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Seduta del 21/3/2000


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Audizione di rappresentanti dei Comitati promotori dei referendum del 21 maggio 2000.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di rappresentanti dei Comitati promotori dei referendum del 21 maggio 2000. Ringrazio per la loro presenza gli onorevoli Emma Bonino e Marco Cappato e il dottor Daniele Capezzone. Do senz'altro la parola all'onorevole Bonino.

EMMA BONINO, Rappresentante dei Comitati promotori dei referendum del 21 maggio 2000. Ringrazio il presidente di aver voluto dare seguito ad una richiesta che avevamo avanzato alla fine di febbraio in previsione del calendario che la Commissione di vigilanza si apprestava a definire. Voi conoscete la storia delle nostre iniziative nei confronti della RAI, rivolte anche alla magistratura, che cominciano ora ad avere un seguito: pertanto non farò un excursus sugli avvenimenti di questi anni, ma prima di entrare nel merito, vorrei almeno accennare ad un episodio recente che arricchirà il dossier che stiamo preparando su questa materia. Mi riferisco alla violazione da parte


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della RAI di un obbligo perentorio, previsto nell'articolo 1, comma 4, della legge per quanto riguarda le elezioni regionali, di informare i cittadini sulle procedure per la raccolta delle firme nei 20 giorni precedenti la consegna delle firme medesime, quindi nei 20 giorni precedenti il 16 marzo. La RAI ha iniziato questa fase di informazione il 7 marzo, perdendo quindi dieci giorni, con la motivazione che era in attesa delle indicazioni della Commissione di vigilanza che sono state fornite solo il 7 marzo mattina.
Mi limito a questo anche perché so bene che questa audizione si riferisce ad un altro problema, quello del calendario delle tribune per il referendum, in merito al quale vorrei attirare l'attenzione degli onorevoli parlamentari su alcuni punti. È noto che la legge sulla par condicio, approvata a febbraio del 2000, si inserisce in un contesto normativo preesistente, che disciplina il referendum ed il ruolo dei Comitati promotori, dal quale non può in alcun modo prescindere; pertanto il nostro punto di riferimento non è solo la legge sulla par condicio ma anche una serie di norme e di giurisprudenza della Corte costituzionale che sottolineano il ruolo istituzionale del comitato promotore dei referendum. In proposito abbiamo predisposto una nota giuridica basata su un'analisi delle sentenze della Corte, che lasciamo a vostra disposizione, che abbiamo trasmesso anche al Presidente della Repubblica e che abbiamo già avuto occasione di illustrare anche ai vertici della RAI (in un incontro cui era presente anche il presidente Storace) ed al professor Cheli, presidente dell'Autorità garante e autore, tra l'altro, della sentenza n. 161 del 1995 in tema di referendum.
Dall'insieme di questo contesto normativo consegue, dal nostro punto di vista, che il Comitato promotore rappresenta un potere dello Stato, una fattispecie istituzionale del tutto peculiare che non si può certamente confondere o equiparare ai comitati per il sì o per il no o ai partiti, che svolgono un ruolo più che legittimo nel dibattito politico ma che nulla ha a che vedere, ripeto, con le responsabilità istituzionali e di garanzia affidate dalla giurisprudenza al Comitato promotore, che rappresenta una parte di cittadini che sono i sottoscrittori di quello specifico referendum. La stessa legge sulla par condicio, pur discutibile per altri versi, ci pare possa aprire la strada ad una soluzione più soddisfacente, perché a proposito di referendum parla della necessità di garantire parità di spazio tra favorevoli e contrari, ma non dice affatto che tutto lo spazio deve essere diviso tra favorevoli e contrari. Nulla vieta, quindi, che sia ritagliata una terza quota di spazio riservato al Comitato promotore, al quale compete all'obbligo dell'illustrazione delle motivazioni e del contesto della domanda che i cittadini rivolgono al paese. Inoltre non è un'ipotesi di scuola, ma esattamente il contrario, che il Comitato promotore non sia automaticamente a favore del sì, perché rappresenta persone che intendono porre una domanda al paese, riservandosi poi di votare nel merito anche differentemente.
Accenno alla seconda questione perché, con sorpresa, ho sentito parlare della possibilità di dare spazio in TV ai cosiddetti comitati per l'astensione. Ricordo che, nella discussione sulla legge sulla par condicio, l'emendamento che prevedeva il comitato per l'astensione fu bocciato, però è chiaro che se ci si incammina su questa strada, nulla esclude che altri formino il comitato per la partecipazione, altri ancora inventino il comitato «andate al mare ma tornate in tempo» e così via.
La terza questione che sottopongo alla vostra attenzione, non solo perché la sottoponiamo in qualunque scadenza elettorale e tanto più per i referendum, riguarda la necessità di garantire che l'informazione arrivi a 45 milioni di elettori. Se l'informazione viene confinata da mezzanotte all'una o dalle 11,30 alle 12,10 certamente non si raggiungono i 45 milioni di elettori, cosa già successa in altre campagne referendarie che in questa sede non voglio neanche ricordare. Credo che sia utile per tutti che la competizione si svolga in una situazione in cui i cittadini riescano ad avere adeguate informazioni.


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La necessità di proteggere l'informazione televisiva da questo punto di vista mi pare rilevante sia per chi vota sì, sia per chi vota no: è il dato preliminare del «conoscere per deliberare».
Infine, per quanto riguarda i temi generali affrontati in apertura, ho seguito attraverso Radio radicale una parte del dibattito che si è svolto e per il quale ho cercato di reagire. Senatore Falomi, non se ne abbia a male, ma io mi riferisco ad uno scambio che lei ha avuto durante l'audizione del professor Cheli, nel corso della quale lei ha manifestato la necessità - cito testualmente - di «dare ai comitati promotori uno status diverso anche se oggettivamente lo hanno mi pare complicato». È indubbio che la materia non è semplice, però se hanno uno status diverso bisogna trovare una soluzione. Mi pare che l'obiezione della complicazione riveli un problema che comunque non deve fermare un'ipotesi di soluzione.
Vorremmo farvi avere, con il permesso del presidente, la nota giuridica che abbiamo già inviato a tutti gli altri interlocutori e porre le questioni del ruolo istituzionale del comitato promotore, un organo non di dibattito politico ma di garanzia istituzionale, di informazione della domanda e del suo contesto, che, come tale, non deve confrontarsi con nessun altro (si confronteranno i partiti e i comitati per il sì e per il no). La nostra richiesta è che il comitato promotore sia «interrogato o spellato» in conferenza stampa dai giornalisti, ma non si confronti con altri, perché non è il suo ruolo (altro è il dibattito politico).
Vi è poi la questione del comitato per l'astensione che ci sembra particolarmente preoccupante.
Infine, vi è la necessità di un'attenzione per l'audience e la possibilità che l'intera popolazione italiana sia raggiunta, perlomeno una volta - ma noi speriamo di più, vista la situazione - dall'informazione televisiva.
Dico questo, in particolare per quanto riguarda il comitato promotore, anche perché la RAI finora non ha svolto il suo obbligo di informazione. Non è a voi che devo ribadirlo, ma ve lo dico ugualmente: da otto mesi a questa parte, cioè da quando è stata avviata l'iniziativa - e persino peggio da quando la sentenza della Corte ha autorizzato sette referendum - in totale abbiamo avuto sui temi referendari 4 dibattiti televisivi. Prima si diceva che bisognava aspettare la sentenza della Corte, ma poi, arrivata la delibera, se possibile, il comportamento è stato anche peggiore.

MAURO PAISSAN. Siamo in sede di audizione per cui bisogna fare domande. La prima riguarda alcune informazioni di stampa concernenti gli incontri che i comitati promotori hanno avuto con il Governo da una parte e con il Presidente della Repubblica dall'altra, durante i quali si sarebbe discussa l'eventualità dello spostamento della data di indizione dei referendum. Vorrei sapere se questa ipotesi sia stata coltivata o esclusa, in ragione, presumo, del problema reale della sovrapposizione, almeno in alcuni giorni, delle due campagne elettorali.
L'altra questione evocata prima dall'onorevole Bonino riguarda il ruolo della dichiarazione di voto di astensione. Mi pare di poter dire che la Commissione di vigilanza adotterà lo stesso orientamento delle volte scorse, nel senso che l'astensione deve essere rispettata come dichiarazione di voto; è un no rafforzato e in quanto tale va trattata nell'ambito del tempo riguardante il no. Io stesso ho ricordato che, nella scorsa campagna elettorale, ho fatto dichiarazione esplicita e militanza a favore dell'astensione e sono sempre stato considerato ed invitato in quanto esponente del no.
Una domanda - a mo' di consiglio - ai promotori riguarda i tipi di confronto televisivo che dovremo organizzare per quanto ci compete sul servizio pubblico ed in particolare la trattazione dei singoli quesiti sottoposti al giudizio elettorale, alcuni dei quali sono raggruppabili dal punto di vista tematico. Secondo voi questa è un'operazione utile per chiarire la natura della posta politica in gioco? Sarebbe utile, ad esempio, trattare unitariamente


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i tre referendum sulla giustizia, oppure secondo voi è preferibile una rigida trattazione quesito per quesito? Lo dico come spettatore cittadino elettore, che deve essere posto in grado di assumere un orientamento di voto.
Riguardo alla questione dello status del comitato promotore, leggeremo con attenzione la memoria annunciata. È ovvio che esiste uno status particolare rispetto ai comitati, alle forze politiche, ai gruppi parlamentari, alle istituzioni coinvolte. Il comitato promotore ha un'evidenza che deriva dalla legge e mi pare difficile farne discendere un'ipotesi di scuola, di neutralità rispetto all'esito del quesito. Da questo punto di vista fa fede il materiale propagandistico e le dichiarazioni politiche al momento della raccolta delle firme, che non è un modo per fare un sondaggio presso l'elettorato, ma è un'iniziativa politica tesa ad abrogare delle leggi.
Molti di noi hanno avuto esperienze precedenti di promozione di referendum e capiscono la natura del problema. Secondo me la questione dello status particolare va risolta nel senso di prevedere una certa intensità di presenza dei promotori e non di parificarli agli altri aventi diritto alla partecipazione alla campagna elettorale. Si tratta però di una materia che la Commissione discuterà, anche sulla base della vostra memoria. Qui mi interessa capire la natura della dichiarazione fatta dall'onorevole Bonino che non corrisponde alla posizione di altri comitati promotori e a quella dei comitati promotori di altri referendum. C'è una dichiarazione di indisponibilità a confrontarsi con altri soggetti coinvolti nella materia. Se questa è una posizione legittima, ne deriva ovviamente da parte nostra un diverso possibile testo di delibera e di organizzazione delle tribune referendarie. Vorrei quindi capire se si tratti di una dichiarazione anche pratica, che implica un diverso trattamento dei comitati promotori almeno su due dei sette quesiti, oppure se sia una rivendicazione forte di uno status, rispetto alla quale però si prenderà atto dell'orientamento della Commissione di vigilanza.
Infine, circa l'intensità delle informazioni e comunicazioni, penso che la Commissione farà di tutto per rendere l'impegno del servizio pubblico della RAI nella campagna elettorale adeguato alla posta politica in gioco.

PAOLO ROMANI. Ho raccolto i suggerimenti dell'onorevole Bonino. Mi sarebbe piaciuto trovare i radicali dalla nostra parte nel momento in cui si è discusso in Parlamento sulla legge bavaglio!

EMMA BONINO, Rappresentante dei comitati promotori dei referendum del 21 maggio 2000. La prossima volta, quando saremo eletti!

PAOLO ROMANI. Abbiamo fatto anche manifestazioni in piazza e ci siamo mobilitati non solo nel Parlamento. Su una legge di libertà non ho trovato il tipo di sottolineatura che vi è stato su altri argomenti.
Penso che non sia discutibile il ruolo del comitato promotore. Ritengo anche che, proprio perché si chiama comitato promotore, per quanto riguarda l'espressione di ciò che rappresenta (la promozione del referendum) nel momento in cui esso viene accolto, esaurisce il ruolo che gli compete e che, comunque, è garantito, nel senso che poi, nella campagna elettorale, va assicurata - una delle pochissime parti della legge sulla par condicio su cui eravamo d'accordo - la simmetria fra posizioni favorevoli e contrarie.
Ho l'impressione che sarà difficile trovare lo spazio per il comitato come ente terzo. L'onorevole Bonino ha detto che potrebbe anche dichiararsi in maniera difforme rispetto alla promozione stessa: questa mi sembra una posizione francamente stravagante. Penso che il comitato promotore per il referendum manterrà nel periodo di campagna che precede il referendum la stessa posizione che lo ha contraddistinto nel momento in cui ha promosso le firme per farlo. Per cui sarà difficile considerarlo «terza parte» rispetto alle espressioni di voto che andranno a delinearsi in piena campagna referendaria.


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Anche io ho qualche perplessità sul fatto che il comitato si possa sottrarre al dialogo e al contraddittorio e mi pare che possa essere inserito fra coloro che si dichiarano favorevoli o contrari al referendum. Mi sembrerebbe un elemento di confusione ulteriore, perché il comitato per il referendum ha un ruolo preciso: promuove il referendum e raccoglie le firme che vengono valutate; poi, dopo la decisione della Consulta, vi è una campagna chiara da parte di chi si esprime in maniera favorevole o contraria. Qui la RAI - come altre emittenti - deve garantire l'informazione massima, la comunicazione politica in senso lato, non certo ad orari notturni.
Per quanto riguarda le emittenti locali è facile capire che solo il 5 o 10 per cento faranno comunicazione politica. La recente legge ci ha portato in una situazione regressiva, di ritorno alla preistoria della comunicazione politica, che in pratica è stata abolita. Ho l'impressione che la televisione venga vissuta come un mezzo diabolico di strumentalizzazione delle opinioni e di giudizio di minorità politica per i cittadini italiani, che non possono conoscere dalla televisione quello che i partiti, i programmi o i referendum esprimono, per cui bisogna tornare ai banchetti, alle bandiere, alle manifestazioni, ai cortei, eccetera.
Apprendo oggi che vi è la possibilità che alle trasmissioni referendarie vengano invitati anche i comitati per le astensioni; di questo non ho precisa contezza, ma mi sembra che si tratti di una domanda da fare alla RAI. A me non risulta che questo debba o possa accadere; c'è una posizione espressa dall'onorevole Paissan, il quale dice che l'espressione a favore dell'astensione va considerata nel novero di coloro che sono contrari al referendum e questo è già un punto di vista leggermente diverso. Il fatto che addirittura vengano convocati mi lascia perplesso, anche perché mi pare che su un emendamento a tale scopo proposto ci siamo espressi in maniera negativa. Non c'era spazio all'interno della RAI perché vi fosse il terzo soggetto oltre ai favorevoli ai contrari, cioè chi promuove l'astensione. Di questo punto non ho personalmente conoscenza, ma mi sembrerebbe singolare e stravagante che la RAI convocasse tre parti, quando è detto con chiarezza nella legge che il tempo va equamente ripartito tra favorevoli e contrari.
In tema di suggerimenti, penso che la sovrapposizione tra la campagna elettorale per le elezioni regionali e quella referendaria sicuramente non sia favorevole alla massima espressione della comunicazione politica, anche se, cara Emma Bonino, devo dirti con chiarezza che ormai sono molto pessimista sul fatto che in Italia si possa fare comunicazione politica tout court; si è cercato di abolirla e la si è abolita in occasione di questa campagna elettorale politica, si cercherà di abolirla anche in occasione del referendum. C'è un imbuto della comunicazione politica che va in senso negativo rispetto alla necessità di informare i cittadini sia sulle opinioni e i programmi dei partiti sia sui contenuti che essi possono esprimere ed ovviamente anche sui temi e sui contenuti dei referendum; pertanto, accolgo senz'altro la lamentela, che va nel senso della battaglia che anche noi abbiamo condotto in questi mesi. Quindi, da parte nostra c'è sicuramente la volontà di aprire il maggior numero possibile di spazi, sapendo già che partiremo da un'ipotesi, che definirei di scuola, sulla comunicazione politica in questa campagna elettorale per le regionali largamente estranea alla prassi abituale di una comunicazione politica, ma saremo dalla vostra stessa parte nel momento in cui si dovessero verificare le condizioni di un basso livello di comunicazione politica anche per quanto riguarda i referendum.

ANTONIO FALOMI. Non desidero in questa sede riaprire il dibattito relativo alla legge sulla par condicio; dico soltanto che la legge non vuole limitare la comunicazione politica, ma regolamentarne una particolare forma, cioè gli spot televisivi.
Detto questo, vengo alle questioni sollevate dall'onorevole Bonino. Relativamente ai temi di carattere più generale è


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difficile dare torto all'onorevole Bonino sul fatto che, nella fase successiva alla raccolta delle firme e al via dato dalla Corte di Cassazione, effettivamente la RAI non ha brillato molto per i dibattiti sui temi referendari.

EMMA BONINO, Rappresentante del comitato promotore dei referendum. Come understatement non è male...

ANTONIO FALOMI. È un dato di fatto che in varie altre occasioni abbiamo sollecitato la RAI perché, tra i tantissimi dibattiti che il servizio pubblico radiotelevisivo organizza su vari temi, fosse dato più spazio ai temi referendari, perché ciò sarebbe stato un bene.
Venendo ora alle questioni più specifiche che sono state sollevate, relativamente all'informazione da fornire ai cittadini sulle procedure per la raccolta delle firme, la delibera della Commissione di vigilanza - che credo voi conosciate bene - dà alla RAI una precisa indicazione, nel senso che il comma 1 dell'articolo 7 stabilisce che, a far luogo almeno dal quinto giorno dalla convocazione dei comizi elettorali, la RAI predispone e trasmette su rete nazionale una scheda televisiva e una radiofonica che illustrano gli adempimenti previsti per la presentazione. Questa è la disposizione alla quale ovviamente la RAI fa riferimento.
Per quanto riguarda la questione dei comitati per l'astensione, ricordo che essa è stata discussa anche in Commissione di vigilanza in precedenti consultazioni referendarie, però non è mai stato dichiarato ammissibile che alle trasmissioni intervenissero anche i comitati per l'astensione, e ciò sulla base di una serie di argomentazioni di natura costituzionale e politica. Quindi, non credo che alle tribune per i referendum debbano essere ammessi i comitati per l'astensione; il fatto è che nello spazio dedicato ai contrari è del tutto legittimo che ci sia qualcuno che sostenga una posizione a favore dell'astensione, ma che come tali si costituiscano dei comitati che rivendicano spazi specifici per l'astensione non credo sia opportuno, o almeno la mia parte politica non è assolutamente d'accordo su queste ipotesi, non lo è adesso e non lo è mai è stata.
Relativamente alla fattispecie istituzionale del comitato promotore e quindi anche al riferimento fatto ad una mia affermazione resa nel corso della precedente seduta, mi riservo di leggere con molta attenzione la scheda predisposta e quindi mi dichiaro pronto a verificare le opinioni e le valutazioni alla luce degli argomenti che qui sono stati portati dall'onorevole Emma Bonino e che ci sono stati consegnati in una nota. Il problema dello status giuridico particolare dei comitati promotori, che è indubbio, che è riconosciuto, come testimoniano numerose sentenze della Corte costituzionale, è piuttosto se questa circostanza configuri in termini di spazio televisivo la necessità di riservare ai comitati promotori uno spazio specifico oltre quello destinato ai favorevoli ed ai contrari o se invece configuri uno status particolare dei comitati promotori all'interno dello spazio dei favorevoli. Ribadisco che leggerò con attenzione la nota, però devo ricordare che la legge sulla par condicio parla di favorevoli e contrari; quello che vedo più praticabile è semmai il tema di uno spazio particolare all'interno del tempo riservato ai favorevoli. Ripeto che voglio leggere con attenzione la nota per capire se vi siano gli elementi per arrivare ad una diversa configurazione.
Per quanto riguarda la questione degli orari di trasmissione, in questo campo siamo d'accordo e credo si debba compiere uno sforzo particolare perché vi sia la massima possibilità di informazione verso tutti i target televisivi; anche in termini quantitativi nei confronti di un pubblico diverso da quello televisivo credo si debba fare uno sforzo per incrementare al massimo l'informazione e, quindi, la delibera che sarà predisposta dovrà tener conto anche di quest'indicazione.
Sono queste le valutazioni che si possono fare sulle questioni proposte. Non ho ben compreso (è una delle questioni che dobbiamo regolare e che è collegata ai temi


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posti dal collega Paissan) quale sia la vostra posizione relativamente alla sovrapposizione di una parte della campagna per le elezioni regionali con una parte di quella referendaria; vorrei sapere, in sostanza, quale sia la vostra opinione su come questa circostanza si debba regolare. Personalmente mi dichiaro subito del tutto contrario all'ipotesi di spostare la data delle elezioni, anche perché più ci si sposta verso l'estate, più diventa probabile una minore partecipazione alla consultazione, tenuto anche conto che queste consultazioni referendarie, a seguito dell'approvazione della legge sul voto agli italiani all'estero, partono già con un handicap di circa due milioni e 600 mila voti.

STEFANO SEMENZATO. La prima considerazione che vorrei svolgere riguarda l'autonomia e le prerogative del comitato promotore dei referendum. Mi sembra indubbio che tale comitato, per il modo in cui è configurato nella legislazione e nella Costituzione, abbia delle prerogative specifiche; in particolare modo, mi pare che debba essere salvaguardato in ogni caso il fatto che esso è depositario dei quesiti e quindi l'interpretazione anche tecnica (penso alle schede che il servizio pubblico, e non solo esso, deve predisporre) e l'informazione da questo punto di vista non possono che essere sotto garanzia del comitato promotore, essendo l'unico legittimato ad un'interpretazione di carattere tecnico e politico sul quesito referendario, sui suoi effetti, sul suo significato.
Mi pare, però, che questo obiettivo possa essere raggiunto riuscendo a sedimentare un aspetto di mobilità; per questo penso alla scheda e al fatto che il comitato indichi chiaramente i suoi intendimenti, ma questo sia meno sottoposto a un dibattito, sia pure in contraddittorio con giornalisti, perché mi pare che l'elettore debba essere messo nella condizione di sapere esattamente cosa il comitato promotore propone al momento del voto e su questo maturare il suo convincimento. Credo anche che al comitato promotore spetti un ruolo quanto meno di primus, di supremazia nell'ambito dell'espressione favorevole al referendum. Vi è, infatti, un iter di carattere costituzionale che comincia con la raccolta delle firme, per cui non si può improvvisamente annullare tutto questo e ricominciare daccapo. Da questo punto di vista mi pare che la legge sulla par condicio sostanzialmente perfezioni il carattere ed il significato del dibattito, ma non possa stravolgere il resto del contesto normativo su cui si basa la realtà italiana.
In proposito debbo però svolgere una considerazione specifica: non si può dimenticare che il testo originariamente proposto dal Governo proponeva di garantire le diverse espressioni di voto, comprendendo in questa direzione varie forme di approccio e, quindi, inserendo anche la parte più direttamente astensionista, ma non solo questa, ipotizzando che si potesse arrivare all'espressione di voto per strade diverse. Aver approvato una norma che parla di favorevoli e contrari impone una riconsiderazione della legislazione precedente dividendola in due blocchi e cercando di capire, all'interno di ciascun blocco, come si determini la rappresentazione della volontà dei favorevoli e dei contrari. Per questo mi pare che nell'ambito dei favorevoli non possa che essere considerato anche che il comitato promotore, così come nell'ambito dei contrari ritengo che debbano essere ricomprese tutte le forme tendenti a provocare un esito negativo del referendum, per cui anche l'astensione, e che questo costituisca un vincolo per qualunque tipo di regolamentazione la nostra Commissione debba predisporre.
Condivido un punto della memoria che è stata presentata, pur avendola letta molto rapidamente: si tratta del passo in cui si sottolinea che il dibattito non può essere di esclusivo appannaggio parlamentare, nel senso che il dibattito tra favorevoli e contrari non può essere prevalentemente di carattere parlamentare ed istituzionale, proprio perché alla base dell'istituto referendario vi è l'intendimento di abrogare una legge approvata


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dal Parlamento, il che significa che una qualche forma di contrapposizione e quindi di diversità tra i promotori e l'istituto parlamentare dovrebbe essere garantita. In questo senso vorrei chiedere una conferma e una precisazione agli esponenti del comitato promotore, perché mi sembra un passaggio molto importante anche per la chiarezza del rapporto referendum-opinione pubblica perché, in caso contrario, sembra sempre che sia il Parlamento a discutere al suo interno sia del fare le leggi sia dell'abrogarle; in tal modo si introdurrebbe uno svilimento dell'istituto referendario, che rischia sempre di apparire attraverso questa prevalenza delle forze parlamentari che intervengono su di esso.
Un'ultima questione, su cui volevo invece chiedere un chiarimento, è questa: nell'ipotesi, che non condivido ma che mi sembra essere espressa, di una posizione fortemente autonoma del comitato promotore rispetto ai sì e ai no, come si configurerebbe la fattispecie che la legge prevede di messaggi brevi, in sostanza spot, del sì e del no? Il fatto che il comitato promotore si consideri estraneo alle varie espressioni di voto farebbe prefigurare che vi sia anche una rinuncia a ricorrere ad uno degli strumenti che la legge prevede, quello appunto dei messaggi brevi, sulla base della sentenza emessa a suo tempo dalla Corte costituzionale.

GUIDO CESARE DE GUIDI. Se ben ricordo la volta scorsa abbiamo preso in considerazione la questione dei comitati per l'astensione giungendo alla conclusione che non potevano essere assolutamente riconosciuti e che quindi non sarebbe stato assegnato alcun ruolo a tali comitati, ammesso che si potessero formare, se non come espressione di una modalità di voto per il no. Quindi il problema non si pone. Lo avevamo escluso. Riconoscere la sussistenza di comitati per l'astensione non era, anche costituzionalmente, possibile; vi era per loro la possibilità di esprimere una modalità di voto per il no.
Mi pare altresì che si fosse d'accordo che i comitati promotori dovevano trovare spazio all'interno della componente del sì, perché evidente che avrebbero appoggiato tale posizione. Pensavo, forse nella mia ingenuità politica, che il comitato promotore potesse avere nella fase iniziale un tempo al di fuori di quelli stabiliti per il sì e per il no, teso ad illustrare i contenuti del referendum. Credo infatti che la questione più scabrosa, soprattutto quando si assommano diversi referendum in un'unica tornata, sia proprio quella di asssicurare la massima comprensione e la massima possibilità di lettura da parte degli elettori, perché sappiano interpretare ciò che sta scritto e le conseguenze che dal loro voto possono derivare.
Se fosse ipotizzabile che i comitati promotori si possano spogliare da questa tensione verso la convinzione dell'elettore a votare per il sì, limitandosi ad una non dico asettica ma distaccata illustrazione dei contenuti della domanda referendaria e delle conseguenze che dal sì e dal no possono derivare, penso che questo spazio potrebbero averlo, coordinato, guidato con dei funzionari della RAI; al limite, dicevo, il comitato promotore ha questa visibilità iniziale, dopo di che si annulla all'interno della campagna referendaria così confondendosi con coloro che sono per il sì. Non vedrei altra soluzione.
D'accordo sul problema delle fasce orarie; si tratterà poi di stabilire quelle che possano raggiungere il massimo possibile degli elettori e distribuire al loro interno i vari rappresentanti che saranno chiamati a pronunciarsi per il sì e per il no.

PRESIDENTE. Non essendovi altre richieste di intervento, passiamo alle risposte dei nostri interlocutori.

EMMA BONINO, Rappresentante dei comitati promotori dei referendum del 21 maggio 2000. Per quanto riguarda il ruolo istituzionale del comitato promotore, lascerò brevemente, se il presidente consente, la parola al dottor Capezzone che più si è occupato di questo aspetto; ritengo


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peraltro che una lettura appropriata ed attenta della nota che abbiamo distribuito sia, ad adiuvandum, utile. Per parte mia prenderò quindi in considerazione le altre questioni poste.
La prima, sollevata dall'onorevole Paissan, riguarda i dieci o sette giorni utili di sovrapposizione fra le due campagne, cioè tra la fine della campagna regionale e l'inizio di quella referendaria. Su questa vorrei ricordare due elementi: il primo è che mai nelle ultime tornate referendarie la campagna televisiva è stata di 45 giorni; mai! Possiamo strapparci i capelli, però così è successo, per cui, da questo punto di vista, non vedo un vulnus rispetto ad un dato di prassi che, pur non condividendolo, così è stato. Il secondo è che in ogni caso si può pensare, volendo, ad un inizio di campagna di informazione più lenta, e di informazione istituzionale (i quesiti, quanti sono, di cosa si occupano, cosa intendono, eccetera) per accelerare poi il dibattito dal 17 al 21; sarebbero già 35 giorni, e una campagna referendaria televisiva di 35 giorni sui referendum in mia memoria poche volte è avvenuta. Noi siamo assolutamente per il mantenimento della data prevista, trovando questa una soluzione corretta.
Per quanto riguarda l'astensione, il senatore Semenzato dice che, in fondo, si può equiparare al no, ritenendo che questa modalità di voto possa essere compresa in quelle che vanno verso il no, ma in punto di diritto non è così, perché l'astensione non è un no; tanto è vero che, mancato il quorum sul referendum del 18 aprile dell'anno scorso, la Corte ha ben chiarito che il quesito sottoposto al referendum non era stato bocciato, tant'é che ne ha autorizzato la riproposizione senza aspettare i cinque anni; ha detto semplicemente che il referendum aveva avuto esito nullo, non negativo. Non c'è stata bocciatura, tant'è che siamo di nuovo qui dopo un anno e non dopo i cinque che sarebbero previsti dalla legge in caso di bocciatura. Sottolineo questo alla vostra attenzione perché l'astensione non è un no, non è un voto negativo da questo punto di vista, in termini di giurisprudenza.
Condivido quanto è stato detto per quanto riguarda la data; pensiamo a quella malaugurata del 15 giugno scelta nella tornata referendaria del 1997; forse allora era, come dire, più utile che venisse meno il quorum, ma insomma certamente la scelta della data fatta all'epoca è servita anche a questo scopo e, dovendo trarne una lezione, è bene non ripeterla.
Per quanto riguarda l'accorpamento dei temi, i comitati sono contrari a questa ipotesi. Siamo profondamente convinti che ogni tema abbia la sua specificità, in particolare quelli cui ci si è già riferiti in materia di giustizia.
In merito al ruolo esaurito di cui ha parlato l'onorevole Romani, dal punto di vista della giurisprudenza la situazione è esattamente opposta, nel senso che, contrariamente a quanto noi sosteniamo, ma questo è indifferente, il ruolo del comitato promotore come potere dello Stato scatta soprattutto dal momento in cui la Corte ammette il referendum. Noi abbiamo sempre sostenuto che questo ruolo c'è almeno dal momento in cui sono verificate le firme, dal momento in cui le 500 mila firme sono ritenute valide dalla Cassazione, ma certamente questo ruolo si rafforza a partire dalla sentenza della Corte costituzionale, quindi è tutt'altro che esaurito. Da questo punto di vista, per quanto riguarda i messaggi brevi cui si è fatto riferimento, c'è una parte della nota che si riferisce proprio a tale opzione in merito al ruolo del comitato promotore che - ripeto - in punto di diritto, per quanto ci riguarda, non è confondibile con i sì. Nella espressione del dibattito politico il comitato promotore non è la lista Bonino, è altra cosa. La lista Bonino sarà per il sì, il comitato promotore è altra cosa. Noi come forze politiche o della società, come si vuole, partecipiamo per il sì o per il no al dibattito politico, ma questo ruolo, l'eventuale comitato per il sì, ammesso che ci sia, non è identificabile


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con il comitato promotore che ha obblighi, prerogative e responsabilità giuridiche tutte particolari.
Credo di aver così risposto a tutte le domande poste. A questo punto vorrei che intervenisse, se il presidente consente, il dottor Daniele Capezzone.

PRESIDENTE. Prego, dottor Capezzone.

DANIELE CAPEZZONE, Rappresentante dei comitati promotori dei referendum del 21 maggio 2000. Innazitutto una brevissima osservazione sull'ipotesi che aveva formulato l'onorevole Paissan di raggruppamento dei quesiti. Sarebbe francamente curioso che, non avendo trovato la RAI in sette mesi il tempo di fare una sola trasmissione, ad esempio, sul sistema elettorale del CSM, non avendolo trovato per venti anni, non lo trovasse neppure nei trenta giorni di campagna referendaria e che quei pochissimi spazi divenissero una sorta di fritto misto in cui gli incarichi extragiudiziali si confondono con la separazione delle carriere, con le questioni del CSM, eccetera. Credo che quanto meno nel momento in cui ci si appresta ad andare al voto sarebbe bene che gli elettori - 45 milioni di elettori su ciascun quesito - sapessero su cosa viene chiesto il loro voto, tema per tema. Diversamente sarebbe davvero una innovazione. Ci mancherebbe solo questo!
Sul ruolo del comitato promotore, per ciò che diceva l'onorevole Paissan, il problema non è e non può essere quello di ritagliare con il bilancino la quota da attribuire al comitato promotore all'interno del comitato per il sì e nemmeno quello di indisponibilità dei promotori a confrontarsi con altri. Il problema è quello della eterogeneità dei soggetti in campo. Da una parte c'è un soggetto, il comitato promotore, che non ha nulla a che vedere con i soggetti che sono forma ed espressione di iniziativa politica, i comitati del sì, del no, del ni, del ma, i partiti, eccetera, ma è un soggetto dotato di funzioni puramente e semplicemente istituzionali, è potere dello Stato, deve farsi carico di illustrare le ragioni ed i contenuti della proposta referendaria, ha in base alla giurisprudenza della Corte il compito di vigilare su tutte le fasi del procedimento referendario e questo fa; e, badi, chi rappresenta? Non i sostenitori del sì, ma le ragioni di quei 500 mila elettori, in questo caso 800 mila cittadini che indipendentemente dal tipo di espressione di voto che ognuno di loro sceglierà (sì, no, eccetera) hanno puramente e semplicemente scelto di sottoporre al paese una domanda. Il comitato promotore rappresenta costoro e deve avere uno spazio a carattere istituzionale, proprio come è istituzionale il comitato stesso.
Mi pare questo un punto significativo da sottolineare, su cui tornerò tra un attimo sulla base anche delle sollecitazioni che abbiamo ascoltato. Da questo punto di vista anche l'onorevole Romani tornava sull'argomento. Il comitato promotore non può in alcun modo essere considerato come soggetto che evidentemente, come è stato detto, esprime le ragioni del sì. Non è affatto un caso di scuola, l'esperienza di ciascuno, non solo sul piano teorico ma su quello pratico, è ricca di persone che hanno scelto di sottoscrivere un quesito riservandosi di votare no, puramente e semplicemente perché ritenevano di voler sottoporre una questione al corpo elettorale. Si tratta di una ipotesi che vi inviterei a tenere nel dovuto conto. Sovrapporre o addirittura confondere la posizione di chi ha posto una domanda e quella di chi politicamente su un piano non istituzionale a quella domanda risponde sì è cosa teoricamente e praticamente assai discutibile.
L'onorevole Romani perdonerà se faccio anche un accenno alla par condicio. Diceva il senatore Romani: mi sorprende che i radicali non siano stati al nostro fianco in questa battaglia di libertà. Onorevole Romani, non potevamo essere al vostro fianco perché saremmo stati al fianco di chi voleva imbavagliare ancora di più. Quella è una legge pessima, incostituzionale, ma voi proponevate un imbavagliamento ancora maggiore. Per mesi avete proposto che l'85 per cento di tutti


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gli spazi di comunicazione televisiva fossero appannaggio esclusivo dei due poli; poi non vi è bastato, siete andati oltre, avete riesumato il criterio della proporzionalità fra risultato elettorale e spazi televisivi, un criterio per il quale nel 1994 Forza Italia non avrebbe messo il naso in TV nemmeno per un minuto: ma questo è forse marginale.
Per ciò che diceva il senatore Falomi, c'è un aspetto che mi pare importante. Non solo la posizione del Comitato promotore è stata precisata dalla giurisprudenza della Corte, ma perfino nel quadro normativo attuale nessuno vieta di attribuirgli un suo spazio, anzi - è una tesi che abbiamo sostenuto in sede di Authority con qualche attenzione da parte del presidente Cheli e dal commissario Sangiorgi - anche in questa legge quando si parla di parità di spazi tra favorevoli e contrari, non è scritto che tutti gli spazi debbano essere assegnati ai favorevoli e ai contrari. Ferma restando la necessità di garantire la pariteticità dei sì e dei no, quindi, nulla vieta di riservare una quota terza al Comitato promotore, sul modello di quella tripartizione - che a molti piace - tra Governo, maggioranza e opposizione oppure sull'esempio di molti anni addietro, quando i cicli di tribune televisive erano aperti dal ministro dell'interno.
Da questo punto di vista, prevedere un ruolo peculiare del Comitato promotore ed attribuirgli la funzione di illustrare le ragioni e contenuti della proposta referendaria in rappresentanza di coloro che hanno sottoscritto il quesito, di coloro che vogliono sottoporre una domanda al paese, come cosa del tutto o diversa rispetto al dibattito politico tra i favorevoli e i contrari, è una possibilità che va tenuta presente. Ciò a maggior ragione se si considera quanto diceva il senatore Semenzato, cioè che il Comitato promotore deve avere una posizione di primus inter pares nell'ambito dei favorevoli: in realtà non ci sono pares, perché siamo su posizioni completamente diverse.
C'è poi un'altra parificazione pericolosa che si rischierebbe di compiere, se si inserissero i promotori tra i sostenitori del sì e gli astenuti tra quelli del no; i Comitati promotori sono un potere dello Stato ed il loro ruolo è stato precisato dalla giurisprudenza della Corte, mentre gli astenuti non hanno alcuna copertura di questo tipo; inoltre, nel corso dell'esame della legge che è stata approvata, è stato opportunamente cancellato un emendamento che proponeva uno spazio autonomo per gli astenuti; di più, la stessa Corte di Cassazione, nell'ammettere il quesito sul proporzionale, ha chiarito come l'astensione non possa essere considerata nemmeno un'espressione di voto.

PRESIDENTE. Ringrazio gli onorevoli Bonino e Cappato ed il dottor Capezzone e dichiaro conclusa l'audizione.

(Gli onorevoli Emma Bonino, Marco Cappato e il dottor Daniele Capezzone lasciano l'aula. Sono introdotti gli onorevoli Giuseppe Calderisi, Giovanni Collino, Marco Taradash).

PRESIDENTE. Ringrazio e saluto gli onorevoli Calderisi, Collino e Taradash che ascoltiamo separatamente dagli altri perché ci è stato chiesto esplicitamente dai rappresentanti dell'altro Comitato promotore per i referendum del 21 maggio. Do la parola all'onorevole Calderisi.

GIUSEPPE CALDERISI, Rappresentante dei Comitati promotori dei referendum del 21 maggio. Noi rappresentiamo i Comitati promotori dei referendum sulla legge elettorale e sul finanziamento dei partiti. Mi pare importante sottolineare soprattutto tre punti: il ruolo del Comitato promotore del referendum in base alle norme costituzionali e dalla giurisprudenza della Corte; il problema dell'astensione; la sovrapposizione con la campagna elettorale per le elezioni regionali.
Non credo ci sia bisogno di molte parole per ricordare il ruolo particolare del Comitato promotore, che è un potere dello Stato abilitato a sollevare conflitti di attribuzione nei confronti di altri poteri dello Stato; è il soggetto che raccoglie le firme; è formalmente il soggetto titolato a


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parlare a nome e per conto di quella frazione del corpo elettorale - 500 mila elettori - che, in base alla nostra Costituzione, ha il diritto di chiamare alle urne tutto il corpo elettorale a pronunciarsi su quel quesito. In considerazione di questo profilo, credo che i Comitati debbano avere uno spazio particolare e soprattutto deve essergli assicurata la possibilità di esporre le ragioni che li hanno indotti promuovere il referendum; non possono quindi essere considerati alla stregua di un qualsiasi altro comitato per il sì o per il no e nemmeno di un partito o di un gruppo parlamentare. Questi Comitati devono avere un ruolo particolare nella campagna elettorale e credo che, soprattutto dell'inizio della stessa, debbano essere messi nelle condizioni di poter spiegare perché è stata promossa l'iniziativa referendaria.
A mio avviso, in ogni caso la competizione nelle trasmissioni televisive non dovrebbe essere rimessa in misura prevalente ai partiti, perché si tratta di questioni che riguardano tutta la società civile; se i soggetti ammessi saranno i Comitati promotori, i partiti rappresentati in Parlamento e qualche comitato del sì e del no si determinerà una preminenza della presenza dei soggetti partitici che non è idonea all'iniziativa referendaria.
Per quanto riguarda l'astensione, come sapete meglio di me, la legge parla di spazio uguale per i favorevoli ed i contrari. Voglio ricordare che un emendamento che proponeva di introdurre nella legge la questione dell'astensione è stato formalmente respinto dalla Camera; inoltre, rispetto alle precedenti tornate referendarie, c'è anche la giurisprudenza della Corte di Cassazione che, nell'ammettere la nuova iniziativa referendaria nonostante non fossero passati cinque anni dalla precedente, ha affermato che «l'astensione non conduce ad alcuna espressione di voto, ma sta a denotare soltanto che si è verificata una situazione in cui il corpo elettorale non ha potuto validamente esprimersi con efficace manifestazione del proprio consenso o dissenso sulla richiesta di abrogazione della legge. Non conduce, quindi, ad un risultato, non potendo essa in sé coniugarsi con l'altra essenziale condizione del raggiungimento del quorum deliberativo, né può essere essa sola intesa come una forma di dissenso, non potendo tale difetto di partecipazione, per motivi vari, avere un suo significato certo e univoco di manifestazione contraria al consenso richiesto». Si parla, quindi, di votazione senza esito.
Lascio a vostra disposizione questa sentenza perché penso che si debbano tenere ben presenti questi passaggi: una regolamentazione che dovesse andare in violazione delle competenze e della sfera di attribuzione del Comitato promotore e della giurisprudenza che si è determinata su questo punto obbligherebbe infatti i Comitato a far valere le proprie attribuzioni. Come sapete, il Comitato promotore ha accesso diretto alla Corte costituzionale e può sollevare conflitti di attribuzione nei confronti di una Commissione parlamentare bicamerale, anche se non nei confronti dell'Authority.
Mi sembra quindi non ci sia formalmente alcuno spazio per la partecipazione di comitati per l'astensione; faccio presente anche che l'articolo 48 della Costituzione non solo impone il dovere del voto, ma parla di voto segreto, mentre l'astensione dal voto non è tale. Legittimare la partecipazione alla campagna elettorale di un comitato per l'astensione come tale significherebbe quindi anche andare a cozzare con l'articolo 48 della Costituzione; inoltre, se esisteranno comitati per l'astensione, è probabile che si formino anche comitati contro l'astensione e per la partecipazione, nei quali si troverebbero personalità del sì e del no. In quali spazi vanno considerati questi soggetti? Pongo il problema, ma non sta a me risolverlo.
C'è poi il problema della sovrapposizione della campagna elettorale referendaria con quella per le elezioni regionali. Nel corso di incontri con il Governo, ci era stato chiesto di sottoscrivere un autolimitazione per cui, in trasmissioni elettorali che dovessero essere calendarizzate prima del 16 aprile, c'era l'impegno a che


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non fossero presenti candidati alle regionali; noi eravamo disponibili, ma non sono stati disponibili altri, credo però che si possa risolvere recuperando successivamente a quella data il tempo che non viene impiegato prima oppure prevedendo solo poche trasmissioni a carattere più istituzionale ed informativo in modo da evitare di violare la par condicio. È quindi un problema che può essere facilmente risolto, prevedendo però una compensazione nel periodo successivo al 16 aprile, con tempi adeguati al fatto che i referendum sono sette, che ci sono partiti che hanno orientamenti diversi anche nell'ambito di uno stesso tema e che bisogna dare spazio al dibattito su tutte le questioni senza privilegiare un tema rispetto ad un altro.
L'auspicio che possiamo formulare è quello di avere trasmissioni vivaci, come in genere sono quelle di testata giornalistica. Le trasmissione di tribuna politica, infatti, solitamente vengono condotte con formule piuttosto soporifere, oltreché essere inserite in orari soporiferi. La richiesta che facciamo è che si adottino formule giornalistiche come quelle utilizzate una volta, quando partecipavano giornalisti di diverso orientamento e si tenevano dei faccia a faccia dei leader che rendevano vivace il confronto e che le tribune siano inserite in fasce orarie di maggiore ascolto. Vi sono molte formule che consentono di avere trasmissioni con un audience non di 700 mila persone, ma molto maggiore, come temi di così grande importanza per la vita futura del paese richiedono.

MAURO PAISSAN. Su quest'ultima valutazione sulla vivacità delle trasmissioni, dico ai promotori, come dovremmo dire alle forze politiche, che i dati della prima fase delle tribune elettorali per le regionali dimostrano che spesso è determinante la personalità di chi partecipa al dibattito, più della stessa forza politica. Intendo dire che se partecipa il segretario di partito rispetto ad un normale parlamentare la differenza di audience si nota subito. Se alcune forze politiche decideranno di disertare di fatto lo scontro politico referendario, sarà più difficile assicurare alle trasmissioni vivacità e ascolti. Noi, comunque, come Commissione di vigilanza, daremo la più ampia libertà di inventare formule giornalistiche e format di trasmissione interessanti.
Prendo atto che è stato definitivamente tolto di mezzo il problema della sovrapposizione delle campagne da parte di ambedue i comitati promotori. Ciò facilita molto il compito.
Rimangono sul tappeto due problemi: quello del ruolo dell'astensione, che viene enfatizzato, e quello del ruolo dei comitati promotori nelle trasmissioni. Per quanto riguarda il primo, anche se capisco la preoccupazione, il timore, il terrore politico di andare incontro ad un nuovo annullamento della prova referendaria, il problema praticamente non esiste. Abbiamo un vincolo di legge che ci impone di realizzare la parità di condizioni non tra il sì e il no, ma tra favorevoli e contrari al quesito referendario. Faremo il censimento delle forze politiche e dei comitati chiedendo, in via preventiva, se siano favorevoli o contrari; accetteremo di prendere in considerazione la domanda di partecipazione di comitati solo in base a questa dichiarazione. D'altro canto non possiamo intervenire con censure nel corso della trasmissione.

GIUSEPPE CALDERISI. Se il comitato per il no si mette a parlare a favore del sì che cosa succede?

MAURO PAISSAN. È un problema che non esiste, perché non posso certo far intervenire un giornalista della RAI a censurare una manifestazione di pensiero in diretta. Poi prenderò atto che vi è stato uno squilibrio e ripristinerò l'equilibrio nella trasmissione successiva. La letteratura della Cassazione è perlomeno sorprendente, nel senso che l'inesistenza dell'astensione l'avete forse sopportata sulla vostra pelle, avendo dovuto raccogliere di nuovo tutte le firme. Forse l'astensione dello scorso anno ha avuto qualche forma di influenza e non è stata una


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manifestazione così neutra rispetto all'esito referendario. Però, ripeto, noi non accetteremo - se la Commissione sarà d'accordo sulla mia proposta in qualità di relatore - di prendere in considerazione domande del comitato per l'astensione. Valuteremo solo i comitati favorevoli o contrari ai quesiti referendari, che andranno in trasmissione e diranno come intendono esercitare il loro diritto.
Ovviamente lo status dei comitati promotori è particolare e penso che dovremo prevedere una loro presenza significativa, prendendo atto di questa peculiarità.

GIANCARLO ZILIO. A me sembra di dover rilevare che dalla sentenza della Cassazione che è stata letta emerge che l'astensione non è espressione di voto, perché parte del corpo elettorale non ha potuto esprimersi; ma può anche essere che non abbia «voluto» esprimersi.

GIUSEPPE CALDERISI. Infatti dice che non è possibile stabilirlo.

GIANCARLO ZILIO. Questo è il punto. Vorrei anche dire che il comitato per l'astensione in quanto tale - personalmente non sono favorevole ai comitati per l'astensione - può essere parificata al comitato promotore, il quale propone l'abrogazione di una determinata legge che non condivide. Il comitato promotore non è asettico perché propone un'abrogazione e l'astensione può essere l'espressione di chi non ritiene che quella legge debba essere sottoposta al vaglio dell'elettorato: da questo punto di vista siamo su un piano di parità. Ripeto: il comitato promotore ritiene che una determinata legge debba essere sottoposta al vaglio dell'elettorato perché non crede che sia adeguata alla situazione attuale; coloro - pochi o tanti - che non vanno a votare possono ritenere, al contrario, che tale legge non debba essere sottoposta al vaglio dell'elettorato. Vi è quindi una situazione di parità.
Come dicevo, non sono favorevole ai comitati per l'astensione perché ritengo che i cittadini debbano esprimere il loro parere, però, attenzione, non possiamo dare preminenza solo al comitato promotore che chiaramente è per il sì. Allora, nelle trasmissioni il comitato promotore deve limitarsi a dire il contenuto del referendum senza specificarne le ragioni, perché altrimenti diventa automaticamente comitato per il sì. È un problema questo che sottoporrò alla Commissione.
A me sembra che le questioni che ho sollevato vadano esaminate nel momento in cui il collega Paissan presenterà la sua proposta.

GIUSEPPE CALDERISI. Non ho detto che il comitato promotore è «neutro»!

GIANCARLO ZILIO. Però ha detto che spiegherà le ragioni per cui ha sottoposto la legge al referendum, ragioni che non possono che essere a favore dell'abrogazione, altrimenti non avrebbe proposto il referendum.

MARCO TARADASH. Vorrei evitare un equivoco che sembra nascere dall'intervento del senatore Zilio. Noi non chiediamo una quota extra per i comitati promotori, ritenendo che essi debbano rientrare nella quota del sì.
Rispetto al problema dell'astensione, voglio segnalare che c'è una diversità: il referendum è un istituto costituzionale e chi lo attiva dà luogo ad un istituto costituzionale. Quindi, al comitato promotore, in quanto attivatore di tale istituto, viene riconosciuto sotto il profilo giuridico un potere dello Stato. Coloro che suggeriscono l'astensione si oppongono legittimamente al quesito referendario ma non possono essere messi alla stessa stregua del comitato promotore, così come neppure i comitati per il sì che nascono a sostegno del referendum possono essere messi alla pari perché è stato il comitato promotore a dar vita allo strumento costituzionale.
Aggiungo che l'astensione non è il no. Se essa equivalesse al no, noi oggi non staremmo a discutere, perché se nella scorsa tornata referendaria avesse vinto il no, saremmo entrati in quel periodo di


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cinque anni nel quale non è più possibile presentare i referendum. L'astensione vanifica il referendum, ma non significa la vittoria del no. Allora, visto che si è sentito parlare di comitati per l'astensione che vorrebbero essere titolati a partecipare alle tribune referendarie, diciamo che non è possibile perché non sono portatori di una posizione che abbia validità rispetto all'esito. Poi, certamente, se i sostenitori del no sceglieranno la strada dell'astensione, sarà difficile contestarla, anche se le obiezioni che faceva Calderisi restano solide. Sia chiaro comunque che, dal nostro punto di vista, non è assolutamente ammissibile la partecipazione di un comitato per l'astensione in quanto tale. Lo scontro deve essere tra sì e no; la ripartizione dei tempi deve prevedere il 50 per cento per il sì e il 50 per cento per il no; se poi tra i sostenitori del no vi sarà chi sosterrà l'astensione, ciò riguarda solo loro.
La richiesta che avanziamo è di avere una presenza significativa, non formale, del comitato per il sì nelle trasmissioni in cui ci si confronta a più voci, perché il comitato per il sì è portatore anche del significato del referendum, mentre altri soggetti, come i partiti che si schierano per il sì, sono portatori di un sostegno e non della volontà degli elettori che hanno firmato la richiesta. D'altro canto, come ci sono molti motivi per dire no, vi possono essere molti motivi per dire sì; ma il testo sul quale il comitato referendario ha chiesto il voto è quello e su di esso devono essere richiamati anche i sostenitori del sì rispetto all'esito previsto attraverso la richiesta referendaria.

PAOLO ROMANI. Vorrei fare solo una battuta, in modo da sollevare il velo d'ipocrisia che è stato steso su questo problema soprattutto nella prima audizione che abbiamo avuto. È ovvio che tutti noi riconosciamo ai comitati promotori dei referendum un ruolo particolare, e l'onorevole Calderisi ha aggiunto, a tutto ciò che aveva sottolineato l'onorevole Bonino, una serie di argomentazioni a supporto di questa tesi. Mi sembra di capire, però, che almeno per quanto riguarda voi, non chiedete di essere considerati come terza parte, ma vi sentite pienamente rappresentati nel momento in cui siete inseriti all'interno di coloro che si dichiarano favorevoli al quesito referendario.
Per quanto riguarda il problema dell'astensione, ritengo di poter condividere una sottolineatura fatta prima dal collega Paissan: se qualcuno decide di essere contrario al quesito referendario ma, come strumento politico per attivare la propria contrarietà, sceglie la strada dell'astensione, ritengo che lo si possa tranquillamente annoverare tra coloro che sono contrari. Ovviamente è del tutto chiaro quale sia il rischio: se vincessero i no, per cinque anni il quesito referendario non potrebbe essere riproposto; se vince l'astensione, il quesito si può riproporre un anno dopo. Voglio dire che tutti conoscono perfettamente i rischi di questo tipo di posizione, ma almeno su questo facciamo chiarezza, Paissan: sappiamo che quando andremo a definire questa delibera dovremo fare in modo che un ruolo fondamentale venga riservato ai comitati promotori all'interno di coloro che si dichiarano favorevoli al quesito referendario e che vi potrà essere qualcuno che si dichiarerà contrario ma che poi, in sede di espressione della propria posizione politica, espliciterà la propria contrarietà non con un no ma con un'astensione.
Se questa è la strada, mi pare che anche il nostro compito sia più chiaro, definito e semplice; se anche su questo punto voi siete d'accordo, almeno con voi il problema è risolto, mentre non lo è con la Bonino.

GIANCARLO ZILIO. Mi pare sia stato chiarito un equivoco che si era determinato nella precedente audizione, nel corso della quale è stato detto che il comitato promotore avrebbe voluto uno spazio autonomo al di fuori della ripartizione tra il sì ed il no. Invece, l'onorevole Taradash ha fornito un chiarimento in proposito, per cui va benissimo.


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SERGIO ROGNA MANASSERO di COSTIGLIOLE. Vorrei limitarmi soltanto una battuta e riaffermare - questa è la mia opinione - che non esistono spazi terzi: la lettera della legge mi pare su questo punto sufficientemente chiara e, se vogliamo, anche innovativa rispetto a precedenti sentenze. Quindi, sotto questo punto di vista, credo che la Commissione abbia almeno la possibilità di ripartire in due contenitori le opposte posizioni. È chiaro che il comitato promotore ha una particolare presenza, ma è altrettanto chiaro che le posizioni contrarie vanno tutte insieme, così come quelle favorevoli. Questa semplificazione viene attuata dalla legge per uno scopo fondamentale, cioè quello di consentirne il funzionamento. Quindi, non rimane spazio per nessuna terza posizione secondo l'attuale normativa, a meno che qualcuno si prenda la briga di impugnare la legge su questo punto di fronte alla Corte costituzionale; ma questa è cosa diversa.
Per quanto riguarda il comitato promotore, prendo atto con soddisfazione che voi non avete espresso una posizione di pura enunciazione del problema in modo del tutto neutro perché, se questo fa parte dei sofismi, può anche andar bene, ma che si possano chiamare i cittadini italiani ad esprimere un voto, con il costo di una consultazione di questo tipo, per il solo gusto di sapere se esista o meno una maggioranza favorevole in astratto ad un determinato quesito, senza per questo prendere posizione, mi pare francamente inaccettabile dal punto di vista logico, non dal punto di vista delle possibili sentenze in argomento.

PRESIDENTE. Nel ringraziare i nostri ospiti, dichiaro conclusa l'audizione odierna.

La seduta termina alle 15.

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