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Seduta del 20/9/2000


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Audizione del presidente e del direttore generale della RAI.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del presidente e del direttore generale della RAI, professor Roberto Zaccaria e dottor Pierluigi Celli, che ringrazio e saluto insieme all'ingegner Cappon, al dottor Malesani, al dottor Vitalini Sacconi ed all'avvocato Esposito. Do subito la parola al presidente Zaccaria.

ROBERTO ZACCARIA, Presidente della RAI. Limiterei la mia introduzione ad alcune brevissime considerazioni perché credo sia più giusto dare spazio agli interventi dei membri della Commissione.
In questo momento, direi che stiamo completando un importante processo di riorganizzazione, certamente il più importante del nostro mandato e forse anche della storia recente della RAI, che prevede alcuni passaggi relativi all'assetto societario anche in risposta ad alcune indicazioni comunitarie riguardanti la separazione contabile e organizzativa soprattutto con riferimento al settore dei new media. La RAI ha sviluppato gran parte di questo disegno, creando un gruppo integrato di notevole consistenza, e naturalmente questo percorso deve essere completato nelle sue conseguenze; esso rappresenta idealmente la conclusione di una sorta di fase uno della riorganizzazione della RAI e del sistema radiotelevisivo, mentre la fase due è in larga misura rimessa al Parlamento, almeno nei suoi principi ispiratori, per l'indicazione di un disegno che potrà


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riguardare un momento successivo. Credo che questa prima fase sarà portata a compimento quando avremo realizzato compiutamente la società per i new media, che praticamente è stata già costituita, ed avremo avviato le procedure anche per la collocazione in borsa, come è stato già detto nel corso del dibattito in questa sede.
Nel quadro di questo processo di societarizzazione in atto, la RAI mantiene periodici contatti prevalentemente con il soggetto azionista; proprio questa mattina abbiamo incontrato l'azionista della RAI, che sia pure essendo un soggetto in liquidazione è tuttora l'IRI, ed abbiamo stabilito reciproche informative e contatti e nelle scorse settimane, su invito del professor Draghi, siamo stati anche al Ministero del tesoro, al quale abbiamo fornito informazioni sul processo in atto. Sul piano generale credo quindi che questa primo tema possa andare sotto il titolo di completamento del progetto industriale che questo consiglio d'amministrazione ha avviato e credo che entro la primavera del prossimo anno potrà ragionevolmente arrivare in fase molto avanzata o essere concluso.
Per quanto riguarda altri temi che possono essere collegati a questo argomento, la RAI, su richiesta dell'Autorità per le comunicazioni, sta mettendo a punto un nuovo progetto, o meglio un progetto aggiornato, relativo alla terza rete, cioè la rete senza pubblicità; l'autorità ci ha chiesto di avere un quadro più recente, oltre alla prima prospettazione che era stata fatta nell'aprile del 1998 ed aggiornata nel gennaio 1999, e noi in queste settimane stiamo definendo un nuovo quadro anche alla luce del diverso contesto economico. Due anni fa, come ricorderete, anche a questa Commissione avevamo rappresentato le caratteristiche editoriali e di quadro economico conseguenti alla terza rete così disegnata, ma nel frattempo molta acqua è passata sotto i ponti ed i conti della RAI sono sensibilmente migliorati; il dato che risulta da queste prime valutazioni è comunque che, nell'ipotesi di eliminazione secca della pubblicità dalla terza rete, dovremmo registrare una perdita sul conto economico rilevante, dell'ordine di 270-280 miliardi, con ripercussioni per circa 80 miliardi anche sulla pubblicità della prima e della seconda rete. Come sapete, infatti, gli indici riferiti alla RAI sono due, uno settimanale del 4 per cento ed uno orario; quello settimanale è ovviamente diverso se viene applicato su tre reti o su due soltanto. E questo senza valutare altri effetti collegati al mercato pubblicitario. Questa è una sintetica valutazione di quelli che saranno i dati fondamentali del progetto aggiornato e delle sue conseguenze economiche che, lo ripeto, sarebbero molto pesanti sul conto economico della RAI decisamente ristabilito negli ultimi esercizi.
Credo poi che non sfugga a nessuno il fatto che il fatturato pubblicitario del principale concorrente della RAI (almeno secondo le indicazioni enunciate a Montecarlo) raggiungerà quest'anno i 4.800 miliardi e che tale fatturato rappresenta in larga misura il fatturato generale di quel gruppo; questo significa che le velocità di crescita della RAI del suo concorrente per effetto dell'andamento positivo del mercato pubblicitario subiscono un'accelerazione e ciò vuol dire che nel 2001-2002, a situazione invariata, la RAI risulterà superata dal suo concorrente in termini di fatturato globale, pur mantenendo per il 2000 una quota di mercato ancora molto positiva. La RAI quindi - vale la pena di dirlo ancora una volta - non può sperare come gli altri imprenditori di migliorare il suo risultato economico espandendo la sua quota di mercato perché le sue entrate sono «plafonate», pertanto l'unica strategia è ritornata essere quella di cui parlavamo prima, cioè i new media e la liberazione di asset sul mercato.
Un'ultima notazione riguarda il contratto di servizio. I gruppi tecnici e le delegazioni della RAI e del ministero del tesoro stanno lavorando e si stanno facendo passi avanti, quindi ci auguriamo


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che, superati gli ultimi problemi, in tempi brevi si possa arrivare ad una conclusione.

PRESIDENTE. Se il direttore generale non vuole aggiungere nulla, do la parola ai colleghi per il primo blocco di domande.

MARCO FOLLINI. Ho chiesto di intervenire per primo perché fra poco ci sarà una riunione della Conferenza dei capigruppo, quindi sarò costretto a lasciare la Commissione.
Ho letto qualche tempo fa dichiarazioni del presidente Zaccaria in ordine al fatto che in questi ultimi anni, e segnatamente negli anni di responsabilità di questo consiglio di amministrazione, ci sarebbe stata una cospicua valorizzazione patrimoniale della RAI. Erano state indicate anche delle cifre che non ricordo, quindi le chiederei di ripeterle e soprattutto le chiederei come si sia arrivati a definire questo incremento del valore patrimoniale. Vorrei sapere anche se su questo dato abbia una qualche incidenza l'altro elemento cui lei faceva riferimento prima, vale a dire la prospettiva che di qui ad un anno o due si possa realizzare il sorpasso della concorrenza in termini di volume di risorse.
La seconda domanda riguarda una questione che pende sul capo di tutti noi - di cui voi non avete alcuna responsabilità - e rispetto alle cui conseguenze bisogna fare qualche ragionamento. Attualmente la RAI, senza più il filtro della presenza, sia pure simbolica alcuni casi, dell'IRI, si trova essere posseduta direttamente dal Ministero del tesoro; lei ha fatto riferimento prima a informative sui processi in atto, vorrei perciò chiederle quali garanzie e quali certezze può dare alla Commissione in ordine al fatto che questa situazione anomala e transitoria, che peraltro confligge con una sentenza della Corte costituzionale, non esponga l'azienda ad un condizionamento più massiccio da parte del Governo che si trova ad esercitare una qualche forma di controllo più diretto sull'attività dell'azienda.

ANTONIO FALOMI. Anch'io mi scuso ma dovrò allontanarmi per prendere parte al Senato ad un'audizione del ministro Cardinale proprio sui temi sfiorati nell'introduzione del presidente Zaccaria ed a cui faceva riferimento anche l'onorevole Follini.
Vorrei rivolgere una domanda relativa all'attuazione della legge n. 249 in merito a una rete senza pubblicità. Ci troviamo in una situazione anomala rispetto a quanto previsto dalla legge, nel senso che non siamo ancora arrivati ad una decisione conclusiva dell'autorità sulla base del progetto presentato qualche tempo fa dalla RAI, progetto che abbiamo cominciato esaminare anche in Commissione e adesso il presidente Zaccaria parlava di un lavoro di aggiornamento di quel progetto; vorrei capire entro quali tempi la RAI produrrà questo aggiornamento che consentirà all'Autorità per le comunicazioni ed alla Commissione di vigilanza di definire in modo conclusivo il loro parere, perché non possiamo dilatare i tempi all'infinito senza prevedere scadenze, e vorrei sapere anche quali siano gli elementi che spingono verso un aggiornamento di quel progetto e su quali punti di orientamento si stia muovendo la RAI nella predisposizione di questo piano.

STEFANO SEMENZATO. Nella fase in cui si è discusso del contratto di servizio, che il presidente ci ha detto adesso essere in dirittura d'arrivo, c'è stato un grande dibattito intorno al tema della qualità e la RAI ha presentato un piano di nuovi palinsesti e nuove produzioni, che venivano raffigurati come elementi di forte capacità concorrenziale e di forte innovazione. Ho letto oggi una dichiarazione del direttore generale secondo cui la concorrenza e l'innovazione prodotta dal il Grande fratello viene respinta nei contenuti in quanto incompatibile con il ruolo del servizio pubblico - cosa con cui concordo - pone però un problema di sfida dal punto di vista dell'intreccio delle piattaforme tecnologiche e di nuove forme di produzione. Vorrei allora capire se la RAI su questi terreni in questo momento


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sia concorrenziale o sia in rincorsa rispetto dei competitori.
In questi mesi abbiamo visto emergere negli organi di informazione dichiarazioni congiunte del presidente e del direttore generale della RAI e dichiarazioni autonome; vorrei sapere se la RAI ha idee più precise sulle possibilità tecniche (la politica è un'altra cosa) di esperire una serie di percorsi relativi alla riforma della RAI. Ho sentito esprimere un chiaro rifiuto per la logica cosiddetta «a spezzatino», perché lo scorporo di pezzi della RAI significherebbe venir meno a capacità di concorrenza complessive, ma vi è un dibattito sulla possibilità di una presenza azionaria nel settore del core business, cioè delle reti generaliste. A questa tendenza vengono fatte due obiezioni molto forti. La prima è che una presenza azionaria in settori così delicati comporta l'ingerenza degli azionisti ad esempio nella nomina direttori dei TG è comunque nella linea editoriale, e questo sarebbe un modo per permettere ai grandi capitali privati di influenzare la gestione della RAI e quindi del servizio pubblico; la seconda è che l'intreccio fra canone e azioni fa sì che le modalità di spesa del canone determinino il valore delle eventuali azioni, creando un intreccio di interessi che pone problemi dal punto di vista della normativa europea. Vi chiedo come si configurino questi problemi dal punto di vista tecnico.
L'ultima questione è la seguente. La RAI ha calcolato mi sembra in 1.200 miliardi, le minori entrate imputabili per i tetti pubblicitari; vorrei capire se, eliminando il tetto pubblicitario, la RAI sarebbe in grado di guadagnare questi 1.200 miliardi, cioè se esista un mercato pubblicitario che permetta un'elevazione così forte di introiti pubblicitari; vorrei inoltre sapere, visto che stiamo facendo questa discussione sulla terza rete proprio al fine di adottare una legge antitrust per contenere un eccessivo addensamento di poteri anche sul mercato pubblicitario, come si configurino le posizioni dominanti della RAI del settore della pubblicità.

ROBERTO ZACCARIA, Presidente della RAI. Alcune domande sono rivolte sia a me sia al direttore generale, altre, in particolare quella relativa alla qualità dei format e dei contenuti, riguardano il direttore generale; ne potremmo parlare entrambi, ma credo sia meglio ne parli chi ha competenza prevalente.
Per quanto riguarda le dichiarazioni sul valore della RAI, è evidente che stabilire il valore di una società richiede una procedura piuttosto complessa ed anche delicata per le società che possono essere quotate in borsa perché per queste il termometro più preciso è proprio la borsa stessa; quando una società non è quotata, queste operazioni sono fatte in base ad una serie di indicatori che naturalmente non hanno un margine di certezza assoluto. Detto questo, data la natura particolare della RAI e il suo azionariato pubblico, credono sia doveroso dare conto di questi elementi sia pure nelle linee essenziali. Per la verità abbiamo due motivi precisi che ci portano a giustificare un'esercitazione di questo tipo. Il primo è quello che citavo all'inizio: stante il fatto che la Rai ha entrate sostanzialmente «plafonate» e che, stanti queste condizioni, serve a poco aumentare la quota di mercato per avere maggiori risorse, credo che uno degli elementi della strategia della RAI sia quello configurato nell'aumento di valore che si realizza attraverso la creazione di società, la liberazione di asset e la messa sul mercato di questa opportunità, che sono anche i presupposti per alleanze. RAI-Sat è certamente stato lo strumento per fare nuovi canali, ma anche per stabilire alleanze con alcuni partner nazionali e internazionali; RAI-Way nel momento in cui viene creata come società autonoma costituisce un importante elemento di valorizzazione.
Credo inoltre sia importante dare il segno concreto dell'avanzamento di un certo progetto, naturalmente ciò non è realizzabile con precisione assoluta e richiede un dibattito aperto, ma dà la sensazione del percorso di una strategia: è come se uno che deve andare da Roma a Milano intanto dica che ha raggiunto


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Firenze, poi Bologna. Per evitare di dare dei numeri, che sono spiacevoli se sono del tutto arbitrari, credo si debbano avere elementi di riferimento. Il primo è la stima che circolava nell'aria al momento cui noi siamo arrivati. La cifra di 20 mila miliardi che ho citato per prima era quella che circolava due anni e mezzo fa; nella stima di oggi (difficile perché bisogna tener conto di una serie di fattori, non solo del margine operativo, ma anche del fatturato, del numero degli addetti, del fatturato per addetto) diventa molto rilevante anche la quota di mercato, è diverso infatti avere il 2 per cento o il 50 per cento del mercato. Mi ero permesso di fare una stima che si aggira intorno ai 40 mila miliardi sulla base di una valutazione della RAI tra i 30 e i 50 mila miliardi fatta al momento dei bilanci sulla chiusura dell'IRI.
Io mi sono tenuto sul livello medio del range: appunto 40 mila miliardi. Ho considerato le affermazioni di un soggetto autorevole come l'azionista ed anche che nel corso degli anni la RAI aveva migliorato il suo conto economico e i dati sul margine operativo; la stessa quota di mercato era stata sempre crescente. Inoltre la RAI porta avanti un processo di valorizzazione di società che al termine del percorso dovrebbe auspicabilmente incrementarne il valore; la differenza fra 40 mila e 50 mila equivale appunto al valore di oggi ed a quello che potrebbe essere il valore alla fine del percorso. Può esservi anche una dose di ottimismo, ma poteva essere il caso di mostrarlo nel momento in cui si era aperto il dibattito sulla privatizzazione della RAI ed i compratori affluivano numerosi. Quando nelle vetrine sono esposti oggetti molto belli, in qualche modo si è portati ad entrare per comprare; ma se il prezzo viene esposto, la cosa cambia; in altre parole, se si fa capire che la RAI vale non 30 ma 50 mila miliardi, probabilmente i compratori diventano più riflessivi. Credo comunque che sia soltanto un elemento di comunicazione, che non ha alcuna valenza ulteriore: per noi ciò che conta è segnare le tappe di un processo di valorizzazione dell'azienda.

PRESIDENTE. Chiedo scusa, presidente. Se ho capito bene, la stima - o la super-stima - dell'effettivo valore della RAI è legata anche ad una strategia di dissuasione?

ROBERTO ZACCARIA, Presidente della RAI. L'ho detto come una battuta, vi ho fatto un esempio perché a volte possono esservi compratori un po' avventati. In genere nelle vetrine dei negozi di lusso non è esposto il prezzo, ma se qualcuno entra probabilmente può essere scoraggiato. Evidentemente si tratta di una battuta. Credo invece che l'altro elemento che ho citato sia importante, perché si rappresenta la fotografia della tensione industriale verso un certo risultato.
Sul problema del rapporto fra RAI, IRI e Tesoro vorrei dire all'onorevole Follini che sulla base dell'ordinamento attuale la RAI ha un azionista e che dopo il 28 giugno 2000 non è cambiato nulla: sostanzialmente l'azionista non si chiama più IRI ma «IRI in liquidazione». Se non vado errato, dal 28 giugno dovevano passare tre mesi: entro il 28 settembre il comitato di liquidazione dell'IRI presenterà le sue proposte. So che vi sono state avventate dichiarazioni...

PRESIDENTE. Anche da parte di esponenti del Governo.

ROBERTO ZACCARIA, Presidente della RAI. ...dichiarazioni anche autorevoli, secondo le quali la RAI sarebbe del Tesoro. In realtà il Tesoro è il «nonno» della RAI, ma il padre è tuttora l'IRI in liquidazione. Probabilmente entro il 28 settembre l'Istituto presenterà proposte sull'assetto. Penso di non aver nascosto le mie personali valutazioni in proposito: credo sia auspicabile un'intercapedine perché i principi della Corte costituzionale, ricordati dall'onorevole Follini, che sono tuttora validi e non sono affatto obsoleti, evidentemente rendono giustificabile l'esistenza


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di un azionista intermedio. Oggi non conosco quelle che saranno le proposte dell'IRI; le conosceremo tra pochi giorni o al massimo entro un paio di settimane.
Saranno le determinazioni sul nostro azionista futuro; certamente siamo molto interessati a conoscere chi sarà, ma una volta chiarito questo elemento devo dire che le dorsali del rapporto tra la RAI e lo Stato sono costruite su due elementi fondamentali: la Commissione parlamentare di vigilanza e gli organi dell'esecutivo. La Commissione parlamentare ha competenze esclusive sui contenuti e sui temi editoriali, mentre in alcuni casi ha competenze concorrenti (con altri organi, anche dell'esecutivo) sugli aspetti industriali. È noto - poi - che una serie di competenze sono esercitate dalla Presidenza del Consiglio, dai Ministeri del tesoro, delle finanze, delle comunicazioni e da altri ministeri con competenze minori per quanto riguarda la RAI. È possibile, quindi, che sui temi industriali intercorrano rapporti o informative con alcuni soggetti esponenti dell'esecutivo, ma l'importante è che ciò non accada con riferimento ad aspetti editoriali e di contenuto.
Il senatore Falomi si è soffermato sul tema dell'aggiornamento del piano per la terza rete. Noi stiamo preparando il relativo documento, che consegneremo entro il prossimo 30 settembre. Ne ho già richiamato alcuni elementi fondamentali, però devo anche ricordare che nel giugno 2000 nel definire le missioni editoriali della RAI e della rete il consiglio, su proposta della direzione generale, ha individuato anche la missione della terza rete, la quale evidentemente andrà a confluire - per la parte editoriale - nel progetto che presenteremo tra pochi giorni.
Sulla questione della qualità e dei format, ripresa dal senatore Semenzato, lascerò la risposta al direttore generale. Credo sia abbastanza logico che il soggetto RAI, che realizza un certo percorso industriale (ho parlato della prima fase, dedicata alla riorganizzazione ed alla societarizzazione), abbia un interesse a partecipare in qualche modo al dibattito sul futuro. Ho detto che vorremmo esprimere queste valutazioni «sommessamente», per sottolineare il fatto che sappiamo di essere soggetti secondari (nel senso che deciderà qualcun altro). Credo comunque che sarebbe del tutto logico utilizzare la nostra esperienza per avere valutazioni su questi temi (qualcuno ha fatto dell'ironia sul termine «consulenza»...); d'altra parte ciò è già avvenuto in passato.

PRESIDENTE. Vi stiamo ascoltando per questo.

ROBERTO ZACCARIA, Presidente della RAI. Per quanto riguarda le dichiarazioni del direttore generale e del presidente, credo che la letteratura sulla diversità di posizioni tra il direttore generale ed il presidente sia stata largamente sconfitta almeno in questo consiglio d'amministrazione. Noi abbiamo seguito una linea di assoluta convergenza sugli obiettivi complessivi. Qualcuno può aver scorto una diversità in qualche dichiarazione o in qualche titolo di giornale che riportava certe dichiarazioni; ma quando su questo terreno la soglia di tolleranza è stata superata, abbiamo cercato di ricondurre il tutto ad unitarietà. Lo abbiamo fatto, in particolare, il 9 settembre, con una dichiarazione congiunta: è importante riconoscere all'azienda un'autonomia organizzativa che le permetta di avere una flessibilità sul mercato, che è condizione di sviluppo, anche perché è oggettivo interesse del sistema Italia avere una RAI forte tanto come servizi al pubblico quanto come impresa, un gruppo integrato che restando a maggioranza pubblica possa aprirsi agli azionisti privati mantenendo la propria unitarietà ed accrescendo la propria dimensione industriale. Questo significa sicuramente dire di no allo «spezzatino». È questo, per sommi capi, il punto di vista del presidente, del direttore generale ed anche del consiglio di amministrazione; naturalmente le sottolineature dei singoli possono essere diverse, ma questa è la sostanza


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(almeno del dibattito che abbiamo sviluppato all'interno): non abbiamo mai creduto possibile smembrare la RAI creando società più piccole destinate ad operare con grande difficoltà su un mercato fortemente competitivo.
Venendo alla domanda del senatore Semenzato, noi non abbiamo ritenuto possibile nell'ambito del nostro mandato creare nuove articolazioni in una seconda fase, dando vita a società anche per la parte editoriale (che abbiamo definito di core business). Alcuni riferimenti legislativi di carattere generale - sui quali va a misurarsi il disegno di legge n. 1138 - come l'unitarietà delle concessioni e l'unitarietà del servizio pubblico (prevista dalla legge n. 249) sconsigliano operazioni di questo genere senza una copertura normativa. Dal punto di vista tecnico certamente una «fase due» potrebbe prevedere nuove società anche nel settore editoriale: questo è possibile. Auspichiamo che, ove fossero create, le società rimanessero a maggioranza pubblica (perché ciò significherebbe mantenere unitario il gruppo) e che le indicazioni del legislatore da questo punto di vista siano idonee a tracciare principi ma non ingessino l'organizzazione aziendale. Come sapete, abbiamo alle spalle un famoso - non vorrei dire «famigerato» - articolo 13 della legge n. 103 del 1975, con cui l'azienda veniva a tal punto ingessata nella sua organizzazione interna da non consentire alcun tipo di inventiva. Se non si può ingessare l'azienda nella sua dimensione interna a maggior ragione sarebbe molto pericoloso ingessarla in quella esterna. Creare una società con un certo obiettivo ed un certo oggetto, invece che altri, risponde inevitabilmente ad una logica di mercato. Certamente è nella signoria del Parlamento stabilire chi debba essere il proprietario delle azioni della RAI, su questo non mi pare vi siano dubbi.
Un'ultima battuta collegata alle considerazioni dell'onorevole Follini ed alla domanda formulata dal senatore Semenzato. Come reagisce il canone in rapporto al valore della società ed al contributo dello Stato verso la RAI? In questi giorni ho ascoltato grandi esercizi sull'aumento delle risorse pubbliche: qualcuno (credo anche qualche nostro consigliere) ha parlato di un incremento del canone o di defiscalizzazione. Vorrei che si avesse la cortesia non soltanto di spiegarmi teoricamente che si può aumentare il canone ma anche di indicare - sulla base della serie storica degli ultimi vent'anni - quando mai si è pensato di poter aumentare significativamente il canone al di là dell'indice di inflazione. Un nuovo indirizzo politico può benissimo determinare una condizione del genere, ma sicuramente oggi la curva del finanziamento da canone è assolutamente decrescente, secondo una serie storica ineluttabile. D'altra parte non mi risulta esistano margini per una defiscalizzazione. Se si fa riferimento alla concessione governativa - con una stima intorno ai 10 miliardi -, può anche darsi, ma si tratta di un ordine di grandezza che non incide significativamente su un'azienda come la RAI. Quando si citano certe voci bisognerebbe non limitarsi soltanto al singolo dato ma parlare della valorizzazione complessiva, perché si tratta di fatturati dell'ordine di migliaia di miliardi: per Mediaset la cifra è di 4.800 miliardi, per la RAI si deve pensare a cifre che comunque riguardano le migliaia piuttosto che le centinaia di miliardi.
Credo che il canone non sia un handicap nella valorizzazione della RAI. L'azienda ha un contratto di servizio con lo Stato ed un canone per finanziarlo. Abbiamo anche precisato che dei 2.500 miliardi previsti nel contratto di servizio soltanto 1.500 miliardi corrispondono al finanziamento di obblighi per il servizio pubblico e che il resto rappresenta un indennizzo per i minori affollamenti pubblicitari, volendo scorporare la cifra, si dovrebbe quindi tenere conto di questo dato. Personalmente sono convinto che se la RAI avesse indici di affollamento uguali a quelli dei privati, la Sipra riuscirebbe a prendere quei 1.000-1.200 miliardi (cinque o dieci anni fa avrei risposto diversamente), ma devo anche precisare al senatore Semenzato che questi 1.000-1.200


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miliardi non sono aggiuntivi sul mercato, ma sostitutivi: ciò significa che andremo ad una competizione più forte con il nostro concorrente...

STEFANO SEMENZATO. Diminuirebbe il canone...

ROBERTO ZACCARIA, Presidente della RAI. Questa sarebbe una conseguenza, ma il punto è che sarebbe più dura - per il nostro concorrente - la conquista dei 4.800 miliardi di fatturato. In pratica mi sembra che la sua domanda fosse finalizzata a capire se oggi esistono altri 1.200 miliardi sul mercato: i miliardi ci sono, il problema è che oggi noi abbiamo il 49 per cento di share e raccogliamo 2.400 miliardi di pubblicità (2.200 miliardi lo scorso anno), mentre il nostro concorrente ha uno share del 43 per cento e prende 4.800 miliardi. Evidentemente un cambiamento di questa logica (con l'eliminazione del canone, l'indennizzo e l'aumento degli indici di affollamento) porterebbe ad una competizione molto più forte su quella quota di pubblicità. Secondo me Sipra potrebbe raccogliere quella quota, anche perchè l'anno scorso ha realizzato una performance superiore a quella di Publitalia in termini pubblicitari e mi auguro che lo stesso avvenga quest'anno.
Se lo consente, presidente, lascerei ora la parola al direttore generale.

PRESIDENTE. Prego, dottor Celli.

PIERLUIGI CELLI, Direttore generale della RAI. Signor presidente, vorrei preliminarmente sottolineare che l'ipotesi di rinuncia alla pubblicità collegata alla presentazione del piano per la terza rete - che in larga misura abbiamo già messo in cantiere - condiziona pesantemente i conti della RAI, in maniera strutturale e non congiunturale. È un dato che occorre valutare, visto che le variabili di conto economico sono note...

PRESIDENTE. Può essere più chiaro su questo?

PIERLUIGI CELLI, Direttore generale della RAI. Significa che andiamo in passivo.

ROBERTO ZACCARIA, Presidente della RAI. Se abbiamo un utile di 200 miliardi, la perdita di 280 miliardi significherebbe andare in passivo.

PIERLUIGI CELLI, Direttore generale della RAI. Il problema non è la posizione più o meno dominante, ma è consentire ad un soggetto di stare o di non stare sul mercato in considerazione di una serie di vincoli complessivi. Quindi non si può guardare semplicemente ad un punto; la questione va esaminata nel suo complesso.
Inoltre, se si riducesse il canone ed aumentassero gli affollamenti sulla prima e sulla seconda rete, la concorrenza sul mercato farebbe in qualche modo diminuire i prezzi unitari; in altri termini noi andremmo a prendere più pubblicità, ma non si potrebbe calcolare un aumento collegato all'aumento della raccolta sic et simpliciter. Non dimentichiamo che la RAI, in qualche modo protetta dal canone, gode di un maggiore spread per i singoli spot pubblicitari, che sono più pregiati proprio perché la pubblicità è minore; in altre parole lo spot viene pagato di più perché non deve confrontarsi con un affollamento più elevato. Anche in questo caso, quindi, non dobbiamo considerare soltanto il singolo tassello di una costruzione, perché tutti i tasselli si tengono insieme; e le conseguenze di una sola modifica possono essere a cascata e molto pesanti.
Per quanto riguarda la qualità dei programmi e l'intreccio fra sistemi, indubbiamente le innovazioni di linguaggio mettono assieme tutte le piattaforme tecnologiche disponibili: televisione generalista, televisione digitale e satellitare, Internet a banda stretta e a banda larga. Ormai ci si muove inevitabilmente su tutta la scacchiera e il Grande fratello segna effettivamente una direzione di marcia; questa indicazione è legata - però - ad un contenuto che per noi è impraticabile. Stiamo quindi lavorando a contenuti coerenti


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ed omogenei con l'obbligo di servizio pubblico e con i valori del servizio pubblico che una televisione di Stato deve osservare. È indubbio che tentativi in questo settore debbano essere compiuti; e noi lo faremo molto presto. Alcuni programmi sono in fase di avanzata elaborazione; i linguaggi si intrecceranno sempre di più; cambierà anche il modo di guardare la televisione e si modificheranno i pubblici a cui la televisione si rivolge. Certi spezzoni del nuovo programma sono seguiti da pubblici che non guardavano la televisione, che scompaiono quando il programma termina e non vengono risucchiati da altri programmi; si presentano in quella finestra e scompaiono dalla platea televisiva quando la finestra si chiude. Evidentemente sono pubblici più giovani, abituati a fruire di informazione o di spettacoli in altri circuiti, al di fuori della televisione generalista.

PRESIDENTE. Vi ringrazio e do subito la parola agli altri colleghi per il secondo blocco di domande.

PAOLO ROMANI. Signor presidente, il settore del quale ci occupiamo fa registrare una mobilità tecnologica molto elevata (con effetti anche in campo economico ed industriale), il che ha sostanzialmente reso obsolete tutte le leggi prodotte dal Parlamento: la legge Mammì è ormai archeologia, ma anche la legge Maccanico rischia di diventare tendenzialmente vecchia. Negli ultimi anni questo settore ha celebrato cambiamenti ed evoluzioni rapidissime in relazione allo scenario precedente; prima di cinque anni fa, per un periodo di circa venti anni, le problematiche hanno seguito percorsi (sia di mercato sia di disciplina normativa) rispondenti a canoni tradizionali. Oggi ci troviamo di fronte ad un cambiamento di fondo.
Il settore ha vissuto una debolezza sia intrinseca (perché il comparto dei media tradizionali è più debole) sia perché le risorse sono state compresse («plafonate», come ha detto il presidente Zaccaria) e quindi non hanno potuto seguire l'evoluzione che forse si sarebbe sviluppata naturalmente. La circostanza è tanto più grave in quanto oggi proprio nel settore più debole stanno intervenendo altri soggetti: da un lato sono figli del «sogno» e della new economy, dall'altro sono figli dei monopoli pubblici o ex pubblici. Un solo esempio del primo tipo: e.Biscom riesce a capitalizzare in borsa, con un sogno, qualcosa come 11.000 miliardi. Sull'altro versante si può citare l'esempio del monopolio pubblico elettrico o quello dell'ex monopolio pubblico nel servizio universale della telefonia, i quali garantiscono capacità di investimento di enorme rilievo e risorse inimmaginabili per il settore dei media.
Di fronte a questi fenomeni la maggioranza ha prima sostenuto un complesso di regole che comprimessero o - quanto meno - regolassero il settore, poi si è posta il problema di garantire processi industriali moderni per tutte le risorse investite nel settore. La RAI vive fino in fondo questa debolezza e l'attuale consiglio di amministrazione ha avuto occasione di esporre opinioni al riguardo (e lo ha fatto pubblicamente). Vi domando allora: siete oggi in grado di immaginare i diversi possibili scenari? Lasciamo stare la politica, lasciamo stare che sulla RAI si sono sempre addensate polemiche e richieste di controllo politico che avevano anche altra rilevanza, lasciamo stare che sulla RAI e su tutti i media si è appoggiata la famosa legge della par condicio, che ha compresso capacità di comunicazione e ne ha anche peggiorato la qualità complessiva. La RAI è in condizione di esprimere un'opinione su questi argomenti? Penso valga la pena che si esprima con chiarezza, dicendoci non solo quali siano le strategie interne (divisionalizzazione, ricerca di separazione contabile e così via), ma anche quali scenari siano prospettabili nel nuovo quadro. Penso che siate molto preoccupati non per l'ingresso di altri competitori sul mercato, ma per il fatto che entrano con risorse improprie nel segmento industriale storicamente più debole.


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Ho assistito a polemiche tutte interne alla maggioranza. Prima si diceva che doveva essere tutto privatizzato, poi con un ripensamento si è detto che occorreva privatizzare solo in parte; oggi ho sentito il senatore Semenzato porsi legittimamente il problema di come la concorrenza del canone sulle risorse possa rendere in un certo senso eterologa la definizione della patrimonializzazione dell'azienda RAI. Siamo quindi in presenza di un sano ripensamento da parte della maggioranza rispetto a tutte le prospettive che erano state ipotizzate. Ma a questo punto è l'azienda che dovrebbe darci suggerimenti al riguardo; a mio avviso la RAI ha tutti gli strumenti per farlo, dalla capacità di analisi ai centri studi.
Diteci dunque - con chiarezza, se possibile - al di là della ricerca interna della futura struttura dell'azienda, quali prospettive di sopravvivenza esistano all'interno del nuovo mercato per un ruolo di servizio pubblico e per l'azienda. Il mercato sta per essere sconvolto. Oggi parliamo quando molti meccanismi non sono ancora saltati, ma c'è il rischio che ciò avvenga: l'ingresso di Enel, Wind, nonni, fratelli e cugini del monopolio elettrico, sarà dirompente in questo settore. Giustamente il presidente Zaccaria ha evocato il fatto che andiamo verso quella famosa convergenza multimediale con cui si sono riempite le discussioni di questi anni; non sono tanto convinto che il problema si ponga nell'immediato, tuttavia ho l'impressione che per voi sia obbligatorio immaginare un ruolo ed una strategia dell'azienda e del servizio pubblico che consentano alla RAI di sopravvivere in un mondo che sta per essere sommerso da una quantità inimmaginabile di denaro, non legato al settore che fino ad oggi avete condiviso con pochi altri soggetti.

GIUSEPPE GIULIETTI. Non seguirò l'onorevole Romani - che pure stimo - sul terreno della ricerca delle contraddizioni, perché penso che tutti dovremmo riflettere attentamente sulle nostre amnesie e sulle nostre contraddizioni. Per esempio, non ho mai promosso un referendum per abbattere la RAI pubblica. Come si fa a sostenere per anni un certo orientamento (anche gli amici della Lega ricorderanno che sul vincolo pubblico della RAI è stato celebrato un referendum) e poi parlare di un orizzonte ideale della RAI tutta pubblica? Insomma, di contraddizioni ne vedo tante, credo invece che dovremmo impegnarci a trovare insieme le regole, senza tornare ogni volta sulle polemiche che servono a poco. Anche i conflitti d'interessi nel settore sono molti e io non vedo soltanto quelli dell'Enel; anzi, ne vedo talmente tanti che penso sarebbe opportuno non fare nemmeno la legge: o viene discussa seriamente oppure chi governerà dovrà motivare ogni mattina in che modo il conflitto d'interessi può essere superato. Non seguirò comunque questo scenario, semplicemente non volevo dare l'impressione di non rispondere come se fossimo stati toccati nel vivo. Se c'è da far polemica posso andare avanti anche per quarantott'ore di seguito, gli argomenti non ci mancano, reciprocamente, allora mettiamoli da parte e parliamo del futuro.
Mi associo alla preoccupazione manifestata dall'onorevole Follini (ma su questo punto la risposta è già stata data): la funzione del Tesoro deve essere solo notarile. Ho sempre pensato che i Governi non possano controllare le aziende direttamente o indirettamente e ritengo pericolosa la stessa fase transitoria. Chiedo quindi il massimo di attenzione su questo punto e ritengo che bene abbia fatto il presidente della Commissione di vigilanza a dimostrare una simile attenzione. Sostengo questo Governo, ma le regole sono una cosa diversa dai consensi al proprio Governo e non si può cambiare ogni mattina il proprio punto di vista. Ritengo che questa fase debba essere rapidissimamente portata a conclusione perché la sola impressione di una etero-direzione da parte del Tesoro sarebbe sbagliata. Non spettano al Tesoro decisioni improvvisate - neanche sulla finanziaria, o altrove - in merito al servizio pubblico radiotelevisivo; le grandi regole su questa materia spettano


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al Parlamento. Ecco perché occorre la massima attenzione: ciascuno faccia il suo mestiere, all'interno dei propri confini e dei propri ambiti con un impegno che riguarda la maggioranza e l'opposizione, quelle di oggi e quelle future. Penso che la sentenza della Corte che rompeva il rapporto tra Governo e azienda sia ancora valida e che anzi debba essere ulteriormente approfondita; in merito condivido le riflessioni del presidente della RAI. Di ciò dobbiamo tenere conto tutti noi nella definizione dei meccanismi di nomina e di formazione statutaria e societaria della nuova azienda, proprio perché vi sia una fonte di nomina diversa, che sia - so che è difficile - più garantista e concordata.
Ho trovato positiva la riflessione sul contratto di servizio, e se possibile vorrei sapere qualcosa in più: esiste un'agenda di lavori? Condivido, infatti, quanto detto qui da colleghi di maggioranza e di opposizione, ma il documento predisposto a settembre dal presidente e dal direttore generale contiene talune indicazioni sulla legge di riforma che le forze politiche dovranno valutare. Così come ascoltiamo con grande attenzione le prese di posizione di Mediaset e delle altre aziende, dobbiamo ascoltare quelle della RAI, che va trattata nello stesso modo; talvolta vedo da parte di tutti un atteggiamento da «Risiko» nei confronti dell'azienda, che è diventata come la nazionale di calcio: qualcuno si alza la mattina e, analogamente a quanto avviene per la formazione della squadra, delinea il futuro della RAI, detta i palinsesti, ritiene di poter esprimere valutazioni su come organizzarsi nel futuro. Questo a mio giudizio è sbagliato in generale e anche nei confronti della RAI, in quanto tende a renderla un'azienda malata. Se è così, mi interessa l'aspetto della firma del contratto di servizio, nei modi e nelle forme che decideranno le parti perché è un preambolo alla legge di riforma e, così come è formulato, presidente, rende inutile lo «spezzatino»; ecco perché lo ritengo garantista rispetto al documento predisposto dalla RAI medesima, nel senso che definisce, con tutte le differenze riscontrate tra di noi, l'unità del servizio pubblico.
Ho fatto questa premessa perché altrimenti non si capisce la domanda. Ritengo lo «spezzatino» un errore - lo ripeto - e credo che sarebbe più coraggiosa la scelta di privatizzare interamente l'azienda, in quanto lo «spezzatino» in Italia rischia di significare che i pezzi pregiati vengono messi sul mercato e vanno al privato, mentre il canone paga solo una rete, così che il pubblico paga ciò che viene visto di meno; sono quindi contrario per ragioni di impresa, per ragioni di mercato, per ragioni politiche, ma credo che su questo l'atteggiamento non sia di parte e che non si tratti di un problema solo della RAI; vorrei però conoscere il giudizio del presidente e del direttore generale su ipotesi che sento circolare e che a mio giudizio sono parenti prossime dello «spezzatino», sono un'anticipazione del menu, quali quella di separare radicalmente il canone e la pubblicità. Vorrei un giudizio tecnico su un'ipotesi che prevede in sostanza due reti che vanno interamente sul mercato ed una che va interamente con il canone.
Secondo il contratto di servizio tutto ciò che è dentro tale contratto finanziato dal canone, ed è evidente che una separazione netta può essere decisa non in modo surrettizio ma nelle sedi parlamentari. Tra l'altro, l'ipotesi prospettata non è stata espressa dal gruppo dirigente aziendale e dunque vorrei sapere se questa sia la vostra posizione, se ci sia un ripensamento, se pensiate si tratti di una posizione sbagliata, se riteniate preferibile avere una rete con tremila miliardi di canone. Come farà il Parlamento a non domandarsi come fa una rete ad avere 3 mila miliardi di canone? Per farne che? Come l'organizza? E se questa rete va al 5 o al 6 per cento degli ascolti, che cos'è? È il doposcuola? Qualcuno dice che ama la RAI, ma le contraddizioni, collega Romani, sono molte. Voglio banalizzare e fare un paradosso: ho sentito dire che si potrebbe fare più inglese e più tecnologia (Contri lo ha teorizzato, peraltro in ritardo


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rispetto al programma di Forza Italia), ma con 3 mila miliardi si fanno i corsi d'inglese, l'università a Nettuno, l'assistenza domiciliare e si insegna ad utilizzare il computer; non occorrono tremila miliardi per questi programmi, è sufficiente una modesta azienda privata che si occupi di tali materie. Procediamo allora ad una gara di appalto, perché per questo non credo che occorra una servizio pubblico specifico con tutti questi soldi.
In secondo luogo, poiché mi colloco in una posizione diversa da chi dice che la RAI deve essere tutta pubblica e che il sistema va bene così com'è per la RAI e per il privato (perché ritengo che il sistema sia bloccato e preistorico e che così com'è non funzioni), e da chi propone di punto in bianco di privatizzare due reti (un'ipotesi inconsistente e velleitaria, non essendoci neanche il mercato), prospetto un'ipotesi di scuola al presidente e al direttore generale della RAI: il Parlamento non riesce a varare alcuna riforma e le bocce restano ferme. Poiché vorrei capire se dietro l'ipotesi di non toccare nulla vi sia anche un interesse economico, vi chiedo entro quanto tempo la RAI andrebbe sotto rispetto alla concorrente in termini di entrate. È possibile verificare se entro un determinato arco temporale la riduzione del canone e il tetto pubblicitario insieme porterebbero la RAI fuori dal mercato? Credo sia importante che il legislatore sappia se la conservazione del mondo così com'è produca un risultato singolare ed è meglio che i conflitti di interesse non ci siano, altrimenti non riusciremo mai a dialogare limpidamente su questa materia.
In terzo luogo, esprimo un giudizio positivo sull'ipotesi di riforma che è stata portata avanti e sull'autoriforma che è già intervenuta: il nostro compito dovrebbe essere quello di dare una veste giuridica e societaria, anche perché spesso parliamo di privatizzazione come se la situazione fosse quella di quindici anni fa, senza sapere che i privati già ci sono e che le alleanze sono state realizzate. L'ipotesi della quotazione in borsa delle nuove società mi sembra interessante e moderna, e riterrei una iattura il non portare a conclusione tale processo; solo chi vuole male alla RAI oggi chiede un'azienda che non si apra ai privati e che non entri in un altro meccanismo.
Vorrei sapere se a tale proposito siano stati fissati dei tempi, se si intenda portare avanti questo processo e con quali caratteristiche: mi riferisco in particolare a RAI-Way, a RAI-Net, a RAI-Cinema, a RAI-Sat e a New media). Per esempio, come molti di voi ho potuto notare che alla Mostra del cinema di Venezia una delle poche novità è stata l'azienda Cinema, che ha dato segnali di straordinaria vitalità, come il settore dei new media, perché in realtà la partita vera si giocherà lì. Pongo questa domanda rendendomi conto che è tecnica, ma chiunque segue il settore sa che in realtà è lì - ripeto - che si gioca la partita, non nel dibattito sul segnale orario delle 20.30.
Un'ultima domanda al direttore Celli, perché non ho capito una cosa (forse era una battuta, ma sono ironico anch'io): qualcuno ha detto che, dato che la concorrente della RAI fa questa grande trasmissione che si intitola il Grande fratello, la RAI dovrebbe competere. Non si pensa per caso ad una sorta di Piccolo cugino, trasmissione erotica minuto per minuto su Televideo con tavole disegnate dal vecchio Walter Molino? Io penso che il modello da seguire sia un altro.
Quello della qualità è un grande tema, e come sapete su questo si è aperto un dibattito. Ho visto un mondo cattolico attentissimo alla discussione sulla sfilata omosessuale e su altri temi, con interventi durissimi, legittimi, una polemica secondo me seria e sacrosanta; ma poiché l'authority non discute di questi temi e non può farlo la Commissione di vigilanza, in un sistema con due sole fonti un certo modello diventa imitativo: è inutile che facciamo gli ipocriti. Rispetto a questa sfida, che invece ha registrato più disinteresse dal punto di vista etico (c'è un'etica che si applica a giorni alterni su questi temi), qual è la scelta in riferimento alla qualità? Il progetto che era stato portato avanti sulla serra creativa e


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sulla produzione di nuovi autori e di nuovi talenti sta andando avanti? Ha delle scadenze?

ADOLFO URSO. Signor presidente, sconterò certamente il fatto di essere un novizio della Commissione e quindi mi scuso per non aver compreso alcuni passaggi, su cui chiedo chiarimenti. Non ho compreso nemmeno l'ultimo passaggio - ironico presumo - del commissario Giulietti nel richiamare il mondo cattolico a due pesi e due misure, tra la manifestazione gay e il Grande fratello, in una sorta di silenzio etico.

GIUSEPPE GIULIETTI. Non ho richiamato il mondo cattolico, ho richiamato una presunta espressione del mondo cattolico...

ADOLFO URSO. Chiedo scusa, ma come dicevo sconto questo primo impatto e quindi non riesco a capire fino in fondo l'ironia.
Credo che su quanto detto da Paolo Romani - la cui linea in parte condivido - si sia ritrovato anche Giulietti, laddove poi alla fine notava come alcune nuove società (RAI-Stet, RAI-Sat, New media), rappresentino i nuovi settori sui quali si gioca la vera scommessa. Ciò che anche a me ha sorpreso è che su questo si sia registrato un silenzio della RAI; anche oggi - scusate se me ne sorprendo - il presidente e il direttore generale hanno sempre parlato di «competitore» come se la RAI dovesse competere solo con un altro soggetto, mentre è evidente a tutti che esistono dei competitori altrettanto agguerriti che sono entrati in questo mercato, soprattutto in quello dei new media, competitori che aggirano in qualche modo una legge che può anche essere superata ma è ancora in vigore. Mi stupisce che ancora oggi non ci si renda conto che tutto, da qui a poche settimane, rimetterà tutto in gioco: non ci sarà più un solo competitore con il quale competere, per esempio come nel caso del Grande fratello, provando a muoversi sullo stesso piano.
Ritengo anomalo che un servizio pubblico di informazione investa soprattutto per competere in ambiti che non riguardano l'informazione: quanto più lo sviluppo del mercato sarà questo - quello che indicavano i colleghi Romani e Giulietti nelle diverse posizioni, ma entrambi consapevoli della situazione - tanto più credo che la RAI debba prevedere e possibilmente programmare uno sviluppo del servizio pubblico. Investendo non sull'informazione ma su altri settori più di spettacolo, per competere magari con il Grande fratello, rinunciando al settore trainante di un servizio pubblico di informazione, la qualità dell'informazione e misurandosi con un competitore che inevitabilmente, non avendo questa necessità, investe soprattutto sullo spettacolo e sull'intrattenimento, è ovvio che si deforma la specificità della RAI. Nel caso in cui, come avverrà inevitabilmente (i primi segnali già ci sono e sono fin troppo significativi), irrompano altri concorrenti, tra l'altro forti di posizioni di vantaggio in altri settori, per concessione o perché ancora monopolisti, continuando a percorrere questa strada prima o poi si uscirà fuori dal rapporto oggi esistente con il competitore.
Lo dico con molta serenità, avendo letto sui giornali in questi mesi una cosa che evidentemente qui non esiste o sembra non sia esistita: mi riferisco ad una difformità di consulenza tra il presidente e il direttore sul destino dell'eventuale privatizzazione della RAI. Si tratta della stessa difformità - guarda caso - espressa dalla maggioranza di Governo, come se le due posizioni all'interno della coalizione, del Governo e dei singoli dicasteri che si occupano della materia si siano riproposte nella diarchia tra presidente e direttore generale della RAI, difformità che oggi è stata ricomposta salvo poi riproporsi sull'ipotesi di una RAI comunque integra nelle sue tre reti, a maggioranza pubblica, ma in parte - anche se minoritaria - ai privati. Ma a quali privati?
Tale argomento investe innanzitutto quella che sarà a giorni la decisione dell'IRI in liquidazione rispetto a questo


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diaframma che, come ha detto lo stesso Giulietti, è diventato talmente sottile da far apparire un'esclusiva competenza del Tesoro. Qualcuno ha detto in maniera impropria - ma in realtà in maniera propria - che la RAI, scavalcando una sentenza della Corte costituzionale, è di fatto ormai nelle mani del Tesoro. Dato che in queste settimane la maggioranza dice di voler realizzare, attraverso il disegno di legge n. 1138, una riforma radicale in questo settore, la mancanza di un diaframma - più o meno ampio - può alterare o inquinare quello che deve essere un libero confronto parlamentare. L'anomalia rappresentata da una RAI nelle mani del Tesoro sarebbe tanto più grave se in queste settimane si dovessero o volessero prendere delle decisioni concernenti proprio il futuro della RAI.
Per concludere e per semplificare ancora, a me interessa conoscere le vostre posizioni in merito all'ipotesi, che è ormai in campo, di irruzione di altri competitori nonché in riferimento al canone. Il direttore Celli ha prospettato l'impossibilità di sopperire alla mancanza della pubblicità sulla terza rete aumentando - se ho capito bene - gli spazi sulle altre reti; ha dunque messo le mani avanti su quello che potrebbe accadere di qui a poche settimane, proponendo sostanzialmente un freno, una resistenza, rispetto a decisioni che dovrebbero essere comunque adottate e rispetto al fatto che si possa passare dall'idea dello «spezzatino» (oggi scongiurata dalla resistenza di Giulietti e di pochi compagni all'interno della maggioranza, che hanno posto il veto su un'ipotesi che invece sembrava prevalente, espressa dal presidente Zaccaria, e da una parte della maggioranza e del partito dello stesso onorevole Giulietti), a quella che la RAI rimanga pubblica, o almeno a maggioranza pubblica, con parte delle azioni a privati.
Ripeto, quali privati? Gruppi editoriali, azionariato diffuso, dipendenti? È molto differente se la minoranza del 30, 40 o 49 per cento della RAI va a gruppi editoriali, se è nelle mani di una o di tante persone, perché l'influenza anche politica di soggetti privati forti che entrano nell'azienda in compartecipazione con il pubblico, ancorché in minoranza, stravolge o comunque modifica quello che sino ad oggi è stato il soggetto pubblico.

ROBERTO ZACCARIA, Presidente della RAI. Nelle domande degli onorevoli Romani, Giulietti e Urso vi sono dei temi comuni. La RAI ha una strategia che ho richiamato e che è stata illustrata alla Commissione anche in audizioni precedenti. La scelta di riorganizzare la RAI al suo interno e di farne un gruppo (quello che Giulietti ha definito il processo di autoriforma e che io ho richiamato all'inizio del mio intervento) era non solo una scelta obbligata in ragione della struttura delle entrate, ma anche una caratteristica strutturale dell'azienda per affrontare la sfida su mercati più complessi. Abbiamo deciso di mantenere forte, direi leader, l'offerta sul terreno della televisione generalista e il risultato della leadership in questo mercato si conquista giorno per giorno, battendosi inevitabilmente con uno o più concorrenti. È evidente che chi valuta il mercato e pensa di avere un ruolo di leader per mantenere il gruppo pubblico in una posizione forte deve guardarsi dai concorrenti, prevalentemente sul mercato interno. Questo non si può evitare.
Quanto al discorso relativo al Grande fratello (sul quale non mi soffermerò più di tanto), l'onorevole Urso ha sottolineato una sorta di concentrazione degli sforzi verso generi prevalenti o di informazione. È chiaro che nella televisione generalista l'obiettivo è che i telegiornali abbiano più ascolto, ma è inutile non considerare l'influenza dell'apparato complessivo dell'offerta. Non credo che il concorrente che manda in onda il Grande fratello in preserale lo faccia solo perché pensa che il pubblico a cui interessa questo programma si collochi in quella fascia: lo distribuisce scientemente per lanciare l'informazione. Forse non ci riesce, anche perché la scommessa che noi abbiamo fatto puntando molto sull'autorevolezza dell'informazione in quanto tale (anche


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scegliendo gli uomini da porre a capo di queste strutture) è, evidentemente, una risposta. Ma non si può pensare di investire solo sull'informazione e di ignorare la televisione generalista ed il resto.
L'individuazione di RAI3 come rete olimpica oggi è considerato un fatto pacifico, ma un anno e mezzo fa, quando ci siamo trovati di fronte all'acquisto dei diritti relativi alle Olimpiadi per circa 100 miliardi (che per il bilancio della RAI è una cifra molto rilevante), abbiamo cercato di capire come si potesse offrire al pubblico italiano un evento che si svolge in un paese in cui vi è una differenza di fuso orario di nove ore. Il fatto di avere investito sulla rete olimpica (ed anche di avere avuto, almeno per ora, risultati positivi da parte degli atleti) significa che la televisione generalista si gioca sullo sport, sull'informazione, sul cinema. Questa è la tematica che abbiamo di fronte.
Vorrei fosse chiaro a questa Commissione che la RAI è il terzo servizio pubblico in Europa come tipo di consistenza economica (largamente scavalcato da tedeschi ed inglesi in termini di consistenza assoluta e di canone unitario, che è il doppio o il triplo) ed è il primo servizio pubblico come tipo di ascolto nel relativo paese. Questo risultato non è regalato ma viene acquisito di giorno in giorno.
Quanto all'allargamento del mercato con riferimento al settore della convergenza, onorevole Romani, nei nostri dati abbiamo segnalato che il mercato della radiotelevisione è di 11 mila miliardi, quello dell'audiovisivo di 25 mila miliardi e quello della convergenza di 130-140 mila miliardi. Questo è il valore dei mercati. È chiaro che quando noi, che siamo leader non solo in Italia ma anche in Europa nel mercato della televisione, ci confrontiamo sul mercato della convergenza siamo già molto piccoli. La nostra scommessa si gioca sulla base non dell'aumento delle risorse che derivano dal fatturato della televisione (che sono bloccate) ma della possibilità di creare alleanze con altri soggetti per distribuire sulle altre piattaforme. Questa è la nostra scommessa.
Come ricorderete, alcuni mesi fa la RAI aveva ipotizzato di entrare anche nella distribuzione degli UMTS. Quando la gara è passata da 5 mila a 25 mila miliardi come valore dell'investimento solo per accedere alla licenza (oggi si dice che diventeranno 50 mila miliardi e forse più, sul modello della Germania e dell'Inghilterra), abbiamo dovuto rinunciare a quella scelta e puntare ad essere fornitori di contenuti e di servizi personalizzati. Abbiamo adattato la nostra strategia a questi scenari. Diventa quindi molto importante quello che ha chiesto l'onorevole Giulietti, cioè dare un timing a queste operazioni.
Nella fase uno la privatizzazione c'è già, nel senso che abbiamo già concluso accordi con partner privati, italiani ed esteri, ed entrando in borsa ammetteremo altri soggetti privati nelle nostre società. Questo è fondamentale perché diventa un modo per capitalizzare, per acquisire risorse per fare investimenti in questi campi. Il timing lo faremo nelle prossime settimane; entro la fine dell'anno pensiamo di avviare la quotazione in Borsa. Come sapete, le quotazioni in borsa dipendono da svariati fattori, uno dei quali è la reattività della borsa in un dato momento; vi sono soggetti che hanno deciso di spostare il momento dell'entrata in Borsa perché, se quest'ultima non è reattiva, può non essere conveniente e, anziché realizzare risorse, si ottiene un risultato diverso.
Per quanto riguarda il Ministero del tesoro, abbiamo dichiarato non solo qual è la situazione attuale ma anche che la RAI ritiene opportuna la presenza di un soggetto intermedio. Da questo punto di vista, quindi, non abbiamo idee sotterranee. L'onorevole Urso ha parlato di una divergenza tra me e il direttore generale come una sorta di meccanismo speculare rispetto alla maggioranza: accettate tutto, ma prima di tutto accettate le cose che abbiamo dichiarato. In nessuna mia dichiarazione (leggo anche quelle del direttore


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generale, a meno che voi non le leggiate meglio di me) vi è una divaricazione sostanziale su questi aspetti. Insisto: c'è solo un titolo di un quotidiano, nel quale si dice «noi siamo pronti a privatizzare, decida il Parlamento». Quel titolo, che segue ad una mia smentita sull'esistenza di un piano della RAI per quanto riguarda la privatizzazione (che non esiste), è soltanto un titolo di giornale. Per questo abbiamo sentito la necessità di mettere a punto una posizione comune ancora più nitida.
Vorrei che qualcuno citasse un passaggio di una dichiarazione in cui avrei fatto credere di voler vendere RAI 1 e RAI 2, mentre il direttore generale non aveva questa intenzione. Lo posso escludere nella maniera più categorica, perché in genere leggo le mie dichiarazioni! Evidentemente, non posso vietare ad un politico di dare questa interpretazione, ma posso smentirla dal mio punto di vista.
Quanto alla separazione tra canone e pubblicità di cui ha parlato l'onorevole Giulietti, a Lille, in un convegno a cui hanno partecipato tutti i servizi pubblici europei convocato dalla Presidenza francese del Consiglio d'Europa, ho rappresentato una posizione che oggi si può considerare in qualche modo mediana tra quelle dei servizi pubblici europei. Sul problema del canone si legge di tutto, anche che è sotto processo, sotto accusa; ma dovete considerare che in Europa il canone di abbonamento fa parte della costituzione materiale (in Germania è scritto anche nella Costituzione). Il canone di abbonamento non sarà mai eliminato e, d'altra parte, il protocollo di Amsterdam lo afferma in maniera chiarissima. Oggi si sta pensando di valutare in che misura il finanziamento misto possa essere compatibile con la concorrenza. Bisogna dire con chiarezza che, se si esaminano le entrate di tutti i servizi pubblici europei, si vede che esse sono decrescenti rispetto alle entrate dei concorrenti privati nei rispettivi paesi. Credo che questo dato sia oggetto di attenzione anche nel dibattito europeo. La concorrenza non è danneggiata dall'esistenza di servizi pubblici finanziati in maniera mista per il semplice fatto che le entrate dei servizi pubblici decrescono mentre quelle dei concorrenti privati crescono.
Noi abbiamo proposto che vi sia una separazione contabile, organizzativa e societaria non all'interno della televisione tradizionale (che peraltro si può fare, e noi in parte la stiamo facendo, ma non è obbligatoria), ma tra la televisione tradizionale e i new media. Su questo versante è il vero problema e bisogna impedire che si proceda con il finanziamento misto, perché la vera concorrenza non sarà sulla televisione tradizionale ma nel settore dei new media. Questo è il punto di vista che mi sento di difendere.

PIERLUIGI CELLI, Direttore generale della RAI. Vorrei aggiungere alcune considerazioni sul servizio pubblico.
Sono convinto (l'ho già detto e voglio ribadirlo in questa sede con estrema chiarezza) che i soggetti che possono condurre allo «spezzatino» sono i teorici del servizio pubblico puro, per una semplice ragione: più si carica la RAI di obblighi di servizio pubblico, più, necessariamente, si ridurrà lo spazio che essa difende in termini di audience e diminuiranno le entrate pubblicitarie. Su questo non vi è alcun dubbio. Bisogna avere molto equilibrio nel decidere che cosa si vuole mantenere come servizio pubblico e quali debbono essere le risorse che provengono da altre parti, perché è molto rischioso rovesciare l'equilibrio attuale che consente in qualche modo a tutti di vivere. I pasdaran del servizio pubblico sono quelli che in fondo condanneranno la RAI allo «spezzatino», perché ad un certo punto essa sarà costretta a vendere, oltretutto non in termini di mercato. Quando i bilanci saranno pesantemente in rosso e lo Stato non sarà più in grado di intervenire (perché le regole europee sono quelle che sono), la RAI sarà costretta a svendere una o due reti.
Se questo è l'obiettivo (che non è il nostro), una pressione non equilibrata, «mistica» del servizio pubblico e del contratto di servizio condurrà inevitabilmente


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a ridurre le risorse «altre». E siccome le risorse «altre» sono quelle che consentono in questo momento l'equilibrio dei conti della RAI, una volta che questi non saranno più in equilibrio perché le risorse «altre» sono state compresse dal massimalismo del servizio pubblico, si porrà un problema reale. Voglio essere molto esplicito perché questo è, ripeto, un problema reale.

ADOLFO URSO. Perché ha utilizzato il verbo «svendere»?

PIERLUIGI CELLI, Direttore generale della RAI. Perché quando si è costretti a recuperare risorse, si deve svendere.

PRESIDENTE. La sua affermazione è riferita anche al contratto di servizio? Cioè, l'allungamento dei tempi per la firma di questo contratto fa riferimento anche al fatto che il servizio pubblico è stato «spalmato» su tutte e tre le reti e ciò potrebbe in qualche modo comprimere le risorse «altre», che consentono invece alla RAI di stare sul mercato?

PIERLUIGI CELLI, Direttore generale della RAI. Sul contratto di servizio stiamo cercando di trovare una posizione equilibrata, e credo che la troveremo a breve.
Ho sempre sostenuto che il contratto di servizio pubblico deve riguardare tutte e tre le reti, perché il servizio pubblico è tutta la RAI. Alcune reti lo avranno in maniera prevalente rispetto ad altre, che lo avranno in maniera più ridotta, per consentire un afflusso di risorse anche di tipo commerciale, che non possono essere demonizzate. Se cominciamo a demonizzare le risorse di tipo commerciale, cadiamo in una posizione ideologica, che è difficile poi da controbattere. Stamattina ho letto una dichiarazione di un consigliere di amministrazione della RAI, il quale ha detto che se defiscalizzassimo il canone otterremmo 700-800 miliardi di risorse aggiuntive: evidentemente, non aveva presente che cosa significa defiscalizzare rispetto all'ammontare del canone.
Le aziende sono organismi delicati e vanno trattati come tali, senza approssimazione, né avanguardismi da una parte e massimalismi dall'altra. Secondo me bisogna essere molto saggi ed equilibrati. Il servizio pubblico deve rimanere, è un obbligo per la RAI, e deve riguardare tutte e tre le reti; ma deve avere quell'equilibrio che consenta ai conti di stare in ordine, perché i conti in disordine conducono fatalmente allo «spezzatino» e per noi lo «spezzatino» è una iattura in questo settore, in quanto la convergenza fa sì che o si diventa più grandi o si tende a sparire. In questo vi è una punta polemica da parte mia nei confronti della legge n. 249, che secondo me andrebbe rivista (ma è un parere personale, che non coinvolge la RAI) perché non considera come si sta riorganizzando il settore.
Da questo punto di vista, occorre molta attenzione nel definire il servizio pubblico, nel difenderlo, nel non appesantirlo, per evitare che la barca si ribalti e si sia poi costretti ad interventi drastici. Tutte le altre sono mitologie. Ho letto oggi la notizia che avrei trascorso tutta l'estate sulla barca di Romiti per trattare la vendita della radio: chi mi conosce sa che detesto il mare e non vado mai in barca, quindi, non sono stato in quel posto. Se stiamo dietro a tutte queste chiacchiere, è la fine! La fantasia della gente, evidentemente, galoppa!
Credo che abbiamo espresso con chiarezza il problema dell'evoluzione della RAI in termini di risorse. Bisogna tenere conto che, se le risorse da canone non aumentano e quelle da pubblicità sono «plafonate», dobbiamo trovare le risorse da qualche altra parte se vogliamo realizzare questo progetto. Il discorso sui new media, allora, è un discorso serio e la quotazione in borsa in quest'area diventa fondamentale per approvvigionarsi di quelle risorse che da altre parti sono più ridotte.

PRESIDENTE. L'invito alla prudenza nel considerare le dimensioni strutturali e


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aziendali della RAI è riferito anche alla stima di 40 mila miliardi che ha fatto il presidente?

PIERLUIGI CELLI, Direttore generale della RAI. Sono persino portato a credere che la RAI, se fosse libera di muoversi sul mercato, varrebbe molto di più. La stima finale dipende dai vincoli che poniamo all'azienda: potrebbe persino valere molto di più.
Un'ultima battuta sulla qualità. Poiché è un altro dei temi canonici e teologici, non vorrei sfuggire dall'affrontarlo.

PRESIDENTE. Saranno anche temi canonici e teologici, però questa Commissione, nella sua residualità, si occupa anche di questo!

PIERLUIGI CELLI, Direttore generale della RAI. Non ce l'avevo con la Commissione né con alcuno dei commissari.
Quando noi, come i nostri predecessori, siamo arrivati in questa azienda, la produzione (di tutti i tipi) non avveniva più da anni in termini di progettazione e di costruzione all'interno, perché il turn-over parossistico dei vertici aveva reso praticamente impossibile un ciclo di produzione di lungo termine (in quanto il vertice cambiava e cambiavano anche gli indirizzi). Quindi, all'interno dell'azienda inevitabilmente si erano stabilizzate logiche produttive ed ideative di brevissimo percorso, per di più affidate a format che si compravano sul mercato e venivano poi in genere affidati alla produzione all'esterno. Questo era inevitabile e comprensibile. Se tenete presente che negli ultimi dieci anni si sono susseguiti 6 o 7 consigli di amministrazione, con più presidenti e molti più direttori generali del numero dei consigli di amministrazione, vi renderete conto che questa situazione era assolutamente anomala. In un'azienda chi imposterebbe un programma di produzione sapendo che dopo sei mesi o un anno (questa è stata la durata media del direttore generale della RAI negli ultimi anni) non ci sarà più? Perché i dirigenti interni dovrebbero impegnarsi sapendo che vi sarà un turn over, che cambierà la logica?
È stato quindi molto difficoltoso ricostruire all'interno dell'azienda i gruppi di lavoro produttivi ed ideativi e si cominciano faticosamente ad avere adesso i primi risultati. Se la situazione si stabilizzerà, i risultati si avranno anche a partire dall'anno prossimo. Questo è un mestiere che non si può fare e disfare pensando poi di ricostruirlo nel giro di sei mesi o di un anno; ricostruire i gruppi di produzione dei format dell'intrattenimento, del varietà, è una cosa molto difficoltosa, perché bisogna recuperarli sul mercato, metterli insieme, farli funzionare; poi falliscono e bisogna ricominciare. Si procede per tentativi, è un processo lungo e lento.
Quando sento parlare di qualità dei programmi (a parte il fatto che, se confrontiamo i programmi attuali della RAI e quelli di qualche anno fa, vediamo che la qualità è nettamente migliorata, soprattutto in alcuni settori), riscontro una buona dose non dico di malafede ma di incoscienza nel non valutare che l'azienda è stata trattata male per tanti anni da una legge che prevede un turn over così parossistico da non consentire una continuità di progettazione e di programmazione. Occorre quindi dare all'azienda un assetto che assicuri tranquillità, non tanto ai vertici, quanto soprattutto ai dirigenti e ai giornalisti, perché solo nella continuità e nella prevedibilità del futuro possono essere realizzate le azioni di progettazione, produzione, realizzazione e commercializzazione che sono tipiche di un'azienda normale.

CLAUDIO CAPPON, Vicedirettore generale della RAI. Per quanto riguarda il contratto di servizio, dopo le proposte della Commissione parlamentare abbiamo preso contatti, alla fine di luglio, con il Ministero delle comunicazioni.
I problemi che stiamo affrontando e sui quali si stanno facendo passi avanti sono proprio quelli riguardanti l'equilibrio economico. Tra l'altro, avevamo negoziato


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a lungo con il Ministero delle comunicazioni per giungere ad una bozza che giudicavamo equilibrata. Dobbiamo valutare in concreto gli impatti delle proposte avanzate sulla nostra programmazione e sulla possibilità da parte nostra di adempiere alcuni obblighi. In questo momento stanno lavorando dei gruppi di natura tecnica. Ci sono due o tre posizioni su cui dobbiamo ancora riflettere e che rappresenteremo anche al consiglio di amministrazione, ma tenuto conto che abbiamo cominciato alla fine di luglio e che vi è stata la pausa di agosto, direi che i passi avanti sono significativi.

PRESIDENTE. Dal momento che sono iscritti a parlare altri commissari e vi è la concomitanza di ulteriori impegni parlamentari, rinvio il seguito dell'audizione alla seduta che sarà convocata per mercoledì 27 settembre prossimo, in orario pomeridiano.

La seduta termina alle 15.20.

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