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Seduta del 24/2/1998


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Audizione del presidente, del direttore generale e del consiglio di amministrazione della RAI.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del presidente, del direttore generale e del consiglio di amministrazione della RAI.
Do subito la parola al presidente Zaccaria.

ROBERTO ZACCARIA, Presidente della RAI. Desidero innanzitutto ringraziare il presidente e la Commissione per l'invito all'odierna audizione: questo primo incontro del consiglio con la Commissione rappresenta l'occasione per proporre, o impostare alcune questioni di metodo. Parlare di strategie, come qualcuno ha ipotizzato (lo abbiamo letto sui giornali in questi giorni), è prematuro per la semplice ragione che su di esse non abbiamo ancora espresso in consiglio valutazioni di tipo collegiale. Credo quindi che sarebbe inutile esporre visioni personali, per quanto autorevoli, dei singoli membri del consiglio di amministrazione nei campi di loro competenza: ritengo che non vi interesserebbe particolarmente e che invece vi interesserà sapere quello che il consiglio potrà esprimere nella sua collegialità, di qui a poche settimane.
Abbiamo parlato di argomenti strategici tra noi in un incontro privato di lavoro durante il fine settimana (sottolineo il fatto che si è trattato di un incontro


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privato e di lavoro in un fine settimana) e siamo stati oggetto di un'attenzione impropria e illecita: su questo episodio vi dico fin d'ora che non desidererei rispondere a domande dirette a confermare o a smentire i fatti. Vi comunico soltanto che stiamo presentando due esposti, uno all'autorità per la tutela della privacy al fine di impedire il trattamento di dati illecitamente raccolti e uno all'ordine dei giornalisti diretto a verificare il rispetto dei canoni di lealtà e correttezza dell'informazione. Non intendiamo utilizzare strumenti di altra natura che non siano quelli previsti, o enfatizzare il caso: sappiamo che si tratta di episodi singoli che si possono verificare ed abbiamo il massimo rispetto della funzione della stampa. Lo diciamo in maniera esplicita, in maniera da non creare problemi, ma intendiamo tutelare la nostra vita privata, visto che siamo soggetti che non hanno a disposizione ville, case all'estero o altre strutture che ci consentano di garantirci la privacy in altro modo. Vogliamo quindi garantircela in un rapporto leale.
Quanto al metodo dei nostri lavori, intendiamo rispettare scrupolosamente le scadenze previste da legge, convenzione e contratto di servizio e fra qualche settimana saremo in grado di esporre le idee che avremo maturato in proposito. È noto a tutti che dobbiamo presentare alcuni piani: mi riferisco in particolare a quello per l'emittente senza pubblicità, che vorremmo definire presto non in termini negativi (elemento che si trae dalla legge) ma con concetti positivi, poiché credo che sia importante dare al progetto una valenza positiva e decisamente strategica. Questo piano si collega in qualche modo con quello relativo all'organizzazione per divisioni dell'azienda, che avrebbe dovuto essere presentato a dicembre, quindi dal precedente consiglio, ma che non è ancora stato presentato e discusso. Credo che voi cogliate le connessioni tra il discorso relativo all'emittente senza pubblicità ed il piano di organizzazione per divisioni dell'azienda, il piano territoriale (altro piano di cui si parla nel contratto di servizio) e lo stesso piano editoriale. Con la vostra comprensione, quindi, osservo che forse, quando lo spezzettamento dei piani è utile, lo perseguiremo, ma quando si potrà realizzare una connessione tra argomenti contigui ci converrà operare in quella direzione.
Fino a questo momento abbiamo tenuto due consigli per un totale di nove ore di riunione, essenzialmente per intervenire su problemi già istruiti dal precedente consiglio che richiedevano una nostra pronta decisione. Un dato puramente di cronaca è che in queste nove ore abbiamo approvato 27 provvedimenti: è una media elevata ma non dovete farvene impressionare perché chiaramente a monte di queste decisioni, oggi e domani, ci saranno fra noi incontri preparatori ed evidentemente andremo in consiglio quando avremo raggiunto una maturazione collegiale nelle forme più normali.
Per quanto riguarda il metodo, credo che il primo punto sia appunto relativo ai rapporti con la Commissione parlamentare. Intendo precisare fin d'ora, ma credo sia in qualche modo ovvio, anche se è comunque importante ribadirlo, che intendiamo mantenere nei confronti della Commissione parlamentare un atteggiamento di rispetto integrale, sostanziale di tutte le competenze che le sono attribuite dalla legge. Il nostro intendimento è anzi sviluppare queste competenze e prerogative fino al massimo livello all'interno dell'azienda. Proprio per realizzare questo disegno, credo che dobbiamo cercare di fare un po' di chiarezza: ritengo che la stessa Commissione si sia posta in passato il problema del coordinamento tra le diverse leggi che si sono succedute nel tempo in materia di poteri e competenze della Commissione, per cui a volte riesce difficile, anche per un operatore attento, riuscire a ricostruire una sorta di canovaccio comune.
Vi sono competenze che riguardano settori diversi, interventi sui piani (per esempio sui programmi per l'estero), informative di varia natura: quindi, se possiamo svolgere un lavoro insieme che in qualche modo tenda a raccogliere idealmente in una traccia comune questo tipo


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di competenze, che poi determinano i rapporti tra noi e voi, credo che avremo fatto un lavoro positivo, anche perché, quando vi sono più norme, evidentemente l'opera di interpretazione diventa indispensabile. Si può così rischiare di sconfinare nel soggettivo, il che credo non sarebbe opportuno.
Ritengo sia chiaro per tutti che l'unico editore della RAI è il consiglio di amministrazione e il direttore generale, che operano insieme nel rispetto delle competenze reciproche. Nessuno all'interno dell'azienda può riconoscere altri editori, né impliciti né espliciti. La formazione della volontà del consiglio, che gestisce un servizio pubblico in regime di competizione, avviene nel rispetto di standard dettati principalmente dalla Commissione parlamentare e dall'azionista di riferimento. Quindi, quando parlavo di editore, dicevo che esso ha la testa aperta a ricevere input (che istituzionalmente deve ricevere principalmente da questi due soggetti). Sappiamo che vi sono anche altre competenze, che riguardano il Ministero delle comunicazioni e che sono previste dal contratto di servizio, ma questi sono i nostri due cardini di riferimento per la formazione della volontà che comunque rimane, come dicevo, del consiglio e della direzione generale.
Nei confronti della Commissione esistono tre aree principali di attenzione: innanzitutto, è ovvio, il grande tema del pluralismo in ordine al quale la Commissione ha una responsabilità primaria, prevista dalla legge e ribadita da convenzione e contratto di servizio. Con riferimento sia alla determinazione degli indirizzi, sia al momento della vigilanza e del controllo, é chiaro che, attraverso tale determinazione, si stabilisce una sorta di circolo inevitabile, per cui attraverso la vigilanza e il controllo possono derivare nuovi indirizzi che costituiscono per noi punto di riferimento e parametro di responsabilità per l'azione aziendale.
Intenderemmo quindi raccogliere tutti gli indirizzi dati dalla Commissione, che oggi conservino un carattere di attualità (mi riferisco a quelli dati fin dall'inizio dalla Commissione in questa materia e che riguardano temi di carattere a volte generale, a volte particolare, o di settore), in una sorta di testo unico da portare innanzitutto alla verifica della Commissione (non è che vogliamo essere noi interpreti della volontà passata e presente della Commissione). Sentiamo comunque la necessità, per l'operazione che vi sto per descrivere, di avere un quadro complessivo di quello che la Commissione ha detto su questi argomenti. Vi è chi cita modelli come la Banca d'Italia, o la BBC, e comunaue all'estero vi sono raccolte sugli standard e sugli indirizzi che tutti coloro che fanno informazione e programmi conoscono perfettamente (non vi è giornalista, o programmista che non li conosca). La mia sensazione è che spesso in passato (non parlo di quello che conosco meno, ma di quello meno recente) il dialogo Commissione-consiglio si esaurisse in questa stessa sede e nella sala del nostro consiglio; naturalmente, poi, siamo responsabili del fatto che i nostri giornalisti, direttori, programmisti non conoscano questi elementi.
Se dunque effettuiamo tale operazione, possiamo fare arrivare nei gangli vitali dove si forma il prodotto questo tipo di messaggi. Andrà chiarito anche un punto, che considero importante perché non vi sia strabismo di comportamento: quale debba essere il giusto peso dei dati quantitativi e di quelli qualitativi, in ordine alla verifica degli standard sul pluralismo. Anche in questo caso credo che voi siate perfettamente a conoscenza di questo tipo di problema: è evidente che chiamare un soggetto a giudicare della responsabilità in ordine al rispetto degli standard è una cosa se si costruisce un criterio comune, è altra cosa se paradossalmente qualcuno guarda ad un riferimento ed un altro ad un riferimento diverso. Sostanzialmente, in questo caso, abbiamo perso la partita ancor prima di giocarla.
Vi è una seconda area che è molto importante, quella che riguarda i pareri e gli interventi formali previsti ancora da legge, convenzione e contratto in ordine ad una serie di atti, sia quelli fondativi (mi


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riferisco appunto a convenzione, contratto di servizio, statuto) sia ai piani aziendali. Anche a tale riguardo ribadisco che siamo intenzionati a realizzare una scrupolosa osservanza di queste competenze e chiediamo soltanto rispettosamente alla Commissione la maggiore tempestività possibile in relazione alle esigenze del dibattito politico e parlamentare.
Vi è poi il terzo capitolo, che riguarda le informative su una serie di atti e decisioni aziendali. In particolare so (tanto per non nascondersi dietro facili rituali) che vi sono questioni aperte riguardo alle nomine in settori relativi al prodotto. Noi procederemo prima definendo progetti e successivamente individuando responsabili, quindi ricaveremo la fisionomia dei responsabili dai progetti che decideremo per i singoli settori, senza creare inutili pacchetti che riguardino l'intera attività aziendale; seguiremo quindi un criterio puramente funzionale.
Con riferimento alle informative - sempre per il principio che ispira questa riunione di un percorso che mi auguro comune - non dobbiamo dimenticare che siamo un servizio pubblico che opera in regime di competizione, quindi, anche di fronte alla legittima esigenza di conoscenza da parte di questa Commissione, dei parlamentari in generale e anche degli organi di Governo ove abbiano competenze, dobbiamo garantire la riservatezza in ordine a momenti tattici che possono riguardare, per esempio, le grandi alleanze o alcune strategie di carattere generale. Spero non vi interessi affatto che veniamo qui a dirvi cose puramente rituali pertanto, se avrete necessità di audizioni preventive rispetto ad indirizzi che dovrete darci, vi chiederei che tutto si svolgesse nel rispetto di questa riservatezza, che deve consentirci, nell'esporre le nostre strategie, di non fornire ad altri impropri vantaggi, poiché non abbiamo la stessa conoscenza delle strategie degli altri soggetti che operano sul mercato.
Resta inteso che, di fronte alle decisioni prese nel rispetto degli indirizzi istituzionali previsti dalla legge e formalizzati nel modo appropriato, saremo sempre disponibili a fornire ogni elemento, ogni chiarificazione, ogni motivazione, anche con riferimento a quelle nomine che non possono essere considerate relative al prodotto, ma che sono funzionali agli aspetti di gestione aziendale, per i quali evidentemente abbiamo il dovere di fornirvi un'informativa sulla motivazione che ha indotto il consiglio a determinate decisioni.
L'ultima questione è di metodo. Si sente dire che i componenti di questo consiglio conoscono l'azienda ed i problemi che hanno di fronte; in parte è vero, anche se non vorrei che si esagerasse su questo punto. È comunque altrettanto vero che non siamo in grado di rispondere su tutto: proprio perché conosciamo le cose, sappiamo molto bene quali di esse non possiamo padroneggiare fino in fondo e sin dal primo momento. Ci siamo organizzati al nostro interno in modo da sfruttare al massimo le nostre capacità di lavoro e le nostre particolari esperienze professionali, anche per dare al nostro lavoro un ritmo ed una capacità operativa più intensi. Accanto a me, oltre al direttore generale, ci sono i consiglieri, che hanno assunto incarichi - esattamente come la legge prevede - in alcune aree non tematiche ma progettuali, finalizzati a rendere più incisiva la capacità di lavoro del consiglio. In questo senso hanno le orecchie grandi e la bocca piuttosto socchiusa, devono cioè ascoltare e darci la possibilità di realizzare certe decisioni; ma nessuno è consigliere delegato. Da questo punto di vista non disturbiamo il manovratore, che è il direttore generale.
La preghiera che vi rivolgo, che forse potrebbe dare a questi nostri incontri un'efficacia maggiore rispetto al passato, anche per evitare di trasferire qui l'intera azienda, portando dirigenti in grado di rispondere in tempo reale a tutte le questioni, è quella di poter concordare prima dei nostri incontri - soprattutto se sono collegiali, perché è difficile far dialogare collegio con collegio - un'agenda dei principali temi da affrontare, in modo da poter predisporre in tempi rapidi risposte esaurienti. Resta fermo, ovviamente, il potere ispettivo anche dei singoli componenti


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della Commissione; conosco il problema relativo al potere di interrogazione e di interpellanza che è difficile svolgere secondo le forme tradizionali; conosco le regole del question time, ma credo che anche in quell'occasione il Governo abbia un minimo di tempo a disposizione per poter dare risposte convincenti e meditate. Noi quindi non ci permetteremo mai di mettere in discussione il potere dei singoli consiglieri di esercitare queste prerogative e vi daremo se possibile risposte immediate, in ogni caso siamo in grado di garantirvi risposte scritte normalmente in termini tempestivi, non superiori a 48 ore (non prendo questo termine dalla Costituzione con riferimento alle garanzie per la libertà personale) a meno che non si tratti di questioni particolarmente complesse.
Se potremo lavorare insieme nel rispetto di queste linee guida, credo che potremo svolgere insieme un lavoro proficuo nell'interesse del servizio pubblico.

PRESIDENTE. Se nessun componente del consiglio di amministrazione vuole aggiungere nulla, do la parola ai commissari per le domande. Quanto al metodo vorrei rassicurare il presidente Zaccaria che solitamente, a parte questo prima riunione, l'ufficio di presidenza definisce i temi degli incontri: quindi ci sarà la possibilità di un interscambio su tutti gli argomenti che verranno affrontati.
Procederemo come siamo abituati, cioè con gruppi di tre interventi per volta, intervallati dalle risposte del consiglio di amministrazione della RAI. Per quanto mi riguarda interverrò alla fine, se ci saranno argomenti non toccati da nessuno. I primi tre ad intervenire saranno i colleghi Paissan, Falomi e Taradash.

MAURO PAISSAN. Il mio sarà poco più che un augurio di buon lavoro. La mia parte politica, i verdi, ha salutato positivamente la vostra nomina: non vi mancano le competenze individuali, speriamo che si riesca a fare un gioco di squadra in grado di riqualificare e rilanciare il servizio pubblico. Vi auguriamo successo anche per motivi di egoismo politico; avendo avuto un piccolo ruolo nel ricambio del consiglio di amministrazione, non possiamo permetterci di pentircene in un prossimo futuro.
Invito i colleghi ad una riflessione sul problema delle nomine. Abbiamo avuto contemporaneamente la nomina del consiglio di amministrazione della RAI e dei membri dell'Autorità sulle telecomunicazioni; poiché la questione dei criteri di nomina è oggetto di discussione tra noi, invito ad un confronto di qualità tra i due organismi per trarne qualche indicazione - non voglio dire qui in quale direzione - per individuare il criterio più produttivo e più efficace per questo tipo di organismi.
Ho apprezzato l'introduzione del presidente Zaccaria riguardo ai rapporti con la Commissione di vigilanza ed ho apprezzato anche che egli abbia detto che il consiglio di amministrazione non è in grado ancora di indicarci le scelte strategiche riguardo al futuro della RAI e del servizio pubblico. Ho apprezzato meno l'annuncio di questa reattività e suscettibilità un po' esasperata ed esagerata ad un articolo di giornale sulla riunione di Firenze: capita, presidente Zaccaria. La riservatezza implica anche un po' di furbizia di comportamenti e penso che l'esperienza potrà indurre ad una maggiore furbizia senza queste ritorsioni e reazioni un po' esagerate e anche scopiazzate da recenti reazioni di qualche leader politico.

ROBERTO ZACCARIA, Presidente della RAI. Era molto diverso.

MAURO PAISSAN. Diverso, ma con la stessa intensità di reazione.
Ho apprezzato anche che il consiglio di amministrazione per prima cosa non abbia messo mano agli assetti aziendali: non avrei apprezzato il ribaltone riguardo a tutte le responsabilità direzionali di rete e di testata che si è verificato all'avvio dei precedenti consigli di amministrazione. Se c'è uno spoil system, questo può riguardare il vertice aziendale, non tutte le cariche professionali dell'azienda. Penso però che voi siate chiamati ad un altro intervento, più limitato ma non meno


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importante: quello di mettere mano alle responsabilità di rete e di testata in sofferenza, perché non potete prorogare situazioni di disagio e di difficoltà. Credo che dobbiate prendervi tutto il tempo necessario a questo proposito, sapendo però che le attese delle nomine in RAI si vivono nei corridoi non alle scrivanie, quindi più tempo vi prendete più lavoro sottraete all'azienda, perché si trascorrerà più tempi nei corridoi sia a Saxa Rubra sia a viale Mazzini.
Non spetta alla Commissione di vigilanza indicare situazioni specifiche di crisi, di vecchiume o di dimostrata incapacità cui mettere mano, ci aspettiamo solo di conoscere a posteriori i criteri che vi avranno portato a determinato nomine, i progetti di cui ha parlato il presidente Zaccaria e le nomine effettuate, perché c'è un'indicazione legislativa che vi chiede di darci conto delle nomine. Non vogliamo nessun diritto di intervento e di indicazione preventiva, ma un'informativa sulle scelte compiute.
Vi pongo infine un interrogativo su due episodi recenti che non mi interessano in sé, ma perché entrambi - essendo errori compiuti dalla RAI - richiamano questioni di principio che mi stanno particolarmente a cuore relativamente ai diritti ed alle garanzie dei cittadini rispetto al mezzo televisivo. Il primo è l'annuncio enfatico dato dal TG1 alla comunicazione giudiziaria all'arcivescovo di Napoli per usura. Chiedo se questo fatto, che io considero molto grave, sia stato in qualche modo sanzionato e con quale strumento.
La seconda questione, che è simile anche se apparentemente non lo sembra, riguarda la messa in onda della telefonata del ministro Bindi nella trasmissione di Frizzi. Io difendo sia Frizzi, sia Funari, sia il ministro della sanità che ha reagito ad una battuta alzando il telefono; non capisco invece chi ha preso la decisione di mandare in onda quella telefonata. Si pone il problema delicatissimo di chi abbia diritto alle repliche in diretta e chi invece abbia diritto alla rettifica attraverso strumenti diversi; in quel caso non c'è stato né un insulto personale né la contestazione alla persona di un fatto negativo, quindi non c'erano elementi per un diritto di replica in diretta, a meno di sancire che ogni cittadino citato malamente in una trasmissione televisiva abbia diritto di replicare in diretta. Ma in questo caso vi chiedo una direttiva generale alle strutture aziendali per stabilire chi abbia diritto a vedersi aprire le porte della diretta, in modo che non sia il singolo funzionario a decidere su due piedi, perché si tratta di un potere enorme che va normato. Vi chiedo quindi quali provvedimenti intendete assumere su queste due questioni che considero delicatissime.
Rivolgo inoltre un invito al consiglio di amministrazione e al direttore generale. La RAI deve innovare l'alfabeto e l'indice tematico di ciò che trasmette a partire dai telegiornali; il servizio pubblico non può permettersi che il TG più visto sia una fabbrica della banalità e della scontatezza. Rinuncio qui a fare il solito esempio dell'informazione sui temi ambientali o sui beni culturali e, non facendolo, mi aspetto che questo consiglio di amministrazione dia una risposta positiva; mi chiedo però se sia possibile nel 2000 non avere nei telegiornali del servizio pubblico un redattore in grado di trattare bene il tema delle biotecnologie o se, per esempio a proposito delle ferrovie, ci si debba limitare - come è capitato in questo periodo - solo ai fatti di cronaca e non si debba compiere qualche approfondimento sull'enorme problema della mobilità nel futuro di questo paese.
Mi rivolgo in particolare al giornalista presente nel consiglio di amministrazione, Vittorio Emiliani, sui generi informativi che prevalgono nelle testate del servizio pubblico. Vedo moltissima cronaca nera, molta cronaca rosa e poca cronaca «bianca»; chiedo se non ci sia uno scompenso dei generi e dei settori informativi.
Mi fermo qui, rinnovandovi i miei auguri e ricordandovi che oggi, all'inizio del mandato, godete di una autonomia superiore a quella che avrete nel prossimo futuro, perché il tempo porta al rafforzamento dei condizionamenti politici.


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ANTONIO FALOMI. Anch'io voglio rivolgere al presidente Zaccaria, al consiglio di amministrazione e al direttore generale gli auguri per il loro lavoro che, come insegnano le precedenti esperienze, non è molto facile. Ho molto apprezzato l'introduzione del presidente Zaccaria, tutta tesa a cercare di stabilire i modi per una collaborazione tra Commissione di vigilanza e consiglio di amministrazione che sia la più proficua possibile nel rispetto delle regole vigenti e dei diversi ruoli che le leggi assegnano a questi due organismi. Quella che è stata qui illustrata è una disponibilità importante, che richiede anche da parte nostra la conclusione di una discussione avviata, che non si riesce mai a chiudere, relativa proprio al problema dei ruoli e dei rapporti che il consiglio di amministrazione deve avere non solo con le Camere e con i singoli parlamentari, ma anche con la Commissione di vigilanza. Quindi, mi pare che la sollecitazione venuta dal presidente Zaccaria debba essere sicuramente e tempestivamente raccolta.
È stato detto che in questa sede si è voluto parlare soltanto di metodo e non di strategia; apprezzo anche quest'aspetto di prudenza, che non vuol dire paura di muoversi ma volontà (almeno così la capisco io) di prendere cognizione la più ampia possibile della situazione per poter poi effettivamente partire nel lavoro; una prudenza che - è già stato sottolineato da Paissan - si registra anche nel modo in cui questo consiglio d'amministrazione sta affrontando la questione degli assetti interni. Una grande prudenza che naturalmente non deve far mai dimenticare l'esistenza di aree critiche evidenti all'interno del servizio pubblico radiotelevisivo, cui occorre dare tempestivamente una risposta.
Non perché oggi sia possibile dare una risposta, ma perché in una fase successiva dovremo entrare nel tema delle strategie, vorrei sottoporre al gruppo dirigente della RAI (non oggi, mi limito a porre questa questione, che avverto come decisiva per l'azienda pubblica) qualche problema di carattere più generale e strategico.
Credo sia noto a tutti, sicuramente lo è a voi, che le dinamiche che riguardano le questioni relative ai costi da un lato ed ai ricavi dall'altro dell'azienda tendono ad una riduzione dei ricavi e ad un aumento dei costi. Non farò un'analisi attenta, ma il dato di tendenza è sicuramente questo. Naturalmente la risposta a questo problema tendenziale dipenderà molto dal modo in cui fattori esterni si muoveranno, a cominciare ovviamente dalla legislazione che ci apprestiamo a discutere in Commissione al Senato, nel momento stesso in cui il Governo ha presentato il noto emendamento al progetto di legge n. 1138. Dipenderà anche dalle dinamiche del mercato, quindi da fattori esterni, nonché dal modo in cui all'interno ci si attrezzerà nei confronti di queste tendenze, che non sono positive per quel che riguarda un'azienda che è di servizio pubblico, ma sta anche sul mercato.
Si pone, quindi, un problema di riorganizzazione aziendale: com'è noto, l'attuale struttura è tale per cui una sola società gestisce attività tra loro molto eterogenee (TV nazionali, reti radiofoniche, informazione regionale, televideo, homevideo, rete di distribuzione del segnale) in modo comunque centralizzato e verticalizzato. Anche al di là di quelle che saranno le determinazioni legislative, è un problema rispetto al quale il nuovo gruppo dirigente della RAI non può non proporre una sua risposta, tenuto conto - lo ripeto - che le risposte non dipendono solo da questo gruppo dirigente, e tuttavia la questione è sul tappeto. Quindi vorrei che il nuovo gruppo dirigente della RAI (non in questa sede, anche se andrebbe benissimo se già oggi venisse qualche elemento di risposta) manifestasse il proprio parere su quello che credo debba diventare uno dei punti di riflessione dell'azienda, se essa vuole stare in un mercato fortemente in movimento e che richiede quindi anche scelte di innovazione molto forti in termini di investimenti e di assetti organizzativi. In questo senso forse sarebbe utile avere qualche elemento in più di riflessione sulla vicenda della piattaforma digitale, perché


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è una delle questioni che si legano alle prospettive e al futuro dell'azienda.
Da ultimo, vorrei rappresentare una riflessione che mi è stata suggerita anche dalle considerazioni svolte dal collega Paissan sulla trasmissione di Frizzi e sulla telefonata del ministro Bindi. Di fronte a quella trasmissione, ho avuto una reazione diversa rispetto a quella di Paissan: il problema di contenuti politici o di carattere sociale e politico dentro trasmissioni di intrattenimento è quello che a mio avviso si pone. Devo dire che, se fossi stato presente, avrei chiesto a Funari se avesse provato a rivolgersi a una struttura pubblica, a quale struttura pubblica si era rivolto, se il medico che lo ha operato lavori anche nella struttura pubblica. In quel modo di porre le questioni si avverte un'assenza di contraddittorio, ma simili capacità non possono essere richieste al conduttore di una trasmissione del genere. Avverto, quindi, un problema di ordine più generale, che credo meriti anche da parte vostra una riflessione.

MARCO TARADASH. Buon giorno; anch'io mi unisco agli altri colleghi nel rivolgervi auguri di buon lavoro, perché credo ne abbiate molto bisogno. Presso questa Commissione abbiamo assistito molte volte al debutto di consigli d'amministrazione della RAI, sempre abbastanza decisionisti - il vostro un po' più degli altri - all'inizio, sempre pieni di buoni impegni nel mantenere un rapporto forte con la Commissione e soprattutto a non litigare con il direttore generale, ma poi, dopo poche settimane, invece è avvenuto l'esatto contrario: i rapporti con la Commissione di vigilanza si sono fatti difficili ed i direttori generali se ne sono tornati a casa oppure ad altri onesti e doviziosi incarichi. Forse il problema non sta nelle persone: è mia convinzione da tanto tempo che il problema sta nella RAI e nelle leggi che tendono a fare in modo che essa possa funzionare senza però mai riuscirci.
Questa mattina lei, dottor Zaccaria, ha fatto un preludio per un successivo incontro nel corso del quale illustrerà i propositi del consiglio d'amministrazione, per cui non entrerò nel merito di molte questioni. Vorrei soltanto porle un paio di problemi in riferimento a ciò che lei ha detto, di cui non ho condiviso due cose: in primo luogo, com'è già stato sottolineato, la reazione rispetto alla stampa. Voi vi siete riuniti di sabato, ma il sabato è normalmente un giorno lavorativo, il sabato si lavora e molti lavorano anche la domenica (un tempo si diceva che le professioni intellettuali si distinguevano dalle altre perché non conoscevano le domeniche borghesi) ed il fatto che vi siate riuniti nel week end non esime la stampa dall'interessarsi a voi. Lei dice che era una riunione privata, ma non mi sembra che di questo si tratti, visto che c'erano cinque consiglieri d'amministrazione e non so se anche il direttore generale. Lei può dire che era una riunione dei consiglieri d'amministrazione: no, era una riunione non ufficiale del consiglio d'amministrazione e la stampa ha tutto il dovere di riferirne se ne viene a conoscenza; inoltre, lei ha detto che era una riunione di lavoro e quindi non era per nulla una questione da Garante della privacy.
Credo che quest'atteggiamento di presa di possesso della RAI da parte del consiglio d'amministrazione sia sbagliato: come tutti coloro che svolgono una funzione pubblica, dovete essere disponibili a venire tormentati dalla stampa; capita a noi, deve capitare a chiunque svolga una funzione pubblica. Poi potete contestare la stampa per quello che scrive, vi è il diritto di rettifica e sarebbe bene che venisse attivato, magari dal presidente della RAI, un diritto previsto dalla legge, che però in questo paese non viene applicato. Quindi, se chiedete una rettifica nella stessa posizione e con lo stesso risalto dell'articolo in oggetto, questo è un vostro diritto, ma oltre secondo me non si deve andare ed a me crea un po' di fastidio ma anche di preoccupazione il fatto che questo consiglio d'amministrazione si voglia rinchiudere in una fortezza.
Tale preoccupazione viene poi accresciuta da un'altra vostra affermazione, quella secondo cui l'unico editore della RAI è il CDA. La disquisizione su chi sia


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l'editore della RAI ricorda quella sul sesso degli angeli e quindi non ci voglio entrare; però, so che l'unico che non è editore è il consiglio d'amministrazione, perché so che l'editore è il proprietario oppure chi ci mette soldi, chi rischia. Il consiglio d'amministrazione è il consiglio d'amministrazione e quindi non può rispondere soltanto a se stesso. Purtroppo nel nostro ordinamento non si sa onestamente a chi debba rispondere. Voi siete stati nominati da figure irresponsabili, e questo è un problema: non si può certo dire, contenti e fregandosi le mani, di esser l'unico editore. No, non c'è editore: l'IRI non lo vuole fare, noi cittadini che paghiamo il canone non siamo in grado di fare l'editore, la Commissione di vigilanza, cioè i partiti, spero che non vogliano fare l'editore, per cui è vero, l'editore non c'è, questo è un problema, ma certamente l'editore non è il consiglio d'amministrazione.
Su questo penso sia opportuna una riflessione: forse mi sbaglio, forse sbaglia questo consiglio d'amministrazione, però partire venendoci a comunicare in primo luogo che la stampa deve stare lontana da voi e poi che l'unico editore della RAI è il consiglio d'amministrazione significa fare affermazioni che, anche tenuto conto della fase di debutto, sono un po' troppo forti e rischiano di ritorcersi contro questo consiglio d'amministrazione. Credo che esso farebbe meglio a fare tesoro delle esperienze passate in attesa di qualche riforma: a mio avviso l'unica possibile è la privatizzazione della RAI perché francamente non vedo altri modi per tenere a bada la mala bestia della RAI. Tanti ne sono stati provati, ma alla fine la RAI rimane il solito carrozzone che spreca molti soldi e che si mette al servizio dei potenti e del regime in corso; è stato sempre così e difficilmente le cose potranno cambiare, anche a dispetto delle professionalità, nel senso che è un discorso che riguarda non le persone ma la struttura.
Per il prossimo incontro, quindi, le vorrei chiedere, presidente Zaccaria, a cosa serva il servizio pubblico secondo questo consiglio d'amministrazione, se vi sia bisogno nella società della comunicazione e della concorrenza nazionale ed internazionale di un servizio pubblico finanziato dallo Stato per dare quello che altri danno senza maggiori garanzie. Vorrei ricordare che nessuno mette in discussione la BBC perché essa si è guadagnata sul campo il diritto ad essere servizio pubblico; la RAI invece nel corso di cinquant'anni sul campo si è meritata tutt'altra fama e valutazione. C'è bisogno in Italia della RAI? Un servizio pubblico in Italia ha un senso e quale? Sarebbe bene che rispondeste a questo mistero, magari la prossima volta, quando avrete preso conoscenza diretta dell'ambiente.
Vorrei avere una risposta a questo proposito anche in concorrenza con un'analisi dei costi: abbiamo letto su varie riviste analisi comparate dei costi della RAI e del suo diretto concorrente, Mediaset, ed abbiamo appreso come i costi della RAI siano decisamente superiori e la sua produttività decisamente inferiore. Credo che un servizio pubblico, anche al di là dei contenuti, possa difendere un suo ruolo sul campo soltanto se dimostra di essere anche meno costoso di un'alternativa, altrimenti vengano i privati, si allarghi la concorrenza, si esca dal duopolio, da situazioni di reciproco addomesticamento tra RAI e Mediaset.
Per quanto riguarda il già trattato caso Bindi, sarebbe interessante avere già oggi una prima valutazione da parte vostra. È legittimo che in ogni momento di programmazione della RAI si debba avere la versione ufficiale del Governo? È legittimo che un personaggio come Funari (tra l'altro, invitando Funari non ci si può aspettare che parli come il principe di Galles) dica una cosa, che magari non ha né capo né coda, ma si faccia subito intervenire l'interpretazione ufficiale, quella del Minculpop, che immediatamente va a «scassinare» la porta dello studio di Frizzi e dice che la sanità pubblica è un valore, che ci sono ospedali pubblici che funzionano benissimo? È legittimo tutto questo nell'ottica della funzione del servizio pubblico?
Per il resto, ho apprezzato l'intenzione di realizzare quello che lei ha definito un testo unico degli indirizzi della


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Commissione di vigilanza e di farlo conoscere all'interno dell'azienda; ho apprezzato anche molte delle buone intenzioni che sono state manifestate, sapendo purtroppo che probabilmente sarà più difficile in futuro ripeterle di fronte agli eventi che accadranno.

ROBERTO ZACCARIA, Presidente della RAI. Ci divideremo le risposte tra me e il direttore generale e, su domande specifiche, anche con i consiglieri, ove risultasse opportuno coinvolgerli nella risposta.
Vi ringrazio per gli auguri; so bene che godiamo di una situazione di particolare vantaggio, quella sintetizzata da Paissan nel suo primo intervento. Non è mia e credo nostra intenzione dare la sensazione di un consiglio o comunque di una presidenza con carattere più decisionista di altre, perché secondo me si è decisionisti se si fanno le cose, non se si preannuncia di volerle fare e quindi anche per questo il giudizio lo lasciamo ad un momento successivo.
Al senatore Falomi vorrei far presente che la mia prudenza sulle strategie rappresenta un rispetto della collegialità, lo voglio dire con grande chiarezza. Credo che a voi interessi poco o relativamente sapere cosa io pensi di certi temi; interessa molto di più sapere ciò che pensa il consiglio d'amministrazione nella sua collegialità e da questo punto di vista vi è questa sorta di prudenza, che vi sarà fino a quando su scadenze molto ravvicinate non matureremo una certa sintonia.
Devo anche dire che fin dall'inizio per questo stesso motivo ho scelto la strada di non rilasciare interviste o convocare conferenze stampa, per cui tutto ciò che è apparso e che riguarda mie dichiarazioni rappresenta affermazioni estratte da incontri di vario tipo o da saluti fatti all'interno dell'azienda e questo proprio perché si risponde ad un'intervista se si ha qualcosa da dire, ma evidentemente io non posso interpretare una volontà che ancora non si è formata. Tuttavia, vi è un'eccezione: sono intevenuto, non utilizzando microfoni e telecamere della RAI, ad incontri e convegni ai quali avevo assicurato la mia partecipazione ed in quelle occasioni ritengo di avere il diritto di tutelare l'immagine della RAI nei confronti dell'esterno, in particolare verso interventi nei quali si compia il tentativo di dipingere la RAI in un modo deprimente oppure quando vi siano attacchi che riguardano il consiglio ma anche la mia persona; credo che questo sia un mio assoluto diritto.
Quindi, con riferimento alle cose di cui stiamo parlando, ribadisco che abbiamo la capacità - credo sia abbastanza scontato - di distinguere molto bene tra la nostra trasparenza nei confronti della stampa e l'esigenza di avere momenti - ribadisco: privati - di valutazione e riflessione. D'altronde, non si può parlare di un dato obiettivo: se si vedono a cena cinque consiglieri è il consiglio d'amministrazione. Noi veniamo da esperienze professionali diverse, Taradash: io sono un professore di diritto, c'è un pubblicitario, c'è un uomo di televisione, c'è un giornalista, c'è un massmediologo; voglio dire che abbiamo linguaggi diversi, lo stesso argomento lo trattiamo con un approccio diverso. Mettere in sintonia i nostri linguaggi non credo sia un problema che interessa tutti. A volte vi sarà capitato di stare in una stanza d'albergo e sentire il vicino che parla ad alta voce con un suo amico: se siete giornalisti, credo non abbiate il diritto, avendo ascoltato una telefonata in una stanza contigua, di farne materia di un articolo di giornale, perché la notizia è illecitamente presa. Questa opinione riguarda la mia persona ed i soggetti toccati da certe informazioni. Poiché credo di conoscere la distinzione tra singoli comportamenti ed il comportamento della stampa, vi possono essere tante reazioni (per esempio, giudiziarie) che sono lontane rispetto alla mia mentalità. Ho detto soltanto che vi è un'autorità presieduta dall'onorevole Rodotà che deve impedire determinati comportamenti. Ho imparato, proprio leggendo una rivista che lei conosce molto bene, che notizie impropriamente ed illecitamente raccolte non possano essere trattate successivamente.
In secondo luogo, a differenza di altri leader politici, non mi sono schierato,


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almeno fino a quando il Parlamento non discuterà le proposte che sono al suo esame, sul problema dell'esistenza o meno dell'ordine. Credo che l'ordine sia la forma più soft e professionale di valutazione di certe situazioni. Quindi, l'intervento può essere, se volete, a difesa di posizioni personali per chiarire un rapporto che, proprio per valorizzare il massimo di trasparenza, tende a chiedere lealtà e correttezza.
Accetto critiche, anche quella sulla furbizia, onorevole Paissan, ma se scopro che viene rivelato il nome dell'albergo in cui ci dobbiamo riunire, ci trasferiamo in un altro albergo, spendendo 5 milioni nel primo albergo ed altri 5 milioni nel secondo. Tra l'altro non è molto facile tenere nascosto un incontro che deve svolgersi in un albergo piuttosto che in un altro.

MAURO PAISSAN. Potreste incontrarvi in un bar!

ROBERTO ZACCARIA, Presidente della RAI. Mi suggeriscono, giustamente, di non enfatizzare l'argomento e non lo enfatizzo. Voglio tuttavia sottolineare che questo aspetto riguarda la tutela dell'azienda o della mia stessa persona. Se mi consentite, l'argomento potrebbe essere limitato a queste considerazioni, perché credo vi interessi di più avere informazioni su altre questioni.
Abbiamo ben presente i casi ora evidenziati i quali riguardano diverse questioni. Innanzitutto il problema di Napoli, di cui ha parlato in particolare l'onorevole Paissan, problema probabilmente ripreso anche da altri. In proposito, voglio precisare che abbiamo seguito una procedura di metodo indispensabile, nel senso che non abbiamo fatto riferimento al singolo giornalista, ma convocato il direttore di testata al quale abbiamo chiesto, nella sua responsabilità, una valutazione dell'episodio. Il direttore ci ha riferito che si è trattato di un errore, sia pure con le attenuanti che conoscete, ma non ha difeso il giornalista, perché, se lo avesse fatto, avremmo dovuto «scaricare» la nostra responsabilità sul direttore, giudicando quel fatto tale da interrompere il rapporto fiduciario che ci lega. Il direttore ha denunciato l'episodio, il quale ha dato luogo - credo - ad un intervento (come sapete, le sanzioni possono essere di vario tipo) da parte del direttore generale, che dovrebbe sostanziarsi nel richiamo; sul punto il direttore generale potrà fornire eventualmente maggiori informazioni.
Per quanto riguarda le trasmissioni (in diretta, di intrattenimento e su temi concernenti l'informazione), argomento che è stato trattato da tutti, preciso subito che, a mio modo di vedere, il comportamento di Frizzi nella nota vicenda è stato nel complesso positivo. Quando in programmi di intrattenimento vengono toccati argomenti riguardanti l'informazione, credo sia opportuno far risalire la gestione di tali momenti a soggetti professionalmente deputati a ciò: mi pare che questo sia abbastanza logico. Poiché non si può impedire l'informazione nelle reti e nei programmi, credo sia opportuno ricondurre il più possibile la gestione di quei momenti ad un certo tipo di responsabilità.
In trasmissioni in diretta e, comunque, in questo tipo di programmi televisivi possono verificarsi episodi di vario tipo, come quello di cui discutiamo o di altro genere. Quando nell'intervento dell'ospite vi è un riferimento puntuale che può configurarsi nella forma come diffamazione e ingiuria nei confronti di una certa persona, il conduttore, come prima cosa, dovrebbe dissociare la responsabilità dell'interlocutore da quella dell'azienda, che altrimenti verrebbe accomunata nel giudizio. A tal fine egli dovrebbe precisare che l'ospite è responsabile delle proprie valutazioni e contestualizzare quel tipo di responsabilità.
Quello che è più difficile da impedire è un altro tipo di comportamento, come per esempio l'espressione, in questo genere di trasmissioni, di giudizi negativi che non riguardano singole persone, ma un settore dell'amministrazione, di un'impresa o attività complessive. In questo caso - lo dico chiaramente - la responsabilità è nelle mani del conduttore che su tale punto deve essere avvertito (anche con una normativa più esplicita, come ha sollecitato l'onorevole Paissan) della responsabilità che ha in capo. Sappiamo benissimo che


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esiste la rettifica, che ha una sua procedura, che esistono i comunicati del Governo, anch'essi con una loro procedura, e che esistono forme di accesso garantite, ma questo non rientra né nel primo caso, né nell'altro.
Vi sono trasmissioni nelle quali durante la trattazione di un tema vi è la possibilità, per così dire, di aprire i microfoni ad interlocutori esterni. In questo caso tutti sono considerati come cittadini e quindi rientra nella responsabilità di chi conduce, eventualmente coordinata con il suo direttore di rete in azienda, decidere se aprire il microfono per creare su quel tema un rapido confronto. Non vi è nessun Minculpop, non vi è nessuna prerogativa a favore di un'istituzione, vi è semplicemente la valutazione responsabile sull'opportunità o meno di interloquire. Peraltro, come ha sottolineato l'onorevole Falomi, interloquire senza essere competenti su un determinato tema può essere persino più negativo. Si può anche far intervenire i soggetti, ma bisogna assicurare parità di trattamento; in caso contrario, se cioè non si è in grado di garantire tale uguaglianza, è meglio non aprire i microfoni. Concludo sul caso Frizzi-Bindi, sottolineando che da taluno è stata sollecitata una normativa più specifica.
Ho concluso e alle domande cui non ho risposto mi auguro lo faccia il direttore generale, il cui intervento in certi casi mi sembra indispensabile.
L'ultima questione, che mi sta molto a cuore, è quella dell'editore, questione che non a caso ho toccato in questa sede. Non compiamo un atto di presunzione, non millantiamo qualcosa o assumiamo un titolo che non deteniamo, quando diciamo che siamo stati nominati dai Presidenti delle due Camere, che hanno esercitato una loro funzione, ma che con la nostra nomina non si assumono la responsabilità dell'attività che svolgeremo. La responsabilità, infatti, non è dei Presidenti delle due Camere, ma nostra. Al riguardo non vi è il minimo dubbio, al punto che potete far valere la nostra responsabilità con maggioranza qualificata praticamente sfiduciandoci. Questo vuol dire che abbiamo una responsabilità coperta da certe garanzie di maggioranza qualificata.
So che il tema è controverso e che vi sono tante strade, ma arrivare alla tesi che la RAI non ha un editore è la premessa, secondo me, per non governare l'azienda. Io non ho detto che l'editore è il consiglio di amministrazione; ho detto il consiglio più il direttore generale, perché sono consapevole che la ripartizione delle competenze, in base alla legge n. 206 del 1993, è articolata in un certo modo. Nella normalità è il direttore generale che ha una responsabilità, ma, ferme le sue competenze, credo siano interesse di tutti individuare in modo chiaro un editore. Ho detto anche che deve avere la testa «scoperchiata», nel senso che deve recepire gli indirizzi della Commissione e dell'IRI e poi chiudere il coperchio sulla testa, così da essere l'unico interfaccia nei confronti dell'azienda. Ho detto infine che deve essere unico e quindi che non voglio editori impliciti o espliciti di altro genere.
Questa impostazione è soggettiva, ma è l'unica per governare l'azienda. Credo che non interessi né alla Commissione considerarsi editore, né all'azionista che in Assemblea ha determinati poteri: fuori da essa, fuori dai problemi di nomina del direttore generale non ha poteri nella gestione ordinaria. Del resto, questo è lo schema che trovereste altrove.
Ho concluso e chiedo scusa se non ho risposto a qualche domanda, alla quale eventualmente potrò rispondere più tardi.

PRESIDENTE. Do ora la parola al direttore generale della RAI, dottor Celli.

PIERLUIGI CELLI, Direttore generale della RAI. Intervengo su alcuni problemi specifici, innanzitutto sulla questione dell'arcivescovo di Napoli. Abbiamo convocato il direttore del TG1 in consiglio di amministrazione e gli abbiamo chiesto ragione. Vi è stato evidentemente da una parte un errore e dall'altra una sottovalutazione di cui in qualche modo il caporedattore, che in quel momento era responsabile della mattinata della rete uno, si è assunto la responsabilità ritenendo che,


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anche qualora la notizia fosse stata vera, non vi era l'urgenza di comunicarla nell'ambito di un'altra trasmissione. Questa è la valutazione che andava fatta, oltre che verificata, e che invece non è stata fatta in termini né corretti, né convincenti.
Abbiamo attivato la procedura prevista in questi casi con contestazione del direttore del TG1 al suo caporedattore e comunicazione alla direzione generale, che ci ha inviato, a sua volta, una contestazione nei confronti del caporedattore, chiedendogli di esporre, entro cinque giorni, i fatti e le giustificazioni che intende addurre sulla base delle quali saranno presi i provvedimenti del caso.

PRESIDENTE. La procedura è ancora in corso?

PIERLUIGI CELLI, Direttore generale della RAI. La procedura è ancora in corso e la risposta dovrebbe pervenire entro domani o dopodomani, poiché scadono in cinque giorni; successivamente vi sarà la comunicazione della sanzione al caporedattore.
Questa è la forma con cui abbiamo operato in modo del tutto trasparente e in maniera tale che fosse chiaro a tutti che il processo, una volta avviato, deve essere attivato tutte le volte che si presenti la stessa situazione e le stesse condizioni. Abbiamo, quindi, assicurato la massima trasparenza e la massima pubblicità all'interno dell'azienda, informando di ciò i consigli di redazione nelle forme - ripeto - più trasparenti possibili.
Per quanto riguarda il caso Frizzi-Bindi, come ha detto il presidente, ci regoleremo sempre in un certo modo e cioè che il diritto di accesso deve essere generalizzato non per il fatto che una persona sia ministro. Di quella sera particolare mi assumo la responsabilità; nel caso, infatti, si sia operato bene o male, la responsabilità è attribuibile al direttore generale, poiché probabilmente vi erano ancora alcuni aspetti che non funzionavano, non si trovavano i giusti collegamenti ed il direttore di rete non era rintracciabile in quel momento. Di quello che è successo - ripeto - la responsabilità è totalmente mia.

PRESIDENTE. Quello che lei dice è molto bello, ma significa che quanto accaduto si può verificare ancora? Il fatto che lei si attribuisca la responsabilità del fatto, le fa onore, ma vorrei sapere se il criterio che adottate è quello di far ascoltare in diretta la telefonata di chi chiama?

PIERLUIGI CELLI, Direttore generale della RAI. No, è un criterio assolutamente non adottabile, nel senso che, rispetto a queste cose, il direttore di rete...

PRESIDENTE. Quindi, è stato un errore?

PIERLUIGI CELLI, Direttore generale della RAI. Il fatto di quella sera può essere stato un errore o un non errore, non lo so. Comunque me ne assumo la responsabilità.

MAURO PAISSAN. Si assume la responsabilità di un fatto virtuale o di un errore? Chiarisca!

PIERLUIGI CELLI, Direttore generale della RAI. Ritengo che la responsabilità di mandare in diretta o di accettare una telefonata sia da una parte del conduttore, dall'altra parte del direttore della rete. Questo punto va chiarito rispetto alla tipologia dei fatti (Commenti).

PRESIDENTE. È una risposta.

PIERLUIGI CELLI, Direttore generale della RAI. Un altro problema sollevato riguarda le nomine. Sono state effettuate due nomine: quella del direttore del personale e quella relativa alla sostituzione di una persona nella segreteria del direttore generale. In questo periodo non sono intervenute altre nomine e quelle effettuate riguardano due punti notoriamente ed estremamente controversi, perché di grande potere all'interno dell'azienda. Poiché il nuovo direttore generale è colui che comunque porta la responsabilità della conduzione della RAI, ed anch'io ho una responsabilità ed intendo pagare, nel bene


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e nel male, per quello che faccio, ho scelto persone che fossero da una parte affidabili per me e dall'altra parte fossero massimamente accettate e condivise all'interno dell'azienda sulla base di criteri di professionalità e serietà.
La scelta è stata finalizzata ad individuare persone che in questo momento e in questa fase della vita aziendale riscuotessero il massimo consenso e rispetto all'interno della RAI in termini di professionalità e di competenza.

PRESIDENTE. Per evitare un eccessivo prolungamento dell'audizione, ritengo opportuno, a questo punto, dare la parola ai colleghi che hanno chiesto di intervenire.

GIANCARLO LOMBARDI. Vorrei trattare quattro punti, ma prima vorrei premettere una osservazione sull'intervento dell'onorevole Taradash che mi ha molto stupito, laddove chiede al consiglio di amministrazione, dopo opportuna riflessione, di rispondere in merito a cosa debba essere il servizio pubblico ed il perché debba permanere. Egli si è posto questi interrogativi dopo aver dichiarato in altro punto - sul quale concordo abbastanza - che il consiglio di amministrazione non può essere ritenuto editore unico, ma poi gli si affida niente poco di meno che le motivazioni circa l'esistenza o meno del servizio pubblico, fatto che non ritengo debba essere ... (Interruzione del deputato Taradash).

PRESIDENTE. È un'opinione! Non è il dottor Colombo, Taradash!

GIANCARLO LOMBARDI. ... di competenza del consiglio di amministrazione stesso, ma del mondo politico.
Gli argomenti che vorrei trattare - ripeto - sono quattro. Spesso nel dibattito che si è svolto in passato tra la Commissione, il consiglio di amministrazione e il direttore generale, hanno assunto prevalente importanza gli aspetti del pluralismo politico, della presenza politica squilibrata, fatti sicuramente rilevanti tant'è vero che abbiamo concordato un testo di valutazione, che è stato approvato e trasmesso alla RAI, di cui abbiamo chiesto una verifica sulla sua realizzazione.
Sono invece molto preoccupato del problema della qualità, che è in stretto collegamento con la domanda che l'onorevole Taradash ha rivolto circa le motivazioni dell'esistenza del servizio pubblico, tanto è vero che egli con un salto logico, che di nuovo non mi trova consenziente, giustifica l'esistenza del servizio pubblico in Inghilterra, osservando che se l'è conquistato sul campo. Accetto che questa sia una motivazione, ma resta il problema della qualità. Anche la questione dell'arcivescovo di Napoli piuttosto che il caso Frizzi-Bindi sono sicuramente riconducibili a posizioni del genere. Non credo, e francamente ritengo che non lo pensi nessun membro della Commissione, che nella erronea introduzione nel telegiornale della notizia sull'arcivescovo di Napoli vi fosse dietro il tentativo di colpire santa romana chiesa, il vescovo, ma soltanto l'insipienza di una persona, che si è comportata in modo non adeguatamente professionale.
Il problema purtroppo è molto più diffuso e ha detto bene l'onorevole Paissan quando ha rilevato che questo è un esempio, ma ve ne sono altri, magari meno clamorosi, che non riguardano l'arcivescovo.
La domanda e la raccomandazione che rivolgo al presidente e al direttore generale sono le seguenti. La Commissione aveva avviato un discorso con il precedente consiglio di amministrazione e il direttore generale sul problema formativo delle persone in RAI, perché questi fatti non abbiano a verificarsi. In realtà, alcuni errori si verificheranno sempre, ma possibilmente di meno e caratterizzati da una minore gravità. Questo investe un delicato problema di formazione, che non è soltanto giornalistica, ma anche di sensibilità e in qualche modo è un problema etico per quanto attiene la possibilità di evitare di mettere in situazione di difficoltà le persone con l'informazione pubblica.
Vorrei, quindi, sapere quale sia lo sforzo che si ritiene di fare. A questa domanda potete rispondere anche in un altro momento, dopo che il consiglio di


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amministrazione avrà affrontato il problema, che credo sia da denunciare.
La seconda osservazione è la seguente. Normalmente la Commissione concentra la sua attenzione sul problema delle grandi reti nei programmi nazionali (telegiornali ed altro). Le maggiori lamentele, che anche in questa Commissione sono state avanzate da colleghi di tutte le forze politiche, non esclusivamente di opposizione, riguardano alcuni servizi regionali, perché talvolta si ha l'impressione che il controllo, nel senso migliore della parola, e cioè la possibilità di seguire, indirizzare e verificare il lavoro dal centro sia meno efficace di quanto non avvenga sui grandi momenti di comunicazione nazionale. Questo riguarda anche la scelta delle persone. Ho avuto l'impressione (ma è qualcosa di più di un'impressione; uso questo termine perché non è di diretto mio controllo, ma le persone che me l'hanno trasmessa mi sembrano meritevoli di fiducia) che a livello regionale avvengano fenomeni molto meno controllati di quanto avviene al centro. Richiamo l'attenzione su questo aspetto, tanto più importante laddove strategicamente si pensasse di potenziare questa presenza regionale, come è stato auspicato da molti colleghi.
Il terzo quesito è rivolto essenzialmente al direttore generale. In questo anno e mezzo, cioè da quando faccio parte della Commissione di vigilanza, nell'avvicinarmi più approfonditamente ai problemi dell'azienda ho valutato che essa ha grandi risorse non utilizzate e perciò registra sprechi enormemente rilevanti. Il senatore Falomi ha affermato (mi sembra che l'abbia osservato anche Paissan) che esiste un problema di equilibrio, che il problema del bilancio non è un fatto indifferente, anche se poi la domanda va a saldarsi con il discorso del servizio pubblico e degli obiettivi del servizio stesso. Quello che però è certo, e che non trova nessuno di noi consenziente, è l'accettazione dello spreco. Lo spreco può avvenire o perché si buttano via dei soldi (e sicuramente se ne buttano tanti) o perché si utilizzano male risorse potenziali. Non mi sembra che questo problema sia stato oggetto di adeguato impegno da parte della direzione precedente, forse per questioni legate alla disponibilità di tempo, e credo che oggi esso debba ricevere un'attenzione particolare, magari fornendo una risposta a questa Commissione in ordine a ciò che si intende fare.
L'ultimo punto è il seguente. Il colloquio, che il presidente con grande autorevolezza ha indicato (anch'io ho apprezzato molto l'intervento, sia per l'autorevolezza sia per l'impostazione), con le forze politiche ed in particolare con la Commissione di vigilanza da parte del consiglio di amministrazione della RAI, che ha inevitabilmente momenti dialettici di controllo e di frizione, può o deve avere una fase di grande ricchezza. Nel momento in cui al Senato stiamo avviando la discussione del disegno di legge n. 1138 sul riordino della RAI, nel momento in cui il problema delle telecomunicazioni ci vede impegnati su tematiche complesse, che proprio in questi giorni stiamo verificando essere lungi da un cammino puramente naturale - la piattaforma digitale ed altri aspetti -, occorre un contributo tecnico, non politico, da parte del consiglio di amministrazione della RAI e del direttore generale, che dia alle forze politiche gli elementi per compiere le scelte (ovviamente politiche, essendo noi gli unici soggetti deputati a fare una legge), però tenendo conto di un contesto del quale non sempre possediamo tutti gli elementi. Diversamente, siamo obbligati ad andare a cercare le informazioni a titolo individuale ed in via meno chiara. Credo che certe informazioni possano essere fornite in modo sufficientemente trasparente e chiaro a tutti, all'opposizione e alla maggioranza, dicendo: «Attenzione, vi facciamo osservare che su tali questioni ci sono dei nodi, che poi valuterete». Qui non è in gioco la doverosa riservatezza di una impresa che si mette in situazione di competitività con altre; il problema è di disporre di elementi di valutazione sufficientemente certi e chiari affinché da parte nostra possano essere assunte le decisioni migliori.


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STEFANO SEMENZATO. Associandomi agli auguri di buon lavoro, osservo che a mio avviso la parte più difficile dell'operato che questo consiglio di amministrazione e il direttore generale hanno di fronte è rappresentata non tanto dalle cose nuove da fare quanto dalla capacità di risolvere molti dei problemi irrisolti all'interno della RAI. Da questo punto di vista ritengo che la Commissione di vigilanza in quasi due anni di attività abbia affrontato tutta una serie di problemi. Valga per tutti l'esempio di Moda e King, operazioni effettuate nel passato o vicende dei precari, che rimangono tuttora irrisolte.
Considero quindi utile che in futuro (giustamente il presidente ha detto che la RAI procederà ad un'istruttoria su tutte le decisioni prese dalla Commissione, quindi farà anche una relazione sul modo con cui intende applicarle) vi sia la capacità di dare risposta a problemi talvolta annosi e complicati dal punto di vista del contenuto.
Vorrei fare una specificazione in termini più diretti sulla vicenda del pluralismo. Apprezzo l'indicazione fornita di pervenire ad un testo unico delle varie risoluzioni in tema, in modo da proporle come canone di comportamento all'interno della RAI. Ritengo però che non si possa sottovalutare un fatto: il tema del pluralismo è solo in parte di carattere culturale, cioè di modo di comportamento dei singoli giornalisti; è per molti aspetti un problema di scelte strutturali. Ricordo che in una delle risoluzioni approvate la Commissione chiedeva nettamente il superamento della tripartizione delle testate giornalistiche come residuo di una vecchia fase della RAI e quindi una nuova organizzazione editoriale giornalistica, cosa che si collega direttamente ad alcuni obblighi richiesti dal contratto di servizio. Da questo punto di vista, ci aspettiamo una proposta coerente, che parta dai criteri del servizio pubblico ma che poi si espliciti in una capacità di organizzazione diversa delle testate, oggettivamente anche riorganizzando e ristrutturando l'attuale assetto editoriale giornalistico all'interno della RAI.
Così come mi pare evidente - lo diceva anche il collega Paissan - che alcune delle richieste che come verdi abbiamo più volte avanzato in questo sede, quelle di organizzare e strutturare le tematiche ambientali, non riescono ad avere spazio se non ci sono redattori incaricati di questo, se non si blocca lo smantellamento di precedenti redazioni o settori ambientali che erano all'interno dei TG, insomma, se non vi è un'organizzazione tematica strutturale. Lo dico perché ho notato che si è registrata in passato un'accentuazione delle tematiche di pluralismo in termini di cultura, mentre credo che, pur rimanendo valido l'aspetto culturale, vi sia un problema strutturale che non può essere rimandato alla soggettività dei giornalisti ma deve essere affrontato dal consiglio di amministrazione e dal direttore generale.
Desidero porre un'altra questione. Ho apprezzato l'avvio di GR Parlamento, nel rispetto di una disposizione di legge e di un articolo del contratto di servizio in vigore. Lo dico perché, riferendomi al tema dell'editore e quindi dell'autonomia dei vertici RAI, credo vi sia un problema importante che rimane irrisolto e sul quale desidero una specificazione. I tempi parlamentari non coincidono con i tempi gestionali della RAI. La commistione tra decisioni dei vertici RAI e decisioni parlamentari significa in un caso immobilismo o nell'altro una forma di sudditanza, di attesa, di perdita di autonomia rispetto a processi che sono politici. Vorrei che da questo punto di vista emergesse una capacità dialettica tra la Commissione di vigilanza, gli organi parlamentari e il consiglio di amministrazione della RAI, ma che non ci fosse, come si è verificato nel passato (e a mio giudizio è stato uno dei punti più forti di crisi della precedente gestione), un'attesa delle decisioni parlamentari per compiere scelte di carattere operativo. Si tratta di un elemento che non conviene né alla RAI né agli organismi parlamentari.
A tale proposito pongo un problema specifico. La RAI, per rispetto del contratto di servizio, è tenuta a fornire in


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tempi abbastanza brevi una proposta su una rete senza pubblicità. Tuttavia voglio ricordare che contemporaneamente la legge approvata stabilisce che la rete senza pubblicità decolla sostanzialmente insieme al passaggio sul satellite di una rete Mediaset. Quindi questo è un elemento demandato all'autorità; credo che per i meccanismi politici abbia tempi non brevissimi e che sia anche al di fuori del mandato di questo consiglio di amministrazione, perché ritengo che l'accordo stipulato in sede di approvazione di quella legge preveda più anni perché si arrivi ad una decisione sul congruo numero di parabole, sull'avvio di una rete Mediaset sul satellite e così via. Ritengo pertanto che la RAI debba attrezzarsi o dirci se intenda invece accelerare i tempi in maniera unilaterale oppure no. Lo considero un fatto importante come decisione dell'autonomia della RAI, perché dal mio punto di vista, essendo stato uno di coloro che si sono opposti a quell'accordo, ritenendo che la chiusura di una legge su tre reti e tre reti fosse un fatto non positivo per il sistema, valuterei però negativamente la soluzione di tre reti contro due reti, cioè una scelta unilaterale di squilibrio del sistema. Sussistendo quindi non solo problemi di mercato ma anche problemi di pluralismo del sistema, tengo a sapere come la RAI pensi di orientarsi su questo terreno.
Un'ultima questione. Più volte è stato espresso, anche con un documento specifico da parte della RAI, un impegno in ordine agli utenti, alla società civile, al mondo delle associazioni. Vi sono innumerevoli carte dei diritti che sono formalmente vigenti, però nessuna di tali questioni ha trovato una formulazione pratica, esecutiva. Intendo dire che il caso del ministro Bindi potrebbe essere usato a rovescio, cioè nel senso di dire che gli utenti hanno diritto ad intervenire nelle trasmissioni con determinate modalità e che esistono diritti di replica per gli utenti. Chiedo pertanto che vengano fissate delle regole con cui la società civile, il singolo utente possano entrare in rapporto con la RAI, che non siano semplicemente i numeri telefonici attivati, con cui si può fare una sorta di censimento che ha il carattere del sondaggio e non della capacità di presenza. Ritengo che in una società dell'informazione, ed in particolare nella RAI come servizio pubblico, i diritti degli utenti debbano trovare formule di garanzia e di tutela; quindi è compito del servizio pubblico individuare le forme attraverso cui tali diritti possano manifestarsi.

PAOLO ROMANI. Innanzitutto rinnovo anch'io gli auguri di buon lavoro al nuovo consiglio di amministrazione.

PRESIDENTE. Colleghi, ho scoperto di non essere rappresentativo: avevo formulato gli auguri a nome della Commissione, per risparmiare ogni volta il rito! Naturalmente è una battuta.

PAOLO ROMANI. Nel contempo, ricordo a questo consiglio di amministrazione che non penso che sia improvvisamente caduto dal cielo sull'azienda, nel senso che non penso che esistano discontinuità in politica, nella vita e soprattutto nelle aziende. C'è una storia che riguarda l'azienda, nella quale oggi si inserisce questo consiglio di amministrazione. È vero che esiste un'anomalia nei criteri di nomina del consiglio di amministrazione, nel senso che le persone, i presidenti, «irresponsabili» (nel senso buono del termine), sono coloro che sono delegati a nominare i cinque sventurati personaggi che si avventurano in questo difficile compito. A mio avviso però la storia oggi non può pesare sulla discussione che stiamo effettuando.
Se ho ben compreso, il vecchio consiglio di amministrazione è caduto perché da un lato non ha rispettato i criteri del pluralismo e dall'altro non ha risposto ad alcune risoluzioni di questa Commissione. Qui mi rivolgo alla maggioranza. La procedura con cui si è arrivati alla cacciata del vecchio consiglio di amministrazione è stata un po' inusuale ed anche stravagante, nel senso che vi è stato un lungo percorso di contenzioso dove parti della maggioranza si coniugavano con la minoranza nel contraddire la gestione del consiglio di amministrazione e poi improvvisamente si


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è deciso che il vecchio consiglio non andasse più bene e che lo si dovesse rinnovare. Non penso tuttavia che la pubblica opinione abbia compreso fino in fondo i motivi per cui si sia arrivati alla cacciata del vecchio consiglio di amministrazione e si sia dovuto procedere alla nomina del nuovo. Volendo razionalizzare, mi sembra di capire che il problema sia quello che citavo prima: mancato rispetto dei criteri del pluralismo, più volte indicati, e mancata risposta alle denunce della Commissione.
Su questo aspetto, che a mio avviso è il punto centrale della gestione del servizio pubblico, si è parlato e si parla di mancato rispetto di un equilibrio politico-culturale dell'azienda nel suo complesso, che non è e non ha mai voluto essere, almeno per quanto ci riguarda, un problema di analisi, di verifica quantitativa dei tempi che venivano dedicati alle forze politiche. Clamoroso fu l'episodio citato da rifondazione comunista in quel famoso lunedì sera, dove i criteri quantitativi di rispetto del pluralismo in base ai dati forniti dall'Osservatorio di Pavia erano perfettamente osservati, ma nei venti minuti di quella sera furono fatti collegamenti di qualsiasi tipo in cui si specificava che era bene che la crisi di Governo non avvenisse e che tutti facevano il tifo perché il Governo non cadesse. Quello fu l'episodio eclatante che poi a mio avviso partorì tutta una serie di meccanismi che portarono alla cacciata del consiglio di amministrazione.
Il problema dello squilibrio politico-culturale della RAI si è dunque sempre manifestato, spesso anche in termini quantitativi, ma spesso e volentieri in termini qualitativi, nel senso che molto spesso lo squilibrio è stato creato in maniera consapevole, soprattutto nei programmi di informazione, ma spesso anche in maniera inconsapevole, superficiale, ad esempio nei programmi di intrattenimento, dove si è consentito e si consente di intervenire a persone che non hanno tutta la capacità di interlocuzione con il personaggio politico presente in quel momento. Ciò ha sbilanciato completamente la gestione complessiva del servizio pubblico nei riguardi del panorama politico e culturale del paese.
Se è vero che la storia pesa e se è vero che questo consiglio di amministrazione non è caduto improvvisamente dal cielo, e poiché è vero che il vecchio consiglio di amministrazione è stato mandato a casa fondamentalmente per questo motivo, mi chiedo: l'attuale consiglio di amministrazione ha contezza di questo fatto? E se ne ha contezza, ha risposte da darci? E se non le ha adesso, si sta ponendo il problema di fornircele? Questo è il problema di fondo che ha avuto la RAI fino ad oggi.
Su questo punto ho gradito due osservazioni espresse dal presidente Zaccaria, in primo luogo quando ha affermato che il dialogo fra consiglio di amministrazione e Commissione non si può fermare a questo contraddittorio, ma - come abbiamo spesso sostenuto noi - questo contraddittorio ed i temi sollevati non sono mai stati diffusi all'interno dell'azienda. Come la Commissione ricorderà, quando feci la relazione sulla risposta al consiglio di amministrazione sollevammo il problema che la commissione consulta comunque funzionava ma che le delibere, i pareri della commissione consulta di Iacobelli non sono mai stati diffusi all'interno dell'azienda, nessuno ne ha mai avuto contezza. Quindi non si è mai innestato un meccanismo di consapevolezza da parte di tutto l'organismo sano dell'azienda di servizio pubblico e ci si è limitati a questo contenzioso assolutamente rituale ed inutile fra Commissione di vigilanza ed organismi dirigenti della RAI.
Un altro problema che sta emergendo è il seguente: ho l'impressione che il disegno di legge n. 1138 abbia un percorso molto complesso e mi pare di capire che la soluzione che si sta individuando sia quella di delegare agli organi di Governo della RAI il futuro della RAI stessa. Coloro che vi hanno nominati, sì, sono irresponsabili, però - signori, non prendiamoci in giro - sono irresponsabili fino a un certo punto, perché un consiglio di amministrazione viene fuori dopo tutta una serie di rapporti, di consultazioni, di verifiche, per cui


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viene espresso anche in nome ed in conformità con una linea che in questo caso interagisce con le prospettive di carattere legislativo.
La domanda è la seguente: siete consapevoli del fatto che probabilmente vi troverete di fronte a questo problema? Verranno quanto meno delegati lo studio, il progetto, la capacità di proposta all'organo di governo della RAI su quello che sarà lo stesso futuro dell'azienda, perché le forze politiche non sono in grado di risolvere da sole il problema. Vorrei sapere se su questo punto (chi vi ha nominato) al vostro interno è stato fatto un approfondimento.
Un ultimo punto: vorrei risolvere, consentitemi la provocazione, il problema dell'editore. In una società che è metà pubblica e metà commerciale, metà controllata dal Parlamento e metà no, metà pagata dai cittadini e metà dal mercato, penso che l'unico, vero, autentico editore di riferimento sia lo stesso pubblico: questa è la soluzione. Voi siete un organismo di gestione i cui compiti sono definiti dalla legge n. 206 ed il vero editore è il pubblico che paga il canone: questo è il vostro editore di riferimento. Certo è complesso, certo le anomalie sono tante, certo l'«animale» RAI è metà in un modo e metà in un altro per tanti aspetti, ma alla fine, comunque, questo è il vostro editore di riferimento. Da tale punto di partenza il consiglio di amministrazione deve muoversi per elaborare strategie e per dare le risposte che ci aspettiamo.

ROBERTO ZACCARIA, Presidente della RAI. Cercherò di essere breve, perché mi rendo conto che le questioni sono rilevanti ma per ora dobbiamo soltanto impostarle. Premetto che, mentre risponderò personalmente su alcune domande, su altre risponderanno i consiglieri Emiliani, Contri, Gamaleri e Balassone ma al termine dell'audizione per ragioni di organizzazione dei lavori, su suggerimento del presidente (Emiliani sull'informazione, Contri sulla piattaforma digitale, Gamaleri su servizio pubblico e qualità e Balassone sull'emittente senza pubblicità). Dirò qualcosa su questi punti, ma potete già cominciare ad intravedere un'organizzazione del consiglio per progetti ed obiettivi.
Per quanto riguarda il pluralismo politico e la qualità, intendiamo in qualche modo sommare idealmente quello che possiamo chiamare opuscolo Iacobelli (che riguarda la qualità e gli standard in materia, frutto di un'autoelaborazione interna) con una sorta di premessa rappresentata dalle indicazioni sul pluralismo che vengono dalla Commissione parlamentare. Quindi, nell'elaborare il testo unico, dobbiamo effettuare un'operazione di collegamento dei due aspetti, perché siamo consapevoli dell'utilità di tale collegamento. Nella nostra riunione del fine settimana abbiamo discusso del servizio pubblico, di come lo intendiamo e di come lo interpreteremo, coniugando gli obblighi che vengono positivamente da legge, convenzione e contratto di servizio con il valore della qualità (quest'ultimo va peraltro aggettivato, perché quello della qualità è un valore da precisare e specificare).
Per quanto attiene alla presenza regionale, cui si riferiva anche l'onorevole Lombardi, ne parlerà forse Balassone in conclusione ma vorrei ora osservare che abbiamo un piano da presentare sull'argomento, che si collega all'emittente senza pubblicità. Aggiungo che nel corso di questa settimana, dopo avere svolto una serie di incontri a livello istituzionale (quelli che erano in qualche modo utili, opportuni ed anche doverosi a livello «romano»), abbiamo convocato un incontro con la Conferenza Stato-regioni-città, ritenendo che il nostro punto di valutazione sia dato anche dal sistema delle autonomie. Colgo quindi l'occasione per dire che esso è per noi molto importante, anche se effettivamente da alcuni anni si era un po' dimenticato che la RAI vive nel paese e quindi ha come interlocutori anche questi soggetti, che rappresentano un dato molto significativo.
Quanto alle informazioni trasparenti, sono d'accordo sul fatto che dobbiamo darvele (qualcosa aggiungerà Contri per quanto riguarda la piattaforma digitale), ma non so se possiamo realmente combinare l'esigenza di informare in maniera


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trasparente maggioranza e opposizione attraverso la Commissione parlamentare con l'esigenza di riservatezza aziendale che si presenta in alcuni casi nella fase preliminare alle decisioni che si devono assumere. In questa materia, le alleanze che si determinano sono frutto (avete davanti agli occhi quello che sta cambiando nel paese) di valutazioni assai delicate: mi chiedo se si potesse trovare per queste occasioni una forma trasparente verso la Commissione ma riservata (mi rendo conto che si tratta di un problema, ma chiedo al presidente di valutarlo). Se si trovasse il modo, potremmo essere più espliciti sulle nostre intenzioni prima delle decisioni, poiché evidentemente dopo le decisioni spiegare perché le abbiamo prese è naturale.
Quanto alla domanda del senatore Semenzato sulle tematiche ambientali, credo che esse rientrino nel tema generale dell'informazione per cui risponderà il consigliere Emiliani. Sulla questione del GR-Parlamento e della mancata rispondenza alle scelte parlamentari, capisco il senso del discorso, ma noi ci diamo scadenze che dipendono da nostre scelte e ovviamente anche da scelte contenute nella legge. In quel caso abbiamo rispettato un obbligo che era contenuto nel contratto di servizio collegato alla legge e che è stato in qualche modo avvalorato da una comunicazione all'organismo di riferimento, che è il Ministero delle comunicazioni (che stipula il contratto di servizio in termini sostanziali). Quindi, se vi fossero state controindicazioni, ne avremmo tenuto conto.
Con riferimento all'emittente senza pubblicità, di cui potrà dire qualcosa in più il consigliere Balassone, devo dire che interpretiamo in maniera precisa l'obbligo iniziale che abbiamo verso l'authority. Non dimentichiamo che il meccanismo è il seguente: entro il 30 aprile dobbiamo presentare il progetto all'authority, i cui tempi evidentemente non dipendono da noi perché si organizzerà autonomamente in modo da rispettare il più possibile le scadenze di legge. Ho già detto che a questo treno agganciamo anche, per ragioni logiche, gli altri treni rappresentati da progetto di organizzazione in divisioni dell'azienda, progetto territoriale, in qualche modo anche aggiornamento del piano editoriale. Ritengo che avremo esigenza (naturalmente lo valuteremo) di anticipare al massimo, perché non ci possiamo permettere di elaborare un progetto e di tenerlo parcheggiato per un certo numero di mesi: la simmetria, se non intendo male il disposto legislativo, riguarda norme anti-trust ed eliminazione della pubblicità. Nel momento in cui eliminiamo la pubblicità, scatta il meccanismo simmetrico dell'applicazione delle norme anti-trust, ma il progetto può partire se abbiamo il consenso con il parere della vostra Commissione parlamentare...

PRESIDENTE. Vi deve essere il consenso dell'authority.

ROBERTO ZACCARIA, Presidente della RAI. Sì, presentiamo il progetto all'authority, che deve dare il parere e approvare il progetto sentita la Commissione parlamentare.
Chiederemo di partire il prima possibile e cercheremo di essere pronti con il progetto a tal fine. La normativa, che ha ripercussioni sugli aspetti economici, sulla pubblicità, sull'anti-trust, dipenderà dalla Commissione ed in questo forse la legge prevede una simmetria; non credo, però, che vada fuori dal mandato di questo consiglio (a meno che voi non riteniate di interromperlo prima, per intenderci, di due anni) la possibilità di mettere a regime questi progetti.
Per quanto riguarda utenti, società civile, carte dei diritti e direi anche dei doveri, collegandomi a quanto osservava l'onorevole Paissan, ritengo che questi aspetti rientrino nel discorso che facevo prima: nel dettare una serie di regole che riguardano la presenza delle varie tendenze sociali, politiche, culturali del paese, chiaramente si fa riferimento anche al modo in cui «gestiamo» gli accessi (quelli occasionali in alcuni casi ma anche quelli programmatici in altre circostanze). Credo quindi che questo sia un capitolo del grande tema del pluralismo.


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Rispetto alle considerazioni dell'onorevole Romani, posso dire che abbiamo piuttosto chiaro quello che ha preceduto il nostro arrivo e ci sono presenti le questioni che si sono poste. Credo che ci faremo carico, in maniera naturale, di questi problemi e mi sembra che abbiamo già cominciato ad impostarli, non so se in modo diverso o uguale, perché non ero presente qui in passato, e comunque intendiamo occuparci di quello che non ha funzionato in passato.
Su informazione e intrattenimento mi sembra di aver già dato una risposta osservando che tendenzialmente l'informazione che avviene nei momenti di intrattenimento deve essere ricondotta a responsabilità informative: non si possono porre degli steccati ma non si può neanche pensare che tutti siano in grado di trattare qualsiasi argomento. Con riferimento al progetto di legge n. 1138 e ad altri temi che sono all'attenzione del Parlamento, pur volendo rispondere alle domande poste, devo dire che ritengo che in questa sede noi dobbiamo guardare con rispetto a quello che fa il Parlamento: in altre sedi, quindi, saremo disponibili a dare informazioni precise sul valore e sulla portata di eventuali emendamenti, a fare un'attività di collaborazione che qualcuno chiama di lobby (non è una parola vietata dal vocabolario), a condizione che tutto ciò sia fatto rispettando le regole della trasparenza e dell'individuazione dei soggetti. In questa sede, di fronte ad una Commissione parlamentare, posso dire che fino a quando il Parlamento, dei cui lavori sono osservatore attento, non avrà concluso il suo procedimento, non mi sembra che si possa ritenere di influenzarlo quanto ai compiti che ci verranno assegnati e che naturalmente ci assumeremo.
Tornando sull'importante discorso dell'editore della RAI, mi dispiace ma non sono convinto che sia il pubblico. Credo che qualunque editore o direttore di giornale dica comunemente questa frase: il mio punto di riferimento è il pubblico. Bene è anche il nostro, in questo senso sì, nello spirito che siamo giudicati in base a quello che va sui teleschermi o in radio. Tuttavia, è molto importante per le competenze vostre, dell'IRI, di altri soggetti tenere presente che, se noi non riusciamo ad individuare un centro di responsabilità che elabori gli indirizzi che vengono dal sistema politico ed istituzionale e li traduca in un dato unitario, rischiamo veramente di far pensare al pubblico che pagando il canone RAI compra un'azione della RAI; chi paga l'abbonamento paga un servizio che gli viene dato secondo le regole del contratto di servizio ma è come l'abbonamento a Il Corriere della sera, La Repubblica eccetera, non è azionista. Idealmente, però, il pubblico è il nostro punto di riferimento: è chiaro che guardiamo ad esso per fare un prodotto sempre migliore, ma dobbiamo mettere insieme, nella scatola aperta della nostra testa, le vostre indicazioni e ridurle ad unità.

PIERLUIGI CELLI, Direttore generale della RAI. Vorrei toccare soltanto un tema a cui si è variamente accennato: quello relativo a costi, sprechi, ricavi, persone non utilizzate. Credo che non sia corretto fare un discorso di razionalizzazione in via generale senza aver chiaro il progetto complessivo a cui ci si vuole attenere. Da questo punto di vista, oltre a dichiarare la disponibilità a recuperare tutte le risorse che vi sono all'interno dell'azienda (che sono abbondanti), anche facendo un richiamo all'orgoglio collettivo dell'azienda di cui credo vi sia bisogno, non credo si debba lavorare solo in termini di riduzione di costi in astratto.
Questa è un'azienda molto complessa (la conoscete meglio di me), ha molte risorse a tempo pieno ed altrettante o forse più che sono a tempo determinato, con un equilibrio che non sempre è stato facile governare. Credo che l'unico modo per ragionare seriamente su chi serve e chi non serve, su quanti servono, se sono troppi o pochi, o mal distribuiti sia appoggiare la riflessione ad un progetto complessivo. Una volta che è chiaro il progetto, abbiamo chiaro se le risorse sono tutte quelle che servono o se magari ne servono altre, e così via. Fino a quando, però,il progetto complessivo non è chiaro, non è


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sviluppato e condiviso, credo che sia buona norma da un punto di vista aziendale sottolineare che la squadra che è in campo è la migliore possibile e che con quella bisogna operare.

PRESIDENTE. Poiché devono ancora intervenire dodici colleghi, preannuncio che potrebbe essere necessario decidere in ufficio di presidenza, convocato al termine della seduta, di rinviare il seguito dell'audizione a giovedì prossimo.
Do ora la parola all'onorevole Giulietti.

GIUSEPPE GIULIETTI. Mi rivolgo all'onorevole Romani in merito alla questione «chi ha cacciato chi», relativamente ai membri del consiglio di amministrazione, una questione fondamentale rispetto a quello che poi dirò. Nessuno caccia nessuno, come nessuno rilascia pagelle sui direttori di rete, di testata, sport che vedo molto praticato, ma che non mi appartiene e non mi convince.
Mi fa piacere che il presidente Zaccaria parli delle differenze di rapporto tra il governo RAI e la Commissione, ma poiché io sono parlamentare per una ragione di stile parlo anche delle differenze tra la Commissione ed il consiglio di amministrazione, un dibattito che si è aperto con la relazione Follini, che credo porteremo a termine in tempi rapidi.

PRESIDENTE. Anche questo è un auspicio.

GIUSEPPE GIULIETTI. Il precedente consiglio è caduto anche sulla divergenza esistente tra noi, peraltro non ancora superata; esso è caduto infatti non solo per le dimissioni del presidente, ma anche per le divergenze in merito all'approvazione di una futura legge di riforma della RAI.
Dopo ciò che è avvenuto per l'authority (quattro più quattro), se prima ero favorevole alla figura dell'amministratore delegato, adesso ne sono fermamente convinto. Penso che dovremo lavorare molto sul disegno di legge n. 1138, caro Romani, non solo sulla parte riguardante la RAI, ma su tutto il provvedimento e quindi sul futuro assetto dell'azienda, sugli indici di affollamento e sul contesto in cui nasce quella legge. Dico questo perché le divergenze sono più profonde e non vorrei che il tutto venisse ridotto ad uno scontro caratteriale tra il presidente Siciliano ed il direttore generale Iseppi, risolto il quale, è risolto il problema.
Se la crisi della RAI è strutturale, è evidente che non può essere ridotta ad una questione secondaria. Mi auguro che questo sia solo il primo di una serie di incontri volti a valorizzare reciprocamente l'attività di indirizzo della Commissione, perché se quest'ultima ha avuto un problema nei rapporti con i governi RAI (non solo con l'ultimo, ma anche con i precedenti), esso ha riguardato l'esaltazione dell'aspetto della vigilanza rispetto a quello dell'indirizzo; purtroppo, qualche segnale c'è anche questa mattina, consentitemi di dirlo a me stesso, non ad altri.
Insensibilmente ci si occupa subito di dare una valutazione dei minutaggi, esclusivamente quantitativamente, costringendo il consiglio della RAI ad una risposta che non può che essere di analogo peso, cioè di tipo quantitativo. Questa è una critica che faccio - ripeto - a me stesso, non ad altri. Ritengo invece che dovremmo darci un metodo di lavoro che ci consenta di confrontarci su alcuni temi strategici.
A questo consiglio spetta il compito di traghettare la RAI verso il nuovo, non vi è dubbio alcuno. Se avessimo approvato la legge, onorevole Romani, rispetto alla quale non vi è accordo, ci troveremmo in presenza di un altro contesto. Questo governo RAI nasce dalla divergenza profonda nella maggioranza, ma anche da quella tra maggioranza ed opposizione. Non si può però sostenere che si sia in presenza di un governo dimezzato ed irresponsabile: è un governo che, con pienezza di autorità e autorevolezza, è stato nominato liberamente dai Presidenti delle due Camere - se a qualcuno non risulta, lo dica serenamente - ed è offensivo nei loro confronti non tener conto che per la sua composizione varia vi è stata una scelta libera da parte dei Presidente delle due Camere, nel bene e nel male.


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In alcune occasioni non ho condiviso le loro scelte e su questo consiglio di amministrazione sono prudente: i consigli si giudicano alla fine e sarebbe un errore valutarli all'inizio, perché ci si basa su elementi di simpatia o di conoscenza.
La RAI è una grande impresa: se la RAI ha un problema, è quello del recupero di una logica di impresa e questo riguarda anche la Commissione. Vuole la Commissione, con questo governo RAI, confrontarsi anche duramente, poi chiarirò su cosa, su alcune questioni strategiche o vuole svolgere un'attività puramente di interdizione? Il problema - ripeto - riguarda anche noi. Faccio un esempio: quando si parla di piattaforma digitale o di altre scelte di politica industriale, la Commissione può svolgere due compiti; innanzitutto può trasformare il dibattito con i consiglieri in una discussione che non affronta mai le questioni di politica industriale, perché si ferma precedentemente e legittimamente. Non è una critica, parlo per me e non voglio criticare altri. Per esempio, le redazioni rispettabilissime di Campobasso, di Napoli e di Bari, vengono prima della scelta sulla piattaforma digitale. Noi addirittura consentiamo ai governi RAI di non risponderci su questo punto e mi viene un sospetto, che è divenuto più forte, vedendo le reazioni alla nomina di questo consiglio, e cioè che alcuni fossero interessati non a privatizzare ma a liquidare la RAI, a eliminarne la presenza sul mercato e a facilitare la sua privatizzazione a quattro soldi.
Non sto parlando di te, Romani. Perché assumi una difesa che nessuno ti chiede? Quando parli delle anomalie del sistema, dimentichi sempre che in Europa tra le anomalie del sistema radiotelevisivo italiano non c'è soltanto la RAI: ti manca sempre questa parte del ragionamento! Sto parlando del superamento di una situazione di anomalia che non avverrà mai fino a quando contestualmente non saranno superate le anomalie nel pubblico e nel privato. Ti consiglio, Romani, di non fare nemmeno tu il difensore d'ufficio. Se vogliamo superare la situazione attuale, è sbagliata una difesa d'ufficio della RAI da parte della maggioranza, è sbagliata una difesa d'ufficio dei conflitti di interesse delle altre anomalie presenti nel nostro paese.
Detto questo, mi rivolgo ora al presidente, al direttore generale ed ai consiglieri. Per tutte le ragioni che ho illustrato, non mi interessa sapere che nomine abbiate fatto e quali farete: le giudicheremo dopo, sono fatti vostri. Credo che in un'impresa come la RAI, il consiglio, sulla base di risultati e di parametri, sia in grado di scegliere come, dove e quando fare le nomine, nei tempi e nelle forme che essa deciderà; l'importante è che la Commissione possa apprezzare il rapporto tra il progetto, come ha detto il presidente, e le nomine effettuale, abbandonando anche ideologie del passato, come per esempio la preferenza per professionalità interne o esterne, sono dibattiti banali. Il problema è che quelle professionalità vengano legate ai progetti e questo non dipende dal fatto che esse siano interne o esterne all'azienda.
Se questo è il contesto, non ho capito e quindi chiedo: il consiglio si è dato dei tempi rispetto alla definizione di un suo piano o progetto editoriale? Il consiglio intende affrontare, nell'ambito dei primi atti che adotterà - so che la questione oggi non è all'ordine del giorno - il problema (come la vogliamo chiamare?) di una nuova definizione dello statuto del servizio pubblico? Provo a spiegarmi meglio. Un tempo il servizio pubblico si giustificava rispetto al monopolio e, quindi, il discorso era chiaro; poi si giustificava rispetto ai lotti che garantivano una pluralità politica della società italiana, ma oggi in Europa esiste un problema diverso: la competizione tra pubblico e privato. Esiste, infatti, un problema di competizione industriale tra le grandi imprese ed il servizio pubblico; probabilmente quest'ultimo si giustifica in modo diverso rispetto al passato, si giustifica, per esempio, nel nome della riforma e della innovazione non sulla base dei minutaggi dell'Osservatorio. Tali dati sono fondamentali, ma non esaustivi per l'esistenza di un servizio pubblico, che potrebbe essere chiuso se si limitasse a


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garantire i minutaggi e non per esempio ad assicurare una presenza nazionale nella piattaforma digitale.
Sono molto più appassionato alle vostre prossime valutazioni di politica industriale che non ad altre questioni e chiarisco subito le ragioni. È del tutto evidente che oggi un riposizionamento strategico dell'azienda passa attraverso il rapporto con Telecom, che è cambiato. Ricorderete che sulla piattaforma digitale fu raggiunta un'intesa, ma non ho capito se è tuttora vigente e se siano previsti appuntamenti. Non chiedo di svelare segreti industriali, ma vorrei sapere cosa prevede di fare al riguardo il gruppo dirigente dell'azienda. Ho visto che sono state date alcune deleghe sulla piattaforma digitale, che valuto come un investimento di responsabilità

ROBERTO ZACCARIA, Presidente della RAI. Si tratta di incarichi.

GIUSEPPE GIULIETTI. La domanda però è altra e la risposta non riguarda la conoscenza di un elemento di definizione puramente verbale.
Vorrei sapere se la piattaforma digitale viene confermata come un grande impegno dell'azienda e se questo è avvertito come un fattore prioritario. Dico ciò perché credo che ad un Parlamento dovrebbe stare a cuore, oltre che la nomina del direttore del TG1, il fatto che sia stato votato un emendamento sulla piattaforma digitale, con una indicazione di politica industriale, che giustifichi la presenza della RAI. Dobbiamo pensare ad un grande polo nazionale o ad una RAI che può essere messa fuori in una notte da un accordo tra gruppi stranieri? Questo interrogativo mi pare molto più grave, perché riguarda la democrazia telematica di un paese. Tale questione mi sembra molto più appassionante, ma vorrei riuscire a capire se potremmo trovarci alla fine con un minutaggio preciso, che peraltro auspico, ma con un accordo sulla piattaforma digitale da cui non si comprenda quale sia la funzione dell'azienda pubblica (se sia per esempio una funzione residuale).
Vorrei che riuscissimo - è un richiamo che faccio a me stesso - a tenere a bada un eccesso di pressioni dei partiti ed imparassimo a vedere la pressione delle grandi lobby nel paese. Avviene in tutto il mondo, non vi è nulla di segreto circa il fatto che le grandi lobby spingono in una direzione o in un'altra le privatizzazioni.
Voglio anche capire se c'è un progetto di riformulazione dello statuto aziendale. Voi peraltro mi insegnate che questo non è un dato puramente rituale, perché da una scelta precisa di politica industriale può discendere una decisione che riguarda per esempio - sarò brutale - l'utilità di tre reti e tre telegiornali, concepiti nel 1975, in un altro contesto politico editoriale. Serve un assetto di altra natura? Oggi è molto più appassionante vedere come vengono utilizzate le nuove tecnologie per ridisegnare le reti, trattandosi tra l'altro di un tipo di intervento che libera risorse.
Un'altra questione riguarda la realizzazione di una rete senza pubblicità. Ho già ascoltato la risposta, ma mi permetto lateralmente di ricordare che si è oscillato in questo dibattito tra due posizioni: tutto il potere alle regioni, ognuna 24 ore al giorno (banalizzo, perdonatemi), ed una grande rete culturale.
Rivolgo un appello a tutti: rendiamoci conto che esiste uno spazio immenso tra questi due estremi. Esiste il problema di come si realizza il federalismo televisivo, di come si potenziano i centri di produzione di Torino, Milano e Napoli e di come vi sia un intreccio tra la funzione nazionale e locale. Questo mi pare un problema da tener presente, affinché non si oscilli permanentemente tra una rete tutta fondata su un palinsesto regionale e l'annullamento di una presenza. Sapete meglio di me cosa significhi in particolare nel centro-sud e nelle aree del nord del paese un polo di produzione esistente e funzionante come quello di Napoli. Penso anche al centro di Milano che da vent'anni si dice deve diventare un polo produttivo dove realizzare un trasferimento di funzioni; invece, l'asse Milano-Torino stenta ad andare in quella direzione.
Infine, per quanto riguarda la politica di assunzione di quadri, possiamo scrivere


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mille biglietti per segnalare l'anomalia di Bari e di Napoli al TG1. Ricordo che in altre stagioni, e per la verità il fatto non portò fortuna a quel direttore del personale e a chi allora si dedicò a tale tema, fu posta la questione della ricostruzione dei profili professionali dei dipendenti e la definizione dei criteri di selezione di assunzione. Ho letto interviste di diversi consiglieri che mi confortano e mi consentono di intervenire su tale tema.
Il problema non è la contestazione della singola assunzione, perché mi chiedo se non sia giunto il momento di definire i criteri di selezione globalmente intesi. Mi riferisco non solo ai criteri di assunzione attraverso le selezioni, ma ai criteri di una grande politica di formazione del personale. Più volte si è parlato della scuola-quadri, della definizione dei profili professionali, ma credo che un'azienda che voglia essere competitiva debba affrontare tale tema, che è essenziale. Qual è la formazione dei profili professionali? Qual è la formazione dei quadri? Quanto si investe in formazione? Faccio un esempio: leggendo i documenti che il presidente ci invia con molta puntualità, come le stesse relazioni e i bilanci della RAI, risulta che in vari settori dell'azienda vi sia un «buco» spaventoso nella fascia tra i quaranta ed i cinquantacinque anni, come se vi fosse un gruppo di dipendenti anziani che lascia l'azienda, poi una fascia di nuovo reclutamento e nel mezzo un «buco». Ritengo che questo dall'esterno sia visto come un problema drammatico di formazione di quadri e forse anche di assenza di una grande politica di reclutamento (sceneggiatori, ideatori, produttori).
Pongo il tema della politica della formazione e delle assunzioni, segnalando un punto al presidente, al direttore generale ed ai consiglieri. Sono due, tre anni che discutiamo della questione dei precari. Quando si parla di criteri di formazione e di politica dell'accesso, bisogna tenere presente che molti precari sono sostituzioni di pianta organica e che spesso essi sono la spina dorsale delle produzioni di azienda. Esiste allora il problema di definire i criteri per una politica del reclutamento trasparente.
Sulla questione della qualità, non credo competa a noi pronunciarci. Personalmente odio una visione pedagogica della Commissione, anche perché ciascuno tende a valutare la propria idea la migliore e se non realizzata ritiene che non esista il servizio pubblico. Ho l'impressione che in Europa l'esistenza del servizio pubblico sia qualcosa di più complicato rispetto alle nostre singole richieste.
Non entrerò nel caso Di Bella, mi permetto tuttavia di intervenire su una questione sollevata con l'onorevole Melandri e con altri parlamentari. Il servizio pubblico può anche essere il mezzo che in alcuni momenti sfida il problema degli indici di ascolto perché ritiene che vi siano elementi di tensione, di formazione e di passione civile sui quali valga la pena di investire.
Faccio l'esempio della situazione dell'Algeria, che è stata oggetto di una trasmissione da parte del servizio pubblico, l'unico in Italia che credo si sia occupato del problema, in un clima di semindifferenza generale. So tutte le difficoltà che si incontrano nell'affrontare un tema di questa natura, ma mi domando chi, se non il servizio pubblico, può sfidare il problema degli indici di ascolto su temi spinosi, difficili e che, per molti interessi di varia natura, altri non vogliono trattare, peraltro per ragioni assolutamente comprensibili per ciò che esiste intorno all'Algeria.
Vi è poi un tema sul quale vi è un grande silenzio generale: mi riferisco al lavoro minorile e allo sfruttamento di minori. È un grande tema su cui però non vi è la voglia di approfondire. Perché ho fatto questo esempio? Perché voglio capire se voi ritenete che il di più del servizio pubblico sia dato anche dalla possibilità, su questioni difficili, spinose o che non hanno una redditività, di fare una serie di investimenti, prescindendo dagli indici di ascolto. Lo dico proprio perché non condivido la tesi che sta avanzando nel dibattito culturale, secondo cui è servizio pubblico una buona serata televisiva. Questa è un'autentica idiozia dal punto di vista teorico. È


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servizio pubblico una società concessionaria del servizio pubblico che dedica diciotto ore del proprio palinsesto a ciò che stabilisce una convenzione. Una buona serata televisiva può esistere ovunque, non ha niente a che vedere con la nozione di servizio pubblico; sono questioni estremamente diversificate.

GIANFRANCO NAPPI. Credo che abbiamo dei tempi molto stretti, che possono rappresentare la misura del lavoro del nuovo gruppo dirigente, del nuovo vertice della RAI; un tempo molto stretto per rilanciare la funzione e il ruolo del servizio pubblico e di una grande impresa di servizio pubblico nel nostro paese, che non guarda però solo al nostro paese; un tempo stretto per le dinamiche aperte nel mercato della comunicazione a livello generale; un tempo stretto per le dinamiche aperte rispetto al decisore politico (definiamolo così). Vi è il rischio concreto che la RAI, se non si realizza in un tempo stretto una nuova capacità di intervento, possa progressivamente essere messa fuori gioco, come primo passo per altri processi presenti nel dibattito politico, ai quali il collega Taradash si è esplicitamente riferito, che riguardano non l'ingresso dei privati nella RAI ma tout court la privatizzazione della RAI e quindi, nella sostanza, il venir meno della sua ragion d'essere.
Credo che qui alla fine si esprimerà il giudizio sull'attuale vertice della RAI. Ma è un giudizio che attiene anche alla parte politica, alla Commissione di vigilanza, al Parlamento, al Governo, nella consapevolezza che probabilmente il vertice attuale sarà in ordine temporale l'ultimo al quale il problema potrà essere posto, perché se non si darà una risposta positiva durante la vostra permanenza in carica probabilmente le cose si assumeranno la responsabilità di dare la risposta, che sarà negativa.
Individuo tre punti sui quali sarebbe importante operare una riflessione da parte della Commissione di vigilanza, producendo anche indirizzi. Qualche cenno al riguardo è venuto anche dall'onorevole Giulietti.
Il primo punto riguarda una scelta netta per la diffusione dell'innovazione, dal punto di vista dei mezzi e dei prodotti; una scelta netta per collocare con decisione e con autorevolezza l'azienda di servizio pubblico in tutti i terreni più avanzati del mondo della comunicazione e fare in modo che sia presente, attiva, autorevole. Ciò riguarda, dal punto di vista dei mezzi, tutti i processi di digitalizzazione, riguarda lo sviluppo pieno e compiuto dei canali tematici, riguarda il tema della piattaforma digitale, che riprendo solo per esprimere una considerazione; poi vedremo cosa ci risponderà il consiglio di amministrazione ma vedremo anche cosa dovremo decidere noi, come Commissione di vigilanza e come Parlamento, su questo punto. Il quadro è mutato rispetto alla situazione di avvio dell'intesa, è mutato rispetto agli orientamenti di uno dei contraenti di questo patto, cioè Canal plus, ed è mutato rispetto agli orientamenti, alla conformazione, al controllo e alla direzione di un altro di questi soggetti, italiano, Telecom. Questo non può che portare ad una conclusione: il ruolo che era stato immaginato per la RAI in quel determinato quadro, mutato quel quadro, se vuole essere riproposto deve porsi in termini nuovi, più forti, più marcati sotto tutti i punti di vista.
Secondo punto: la diffusione territoriale della capacità di direzione e di realizzazione di una strategia, nel quadro di una rinnovata impostazione unitaria, quindi non la frammentazione, però la diffusione sul territorio di una rinnovata capacità di direzione, di ideazione, di realizzazione dei prodotti. Credo cioè che il modello centralista non regga più. C'è già una domanda che è cresciuta nell'azienda, oltre che nel paese, per avere una risposta in questa direzione. Questo è il tema della rete senza pubblicità, il tema della rete del Mediterraneo, il tema della dislocazione territoriale di punti di direzione degli stessi canali tematici, il tema di una riorganizzazione in chiave di diffusione territoriale delle attuali reti generaliste. Diceva bene Beppe Giulietti: non la moltiplicazione delle vigilanze RAI presso i venti o


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ventuno consigli regionali e quindi venti o ventuno elementi di controllo, ma la capacità di mettere in connessione il locale con il globale. Questa è l'operazione che si può fare, cioè rappresentare la ricchezza di esperienze, di capacità locali, storie, identità, culture, non solo rispetto alla dimensione nazionale ma anche rispetto alla dimensione generale. In questo senso, diffusione dell'innovazione tecnologica e della capacità territoriale di costruzione di direzione e di strategie.
Da questo punto di vista, la RAI può diventare uno dei soggetti promotori e di riferimento della modernizzazione del paese, anche e soprattutto sotto il profilo del futuro e della realtà del Mezzogiorno del paese. Romani avanzava dei dubbi sul fatto che il Parlamento varerà la riforma; egli parla a nome di una importante forza politica del Parlamento, che ha in mano non poco dei tempi, della qualità e dei contenuti della riforma. Però se il Parlamento non riuscirà a farlo, credo che a leggi vigenti toccherà a voi il compito di promuovere l'autoriforma della RAI, di cui la RAI ha bisogno per poter corrispondere alle esigenze che si pongono.
Per quanto riguarda la questione relativa all'informazione, credo che noi la affrontiamo troppo dal punto di vista del pluralismo (che pure è importante). Su questo auspico una nostra riflessione specifica, oltre che la vostra. Mi riferisco a come il paese riesce a presidiare le proprie fonti informative e riesce ad avere nella RAI un soggetto che rafforza questa capacità dell'intero sistema paese. Credo che qui non ci siamo davvero. Auspico che vengano compiute scelte coerenti per recuperare il ritardo che è maturato.
Cito un esempio. Partirà un canale all news satellitare; viene confermato lo sforzo per quanto riguarda la radio parlamentare, a prescindere: senza oneri aggiuntivi per il bilancio della RAI e dello Stato, viene confermato in ogni caso questo impegno. Di più: ritengo che si sia perduta un'occasione in questi giorni. Sono totalmente insoddisfatto del modo in cui l'azienda di servizio pubblico ha seguito la crisi irachena di queste ore, di questi giorni. Ci siamo emozionati - giustamente - per la liberazione di Soffiantini: edizioni straordinarie hanno riguardato il soggetto pubblico, il soggetto privato e così via. Ritengo che la RAI in proporzione abbia prodotto molto meno rispetto ad un evento che ha coinvolto ed interessato il mondo. Ieri sera al TG2 di seconda serata ho visto un servizio - mi permetto di dire - di un nostro ex collega, Fabrizio Del Noce, il quale, intimidito, ha detto che questo è un accordo stentato; poi su RAIUNO, nella trasmissione Porta a porta, c'era Pavarotti. Benissimo, ma poteva dare di più il servizio pubblico, su una questione che si è presentata in termini così decisi? Ritengo che questo sia un esempio di quello che la RAI dovrebbe fare.
Termino con un'ultima questione. Se il direttore generale ha avuto un potere di decisione sulla vicenda del ministro Bindi, esprimo qui il consenso per la decisione che egli ha assunto, perché è sbagliata l'origine, è sbagliato immaginare una programmazione nella quale, come diceva Falomi, non ci sia ab origine la possibilità di un contraddittorio. Nel momento in cui si è espressa una posizione di quel tipo, credo che il ministro della sanità abbia fatto bene a sentire il dovere di chiedere di poter intervenire su quel punto. Non so se il collega Romani preferisca i tempi passati, quando si mandavano le cassette videoregistrate a reti unificate per quanto riguarda il servizio pubblico.

ENRICO JACCHIA. Anch'io rivolgo gli auguri di buon lavoro al presidente e ai membri del consiglio di amministrazione. Affronto innanzitutto un tema al quale si è accennato e che è molto importante. Il disegno di legge n. 1138 probabilmente già questo pomeriggio, o comunque entro questa settimana, verrà all'esame del Senato. Vi scongiuro di non bruciarvi le dita, contrariamente a quello che suggerisce il mio collega Romani, nel voler discutere e definire nel consiglio di amministrazione della RAI quello che sarà il futuro della RAI non lasciandolo invece a noi del Senato, perché in Senato sarà una battaglia a sciabolate.


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Una seconda questione riguarda l'emittente senza pubblicità, che alla nostra parte interessa molto. Se non sbaglio, avete come termine per fare una proposta il 30 aprile. Il presidente ha detto poco, ed è logico, perché avete appena iniziato a riunirvi: sull'emittente senza pubblicità avremmo una politica positiva e strategica. Questa espressione «strategica» la stanno ripetendo tutti. Per diciotto anni ho insegnato studi strategici alla LUISS e vi dico che non significa niente, è una parola che dice tutto e niente. Considerata l'importanza del tema, anche dal punto di vista dell'eventuale ridistribuzione territoriale, cui ha accennato Giulietti, chiedo al presidente di fornirci qualche ulteriore indicazione, anche se mi rendo conto che è presto.
Per quanto riguarda l'editore, sono totalmente d'accordo con il presidente. È un giurista; non c'è ombra di dubbio che la sua definizione dell'editore è giusta.
Tre aree di attenzione: pluralismo, dati quantitativi e qualitativi. Fate molta attenzione, perché abbiamo ricevuto regolarmente i dati dell'Osservatorio di Pavia, che credo siano importanti. Certo, voi me lo insegnate, in stocastica (che è la statistica detta in linguaggio accademico) qualsiasi interpretazione è buona. Si dovrebbe lavorare di più sui dati quantitativi e qualitativi; il precedente direttore generale aveva portato in questa sede il responsabile dell'analisi dei dati. Credo che sarebbe molto interessante andare più a fondo, perché ci saranno dibattiti sulla quantità e sulla qualità degli interventi in RAI.
Quanto alle nomine, dice giustamente il presidente che la RAI intende prima definire i progetti e poi procedere alle nomine di coloro i quali andranno a dirigere i progetti stessi. C'est l'evidence mme, direbbe monsieur de La Palisse. Altrimenti fate come il Ministero degli esteri, che nomina ambasciatore in Pakistan il ministro consigliere che ha passato la vita in America latina. Certo, prima i progetti e poi le nomine, in questo sono perfettamente d'accordo.
È molto importante quanto ci ha detto il direttore generale parlando del caso dell'arcivescovo di Napoli e della procedura amministrativa interna per arrivare forse ad una sanzione. È un problema che qui abbiamo trattato a fondo, naturalmente nei limiti di tempo di questa Commissione. Da un lato non si può sanzionare troppo il giornalista, ma dall'altro mi sembra inaccettabile che in presenza di precise colpe non si proceda a sanzioni. Concordo con il direttore in merito alla procedura amministrativa interna, che gerarchicamente scende fino a chi ha commesso l'infrazione, lo sbaglio, e poi risale fino a lui stesso, che se ne assume la responsabilità. È tuttavia opportuno conoscere tutta la procedura, perché è bene che il capo si assuma la responsabilità ma è bene anche sapere chi ha sbagliato. Per quanto riguarda la cronaca nera, ne abbiamo parlato varie volte perché è un tema molto importante. Nella nostra televisione, spesso i primi quindici minuti dei telegiornali sono dedicati alla cronaca nera: un esempio è quello della cronaca relativa a quel povero ragazzo di quattordici anni che è stato ucciso a Napoli, dopo di che per diversi minuti si è mostrato un quartiere di una città meridionale con le finestre chiuse e la gente che scappava: sembrava Beirut con il coprifuoco! Vi rendete conto dell'effetto che queste immagini fanno su un bacino di 30 milioni di telespettatori del nord? Pensano che sia un altro paese!

MARIO LANDOLFI. Voteranno tutti per la lega!

ENRICO JACCHIA. La lega non c'entra: come sapete, sono un indipendente.
Rendetevi conto, però, dell'effetto che fa nel nord vedere per diversi minuti Napoli come se fosse Beirut.
Passo al punto chiave dell'orientamento in materia di politica estera: il problema dell'Iraq non è stato risolto (sentiremo forse in queste ore cosa decide l'America) e su di esso il Governo dovrà sicuramente tornare. Che atteggiamento prende il servizio pubblico? Non mi sembra che sia stato dedicato al problema troppo poco spazio: ho anzi l'impressione che lo spazio


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dedicato alla questione sia stato assolutamente adeguato. Voglio però citare due casi. Il primo: qualche sera fa, per tre minuti, nel momento in cui si stava decidendo se l'Italia sarebbe stata a fianco delle Nazioni atlantiche, oppure degli altri, il telegiornale ha fatto vedere bambini iracheni rovinati dal napalm, che piangevano; questo vuol dire andare contro l'azione del Governo, della maggioranza e dell'opposizione che in quel momento si orientava in un certo senso. Il secondo: l'altro ieri, in un servizio sulla guerra del golfo, sempre in prime time, ci sono stati tre minuti di critiche nei quali si presentavano quelli che avevano partecipato alla guerra come dei veri delinquenti, quando fra loro erano presenti i nostri ragazzi, i nostri soldati, che potevano morire e in qualche caso sono morti per l'Italia. Non è possibile che il servizio pubblico abbia un atteggiamento del genere!
Quanto ai temi che dovrebbero essere trattati dalla RAI, come Commissione abbiamo la competenza per le tribune tematiche e esamineremo, presumo fra breve, un progetto di risoluzione in materia. Con le tribune tematiche avremo modo di affrontare tutti quei temi che vengono evocati e per i quali si dà la colpa a voi di non trattarli: in collaborazione con la vostra direzione competente, potremo quindi via via mettere all'ordine del giorno questo tipo di temi. Rivolgo infine un augurio di buon lavoro ai membri del nuovo consiglio di amministrazione.

STEFANO PASSIGLI. A me non interessa come sia venuto in essere questo consiglio di amministrazione ed al riguardo ho idee diverse da quelle di Romani ma anche da quelle di Paissan sui meriti e i demeriti che hanno portato a questo esito: questa è ora la soluzione e mi sento rappresentato dal presidente quando rivolge un caldo benvenuto a questo consiglio, in cui noto essere presente una gamma di professionalità che fa ben sperare rispetto alle capacità di affrontare i problemi dell'azienda. Questo da un lato desta grandi aspettative, dall'altro lato spiega certi interessi della stampa per le riunioni preliminari: sono un grande difensore della privacy ma non mi preoccuperei troppo in questo caso, perché, se trovo legittimo che si cerchi di mettere a punto i vari linguaggi, trovo altrettanto legittimo l'interesse e la curiosità per le lingue che si parleranno. Lo dico perché, passata una fase iniziale e riconosciuto il pieno diritto, forse anche l'opportunità, per chi ha la responsabilità della guida di un'azienda di avere contatti anche informali, credo però che per il futuro il luogo dove le politiche si dovranno formare sia il consiglio; quindi, non sono certo favorevole ad una prassi di preconsigli, come avviene peraltro in tante aziende. In questo caso, però, questo tipo di prassi non mi sembra opportuna: quindi, a parte questa fase iniziale, quanto meno vi saranno occasioni private tanto meglio sarà. Non si porrà così il problema della violazione della privacy ed i consigli saranno i luoghi deputati per assumere le decisioni: questa comunque è un'osservazione assolutamente marginale.
Mi sembra invece molto corretto il tipo di impostazione che il presidente Zaccaria ha dato per quanto riguarda i rapporti con la Commissione. Egli ha toccato vari punti, che ricordo molto rapidamente perché mi sembrano molto opportuni, in quanto in passato hanno dato luogo ad incomprensioni tra la Commissione ed il consiglio: innanzitutto, visto che il pluralismo è un principio di fondo del funzionamento della RAI, come è stato ribadito più volte ed in più sedi (il legislatore, la sede giurisprudenziale), mi sembra corretto il richiamo del presidente Zaccaria al fatto che se ne può parlare solo se si ha una comune definizione, o ci si riferisce a standard comuni per quanto riguarda questo concetto.
Vi era chi sottolineava che non ci si deve ancorare solo a criteri quantitativi ma è chiaro che, se non mettiamo a punto criteri comuni, in futuro saremo sempre in disaccordo sulla capacità o meno della RAI di soddisfare a questa esigenza fondamentale. Su questo, quindi, mi sembra che il richiamo del presidente sia molto corretto. La stessa valutazione esprimo per quanto riguarda l'opportunità di


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rispondere tempestivamente sugli strumenti e documenti in generale, ed in particolare sui piani aziendali che verranno posti all'attenzione della Commissione: in passato, infatti, in alcuni casi, i tempi di lavoro, o di risposta, della Commissione sono stati tali non dico da pregiudicare ma sicuramente da non aiutare l'azienda nella definizione di certe sue strategie.
Sono naturalmente d'accordo sul principio che i progetti guidano le nomine e quindi devono essere i progetti ad essere esaminati da questa Commissione, la quale invece si è spesso imbarcata impropriamente in valutazioni sulle nomine, perché da esse cercava di ricostruire progetti o strategie (che forse in molti casi non erano dietro quelle nomine). Anche in questo caso è, se vogliamo, un richiamo scontato, perché non credo che nessuno voglia teorizzare il contrario, ma è opportuno farlo...

PRESIDENTE. Il problema non è la teoria, è la pratica!

STEFANO PASSIGLI. Infatti. Credo che sia opportuno anche il suggerimento, che mi è sembrato di cogliere, ad istituire un question time della Commissione nei confronti del consiglio. Si tratta di affrontare alcune questioni, che spesso attengono a questo o a quel programma, a questo o quell'incidente, che fanno perdere un tempo considerevole, enfatizzando (come è stato già osservato) il ruolo di vigilanza piuttosto che quello di indirizzo (che invece dovremmo cercare di potenziare appieno). Potremmo quindi affrontare collegialmente una serie di questioni che vengono sollevate, in cui spesso il punto di vista di chi le solleva, criticando questa o quella trasmissione, oppure un determinato episodio, finisce con il dare potenzialmente una visione distorta della valutazione della Commissione su quell'incidente, o supposto tale. Sicuramente, per esempio, per rimanere a quanto veniva osservato oggi, non avrei la stessa visione di chi ha ritenuto improprio l'aver permesso al ministro Bindi di intervenire in una trasmissione di intrattenimento: quando in una trasmissione di questo tipo si affrontano in via estemporanea questioni di politiche pubbliche, ritengo perfettamente legittimo che l'esponente di Governo responsabile chieda di intervenire, perché sarebbe assai singolare che lo si facesse soltanto in una sede parlamentare e non in una sede di grandissimo ascolto.
Non possiamo allora avere un decalogo su come comportarci in questi casi: lo dico con riferimento alle tante questioni che potrebbero essere sollevate, per esempio quella cui ora si accennava relativa alla copertura del problema iracheno nei telegiornali. Credo che tali questioni potrebbero essere utilmente affrontate in occasioni ad hoc, perché il question time consente di dedicare le sedute plenarie della Commissione alle tematiche di indirizzo, che sono quelle che maggiormente ci interessano.
Sollevo però un problema che mi viene suggerito dal solo aspetto, forse, dell'intervento iniziale del presidente sul quale ho dei dubbi: la sua affermazione che sulle questioni di grande momento delle alleanze occorre riservatezza. Le grandi alleanze sono il futuro dell'azienda: vi è un problema di definizione di politiche industriali, che chiaramente non può che essere operata da un consiglio di amministrazione nel quadro di scelte di fondo del legislatore. Queste scelte sono peraltro spesso incerte, in ritardo e non credo che si possa pensare che un consiglio di amministrazione non compia scelte su questioni fondamentali di politica industriale, attendendo il legislatore che verrà. Credo quindi che le debba compiere, altrimenti si trova di fatto un'azienda tagliata fuori dalle scelte di politica industriale. Sulla questione delle grandi alleanze, però, credo che non vi possa essere riservatezza. Vi sono moltissime possibili scelte, ma certamente, quando si parla di piattaforma digitale, o si solleva la questione di quale debba essere in futuro il capitale della RAI, sia come composizione sia come entità di risorse finanziarie che sottendono a certe scelte di politica industriale, la strategia della RAI di partecipazioni e di alleanze nel mercato delle


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telecomunicazioni è di importanza fondamentale. Si tratta infatti di scelte che condizioneranno la definizione dei futuri prodotti ed esse attengono alla vita e sopravvivenza di una grande azienda che opera in un settore in forte trasformazione.
Si pone anche a questo riguardo la questione di chi è l'editore e di chi è l'azionista. Sono perfettamente d'accordo con il presidente Zaccaria, che credo esprima la visione del consiglio (me lo auguro, almeno su questo punto, perché se così non fosse sarebbe per noi molto interessante sapere se vi sono divergenze): quando egli sostiene che l'editore è il consiglio d'amministrazione, sono perfettamente d'accordo, se per editore intendiamo colui che definisce il prodotto. I consigli possono suggerire agli azionisti le grandi politiche future, ma sono gli azionisti che decidono cosa fanno le società, scegliendo nelle società normali anche i consiglieri, i livelli di impegno finanziario, le risorse a disposizione e così via. Allora, che il consiglio sia l'editore non ho dubbi, perché non vedo chi altro potrebbe essere: l'editore non è il Parlamento e non può essere il pubblico per le ragioni che venivano indicate. Il pubblico è un'entità di riferimento, ma non è né azionista, né editore; l'azionista non è il Parlamento e basta: è il complesso di istituzioni pubbliche che regola il funzionamento della RAI, dall'authority al Parlamento, e per esso questa Commissione.
Se si è d'accordo con questa impostazione (lo vorrei sapere), questa Commissione ha un ruolo dialettico anche nella definizione delle grandi scelte strategiche, se non altro a livello di informazione ma anche come parte di quel complesso istituzionale che è l'unica vera controparte del consiglio di amministrazione della RAI. Su questo punto e sulla riservatezza o meno delle grandi scelte - spero di non aver forzato troppo il ragionamento - vorrei qualche chiarimento, che non significa far conoscere in anticipo le proprie mosse ai concorrenti, ma indicare il cammino che l'azienda intende percorrere.

MARIO LANDOLFI. Non voglio sottrarmi alla logica del saluto di benvenuto ai nostri ospiti, perché a questo punto mi sembrerebbe scortese, visto che lo hanno fatto tutti. Ciò premesso, formulo il mio saluto con grande sincerità, anche alla luce delle considerazioni esposte dal presidente, alcune molto importanti, altre, se mi si consente, al limite dell'ovvietà, come il voler rispettare o comunque coltivare con la Commissione un rapporto proficuo e ossequioso delle scadenze. In realtà è normale, perché certi adempimenti sono previsti dalla legge, come per esempio i rapporti tra il consiglio di amministrazione e la Commissione.
Più interessante mi sembra invece il riferimento ad una sorta di testo unico volto a razionalizzare e ad accorpare le norme riguardanti la Commissione in materia di indirizzo e di controllo, problema tuttora aperto. Come componente la Commissione, la ringrazio di tale iniziativa, perché uno dei punti di discrimine e di controversia tra la Commissione e il precedente consiglio di amministrazione ha riguardato proprio questo aspetto. Forse il termine «cacciato» è esagerato e improprio, ma è anche vero che vi è stata una grande controversia tra la Commissione ed il consiglio per la mancata attuazione di indirizzi che per quest'ultimo hanno valore di legge in quanto vincolanti.
Se questa non è la sede per compiere un'analisi sui motivi per i quali il precedente consiglio è stato costretto in qualche modo ad abbandonare l'incarico, voglio citarne uno che, a mio avviso, può dare l'idea di ciò che è accaduto. Il precedente consiglio è responsabile della crisi di identità che ha investito il servizio pubblico, una crisi che deriva dall'aver ridotto ad una le culture politiche del paese. La mancanza di pluralismo all'interno della RAI non è una questione di minutaggio, né di presenze più o meno significative sugli schermi del servizio pubblico. Tale mancanza si è configurata invece come il tentativo di ridurre ad una le culture politiche italiane. La RAI è diventata un grande veicolo di conformismo da cui è derivata, a mio avviso, una crisi di credibilità che ha


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portato a risultati penosi ed allarmanti in termini di audience.
In merito a quanto riferito dal presidente Zaccaria, se dovessi trarre, in termini numerici, una sintesi giornalistica, direi che il risultato è zero a zero, non perché ci dovessero essere vincitori o vinti, ma perché, proprio attraverso questa audizione, è emersa tutta l'incongruenza di un sistema.
Il presidente Zaccaria ha giustamente rivendicato alla RAI un ruolo particolare, tanto è vero che ha usato l'espressione, a mio avviso calzante, di servizio pubblico in regime di competizione. Si tratta di un centauro, metà uomo e metà cavallo, metà mercato e metà servizio pubblico. Dall'altra parte però vi è una Commissione parlamentare di vigilanza che rivendica un proprio ruolo, come abbiamo sentito anche adesso dal senatore Passigli, rispetto a situazioni e ad aspetti del servizio pubblico, che invece il presidente Zaccaria ritiene afferiscano in qualche modo al mercato. Per esempio, la piattaforma digitale, un problema importantissimo, fondamentale e strategico - concordo in questo con l'onorevole Giulietti - investe il futuro della RAI. Ebbene, rispetto a questo problema la Commissione rivendica il diritto a sapere, sottolineando che la piattaforma digitale comune è nata grazie ad un emendamento proposto dal Governo ed approvato dal Parlamento. Altrettanto giustamente lei ritiene che alcune questioni, come per esempio quella relativa alle grandi alleanze, se rivelate, anche in una sede istituzionale come può essere la Commissione parlamentare di vigilanza, possano costituire un vantaggio per la concorrenza. Stabilire ciò non rientra nei compito della Commissione, né del consiglio, ma del Parlamento; tuttavia mi piacerebbe conoscere l'opinione del consiglio di amministrazione, l'opinione e non altro, perché lei ha avuto l'onestà di sottolineare che questa prima audizione servirà solamente a conoscerci e che le risposte sulle scelte strategiche aziendali che il consiglio intende compiere sono rinviare ad un'altra seduta.
Anch'io faccio riferimento al disegno di legge n. 1138 per sottolineare l'opportunità di ridefinire il servizio pubblico, visto che giustamente, come ha rilevato l'onorevole Giulietti, è cambiato tutto rispetto a venticinque anni fa. Se facciamo riferimento soltanto all'innovazione tecnologica, noto che l'attuale scenario è estremamente diverso da quello del passato.
Anche se mi rendo conto di porre una domanda rispetto alla quale il consiglio può non rispondere perché non rientra nei suoi compiti, vorrei sapere se il servizio pubblico viene inteso unitariamente o se invece può essere, come in qualche modo prevede l'articolo 7 del suddetto disegno di legge, suddiviso e spezzettato. Anche questo aspetto fa parte dei problemi di cui ci dobbiamo occupare.
Non serve soltanto ridefinire il servizio pubblico rispetto all'informazione, all'innovazione tecnologica e a tanti altri aspetti, esso deve essere riconsiderato anche in relazione al concetto di unitarietà. La RAI che conosciamo è una realtà di un certo tipo, ma potrebbe essere diversa. Quali siano i risultati rispetto a problemi ancora aperti, come quello del pluralismo, non è dato sapere.
Accogliendo l'invito del presidente Zaccaria di non porre domande, almeno per il momento, su temi che coinvolgono le scelte strategiche dell'azienda, pongo due questioni riguardanti singoli aspetti che mi sembrano emblematici del mondo RAI: una sul pluralismo e l'altra sulla gestione.
La prima questione riguarda il rapporto tra cinema fiction e le reti. Lei sa benissimo che nell'estate di due anni fa, nel 1996, sono state formalizzate le competenze per cinema fiction; in realtà questa formalizzazione non è stata accompagnata da una contestuale rideterminazione delle procedure, controlli e competenze idonee a regolare i rapporti tra la struttura del dottor Silva e le reti.
Non dico questo solo alla luce delle recenti inchieste giudiziarie che hanno visto protagonista - suo malgrado - il dottor Silva e la sua struttura, ma per dare un'idea di come le cose, all'interno di una azienda così complessa e importante come


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la RAI, non funzionano come dovrebbero, soprattutto in un settore importante come quello della fiction.
L'assenza contestuale di regole, di procedure e di criteri si notano subito: cinema fiction di fatto si muove come un produttore unico, come dominus assoluto ed agisce al riparo dei necessari controlli da parte delle reti, alle quali non è concesso neppure di rifiutare il prodotto finito. Il prodotto, infatti, cala dall'alto ed è inserito nelle reti indipendentemente dalla linea editoriale, dal palinsesto di rete e da tutta una serie di procedure e di regole che invece sarebbe opportuno introdurre. L'assenza di tali regola porta anche ad un'altra conseguenza: la mancanza di un controllo preventivo sulla effettiva qualità del prodotto, sulla sua reale programmabilità in prima serata e del rispetto dei tempi di consegna. Questo significa che le reti si sono trovate nell'impossibilità di vedere confermata la linea editoriale della fiction; di conseguenza vi può essere una fiction che in qualche modo è in contraddizione con la linea editoriale della rete. Per esempio, RAIDUE ha creato una linea dalle 20 alle 20.30 che è stata già disattesa, nonostante fossero stati presi accordi in questo senso. La conseguenza principale di tutto questo è che la rete finisce per concepire la fiction come un tappabuchi rispetto ad una rete editoriale che dovrebbe riuscire a contenere anche altro.
Mi chiedo se i nostri ospiti non considerino questo modello ormai obsoleto, superato e se alla luce di tali considerazioni non ritengano
utile un nuovo assetto che consenta alle reti di svolgere un ruolo attivo rispetto alla fiction, un ruolo che veda la rete partecipare alla fase di ideazione, di programmazione ed anche di programmazione, di controllo e di messa in onda di programmi.
Un altro aspetto riguarda il pluralismo il quale in molti modi non viene rispettato dalla RAI; il discorso non riguarda i partiti e i movimenti politici, ma la vicenda del caporedattore della sede di Napoli, che ha ricevuto un provvedimento disciplinare (un richiamo scritto) per aver pubblicato su un giornale, sotto la testata opinioni, un suo commento senza remunerazione.

PRESIDENTE. Si riferisce al dottor Corsi?

MARIO LANDOLFI. Esatto, al dottor Ermanno Corsi; del suo caso vi è stata una vasta eco anche sulla stampa locale.

GIANFRANCO NAPPI. Editorialista del giornale Roma, dove scrive tutte le domeniche in prima pagina.

PRESIDENTE. La libertà di espressione del pensiero è sempre stata tutelata da lei!

MARIO LANDOLFI. Il riflesso condizionato dell'onorevole Nappi...

PRESIDENTE. Purtroppo sui giornali scrive anche l'onorevole Tatarella e questo forse non va bene!

MARIO LANDOLFI. Sincero democratico! Non ci sono dubbi, lo ha dimostrato un secondo fa.
L'onorevole Nappi forse non sa o finge di dimenticare che per i giornalisti RAI esistono due possibilità. Innanzitutto quella di chiedere l'autorizzazione all'azienda per scrivere; sono prestazioni professionali remunerate e non vi è obbligo di chiedere autorizzazione alla RAI, poiché si tratta dell'espressione di opinioni. Non voglio risalire all'articolo 21 della Costituzione, che mi sembra vulnerato dall'atteggiamento della RAI, ma voglio richiamare l'articolo 8, ultimo comma, del contratto di lavoro dei giornalisti, il quale stabilisce che in ogni caso il giornalista non può assumere incarichi in contrasto con gli interessi morali e materiali dell'azienda cui appartiene, e non mi sembra questo il caso. Il giornalista può manifestare le proprie opinioni attraverso altre pubblicazioni di carattere culturale, religioso, politico e sindacale. Lo stesso dottor Corsi scrive anche per la Repubblica, per la pubblicazione di Napoli, non come editorialista, ma opinionista, cioè colui che scrive senza alcuna remunerazione. Chiedo di


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sapere dalla RAI per quale motivo sia stato adottato un provvedimento nei suoi confronti che, non solo mi sembra esagerato, ma è in aperto contrasto con il dettato dell'articolo 21 della Costituzione.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Melandri, Ricciotti, Baldini, De Murtas, Grignaffini ed io interverremo nella prossima seduta, che si terrà giovedì 26 febbraio, poiché proporrò all'Ufficio di Presidenza di convocare la Commissione per consentire la conclusione dell'audizione.
Do ora la parola al senatore Costa.

ROSARIO GIORGIO COSTA. Signor presidente, consiglieri e direttore, siete come altri furono; e, per spirito benaugurante, non dico che sarete come altri sono stati, perché in definitiva sono dell'avviso che coloro i quali vi hanno preceduto fossero pure persone probe, competenti e in buona fede. Mi sono sforzato di pensare come mai persone di tale livello morale e culturale non abbiano il gusto di lasciare contenti il popolo italiano e la Commissione di vigilanza, che evidentemente di esso è espressione. La mia pratica gestionale mi induce ad indulgere per gli amministratori, perché ritengo difficile trovare uno scellerato che non voglia fare bene. Quando ciò accade, bisogna vedere perché si verifica. In questo caso, rimanendo all'ambito che più strettamente riguarda la Commissione, mi riferisco alla verifica dell'idoneità del servizio con il rispetto del pluralismo, che la Commissione va postulando con i suoi documenti, e al rispetto del contratto di servizio che lega il popolo italiano a questa azienda, che di tale servizio è assuntrice.
In questa azienda, come ho detto altre volte, mi pare di vedere la dicotomia, esistente nelle gestioni sanitarie, tra organo amministrativo e organo gestore del massimo livello: l'amministrazione e i primari, la direzione sanitaria. Il parallelo regge, perché è difficile che l'amministratore riesca a rendere il conto; sì, lo rende, ma il conto amministrativo, il conto con riferimento al rispetto del contratto di servizio e al rispetto da parte dei giornalisti e dei professionisti agenti della società.
Mi permetto di esprimere questa opinione e di formulare questo augurio. Prestate attenzione (non intendo dare ordini, perché non abbiamo né la facoltà né il piacere di darli) al rispetto rigoroso, permanente delle regole che sono esposte nei contratti che la RAI stipula con gli agenti e i giornalisti. La caduta una sola volta rende impossibile per voi gridare allo scandalo e pretendere la risoluzione del contratto per inadempimento, con tutte le conseguenze che sono le clausole della risoluzione del contratto. Lo stesso dicasi per il contratto di servizio.
Impiegherei quindi la stragrande maggioranza del tempo, se fossi amministratore (tale non sono, per mia fortuna, ma ho l'obbligo di riservare a voi comprensione), su questi due aspetti. Se riuscirete in questo compito, evidentemente non accadrà di dover prendere atto dell'inadeguatezza del consiglio, che secondo me spesso si rivela tale per causa non imputabile ai componenti il consiglio di amministrazione ma riconducibile agli altri agenti ai quali di fatto è demandata la guida della carrozza, sul piano del perseguimento della qualità e del tipo di prodotto.

ROBERTO ZACCARIA, Presidente della RAI. Con riferimento al tema, affrontato da diversi commissari, della piattaforma digitale, dell'alleanza, della politica industriale, sono convinto che sia una grande priorità della nostra attività, come è stato ribadito in questa sede. Sarebbe assurdo pensare che non ci sia un dialogo su questo argomento. Ho detto quali sono a mio avviso i problemi che possono rendere più difficile una comunicazione integrale o completa ed ho suggerito (non so se la vostra prassi e i vostri regolamenti lo consentano) in qualche occasione un meccanismo di audizioni riservate. È chiaro che il discorso non si pone in ordine alle decisioni che avremo preso e che dovremo spiegare; quello va da sé, è ovvio. Mi pare di avere anche detto che avrei sottolineato alcune ovvietà. Sono secondo me meno


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ovvie le considerazioni quando parlo del rispetto integrale e sostanziale delle indicazioni della Commissione, perché si può benissimo rispettarle dal punto di vista procedurale ma non da quello sostanziale. Anche questa è una cosa che si vede dopo, non prima.
In quell'ambito, intendo studiare formule che consentano questo rapporto più diretto con la Commissione su temi di rilevanza strategica. Il discorso è stato toccato da quasi tutti gli intervenuti. Lungi da me parlare di non trasparenza e di non comunicazione. Ho prospettato una modalità di comunicazione.

PRESIDENTE. Mi scusi, la interrompo per fornire elementi ulteriori in proposito. Non credo che sia possibile trovare nelle pieghe del nostro regolamento la segretezza delle sedute; se così fosse, la nostra sarebbe la Commissione antimafia, un'altra cosa. Noi siamo qui in rappresentanza del paese. Se la RAI ritenesse di arrivare ad un rapporto di collaborazione con la Commissione anche su questi temi, mi batterei con tutte le mie forze per evitare segretezza, perché il problema della trasparenza è fondamentale. Intendevo farle conoscere la mia opinione, per quel poco che vale.

MAURO PAISSAN. Quello che non potete dire, non lo dite.

ROBERTO ZACCARIA, Presidente della RAI. Presidente, la ringrazio per questa precisazione. Voi capite il senso di questo discorso.
Per quanto riguarda il tema affrontato in particolare dall'onorevole Giulietti e relativo alle assunzioni, ai precari, alla formazione, risponderà il direttore generale. Voglio solo dire che l'intendimento, ancora non formalizzato, ma certamente emerso da questi primi incontri tra di noi (quindi non è un'indicazione formale) è quello di aprire, per quanto riguarda l'accesso alla RAI, delle porte che siano per tutti. Chiamateli pure concorsi o qualcosa del genere, ma il paese sappia che in questa azienda si può entrare anche attraverso porte, più o meno grandi, uguali per tutti, nei vari settori dove le risorse sono indispensabili. È un segnale che ci accingiamo a dare; naturalmente fa parte delle intenzioni e del progetto che verrà calibrato su questi argomenti.
L'onorevole Nappi ha affrontato il tema della privatizzazione e dei rischi collegati ad una mancata decisione. In proposito, un argomento che è sopra di noi riguarda un referendum svolto in questo paese, al quale non siamo noi che dobbiamo dare attuazione; è il legislatore che deve darvi attuazione, nell'ambito delle sue competenze. Credo però che quello sia un presupposto ineliminabile.
Per quanto riguarda le scelte che invece dovremo assumere al di sotto di quelle decisioni di natura parlamentare, credo che in questo momento potete avere delle garanzie nella biografia di ciascuno di noi. Prima si è parlato delle ragioni per cui sono state scelte certe persone: credo che qualche significato questo possa avere. Non vorrei dire di più.
Anche sul discorso relativo sempre a scelte parlamentari, holding, non holding, ho mantenuto un riserbo sulla questione relativa al disegno di legge n. 1138, sul quale più di un commissario ha richiamato l'attenzione, semplicemente perché non è nostro compito in questa sede sposare una tesi piuttosto che un'altra. Certo, abbiamo delle idee e cercheremo di manifestarle, ma credo che anche la soluzione macro-organizzativa, sulla quale riferirà in termini più particolari il direttore generale, possa essere una variabile che non presuppone necessariamente il discorso di privatizzazione. Quindi dipenderà dalla soluzione funzionale. D'altra parte, guardando quello che avviene all'estero, sappiamo che esistono formule organizzative più articolate senza che questo voglia dire automaticamente privatizzazione. Siamo però in attesa di quello che deciderà il Parlamento su questo argomento.
Con riferimento alla simpatica precisazione sulle strategie, agli abbinamenti tra certi piani con riferimento all'emittente che io continuo a definire senza pubblicità ma che i miei colleghi in consiglio


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aspettano di definire presto con un concetto positivo, certamente alcuni degli ingredienti che qui sono stati ricordati ci saranno; evidentemente leggendo insieme i vari documenti può darsi che questo non sia chiaro. Tra l'altro non so se sarà possibile farlo ora senza «strozzare» le risposte, ma i consiglieri che hanno incarichi in tal senso potranno dire qualcosa più di me. Se poi aspetteremo una settimana o qualche giorno, saremo in grado di fornire risposte più puntuali.
Sul discorso relativo all'unitarietà, affrontato in particolare dall'onorevole Landolfi, vorrei dire che come al solito sull'unitarietà del servizio pubblico io sto alle leggi esistenti. La legge vigente, la n. 249 del 1997, che conoscete meglio di me, dice «pur nell'ambito dell'unitarietà del servizio pubblico». Quindi abbiamo come punto di riferimento le indicazioni del legislatore; ed in questo momento l'indicazione sul concetto di unitarietà del servizio pubblico è estremamente nitida.
Il senatore Costa ha espresso dei suggerimenti di metodo; è una sottolineatura di responsabilità che percepiamo perfettamente.
Credo che il direttore generale intenda aggiungere qualche ulteriore considerazione.

PIERLUIGI CELLI, Direttore generale della RAI. Quanto all'Iraq, la cosa di cui ci siamo preoccupati è stata di avere una copertura tale per cui qualora si fossero verificati eventi di qualsiasi tipo la RAI sarebbe stata presente nella maniera più completa possibile. Credo che ciò l'abbiamo ottenuto; infatti questa è una delle prime volte in cui abbiamo tenuto aperto uno studio televisivo vero tutte le notti; abbiamo messo insieme i tre direttori delle tre testate, abbiamo fatto una task force inter-TG, in maniera tale che anche di notte, se fosse accaduta qualunque cosa, la RAI sarebbe stata presente. Abbiamo anche programmato l'eventualità di interventi differenziati lungo la giornata, in maniera tale che non si dovesse assistere al solito fenomeno per cui una testata divora l'altra lungo il palinsesto giornaliero. Avevamo quindi programmato tutto sia in un caso sia nell'altro. Lo studio è stato aperto venerdì sera e rimarrà tale fino a venerdì di questa settimana.

MAURO PAISSAN. Ieri non c'è stato nemmeno un approfondimento sull'accordo.

PIERLUIGI CELLI, Direttore generale della RAI. Credo che ieri sera TG2 Dossier (perché ieri era di servizio il TG2) abbia fatto un bel lavoro, in maniera abbastanza corretta ed approfondita.
Vorrei rispondere a due questioni sollevate dall'onorevole Landolfi; la prima riguarda il settore Cinema fiction e i rapporti con le reti, la seconda concerne il caporedattore di Napoli (anche se in verità credo che quanto è successo non sia responsabilità nostra). Quanto al primo problema, se ben ricordo è un'alternativa storicamente ciclica in RAI: tutto concentrato in una struttura produttiva, tutto passato alle reti. Credo che faccia parte del disegno generale di riassetto della RAI anche vedere cosa collocare nelle strutture produttive e cosa collocare invece nelle reti o nella collaborazione tra le due. Certamente faremo una riflessione in proposito e rivedremo le regole, in maniera da renderle le più trasparenti possibili.

PRESIDENTE. È una notizia straordinaria questa!

PIERLUIGI CELLI, Direttore generale della RAI. Credo che faccia parte della riflessione generale sul riassetto del sistema al quale si deve procedere.
Per quanto riguarda le attività fuori servizio dei giornalisti della RAI, salvo rivedere le regole (che quattro anni fa avevamo definito in maniera molto stretta e che non so se continuino o meno ad essere quelle, per cui da questo punto di vista non posso essere preciso), nel momento in cui chiediamo alla RAI trasparenza, equilibrio e pretendiamo che coloro che lavorano nell'azienda non siano etichettabili, ritengo vi debba essere molta prudenza da parte dei giornalisti della RAI in questo tipo di attività. Lo dico perché, per


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esempio, alcune attività di giornalisti della RAI in questi giorni non hanno avuto la mia approvazione: che un direttore di testata scriva un articolo su un quotidiano più o meno di partito, non mi sembra conveniente; mica per altro: perché poi diventa difficile, per chi ci guarda dall'esterno, attribuirci quella imparzialità di cui dovremmo dare prova.
Anche in questo settore, quindi, credo che faremo una riflessione e definiremo delle regole, le più equilibrate possibili

MARIO LANDOLFI. Rispettando l'articolo 21 della Costituzione!

PIERLUIGI CELLI, Direttore generale della RAI. Certo, non coartando la libertà di pensiero e tuttavia, se uno scrive per un editore, è difficile che possa scrivere anche per altri editori. Questo almeno avviene nella carta stampata in generale, a parte poi i casi particolari da valutare. Il problema, dunque, va approfondito, in maniera che la soluzione sia trasparente, equilibrata, nota a tutti: i comportamenti potranno così essere uguali per tutti e lo stesso varrà per le eventuali sanzioni.
Per quanto riguarda le assunzioni ed i precari, abbiamo un enorme serbatoio di lavoratori precari: l'ultimo accordo sindacale, che entra in funzione proprio in questi giorni, ha innovato abbastanza nel settore, perché favorisce contratti non di precariato immediato, ma con durata triennale (pur essendo parziali nella durata triennale, in quanto si prevede di far lavorare 24 mesi su 36 le risorse che negli ultimi sei o sette anni hanno accumulato almeno mille giornate di lavoro nella RAI). Si cerca quindi di dare una certa stabilizzazione al precariato: è il primo accordo che viene stipulato nel settore e diventa esecutivo, ripeto, proprio in questi giorni. Verificheremo come funziona: ci vorrà sensibilità e vi saranno delle precauzioni da prendere, per non generare un contenzioso immenso che immetta in servizio a tempo indeterminato tutte queste risorse. Se si sostiene che 11 mila dipendenti sono troppi, che bisogna ridurne il numero ed abbiamo nel contempo la preoccupazione di assicurare continuità di lavoro ai precari che da anni lavorano con la RAI, l'equilibrio tra i due aspetti credo vada gestito con molta saggezza e precisione. Bisogna inoltre che i meccanismi siano chiari e noti a tutti, perché non favoriscano soltanto alcuni.

PRESIDENTE. Ringrazio il consiglio di amministrazione della RAI, la cui audizione proseguirà giovedì prossimo.

La seduta termina alle 14,20.

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