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PRESIDENTE. Saluto i nostri ospiti che sono l'avvocato Eugenio Porta, presidente dell'ANTI, il dottor Marco Rossignoli, presidente dell'AER e Fabrizio Berrini, segretario dell'AER. Non è presente il dottor Luigi Bardelli, presidente di CORALLO, che ha però inviato una lettera precisando di sentirsi rappresentati dagli altri intervenuti.
MARCO ROSSIGNOLI, Presidente dell'AER. Ringraziamo innanzitutto la Commissione per l'audizione. Il presidente Bardelli non ha potuto intervenire per sopraggiunti impegni, ma come ha ricordato il presidente Storace, siamo qui anche a rappresentarlo. AER e CORALLO hanno da tempo creato un coordinamento organizzativo tra le associazioni, che oggi complessivamente rappresentano 1.300 emittenti operanti nel settore radiotelevisivo, di
cui 1.000 radiofoniche e 300 emittenti televisive locali, rispetto ad un complesso di emittenti locali pari a circa 2.000. Le emittenti locali radiofoniche concessionarie attualmente operanti sono circa 1.300; a questo numero si è pervenuti dopo i processi di razionalizzazione quantitativa del settore operati con le varie leggi succedutesi negli anni dopo la legge Mammì; le emittenti televisive locali sono circa 700. Rappresentiamo una tipologia di emittenza abbastanza diffusa nelle varie forme. L'associazione CORALLO rappresenta l'emittenza comunitaria mentre l'AER e l'ANTI rappresentano l'emittenza di carattere commerciale; queste sono le varie tipologie previste dalla legge.
oppure - alternativa che viene tanto sbandierata dai sostenitori del progetto - dare all'emittenza locale un ruolo, definito «significativo», nella realizzazione di servizi acquistati e diffusi dalla concessionaria pubblica, un ruolo questo che non ci può interessare.
attraverso transazioni, per cui un soggetto dismette un canale televisivo e se lo fa riassegnare dal Ministero delle comunicazioni in epoca successiva.
PRESIDENTE. Questo argomento non è all'ordine del giorno.
MARCO ROSSIGNOLI, Presidente dell'AER. Infatti, l'ho solo accennato. Ciò ha contribuito ad alimentare la problematica complessiva, in quanto l'eccessiva lievitazione dei costi - che poi si collega ad un progetto complessivo e al comportamento della concessionaria pubblica a danno degli altri soggetti del sistema e, in questo caso, dell'emittenza locale - ha creato confusione nel settore radiofonico.
PRESIDENTE. Potremmo procedere nel modo seguente: il senatore Falomi sviluppa le questioni che ritiene opportuno sottoporre ai nostri ospiti, alcune ne porrò a mia volta e poi i rappresentanti dell'emittenza locale potranno rispondere integrando il pensiero del presidente Rossignoli. Tra l'altro, le osservazioni che sono emerse nelle audizioni odierne potrebbero risultare utili anche ai fini dell'esame del progetto di legge n. 1138, per cui potremmo trasmettere al presidente Petruccioli gli atti della seduta odierna.
ANTONIO FALOMI. Sono d'accordo, anche perché una parte di questa problematica verrà affrontata in sede di discussione del progetto di legge n. 1138, che tocca entrambi gli argomenti: sia quello dell'assetto complessivo del servizio pubblico radiotelevisivo sia quello dell'emittenza locale.
PRESIDENTE. Ed eventualmente anche il dettato della legge n. 515.
ANTONIO FALOMI. Si tratta di un problema particolare e di una materia a sé rispetto alle questioni che stiamo trattando.
locale mi sembra una posizione così curvata su esigenze, peraltro del tutto legittime, da poter però comprimere altre esigenze altrettanto legittime.
PRESIDENTE. Vorrei svolgere un altro tipo di considerazioni, non esattamente in linea con quanto ha appena detto il senatore Falomi, perché sostengo che il servizio pubblico non deve, ma può assicurare determinati fatti, e ciò perché una certa esigenza può essere soddisfatta anche dal privato; comunque, è argomento che svilupperemo nel corso del nostro dibattito e non ripeterò le ragioni per le quali anch'io nutro delle preoccupazioni in ordine all'espansione territoriale della RAI.
prima e seconda rete. Pongo questa domanda perché mi ha incuriosito un dato comune alle due audizioni svolte finora. Il presidente Giovannini, se non sbaglio, ha sostenuto che se la gente non va a votare è anche perché le emittenti locali non possono fare informazione. Ma se esse hanno un bacino così piccolo, non possono influire sulla partecipazione al voto; sarebbero la RAI e Mediaset che dovrebbero informare i cittadini che si va a votare. È un ragionamento che forse contraddice la mia impostazione, ma ho il dovere di porre questioni rappresentative anche di altre posizioni.
MARCO ROSSIGNOLI, Presidente dell'AER. Darò poi la parola all'avvocato Porta che risponderà più ampiamente, ma vorrei prima dare un chiarimento circa la diversità di impostazione tra la nostra audizione e quella precedente.
PRESIDENTE. Ha detto lei che rappresentate le emittenti medio-piccole.
MARCO ROSSIGNOLI, Presidente dell'AER. Probabilmente mi sono espresso male. Noi rappresentiamo tutte le tipologie di emittenti, dalle commerciali alle comunitarie, dalle grandi, alle medie, alle piccole; abbiamo quindi una rappresentatività variegata anche per quanto riguarda gli interessi. Nell'ambito radiofonico rappresentiamo sostanzialmente tutti da un punto di vista qualitativo e quantitativo: rappresentiamo circa mille emittenti (contro circa 100-120 delle altre associazioni), rappresentiamo tutti i circuiti radiofonici e le principali emittenti radiofoniche di tutte le province e di tutte le regioni secondo l'indagine di ascolto di audiradio.
ANTONIO FALOMI. Se si afferma che un sistema equilibrato dovrebbe prevedere circa 80 televisioni locali, 3 o 4 per regione, è evidente il tipo di rappresentatività che si configura.
MARCO ROSSIGNOLI, Presidente dell'AER. Con un sistema di questo genere probabilmente chiuderebbero molte delle loro emittenti.
PRESIDENTE. Quindi la norma sull'informazione non ha danneggiato l'emittenza locale.
MARCO ROSSIGNOLI, Presidente dell'AER. No, anzi. Noi infatti sosteniamo da tempo che bisogna valorizzare l'emittenza locale che fa informazione, tant'è vero che la parte del disegno di legge n. 1138 che noi salviamo è proprio quella che valorizza il ruolo informativo dell'emittenza
locale. Si parla però di una attività da parte della concessionaria pubblica volta alla copertura completa di spazi territoriali, anche se il progetto è assolutamente confuso e non si capisce cosa si voglia fare; si parla di linee di interconnessione locali che possono essere utilizzate nelle varie zone per fare splittaggi informativi di ogni tipologia. Quello che contestiamo del progetto RAI è l'invadenza nel campo dell'emittenza locale, il cui ruolo - se c'è - deve essere affermato e garantito. Lungi da noi il sostenere che la RAI non deve fare informazione locale, ma non deve sottrarre il suo ruolo all'emittenza locale televisiva, altrimenti rischia di farla morire.
EUGENIO PORTA, Presidente dell'ANTI. Vorrei innanzitutto rispondere ad una osservazione molto acuta del presidente che ha chiesto: se la news fa 24 ore di locale, che danno provoca? Ventiquattro ore di locale significa fare un minestrone e non fare ancora informazione locale, ma solo portare il locale in una dimensione molto più vasta che in quanto tale non è più locale.
PRESIDENTE. Mi spiego meglio. Se la risorsa è la vendita dei tappeti, la RAI non farà vendita di tappeti: qual è il danno? Lo chiedo anche per capire meglio le vostre ragioni.
EUGENIO PORTA, Presidente dell'ANTI. In questo caso un'informazione locale è mista: per il sud, per il nord, per il centro, eccetera. L'emittente locale, invece, fa informazione locale per una determinata zona. Questa è la grossa differenza che ha indotto la decisione della Corte costituzionale. Tornerò poi su questi principi che ci siamo completamente dimenticati e dalla cui dimenticanza deriva tutto il caos attuale; in questo senso direi che il fatto non danneggia alcuno, ma non si tratta di informazione locale, perché non serve al locale. All'ascoltatore di Palermo o di Benevento non gli interessa affatto il locale di Torino e quindi non la seguirà. Viceversa esso è disponibile a seguire l'informazione che lo riguarda.
poi andati a votare per lui. Altrimenti era un illustre sconosciuto, che nessuno avrebbe votato. Se si aspettava l'informazione nazionale, nessuno lo avrebbe votato perché soltanto poche migliaia di persone lo conoscevano. Credo occorra meditare su questo ai fini dello sviluppo democratico.
PRESIDENTE. Perché?
EUGENIO PORTA, Presidente dell'ANTI. Non ha i mezzi economici per andare avanti. Questo è il problema. È inutile che dicano che essa non sottrae mezzi economici alla prima ed alla seconda rete; sarebbe invece auspicabile che tutti i mezzi finanziari ed economici venissero concentrati per fare bene due reti, per fare quella grossa produzione che oggi non viene fatta e non ripetere quattro o cinque volte lo stesso film, il che per un servizio pubblico è davvero incomprensibile. Si preferisce trasmettere cinque volte lo stesso film e fare poi una terza rete che non combinerà assolutamente nulla.
FABRIZIO BERNINI, Segretario dell'AER. Credo che al di là delle preoccupazione si debba leggere quanto è scritto nel documento della RAI, perché da esso si capiscono le reali intenzioni e quello che accadrà. Noi possiamo fare la figura delle Cassandre più o meno simpatiche, ma in quel documento, specialmente nelle pagine dedicate alla nuova terza rete vi sono tutte le indicazioni alla luce delle quali le nostre preoccupazioni non sono certamente campate in aria.
Si usa un'espressione un po' contorta, ma policentrismo esistente vuol dire, per chiunque opera in questo settore, aprire redazioni locali all'interno della regione, il che è condivisibile. Più oltre si ricollega questo punto con l'apertura delle redazioni locali che, come sapete, oggi non esistono; esistono invece redazioni regionali che hanno alcuni corrispondenti e che negli anni sono state smantellate per usufruire o di service o di accordi già operanti con televisioni e radio locali. Questi accordi, peraltro, non possono essere presentati come una panacea per la soluzione dei problemi dell'emittenza locale perché i medesimi accordi, pur non essendo strillati sui giornali, sono stati conclusi da Mediaset per il TG5 e dal gruppo Cecchi Gori per Telemontecarlo e Telemontecarlo 2. Moltissime televisioni e radio italiane forniscono service alle emittenti televisive nazionali, perché è una forma imprenditoriale e di informazione che va bene a tutti e due i soggetti.
PRESIDENTE. Le regioni!
FABRIZIO BERNINI, Segretario dell'AER. Ci stavo arrivando. La RAI sostiene invece alleanze con le emittenti locali. L'avvocato Porta ha già precisato il concetto: l'alleanza è tale se entrambi i soggetti traggono dei benefici. Ebbene, oltre a quello economico, non vedo altri benefici a favore dell'emittenza locale e della RAI che, anziché assumere giornalisti per aprire delle redazioni dice: «Fai tu, avvocato Rossignoli; vai ad Ancona, firma l'incidente che io poi te lo mando». Al di là della problematica dei service, chi individuerà quali sono le emittenti interessate? Cosa succederà nel mercato regionale, provinciale e multiprovinciale tra quelle emittenti che hanno un ulteriore polmone finanziario attraverso il servizio di fornitura di service alla RAI e alle altre emittenti? Nasce uno squilibrio di mercato, una posizione dominante all'interno del sistema? Secondo me sicuramente.
sponsorizzazioni. Il mercato delle sponsorizzazioni viene cercato a livello nazionale, ma soprattutto - come pure per le convenzioni - nell'ambito locale. Quindi, stiamo parlando di una rete che non solo ha la pubblicità, ma che trova - questo è il progetto Badaloni - parte della sua pubblicità e delle sue risorse nell'ambito locale. Sono allora già due gli aspetti devastanti per tutta l'emittenza locale: la pubblicità c'è e l'informazione viene espletata regionalmente e subprovincialmente.
PRESIDENTE. Il fatto che la programmazione locale sia orientata sui canali satellitari come contrasta con il vostro tipo di programmazione?
FABRIZIO BERNINI, Segretario dell'AER. Nel documento si legge che la programmazione locale è orientata alla diffusione nazionale e globale.
PRESIDENTE. Se è pubblicità che passa per i canali satellitari, qual è il danno?
FABRIZIO BERNINI, Segretario dell'AER. La programmazione acquisita localmente andrà anche sul canale satellitare, come si spiega meglio nel prosieguo del documento, a proposito delle risorse.
PRESIDENTE. Nel testo «anche» non si legge.
FABRIZIO BERNINI, Segretario dell'AER. Si legge: «La programmazione locale è orientata alla diffusione nazionale e globale sui canali satellitari e viene realizzata» - questo è l'importante - «mediante specifiche risorse di sponsorizzazione».
PRESIDENTE. Questo è chiarissimo, però sono risorse che vengono impiegate sul satellite.
FABRIZIO BERNINI, Segretario dell'AER. No.
PRESIDENTE. È così.
FABRIZIO BERNINI, Segretario dell'AER. Io non lo leggo così; io intendo che la programmazione viene poi orientata anche sul satellite, ma essa viene realizzata mediante specifiche risorse di sponsorizzazione.
PRESIDENTE. Questo passaggio va chiarito meglio.
FABRIZIO BERNINI, Segretario dell'AER. Salto molto delle successive osservazioni e vado a pagina 33, anche per brevità. All'ultima riga si legge: «l'elemento caratterizzante del progetto e della linea editoriale della nuova Raitre è costituito dall'incremento dell'informazione e della programmazione legata al territorio nei suoi diversi livelli. Saltando due capoversi si legge ancora: »Nell'ipotesi di creazione di nuove linee specifiche di informazione su diversi livelli territoriali, sovraregionale, cittadino, locale, eccetera e sulla base del modello produttivo esistente si determinerebbe pertanto una tendenza alla lievitazione della spesa«. Questo all'interno di una prima analisi dei costi, però la RAI ci dice che si articolerà su un livello sovranazionale, cittadino e locale. Questa è già un'indicazione specifica che viene ribadita in maniera più chiara a pagina 46 del documento dove sotto la voce «Coperture sovraregionali e sub-regionali», al secondo capoverso del punto 1 la RAI ci informa su come è organizzata oggi la struttura di diffusione. Cito per tutti un esempio: nel momento in cui si vuole far vedere a Roma la partita della Lazio che gioca a Milano, si riesce a splittare il segnale e a farlo vedere solo nel Lazio.
con molte province. È pertanto necessario realizzare nuovi impianti per articolare tali aree in bacini sub-regionali, con investimenti fissi, valutabili in circa 10 miliardi».
PRESIDENTE. Chiedendosi perché lo dicono, è chiaro il tipo di informazione.
Faccio presente inoltre ai nostri interlocutori che l'audizione, già programmata per ieri, si svolge oggi in una collocazione temporale inconsueta per i lavori parlamentari. È presente però il senatore Falomi, relatore sulla questione, che si farà senz'altro carico di riassumere alla Commissione le considerazioni qui espresse, che saranno anche raccolte nel resoconto stenografico. Eventuali contributi scritti saranno comunque benvenuti.
Per quanto riguarda la problematica specifica della presente audizione (progetto per la nuova RAITRE e la posizione delle nostre associazioni al riguardo; l'avvocato Porta ed il dottor Berrini scenderanno più nel dettaglio di alcune problematiche specifiche che per parte mia illustrerò solo in sintesi).
Crediamo sia importante che la nuova legge del settore e quindi anche gli indirizzi che la RAI andrà ad assumere nell'ambito dei suoi programmi aziendali tenga conto del ruolo dell'emittenza locale. Quest'ultima è stata prevista dalla legge Mammì e ad essa è stato dato un ruolo informativo. Le emittenti locali hanno oggi per legge l'obbligo di fare informazione in una quota piuttosto rilevante: almeno due ore al giorno circa. Non solo, ma la metà circa di questa quota, per legge, come corrispettivo della concessione, deve essere informazione locale. Tra l'altro, anche nel disegno di legge governativo n. 1138 di riforma del settore si riconosce ampio spazio all'emittenza locale con obbligo di informazione. Si va verso la valorizzazione di questa tipologia di emittenza, che avrà un ruolo particolare e alla quale saranno riservate anche le provvidenze dello Stato, con convenzioni di servizio e pubblicità pubblica.
Vogliamo evidenziare che qualunque progetto che la RAI prevede o vorrà porre in esecuzione non potrà prescindere dal ruolo che l'emittenza locale ha per legge. Siamo quindi molto contrari al progetto di nuova RAITRE perché lo vediamo come una sottrazione di ruolo dell'emittenza locale, così come ora da me inteso ed illustrato. Siamo molto contrari al progetto perché dai documenti della RAI, che abbiamo letto, esso risulta tendere ad un radicamento della RAI sul territorio molto capillare: si parla di un progetto di informazione non solo regionale ma anche provinciale, metropolitana e addirittura cittadina, con possibilità di splittaggio dell'informazione a qualsiasi livello.
Circa l'assenza di pubblicità da una rete di questo genere, bisognerà poi vedere di quale pubblicità si tratta perché la sponsorizzazione non è giuridicamente pubblicità, anche se in ogni caso è una forma di investimento assimilabile alla pubblicità.
L'assenza di pubblicità su una rete di questo genere (bisogna poi vedere di quale pubblicità si tratta perché la sponsorizzazione non è pubblicità ma è una forma di investimento ad essa assimilabile) non porta al risultato di non porre la rete RAI in competizione con l'emittenza locale, anzi tutt'altro, perché se un programma (una cronaca sportiva, ad esempio) viene realizzato dalla concessionaria pubblica completamente privo di inserti pubblicitari e da un'emittente privata con inserti pubblicitari è evidente, anche a parità di prodotto editoriale dal punto di vista qualitativo, quale dei due avrà più ascolto. Quindi, con il calo degli ascolti dell'emittenza locale, calerebbero anche gli investimenti pubblicitari locali, l'unica risorsa cui questo tipo di emittenza può seriamente attingere in questa fase ed anche in una prospettiva futura immediata. Ciò avrebbe conseguenze devastanti.
Un progetto della RAI di questo genere, se portato alle estreme conseguenze, dà solo due alternative all'emittenza televisiva locale: trasformarsi in venditore di tappeti e fare solo televendite (un'impresa deve guardare al profitto e quindi valutare il proprio conto economico e farlo quadrare, per cui anche chi in questi anni ha investito nell'informazione locale dovrà necessariamente rivolgersi verso altri lidi),
È chiaro che se l'impresa televisiva realizza dei servizi validi, questi vengono ceduti: l'emittente televisiva dell'Umbria che ha realizzato il servizio sul crollo della basilica durante il terremoto è giusto che ceda i diritti in Italia e all'estero. Però non si può pensare che un'impresa che intende fare l'editore televisivo si trovi invece a fare l'agenzia di informazione televisiva locale, il service, o il gestore di un appalto.
Oggi la RAI, nelle piccole realtà regionali, difficilmente manda una troupe a realizzare servizi. Durante il terremoto che ha interessato le Marche e l'Umbria, venivano utilizzati regolarmente dei freelance in appalti di servizio, così come avviene sempre. Il fatto che questi abbiano la vocazione per tale tipo di attività o che ci si voglia rivolgere a strutture di emittenti televisive locali non toglie nulla al problema del rapporto tra privati o tra pubblico e privato e non può essere venduto come un grande risultato per l'emittenza televisiva locale. Non c'è bisogno di avere una concessione televisiva, di fare l'editore televisivo locale, di avere impianti per la diffusione per avere una, due o tre troupe che vanno a fare servizi per qualcun'altro.
A noi sembra che, in tal modo, si cerca di trovare un sistema per eliminare l'emittenza televisiva locale, acquistandone la compiacenza. Questo certamente non è condivisibile.
Bisognerebbe anche discutere sui criteri di scelta dei soggetti che devono fare i servizi, perché se andiamo ad attingere ai documenti circolati in quest'ultimo anno, prima del documento di presentazione del nuovo consiglio di amministrazione RAI e della nuova RAITRE, troviamo ipotesi come quella definita «progetto Badaloni», che ha forti elementi di comunanza con l'attuale progetto, anche se in quel caso si parlava di dare servizi solo ad un numero molto limitato di emittenti televisive locali, scelte in base a non si sa quale criteri (comunque non condivisibili) e comunque con la ripartizione delle «briciole».
Credo che debba essere prevista una concessionaria pubblica con un suo ruolo, ma che, proprio perché è pubblica e perché la legge prevede un sistema radiotelevisivo misto pubblico e privato, debba essere garantito un ruolo ed uno sviluppo all'emittenza locale. Ciò anche per quanto riguarda le trasmissioni informative elettorali. Nelle ultime consultazioni elettorali si è registrata una forte flessione della partecipazione che potrebbe essere in parte causata dal fatto che i mezzi di informazione radiotelevisivi locali non ne hanno parlato. Questo avviene perché la normativa sulla par condicio prima come oggi (la legge n. 515 ha lo stesso significato) scoraggia qualsiasi editore televisivo locale dallo svolgere attività informativa e di propaganda elettorale, in quanto nessuno è interessato ad ingabbiarsi attraverso meccanismi cervellotici, codici di autoregolamentazione, comunicazioni preventive, rischi di sanzioni che, sebbene ridotte dalla legge n. 650 per l'emittenza locale, rimangono comunque molto elevate tanto che chi dovesse esserne colpito, considerati i fatturati dell'emittenza locale, avrebbe grossi contraccolpi aziendali. Il ruolo dell'emittenza televisiva locale è anche quello di far conoscere a coloro che risiedono nelle aree interessate chi sono i candidati al comune, alla provincia, alla regione.
Credo che qualsiasi progetto della RAI debba essere definito e regolamentato all'interno delle disposizioni di legge, valutando anche - colgo l'occasione per farlo presente - alcune problematiche inerenti l'acquisizione di frequenze da parte della RAI nel settore radiofonico, dove si sta tentando di operare. in alcuni casi, si sta cercando di intervenire anche nel settore televisivo che, sebbene non espressamente previsto dalla legge:la legge n. 650, articolo 1, comma 13, prevede la possibilità di acquisizione solo di frequenze radiofoniche per la concessionaria pubblica, però si possono ottenere risultati analoghi
Questa acquisizione di frequenze da parte della RAI, a prescindere dagli scopi, ha creato caos nel settore, perché ha portato ad un accaparramento senza precedenti da parte del pubblico ai danni del privato. Le frequenze sono state acquistate a valori enormemente superiori a quelli comunemente applicati fino ad oggi in transazioni equivalenti.
Mi limiterò a svolgere un'osservazione: voi esprimete una rappresentatività consistente, molto ancorata ad emittenti, sia televisive sia radiofoniche, che come dimensione vanno dal medio verso il piccolo; comunque, certamente rappresentare 1.300 tra televisioni e radio è qualcosa di consistente.
Nell'audizione precedente a questa dal dottor Rebecchini abbiamo ascoltato un'osservazione che però non trova riscontro in ciò che voi avete detto. Dalle osservazioni del dottor Rebecchini sembrava quasi che il progetto della RAI andasse a danno soprattutto delle emittenti radiotelevisive medio-grandi e che addirittura vi fosse una sorta di vantaggio per quelle che si collocano nella fascia dal medio al piccolo. Ho ascoltato, invece, critiche piuttosto radicali al progetto di nuova RAITRE, che contraddicono quell'affermazione.
Vorrei ora riproporre come elementi di riflessione le medesime questioni che ho posto prima, e ciò sia ai fini della predisposizione del parere sia ai fini della discussione del progetto di legge n. 1138, anche se lì ci si trova in una sede diversa. La critica che viene mossa al piano della RAI è sostanzialmente una critica radicale, nell'ambito della quale diventa difficile trovare un punto di equilibrio tra esigenze diverse; quando parlo di esigenze diverse mi riferisco in primo luogo a quella di garantire un sistema pluralistico pubblico-privato anche nella dimensione territoriale; un'esigenza importante mi pare, infatti, quella di un sistema dove non vi siano situazioni di monopolio, dove vi sia una reale competizione e nel quale vi sia spazio per l'emittente pubblica così come per quella privata. Ho trovato invece una posizione che in sostanza tende a negare in modo radicale uno spazio territoriale. Ovviamente anche nel progetto della RAI si tratta di precisare in modo più puntuale quale debba essere questo spazio territoriale, però negare in modo radicale al servizio pubblico uno spazio nella dimensione
Per portare l'esempio dell'informazione, certamente un sistema misto e concorrenziale ne garantisce il pluralismo; il pluralismo garantito dal settore privato è tale da dover certamente fare i conti con l'articolo 21 della Costituzione: ovviamente il settore privato ha anche garantito il diritto alla faziosità, di cui si parlava nella precedente audizione. È evidente che non si può non far riferimento all'esistenza di un servizio pubblico, che peraltro ha obblighi particolari, definiti in un contratto di servizio, nei confronti della collettività. Ricordo che il servizio pubblico ha l'obbligo di rispondere ad una Commissione parlamentare di vigilanza, un obbligo fissato in un contratto di servizio. Se questi obblighi configurano una funzione particolare, credo sia difficile pensare - questo è il punto della riflessione - che il servizio pubblico non debba avere una dimensione territoriale. Ciò detto, discutiamo pure il problema di come evitare situazioni di monopolio, di come trovare un equilibrio, però una posizione che neghi in radice questa possibilità per la RAI non è accettabile. Tra l'altro, il progetto di nuova RAITRE è quello di una rete non semplicemente territoriale, ma nazionale con dimensioni territoriali, con un'accentuazione dell'aspetto territoriale rispetto all'odierno assetto. Ribadisco che la riflessione deve riguardare il modo in cui trovare un punto reale di equilibrio tra istanze diverse, tutte a mio avviso legittime: quelle di un servizio pubblico che deve avere uno spazio anche nella dimensione territoriale e quelle di un settore privato che deve avere il suo spazio nella dimensione locale.
In effetti, i rappresentanti della FRT hanno individuato un sostanziale privilegio delle emittenti medio-piccole rispetto a quelle medio-grandi; vi è stato un dato corale di critica nei confronti del provvedimento, poi è chiaro che ognuno porta l'acqua al suo mulino, è nella logica delle cose.
Pur riconoscendo le ragioni per le quali l'emittenza locale manifesta preoccupazioni in ordine al piano di ristrutturazione di RAITRE, vorrei ora rivolgere ai nostri ospiti una domanda che va in senso contrario e che cerca di comprendere più a fondo le questioni. Immagino che, quando si parla di informazione locale, in essa sia compreso anche lo sport. Qual è la preoccupazione delle emittenti locali? Prima il presidente Rossignolo ha ricordato che la legge Mammì prevede due ore di informazione al giorno, di cui una locale. Se per assurdo la RAI trasmettesse 24 ore di informazione locale, vi danneggerebbe, perché voi potreste trasmetterne solo una. Allora, qual è in questo caso il problema? Se l'emittente locale si limita a quell'unica ora per rispettare la legge, ha compiuto una scelta editoriale; caso diverso è quello di un'emittente locale di notizie, che può risultare danneggiata da una «corazzata» multimiliardaria come la RAI.
In secondo luogo, vorrei sapere da voi quale sia la vostra preoccupazione nel caso in cui la politica delle alleanze della RAI resti qual è oggi; cosa cambia, cosa può danneggiarvi, visto che anch'io condivido le critiche poste soprattutto dai vostri colleghi sull'indeterminatezza del progetto, cioè il fatto che non si capisce quali saranno le alleanze, quali i criteri che le guideranno? Avete affermato di avere preoccupazioni circa il progetto originario noto come progetto Badaloni. Qual è il motivo di queste preoccupazioni?
Lo share della terza rete previsto è del 9-10 per cento, quindi non aumenta rispetto ad oggi, al massimo si potrà avere una ricaduta in termini commerciali su
Si fanno discendere le diverse valutazioni dal tipo di rappresentatività e quindi dal tipo di posizione che dovremmo avere. Non condivido questa impostazione, ma bisogna comunque chiarire la questione della rappresentatività perché non si deve dare per scontato ciò che in realtà non lo è: non è affatto vero che c'è un'associazione che rappresenta le grandi emittenti televisive locali e poi gli altri che rappresentano dal medio al piccolo.
Sotto il profilo televisivo oggi c'è una netta divisione tra le principali emittenti locali, per cui noi annoveriamo alcune tra le principali emittenti di alcune regioni mentre l'FRP annovera le principali di altre zone.
Non mi sembra che un sistema come quello ipotizzato sia negativo per certi soggetti maggiori dell'emittenza locale e positivo per gli altri; ritengo che sia negativo in generale per il ruolo dell'emittenza locale. Nessuno nega che il servizio pubblico possa avere una valenza territoriale, tanto è vero che oggi ce l'ha e non gli viene contestata, in quanto riteniamo sia compatibile con il ruolo dell'emittenza locale; diverso è andare a cercare spazi. Non è un problema di tempi, tanto più che si tratta di un limite minimo al di sotto del quale non si può ottenere la convenzione e che proponendo l'emittenza radiofonica un prodotto di svago, l'informazione può esserci o meno ma il prodotto editoriale è valido e la radio è ascoltata lo stesso. A livello televisivo, invece, una televisione locale non si segue certo per la produzione di film o di talk show, ma soprattutto per l'informazione locale.
Un altro punto è il problema per il quale nel progetto della RAI si parla di alleanza con l'emittenza locale. Mi spavento veramente quando sento queste cose: alleanza per fare che cosa? La RAI prende dei servizi, dei services, e questo rovina completamente l'emittenza locale, che è indirizzata a fare solo un service per la RAI; questo deve seguire un'area molto più vasta di quella propria dell'emittenza locale. In questo senso si falsifica anche la funzione dell'emittenza locale.
Come ho avuto modo di dire in una precedente occasione, il pubblico deve fare il pubblico ed il privato faccia il privato. Allora mi era stato domandato dal presidente, si trattava dell'onorevole Taradash, in che modo vedessi una possibilità di intesa tra la RAI e le private. Non ci deve essere nessuna intesa, ognuno faccia il suo mestiere: chi è servizio pubblico, lo faccia, l'emittente locale farà il servizio locale. Questo influisce anche sulle elezioni. La caduta di interesse per la politica e, più ancora, per le elezioni ed i problemi locali, non è certamente l'unica causa del fatto che l'emittenza locale non funzioni bene. Per le ragioni che sappiamo e per tutti i balzelli e le difficoltà che conosciamo, nessun editore si avventura assolutamente a fare propaganda elettorale perché rischia di perderci milioni e non si capisce bene per fare che cosa.
Il risultato di quelle norme è stato che le emittenti locali non fanno più propaganda elettorale. Vi concorrono certamente anche altri fattori, ma un fattore fondamentale è certamente questo, se vogliamo veramente che la ricerca si interessi al locale, perché ciascuno possa andare a votare per la persona che gli è stata presentata. Cito non solo Taranto ma anche Genova, dove un medico di valore, a mio giudizio, molto modesto anche in termini di capacità, ha rischiato di diventare sindaco di una città che è sempre stata di sinistra. Lui si è posto contro tutti ed ha poi perso per poco.
Cosa era successo? Sei-sette mesi prima, tutti i giovedì e a volte anche altri giorni della settimana parlava a Telegenova imbonendo tutti i genovesi che sono
L'emittenza locale ha una grandissima funzione. Perché? Perché nel 1976 la sentenza n. 202 ha detto sì al servizio pubblico su scala nazionale e sì all'emittenza privata su scala solo locale? Non è stata una scelta avventata, è una scelta profondissima che oggi riemerge. Aggiungo che in quel momento la RAI aveva due sole reti, sia televisive sia radiofoniche, ed era quello che la Corte ha considerato: due reti sono sufficienti per fare anche una certa distinzione tra ciò che è nazionale e ciò che invece può essere più di interesse locale, quanto ovviamente tale interesse locale ha una grande rilevanza. La RAI può fare attività locale solo se ha una grande rilevanza; non può andare a spiegare fatti di rilevanza esclusivamente locale. Viceversa, se la questione ha una grande rilevanza (problema di Noto, eccetera) questo può andare certamente su scala nazionale; tutto il resto non ci dovrebbe invece andare perché altrimenti ciò falsifica il quadro.
Abbiamo dimenticato i principi della legge n. 202, che è arrivata in base ad un ragionamento: vi è un diritto soggettivo di chiunque a radio diffondere; ovviamente non è un principio di pluralismo, ma addirittura universale. Tutti ne hanno diritto, ma questo ovviamente non è praticabile. Da questo principio assoluto per cui tutti hanno diritto derivano alcuni corollari come il pluralismo; questo è un corollario e non un principio.
La Corte ha considerato questi aspetti ed ha detto, più o meno, che il locale deve andare ai privati. Il locale, infatti, va articolato. Siccome non c'è un partito unico, ma diversi partiti, è logico che vi siano molte emittenti. Ciascuna ha un proprio atteggiamento, molto aperto o un po' subdolo, mentre sarebbe bene invitare tutti ad essere molto chiari anche su questo punto. Questo comunque è un problema diverso che non voglio assolutamente affrontare in questa sede.
Il principio fondamentale è che vi è un diritto. Il provvedimento n. 1138 risolve questi problemi ed è certamente un progetto assai valido perché li risolve in modo abbastanza egregio. La perfezione non ci sarà mai, sarà sempre una tendenza, ma almeno tende verso il miglioramento. Siamo perfettamente d'accordo sul 1138: è una questione che deve andare avanti e mi auguro che venga rapidamente approvato.
Tornando al problema dell'emittenza pubblica e della terza rete, la storia è veramente paurosa. Io ho i capelli bianchi ed ho visto i primi vagiti della terza rete. Nel 1976 non c'era ancora la terza rete; poi è stata creata; avrebbe dovuto rivoluzionare il mondo, è stato invece un aborto. Il fatto è che non finisce più; poi si è trasformata lentamente; doveva essere una legge regionale, ma questo era in contrasto con i principi da poco enunciati dalla Corte. Il problema della terza rete era nato prima della sentenza della Corte. Ebbene, violati o dimenticati questi principi, essa è diventata prima una rete regionale e poi, siccome così non poteva funzionare, è diventata una rete nazionale.
Anche allora, però, si diceva che non doveva fare pubblicità ed anche oggi quando leggo in questo senso, mi viene un po' da ridere. Ho letto il progetto della RAI e mi chiedo: dove li trovate tutti questi miliardi? Questo è il problema. Vi sono miliardi da spendere per allestire la nuova terza rete, come la chiama la RAI. C'è da spendere miliardi e mi chiedo da dove possano uscire fuori.
Cominciamo allora a dire che la pubblicità è prima uscita dalla porta e poi rientrata dalla finestra. Questo non va assolutamente bene. Con i principi enunciati poco fa la nuova terza rete non ha più un posto. Essa non potrà funzionare; questa previsione credo possa essere fatta tranquillamente. Non funzionerà così come non ha mai funzionato la terza rete, se non come rete nazionale, con la pubblicità, eccetera, come le altre due reti.
Il mio personale avviso, che è però largamente condiviso da tutta l'emittenza locale e anche da chi mi è qui vicino, è che questo non si dovrebbe fare. Mi si può obiettare che occorre rispettare la legge; ma la legge si può modificare. Bisogna far presente al Parlamento che quell'ipotesi è irreale, per cui occorre modificarla. Se però si deve fare, non concluda alleanze con l'emittenza locale per distruggerla perché questo sarebbe una rovina per il paese, in primo luogo sotto il profilo economico. Infatti, l'emittenza locale può favorire la piccola distribuzione, nonché la piccola e media industria locale che sono poi quelle, non dimentichiamolo, che hanno fatto la grandezza dell'Italia non la FIAT o l'Olivetti. L'emittenza locale è strettamente legata a questo tipo di produzione, mentre non lo è quella nazionale che, al contrario, è una mina che la minaccia e favorisce la colonizzazione del nostro paese. Questa è la realtà. Vent'anni fa ho detto che le reti nazionali avrebbero favorito la colonizzazione dell'Italia. Questo è il vero problema. Lo ripeto, come dicevo, da molto tempo e forse la storia non mi ha dato tutti i torti.
Questi sono aspetti di cui tenere conto per arrivare a formulare un parere che eviti quanto meno il pericolo di nuocere veramente all'emittenza locale, che invece va favorita e non attraverso sussidi particolari od alleanze con la RAI, ma nel senso di lasciare ad essa un ampio spazio di operatività.
Inizialmente c'è stato detto che la rete federale non esiste più e che si parla di una rete macroregionale che non si occuperà del territorio. Questo non è vero, come tra poco leggeremo insieme.
Comincerei da pagina 9 del documento, che contiene le linee guida della RAI, per smentire un primo, forte argomento. «La nuova Raitre non avrà la pubblicità». Vengo alle risorse: «A regime NRT è finanziata essenzialmente dal canone, nonché da entrate derivanti da sponsorizzazioni e da convenzioni». Come sa chiunque si occupa di pubblicità, il settore in espansione è quello delle sponsorizzazioni, perché più veloce, dinamico e, da tutti gli studi fatti, ha un'incisività maggiore degli spot. Le convenzioni, evidentemente, sono con enti pubblici locali e territoriali. Ciò, peraltro, già avviene, perché si va dal miliardo ai 500 milioni per ogni regione che vuole utilizzare un certo numero di pagine del televideo RAI. Queste, quindi, sono già due risorse. Più avanti, inoltre, si specifica ancora meglio di quale tipo di sponsorizzazioni si tratta. Comunque, quanto dicevo già contraddice che si parli di una rete senza pubblicità: stiamo parlando di una rete senza spot, non senza pubblicità.
Nel documento si nega inoltre l'altro punto di forza della nuova Raitre e di tutti i sostenitori di questa differenziazione dell'impiantistica del servizio pubblico. Alla terza riga di pagina 10 si legge infatti: «rafforzare l'informazione territoriale interpretando il policentrismo esistente anche all'intero di ciascuna singola regione».
Sempre a pagina 10 si legge la famosa frase: «Promuovere alleanze con emittenze locali per la copertura delle informazioni territoriali». Abbiamo già esposto le nostre preoccupazioni sul diventare service, che mi sembrano evidenti. Il progetto Badaloni introduceva un meccanismo ancora più perverso, che però si capiva di più. In questo caso, invece, si rimane sul vago senza specificare quale sarà il problema vero. Il progetto Badaloni, infatti, faceva riferimento alle «migliori televisioni locali», introducendo già una forma di screening. Peraltro, chi è poi a decidere quali sono le migliori televisioni locali?
C'è inoltre da chiedersi quanto queste televisioni che diventeranno service della RAI sono ricattabili nella loro attività quotidiana. Se io concludo un contratto in base al quale ogni anno ricevo un miliardo, un miliardo e mezzo o cento milioni, redigo i miei bilanci in funzione di quel contratto. Quanto sono ricattabile allora da chi decide o deciderà? Queste sono problematiche che dobbiamo porci per forza, al di là, a nostro parere, della volontà della RAI di occupare tutti gli spazi disponibili. Finita la grande battaglia nazionale, si inizia quella locale. Nel contempo si è aperta, e si lascia totalmente aperta, la guerra sul satellite e sulle pay-TV.
Discutiamo sul servizio pubblico. Non nego a nessuno di fare informazione locale, come ha affermato Falomi. Il servizio pubblico, però, non occupi tutto lo scibile. Credo che un servizio di quel tipo si ponga alcuni obiettivi, che sono quelli di assicurare l'informazione. Il servizio che fornisce la Raitre di oggi è già di un certo tipo; può essere migliorato, ma essa non può diventare una succursale dell'emittenza locale.
Vado avanti, perché le parole contano tantissimo. A pagina 11 si parla di programmazione locale e si legge che «la programmazione locale è orientata alla diffusione nazionale e globale sui canali satellitari e viene realizzata mediante specifiche risorse di sponsorizzazione e/o di convenzione, raccolte nell'ambito locale medesimo dai responsabili della programmazione che operano a livello degli aggregati sovraregionali». Si spiega allora quanto ho detto prima sulle risorse delle
Il documento poi chiarisce come è strutturata la RAI, però specifica che, nell'ambito di una ristrutturazione di TVTRE, bisogna potenziare ancora di più la possibilità di splittaggi all'interno dei bacini. Nelle ultime cinque righe del paragrafo, infatti, si legge: «Per quanto riguarda la diffusione, vi sono alcune grandi aree (Veneto, Lombardia, Toscana e Sicilia) in cui grandi trasmettitori circolari servono aree