmente, ma che certamente non si riconosce in questa definizione, non renda un buon servizio ad un rapporto onesto e leale...

GIUSEPPE GIULIETTI. Vorrei sapere il nome! Sono molto interessato a questo!

PRESIDENTE. Onorevole Giulietti, chiedo scusa ma mi è sfuggito, altrimenti avrei chiesto io all'onorevole Butti di non attribuire etichette a giornalisti (Commenti del deputato Giulietti). Ho detto che è colpa della presidenza, che non ha ascoltato, altrimenti il presidente sarebbe intervenuto.

PAOLO RUFFINI, Direttore del GR. L'onorevole Butti ha posto una serie di domande sulla radio su alcune delle quali sono competente a rispondere; riguardo a quelle su cui non ho competenza, dirò comunque il mio pensiero, che però vale quel che vale. L'unificazione dei giornali radio è avvenuta prima che io arrivassi in Rai e non mi risulta che vi siano progetti d'intervento sull'unificazione della testata


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informativa. Non è vero che dal marzo 1994 gli ascolti sono costantemente calati, vi è stato un andamento altalenante e anche in questo caso bisogna vedere a cosa si faccia riferimento: se ci si riferisce ai giornali radio, essi non hanno avuto una diminuzione di ascolti; vi sono stati problemi che hanno riguardato singolarmente le reti (non ho i dati, ma essi sono pubblici e quindi si possono tranquillamente interpretare) e che hanno a che fare certamente molto con il prodotto, ma anche con altri problemi che lo stesso onorevole Butti ha sottolineato, di cui onestamente non credo sia la Rai la prima responsabile. Il problema delle frequenze, come sapete, riguarda l'Authority ed ha riguardato la regolamentazione delle frequenze radiofoniche, una situazione da Far west molto maggiore di quella delle frequenze televisive e nella quale la Rai ha le mani legate. Non sono competente per questo settore però, come si può intuire, è un argomento che è stato molte volte sollevato da me e da altri direttori di reti radiofoniche e la cui responsabilità non risiede in ambito Rai; peraltro, come è ovvio, è un problema che ha molto a che fare con gli ascolti: se la signora Maria, che lei ha portato ad esempio, non riesce più a prendere le frequenze di radio Rai può darsi che trovi altre radio. Nel frattempo sono nate altre radio che hanno occupato spazi più commerciali o che hanno sfidato la Rai sul proprio terreno, quello dell'informazione e quindi è anche probabile che una parte di questi ascoltatori potenziali si sia nuovamente suddivisa secondo un'offerta che è anche figlia del modo in cui le frequenze sono distribuite. Tra l'altro, è noto che vi è un problema riguardante il Far west della modulazione di frequenza, ma uno si pone anche per l'onda media: neppure in questo caso sono io titolare di tale responsabilità e quindi potrete assumere informazioni più autorevoli altrove, ma alcune delle circostanze che sono state contestate alla Rai e che hanno a che fare con l'inquinamento elettromagnetico, che ha portato fino a spegnere un ripetitore dell'onda media a Roma, hanno a che fare con lo sviluppo dell'Italia, con le antenne che esistevano prima che fossero costruite le case, che poi hanno avuto la sanatoria e che sono soggette a maggiori rischi. Quello delle frequenze è pertanto un problema la cui responsabilità ricade quasi più sulla politica che non su chi opera in azienda.
Per quanto riguarda i giornali radio che secondo l'onorevole Butti sarebbero omogenei, uguali, piatti, io non ho lo stesso giudizio; credo che in questo caso si debba fare un discorso di compatibilità di risorse umane e quindi di differenziazione di prodotti (non sono il padre dell'unificazione e quindi lo dico essendo arrivato dopo). Onestamente non credo che i GR3 siano uguali ai GR1, non è vero; se si ascolta il GR3 delle 8.45 e il GR1 delle 8 si coglie una diversità totale, non ci sono pezzi uguali. Anche tra i GR2 del mattino e i GR1 della stessa fascia oraria vi è una diversità sostanziale, quasi totale, con gradi di omogeneità analoghi a quelli che probabilmente si possono riscontrare nei telegiornali perché le testate sono uniche, perché i corrispondenti sono corrispondenti di azienda e quindi un certo grado di omogeneità è anche difficile da rimuovere. Viene comunque compiuto lo sforzo di diversificare per caratterizzazione di rete e per target editoriali, come ho detto anche ieri.
Quanto all'organizzazione interna dei giornali radio, vi sono sei vicedirettori, tra i quali due vicari nominati da me l'anno scorso; in precedenza non vi erano vicari, ve ne erano di un altro direttore e quindi, poiché quello vicariale è un rapporto fiduciario (sono entrato in azienda non avendo vicari, proprio perché il compito è abbastanza oneroso), ad un certo punto ho pensato fosse utile nominare due persone che non sono assolutamente incasellabili in alcuna logica di appartenenza politica. Credo che al presidente Landolfi sia sfuggita anche l'etichettatura che è stata data all'altro vicedirettore vicario facendo riferimento ad una sua precedente direzione, in epoca ormai molto lontana, de La Voce repubblicana.


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ALESSIO BUTTI. Ha fatto o no il direttore di questo giornale di partito?

PAOLO RUFFINI, Direttore del GR. Lo ha fatto, ma citarlo in questo contesto a me pare - ma posso sbagliare - che serva a tentare delle incasellature ...

ALESSIO BUTTI. Cito quello che credo di dover citare.

PRESIDENTE. Chiedo scusa ma, se fa parte del curriculum di un giornalista, non c'è niente di male: io provengo da Il Secolo d'Italia, se domani dovessi andare alla Rai non troverei nulla di male se qualcuno se ne ricordasse. Attribuire etichette facendo riferimento a persone, a leader, a generali di ferro, di bronzo o di latta è una cosa che non sta bene e che ho stigmatizzato.

PAOLO RUFFINI, Direttore del GR. Prendo atto seriamente che non è stata citata la precedente direzione di Andrea Valentini a La Voce repubblicana come un incasellamento politico, ma come un dato del suo curriculum professionale.
Dicevo che i due vicedirettori vicari non rispondono a logiche di partito, così come alcuno dei vicedirettori del giornale radio, perché questo è l'unico modo per difendere l'autonomia delle testate dalla politica, chiedendo a chiunque faccia informazione al servizio pubblico di rispettare l'obiettività e la verità dei fatti.
Visto che la domanda era molto specifica e che non intendo omettere alcuna risposta, in merito alle deleghe faccio presente che il vicedirettore Valentini è vicario con delega sui palinsesti, sul GR Parlamento e sulla gestione del personale, mentre il vicedirettore Masullo è vicario per il coordinamento dei nostri prodotti e la musica.
Gli altri vicedirettori hanno deleghe per fasce orarie - alba, centro e sera - o altri tipi di contenitori che riguardano la line sociale (è il caso del vicedirettore Lonardi). Antonio De Martino è il vicedirettore con delega all'alba, Innocenzo Cruciani ha la delega per la fascia centrale, mentre Giuseppe Grandinetti ha quella per la fascia serale.
Per quanto riguarda Radio anch'io credo di poter dire con tutta onestà che non risponde al vero che tale trasmissione non cerchi, nei limiti del possibile, di essere sempre equilibrata, non soltanto quando abbia leader politici come ospiti unici (caso in cui vi è un equilibrio tra esponenti dei vari schieramenti), ma anche quando tratta singoli temi. L'ultimo esempio risale a ieri, quando la trasmissione si è occupata di licenze UMTS: c'era un sottosegretario per le comunicazioni e c'era l'onorevole Tremonti che sosteneva una posizione avversa al Governo. Lo stesso credo di poter dire per i servizi della redazione politica: non vi sono alcuna direttiva né alcuna prassi ricorrente sul fatto di fare in modo che il gioco delle battute, degli inserti sonori dei politici risponda ad una logica per cui l'ultima battuta è quella che conta; sarebbe talmente faticoso interpretare una direttiva di questo genere che non ce la faremmo sicuramente. L'unica direttiva impartita dalla direzione tutta al capo della redazione politica è di essere il più possibile - come diceva il direttore del TG1 per approssimazione alla verità, che naturalmente nessuno di noi ha in tasca - obiettivi in uno sforzo di racconto obiettivo dei fatti.

PAOLO ROMANI. Quello a cui partecipiamo è un dibattito stanco, stanchissimo, e devo dire di non aver neppure capito il motivo per cui siamo riuniti; comunque, mi sembra che ci siamo raccontati cose sulle quali francamente ho una certa pigrizia ad intervenire.

PRESIDENTE. Non è certo obbligatorio!

PAOLO ROMANI. Proprio per combattere questa pigrizia, vorrei utilizzare il mio intervento per parlare di cose concrete.
Penso che il mestiere svolto dai direttori presenti sia il più infame che ci possa


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essere in Rai, costretti e stretti come sono dalla politica che comunque interferisce, l'Osservatorio di Pavia, la legislazione che li obbliga a fare servizio pubblico quando ancora non si è capito esattamente cosa sia e giustamente prima Rizzo Nervo ricordava che un'operazione di servizio pubblico è costituita dalle edizioni straordinarie dei telegiornali regionali della Valle d'Aosta e del Piemonte, che sono anche informazione di servizio, nonché il rispetto del pluralismo per cui alla fine si perde completamente di vista la qualità dell'informazione, che poi è l'unico punto su cui immagino si giochi la professionalità di chi dirige il telegiornale. La qualità dell'informazione, ovvero la qualità, è sostanzialmente un'informazione informata, nel senso che la qualità risiede proprio nella capacità di essere in presa diretta su un avvenimento, questo è ciò che penso venga richiesto ad un telegiornale ed è anche l'unica cosa che ci interessa come cittadini utenti ma anche come parlamentari. Quindi, il vostro è certamente il mestiere più infame che vi possa essere perché la categoria finale che ho appena descritto è l'ultima in ordine di priorità rispetto alla tradizione della Rai e dei rapporti tra questa e la politica.
Vorrei sapere perché dobbiamo sempre guardare la CNN per vedere Eltsin che prende a cannonate il Parlamento, perché dobbiamo sempre guardare un'altra televisione per sapere esattamente quando sono partiti gli aerei italiani per bombardare la Serbia e nessuno ci ha detto che erano già partiti. Ricorderete la Somalia, quando per la prima volta in un evento di guerra che ha coinvolto il nostro paese hanno ucciso quattro nostri soldati: ricordo un collegamento sciagurato in cui il servizio non andò in onda e se ne parlò il giorno dopo. Era il 1992, erano morti quattro nostri ragazzi, ma non si seppe nulla fino al giorno dopo solo perché non si riuscì a mandare in onda il servizio. Perché nel 1994 - per fortuna nel 2000 non è accaduto - quando morì il doppio delle persone nell'alluvione, il collegamento con Torino delle ore 18 fu del seguente tenore: ci colleghiamo con Torino, sentiamo a che punto è l'alluvione, sono morti in 54, i servizi seguiranno e a Roma, essendo domenica, passarono ai goal delle partite. Feci un salto sulla sedia chiedendomi per quale straordinario motivo nessuno in Rai avesse la sensibilità di capire che stava succedendo una tragedia. Scoprimmo tutti, dopo ventiquattro ore, che la maggior parte delle città piemontesi era sotto un mare di fango.
Ricordo che nel 1989, quando Raitre era molto più «kabulista» di oggi e stava cadendo il veterocomunista per eccellenza, Ceaucescu, il TG3 realizzò dei servizi entusiasmanti, eccellenti, in diretta dalla Romania e da Bucarest, abbiamo avuto l'assalto della folla, dell'opposizione al Parlamento serbo, alla televisione, e non siamo riusciti a collegarci in diretta; ed era ampiamente previsto che sarebbe accaduto qualcosa. Questi sono i problemi esistenti in Rai. Non si capiva che cosa sarebbe accaduto e la Rai è come se avesse censurato il problema. Mi chiedo come mai un servizio pubblico, con le capacità e le risorse tecniche e finanziarie di cui dispone, non sia stato in grado almeno in quell'occasione di essere presente in diretta ad un avvenimento eccezionale: non stiamo parlando di Timor Est, stiamo parlando della Jugoslavia, che dista 300 chilometri da casa nostra.
Voglio tralasciare tutto il resto: condivido tutte le parole che sono state spese dai direttori sulla difficoltà di fare questo mestiere in presenza di una politica che opprime, di una legislazione non chiara, del rispetto del pluralismo, di quei maledetti contasecondi dell'Osservatorio di Pavia. Mi rendo conto di tutto, ma non di come non si riesca in Rai ad avere la capacità tecnica di essere presente sul fatto. Sulla vicenda drammatica, vile, incredibile, vergognosa della lettera del corrispondente Rai a Gerusalemme, ho capito dopo perché si era verificata: perché avevate mandato un ebreo ed un palestinese, cioè avevate applicato anche in quel caso la par condicio che, scusatemi, è l'antitesi del giornalismo. Mandiamo a Gerusalemme una persona neutra, un pakistano, ma non un palestinese ed un


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ebreo, perché ciò significa attivare una serie di meccanismi. E considero la lettera - non tanto per la delazione - l'antitesi del giornalismo.
Se in Rai esiste, dunque, una cultura che consente questo tipo di interventi, ciò significa che qualcosa non funziona nella filosofia e nella capacità di fare informazione nella maniera che noi auspichiamo. Ho l'impressione che questo sia il vero problema che oggi dobbiamo affrontare, se vogliamo compiere un salto di qualità ed uscire da questo dibattito stanco, corrotto, sbriciolato sui rapporti tra politica e telegiornali.
Mi sono anche sorpreso del fatto che i direttori non abbiano preso una posizione. Se fossi stato un direttore di telegiornale, non avrei voluto più quella persona come giornalista, ritenendo inammissibile, in nome della qualità dell'informazione, che un mio giornalista potesse fare una cosa del genere. Sarebbe stata cioè opportuna una presa d'atto pubblica rispetto a un fatto del genere.
Mi risulta che Piemonte, Emilia e Molise, a differenza di tutte le altre regioni, non stiano accettando, non so per quale ragione, i messaggi autogestiti dei tre minuti; queste tre regioni accettano i messaggi autogestiti al limite del minuto e mezzo. Poiché i format sono uguali per tutti e immagino anche per voi, so che in maniera autonoma hanno deciso che ciò non debba avvenire. Vi pregherei di intervenire in proposito; si tratta di un problema tecnico, che tuttavia pongo in questa sede autorevolissima ritenendo che si possa intervenire.

GIOVANNA BIANCHI CLERICI. A differenza del collega Romani, il quale considera questo dibattito un po' stanco e stantio, forse perché si occupa della materia da molti anni, io continuo invece a ritenere che il rapporto tra la comunicazione e i cittadini sia assolutamente delicato, probabilmente irrisolvibile (non riusciremo mai a trovare una ricetta che chiarisca ogni dubbio ed ogni equivoco), però di importanza vitale per l'assetto democratico.
Sulla base della poca esperienza che ho maturato in Commissione in questi mesi, mi sono resa conto che finché rimaniamo nell'ambito della comunicazione politica, quella disciplinata per legge e regolamentata, così come abbiamo recentemente fatto per le tribune tematiche e per i messaggi autogestiti cui accennava il collega Romani, con molte difficoltà, molti compromessi e molte forzature, bene o male una soluzione la si individua. A tale proposito, voglio dare atto pubblicamente alla dottoressa Buttiglione e ai colleghi di avere tutti collaborato per riuscire a trovare una soluzione, che non è purtroppo quella innovativa, «rivoluzionaria» che avremmo tutti voluto, ma che comunque soddisfa gli obblighi di una legge peraltro brutta, fortemente inapplicabile. Infatti i compromessi che tutti abbiamo dovuto accettare sono stati molti e molto pesanti dal vostro punto di vista, quindi della qualità e della possibilità di dare messaggi accattivanti per il pubblico più vasto. Quando invece entriamo nel campo dell'informazione, è ovvio che entrano in gioco la discrezionalità e l'autonomia professionale degli operatori, dei giornalisti e di tutti coloro che lavorano nel campo. E qui arrivano i guai, perché ovviamente ogni parte politica spesso e volentieri si sente discriminata, mentre voi, giustamente dal vostro punto di vista, rivendicate la massima autonomia: prima il direttore Ruffini parlava della difesa dell'autonomia dalla politica, un concetto molto chiaro che lascia trapelare le vostre preoccupazioni.
Lo ribadisco, sono perfettamente consapevole delle difficoltà che incontrate nello svolgere quel ruolo, mi rendo conto che i principi cui dovete obbedire sono quelli del fornire informazioni tempestive su fatti che siano di rilevanza per la vita comune. L'unico aspetto sul quale credo vi sia possibilità da parte vostra di intervenire sono le modalità con cui l'informazione viene data, cioè la scelta delle immagini, degli atteggiamenti che il giornalista adotta all'interno dei servizi o nello snocciolare le notizie. Con il dottor


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Rizzo Nervo, che era presente la scorsa estate in un dibattito che abbiamo svolto, avevo già sollevato questo problema.
Posso citarvi anche un caso concreto di una situazione che conosco molto bene, quella del mio partito, la Lega nord. Da sempre, da quando la Lega nord è nata, assistiamo a servizi televisivi su di noi in cui si mostra regolarmente il personaggio folcloristico vestito magari in maniera un po' strana, si fanno parlare persone che vengono alle nostre manifestazioni, si avverte quasi la volontà di calcare la mano su questi atteggiamenti di folclore. Ciò a volte può essere giusto e può consentire di dare l'esatta rappresentazione di un movimento politico; ma, se ripetuto costantemente, un tale atteggiamento dà al cittadino un'impressione che a mio giudizio non rispecchia la realtà dei fatti. Ripeto, sarebbe molto più interessante da parte nostra sentir parlare esponenti politici, amministratori, sindaci, che non vedere sempre il solito personaggio un po' folcloristico che voi mandate in onda. Ciò vale per noi ma anche per altre situazioni. Probabilmente i radicali hanno lamentato anche questo fatto nell'incontro che hanno avuto con il presidente della Commissione. Credo sia questa la vera leva su cui sia possibile agire.
Vorrei inoltre ricordare al dottor Rizzo Nervo, in tutta simpatia, che egli questa estate mi aveva promesso una risposta ad una questione che io avevo denunciato su un atteggiamento che era stato tenuto. Non ho mai ricevuto quella risposta e mi piacerebbe averla, per correttezza di rapporti. Desidero anche ricordargli che l'ufficio stampa del mio partito afferma di notare un sostanziale ostracismo nei confronti della persona dell'onorevole Bossi nei telegiornali di Raitre, ostracismo che invece non viene riscontrato nelle altre testate. La prego di farmi avere una risposta anche a tale riguardo.
Al direttore del TG1, ed ovviamente anche al dottor Rizzo Nervo, chiedo cosa stiano facendo in questo momento i giornalisti che sono stati implicati nel caso della trasmissione di immagini sulla pedofilia, tenuto conto che, nel caso del TG1, abbiamo avuto le dimissioni del direttore. Vorrei sapere di cosa si stiano ora occupando quei giornalisti e quali incarichi siano stati loro assegnati.
Desidero esprimere apprezzamento nei confronti della programmazione di Rai News, perché, anche se ho avuto poche occasioni di seguirla, mi pare che siamo sulla strada di un'informazione molto immediata, molto veloce, sul modello CNN, che credo sia una cosa utile anche in Italia, dove siamo molto in ritardo.
Al direttore della testata radiofonica vorrei chiedere, anche se forse tale aspetto non è di sua competenza, se sia possibile semplificare e rendere più agevole l'informazione sul traffico stradale. So che la questione è molto complessa e che esistono intrecci di competenze, ma credo si tratti di un'esigenza avvertita dagli automobilisti, molti dei quali sono indotti ad utilizzare invece una radio locale, che nell'ambito di quel territorio è in grado di dare informazioni in tempo reale, a differenza di quanto purtroppo accade per le vostre testate, per Isoradio e così via.
Esprimo un'osservazione sui notiziari regionali di Raitre: magari per carenza di struttura, forse sono un po' troppo «capoluogocentrici». Conosco solo quello della Lombardia, che è la mia regione, e talvolta mi capita di vedere quello del Lazio: ovviamente molto spazio è dedicato a Milano e a Roma. Sarebbe interessante uno sforzo sulle tematiche politiche, culturali e sociali delle altre province, soprattutto in regioni grandi come la Lombardia ed il Lazio. Nel caso della Lombardia, si tratta di più di 9 milioni di abitanti, per cui è ovvio che questo telegiornale risulti un po' carente su quel tipo di informazione.

GIUSEPPE GIULIETTI. Chiedo scusa al presidente e al collega Butti per essermi irritato, ma penso che in Commissione dobbiamo avere tutti un grande rispetto reciproco, perché, se iniziamo un dibattito sull'appartenenza dei direttori e dei giornalisti, faccio presente che la sinistra sulla Rai ha molte cose da dire; e il fatto che io spesso non le manifesti non va inteso


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come un elemento di gentilezza, ma è semplicemente perché preferisco ragionare d'altro. Non mi sfugge il progressivo modificarsi della natura della Rai in questi mesi, non mi sfugge il ruolo preponderante dei direttori di divisione e di rete; noi parliamo sempre dei TG e ci sono fatti nuovi. C'è il dottor Brugola che viene da Mediaset, un grande professionista che si offenderebbe a sentirsi dichiarato uomo di sinistra; uomo molto legato al presidente Confalonieri, lo ha sempre detto. C'è un forte trasferimento di personale da Mediaset: non l'ho mai contestato, purché poi la si smetta di giocare, perché non è che alcuni stanno su Marte ed altri denunciano. Mi è chiara la situazione delle testate e delle reti. Credo quindi che questo non sia un terreno consigliabile, perché altrimenti entriamo in un campo in cui ciascuno deve attaccare; infatti, se c'è un fatto chiarissimo negli ultimi mesi, è che quasi tutte le donne e tutti gli uomini della sinistra hanno abbandonato direzioni di rete e di testata. Mi è stato spiegato che ciò è avvenuto per ragioni professionali; io, che sono uno che ancora ci crede, ragiono di questioni professionali. Però deve essere un metro che adottiamo tutti perché, se vogliamo invece parlare di fattori di esclusione o di assenza di pari opportunità, sono pronto ad un dibattito, in questa ed in altra sede, con i direttori di divisione e di rete, che non possono essere sempre assenti. I TG, le tribune, la radio sono sempre presenti, ma la politica si fa nelle reti; è nelle reti che passa la maggior parte delle scelte politiche informative, dei budget, degli appalti. Mi sono stancato di mettere sotto accusa la tribuna elettorale e poi vedere la Zanicchi e Barbareschi passare (o altri di sinistra, non cambia). Ma certamente devo prendere atto che esiste un elemento di spot permanente, ripetuto e continuo in taluni settori dell'azienda, quali che essi siano, non mi interessano i colori. Sento parlare di contratti per decine di miliardi a comici e capocomici: se vogliamo discuterne, penso che sia anche troppo tardi affrontare questo tema.
Lo dico senza intenti polemici, ma non vorrei che alla fine, siccome alcuni ragionano, si pensasse che se ragionano vuol dire che non hanno niente da dire. Vorrei si ponesse fine a questa convinzione. Lo dico perché il malcontento lo percepisco anch'io, ha ragione l'onorevole Bianchi Clerici; per esempio, alla festa nazionale de l'Unità sono stato travolto dal malcontento a sinistra, però so che devo svolgere una funzione di filtro perché, se la politica si limita semplicemente a giudicare i servizi pubblici o le aziende a prescindere dalle apparizioni dei propri leader, non ci sarà mai direttore o azienda che vada bene, perché l'unica azienda che va bene è quella che mi sovrarappresenta. Ripeto che è un discorso che vale per tutti, non è mio costume mettere sotto accusa gli altri, almeno fino a quando il tavolo non viene addirittura rovesciato, perché allora non ci sto più.
Vedo anch'io aste microfoniche in vari giorni della settimana che si alzano davanti a Berlusconi senza la mediazione giornalistica, le vedo, talvolta noto l'assenza dell'intermediazione nelle interviste, vedo lo stesso sfondo, lo stesso spot come se fosse uno di quelli che vanno in onda durante la settimana.
Vorrei ora passare alle domande, altrimenti vi è il rischio che prendiamo una china sbagliata. Ho sentito parlare di veltroniano, ma alcuni compagni mi chiedono come possa non essermi accorto che alcune testate sono ormai monocolore, sono del Polo. Personalmente non sono mai entrato in questo tipo di discussione, ma se volete possiamo farla, non ci sono problemi, io mi diverto anche. Allo stesso modo, vi è un appalto sostanziale sulla prima rete della comunicazione politica ad un solo giornalista, bravissimo, ma non ho capito per quale ragione le altre direzioni non abbiano programmato appuntamenti diversi. Non è ovviamente un appunto ai direttori, evidentemente c'è un problema con le reti: non credo che i direttori abbiano detto che solo Vespa fa gli approfondimenti, Vespa che - vorrei essere chiaro - ritengo un grande professionista, perché non ho una visione


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integralista della vita: non dirò mai che Vespa non deve condurre il suo programma, sono sciocchezze e, se lo dice qualcuno che la pensa come me, dice una sciocchezza, perché un servizio pubblico vive se diverse professionalità si confrontano. Quindi, il problema non è come mai Vespa vada in onda, ma perché non vi sia un altro contenitore negli altri tre giorni della settimana o non vi sia sulle altre reti.
Prendendo spunto da alcune osservazioni dell'onorevole Bianchi Clerici e di altri colleghi, vorrei occuparmi della questione del rapporto tra violenza, TV e pedofilia, perché avverto il rischio a carico della politica che si sia fatto un gran can can per allontanare i direttori, ma che poi su questo tema vi sia scarsa passione politica. A me, invece, il tema non interessava per cecchinare qualcuno, ma in sé, come credo e mi auguro interessi ancora al 3 per cento del paese. Dopo la vicenda che si è verificata vorrei sapere se vi sia stata una riflessione all'interno dell'azienda e tra i direttori di rete e testata su come affrontare questo tema. Il punto vero è se vi sia una carta di tutti gli operatori condivisa da reti e testate perché, se vi è una carta sulla pedofilia che si applica ai giornali ma non ai contenitori successivi, evidentemente ciò non è sufficiente. Vi chiedo, quindi, se ravvisiate la necessità di una carta che sia condivisa da tutti, anche dai contenitori, anche dal varietà, non solo dai telegiornali, e se questa carta non debba essere proposta anche a Mediaset, l'altra grande azienda del settore. Vorrei capire, in sostanza, se oltre ai comportamenti dei singoli direttori si sia dato luogo ad una riflessione successiva e se questa stia proseguendo. Debbo anche dire che noi parliamo sempre di ciò che non funziona, ma su tutte le reti vedo rubriche fatte molto bene da migliaia di persone per bene, rubriche realizzate da persone inquadrate in organico e anche da precari con uno stipendio mensile di 1 milione e 200 mila lire, un grande tema quello dei precari che forse dovremo nuovamente sollevare. Voglio dire che vi è una grande maggioranza di gente per bene che talvolta si sente «mollata».
Vorrei sapere se sia prevista una campagna positiva sul tema pedofilia ed informazione; lo dico perché ho visto usare perfino tale tema non solo per cacciare i direttori in carica, ma per lanciare messaggi trasversali - mi riferisco ad un'aggressione al direttore di Rai News - con l'intento di lanciare accuse indiscriminate, che dopo un po' spariscono dalla memoria, ma nel frattempo la «bomba a mano» ha fatto i suoi danni. Cosa accadrebbe se lo facessimo tutti, se ciascuno annunciasse una campagna di interrogazioni contro chi non gli piace? Vi prego di prestare la massima attenzione perché una cosa del genere è molto pericolosa.
Per quanto riguarda i servizi da Gerusalemme, non sono d'accordo a dire che c'era un palestinese e uno della comunità ebraica, perché è quello che è stato sostenuto: chiedo un giudizio ai direttori presenti, perché ho visto questi due giornalisti operare per anni e bene. Sono stato a Gerusalemme più volte, il console e l'ambasciatore italiani nonché padre Battistelli, che è il custode di Terra Santa, hanno tutti espresso giudizi di grande professionalità su questi colleghi. Se poi si commette un errore, su questo bisogna intervenire in modo implacabile, e secondo me errore vi è stato. Ma certo non possiamo sostenere che per tre anni le corrispondenze da Gerusalemme sono state in mano a banditi, che modo è di parlare? Vi chiedo, quindi, un giudizio sul lavoro che è stato svolto per la televisione e per la radio, vorrei conoscere quale giudizio professionale sia stato dato di questi due colleghi. Lo dico perché penso le medesime cose anche per gli inviati della ex Jugoslavia: ricordo straordinarie cronache di persone diverse, penso a Filippo Landi, a donne che in questi giorni sono a Gerusalemme e sono state nella ex Jugoslavia, penso ad Ennio Remondino, che la diretta l'ha fatta, evidentemente Romani non l'ha vista, ma io ho visto su Rai News alle 6 del mattino la mattina successiva un servizio sull'assalto


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al Parlamento fatto da Ennio Remondino. Con questo voglio semplicemente dire che ci sono stati degli inviati, persone le più diverse, che hanno svolto in modo straordinario il proprio lavoro ed ai quali in questa Commissione raramente rivolgiamo un ringraziamento, mentre vorrei che ogni tanto ce ne ricordassimo.
Vorrei sapere come sia adesso la situazione a Gerusalemme: pensare di non coprire questa zona è a mio avviso molto rischioso, perché è una città che va trattata con grande equilibrio in quanto si passa da un eccesso all'altro. Far credere che in Italia ci sono giornalisti vestiti come Arafat che danno una sola versione ci coprirebbe di ridicolo: è sbagliata ogni gestione unilaterale di queste informazioni, è sbagliata un'informazione fatta in kefja, è sbagliata un'informazione fatta con i servizi di sicurezza israeliani, occorre un'informazione autonoma da parte del servizio pubblico.
Infine, chiedo ai direttori se sia prevista una maggiore attenzione a nuovi spazi di approfondimento che colleghino la notizia all'approfondimento stesso ed eventualmente con quali modalità. È un tema che sta a cuore a me, ma credo anche alla Commissione; penso che lo stesso tema della pedofilia contestualizzato, trattato in un altro contenitore avrebbe probabilmente prodotto un impatto diverso e chiedo anche ai direttori se siano previste innovazioni; la dottoressa Buttiglione ci ha illustrato le difficoltà che ha incontrato nell'ambito delle tribune. A me piacerebbe, ad esempio, che partisse dalla Rai la richiesta che Rutelli e Berlusconi si confrontassero immediatamente.

ALESSIO BUTTI. Facciamo subito le elezioni e il confronto ci sarà!

GIUSEPPE GIULIETTI. Non ho capito quale sarebbe il problema: Berlusconi è il più grande comunicatore e quindi probabilmente «farebbe a fettine» Rutelli, per cui sarebbe un vantaggio per il primo; più dibattiti si fanno e più Rutelli va sotto e per questo non vedo il motivo per cui il grande comunicatore dovrebbe avere paura.
Detto questo, mi interesserebbe sapere anche dai direttori di Televideo e Rai News se siano previste trasformazioni di questi settori. Poiché la Rai, parlando del contratto di servizio, ha detto che il suo fiore all'occhiello è rappresentato dai New media, che sono la grande giustificazione dell'alfabetizzazione tecnologica, vorrei sapere se sia stato previsto un potenziamento di questi settori, se davvero sia in programma una grande campagna di alfabetizzazione tecnologica ed in che modo siate stati messi in condizioni di affrontare questa grande sfida.
So che il presidente con grande sensibilità ha già fissato una seduta dedicata alla questione dei precari, sui quali ho sentito i direttori dire che si tratta di persone utili all'azienda. Più che polemizzare ogni volta, credo che bisognerebbe stabilire criteri di assunzione, magari con un ordine del giorno unitario da presentare al progetto di legge n. 1138, sui criteri di assunzione e sulle regole di cui si parla da anni.
Chiedo scusa ma, come preannunciato, mi dovrò allontanare. Saluto tutti i direttori, con molti dei quali mi è capitato di litigare anche aspramente, però non considero nessuno dei presenti un amico al quale dire che mi congratulo per la sua bravura e non fare altrettanto con un altro che vota in un certo modo. Io, invece, preferisco confrontarmi con tutti i direttori, litigare con tutti loro, considerarli allo stesso modo e credo che questa sia l'unica strada percorribile. Vorrei solo salutare Albino Longhi che non era presente alle sedute precedenti e che ho conosciuto in passate stagioni. Approfitto quindi per salutarlo anche dalla sede della Commissione parlamentare di vigilanza perché penso che forse aver detto - non riguarda questa sede - che tutta la Rai, tutta la sua storia, tutto quello che c'è stato era da buttare non sia stata una buona politica né una scelta saggia. Penso che per cambiare un'azienda abbia bisogno anche di ricordarsi che esiste da qualche decennio. Quando sento tessere l'elogio dell'oblio e della cancellazione della storia dell'azienda, dico: no, grazie,


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io non ci sto, preferisco la memoria in politica, nella storia della televisione ed anche in quella del servizio pubblico.

PRESIDENTE. Desidero innanzitutto tranquillizzare l'onorevole Giulietti sul ciclo delle nostre audizioni che comprendono anche i direttori di rete, il consiglio d'amministrazione della Rai ed il suo direttore generale per parlare anche dei temi importantissimi e fondamentali da lui citati.
Prima di porre a mia volta qualche domanda, vorrei osservare in premessa che come Commissione sbaglieremmo se ci dividessimo nel partito Rai ed in quello anti Rai: noi ci dobbiamo preoccupare della sorte del servizio pubblico, chiaramente dividendoci a questo proposito, di cosa dovrà essere il servizio pubblico, non certo dividendoci tra chi intende o fa finta di rafforzare la Rai e chi intende o fa finta di volerla depotenziare, altrimenti così facendo si arriverà ad una balcanizzazione dei rapporti politici all'interno di questa Commissione su quest'argomento, con il sospetto che quando certe affermazioni le fa un esponente di maggioranza l'intento è quello di favorire la Rai, quando le fa un rappresentante dell'opposizione l'intenzione è quella di favorire il competitor privato o di depotenziare la Rai. Penso, invece, che le cose non stiano così: tutti siamo interessati ad un maggior ruolo del servizio pubblico e su questo ognuno di noi legittimamente ha idee diverse.
Ricordo che questa seduta è scaturita dal fatto che la Lista Bonino mi ha consegnato un dossier in cui si denuncia una violazione, che dobbiamo accertare, dei nostri indirizzi sul pluralismo, in questo caso politico. Come inquadrare questa vicenda? Sono d'accordo con il collega Falomi sul fatto che l'esistenza dei due grandi poli per certi versi condiziona l'informazione; è un modello che in qualche modo tende ad escludere chi non si arruola all'interno delle coalizioni ed è fatale che ciò si rifletta anche sull'informazione.
Ciò è frutto di una serie di sovrapposizioni non tutte coerenti tra norme elettorali vigenti e sistema politico-istituzionale che finisce per trovare poi una forma di accoglienza nell'informazione. Abbiamo sposato un sistema maggioritario spurio, ma in realtà esistono ancora delle forti connotazioni proporzionalistiche; abbiamo ancora una mentalità proporzionale nel momento in cui rapportiamo la politica all'informazione, nel momento in cui andiamo a guardare l'Osservatorio di Pavia. È vero, è una responsabilità più della politica che dell'informazione; nessuna persona dotata di buon senso può negare questa evidenza. Posso assicurare i direttori dei TG e delle testate che anche all'interno di questa Commissione è cambiato il modo di rapportarsi: prima avevamo degli scontri, che ben ricorda chi li ha vissuti, mentre oggi il clima è diverso. Tutto quello che prima faceva riferimento alle condizioni del proprio partito, del proprio leader, ai minutaggi, al conto ossessivo delle presenze, mi sembra che ormai, giustamente, appartenga al passato, si sia estremamente diluito.
Intendo essere molto chiaro rispetto al problema della lista Bonino. Io sono contro la soglia minima di visibilità (come un sussidio di povertà che si deve dare) o la soglia minima di notiziabilità. La notizia deve essere correlata ad un evento, altrimenti non è tale. È su questo che dobbiamo discutere. Non mi interessa, quindi, se abbia ragione Rizzo Nervo o se abbiano ragione i radicali a confutare quella differenza dello 0,8 o dello 0,9; non mi sembra che su questo caschi il mondo. Il problema è se nei mesi in cui i radicali lamentano di essere stati discriminati dal servizio pubblico essi abbiano svolto un'attività degna di essere rilevata dal servizio pubblico stesso. Nel dossier, che fa riferimento ai cento giorni intercorsi tra il 22 maggio ed il 31 agosto 2000, i rappresentanti della Lista Bonino hanno anche indicato le iniziative cui fanno riferimento, quindi il dibattito post-referendario, le reiterate iniziative sulle carceri, il seminario di Soriano e la successiva riunione del comitato di coordinamento,


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il dibattito sul partito in rete ed il lancio dell'iniziativa «Io voto on line», il coinvolgimento di oltre 200 parlamentari italiani, un quinto del Parlamento, nella difesa del partito radicale transnazionale, i reiterati interventi su clonazione e bioetica, sulla giornata mondiale della gioventù, sulla beatificazione di Pio IX, il preannuncio delle iniziative del 20 settembre e quindi tutto quello che faceva riferimento alla manifestazione anticlericale in occasione dell'anniversario della breccia di Porta Pia.
Possiamo riconoscere che la Lista Bonino non si caratterizza per immobilismo politico, anzi è abbastanza movimentista. Tutto questo non viene recepito dal servizio pubblico, nel quale si registra inoltre un'estrema discordanza tra i vari TG. Aggiungo che per le reti esiste una situazione ancora più preoccupante, che riguarda non solo i radicali ma molte forze politiche. Tuttavia, limitandoci ai TG, ieri ho fatto riferimento ad alcuni dati relativi alla stessa settimana, il 10,8 del TG2, lo 0,8 del TG1 ed il 2,8 del TG3, quindi ad una diversa valutazione della notizia, che è normale e legittima, ma che se protratta nel tempo provoca degli scompensi rispetto alla presenza di una forza non arruolata nei poli, che non ha deciso da che parte stare, che sta decidendo se andare con il centrodestra o con il centrosinistra o se restare da sola. Alleanza nazionale potrebbe essere in qualche modo gratificata da una presenza più ampia all'interno della «Casa delle libertà», così come la Lega, Forza Italia, come dall'altra parte i DS, i Democratici, l'UDEUR, il Partito popolare. Quelle forze che sono a sé, non inserite nei poli, rischiano invece di essere oggetto di una discriminazione.
Pertanto, pur con tutte le incoerenze del nostro sistema politico ed istituzionale, con i suoi negativi riflessi sul sistema dell'informazione e sul rapporto tra politica ed informazione, penso che la questione debba essere considerata, con le difficoltà che descrivevo prima, con tutte le cautele che il caso impone; il problema va affrontato nella sua interezza, tenendo conto delle forze che in questo momento non sono arruolate. Preciso che io non credo all'equazione «più televisione più consenso»; almeno la par condicio ha prodotto un risultato positivo quando ha fatto vedere un partito che ha avuto circa un centinaio di passaggi televisivi solo sul servizio pubblico (quindi senza considerare Mediaset) e che non esisteva prima e non è esistito neppure dopo, nonostante tutti questi passaggi televisivi. Tuttavia non lo possiamo decidere noi; saranno i cittadini a decidere in merito all'esistenza.
Vi invito dunque a considerare la questione della notiziabilità (termine che non mi piace), a far seguire ad un'iniziativa politica l'adeguato spazio televisivo. Mi sembra che ciò corrisponda agli indirizzi sul pluralismo forniti da questa Commissione, al di là della differenza di percentuale rispetto a quanto il dottor Rizzo Nervo ha riferito ieri in questa sede in maniera molto corretta, affermando non che questi sono i dati, ma che questi potrebbero essere i dati. Il problema non è comunque questo; il problema è di agganciare un evento ad una notizia ed io lo considero un dovere del servizio pubblico.
Cito l'esempio del caso Lojacono, un fatto importante che ha trovato spazio nei più importanti giornali nazionali, i quali vi hanno dedicato aperture, interviste, commenti, approfondimenti, perché apre una finestra su una pagina delicatissima della nostra storia. È strano che il TG1 non l'abbia neppure menzionato; o almeno, non mi risulta che il TG1 vi abbia fatto cenno. La mia preoccupazione è che rispetto a certe notizie possa scattare una sorta di autocensura da parte dello stesso operatore dell'informazione, anche in assenza della telefonata, della pressione politica; penso che ad un certo punto scatti il ragionamento per cui sia preferibile non dare una notizia perché potrebbe mettere in allarme il Palazzo. Ritengo che ciò non debba accadere; se una notizia è tale per il Corriere della Sera, la Repubblica, Il Messaggero, La Stampa, deve esserlo anche per il TG1, il TG2, il TG3, Televideo, Rai News, il GR,


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tutte le testate del servizio pubblico. Diversamente, sembra che si voglia soffocare una notizia, che non si intenda parlare di un determinato fatto. A quel punto scattano i sospetti: non si vuole parlare perché si tira in ballo un partito, perché quel partito è il primo della coalizione, perché questo primo partito della coalizione può essere considerato come l'azionista di riferimento. Tutto ciò può avvelenare il clima. Per esempio, il litigio tra i ministri Visco e Salvi non può essere ignorato dal servizio pubblico, non perché si debba fare pettegolezzo, ma perché è una notizia, ha avuto dignità di notizia anche sulle testate europee. Perché non dobbiamo accogliere questa notizia, perché dobbiamo erigere un muro ipocrita che alla fine nuoce all'informazione e al rapporto tra politica ed informazione?
A proposito della questione della pedofilia, mi rivolgo al direttore Morrione. Mi ritengo in qualche modo l'ultima vittima di quella situazione; con una manovra diversiva effettuata nell'ultima ora, sono stato gettato in pasto all'opinione pubblica. Concordo con l'onorevole Giulietti sulla necessità di una carta, condivisa da tutti, tra TG e reti, perché mentre i TG occupano uno spazio molto ridotto e ben tipizzato (la gente sa che c'è il telegiornale), e quindi con una soglia di attenzione da parte del telespettatore abbastanza elevata, sono le reti il vero problema. Non so se la Commissione possa fornire un indirizzo in tal senso; ritengo che si tratti di un atto interno che si darebbe la Rai. Una carta condivisa da tutti è l'auspicio di ciascuno, perché è giusto che quello che non trasmette il TG non venga trasmesso neppure dalla rete.
Sulla scorta di una denuncia abbastanza forte avanzata da un senatore di Alleanza nazionale, ho preso visione di un link collegato a Rai News di un'associazione pedofila danese, che pubblicava una lettera aperta al Governo italiano. Si tratta di una cosa molto discutibile, che risale al 28 settembre: è un link collegato a Rai International. In proposito è intervenuto più volte il senatore Bucciero. Non prendo posizione rispetto alla vicenda; gradirei dal direttore Morrione una spiegazione che ci consenta di fare chiarezza rispetto al problema e a questa specifica situazione.

SERGIO ROGNA MANASSERO di COSTIGLIOLE. Vorrei mi fosse consentita una brevissima replica. Non mi aspetto di trovare nelle testate Rai quello che appare sulle testate di stampa quotidiana che non hanno obbligo di servizio pubblico. In realtà, i direttori hanno un compito estremamente più difficile, proprio perché sono di servizio pubblico.

PRESIDENTE. Il riferimento era alla notizia.

SERGIO ROGNA MANASSERO di COSTIGLIOLE. Certamente. Non è detto che un litigio tra due ministri diventi automaticamente una notizia. Il presidente ha dato una sua interpretazione riguardo ai doveri del servizio pubblico che, se mi è consentito, non è esattamente quella super partes che ci aspettiamo. A mio avviso, esistono diversi gradi di responsabilità tra chi è direttore del giornale, che fa le testate che vuole, e chi è direttore di una rete di servizio pubblico, che fa invece il servizio pubblico.

PRESIDENTE. Una cosa del genere rischia di far scattare l'autocensura.

ALBINO LONGHI, Direttore del TG1. Interverrò molto rapidamente anche per rispetto della Commissione, perché ormai qui sono presenti più direttori che parlamentari, per i motivi che sono stati già esplicitati.
Ha ragione l'onorevole Romani: il nostro è un mestiere molto difficile, ma anche molto affascinante. Mi ha colpito molto il suo rilievo in ordine a dirette mancate o ad assenze della Rai su alcuni avvenimenti di grande rilievo. Non è proprio così. In effetti, qualcuno ha già ricordato che per quanto riguarda, per esempio, la situazione jugoslava le nostre testate hanno realizzato dirette puntuali. Viviamo in un sistema di comunicazione


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globalizzata, come si dice; il fatto che spesso ci si avvalga di colleghi di emittenti o di network che hanno una diffusione più capillare sul pianeta risponde ad un criterio normale di funzionamento, perché non si può essere dappertutto. Spesso le cose che produciamo noi vengono riprese da emittenti estere, non c'è nulla di strano; vi può essere stata qualche defaillance, ma ciò fa parte del modo in cui lavoriamo e delle difficoltà che incontriamo nell'essere presenti ovunque.
All'onorevole Bianchi Clerici rispondo che è possibile che i nostri giornalisti colgano gli aspetti più folcloristici di certe manifestazioni della Lega nord, però è anche vero che queste manifestazioni hanno fortemente connotato il proprio modo di essere in toni folcloristici e quindi è quasi un gusto cronistico. Personalmente vengo dalla Lombardia, non ho pregiudizi di alcun genere però giornalisticamente la civetteria di cogliere la manifestazione molto colorata e vivace rappresenta uno degli aspetti che compongono la cronaca di questi anni, ovviamente senza esprimere un giudizio negativo. Se fossero cose negative, sarebbe molto meglio non farle.
Quanto ai colleghi che hanno subìto un procedimento disciplinare da parte dell'azienda per avvenimenti che non riguardano la mia esperienza professionale, posso dire che, a mio sommesso avviso, una volta espiata la pena, per il nuovo direttore essi tornano ad essere innocenti; non dico che torneranno immediatamente a fare quello che facevano prima.

GIOVANNA BIANCHI CLERICI. Vorrei solo sapere a quale incarico siano stati destinati.

ALBINO LONGHI, Direttore del TG1. Per me all'incarico che avevano prima. Tra l'altro, su questi problemi disciplinari, che accetto per spirito aziendale, avrei qualche riserva: le responsabilità non sono addebitabili agli ultimi anelli della catena, ma vanno ricercate nel primo anello della stessa ed il primo anello mi pare che abbia risposto con grandissima coerenza e dignità professionale dimettendosi dall'incarico ricevuto.
L'onorevole Giulietti domandava perché solo Bruno Vespa fa approfondimento e se altri spazi possano essere affidati ad altre responsabilità. Al momento del conferimento dell'incarico, ho trovato la situazione degli spazi di approfondimento irrisolta e non ancora ben definita e sto lavorando per utilizzarli. Manteniamo la rubrica Frontiere, destinata soprattutto ai grandi reportage; presto riprenderà TV7, rubrica storica del TG1 e bisogna ancora definire come utilizzare il terzo spazio in seconda serata affidato al TG1.
In parecchi interventi è stata toccata la questione dei corrispondenti da Gerusalemme. Su di essa posso dire semplicemente che nei prossimi giorni la sede di Gerusalemme sarà nuovamente coperta da giornalisti della Rai; la logica non è quella di affidare tale compito ad un filoebreo, ad un filopalestinese o ad un maronita, ma saranno giornalisti professionalmente in grado di reggere tale situazione. Inoltre, da spettatore e non da direttore del TG1, mi sento davvero di contestare che i colleghi che hanno lavorato finora abbiano prodotto un'informazione lottizzata a favore dei palestinesi o degli israeliani. Devo dare, invece, un giudizio sostanzialmente positivo del lavoro svolto: l'errore commesso è gravissimo e l'azienda è intervenuta immediatamente. Faccio comunque osservare che in una situazione come quella il compito di fare servizi è estremamente delicato.

PRESIDENTE. Per la verità, direttore, ho ricevuto lettere di associazioni dell'una e dell'altra parte. Voglio dire che vi è il rischio di far capire quello che diceva l'onorevole Romani e addirittura organismi ufficiali si erano schierano per l'uno o per l'altro, una condizione che ritengo andrebbe evitata all'inizio, nel momento in cui si opera la scelta.

ALBINO LONGHI, Direttore del TG1. Questi due colleghi erano a Gerusalemme da anni, non vi torneranno più per motivi


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di sicurezza e di tutela della loro incolumità, ma non mi sento di condividere il giudizio negativo che è stato espresso in questa sede.
Per rispondere al presidente, credo che la valutazione delle notizie appartenga alla sensibilità delle singole testate; non tutto ciò che appare sui giornali viene ripreso acriticamente dai telegiornali e lo stesso vale viceversa. Realizzare un servizio sul battibecco tra due ministri, per esempio, non è a mio giudizio estremamente interessante; se poi dobbiamo tutelare la credibilità e l'immagine della classe politica di questo paese, andando dietro ai pettegolezzi delle comari o alle baruffe chiozzotte daremmo uno spettacolo ancora più deprimente di quello al quale oggi si assiste.
Quanto al caso Lojacono non abbiamo dato questa notizia, pubblicata da Il Corriere della Sera, ed avremmo dovuto rincorrerla per mettere nel calor bianco, che già contraddistingue la campagna elettorale, elementi che appartengono ad un passato sul quale si può tornare per tanti motivi, non perché un ex terrorista latitante tira fuori una lettera sulla cui autenticità e credibilità vi sono molte riserve. Ha ragione il presidente quando dice che il rischio che corriamo è quello dell'autocensura e del conformismo: lo diceva anche Luigi Einaudi, che è stato un maestro di giornalismo, lo ha ripetuto recentemente anche monsignor Martini nella sua famosa pastorale sulla comunicazione e il lembo del mantello. L'ho detto nel piano editoriale e ho detto anche un'altra cosa a proposito della qualità che qui è stata richiamata per sintetizzare il modo in cui vedo questo problema; ad un famoso direttore di un giornale americano hanno chiesto cosa facciano i direttori di giornale e i giornalisti e lui ha risposto: noi facciamo tutti i giorni questo mestiere, scegliamo le notizie, poi - con un riferimento biblico - dividiamo il grano dalla zizzania e finalmente la sera pubblichiamo la zizzania. Ai miei colleghi del telegiornale ho detto che vorrei che prendessimo impegno tutti insieme ogni sera di mettere in onda anche un po' di grano nel nostro telegiornale.

CLEMENTE MIMUN, Direttore del TG2. All'onorevole Romani vorrei dire che so che il nostro è un mestiere abbastanza infame, ma continuo a pensare che sia il più divertente ed il più bello che ci sia e quindi, pur in presenza delle difficoltà enunciate, credo sia difficile, almeno a questa età, aver voglia di fare dell'altro.
Relativamente alle giuste notazioni da lui fatte per quanto riguarda la presenza massiccia di grandi network e il dispiego di mezzi assolutamente ridotto da parte della Rai anche in situazioni molto importanti, l'onorevole Romani proviene dal campo televisivo e quindi conosce la funzione di servizio che per tutti svolge ormai la CNN. In alcuni dei casi da lei citati la Rai ha fatto anche edizioni straordinarie; però sono d'accordo con lei su una circostanza importante, una cosa che penso da sempre e che quindi non dico per appiattirmi su una posizione: noi spendiamo molti soldi per l'intrattenimento, qui dentro ci si divide sulle quote di fiction che deve fare la Rai, mentre non importa quasi niente a nessuno di quanti soldi si destinino all'informazione e questo vale per tutti. Nessuno sa quale sia il budget di un telegiornale, verrà esibito il costo complessivo dei 1.500 giornalisti, ma ciò è sbagliato; per quel che facciamo arrivo a dire che 1.500 giornalisti sono pochi. Quindi, credo che l'onorevole Romani abbia ragione sul fatto che è triste talvolta vedere che siamo costretti a usare altri strumenti. Devo dire anche che ormai c'è una forma di pigrizia da parte nostra: sappiamo di non riuscire ad ottenere una grande copertura anche perché, per abitudine ormai radicata in quest'azienda, che è la più antica ma anche la più prestigiosa dal punto di vista dell'informazione, abbiamo rinunciato da decenni. Se dobbiamo trasmettere il Papa, siamo in grado di esibire cose fantastiche, e non lo dico certo perché non le meriti, ne merita anche di più; se dobbiamo andare lontano da casa, cominciano i


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problemi. Siamo un po' provinciali, è una colpa che ascrivo intanto a me e poi al passato ed al presente di quest'azienda.
Il problema è rappresentato dai soldi che si impiegano nell'informazione, che non è un elemento marginale del servizio pubblico, anzi, è l'elemento da cui esso trae la propria ragione sociale. Non si può destinare ad un telegiornale un budget di 100 miliardi compresi i costi industriali ed immaginare che delle fiction, che sono estremamente utili e che fanno parte di ciò che dobbiamo realizzare come televisione, o un festival, il calcio o le olimpiadi, diventino molto più importanti e strutturali rispetto all'elemento portante della nostra attività. Quindi, modifico i toni, ma condivido la preoccupazione generale.
Per quanto riguarda il Medioriente dico una cosa che dovrebbe servire a capirci: fino all'incidente del caso Cristiano nessuno si è mai lamentato di ciò che hanno realizzato Claudio Accardi e Riccardo Cristiano. Credo che ciò sia incontestabile, vi invito a guardare negli archivi; può essere che sbagli perché non ho l'abitudine di guardare nei nostri archivi, ma nessuno aveva mai eccepito nulla. Accardi era il capo redattore degli esteri (non è stato scelto in quanto ebreo) ed è un giornalista che, secondo me, ha realizzato con equilibrio i propri servizi. Lo stesso vale per Cristiano, ovviamente fino all'episodio della lettera che non condivido neanche un po' e sulla quale ho espresso una posizione assolutamente negativa, ma non ho nessuna intenzione di dire fuori dall'azienda quello che ho suggerito, perché credo che qualsiasi cosa si dica in questo caso diventi politica. Ho espresso le mie convinzioni nella sede propria, che è l'azienda cui rispondo, poi è l'azienda che risponde al Parlamento. Insisto: sarà un fatto estremamente positivo se la Commissione farà una battaglia, in questa o nella prossima legislatura, per far sì che l'informazione del servizio pubblico sia più forte scegliendo giornalisti migliori, direttori più capaci ma rafforzandone strutture che sono apparentemente forti ed alimentandola con finanziamenti molto più adeguati di quanto non avvenga oggi. Ho parlato di 100 miliardi riferendomi al mio budget, che è un budget industriale che comprende le lampadine e la carta igienica.

SERGIO ROGNA MANASSERO di COSTIGLIOLE. La separazione contabile vi dovrebbe aiutare.

CLEMENTE MIMUN, Direttore del TG2. Ci aiuta, però noi siamo responsabili di un budget complessivo, io so che il giornale costa attorno a 100 miliardi l'anno.

PAOLO ROMANI. Esclusi gli stipendi dei giornalisti?

CLEMENTE MIMUN, Direttore del TG2. Compresi gli stipendi dei giornalisti. Non svelo alcun segreto se dico che prima della divisionalizzazione il budget del TG2 era attorno a 25 miliardi: tanto vi basti, questo è. Ricordate che una trasferta costa, non perché qualcuno ci gioca ma perché costa; che un satellite costa, che i mezzi costano e talvolta per riuscire a stare su un evento bisogna starci sette giorni ed i satelliti che abbiamo affittato in questo periodo sul Medioriente sono costati a fondo perduto 240 milioni per 4 giorni.
Resta però il fatto che l'onorevole Romani ha posto l'accento su un aspetto che a me piace molto, cioè il fatto che l'informazione va alimentata, con questi o con altri direttori, comunque di più.
All'onorevole Bianchi Clerici, con riferimento alla risposta di Longhi, dico che effettivamente è vero che un operatore non dovrebbe cogliere solo i colori, ma vorrei anche farle presente che inseguire Bossi non è facilissimo: Bossi fa comizi anche di notte e a sorpresa. Resta il fatto che la Lega nord è considerata un grande partito del nord, che vi sono altri esponenti della stessa e che effettivamente non usiamo molto gli amministratori, per cui considero questo un buon suggerimento.
Per quanto riguarda le osservazioni dell'onorevole Giulietti, faccio riferimento innanzitutto alla questione del passaggio


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dei professionisti da Mediaset alla Rai, in cui non ritengo vi sia alcuno scandalo. Fra l'altro, anch'io ho avuto l'onore di lavorare a Mediaset e sono tornato in Rai, mentre c'è chi ha fatto avanti e indietro due volte e magari ci ripenserà ancora (secondo me, sarà un bene anche per la Rai). Comunque non è questo il problema. Se si tratta di un buon professionista, è un buon acquisto. Nessuno ha detto una parola quando è stato preso Lerner da la Repubblica e, se qualcuno avesse parlato, avrebbe fatto male, perché Lerner è un eccellente professionista. Non capisco come faccia invece l'onorevole Giulietti a sostenere che la sinistra sia soffocata in Rai; francamente non condivido questa opinione. Ciò non investe la mia responsabilità di direttore, comunque non è così; è una tesi suggestiva. Sul curriculum, rispondo con lo stesso tono assolutamente tranquillo e conciliante con cui è stata posta la questione, nel senso che non vorrei che le parole restassero appese. L'onorevole Giulietti sa, come sapete voi, che i palinsesti della Rai sono stabiliti ad una certa data, alla quale è legata la pubblicità e quant'altro. Purtroppo devo ammettere che non ho previsto nel palinsesto di Raidue nessun altro approfondimento che non sia Dossier. Presto comunque partirà il Raggio verde di Michele Santoro.
Sui precari la mia opinione è positiva: sono favorevole alla loro assunzione in massa, naturalmente tenendo conto che abbiamo un piano industriale. Personalmente ne ho assunto uno di oltre 50 anni che aveva lavorato in Rai per vent'anni, quindi ho le carte in regola.
Sull'elogio dell'oblio l'onorevole Giulietti si riferiva a Pierluigi Celli. Era un'occasione molto divertente, rappresentata dalla presentazione dei codici e dei regolamenti, alla quale presero parte tutti i direttori generali ed i presidenti che si erano succeduti. Vi era una grande enfatizzazione di quello che la Rai aveva rappresentato, di come era «bella e brava», di come eravamo «belli, bravi e buoni». A mio avviso, non tutto il passato è da salvare, anche se dal passato si costruisce il futuro; tuttavia, in quel contesto quell'elogio dell'oblio era condivisibile.

ANTONINO RIZZO NERVO, Direttore del TG3. Per quanto riguarda le questioni poste dall'onorevole Romani, alcune delle quali sono state riprese da altri parlamentari, faccio riferimento innanzitutto a quella che si può considerare come una debolezza della Rai rispetto ad altre televisioni del mondo. Credo che il paragone con la CNN sia improprio, nel senso che si tratta di due televisioni le quali, al di là dei rispettivi investimenti, svolgono due funzioni diverse: la CNN è nata e si è sviluppata per essere presente nella parte più lontana del mondo, con un palinsesto tutto in diretta, mentre noi, come altre televisioni di servizio pubblico, dobbiamo fare anche altro. Quindi le debolezze che abbiamo mostrato in alcune occasioni, forse anche recentemente, probabilmente sono state le stesse che hanno avuto la BBC, France 3 o altri organismi televisivi. Per quanto riguarda Belgrado in particolare, come osservava il direttore Longhi, la presa del Parlamento fu nel pomeriggio. Oggi c'è molta più collaborazione rispetto al passato e fortunatamente è finita la concorrenza all'interno della Rai. Per tutto il pomeriggio abbiamo fatto delle straordinarie a staffetta: credo che abbia cominciato il TG1, abbia proseguito il TG2 e sia subentrato il TG3, con le immagini della CNN. Non si tratta mai di immagini «rubate», in quanto con la CNN abbiamo un legittimissimo contratto quadro, costoso, che ci consente di attingere...

PRESIDENTE. Quanto costa?

ANTONINO RIZZO NERVO, Direttore del TG3. Non lo so; se rispondessi direi una bugia. Ribadisco comunque che non si tratta di immagini rubate, ma abbiamo un contratto. Però eravamo a Belgrado; tra l'altro, essendo una situazione prevedibile, ognuno di noi aveva almeno uno o due inviati che appoggiavano il nostro corrispondente. Quel pomeriggio la CNN era in assoluto l'unica ad avere una


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telecamera puntata sul Parlamento; non ve ne era nessuna della BBC, di France 3 o di altri network omologabili a quelli della Rai.
Il problema forse parte da lontano, nel momento in cui è finita la concorrenza tra le testate; è vero anche che essendo la linea aziendale, decisa ormai da tempo, quella di considerare i corrispondenti come corrispondenti Rai e non più corrispondenti di testata, ciò ha condotto probabilmente ad una certa omogeneizzazione, ad un'omologazione della nostra informazione dall'estero. Sono scelte che partono da lontano rispetto ai piani di investimento aziendali. Resta da capire (ed in proposito non facciamo misteri, la Commissione conosce perfettamente i dati contabili aziendali, che sono trasparenti) quanto il servizio pubblico investa sull'informazione, perché con la divisionalizzazione i 100 miliardi di cui parlava Clemente Mimun possono apparire tanti, ma in questa somma è compreso tutto.

CLEMENTE MIMUN, Direttore del TG2. A 100 miliardi ne corrispondono 25 riservati alla produzione.

ANTONINO RIZZO NERVO, Direttore del TG3. Esatto. Il mio budget, essendo evidentemente la mia testata più grossa, perché si ramifica sul territorio, è impressionante dal punto di vista del valore assoluto: credo che si tratti di 485 miliardi per il 2000. Tuttavia sulla produzione nazionale e delle singole regioni, su cui poi ripartiamo quelli che noi definiamo i costi di produzione, quindi su investimenti in trasferte, in servizi, in troupe d'appalto per coprire il territorio, la somma è di 53 miliardi, che credo valgano oggi, a costo di mercato, trenta puntate di una fiction forte, cinquanta di una debole, o dieci serate forti (tipo Morandi, Celentano o quant'altro) o film, dei quali l'onorevole Romani sa quanto siano lievitati i costi. A mio giudizio il problema è dunque complessivo e riguarda sia l'informazione dal mondo sia l'informazione dall'interno del paese nelle sue articolazioni.
Condivido le osservazioni di Clemente Mimun sul problema di Gerusalemme. In quel caso è stato un incidente personale, da parte tra l'altro di un professionista secondo me molto bravo, se si consideri quanto aveva prodotto sino ad oggi. Vi è stata una decisione aziendale immediata. Mi è sembrato giusto che le nostre valutazioni rimanessero all'interno dell'azienda e che fosse poi la direzione generale a dare la posizione aziendale. Concordo con Clemente Mimun quando osserva che sino al momento dell'incidente non si può parlare di informazione disequilibrata della Rai da Gerusalemme e soprattutto - conosco anch'io i colleghi da tanto tempo - non si può parlare di informazione disequilibrata derivante dal credo religioso di ciascuno dei corrispondenti, anche perché questa mi sembrerebbe una strada molto pericolosa rispetto all'importanza che oggi le religioni rivestono nei fatti politici del mondo. Aggiungo, per l'aspetto umano di questa vicenda, che il nostro corrispondente ha sbagliato ed ha pagato con il ritiro immediato deciso dalla direzione generale. Sarei un po' più prudente quando si parla di delazione, perché ritengo che delazione non vi sia stata, essendo quella notizia nota sin dal 12 ottobre.

PRESIDENTE. In questa sede nessuno ha parlato di delazioni.

ANTONINO RIZZO NERVO, Direttore del TG3. Forse l'onorevole Romani. Comunque non porrei molto l'accento su questo aspetto.
Quanto alle regioni Piemonte, Emilia e Molise, acquisirò informazioni tornando in sede. Quello che so adesso è che stiamo vivendo la vicenda delle tribune elettorali regionali, che tra l'altro partono oggi, in maniera molto faticosa ma molto neutra. Tra l'altro i primi spot autogestiti sono previsti per sabato prossimo. Ci stiamo attenendo alla lettera della delibera e ai poteri che quest'ultima ha attribuito ai Corerat. Ho visto ad esempio che in alcune regioni sono state assunte decisioni differenti e del resto ciò era previsto nella delibera. Non so se per Piemonte, Emilia e Molise sia stata una decisione del


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Corerat, rispetto agli aventi diritto, quella secondo cui l'autogestito non può superare il minuto e mezzo; sicuramente non si tratta di una decisione nostra, comunque vi informerò in proposito.
Vorrei invitare la Commissione, finito il periodo di sperimentazione, a fare il punto sulla sperimentazione effettuata, anche sotto il profilo tecnico e delle difficoltà che stiamo incontrando nell'applicazione della delibera.
Onorevole Bianchi Clerici, è vero che noi direttori possiamo, anzi, dobbiamo intervenire sulle modalità di servizio e molto spesso lo facciamo. Rispetto al problema da lei posto, ribadisco quanto hanno affermato Longhi e Mimun. Sicuramente per quanto riguarda l'onorevole Bossi non vi è alcun ostracismo da parte nostra; esiste evidentemente la difficoltà di seguirlo, considerato che alcune notizie sui suoi movimenti ci arrivano soltanto all'ultimo momento. Martedì scorso l'onorevole Bossi è stato l'unico segretario ad essere ospite di quello spazio di approfondimento pur minimo di 20 minuti che il TG3 dall'11 ottobre ha lanciato con Primo piano. Basta questo a giustificare quanto sto dicendo.
L'informazione «capoluogocentrica» è un mio pallino. Già quando ero direttore al TGR registravo questa nostra difficoltà, che deriva anche da quanto dicevo prima. Quattro o cinque anni fa avevamo un'ottantina di corrispondenti dal territorio, oggi ne abbiamo soltanto trentadue.

PRESIDENTE. Penso che sia così in tutte le regioni con un grande capoluogo: succede a Napoli e a Roma.

ANTONINO RIZZO NERVO, Direttore del TG3. Abbiamo delle regioni che sono meno «capoluogocentriche», dove abbiamo avuto la fortuna di trovare strutture private con cui fare convenzioni che ci consentono quindi una copertura maggiore rispetto a service di immagini e di montaggi sul territorio. È un problema davvero molto grave nelle regioni dove il capoluogo è forte e purtroppo Milano è una di queste: quanto avviene a Milano, sia in economia, sia in politica, è talmente importante che per rendere l'informazione meno «Milanocentrica» dovremmo non parlare di alcune cose, il che forse ci verrebbe rimproverato come nostra assenza su alcuni temi. È un fatto che registriamo a Milano, a Roma, a Napoli, cioè in quelle regioni in cui il capoluogo è fortemente determinante nella cernita delle notizie regionali.
Quanto alla domanda relativa a cosa facciano adesso i colleghi coinvolti nel caso della pedofilia, come diceva il dottor Longhi, esaurito l'iter disciplinare, stiamo utilizzando i colleghi, che tra l'altro non erano responsabili di settore ma solo giornalisti, in attività giornalistiche, facendo realizzare loro servizi senza un incarico predeterminato, che non avevano neanche prima, trattandosi di due colleghi della cronaca che stanno continuando a lavorare in quest'ambito.
Visto che siamo lontani dal clamore del momento in cui un certo fatto è avvenuto, vorrei cogliere quest'occasione per sgombrare il campo da due equivoci: il primo riguarda il fatto che si parla dell'incidente occorso quell'infausto 27 settembre (e in relazione al quale l'onorevole Giulietti giustamente chiede cosa sia successo e suggerisce l'introduzione di una carta) come se fosse stato qualcosa di voluto. Se così fosse, probabilmente sarebbe stata necessaria anche una riflessione interna come quella che ci sollecitava l'onorevole Giulietti. Per parte mia, vorrei ribadire che, proprio perché è stato un incidente (ho anche le mie valutazioni sul motivo per il quale i colleghi sono occorsi in quell'incidente, ma non vorrei ripeterle in questa sede), certamente si è trattato di qualcosa di non voluto. In secondo luogo, vorrei far osservare che le carte che ci sono, nel senso che uno degli aspetti su cui vi è stato un abbassamento di tensione riguarda il non aver rispettato un codice di regolamentazione che esiste, di cui i direttori hanno sempre parlato nelle riunioni ogni qual volta si affrontano temi di questo genere, ma purtroppo quella sera da alcuni tale codice non è stato rispettato, ma non certo volontariamente,


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voglio ancora ribadirlo. Peraltro, debbo dire che rispetto a qualcosa che avviene, credo poco che tutto si possa risolvere con una carta; le carte ci sono e secondo me sono esaurienti per creare in noi una consapevolezza maggiore proprio in quanto servizio pubblico. Poiché comunque anche gli errori servono, vi posso garantire che l'incidente è servito ad alzare l'attenzione e probabilmente il fatto che esso si sia verificato porterà a non compierne un altro, pur nei termini della non volontarietà di cui dicevo prima. Del resto noi stessi il 12 ottobre, alla partenza dello spazio di approfondimento, lo abbiamo dedicato all'inchiesta sulla pedofilia, realizzandolo con la solita, tradizionale correttezza che la testata aveva sempre dimostrato di avere nell'affrontare questi temi.
Quanto agli approfondimenti, con il nuovo piano editoriale siamo riusciti a strappare al palinsesto - bisogna riconoscere con franchezza che c'è sempre una lotta tra testate e rete, pur rappresentando le testate le punte di ascolto della rete nelle fasce orarie in cui i telegiornali vanno in onda - questo approfondimento minimo, che dura tra 18 e 20 minuti, dal lunedì al venerdì, Primo piano, proprio per avere uno spazio di riflessione che andasse oltre la velocità e, se volete, anche l'approssimazione di cui l'informazione può risentire del servizio del telegiornale che dura un minuto e dieci secondi.
Sono convinto, e l'ho detto all'azienda, che in una economia di palinsesto regionale, Raitre debba ospitare uno spazio di informazione in prima serata e ho dato la mia disponibilità rispetto a Primo piano, tra l'altro indicando il giorno che nessun direttore avrebbe indicato, il giovedì, come sa chi si intende di palinsesti, visto che sulle altre reti ci sono Mara Venier, Il grande fratello, la partita, il film, ma l'ho fatto perché in tal modo, così come abbiamo fatto per la prima serata sul Medioriente, si darebbe il segnale di un'informazione di servizio pubblico che fa un'offerta varia ed articolata: il film su una rete, il varietà sull'altra e Il grande fratello, di cui non parlo in termini spregiativi, ma in quella stessa serata vi sarebbe un momento di riflessione e di informazione per chi è interessato a questi temi, indipendentemente dal problema dell'ascolto.
Il termine «precari» può essere interpretato in maniera distorta; non credo che l'azienda abbia dei precari, perché nel nostro lessico precario è chi viene usato da un editore privato e pagato sotto contratto. Sostanzialmente i precari sono una facoltà che il contratto ci offre nell'assumere a tempo determinato le persone. Li chiamiamo precari - e sono tanti al Tg3 e alle redazioni regionali - ma sono persone che ormai lavorano da anni e la cui professionalità è stata sperimentata; se non valesse, nessuno ci obbligherebbe a riprenderli l'anno successivo. Compatibilmente con gli investimenti aziendali, credo che questo problema debba essere affrontato ed azzerato al di là degli accordi sindacali (in passato è stato affrontato esclusivamente con accordo sindacale) e risolto andando a determinare linee certe di riferimento. Credo che oggi rispetto ai precari tutti i direttori abbiano la possibilità di individuare, senza passaggi concorsuali o altro, i colleghi che ritengono idonei a essere assunti. Non vorrei che l'ossessione data dalla certezza di trasparenza di un concorso o di una selezione tenesse da parte questi colleghi che oggi per noi sono essenziali: non potrei realizzare nessuno spazio di palinsesto al di fuori del telegiornale se non mi rivolgessi al serbatoio dei precari.
Sono infine d'accordo con il presidente sul fatto che il discorso non è quello della soglia minima di visibilità, ma quello dello spazio riservato alla notizia che vale indipendentemente dalla soglia minima di visibilità. Mentre il presidente parlava, riflettevo sul fatto che un limite del rilevamento effettuato dall'Osservatorio di Pavia è quello di utilizzare un metodo che fa di tutte le erbe un fascio. Voglio dire che esso non rileva i singoli telegiornali, per esempio il Tg3 delle 19 o quello delle 14. Lo dico perché ognuno di noi ha telegiornali diversi: per esempio, i nostri


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telegiornali più importanti anche sotto il profilo della durata sono quelli delle 14 delle 19; dopo tale ora, realizziamo un telegiornale di 5 minuti a mezza sera e uno di 7 minuti la notte, mentre il Tg2 trasmette un telegiornale della notte molto corposo. Allora, la differenza di percentuale in alcuni casi può anche essere determinata da queste diversità. Pertanto, essendo convinto, come ho già detto ieri, che la rilevazione quantitativa ha un valore relativo perché valgono di più 30 secondi nel telegiornale di maggior ascolto rispetto due minuti in quello di minor ascolto, credo che si potrebbe individuare la strada della differenziazione da parte di chi effettua il rilevamento delle singole edizioni dei telegiornali nelle varie fasce orarie.

PAOLO RUFFINI, Direttore del GR. Per quanto riguarda in generale le questioni che sono state poste, mi riconosco nelle osservazioni svolte dai colleghi che hanno parlato prima di me. Mi limiterò, pertanto, a fornire chiarimenti su due questioni specifiche che mi riguardano.
L'informazione più dettagliata sul traffico stradale non dipende da me, ma mi farò sicuramente interprete di quest'esigenza presso il direttore che si occupa di tale settore.
Quanto a Riccardo Cristiano, un collega che viene dal giornale radio, non vi è ancora tornato, è possibile che ci torni, e così rispondo all'onorevole Butti il quale prima mi ha chiesto dove fosse stato sistemato. In realtà, non è ancora tornato e, se tornerà al giornale radio, ovviamente sarà impiegato in ruoli che rispettano la sua professionalità.
A conferma di quanto detto prima dai colleghi direttori dei telegiornali, vorrei aggiungere che non credo sia esatto parlare di un ebreo e di un palestinese, probabilmente c'è una semplificazione che trova anche una qualche ragione, ma più forse in un rapporto con le fonti e non necessariamente identifica un'appartenenza e quindi uno schieramento.
Per quanto riguarda, in particolare, Riccardo Cristiano, voglio ricordare l'episodio di quel giorno. Egli era appena stato dimesso dall'ospedale dove era stato ricoverato dopo essere stato picchiato per avere difeso una troupe da un pestaggio da parte di arabi ed israeliani. Era uscito dall'ospedale proprio quel giorno, il 12, e non avrebbe dovuto ricominciare subito a lavorare. Ha telefonato al giornale radio dicendo che, visto che si era verificato il linciaggio, avrebbe fatto delle dirette (quel giorno abbiamo fatto delle dirette sul linciaggio, pur non avendo le immagini) e Riccardo si è anche preoccupato di avvertirci che si trattava di immagini che non avevano girato loro, che erano sui circuiti internazionali per cui, se possibile, si sarebbero dovuti prendere gli effetti, in modo da raccontare il linciaggio. È un episodio che riguarda proprio quel giorno (al di là dell'errore che ha commesso nella lettera, errore che troverà il modo di spiegare all'ordine dei giornalisti e alla Rai), ma che in qualche modo testimonia la volontà di non fare un'informazione autocensurata né schierata.
Relativamente ai radicali ho già risposto ieri; oggi ho con me i dati messi in ordine sulla partecipazione dei radicali a Radio anch'io, ai forum di Gr Parlamento e su servizi e notizie andati in onda nei giornali radio nel periodo considerato. Consegno, pertanto, tali dati alla presidenza.

ROBERTO MORRIONE, Direttore di RAI News. Fornirò alcune risposte e svolgerò anche un paio di riflessioni veloci. Per quanto riguarda la vicenda del link nel sito di RAI News 24 con il sito dell'associazione dei pedofili danesi, non entro nel merito delle interpretazioni della vicenda date dall'onorevole Giulietti e dal presidente Landolfi, che peraltro ringrazio anche per il sincero accento posto nel suo primo intervento su questo episodio.
Nel merito voglio ribadire quello che cercai di chiarire immediatamente: quando esplose la vicenda molto sfortunata e grave delle immagini trasmesse da alcuni settori della Rai sulla pedofilia, immagini tratte da quel famoso sito che è


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stato al centro delle indagini, noi eravamo impegnati da alcune settimane in una forte campagna multimediale, cioè sia sul canale televisivo sia sul sito Internet, ovviamente contro la pedofilia. Cercavamo quindi di mettere in rilievo tutte le iniziative che erano in atto da parte di Telefono azzurro, di Telefono arcobaleno, delle associazioni, del Ministero dell'interno; e potrei continuare a lungo, perché su Internet avevamo la bellezza di 21 link a servizi che erano i nostri, servizi tutti estremamente chiari e rivolti contro il fenomeno della pedofilia. Come i parlamentari presenti ricorderanno, nelle settimane precedenti si era svolto un dibattito molto forte, che aveva attraversato l'Europa, su ciò che i Governi e le istituzioni dovevano e potevano fare contro la pedofilia. In questo ambito, nel nostro ed in altri paesi europei si discuteva sull'opportunità di ricorrere a misure quali la castrazione chimica e così via. A tale proposito, il sito dell'associazione dei pedofili danesi esprimeva delle tesi che successivamente ho definito, forse con un termine fin troppo forte, aberranti, certamente discutibili, come giustamente ha osservato il presidente Landolfi, e non condivisibili, ma che erano assolutamente teoriche. Praticamente c'era un appello ai governi, in particolare a quello italiano che si apprestava ad esaminare delle misure di un certo tipo, che evidentemente, dal loro punto di vista, essi non condividevano. In occasione di quel dibattito, si ritenne di inserire, ripeto, tra 21 link, tutti chiaramente diretti contro il fenomeno della pedofilia, quella posizione, anche perché quel sito era totalmente teorico: non esistevano appuntamenti, trappole, fenomeni diversivi, né uno straccio di immagine.

PRESIDENTE. È una lettera aperta al Governo italiano.

ROBERTO MORRIONE, Direttore di Rai News. Esattamente. Ed esprimeva delle posizioni, non condivise ma che esistevano e che in quei paesi, soprattutto in Danimarca, sono parte di un dibattito. Chi conosce Internet sa che è fatto per queste cose, cioè per navigare, per creare link, reti, per mettere a confronto opinioni. Nel momento in cui vengono fuori, per un brutto incidente, delle immagini tratte da un sito di pedofili e su questo scoppia la polemica, credo che attaccarsi ad un ventunesimo dei link all'interno di una testata che è impegnata in una campagna multimediale contro la pedofilia e a favore di tutte le associazioni, pubbliche e private, che si battono per mettere in guardia da questo fenomeno sia un'operazione di grande scorrettezza, a tal punto - e lo rivendico in questa sede - che a mia volta ho incaricato l'ufficio legale di verificare se vi fossero gli estremi per un'azione. In 37 anni di mestiere, di polemiche ne ho affrontate diecimila, qualcuna anche in questa autorevolissima sede, ma non mi era mai capitato di essere accusato di favorire la pedofilia e ritengo che Rai News 24, alla luce di questi fatti che voglio qui sottolineare, non se lo meritasse.
Detto questo nel merito dell'episodio, vorrei fornire una breve risposta all'onorevole Romani, il quale ha posto dei problemi molto seri. Diversamente dal mio amico Clemente Mimun, vorrei esaltare la memoria perché ritengo che senza memoria non possa esserci una buona informazione e neanche un buon paese. Per la memoria, dunque, ricordo all'onorevole Romani che i telegiornali della RAI, anche in anni recenti, sono stati in primissima linea nel raccogliere tutto ciò che sul piano della contemporaneità degli eventi accadeva nel mondo, facendolo ovviamente sulla base dei propri mezzi e delle proprie risorse di produzione, e direi anche di una propria cultura, una cultura, se vogliamo, datata.
E qui vengo all'altro elemento che intendo sottolineare con riferimento a quella famosa giornata dell'assalto al Parlamento di Belgrado. Spesso non concordo con il direttore generale, anche pubblicamente, ma in questo caso sono d'accordo con lui. Quando c'è stata quella devastante descrizione di un peraltro ottimo giornalista come Bernardo Valli su la


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Repubblica, con un articolo impietoso ed ingiusto anche nello spirito che lo animava, il giorno dopo il direttore generale ha risposto ricordando una cosa che ritengo doveroso evidenziare: nei conflitti degli ultimi anni, dalla Bosnia alla Somalia e ad altri, sette giornalisti e telecineoperatori della Rai sono morti sul campo, cioè più di tutti i giornalisti italiani deceduti dopo il secondo conflitto mondiale. Non credo che questo sia avvenuto a caso. C'erano per documentare una realtà, l'hanno fatto bene, fino in fondo, e come loro molti altri giornalisti lo fanno tutti i giorni.
Nel caso specifico, l'elemento tecnico diventa fondamentale, poiché l'onorevole Romani ha posto anche dei problemi reali e tra l'altro una domanda sulla CNN, su cui mi sono rapidamente informato e posso fornire una breve risposta di carattere tecnico. In quel momento a Belgrado erano accese le telecamere della CNN e di alcune agenzie internazionali. Il contratto della Rai con la CNN ammonta a 462 mila dollari nell'anno in corso, globalmente parlando, comprese per i telegiornali analogici le breaking news, cioè le notizie con cui si rompe una normale programmazione per eventi di grande livello. Rai News 24, ad esempio, ha tutto il resto, ma non ha le breaking news. Infatti, per noi viene pagato di meno. Però noi abbiamo contratti, che non hanno i telegiornali analogici, con le due grandi agenzie internazionali da cui possiamo prendere tutto, la Associated press e la Reuter. Ebbene, quel giorno noi di Rai News 24, oltre alle edizioni straordinarie dei colleghi dei telegiornali analogici che possono ricorrere - e lo hanno fatto - alle breaking news della CNN, abbiamo dato le nostre breaking news continuativamente, attraverso Reuter e APTN, coprendo l'intero pomeriggio. Perché questo (e qui c'è l'elemento tecnico)? Perché lavoriamo in digitale, quindi siamo in grado di seguire in contemporanea eventi diversificati con una rapidità ed una continuità che i telegiornali analogici non possiedono; abbiamo infatti un teleport estremamente evoluto, dal quale registriamo, monitoriamo e mandiamo in onda immagini tratte da qualcosa come 70 broadcaster. Praticamente siamo in grado di prendere e inviare in diretta tutte le televisioni di tutto il mondo che arrivano via satellite a Saxa Rubra. Abbiamo realizzato un numero incredibile di dirette. Il giorno del tragico linciaggio di Ramallha, Rai News 24 è andato in onda per sei ore di seguito, esattamente come CNN. Ovviamente la differenza non è da poco, perché qui c'è un problema di cultura, oltre che di risorse, quindi un nodo che tocca tutta la Rai come servizio pubblico e credo tocchi il Parlamento italiano. La CNN ha quasi 2.000 giornalisti, in buona parte sparsi in tutti i paesi del mondo; la Rai ha in tutto 1.400 giornalisti, con pochissime decine di giornalisti all'estero.
Esiste quindi un problema di fondo. Ovviamente la mia testata, essendo satellitare, ha ancora inevitabilmente problemi di promozione e di conoscenza, ma sono certo che se tutto andrà bene li supereremo progressivamente, Rai permettendo. Vi sono problemi tecnologici di risorse e di scelta che vanno al di là delle possibilità reali. Tuttavia rivendico un fatto, e qui ritorno alla memoria. Ricordo ad esempio Ennio Remondino, del quale abbiamo trasmesso delle dirette sui bombardamenti in atto nella guerra con la Serbia: nel momento in cui veniva distrutta la sede della televisione di Belgrado, abbiamo trasmesso sue dirette con una webcam ed una qualità tecnica evidentemente molto particolare. Credo che il suo ruolo, così come quello di tanti altri testimoni del nostro tempo, non sia neanche da mettere in discussione. Voglio sottolineare a mia volta, anche per amicizia e per stima personale, che sia Claudio Accardi sia Riccardo Cristiano sono eccellenti professionisti. Cristiano è incorso in un errore estremamente grave, che purtroppo peserà, ritengo, sulla sua carriera, forse sul suo rapporto con questa professione; ma ciò non può cancellare il fatto che, come giustamente è stato ricordato da Clemente Mimun, non ci sia mai stata la minima obiezione nel merito della loro impostazione giornalistica. E


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sarà un peccato non avere questi due giornalisti su quel territorio e su quel fronte, senza con questo minimamente giustificare la lettera di Cristiano, che non è condivisibile né nel merito dell'iniziativa né dalla prima all'ultima parola.
Concludo rispondendo all'onorevole Giulietti sui new media. Mi permetto di evidenziare una mia personale divergenza, che peraltro non ho mai nascosto nemmeno pubblicamente, rispetto ad alcune linee che sembrano emergere riguardo ai new media. Credo che il Parlamento abbia un'occasione molto buona per ricordare che la convergenza digitale non può essere un fenomeno esclusivamente dedicabile al mercato. Questo è un punto decisivo. Sono convinto che, se si portassero fino in fondo le nuove tecnologie e l'innovazione nella missione di servizio pubblico, quindi con progettualità mirate multimediali che possano toccare lo sviluppo, il territorio, le istituzioni, la collocazione internazionale del nostro paese, nel Mediterraneo ed in Europa, questo sarebbe un traino straordinario anche per il mercato. Infatti, che cosa chiede la banda larga al servizio pubblico, se non evidentemente di fare fino in fondo qualcosa di diverso rispetto a ciò che legittimamente può fare Mediaset o qualsiasi altro imprenditore privato? È un punto sul quale dovremmo riflettere tutti, la mia azienda, ma anche il Parlamento italiano.

PAOLO ROMANI. Capisco la risposta del dottor Morrione, però il fatto che voi svolgiate bene il vostro mestiere è nell'oggetto sociale di Rai News; ci mancherebbe altro che Rai News non facesse esattamente quello che lei ha detto. Lei ha parlato di memoria: io ho citato degli episodi in base alla mia memoria storica, ma penso che appartengano a tutti. Ho ricordato in particolare l'episodio del 1989, in cui Raitre, che prima ho definito più «kabulista» di oggi, pur in presenza della caduta del peggior veterocomunista, che era Ceaucescu, realizzò un eccellente servizio, ma disponendo di pochissimi strumenti. Aggiungo un elemento in più: la TFN francese aveva una parabola piazzata nel cortile dell'ambasciata francese e fece le dirette, mentre il TG3 fu costretto a prendere le immagini di Reuter. Non credo che sia così complicato trasformare poi dal digitale all'analogico. Quindi se si fosse voluto fare lo stesso tipo di mestiere, lo si sarebbe potuto tranquillamente fare.
Ho voluto citare tutta una serie di episodi da cui è emerso un elemento importante, cioè che all'informazione radiotelevisiva del servizio pubblico non viene dedicato un investimento sufficiente: 25 miliardi (lo scopro oggi, probabilmente non ho letto attentamente i bilanci) sono una cifra irrisoria rispetto a quello che il secondo telegiornale, in ordine di ascolti, della Rai dovrebbe avere in termini di investimento. Mi sembra quindi eccessivo affermare che il problema non esista e che sia stato fatto tutto alla perfezione. Capisco la difesa dell'azienda e del suo prodotto editoriale, ma nessuno mette in dubbio che voi facciate bene il vostro mestiere; il problema riguarda soprattutto i telegiornali analogici, che sono quelli seguiti dalla maggior parte delle persone: mi pare che in Italia attualmente vi siano un milione e mezzo di parabole, per cui il sistema non è ancora talmente diffuso da consentire a tutti di vedere cosa succede in diretta. Il problema esiste, è grosso. Io cercavo di scalzare una pigrizia derivante dalla rinuncia ormai storica all'utilizzo di certi strumenti. Quindi il problema del rinnovamento, dell'innovazione, della nuova progettualità sta soprattutto nella sensibilità, forse anche della classe politica, di non continuare a lamentarsi di ciò che non funziona ma di riconoscere che tutto questo non funziona anche perché probabilmente le risorse fornite non sono adeguate rispetto al servizio che chiediamo di avere.
Con il mio intervento volevo uscire dalla logica dei secondi concessi ad ogni forza politica. Mi auguro e spero che la responsabilità dei direttori sia tale da evitare quel pastone politico, che mi pare Lerner abolì nei primi giorni della sua direzione, che è qualcosa di illeggibile, in termini sia di ascolto sia di qualità complessiva.


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PRESIDENTE. Vorrei svolgere una breve precisazione a proposito del link dell'associazione pedofila danese. Apprezzo la risposta del direttore Morrione; lo invito però anche a considerare la reazione che vi è stata anche da parte di chi ha sollevato il problema. Evidentemente il link esisteva da prima, ma se ne è presa visione successivamente, quando infuriava la polemica sulle immagini trasmesse dal TG3 del TG1. Lei, dottor Morrione, ha operato una scelta politico-culturale, cioè di dare spazio ad un dibattito che nei giorni precedenti si era sviluppato in tutta l'Europa. Personalmente sono per innalzare al massimo la soglia della riprovazione sociale verso questi fenomeni, nel senso che per me costoro non hanno diritto d'intervenire, non hanno diritto di parola - sono molto duro al riguardo -. Il fatto che la Rai, per un'intenzione tutt'altro che cattiva, decida di dare voce o di collegare questo link per far capire che c'è un dibattito in tutta Europa è apprezzabile. Ritengo, però, che questo scateni un allarme perché si associa la Rai ad un link pedofilo.
È una scelta che non farei mai; ripeto, sono per innalzare al massimo la soglia della riprovazione sociale, nel senso di dire che questo è male e non ne vogliamo sapere, perché questo è un modo meno brutto e cattivo per introdurre un tema che ha anche risvolti di altro genere. Questa era una lettera, non corredata da immagini, di un'associazione che diceva che il Governo italiano stava sbagliando perché non predisponeva i centri per l'ascolto dei pedofili. Ritengo che tutto questo produca come effetto un allarme, come se la Rai, che viene vista nella sua luce di ufficialità, abbassasse in qualche modo la guardia e dialogasse con quello che viene visto e letto come un fenomeno di degenerazione sociale.
Dopo aver reso tale precisazione, ringrazio tutti i direttori intervenuti; ci scusiamo per il fatto che l'audizione è stata di così lunga durata, anche se non è stata né noiosa né scontata. Invito i direttori a tenere conto, nella loro attività, di quanto emerso dal dibattito, soprattutto relativamente al fatto che ha dato origine alla nostra seduta.
Dichiaro pertanto conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16.40.

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