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Seduta del 28/10/1997


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Audizione del presidente e del direttore generale della RAI, relativa ai contenuti della programmazione radiotelevisiva della concessionaria pubblica nelle ultime settimane.

PRESIDENTE. Do la parola al presidente Siciliano, che risponderà ai quesiti che gli sono stati posti nel corso del dibattito.

ENZO SICILIANO, Presidente della RAI. Signor presidente, onorevoli commissari, siamo stati convocati qui, con il direttore generale, per informare la Commissione sull'applicazione della direttiva sul pluralismo durante la crisi del governo Prodi da parte della RAI.
Tralascio le polemiche di stampa e le considerazioni personali di chi, improvvisamente a 63 anni, viene tacciato di essere pedina o ingranaggio o, insomma, elemento, di un regime politico. Vi assicuro che non avrei mai pensato di trovarmi nella mia vita coinvolto in una polemica simile.
Ogni individuo ha un rapporto con la propria coscienza e ad essa risponde per quel che riguarda comportamenti che, spesso, solo l'etica può collocare da una parte o dall'altra. Io, scusate l'inciso - e mi sento di parlare anche a nome del consiglio d'amministrazione e del direttore generale - sono a posto con la coscienza. Ma per il rispetto che porto a questa Commissione so che, al di là delle pagine dei giornali e delle riflessioni personali, ci sono questioni che è importante e giusto affrontare nelle sedi istituzionali, non sottraendosi alla positiva dialettica con le forze politiche e, anzi, sapendo scremare le legittime richieste di un organismo parlamentare dalle querelles proprie delle battaglie che coinvolgono grandi interessi. Ho sempre ritenuto utile, infatti, il confronto con questa Commissione parlamentare, al di là delle possibili polemiche contingenti.
Veniamo dunque alla questione posta all'ordine del giorno: la RAI imparziale oppure no. Lascerò al direttore generale l'illustrazione dei dati dell'osservatorio di Pavia. Ma voglio dire che, nonostante questi dati stiano a testimoniare la complessiva equidistanza dell'informazione politica della RAI durante la crisi di Governo, ritengo vadano usati - l'ho sempre sostenuto in questa sede altre volte - come uno strumento in più di valutazione e non come una precisa, e forzosamente persuasiva, fotografia del reale.
Un altro elemento che vorrei fosse preso in considerazione è sicuramente la grande mole di notizie date durante il periodo in questione: decine e decine di ore, attraverso televisione, radio, televideo, Internet, che hanno informato gli italiani sul fatto principale dell'agenda politica. Bisogna pensare, infatti, che quel che si chiama «l'informazione RAI» è un insieme di testate ed edizioni che passano su diversi supporti: non si limita agli appuntamenti serali dei telegiornali o alla trasmissione informativa di punta.
Ebbene, perché guardare alla quantità è importante? Perché, nel complesso dell'informazione fornita (un'informazione che è risultata sempre più richiesta dai cittadini), è facile scoprire - lo confermano anche i monitoraggi - che sono state portate all'attenzione e fatte emergere le diverse opinioni e posizioni.
Ma, attenzione: so pure che - allo stesso tempo - nello svilupparsi della quantità è più facile che qualche errore sia stato commesso. Io non ho mai sostenuto che non possano essere stati commessi degli errori, che a volte commenti e cronache si siano potute confondere, cosa che ritengo non essere corretta per un servizio pubblico. Si potrebbero cercare molte scuse a questo: la concitazione del momento, il parlare in diretta, le trattative politiche che si succedevano a ritmo serrato e imprevedibile. Ma lascio stare, gli errori sono errori e non vanno dimenticati perché non siano ripetuti.


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Due cose però ritengo utile sottolineare davanti a questa Commissione: escludo che alla base di questa mancanza ci sia stata una precisa volontà partigiana o una faziosità programmata. Non credo, cioè, che si possa parlare di una volontà di modificare il quadro degli eventi distorcendolo a fini di parte. Allo stesso tempo, per il ragionamento fatto in precedenza escludo che questi errori abbiano inficiato il risultato dell'informazione nel suo insieme, che è risultata rispettosa delle diverse posizioni, equilibrata, di qualità. Credo che queste siano le considerazioni che vadano tenute presenti oggi. In azienda abbiamo discusso e stigmatizzato, come il direttore generale vi potrà dire.
Continuo a credere che nella responsabilità e nella professionalità dei direttori di testata e dei giornalisti della RAI, vi sia l'unica soluzione all'osservanza di quelle regole sul pluralismo che la Commissione ha posto giustamente alla base del funzionamento del servizio pubblico. Poi vi sono gli ordini professionali, i codici, la possibilità di sanzioni, la deontologia dei singoli professionisti, che consentono sia esercitata correttamente la libertà di stampa. Cose che valgono ovviamente per tutti i giornalisti professionisti che fanno capo ad un ordine.
Proprio questo ragionamento, sulla maggiore difficoltà di essere operatori e giornalisti nel pubblico, è alla base di un'iniziativa che ho preso in qualità di presidente, mettendo in agenda RAI una conferenza sull'informazione e sui suoi diritti e doveri, una conferenza a cui inviterò anche tutta la Commissione parlamentare.
I grandi cambiamenti che insisteranno sulla RAI meritano, infatti, una riflessione sganciata dalle polemiche del quotidiano e dalle questioni che voi e noi ci troviamo ad affrontare ogni giorno. Ritengo che l'esistenza di un servizio pubblico sia fatto positivo per la vita di un paese e che le trasformazioni che ci sono davanti siano una grande scommessa per tutti. Vi ringrazio.

FRANCO ISEPPI, Direttore generale della RAI. Questa è un'importante occasione per ragionare insieme non soltanto su episodi contingenti ma su un lungo periodo, utilizzando i dati di cui siamo e siete in possesso da oltre tre anni, senza per questo fermarci al solo dato numerico. Questi anni hanno visto al centro del dibattito anche la questione della par condicio: se cioè dovesse essere permanente oppure strettamente legata a periodi elettorali.
Il legislatore ha scelto questa seconda strada - indipendentemente dai singoli decreti e leggi che si sono succeduti negli ultimi anni - restando stabilito che il complesso dell'informazione dovesse tenere sempre conto delle normative esistenti, che garantiscono anche libertà, autonomia e responsabilità di giornalisti e programmisti nella stampa come nella radio e nella televisione pubblica e privata. Sappiamo che in questo contesto il servizio pubblico ha una particolare responsabilità. Tanto è vero che da sempre la nostra attività deve tenere conto degli indirizzi della Commissione parlamentare di vigilanza e della Carta dei diritti e dei doveri.
Che cosa deve garantire la RAI? I singoli partiti? I diversi schieramenti? O deve garantire un servizio al cittadino che riguarda le attività delle istituzioni, ed in particolare quella del Governo, e l'informazione sui vari momenti del confronto politico? Certamente quest'ultimo tipo di garanzia ci sembra più vitale anche perché il compito del servizio pubblico - ed è il problema che abbiamo di fronte - è quello di staccare l'esercizio della professione giornalistica e di programmazione perfino dal sospetto di un rapporto con i partiti: essere cioè in grado di rappresentare, con la dovuta completezza e lealtà verso i cittadini, la realtà del paese, i suoi accadimenti, gli eventi di cronaca, i nodi cruciali della nostra vita pubblica.
In questo senso occorre un grande sforzo da parte di noi tutti di riqualificazione della professione e del prodotto giornalistico. Di questo ha già diffusamente parlato il presidente. Nella fase conclusiva del mio intervento ritengo opportuno ritornare su quest'importante argomento.


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Mi sembra utile, per proseguire il ragionamento sulla rappresentazione degli eventi politici ed istituzionali, soffermarmi su alcuni dati che emergono dalla serie storica delle nostre rilevazioni. In particolare sullo spazio attribuito agli esponenti del Governo, dal maggio 1994 ad oggi. Nel periodo 5 maggio-31 dicembre 1995 (Governo Berlusconi), agli esponenti dell'esecutivo è andato circa il 41 per cento del tempo dedicato alle interviste; nel periodo 20 gennaio 1995-20 febbraio 1996 (Governo tecnico Dini), agli esponenti dell'esecutivo è andato circa il 16 per cento del tempo; nel periodo del Governo Prodi, il dato RAI è in media di circa il 30 per cento (sulla parte storica dei dati di Pavia e del centro di ascolto radiotelevisivo di Roma, fornisco l'allegato 1).
Questi tre dati c'impongono una riflessione. Solitamente, in Italia come negli altri paese europei, all'attività del Governo e dei suoi esponenti viene dedicato un terzo dell'informazione politica. Dai dati che ho appena ricordato, mi pare evidente che l'anomalia riguardi sopratutto il periodo del Governo Dini. Questo fenomeno non si può spiegare se non con il fatto che il Governo in carica era composto da ministri «tecnici» e pertanto non direttamente rappresentanti di partito. È vero anche che il dibattito politico allora fu molto aspro, tra la ex maggioranza, il Governo presieduto da un membro del precedente Governo sostenuto dalla ex opposizione. Evidentemente il clima di forte conflitto partitico trovava attenzione giornalistica maggiore rispetto alle funzioni e alle attività del Governo, che rivestono un interesse pubblico. Questa è certamente materia di riflessione.
Avviciniamoci ora alla comunicazione politica nelle fasi più recenti, ovvero gli ultimi nove mesi. Nella scorsa audizione abbiamo fornito e commentato i dati del primo semestre dell'anno. Oggi vi portiamo i dati del trimestre luglio-settembre e le nostre elaborazioni che si riferiscono ai dati di Pavia e del centro d'ascolto di Roma. Per quanto riguarda il periodo gennaio-giugno, vi ricordo soltanto alcune annotazioni dei dati provenienti dai due centri: i telegiornali della RAI hanno dedicato a interviste e dichiarazioni di esponenti del Governo il 32,7 per cento del tempo; ai rappresentanti delle opposizioni (Polo, lista Pannella Sgarbi, lega nord) fra il 29,5 e il 30,8 per cento; ai rappresentanti della maggioranza (Ulivo e rifondazione comunista) fra il 27,5 e il 32,7 per cento.
Così come richiesto dalla Commissione parlamentare di vigilanza circa un'informazione trimestrale dei dati, disponete ora dei dati del periodo luglio-settembre: in questo trimestre il tempo dedicato al Governo è stato fra il 27,3 e il 30 per cento; alle opposizioni è andato fra il 29,7 e il 31,3 per cento; alla maggioranza fra il 31,6 e il 34,3 per cento.
Questi dati possono anche essere valutati nel contesto della comunicazione politica delle altre reti. I notiziari Mediaset hanno dedicato al Governo il 6,3 per cento delle interviste; Telemontecarlo il 33,5 per cento. Alle opposizioni è andato, su Mediaset, il 73,3 per cento e su Telemontecarlo il 17,5 per cento. Alla maggioranza, l'informazione Mediaset ha dedicato il 14,7 per cento e Telemontecarlo il 31 per cento (sui dati dell'ultimo trimestre vi consegno l'allegato 2).
Doverosamente oggi forniamo anche i dati dei primi 15 giorni di ottobre, che hanno avuto al centro la crisi del Governo Prodi, ben sapendo che in questo caso la lettura dei dati deve tenere conto del contesto della cronaca politica, con la forte conflittualità tra maggioranza e opposizione e all'interno della stessa maggioranza, tra Governo e parte della maggioranza. Basti pensare che il 50 per cento dell'attenzione politica offerta dai notiziari RAI è andata al Governo e a rifondazione comunista. La quota di questi due soggetti è stata di circa il 44 per cento sui notiziari Mediaset e su Telemontecarlo è arrivata al 59 per cento: è indubbio che la conflittualità tra l'esecutivo e chi aveva determinato l'apertura della crisi ha tenuto banco.
La rilevazione qualitativa in cui è stata proposta l'attenzione e la presenza dei soggetti politici evidenzia per tutti l'assoluta prevalenza di contesti neutrali e favorevoli. I valori relativamente meno


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favorevoli di rifondazione comunista (pari a 47, rispetto al 48 dell'Ulivo e al 49 del Governo) appaiono in linea con quelli riscontrati in analoghi frangenti per le forze politiche che assumano iniziative fortemente contrastate dalle altre. Valga per tutti il caso dell'allora Presidente del Consiglio Dini quando decise di presentare la sua lista con l'Ulivo: in quell'occasione ebbe un indice di favore/sfavore pari a 43.
Ricordo - e do la spiegazione di questi dati - che ogni volta che in un programma televisivo interviene o si parla di un esponente politico, i tre analisti addetti al monitoraggio esprimono la loro valutazione sul contesto comunicativo (favorevole, neutro, sfavorevole) in cui egli viene proposto. La valutazione avviene su una scala che va da zero a cento: da un massimo di sfavore ad un massimo di favore. La media di queste valutazioni è espressa nell'indice chiamato «V1». Sulla base di quanto detto, l'equilibrio (ovvero il miglior risultato possibile) è costituito da una valutazione pari a 50, che è quella che hanno in questo periodo tutti gli altri partiti.
In termini, invece, di presenza diretta complessivamente nei notiziari della RAI, agli esponenti dei partiti di opposizione (forza Italia, alleanza nazionale, CCD, CDU, lega nord) è andato il 28 per cento; a quelli dell'Ulivo (PDS, PPI, rinnovamento italiano, verdi) è andato il 25,8 per cento; a rifondazione comunista il 10,8 per cento. Nei programmi di approfondimento giornalistico delle reti RAI la presenza diretta di esponenti del Governo è stata ridotta (9,4 per cento). I dati maggiori sono registrati da PDS (22,4 per cento), forza Italia (20 per cento), rifondazione comunista (16,6 per cento), PPI (9,5 per cento), AN (7,7 per cento), CCD e CDU (6 per cento). Dal confronto con i notiziari Mediaset, sempre nel periodo 1o-15 ottobre, emerge che al Polo è stato dedicato il 63,4 per cento; all'Ulivo il 10,7 per cento, a rifondazione il 13,2 per cento (i dati relativi al periodo 1-15 ottobre sono inseriti nell'allegato 3).
Vi ho riferito sui dati relativi al primo semestre, sull'ultimo trimestre e sul periodo più strettamente legato alla crisi di Governo. Non dobbiamo dimenticare, però, che la lettura dei dati è significativa su periodi medio-lunghi: questi dati più recenti non sono pertanto indicativi di tendenze o di scelte editoriali di fondo.
Più in generale occorre ricordare che su basi puramente quantitative ci sono diversi criteri di valutazione del pluralismo politico una volta che non si riscontrino partigianeria o faziosità sistematiche: si può adottare il criterio della rappresentazione complessiva delle posizioni della maggioranza e dell'opposizione; quello della corrispondenza dei tempi dedicati alla consistenza parlamentare dei diversi partiti; quello dell'uguaglianza di trattamento indipendentemente dagli eventi della cronaca o dalla rilevanza delle diverse posizioni nel contesto politico. Certamente nei notiziari quest'ultimo criterio potrebbe portare alla costruzione artificiosa di eventi, a notizie che tali non sono, a un'informazione costruita di qualità certo molto dubbia.
Ma torno sulla gestione dell'informazione RAI durante il periodo della crisi di Governo per riflettere sul fatto che su 1500 minuti dedicati complessivamente alla politica, di cui 540 minuti di dichiarazioni e interviste in soli 15 giorni, qualche sbavatura c'è stata e, probabilmente non poteva essere diversamente, data la gran mole di lavoro. È umano, è comprensibile, ma non per questo deve essere sottaciuto, soprattutto in questa sede.
Penso, per esempio, al noto episodio del TG3, dove il conduttore ha aggettivato come «assurda» la crisi di Governo: sebbene riflettesse un pensiero comune a molte forze politiche, non solo della maggioranza, ritengo un errore, non intenzionale, non cioè studiato a tavolino, questo comportamento. L'informazione del servizio pubblico ha doveri maggiori rispetto agli altri media.
Tengo a precisare che quest'episodio è avvenuto in un contesto professionale dove la testata diretta da Lucia Annunziata ha operato in quest'anno una forte virata verso un atteggiamento non più di appartenenza e di omologazione ad una determinata visione politica. Non a caso questa


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impegnativa operazione è stata inizialmente penalizzata dal pubblico radiotelevisivo che si è ricostituito, di mese in mese, intorno ad un'informazione alla ricerca di equilibrio e completezza. Questo tipo di svolta sta dando risultati di ascolto estremamente interessanti: basti vedere i dati di ieri e di queste ultime settimane.
Non posso neanche ignorare che il sostanziale equilibrio generale dell'informazione RAI, durante la crisi di Governo, è anche il frutto di alcune disomogeneità tra le diverse testate (TG2 con maggiore visibilità dedicata al Polo, TG3 all'Ulivo), che ritengo vadano lette nell'ottica di chiavi di lettura e interpretazioni del dibattito politico, senza con questo poter essere considerati di parte. Al contrario, mi preoccuperei qualora la comunicazione politica nelle diverse testate risultasse omogenea e uniforme.
Va anche rilevato che i livelli minori di presenza diretta nei telegiornali hanno riguardato la lega nord (1,3 per cento) e rinnovamento italiano (1,3 per cento). È probabile che l'iniziativa politica di questi partiti sia alla base di questo livello di esposizione, poiché nel periodo medio lungo non si ha riscontro di questa «sottoesposizione». Per quanto riguarda rinnovamento italiano, bisogna anche tenere conto che gli interventi del suo leader, sono classificati tra quelli degli esponenti governativi. La questione comunque, anche in prospettiva, non sarà sottovalutata.
Sono certo che gli esempi fatti saranno integrati dagli interventi odierni in Commissione; insisto sul ricordare a tutti che il comportamento dei nostri telegiornali deve essere misurato non soltanto su episodi specifici - che comunque non devono essere sottovalutati - ma sull'atteggiamento complessivo verso la comunicazione politica.
Vengo infine ad una riflessione generale sull'etica dei professionisti dell'informazione e sui modi di comunicare dei giornalisti: è una riflessione che nell'ambito di tutti i mezzi di informazione, e della RAI in primo luogo, si rende necessaria ed urgente. Non credo, ad esempio che il problema possa risolversi con una mera formula produttivo-organizzativa legata alla figura di un superdirettore di testata o di un direttore editoriale con compiti di supervisione sull'attività dei singoli telegiornali: una proposta più o meno simile fu fatta durante la prima Repubblica e fu affossata dalle critiche. Ritengo che oggi, più che ieri, si debba ragionare sui contenuti senza attendere il demiurgo di turno.
Il problema etico è, infatti, collegato a quello dell'autonomia e della responsabilità dei giornalisti. Una gestione aziendale in linea con criteri aggiornati di organizzazione dell'impresa deve dare priorità non al controllo serrato di tutto quanto avviene o agli interventi punitivi, bensì alla creazione delle condizioni culturali, conoscitive e produttive quale necessaria premessa alla prevenzione di errori nell'operato dei singoli.
La soluzione del problema etico non sta quindi nell'applicazione di una disciplina rigida nei confronti di chi opera, ma nella creazione delle premesse affinché l'autonomia dell'attività giornalistica venga attuata in una logica di responsabilità nei confronti dell'utente del servizio pubblico.
La nostra preoccupazione in merito a questo problema è pertanto più ampia e non riguarda solamente l'aspetto del pluralismo politico, che pure rappresenta un elemento di importanza vitale nello sviluppo di una società democratica. La perdita di tensione etica, infatti, non si verifica solo sul fronte delle affinità politiche, interessi questi ultimi che sono certamente i più evidenti e i più sorvegliati dal pubblico e dalle istituzioni del paese, ma anche sul fronte dell'attenzione verso ciò che è effettivamente rilevante dal punto di vista civile e della capacità di guardare i vari aspetti della realtà.
Il punto focale della questione non è quindi ciò che i giornalisti fanno, bensì ciò che non fanno. Mi spiego meglio. Sarebbe significativo che dall'offerta dell'informazione giornalistica in genere, e da quella della RAI in particolare, scomparissero l'appiattimento, le carenze, il conformismo, l'eccessiva attenzione al gossip, al pettegolezzo, l'assenza di attenzione a ciò


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che rende ricco sul piano culturale e sociale il nostro paese.
Non voglio con questo affermare che sia così sempre o per chiunque, però credo che sia veramente importante prendere in considerazione il tema della formazione dei giornalisti, soprattutto per quello che riguarda il giornalista del servizio pubblico radiotelevisivo. Occorre cioè analizzare come l'informazione televisiva possa essere migliorata per quanto riguarda la qualità, ma anche per la varietà, l'originalità, la capacità di chiarezza che evita di scadere nella banalità e nello stereotipo.
In realtà oggi, ferma restando l'autonomia dei direttori e la possibilità da parte dei giornalisti di scegliere tra i vari argomenti, il problema vero è che spesso le notizie vengono accomunate e riferite senza una chiave di lettura. Una delle richieste fondamentali da fare invece ad un giornalista «nuovo» dovrebbe essere proprio la capacità di contestualizzare l'evento. Cercare di far comprendere al telespettatore, cioè, i contesti reali nei quali le notizie si inseriscono, riuscendo a dare una visione globale. che possa permettere a chi ascolta di ragionare e valutare, di vedere le differenze, di stabilire le gerarchie dell'importanza di quanto avviene in Italia, in Europa, nel mondo. Il giornalista quindi anche come intellettuale che interpreta i fatti ed aiuta a collocarli nella giusta dimensione.
Tutto questo va reso coerente con il contesto in cui si deve muovere un servizio pubblico al passo con i tempi, un servizio cioè che sia in grado di offrire al suo pubblico elementi di informazione e di conoscenza sul grande mondo in cui viviamo, di confezionare un prodotto di successo, capace di stare sul mercato, nel rispetto della tradizione e della qualità peculiari della nostra azienda, tale da metterla in grado di assolvere alla propria missione formativa ed informativa.
L'operazione di riqualificazione della professione giornalistica deve cioè svolgersi in maniera coerente con quelli che sono i principi fondamentali del servizio pubblico, vale a dire la responsabilità. il pluralismo, lo stile, il linguaggio, l'offerta di servizi e programmi ad alto livello culturale, la ricerca tecnologica e la sperimentazione.
Un'iniziativa di questo tipo, coerente e continuata, i cui risultati non saranno immediati, può fornire ai telespettatori italiani maggiori elementi di curiosità ed interesse verso ciò che non è televisivo ma è ben vivo nella vita del nostro paese: mi sentirei orgoglioso, come uomo RAI, se come risultato di questa cultura dell'informazione si potesse dimostrare che anche una piccola parte della diminuzione dell'uditorio televisivo fosse attribuibile ad una spinta positiva verso l'esterno, verso le altre forme della vita civile e culturale del nostro paese. A questo proposito il ruolo della televisione di servizio pubblico, diversamente da quella commerciale, è insostituibile.
Il giornalista radiotelevisivo odierno si troverebbe quindi «in mezzo al guado»? In realtà credo che stia prendendo coscienza della necessità di rinnovamento e di riconversione del proprio ruolo, del passaggio cioè da un giornalismo del passato, talvolta sospettato di appartenenza politico-culturale ad un giornalismo del futuro di tipo intellettuale-interpretativo. In questa trasformazione il giornalismo radiotelevisivo credo che vada sostenuto e orientato da parte dell'azienda con un grande investimento formativo e con la capacità di creare occasioni e strumenti per costruire un modello di riferimento valido per questa nuova figura professionale.
Su questi problemi, peraltro, la RAI è attiva non solo per stimolare l'avvio di una riflessione, la più ampia possibile, sui temi dell'etica e della professionalità degli operatori dell'informazione, ma sta anche avviando diverse iniziative per accelerare i processo di riconversione e di riqualificazione professionale.
Accennerò brevemente ad alcuni temi centrali di cui si è già discusso sia in consiglio di amministrazione, sia in riunioni operativa dell'azienda. Si tratta di cinque iniziative.
In primo luogo, un tema rilevante ai fini della riqualificazione non solo della


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professione giornalistica, ma dell'intera offerta dell'azienda di servizio pubblico, è quello di un nuovo rapporto con l'etica. Lo strumento fondamentale che l'azienda intende utilizzare per operare in questa direzione è costituito dalla definizione di un codice etico.
Diverse le ragioni che ne giustificano la necessità: la prima considerazione parte dall'analisi del contesto ambientale: la crisi del welfare state ci rimanda alla necessità di ricorrere alla cosiddetta welfare society, vale a dire all'esigenza di fare appello in misura sempre maggiore all'autonomia morale e politica dei cittadini, come singoli o come associazioni.
Inoltre, in un contesto di riferimento in cui verosimilmente sempre di più le decisioni verranno demandate ai meccanismi di mercato, gli ideali ed i valori fondanti del servizio pubblico rischiano di essere smarriti. L'unico modo di impedire che ciò accada è l'assunzione di responsabilità da parte di ciascuno degli attori in campo.
Infine, il passaggio all'economia di mercato, l'attenzione ai risultati della gestione e la considerazione delle esigenze degli utenti si inseriscono nel più ampio fenomeno della trasformazione dell'attività connessa all'erogazione del servizio pubblico e del modo in cui essa viene concepita: sempre meno attività minutamente regolata ed organizzata con criteri strettamente gerarchici, e sempre più attività professionale, basata sulla buona gestione e sull'idea di servizio per l'utente.
La riflessione sul codice etico deve consentire di avviare un pratica, da parte della nostra azienda, di autocomprensione e di chiarimento relativamente al nostro ruolo all'interno della società. Il codice etico conterrà alcune idee fondamentali: l'idea di autoregolazione, come questione centrale per una società aperta; l'idea di legittimazione sociale della nostra impresa; l'idea di reputazione come modello di sanzione; l'idea estesa di legalità, che includa anche gli aspetti relativi al comportamento equo al nostro interno e, in generale, un nuovo rapporto tra diritto e morale.
Un secondo progetto, che è in corso di perfezionamento, riguarda l'attività di formazione; essa dovrà essere in grado di agire su tutti i piani della professionalità: sulla conoscenza (il sapere), sulle capacità (il saper fare), sugli atteggiamenti (il saper essere). Siamo consapevoli che, se può risultare relativamente semplice trasmettere delle conoscenze, è molto più complesso cercare di modificare degli atteggiamenti ormai codificati.
Nell'ambito di una nuova cultura organizzativa, che propone il cambiamento come miglioramento continuo, legato alla responsabilizzazione e all'autonomia, la formazione non va più vista semplicemente come strumento per superare lo scarto tra esigenze dell'organizzazione e competenze individuali, ma come crescita complessiva dell'organizzazione.
Un terzo strumento di miglioramento che noi riteniamo necessario è l'avvio di una fase di ricerca che veda il pubblico come protagonista.
Sono abbastanza meravigliato del fatto che in nessuno degli interventi che abbiamo letto in questi giorni sia stata fatta menzione, se non per inciso, della necessità di comprendere come gli spettatori intendono e percepiscono l'informazione in una società che si sta avviando verso il duemila, quali sono le loro esigenze e i bisogni, quale è l'idea di etica del giornalismo per i cittadini, in particolare modo per quello che riguarda l'informazione del servizio pubblico radiotelevisivo e per il ruolo che esso svolge nella formazione delle opinioni.
Inoltre, verrà dato più spazio alle attività della «consulta qualità», la quale, composta da esperti di comprovato equilibrio e responsabilità, già opera da qualche tempo anche attraverso la segnalazione di eventuali inadempienze o errori che si verifichino in programmi informativi e di intrattenimento. Essa individuerà tutti i problemi legati alla difesa attiva della privacy, nonché a questioni di buon gusto e di decenza nei programmi; ciò anche al fine di approntare le indispensabili modifiche in caso di eventuali e programmate ritrasmissioni dei programmi stessi.


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È infine necessario, a nostro parere, che tutti coloro (istituzioni, organizzazioni sindacali, eccetera) che nel paese possono contribuire a questo rinnovamento della professione giornalistica e del modo di fare informazione in RAI, ma non solo, offrano la loro disponibilità ad avviare, insieme a noi, un processo di revisione del quadro normativo e degli aspetti relativi alla contrattualistica nazionale.
Mi pare, da ultimo, opportuno dare qualche informazione su un punto che ha attirato molto l'attenzione nei giorni scorsi: la presenza di esponenti politici in trasmissioni dei mesi passati che non sono notiziari né rubriche di approfondimento giornalistico e che classifichiamo, nelle nostre schede, nel genere «altro».
Vi abbiamo fornito l'elenco di queste trasmissioni sicché potete vedere come, per esempio nell'ultimo trimestre, ci sono cerimonie e anniversari a carattere ufficiale (dalla designazione della sede delle Olimpiadi del 2004 all'anniversario della strage di Bologna, dall'inaugurazione della fiera del levante alla riapertura delle scuole, dal palio di Asti alla regata di Venezia, dai Berliner a Palermo al ventennale di Maria Callas (con dichiarazioni, fra l'altro, del Capo dello Stato e del regista Zeffirelli).
Ci sono stati programmi di carattere storico con l'intervento di studiosi di vario orientamento di ricerca e anche di politici (Gli Archivi del Cremlino, Nascita di una democrazia, I grandi del cinema, Hong Kong addio), i programmi di Rai Educational, i programmi della fascia notturna, e anche programmi come Giochi senza frontiere, Linea verde, Sereno Variabile, che hanno una forte proiezione sul territorio e dove intervengono amministratori locali senza distinzione di partito e senza pregiudizi nei confronti di chicchessia. Potrei citare nomi e incarichi. Infine Miss Italia. Mi dispiace molto che sia stato detto, o almeno questo hanno riferito fra virgolette giornali che non sono stati smentiti, che «la RAI mette i politici dell'Ulivo anche in programmi come questo». Effettivamente in uno Special Miss Italia è stata riportata una dichiarazione dell'onorevole Sgarbi sulla bellezza femminile. Trattavasi di quattro secondi.

PRESIDENTE. Grazie, direttore.
Do lettura di una lettera inviata da Andrea Andermann:

«Onorevole presidente, la ringrazio molto, anche a nome degli artisti coinvolti, per l'attenzione che lei e la Commissione di vigilanza avete dedicato a La Via della Musica e alla grave situazione venutasi a creare a causa delle inadempienze della RAI.
«Tenuto conto di quanto il direttore generale ha dichiarato in Commissione, la informo che in data odierna ci è pervenuta l'acclusa lettera della RAI che, se lo riterrà, la prego di portare a conoscenza della Commissione.
«Dopo mesi di silenzio RAI questa lettera tenta ora di alimentare una parvenza di trattativa come se ci fosse un negoziato aperto, quando invece c'è solo un accordo transattivo da rispettare. Accordo, raggiunto fin dal giugno scorso, in cui tutte le esigenze poste dalla RAI hanno trovato soluzione.
«C'è da augurarsi per tutti che, nella lettera annunciata entro il 25 ottobre, la RAI arrivi finalmente a rispettare gli impegni assunti. Cordiali saluti».

La lettera a firma del responsabile della direzione cinema-fiction della RAI è del seguente tenore:

«Facciamo seguito al vostro programma del 3 ottobre scorso per comunicarvi quanto segue.
«Vi confermiamo il nostro interesse a perfezionare un accordo tra noi e voi che risolva la controversia insorta relativamente al progetto Film in Diretta-La Via della Musica.
«In tale accordo dovrà essere data soluzione alle questioni negoziali ancora aperte.
«A tale riguardo precisiamo che le bozze discusse nei mesi di giugno e luglio ultimo scorso non possono essere considerate un accordo definito.
«Allo scopo di non protrarre ulteriormente questa fase negoziale, vi invieremo


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entro dieci giorni dalla data della presente lettera» (la lettera della RAI risale al 15 ottobre) «una nostra formale proposta in merito».

Passiamo agli interventi dei colleghi. I primi tre iscritti a parlare sono Semenzato, Follini e Romani.

STEFANO SEMENZATO. Vorrei partire con due ringraziamenti. Il primo è al senatore Falomi per avere insistito, nella scorsa seduta, sul fatto che era opportuno acquisire le videocassette delle trasmissioni RAI durante la crisi, in modo da disporre di una documentazione precisa. L'altro è agli uffici della Commissione per aver fornito a ciascuno di noi le videocassette dei tre telegiornali serali per tutto il periodo della crisi, quindi per tutti e sette i giorni.
Aver trascorso qualche ora di domenica a visionare le cassette dei tre telegiornali di tutti e sette i giorni è particolarmente istruttivo per capire qual è l'immagine vera che dà il servizio pubblico che, devo confessare, è largamente distante dai dati estrapolati dall'osservatorio di Pavia, tanto più in quanto questi coprono periodi molto lunghi. Siamo infatti in presenza dei sette giorni della crisi di Governo. Le elezioni anticipate, in quella fase, erano molto probabili e discusse, e l'attenzione dei cittadini e l'emotività rispetto alle informazioni erano molto alte. Erano in sostanza i sette giorni in cui emergeva l'aspetto formativo - per usare un termine caro al presidente Siciliano - della RAI: era il periodo in cui i cittadini si formavano un'opinione sulla crisi politica e, conseguentemente, in prospettiva di elezioni, si sarebbero formati un'opinione sul loro comportamento elettorale. Credo, quindi, che siamo in presenza di un campione molto significativo dal punto di vista qualitativo che non può essere disperso in un processo quantitativo sul lungo periodo.
L'impressione che se ne trae su alcuni aspetti è francamente sconcertante. Parto da alcuni esempi, anche perché altri sono già stati citati da rifondazione comunista nelle proprie lettere. Dov'è l'obiettività dell'informazione nell'accompagnare un'intervista di Cossutta con il titolo de il manifesto «Facciamoci del male»? Come viene percepito l'inframmezzamento delle domande con una copertina di quel tipo?
Poiché sono stato eletto nel collegio di Assisi e sono un pacifista di vecchia data mi sono sempre occupato molto degli aspetti relativi alla marcia Perugia-Assisi. Ma quando il TG3, in quel giorno peraltro infausto per la scossa di terremoto, apre con le immagini del crollo del torrino di Foligno e titola «Separati in marcia: la scossa sorprende i due leader», dà un'immagine catastrofica, dà un'immagine di spostamento del terreno di dibattito in maniera molto forte, avallata poi dal commento: «La marcia della pace non avrebbe dovuto caricarsi di altri significati». A quel punto, uno come me ha pensato al travagliato dibattito avvenuto in Umbria sulla marcia (se farla o meno, se farla grande o piccola), conclusosi con la proposta di darle il significato di solidarietà con i terremotati. Invece, non si intendeva questo significato bensì l'altro significato della marcia, il gelo tra D'Alema e Bertinotti.
Insomma, tutto viene ridotto al politico, o meglio al partitico, ai leader. Eppure, il documento a cui noi tutti ci richiamiamo esprimeva in maniera molto forte le idee del pluralismo culturale, della capacità di dare spazio ai movimenti della società civile. È stata una rappresentazione della realtà che in quel caso ha rappresentato un vero e proprio dileggio sia degli organizzatori e dei partecipanti della marcia sia dei terremotati, che vedevano come grande effetto del terremoto il rapporto tra i due leader.
Sempre a proposito del TG3, nell'audizione precedente avevo chiesto cosa si debba fare quando un direttore come Lucia Annunziata annuncia in Commissione (prima dell'estate), che i verdi non rientrano nei suoi schemi concettuali, e perciò se ne dimentica. Ho riportato il dato dell'osservatorio di Pavia che ha indicato in zero la presenza video di esponenti verdi in agosto. Nei sette giorni della crisi mai, dico mai una volta, il TG3 delle 19 ha


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avuto una presenza verde. Ripeto allora la domanda dell'altra volta: esiste uno spazio tra lo stato di cose attuale e la richiesta di dimissioni per discutere di come deve funzionare il pluralismo all'interno delle singole testate? Io spero di sì.
Ma le alterazioni al pluralismo non provengono solo da tali evidenti esclusioni. Ed è quello che dirò fra poco il motivo per cui io non credo alla RAI di regime. Il regime è a suo modo una cosa seria, cioè un modo con cui si orchestra e si gestisce un percorso politico, una volontà politica. A me pare che tuttora in RAI altre siano le dinamiche.
Voglio sapere, per esempio, qual era il groviglio di contenuti politici, culturali e morali che ha condotto il TG1 ad intervistare ogni sera, per tutte e sette le sere, l'onorevole Casini. È l'unico, tra i leader politici sia del Polo sia dell'Ulivo, che è apparso sempre e comunque tutte le sere, intervistato dal TG1. A onor del vero, il lunedì non c'è stata direttamente l'intervista ma, a compensazione, è apparso in due servizi, uno da un campo di calcio e l'altro da un convegno. Ci sarà un motivo per cui Casini e solo Casini appare tutte le sere nel TG1, oppure dobbiamo aprire un capitolo sui misteri della RAI, su motivazioni che non si riescono a percepire?
Trovo significativa la vicenda della crisi perché, come sempre, le capacità di un organismo di funzionare si verificano nelle situazioni estreme. Se il cardiogramma della RAI, in condizioni normali, dà alcuni segni di affaticamento, all'esame sotto sforzo, che è l'esame tipico per capire la salute reale dei malati, si registrano segni assai più preoccupanti. Uno degli elementi che all'interno di questa crisi si è evidenziato è proprio una tendenza al ritorno al passato, alle identità prodotte da vecchie lottizzazioni degli anni ottanta, in qualche modo a forme di essere e di costruzione che riguardano non soltanto le direzioni dei telegiornali ma, probabilmente, anche gli aggregati giornalistico-morali, culturali che si sono sedimentati negli anni.
Eppure credo che oggi vada invece posto con molta forza il fatto che i dati aggregati, proprio in riferimento a questa realtà, tendono sempre più a falsare la realtà. Esistono orari diversi con pubblici diversi: ogni rete ha il suo pubblico. Credo che il pluralismo debba essere garantito in riferimento ai vari pubblici. Essere esclusi dalla fascia 19-21 come succede ai verdi o essere sovrarappresentati come succede a Casini altera notevolmente il pluralismo.
Credo che la tesi qui più volte rappresentata ad esempio dal direttore Iseppi, e cioè che il conteggio del pluralismo in RAI si fa calcolando la somma dei telegiornali e quella delle varie fasce orarie, non risponda ad una logica vera di pluralismo, ma rischi, come in questo caso (che ho esemplificato nel senso che nella fascia oraria che forma l'opinione pubblica politica in Italia vi è stata un'alterazione notevole di rappresentazioni politiche) di falsare la realtà del pluralismo e della RAI. Credo anche che considerare il pluralismo come somma dei vari telegiornali significhi incentivare logiche di identità di ciascun TG, e quindi ritornare a rappresentazioni di aree politico-culturali che scaturiscono da una realtà che credo diversa dalla RAI attuale, dato che risalgono a processi e idee della RAI che hanno le loro basi nella fase della cosiddetta lottizzazione.
Ho letto in un articolo di Mannoni apparso su L'Unità una considerazione che credo debba essere discussa fino in fondo per il servizio pubblico. La sostanza dell'argomentazione è: perché i giornalisti RAI non dovrebbe fare ciò che fanno gli altri giornalisti della carta stampata? Si rivendica quindi, in qualche modo, un ruolo di funzionamento della RAI. Ritengo, al contrario, che abbiamo una realtà politico-editoriale nel campo privato in Italia che da vari anni ha sempre più intrapreso la strada del giornalismo militante, del giornalismo di opinione, cui ognuno si rivolge sapendo che, in quel caso, il pluralismo è fornito dalla possibilità per ciascuno di comprare il giornale che rappresenta meglio le proprie opinioni. Credo però che, proprio di fronte a questa tendenza di grossa parte del giornalismo ad essere militante, a essere cioè un giornalismo che esprime opinioni forti, che fa battaglie politiche, che individua


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una sorta di giornali-partiti, la RAI debba svolgere una garanzia di presidio di obiettività e di pluralismo. Se cade la differenza tra la RAI e il resto dell'editoria privata, cade il senso del servizio pubblico, non si giustifica il canone e si perde l'ubi consistam di tutta questa vicenda.
Allora, a me pare che l'obiettivo dichiarato varie volte e oggi ribadito dal presidente Siciliano e dal direttore generale Iseppi di riqualificare il ruolo di servizio pubblico della RAI rimanga il nodo su cui questa Commissione e i vertici RAI si devono interrogare. Ritengo che da questo punto di vista convenga affrontare in maniera chiara e decisa le contraddizioni esistenti. Oggi ho sentito dire cose anche interessanti sui progetti della RAI di riqualificazione; ma se non vi è chiarezza sul punto di partenza, se l'idea è semplicemente quella di una riqualificazione senza mettere mai mano alle concentrazioni di culture, senza trovare dei meccanismi aziendali, redazionali, funzionali, che permettono in qualche modo di aprire dei varchi per nuove culture, credo che rischiamo di rimanere fermi. Infatti, la rappresentazione che ho visto, nei giorni della crisi, in un momento eccezionale ma, proprio per questo, significativo indica la distanza esistente fra la RAI attuale e le funzioni vere di un servizio pubblico.

PRESIDENTE. Do la parola all'onorevole Follini. È una parità tra accusa e difesa...

MARCO FOLLINI. Non seguirò il senatore Semenzato né gli risponderò, poiché non credo che il tema di questa audizione sia la presenza televisiva dell'onorevole Casini. Ognuno di noi si può divertire a scegliere il dato numerico più conveniente. Se lo facessi, troverei anch'io solidissimi argomenti per sottolineare come a volte il portavoce dei verdi, l'onorevole Manconi, sia trattato dai telegiornali come se avesse alle spalle un partito che ha superato la soglia del 4 per cento, come se avesse un gruppo parlamentare, tutte cose che non sono. Ma credo che questo finirebbe per immiserire molto il nostro dibattito e per portarci fuori tema. Non credo che la questione sia quella della presenza di questo o di quel leader nei telegiornali e nell'informazione in un dato giorno o in una data settimana.
Vorrei sfuggire anche alla tentazione di ragionare sui dati numerici portati dal direttore generale della RAI, anche se su uno di questi mi viene da fare una riflessione di prospettiva, ed è quello che riguarda la visibilità governativa del gabinetto Dini, poiché quello era un Governo tecnico, e in quanto tale faceva notizia per i suoi provvedimenti, le sue attività, faceva notizia per tutto ciò che non ha a che vedere con la politica che in una normale dialettica parlamentare è affidata ai partiti che sostengono e compongono la maggioranza di Governo. Probabilmente, perciò, quel dato, che Iseppi ha letto come una anomalia, lo considererei invece un riferimento che si pone a metà strada fra la prassi abituale dei Governi di un colore o dell'altro, di una Repubblica o dell'altra, che sono stati dotati di una sorta di privilegio televisivo, e la posizione più estrema, che alcuni di noi hanno avuto modo di sostenere in Commissione, che il Governo è tutt'uno con la sua maggioranza e quindi i dati di equilibrio tra gli schieramenti prevedono che, mettendo su un piatto della bilancia Governo e maggioranza e sull'altro le opposizioni, vi sia un perfetto equilibrio. È un dato - lo ripeto - che credo debba essere custodito nella nostra memoria.
Ma la questione che si pone oggi rispetto alla crisi e quindi rispetto ad un periodo limitato e determinato d'osservazione televisiva (mi scuso per il fatto di ribadire alcune considerazioni che ho avuto modo di svolgere in una riunione dell'ufficio di presidenza) riguarda a mio giudizio un problema per qualche verso di toni, di accenti e quindi difficilmente quantificabile, ma che mi sento di riportare alla Commissione per come la visione dei telegiornali sul momento e poi quella successiva attraverso le cassette inducono a considerare.
La mia opinione è che in questa crisi i telegiornali abbiano fatta propria una


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sorta di pregiudizio etico-politico in ragione del quale la crisi era male e la stabilità era bene; un'opinione di buon senso, molto diffusa nell'opinione pubblica, che sicuramente condiziona il dibattito politico, ma che a mio avviso ha condizionato più del dovuto l'offerta di informazione da parte del servizio pubblico. È evidente che, se la stabilità è bene, il valore positivo riguarda poi il Governo, la ricomposizione, l'esito della crisi e che, se la crisi è male, tutti quelli che immaginano che dalla crisi la politica possa e debba prendere una piega diversa sono accomunati in un giudizio di valore negativo. Per l'esperienza che ho anche del passato, anche di quella parte di vita dell'azienda che alquanto sbrigativamente viene ricondotta alla lottizzazione, all'editore di riferimento, ricordo che una certa controversialità è sempre stata tenuta viva, anche negli anni in cui era quasi un luogo comune sostenere che tale controversialità non esistesse e rappresentare i professionisti dell'informazioneradiotelevisiva più o meno alla stregua di ambasciatori - a voler essere generosi - o impiegati - a voler essere impietosi - dei propri partiti.
Il direttore del TG1 Fava, all'epoca del Governo De Mita, quando si trovò alle prese con una contestazione popolare molto forte che riguardava l'imposizione di ticket sanitari da parte del Governo, diede conto di questa protesta, semmai calcando forse un po' la mano. Vespa, il successivo direttore del TG1, che pure negli anni successivi è stato «impiccato» alla frase dell'editore di riferimento, ogni volta che si teneva un convegno di qualche corrente democristiana era un torrente in piena di lamentazioni su come e quanto l'informazione televisiva fosse disattenta verso ragioni ed interessi di partito o di cultura, se vogliamo essere di manica più larga.
Voglio dire che nell'occasione di cui ci stiamo occupando francamente non ho colto controversialità e quando, alla conclusione della crisi di Governo, l'onorevole D'Alema, un censore solitamente molto severo nei confronti dei difetti del sistema dell'informazione, dice: è andato tutto benissimo, ci siamo rispecchiati nella rappresentazione che è stata data della crisi, credo che egli sottolinei una preoccupazione che personalmente sento molto viva.
Naturalmente l'attenzione di tutti noi si appunta su alcuni episodi salienti: Mannoni che al TG3 definisce la crisi assurda, l'intera confezione del TG3 di quel famoso lunedì che, come in Commissione ha sostenuto giustamente l'onorevole Romani, è stato una sorta di apoteosi del Governo e della maggioranza ritrovata. Aggiungo anche l'uso molto disinvolto della satira del sabato sera da parte dell'ex deputato europeo del PDS onorevole Montesano che, nel pieno della crisi, ha fatto irruzione con un pezzo di cabaret che aveva anche un significato politico. Per non parlare sempre delle cose di casa propria, rilevo che mi è sembrato che uno dei dati rilevanti di questa crisi, cioè il passaggio di un gruppo politico dalla maggioranza all'opposizione - sto parlando del patto Segni - fatto per il quale certamente la notizia c'è, perché possiede tutti i requisiti del solito, classico uomo che morde il cane, sia stato trattato con molta distrazione e sufficienza.
Al di là di questi episodi, registro l'esistenza del filo rosso di un tono, di un accento particolare nei confronti della crisi, che secondo me in quest'occasione ha portato il servizio pubblico a vestire i panni di quello che definisco un pregiudizio etico-politico, cioè l'idea che vi fosse una discriminante di valore che portava a considerare la crisi un incidente di percorso lungo un cammino che avrebbe dovuto essere «le magnifiche sorti e progressive» e tutta l'azione di disturbo che normalmente le opposizioni ma anche i settori più irrequieti della maggioranza svolgono come un elemento da vivere e da rappresentare con una qualche insofferenza.
Vengo ora alla seconda ed ultima considerazione. Negli interventi odierni del presidente e del direttore generale della RAI ho colto qualche accento di consapevolezza rispetto ai problemi che abbiamo posto. Naturalmente sono accenti che apprezzo, ma che vengono a distanza di qualche tempo. Anche nel mio


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schieramento sono tra i più perplessi all'idea che la disputa che avviene oggi riguardi l'instaurazione di un regime; probabilmente sono moderato anche nelle parole, ma credo che, quando si parla di regime, poi si indossi il passamontagna, cioè che ne discendano alcune conseguenze e d'altra parte ho abbastanza memoria per ricordare quando una simile rappresentazione di un regime da combattere portò nel nostro paese una stagione di violenza, che credo non meriti di essere sottovalutata né rimossa. Quindi, non dirò che la RAI fa parte del regime perché non penso che vi sia un regime in costruzione, anche se sono anch'io preoccupato per una forte propensione di questa maggioranza ad occupare il potere e le coscienze.
Trovo tuttavia che la prima reazione della dirigenza del servizio pubblico alle critiche che da varie parti le sono state mosse - questa volta non si è trattato solo delle critiche del Polo - abbia rivelato, almeno nei suoi tratti iniziali, una qualche insofferenza alle critiche ed un'opinione fondamentale, che oggi per la prima volta vedo pubblicamente contraddetta, secondo la quale fin qui tutto è andato nel migliore dei modi. Naturalmente la tentazione polemica è quella di dire che questo riconoscimento avviene a partire dal fatto che il Polo, rifondazione comunista ed altri settori critici della maggioranza abbiano sollevato tale questione tenendo un profilo abbastanza alto, fatto in mancanza del quale probabilmente non vi sarebbe stata altrettanta prontezza nel cercare di correggere una rotta che, a detta del presidente e del direttore generale della RAI, contiene alcuni sbandamenti ed errori professionali.
Tralascio di registrare maliziosamente che la critica avviene a posteriori, ma mi chiedo e vi chiedo quali siano le correzioni che intendete apportare non tanto rispetto a grandi questioni di prospettiva come quelle che nella sua introduzione ha posto il direttore generale, ma rispetto a questioni più urgenti che riguardano non il medio periodo, ma i prossimi giorni e l'esito del confronto politico nelle prossime settimane.

PAOLO ROMANI. Vorrei riallacciarmi ad un ragionamento fatto dal senatore Rognoni in una delle precedenti sedute: egli ha descritto la RAI negli anni passati sostenendo che, tutto sommato, si era autofotografata rispetto al sistema politico, cioè aveva rappresentato se stessa in base alle tre aree politiche di riferimento, quella cattolica, quella comunista e quella laico-riformista; la RAI ha pagato fino in fondo quest'autorappresentazione rimanendo vincolata a questo tipo di logica, non compiendo cioè l'evoluzione successiva.
Mentre sono d'accordo sull'analisi, non sono d'accordo sul fatto che, se questa dovesse modificarsi, la RAI dovrebbe autorappresentarsi rispetto al bipolarismo: non ammetterei mai che la RAI compisse un'evoluzione di tipo politico-culturale sostenendo che, superato il periodo della prima Repubblica con le tre aree di riferimento, adesso si passa ad un sistema bipolare. Pur tuttavia, la rappresentazione che faceva il senatore Rognoni era anche supportata da un ragionamento sviluppato dal dottor Iseppi in una precedente audizione, quando ha detto: noi siamo editori di tanti telegiornali, per cui dovete valutarli nel loro insieme, il che vuol dire che dovrei valutare ogni telegiornale in base alla considerazione che sostanzialmente faceva Rognoni. Su questo non sono assolutamente d'accordo, non è una rappresentazione che competa al servizio pubblico, la RAI non deve assolutamente essere speculare al sistema politico, deve rappresentare se stessa in base alle regole che abbiamo cercato di dettare allo stesso servizio pubblico.
Se questa è la premessa politica, se è questo il ragionamento che deve guidare il nostro approccio al sistema RAI, formulo allora una domanda precisa. Ha ragione il presidente Siciliano quando afferma che la qualità si diluisce poi nella quantità, ma è qualcosa di più. Iseppi ha fatto una lunga lettura di dati: come tutte le volte in cui si presenta di fronte a noi, ci sommerge di dati per dimostrare sostanzialmente che la RAI è perfettamente equilibrata in nome del pluralismo. Tuttavia, dottor Iseppi,


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quel famoso lunedì in cui tutto è nato sicuramente l'osservatorio di Pavia sul TG3 (attenzione, non ce l'ho con questo telegiornale, anzi, riconosco alla sua redazione il tentativo di innovare il telegiornale; devo dire che guardo molto più volentieri il TG3, dove c'è un uomo che cammina per lo studio, che si collega, che cerca di attivare dei meccanismi di comunicazione certamente inediti rispetto agli altri telegiornali ingessati) avrà pur detto. Non ce l'ho con il TG3, ce l'ho con quel TG3 e quella sera l'osservatorio di Pavia sicuramente avrà detto che era perfettamente equilibrato, ma in realtà quella sera cos'è accaduto? 16 minuti più 2 di collegamento con il Quirinale: 3 sono stati dedicati all'informazione politica, per cui Casini è apparso esattamente quanto Bertinotti, Buttiglione, D'Alema o chiunque altro; tuttavia, in quella serata vi è stata una celebrazione della maggioranza, non in termini di presenza di personaggi politici, ma attraverso collegamenti con i cantieri navali, facendo diventare un avvenimento quello che tutto sommato era un evento di non grande rilevanza, cioè la discesa a Roma degli operai di Brescia, facendo raccontare determinate cose alle donne dell'Ulivo: si è costruito, cioè, un meccanismo celebrativo di un evento politico che era perfettamente in linea con la dissintonia rispetto al meccanismo del pluralismo. È questo che contestiamo e su questo vorrei avere una risposta precisa.
Se il presidente Siciliano afferma che, nello svilupparsi della quantità di notizie, qualche errore è stato commesso, cronache e commenti sono stati confusi, gli errori non vanno dimenticati, abbiamo discusso e stigmatizzato, vorrei conoscere la vostra opinione precisa (non m'interessa un discorso di carattere generale) su quella serata: vi sono stati 16 minuti nel corso dei quali l'equilibrio tra le forze politiche era perfetto, ma dove la rappresentazione dell'evento crisi era fatta in maniera totalmente difforme a qualsiasi rispetto deontologico di un equilibrio del pluralismo. Su questo punto vorrei una risposta precisa, altrimenti continuiamo a raccontarci la favola bella che tutto è equilibrato, che vi è il rispetto delle presenze politiche (salvo per alcune la cui percentuale è uguale a zero, come qualche volta il presidente Storace ci ricorda), ma è quel tipo di televisione che noi contestiamo e non possiamo assumere come spiegazione il fatto che dobbiamo guardare i telegiornali nel loro insieme perché solo così possono essere valutati; rifiuto categoricamente l'idea che il servizio pubblico si debba dividere nel senso di avere delle aree politiche e culturali di riferimento e chiedo che invece vi sia rispetto, ma nella forma, nella costruzione, nel complesso del meccanismo della comunicazione, che è totalmente scisso dalla quantità di secondi e di minuti dedicati alle forze politiche. È su questo punto, su quella serata, su quell'edizione del TG3 che mi piacerebbe avere una risposta.

ENZO SICILIANO, Presidente della RAI. Credo che, oltre a ciò che potrò dire io, il direttore generale avrà qualcosa da aggiungere.
Debbo innanzitutto ringraziare il senatore Semenzato per aver così puntualmente sottolineato una questione che mi sta molto a cuore, cioè che il servizio pubblico debba rappresentare una garanzia di presidio - sono queste le sue parole - rispetto a ciò che è l'informazione, in particolare l'informazione del nostro paese in questi anni, un'informazione che ha i caratteri - non starò qui a sottolinearlo - che sappiamo, ma rispetto ai quali la possibilità che ha il servizio pubblico di rappresentare poi, appunto, un presidio di qualità, di equilibrio dovrebbe essere sentita fortissima. È proprio per questo che desidero che abbia luogo questa conferenza in cui si parli, spalancando le porte della RAI, di diritti e doveri dell'informazione. È necessario vi sia una presa di coscienza non solo all'interno della RAI, ma per quel tanto che anche la politica è interna alla RAI, una presa di coscienza profonda, chiara che faccia capire a tutti quale sia il senso di una rappresentazione equilibrata e plurale della realtà non solo politica, perché sappiamo benissimo che rappresentare la realtà costituisce sempre


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un discorso che riguarda anche connotazioni che chiamiamo in pratica politiche.
Da questo punto di vista, sono d'accordo con lei, senatore Semenzato, sul fatto che il racconto della marcia di Assisi è stato un errore; fa parte di quegli errori che in quelle settimane, sotto la pressione anche di una realtà che era del paese (non possiamo non riconoscerlo), che non era una presa di posizione di alcuni rispetto ad altri ma una realtà che correva, ha fatto commettere delle sbavature, degli sbilanciamenti. Su questo sono perfettamente d'accordo con lei, così come lo sono rispetto al fatto che tutto questo avviene perché la RAI è il risultato di sedimentazioni di anni. Il difficile dell'amministrazione che ho l'onore di presiedere sta nel cercare di rendere queste sedimentazioni di anni non voglio dire fluide, ma di portarle ad altro, di portare cioè un'azienda che lentamente nel passato si è cristallizzata su alcune posizioni verso altro e questo altro è poi drammaticamente diverso da quanto possiamo immaginare anche oggi perché sappiamo perfettamente che, come ho detto più volte, di fronte a noi vi sono delle trasformazione molto determinanti e stravolgenti rispetto ad un certo quieto modo di vedere l'essere della RAI.
Di fronte a tutto questo, la presa di posizione nei confronti di queste sbavature deve essere ferma ma anche leale: le sbavature esistono, come esiste quel che chiamiamo lo sfrido nel fare giornalismo. In questo dobbiamo mostrare non tolleranza, ma quella capacità di giudizio che è necessario avere nei confronti di un'informazione, come quella televisiva, che si fa «sul tamburo» assai più di quella della carta stampata.
Risponderò ora alle domande degli onorevoli Follini e Romani, domande che in qualche modo si possono accumunare. L'onorevole Follini ha parlato di un accento particolare, di un colore che ha tinto l'informazione di quel famoso lunedì e l'onorevole Romani ha detto altrettanto che in quel famoso lunedì l'equilibrio è stato rispettato, ma vi erano, per l'appunto, un colore, una tinta, un'interpretazione. Non voglio richiamarmi ai classici, ma insomma il famoso, controverso trattatello, non si sa se autentico o apocrifo, passato nel medioevo sotto il titolo De interpretatione sottolinea fortissimamente che il recupero e la presenza della soggettività nel racconto e nel rappresentare è un dato ineliminabile, che non potremo mai cancellare dall'essere di un essere pensante.

MARCO FOLLINI. C'è anche il famoso trattato sulla dissimulazione onesta: non vorrei che richiamassimo anche questo!

ENZO SICILIANO, Presidente della RAI. Non mi richiamavo assolutamente a contenuti tragici, come quelli di Torquato Accetto e della dissimulazione onesta; dico soltanto che l'interpretazione è un fatto da privilegiare, perché sappiamo benissimo che è il fondamento della libertà di pensiero. Non voglio dilungarmi oltre: è verissimo, possono esservi delle angolazioni per cui la rappresentazione della realtà può risultare distorta pur essendo estremamente equilibrata. Come ho detto nel mio intervento introduttivo, penso che nell'informazione RAI non vi sia alcun pregiudizio ad informare e deformare la realtà delle cose; ritorno a quanto dicevo al senatore Semenzato: lo sfrido appartiene al giornalismo e sappiamo benissimo quanto gli appartenga, al punto che presso alcuni (per alcuni direttori della carta stampata di oggi costituisce privilegio) lo sfrido diventa un punto di forza. Ma non è questo il caso della RAI perché, se dobbiamo fare qualcosa, è ricondurre la RAI sul piano di garanzia di presidio, di una lealtà anzitutto nei confronti del paese, che vuole giustamente sapere. Siamo perfettamente consci di quanto questa garanzia di presidio debba essere vissuta giorno per giorno. Avete ragione a chiamarci qui perché noi vi rendiamo conto, perché questo ha un significato forte anche all'interno dell'azienda; tuttavia, considerate che quest'informazione viene fatta non sui binari di un preconcetto, ma viene fatta. Grazie.

FRANCO ISEPPI, Direttore generale della RAI. Vorrei fornire due risposte molto pragmatiche agli onorevole Follini e


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Romani. Per quanto riguarda il pregiudizio complessivo nell'ambito del quale si è fatta l'informazione, mi pare si tratti di una lettura di contesto ultralegittima, ma con margini di soggettività, per cui è difficile inserirsi su un elemento di tipo pragmatico come possono essere dei dati, pur sapendo che è comunque sbagliato dare troppo valore ai dati, un concetto che ho espresso in più occasioni. Rimane il fatto che, rispetto al modo di fare informazione, certamente è molto più importante il modo in cui essa viene percepita che non quello attraverso il quale viene fatta, ma questo attiene alla libertà assoluta dell'utente oltre che dell'osservatore interessato, quale può essere il politico. Quindi, è difficile fare un ragionamento di questo genere.
La risposta di carattere più pratico riguarda la domanda su cosa, al di là delle prospettive e degli impegni che la RAI sta prendendo ed elaborando nelle sedi proprie - consiglio d'amministrazione e conferenza di produzione -, si faccia per osservare il tipo di informazione che oggi viene fatta, non quella passata o futura. A questa domanda rispondo che abbiamo preso l'iniziativa di coinvolgere in riflessioni molto sistematiche i direttori di testata; una delle prime riunioni si è tenuta la scorsa settimana e nel corso di essa sono emersi i gravi problemi che dividono l'aspetto della contestazione di comportamenti da quello più progettuale. Sostanzialmente l'idea è quella di lavorare in modo sistematico perché in effetti non siano un dato astratto ma concreto le condizioni per far sì che, accanto all'autonomia dei singoli, venga garantito il pluralismo; vi è, insomma, l'idea di un rapporto molto stretto e formale tra i direttori, la dirigenza aziendale e coloro che operano nel campo dell'informazione. Ciò ha dato frutti molto consistenti per quanto riguarda il lavoro sulle reti, che sono abituate a questo metodo sistematico di riflessione e di analisi degli errori, mentre le testate sono meno abituate. Comunque, anche con queste ultime stiamo intraprendendo quest'iniziativa, che può apparire astratta, ma in realtà è un modo quanto mai concreto per affrontare in maniera molto trasparente le diverse posizioni, individuare gli errori e gli antidoti che si possono porre in essere nei confronti di questi errori.
Quanto alle considerazioni svolte dall'onorevole Romani, penso che il modello interpretativo del senatore Rognoni non sia meccanicamente trasferibile, nel senso che fino a qualche anno fa l'organizzazione televisiva pubblica era basata sull'idea di fondo che in qualche modo aveva ispirato la riforma e cioè che il pluralismo culturale possa essere garantito solo da un pluralismo strutturale, concetto che potrebbe spiegare benissimo Follini che in quel periodo era dentro l'azienda. Allora vi erano tre culture di riferimento diverse, ma oggi esse non hanno un corrispettivo, nel senso che non si può parlare di una cultura cattolica, di una di sinistra e di una laica: oggi il bipolarismo è una soluzione più istituzionale e rappresentativa degli interessi politici ma è attraversato da queste posizioni culturali. È difficile pensare di tradurre il modello di allora, basato su differenze culturali, in un modello attuale che comunque, nel caso si volesse applicare, si riferirebbe ad una dimensione istituzionale ed operativa, non certamente culturale.
Quindi, il meccanismo non è applicabile e tuttavia ciò mi serve per fare un altro ragionamento. Non mi sento di sostenere che solo perché il TG2 ha dato più visibilità al Polo sia il telegiornale del Polo, né mi sento di dire che il TG3, che ha dato più visibilità all'Ulivo, sia il telegiornale dell'Ulivo, perché questo sarebbe un meccanismo inaccettabile e che non ha riscontro. Penso, invece, che vi debba essere un concetto di differenziazione molto profonda tra visibilità ed appartenenza: in pratica, le due redazioni hanno lavorato proponendo chiavi di lettura diverse della crisi, questo mi sembra un concetto vero, non di appartenenza l'una al Polo e l'altra all'Ulivo. Piuttosto, sarei stato molto meravigliato del contrario, se cioè la comunicazione politica di tutti i telegiornali fosse stata omogenea ed uniforme; allora sì che vi sarebbe stata l'idea di un approccio


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all'informazione di tipo decisamente schematico, rituale, ripetitivo, quasi simmetrico rispetto al discorso politico. È questa la situazione, non altra, perché diversamente saremmo costretti a leggere tutti questi dati come dati di appartenenza, ma questo è un salto che abbiamo già fatto per merito non solo di questa Commissione, ma anche del lavoro che si è compiuto da parte dei giornalisti. Pertanto, è sbagliato leggere i fatti alla luce di quell'impostazione, perché si tratta di concetti molto diversi. Ciò spiega anche perché il famoso 16 ottobre scorso l'Annunziata, che ha scelto un modello di comunicazione molto preciso nel suo fare informazione, quello di tentare di fare un'informazione in cui il conduttore diventa una specie di regista in campo della comunicazione che si fa rispetto ad altre soluzioni che sono più per accumulo di notizie, attraverso un modello di tipo monotematico ha scelto di legarsi a quei fatti che in quel particolare giorno erano interessanti per sentire l'opinione politica. Una soluzione che è maggiormente legata ad un format comunicativo che non ad un'appartenenza politica. È una circostanza che va rilevata: lo ha fatto lo stesso onorevole Romani quando ha ammesso che sostanzialmente il TG3 sta cambiando modo di rapportarsi alla lettura dei fatti politici e che gli interessa non solo come forma di rappresentazione ma anche perché in realtà rappresenta una fortissima discontinuità rispetto al passato.
Per Semenzato non ho risposte, perché condivido perfettamente questo tipo di analisi. Noi abbiamo imboccato un processo verso l'autonomia, non è che lo abbiamo realizzato, l'abbiamo solo iniziato. Questo vuol dire che su questa strada vi sono certamente degli errori, ma anche che, se tutte queste cose vengono viste in una certa prospettiva, si arriverà certamente ad un concetto comunque accettabile di autonomia infinitamente documentabile da ogni punto di vista. Però parliamo di un percorso che è iniziato, non di una meta che è stata raggiunta.

PRESIDENTE. Interverranno ora i colleghi Lombardi, Ricciotti e Jacchia. Una precisazione: alla luce dei dati forniti dal senatore Semenzato sulle presenze dell'onorevole Casini - anche per dare a ciascuno il suo -, dai dati fornitici dalla RAI in questo momento sulla presenza degli esponenti politici nei 15 giorni di crisi risulta che Casini è comparso per 35 minuti sui canali RAI (non sappiamo se nei telegiornali o altro), Buttiglione per 27, l'onorevole Marini per 78. Manconi, in effetti, è sottodimensionato: 10 minuti. Dini, ancorché esponente del Governo, ne ha 5.

GIANCARLO LOMBARDI. L'ultima osservazione del presidente mi permette di eccepire, visto che gli ho anche scritto una lettera su questo argomento, sull'inaccettabilità di misurare queste cose in termini di tempi perché, come mi sembra che lo stesso Semenzato abbia ricordato, una persona che compaia in televisione alle tre di notte ha un peso completamente diverso di una che compaia al telegiornale delle 20. Sono fatti totalmente diversi e non paragonabili.

PRESIDENTE. Ha perfettamente ragione. Però non ci hanno fornito i dati divisi per fasce orarie.

GIANCARLO LOMBARDI. Di conseguenza, non si può ragionare soltanto in termini quantitativi.

MAURO PAISSAN. Parlava dal TG1 delle 20.

PRESIDENTE. Onorevole Paissan, sono talmente d'accordo con voi che ho votato insieme a voi un documento in cui chiedevamo alla RAI i tempi divisi per fasce orarie. Ma non li abbiamo avuti. La pensiamo alla stessa maniera. I 19 minuti dell'onorevole Lombardi non li ho calcolati, perché è chiaro che si trattava di un'altra trasmissione.

GIANCARLO LOMBARDI. Ho molto apprezzato gli interventi del presidente Siciliano e di Iseppi; mi sembra che sia un salto importante nelle nostre audizioni,


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nel nostro colloquio, sia per l'assoluta credibilità che penso debba essere data al presidente quando afferma ciò che anch'io credo sia assolutamente vero, e cioè che non c'è un disegno in ciò che è stato ma eventuali errori, sbavature o difficoltà, sia per la parte propositiva illustrata da Iseppi, che a mio avviso è la strada da seguire.
Sono molto critico su una serie di modalità con cui sono condotti i telegiornali, e in particolare il TG3, per ragioni tutt'affatto diverse da quelle che ci hanno portato qui questa mattina. Ho trovato scandaloso il modo in cui il TG3 ha insistito sui fatti della Somalia ripresentando per quasi 10 giorni di fila la fotografia del giovane a cui erano applicati, o si pensava lo fossero, gli elettrodi. Ho trovato inaccettabili il modo in cui è stata data un'informazione sull'Albania e altri fatti. Vi sono quindi elementi che, come giustamente il presidente e il direttore generale hanno ricordato, sono assai più ampi di questa esacerbata attenzione, per cui poi non è casuale che Semenzato, quando deve andare a corredare il dato da lui fornito, dica in che misura i verdi sono stati presenti, e allora Follini risponde che Paissan e Manconi sono stati sovrarappresentati, tenuto conto dell'importanza dei verdi.
Credo che una possibilità di errore vi sia stata e vi sarà, però o si crede veramente che vi sia un'indicazione sufficientemente precisa in tal senso, e allora il problema è molto più grosso, è un problema politico da cui dovremmo trarre conseguenze come Commissione, oppure non lo pensiamo. Il paradosso della schizofrenia del mondo politico è quello di criticare con attenzione puntigliosa certi fatti e poi tutti i partiti e tutti gli uomini politici si danno da fare in modo enorme per cercare di aumentare la propria presenza, cioè di andare a correggere lo stesso pluralismo che in qualche modo, a parole, rivendicano.
Concordo con l'impostazione sostanziale data da Follini al suo intervento. Ma soprattutto mi interessa procedere sulla strada dei cinque punti, delle cinque iniziative, che il direttore generale ha illustrato. Lo dico perché esiste il timore che poi l'attività cosiddetta formativa resti un fiore all'occhiello, nel senso che il direttore generale venga in Commissione a dire che hanno svolto cinque incontri su questo o su quell'altro argomento: no, questa diventa la vera risposta che il vertice della RAI, nelle figure del presidente e del direttore generale, deve dare a questo problema. E non sfugge a nessuno che il problema più difficile, che mi sembra che Iseppi abbia in qualche modo sottolineato, è quello dell'atteggiamento, perché è proprio questo il problema: è necessario che i vertici della RAI riescano a far capire ai direttori di rete, dei telegiornali ed ai giornalisti che non devono rispondere ad altri che alla propria coscienza (per usare un concetto del presidente Siciliano) ed al codice etico che sarà messo a punto. Credo che questo sia il modo in cui oggi dovremmo procedere.
Ieri il TG1 ha presentato come quarta o quinta notizia, dedicandole ampio spazio e compresa un'intervista, la decisione di una monaca di lasciare il convento dopo trent'anni e di chiedere un miliardo di indennizzo al suo ordine. Che il TG1 delle 20 presenti questa come quarta o quinta notizia, dedicando 3 o 4 minuti all'intervista di questa persona...

PRESIDENTE. È una notizia...

GIANCARLO LOMBARDI. Per carità, ma di notizie di questo genere te ne do cinquecento! Occorre la capacità di selezionare queste notizie. La mia impressione è che esiste un problema di qualità dell'informazione dei telegiornali che va al di là della pura contabilizzazione quantitativa sul pluralismo. La mia impressione è che probabilmente è vero che, nella gestione della crisi, sia stato privilegiato un sentimento, che Follini ha richiamato dicendo che era diffuso, e cioè che la crisi disturbava; ma ha giustamente detto che questo finiva con il coincidere con una tesi di parte. Poteva essere anche un sentimento diffuso, però di fatto era la posizione di una parte rispetto alle altre. Credo perciò


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che sia vero che qualche squilibrio vi sia stato.
Il problema è davvero nella formazione. Il presidente ed il direttore generale non possono non sapere che si esce da una disabitudine. Semenzato ha detto che la situazione dei giornali della carta stampata è diversa, perché si è accettata la logica dello schieramento in modo molto più marcato; poi però ha completato il concetto con una posizione sulla quale mi trovo totalmente d'accordo, e cioè che finché la RAI resta un'azienda di Stato, che serve un interesse generale (ed io auspico che resti tale), questo problema indiscutibilmente si pone. E qui che va considerata la differenza dai dati, pur molto forti, che Iseppi ha riportato a proposito di Mediaset. Mediaset dell'obiettività delle informazioni se ne infischia nel modo più solenne, ritenendo che non rientri nella professionalità dei suoi gestori; altrimenti, ci scandalizzeremmo anche di questo. Ma non è questo l'argomento principale di nostro interesse.
Raccomando che i cinque capitoli che sono stati indicati dal direttore generale diventino oggetto di un vostro monitoraggio. Non siamo noi a doverlo fare, noi dovremmo vedere i risultati e, soprattutto, dare la garanzia al mondo dei giornalisti affinché perseguano questa strada anziché quella dei rapporti diretti con il mondo politico, che molte volte predica bene e razzola male.

PAOLO RICCIOTTI. Presidente, vorrei spostare il ragionamento ed il dibattito sul tema dell'imparzialità o meno del sistema radiotelevisivo, anche per formulare un ringraziamento a lei, che ha posto anche per i partiti più piccoli e meno rappresentati in questo momento la sottolineatura di alcune cose che non funzionano.

PRESIDENTE. È un dovere.

PAOLO RICCIOTTI. La ringrazio. Su indicazione della Commissione di vigilanza è stato adottato un piano preciso sul pluralismo. Questo piano, da parte del consiglio di amministrazione, nella prima fase è stato recepito; l'ultimo intervento è stato sicuramente esaustivo, nel senso che creare le condizioni per un incontro sul grande dibattito del pluralismo in Italia costituisce sicuramente un fatto significativo. Queste indicazioni sono state date alla direzione generale e quindi, poi, a cascata, a tutti. Ma, e lo dico non solo considerando i dati dell'ultimo anno e mezzo e nemmeno quelli degli ultimi sei mesi, queste indicazioni non sono mai state attuate. Può darsi che i giornalisti nel sistema televisivo abbiano ancora una reminiscenza del passato; ma almeno nel passato vi erano quelli che qualche giornalista RAI ancora oggi definisce gli azionisti di riferimento. Questi ultimi all'epoca godevano di una presenza maggiore. Oggi gli azionisti di riferimento non esistono più e andiamo verso un sistema RAI che attua il pluralismo; però neanche i giornalisti conoscono quali sono i gruppi parlamentari rappresentati all'interno della RAI. Lo dico perché anche oggi vi sono deputati calcolati per rinnovamento italiano e che invece già da sei mesi ne sono usciti, come Boselli e Crema, che addirittura sono considerati tali dall'osservatorio di Pavia. Sono quindi preoccupato di come sono analizzati i dati.

PRESIDENTE. Anche l'onorevole Sgarbi, che è del gruppo misto ma viene considerato di forza Italia.

PAOLO RICCIOTTI. Non voglio ricordare al presidente ed al direttore generale che in Parlamento esistono otto gruppi costituiti, quattro nell'attuale maggioranza di Governo (tre più rifondazione) e tre dell'opposizione più la lega. Fermi restando gli interventi del Governo, che inevitabilmente stanno andando in linea con il sistema europeo, abbiamo all'interno del sistema dei partiti rappresentati una discrepanza, una differenziazione netta. Cito non solo l'esempio del patto Segni, ricordato da Follini, che si è astenuto sul Governo (la ritengo una notizia importante), ma anche un altro molto più piccolo, ma comunque importante per sensibilizzare i cittadini come lo furono quando al Senato


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rinnovamento italiano non era più gruppo parlamentare: voglio dire che la ricostituzione del gruppo al Senato non ha meritato neanche una notizia del sistema RAI, mentre invece è stata trasmessa dai telegiornali di proprietà privata. Lo dico perché gli indirizzi da voi dati oggi non vengono rispettati, o lo sono solo in parte. Non mi riferisco al fatto di inserire per forza un partito o l'altro, perché nessuno pensa questo; però una logica di pluralismo deve esservi. Ma il pluralismo viene inevitabilmente totalmente by-passato riguardo al dibattito sugli altri.
Noi non siamo voluti entrare nelle polemiche di questi giorni, perché riteniamo che una riflessione ampia dovrebbe essere fatta anche in Parlamento, in prospettiva, ma non per spostare l'asse dalla Commissione di vigilanza al Parlamento, bensì perché riteniamo che stia diventando visibile a tutti che in alcune trasmissioni ben precise c'è un'omologazione da parte dei giornalisti. Allora, il sistema pubblico deve attuare un pluralismo reale. La notizia sulla suora che esce dal convento può anche essere un fatto giornalistico, ma non può essere una notizia messa tra le prime del telegiornale visto da otto milioni di cittadini.
Anche prima di divenire membro della Commissione ero fra coloro che ritenevano sbagliate alcune trasmissioni di RAIDUE che tendevano al superamento di alcuni valori, di alcune logiche etiche. Mi fa molto piacere che la RAI voglia adottare un codice di comportamento, ma questo codice deve diventare un fatto reale, visibile, in modo che i cittadini che vedono i telegiornali si rendano conto che il sistema pubblico televisivo lascia stare i giudizi di merito dei giornalisti ed è un sistema che, nel pluralismo, fa diventare protagonista il paese.
Non siamo intervenuti nella polemica inerente al dibattito sul sistema radiotelevisivo in generale, quindi compreso il sistema privato rispetto alla gestione pubblica, perché riteniamo che il ruolo del Parlamento sia quello di creare le condizioni per cui il sistema radiotelevisivo sia in linea con il pluralismo. Ho seguito con attenzione l'intervento del dottor Iseppi che ha tentato di spiegare che il presidente Dini parla anche a nome del Governo. Ma allora, dal punto di vista tecnico, bisognerebbe andare a vedere quando parla per il Governo e quando lo fa per rinnovamento italiano: non è facile, ma è possibile.
Inoltre, è vero vi sono partiti, anche rappresentati nel gruppo misto come i verdi, che per un caso particolare hanno il gruppo al Senato e non alla Camera, ma è chiaro che vi è illogicità nella presenza dei partiti nella maggioranza. Un tempo c'erano gli azionisti di riferimento, che adesso non ci sono più, ma vorremmo capire se il pluralismo debba dare spazio a tutti. Lo dico perché stanno avvenendo alcune cose anche nelle famose tribune elettorali dei TG regionali, come per esempio ieri nell'edizione del Lazio, dove si assiste a mancanza di pluralismo. Infatti, non solo le forze rappresentate in Parlamento ma anche le liste civiche dovrebbero avere un loro spazio. Se nello spazio di tutte e tredici le trasmissioni del Lazio ogni partito passa in televisione soltanto una volta, ritengo che i cittadini non abbiano un'informativa realmente concreta di ciò che avviene nel dibattito riguardante le amministrazioni locali. Allora, bisognerà rivedere alcune cose, perché se dal vertice arrivano gli indirizzi però non vengono attuati, è la stessa cosa del pluralismo: se il pluralismo suscita un grande dibattito ma le indicazioni che ne derivano non sono recepite...
Il gruppo di rinnovamento italiano desidera perciò sapere quali sono i terminali responsabili e se la RAI nominerà una commissione responsabile della verifica dell'attendibilità dei giornalisti; soprattutto, vorremmo sapere se le programmazioni dei dibattiti nelle tribune in questa fase così complessa e di scarsa attenzione dei cittadini (nelle grandi città pare che oltre il 35 per cento non abbia ancora deciso chi votare, soprattutto riguardo ai partiti), riceva più spazio. È necessario infatti non solo spiegare come si vota e qual è il giorno del voto, ma anche consentire ai vari partiti rappresentati in Parlamento o meno di avere uno spazio adeguato di


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pluralismo. In questo, la programmazione a livello regionale è molto carente.

ENRICO JACCHIA. Ho molto apprezzato gli interventi del presidente e del direttore generale, e in particolare le informazioni che egli ci ha dato sul progetto dei cinque punti: hanno volato alto, specialmente quando hanno dichiarato di voler fare il codice etico. Ma vorrei concentrarmi su ciò che in fondo ha provocato questa audizione, e cioè l'atteggiamento della RAI durante la crisi di Governo. Follini ha detto una cosa molto giusta, cioè che l'opinione generale era che la crisi era male, e la RAI ha seguito più o meno questa tendenza. Ma questa era la pura verità: avete fatto benissimo a far così perché non solo la grande maggioranza del pubblico, ma nei primi giorni gli stessi partiti di opposizione erano contrari all'apertura di una crisi al buio. Gran parte del pubblico, vorrei dire della nazione, era molto preoccupata del fatto che non si entrasse in Europa.

PRESIDENTE. Questa è un'interpretazione. Il segretario del suo partito chiedeva le dimissioni del Governo e le elezioni, senatore Jacchia.

ENRICO JACCHIA. Sì, ma nel complesso, il grande trend, non ce lo dimentichiamo...

PRESIDENTE. È la conferma che non è vero che non c'è democrazia nella lega nord, perché lei esprime un'opinione diversa.

ENRICO JACCHIA. Cosa c'entra la lega nord?

ANTONIO FALOMI. Presidente, non facciamo come Mannoni.

PRESIDENTE. Ha ragione, ho «mannoneggiato»...

ENRICO JACCHIA. Il grande trend dell'opinione pubblica, della nazione (diciamo pure questa parola), e non lo potete negare, era «stiamo molto attenti». Quindi, è naturale che i giornalisti, che non sono superuomini, fossero anche loro in questo mood, in questo sentimento, e seguissero questa linea.
E passo subito alla questione del TG3. Il direttore Iseppi ci ha detto di come la direttrice Annunziata abbia voluto scegliere la giornata del 16 ottobre come tematica proprio su questo problema. Chiederne le dimissioni perché uno ha detto tre parole («è assurda la crisi di Governo»)... erano ed eravamo in tanti a considerare assurda la crisi di Governo: ha detto una cosa che era comune alla gran parte dei cittadini. Il collega Semenzato trova che il servizio sulla marcia della pace di Assisi sia uno dei motivi per dimissionare la Annunziata. Ma hanno ripreso la marcia della pace, hanno ripreso un certo gelo fra D'Alema e Bertinotti, che esisteva: allora, cosa dobbiamo pensare dell'altra sera, quando il TG1, che è il telegiornale moderato, starei per dire della gente dabbene, ha aperto il notiziario delle 20...

MAURO PAISSAN. Dabbene? Perché, gli altri sono «dammale»?

ENRICO JACCHIA. ... con un lungo servizio sul comizio di Bertinotti in cui c'era una marea di bandiere rosse con la falce ed il martello? Va bene, facevano questo e il TG1, che è dall'altra parte, ha aperto il notiziario delle 20 con la marea di falci e martelli: direi che una cosa compensa l'altra. Forse è bene che sia così.
Invece, sui dati aggregati che ci fornisce con assoluta «ferocia» il direttore generale - che ci martella con i dati aggregati - sono d'accordo che possono facilmente alterare la realtà (me ne sono occupato molto negli anni passati): dipende da come si aggregano.
Passando, adesso sì, alla lega nord, sempre in tema di dati, vorrei dire che è abbastanza significativo che nei 15 giorni di ottobre il dato citato dal direttore e che risulta dalle tabelle è che la lega ha avuto l'1,3 per cento del tempo complessivo. Questo non è normale.
Passando rapidamente ai punti illustrati dal direttore, sarebbe estremamente


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importante (perché il progetto è molto ambizioso) riuscire a creare un nuovo rapporto con l'etica. Se ci riuscirete, sarà meraviglioso, perché tutti coloro che si avvicina all'etica, che vogliono fare un codice etico, incontrano grosse difficoltà.
L'attività di formazione è molto importante. Ci siamo posti questo problema molte volte. Abbiamo rilevato recentemente che vi sono dei casi in cui si vede che l'attività di formazione è carente, specie nella generazione entrata negli ultimi 10 anni. Si diceva che ci vuole chiarezza: certo, ma è difficilissimo avere chiarezza in video. Sintesi: sì, ma è difficilissimo avere sintesi in video, è difficilissimo riuscire a esprimersi chiaramente e sinteticamente quando si ha un solo minuto a disposizione. Sempre a proposito di formazione, si è parlato di come bisogna «piazzare» un determinato evento nella visione globale. È estremamente importante, ma è difficilissimo: è difficile come dire, nei trenta o sessanta secondi a disposizioni di un opinionista, le cose essenziali in modo chiaro e comprensibile.
Miglioramento del rapporto con il pubblico. Certo, se riuscirete ad ottenere anche questo sarà meraviglioso. Errori nei programmi. Certo, se potrete rilevare degli errori nei programmi sarà molto importante.
I cinque punti, perciò, costituiscono un programma seducente. Sarebbe interessante conoscere i tempi: se poteste comunicare alla Commissione i tempi approssimativi necessari per mettere in atto questo programma, credo che ve ne saremo tutti grati.

PRESIDENTE. Poiché mi è stato chiesto di continuare con gli interventi dei colleghi e non vi sono obiezioni, do la parola al senatore De Murtas. Sono iscritti a parlare anche i colleghi Falomi, Landolfi, Baldini e Paissan.

GIOVANNI DE MURTAS. Presidente, tento di restringere al massimo il mio intervento e mi rifaccio alla lettera che abbiamo indirizzato a lei e anche al presidente Siciliano e al direttore generale Iseppi su questa vicenda, evitando di banalizzare o sfumare l'argomento del quale stiamo trattando semplicemente allargando troppo i confini della nostra riflessione.
Questa Commissione ha approvato all'unanimità un documento di indirizzo sul tema del pluralismo. Il problema che noi poniamo è: rispetto agli indirizzi definiti in questo documento, nella gestione dell'informazione da parte del servizio pubblico radiotelevisivo durante il periodo della crisi, è possibile ravvisare elementi reali di disturbo, di sovvertimento degli indirizzi stessi? È possibile che la gestione dell'informazione radiotelevisiva sulla crisi di Governo sia uscita dai confini di imparzialità, di correttezza e di obiettività, e quanto, come e dove?
La prossima domanda ha un certo peso politico. Il contenuto del documento di indirizzi, anche alla luce di questi fatti e di una riflessione approfondita su di essi, può essere applicato nella normalità dell'informazione e anche nei casi in cui ci si trova di fronte ad una situazione di sofferenza politica acuta o, se volete, di conflitto politico tra forze di maggioranza, forze di opposizione, all'interno della maggioranza, con il coinvolgimento del Governo, e comunque in un momento topico come quello rappresentato dalla crisi di Governo? Mi pare che, anche restringendo al massimo l'argomento al punto che c'interessa, le risposte del dottor Siciliano e del dottor Iseppi non offrano valutazioni rassicuranti in questa direzione perché, al di là del fatto che il presidente Siciliano parla di errori che non vanno dimenticati per non essere ripetuti ed il dottor Iseppi di sbavature giustificate da margini di soggettività, il giudizio di fondo che ci viene proposto oggi è che durante quel periodo di crisi la RAI è stata equidistante a tal punto da rappresentare con imparzialità e rigore le differenti posizioni politiche, ciò che esattamente noi contestiamo. Mi pare che questo giudizio sia stato condiviso anche dal dottor Iseppi, il quale ha richiamato il discorso quantitativo, la contabilizzazione dei dati relativi alle presenze delle forze politiche nel breve o medio periodo


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e degli esponenti dei diversi partiti politici, cosa che il dottor Iseppi sostiene non essere comunque indicativa di tendenze, per mettere a fuoco le quali necessitano tempi medio-lunghi, per cui quei dati non sono comunque indicativi del fatto specifico che poniamo alla nostra riflessione.
Sgombrerei il campo anche da alcuni elementi di disturbo che sono emersi nella discussione odierna: il problema non è se la faziosità della RAI sia stata programmata o meno; a me personalmente la teoria del complotto non è mai piaciuta. Devo dire che, se la faziosità non è stata programmata, è comunque stata utilizzata molto bene in quei giorni e quindi questa non è una giustificazione. Il presidente Siciliano afferma che non si è prodotta una lesione tale da pregiudicare la qualità dell'informazione: questa può essere una scusante supportata dalla circostanza che la notizia comunque c'era, ma ci mancherebbe altro che fosse stata inventata una notizia! Allora sì che saremmo al regime, mentre invece ancora non ci siamo, ma sulle possibilità e le strategie per manipolare una notizia o per darne una rappresentazione di un certo tipo, ad uso e consumo di una parte politica o - per citare testualmente il documento di indirizzo della Commissione - dei detentori del potere politico, su queste tecniche penso vi sia una casistica molto ampia sulla quale riflettere anche nel contesto dell'informazione radiotelevisiva.
Allora, qui non stiamo parlando di una parola pronunciata da un giornalista televisivo; il senatore Semenzato giustamente ha ringraziato gli uffici per averci dato la possibilità di visionare i telegiornali di quei giorni e, poiché ho promesso che non mi sarei dilungato, mi limiterò a parlare del TG3 delle ore 19 del 9 ottobre, cioè esattamente il giorno della crisi. Vorrei sapere se ciò che è stato detto - mi limiterò a riportare alcune affermazioni dei giornalisti di quella testata - corrisponda ad un'interpretazione minimamente imparziale, obiettiva, corretta quale sarebbe stato necessario fare in quel momento oppure se si tratti dell'espressione di un eccesso di bollori militanti, come il vicepresidente Paissan ha avuto modo di dire in aula.
In quell'edizione del TG3 delle 19 non è stato dato nessun commento diretto da parte di esponenti del partito della rifondazione comunista, tranne i pochi secondi dedicati all'intervento del capogruppo alla Camera Diliberto. L'apertura è stata di questo genere (cito le parole utilizzate dal conduttore): «Ad un certo punto, sembrava che le cose si mettessero anche bene per il Governo; poi il violento attacco di Bertinotti a Cofferati, quasi la conferma, come insinuavano in molti, a cominciare da Valter Veltroni, che il vero obiettivo di Bertinotti non fosse la finanziaria, ma una precisa strategia politica di schieramento». Questa è stata la presentazione del telegiornale delle 19: possiamo girarla come vogliamo, ma queste sono state le parole, questa l'interpretazione offerta. Per chi ascolta, quell'impostazione è d'indirizzo, è strumentale o imparziale? Infatti, si possono dire molte cose, si può anche tentare, criticando nel modo più aspro e rigoroso le posizioni espresse da quella o quell'altra parte politica, di rappresentarle per quello che sono, non di raccogliere insinuazioni per dire: abbiamo la conferma delle insinuazioni che sono state raccolte anche dal vipresidente del Consiglio, perché questo è il messaggio che passa; la notizia c'era, la crisi c'era, ma mi pare che vi sia stata anche manipolazione.
Nello stesso telegiornale il medesimo conduttore afferma: «Il Polo festeggia la caduta del Governo, il Polo che l'altro giorno alla Camera aveva gridato: Bertinotti facci sognare!». Questa è o no la rappresentazione di una crisi che tende a mostrare una collusione d'interessi tra rifondazione comunista, il suo segretario in particolare, ed il Polo ad uso e consumo di una certa parte politica?
L'ultimo esempio riguarda il momento in cui lo stesso giornalista commenta alcune dichiarazioni di diversi esponenti della lega nord. «A proposito della lega, Umberto Bossi ha incontrato Bertinotti alla Camera dopo la decisione di rifondazione comunista di far cadere il Governo ed i due si sono stretti la mano. Il


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cosiddetto fattore B che aveva fatto cadere il Governo Berlusconi, B come Bossi, si è ripetuto con Prodi, B come Bertinotti», che è la traduzione televisiva dell'assunto per il quale la lega e rifondazione sono uguali in quanto forze antisistema, e potrei continuare in questo tipo di interpretazioni. Mi fermo perché l'informazione data dal TG3 in quei giorni è stata in modo sistematico, tutta, completamente di questo tipo.
Ribadisco la domanda e concludo il mio intervento. Vorrei solo sapere se, rispetto al problema che abbiamo segnalato, il presidente ed il direttore generale della RAI ritengano che questa modalità di gestire l'informazione radiotelevisiva del servizio pubblico sia un modo per rispettare quei criteri di correttezza, di imparzialità, di obiettività che andrebbero tutelati soprattutto quando si tratta di rendere conto, di fronte all'opinione pubblica, delle diverse posizioni politiche oppure se questo rappresenti un caso in cui quegli indirizzi sono stati stravolti ed in che modo s'intenda per il futuro ovviare a questa situazione. Va da sé che, se ribadirete che questa è la normalità e che ciò che è accaduto rappresenta soltanto un errore, qualcosa di comprensibile vista la particolarità dell'informazione ed anche alla luce della situazione di tensione di quei giorni, se così è, per ciò che ci riguarda trarremo le conclusioni anche rispetto a quel documento di indirizzi che questa Commissione ha approvato, evidentemente individuando norme non applicabili o che voi stessi non considerate tali da dover essere applicate al sistema pubblico radiotelevisivo.

PRESIDENTE. Su quest'ultimo aspetto, onorevole De Murtas, mi consenta di osservare che la Commissione può anche varare documenti sulla base dei quali verifica se l'atteggiamento della RAI sia conforme o meno ad essi.

ANTONIO FALOMI. Anch'io come il senatore Semenzato ho trascorso la domenica a guardare le cassette dei telegiornali. Purtroppo ho dovuto impiegare parecchie ore perché non mi sono limitato a guardare solo i telegiornali della sera, ma ho cercato di visionare anche quelli principali del pomeriggio. L'ho fatto per cercare di spogliarmi il più possibile dell'inevitabile ottica di parte con cui ognuno di noi guarda le cose che concernono la televisione, anche se naturalmente non do alcuna connotazione negativa all'ottica di parte, essendo convinto che dal conflitto tra differenti ottiche di parte si riesca poi a venir fuori con una posizione più equilibrata e sobria. Tuttavia, credo che ognuno di noi, nell'esprimere valutazioni, debba sforzarsi di confrontare il proprio punto di vista con i dati oggettivi e per tale motivo ho insistito molto per visionare il materiale riguardante il periodo della crisi di Governo.
Peraltro, ritengo molto utili anche i dati che sono stati forniti relativamente al medesimo periodo dall'osservatorio di Pavia; vorrei comunque che evitassimo due estremi: da un lato quello di chi sostiene che i dati non contano nulla, si può metterli tra parentesi e parlare d'altro; dall'altro quello di chi ritiene che essi siano tutto, che diano risposte a tutte le questioni. Non è così evidentemente perché i dati, com'è noto, dicono delle cose ma non dicono tutto; sicuramente una cosa la dicono, cioè che complessivamente anche nella vicenda della crisi l'informazione RAI è stata di gran lunga più obiettiva della concorrenza Mediaset, che è vero che è privata ma che, in base alle leggi vigenti, dovrebbe a sua volta essere tenuta al rispetto dei principi della completezza e dell'imparzialità dell'informazione.
Guardando il materiale fornito alla Commissione ho ricavato elementi di valutazione che per un verso corrispondono a quelli che si ricavano dai dati dell'osservatorio di Pavia relativamente al periodo di tempo considerato; per altro verso, però, ho ricavato anche una serie di osservazioni critiche, che sono state qui riproposte, su specifici episodi che si sono determinati, come quelli che ricordavano il senatore Semenzato e l'onorevole De Murtas. Nel complesso dei telegiornali l'informazione, ovviamente polarizzata sui soggetti principali della crisi, si sforzava


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tuttavia di acquisire i punti di vista del Governo, delle forze di maggioranza, di rifondazione comunista, dell'opposizione, delle parti sociali, sindacato e Confindustria; vi era cioè un panorama complessivo di servizi che cercava di leggere la crisi secondo ottiche diverse alle quali veniva dato spazio e questo devo dire che complessivamente è accaduto in tutte le edizioni dei telegiornali. Tuttavia, vi sono degli episodi che effettivamente pongono qualche problema.
Anch'io come il senatore Semenzato non ho capito perché all'improvviso, durante l'intervista a Cossutta che spiegava la sua proposta politica, sia apparsa la pagina del Manifesto con il titolo «Facciamoci del male»: potrei capire se ciò avesse fatto parte di un servizio sui problemi che in questa vicenda si ponevano a sinistra, ma nel caso di specie non aveva alcuna attinenza. Analogamente credo si possa dire per una serie di frasi e di argomentazioni, che il collega De Murtas citava, da parte del conduttore dell'edizione delle 19 del TG3, frasi che effettivamente ripropongono la questione posta dal presidente Siciliano, cioè che in quel caso si sono alquanto confuse le opinioni rispetto alla cronaca, ai fatti, un elemento di distinzione importante che va affermato come modo, come regola della vita del servizio pubblico. Non penso che vi siano stati elementi di regime o una sorta di generale torsione di un certo stampo da parte del servizio pubblico.
Quanto all'osservazione del collega Follini relativamente al fatto che la crisi è stata rappresentata come un male, devo dire che questo elemento l'ho visto nel senso che la crisi veniva rovesciata soprattutto sulla maggioranza; le polemiche che ho sentito fare da parte di esponenti del Polo sui rischi che tutti i sacrifici compiuti fossero vanificati costituivano elementi di polemica politica cui venivano contrapposte invece la determinazione e la durezza di Prodi e D'Alema. Lo dico per far presente che ho letto in modo diverso quella circostanza cui si richiamava il collega Follini.
Comunque, complessivamente ricavo il giudizio di un'informazione sostanzialmente equilibrata, con degli episodi che certamente non possono essere fatti passare sotto silenzio, che sono stati denunciati e che anch'io ho rilevato osservando il materiale. Il problema è allora quello di cosa fare di fronte a questa situazione: sono d'accordo con il senatore Semenzato quando afferma che tra il non fare nulla e applicare logiche disciplinari deve esservi una strada intermedia. Non possiamo certo pensare che la risposta sia quella di ingessare l'informazione televisiva in una logica da farmacista, di bilancino tra tutte le componenti e sottocomponenti, in quanto l'elemento del pluralismo complessivo va garantito, ma bisogna anche prestare attenzione a non ridurre tutto a questo problema.
Il tema su cui dobbiamo lavorare noi come Commissione ma anche la RAI è quello di come all'interno del servizio pubblico si faccia crescere la cultura della professionalità e dell'autonomia dei giornalisti; questo è il punto su cui dobbiamo interrogarci e lavorare. Anche le polemiche di parte che si aprono sul servizio pubblico costituiscono un elemento di dialettica fisiologica che aiuta il servizio pubblico stesso ad affermare questa cultura della professionalità e dell'autonomia giornalistica, e tuttavia credo che si debba fare qualcosa di più.
Da questo punto di vista mi sembra molto interessante la proposta, lanciata qui dal presidente della RAI, di una conferenza per andare a fondo su questi temi, perché credo serva a tutti uscire dalla logica, ormai vecchia, della pura spartizione, della lottizzazione, dell'interferenza politica da parte dei partiti o, viceversa, della ricerca di protezione politica da parte dei giornalisti. Uscire da questa logica è assolutamente importante: una delle vie per farlo è di sicuro quella di sviluppare una riflessione approfondita per una nuova cultura dell'informazione del servizio pubblico, opera alla quale credo possa contribuire anche questa Commissione.


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MARIO LANDOLFI. Siamo qui perché la Commissione ha voluto accedere ad una precisa richiesta del gruppo di rifondazione comunista, che ha lamentato - lo ha messo anche per iscritto - una serie di inadempienze della concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo rispetto al documento vincolante approvato da questa Commissione sul pluralismo in televisione. Ci siamo arrivati dopo una settimana di polemiche feroci, che hanno visto settori autorevoli della sinistra, cito per tutti il vicepresidente di questa Commissione, l'onorevole Mauro Paissan, formulare critiche roventi all'indirizzo della RAI, del suo consiglio d'amministrazione e del direttore generale; polemiche che il presidente Siciliano ha definito scemenze in un articolo pubblicato dal giornale del partito di maggioranza relativa e che oggi - e di questo lo ringrazio - ha invece elevato al rango di errori; quindi oggi vi è un fatto nuovo in questa Commissione: il presidente della RAI riconosce che alcune delle ex scemenze sono invece degli errori. Per parte sua, il direttore generale - e di questo lo ringrazio - ha ammesso alcune sbavature. Vi è il rischio, però, che tutto si risolva in un gioco delle parti, che tutto venga derubricato a singoli episodi e che venga trascurato quello che invece è l'argomento per discutere il quale siamo stati convocati, cioè la presenza o l'assenza, se preferite, del pluralismo all'interno dell'informazione della RAI. È di questo che dobbiamo discutere, altrimenti se tutto fosse riducibile ad episodi, potremmo cavarcela con dichiarazioni del tipo di quelle che solitamente facciamo nel corso della settimana parlamentare.
Vorrei tornare, perché mi sembra centrale, sul concetto espresso dall'onorevole Follini relativamente alla premessa etica che è riecheggiata anche nelle parole di De Murtas, il quale pure non ha voluto specificatamente parlare di una pregiudiziale etica sulla crisi. È vero, l'informazione che è stata veicolata dai telegiornali RAI dava il messaggio per il quale la stabilità era un bene, quasi un omaggio al pensiero unico della stabilità, e tutto ciò che poteva intralciare, minacciare, minare questa stabilità era il male, nel senso che si poneva fuori dalle comuni regole condivise.
Questo è stato il peccato originale dell'informazione RAI nei giorni della crisi di Governo, dal comico al leader politico: basti pensare alla trasmissione con Enrico Montesano, ex eurodeputato del PDS, il quale, nel momento in cui le barriere difensive del telespettatore sono abbassate, perché quando si guarda uno spettacolo di varietà non si ha la stessa attenzione di quando si assiste ad una tribuna politica, fa uno spot in favore della stabilità ulivista, non del PDS, un fatto molto grave. Quando il conduttore di un telegiornale definisce assurda una crisi che già il Presidente del Consiglio legittimamente ha definito la crisi più pazza del mondo, non è un riecheggiare servile di una posizione che è stata già espressa legittimamente e fondatamente dal Presidente del Consiglio, che può farlo, a differenza del conduttore che non può, perché non è pagato per esprimere giudizi su un atto politico rilevante? Le donne dell'Ulivo, gli operai di Brescia: perché non hanno intervistato i Cobas di Pomigliano? Questi ultimi certamente sarebbero stati a favore della crisi di Governo, ma non sono stati interpellati; invece, lo sono stati gli operai di Brescia, che sono stati fatti venire a Roma in pullman. Ci si vuol far credere che tutto questo sia solo un insieme di episodi slegati tra loro e addirittura informazione sul tamburo, quando si sa che i collegamenti vanno preparati prima?
Contesto queste affermazioni e sono preoccupato dal fatto di una RAI che decide a casaccio; avrei preferito che il presidente o il direttore generale ci avessero detto che tutto era stato scientificamente preparato: non avrei condiviso il pacchetto politico così confezionato, ma almeno avrei dovuto riconoscere una grande professionalità ai giornalisti della RAI. Invece, tutto accade a caso, accade perché a uno scappa la parola, ad un altro scappa il collegamento con gli operai di Brescia, ad un altro ancora quello con le donne


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dell'Ulivo; scappano tutti questi collegamenti che invece vanno preparati ore prima e ci si vuole far credere che tutto questo nasca a caso e che non sia stato scientificamente preparato? Questo non è il regime, presidente Siciliano, questo è neoconformismo - vogliamo usare una parola più dolce, meno preoccupante? - basato sul pensiero unico della stabilità, del buonismo veltroniano! Ecco, mettiamo la faccia di Veltroni al posto del monoscopio RAI!

PAOLO RAFFAELLI. Questo conformismo riguarda anche Berlusconi, allora!

MARIO LANDOLFI. Questa è la RAI oggi. Non è colpa sua, presidente Siciliano, e nemmeno del direttore generale; è il risultato di una stratificazione storica che come ha prodotto danni in merito alla lottizzazione, così ne produce in merito ad un'occupazione culturale che è stata posta in essere e che oggi produce questi frutti. Non c'è più differenza né controversialità, di cui parlava il collega Follini, tra maggioranza ed opposizione e soprattutto tra le varie testate; oggi vi è un'occupazione latifondista di una certa cultura che parla dal TG1 come dal TG2 e dal TG3. Quindi, non è colpa di questa dirigenza; sua colpa è quella di non aver attivato i meccanismi idonei per arginare, per limitare questo fenomeno.
Tuttavia, mi consenta, presidente Siciliano, di dirle che lei non è credibile come tutore del pluralismo quando scrive su l'Unità oppure va a brindare alla vittoria dell'Ulivo a Botteghe Oscure. Sono autorizzato a pensare post hoc propter hoc: come possiamo rimanere tranquilli rispetto ad una gestione RAI di questo genere, con questi prodotti e servizi, quando sappiamo che vi sono degli antefatti di natura politica? Sostengo che non è colpa sua, presidente Siciliano, e che lei ha ereditato questa situazione perché quando vi fu il ribaltone del 1994, esso fu fatto passare per l'appunto come un semplice ribaltone e nessuno si accorse che invece si era prodotta la scissione di un blocco sociale fino ad allora unito, che significava la fine di quel blocco sociale soprattutto in un'area geografica importantissima per il paese. Quell'episodio fu trattato alla stregua di un semplice ribaltone, di un cambio di maggioranza e chiaramente la lega in maniera molto sottile e velata, ma molto redditizia dal punto di vista politico, veniva fatta passare come l'alfiere della libertà e della democrazia perché atterrava il Governo di centro-destra. Quindi, caro De Murtas, il fattore B era molto diverso da quello di oggi: oggi rifondazione, che su questioni che stanno a cuore al blocco sociale che essa rappresenta ha tentato di aprire una crisi di Governo, è stata linciata dall'informazione RAI; questo va riconosciuto, e lo dico io che sto su sponde politiche opposte a quelle di rifondazione. Rifondazione è stata linciata perché nell'immaginario collettivo è stata rappresentata come il male, come l'agente maligno che minava il principio della stabilità ulivista, che è il vero verbo della RAI.
Ed allora, presidente Siciliano, non servono le sue riflessioni o le conferenze, secondo me in questa fase nulla serve a niente; siamo in una fase pericolosa: la RAI è di fatto un elemento fiancheggiatore del Governo, questo lo dicono i risultati dell'osservatorio di Pavia, quelli del centro d'ascolto di Roma, lo dice il buonsenso, lo dicono settori della sinistra. Lei, il consiglio d'amministrazione, il direttore generale dovete decidere se, rispetto alla situazione venutasi a creare, possano risultare utili riflessioni su riflessioni, conferenze su conferenze o non occorra invece qualcosa di nuovo, di diverso, che non mi permetto di suggerirle anche perché sono molto scettico al riguardo; comunque, dovrebbe trattarsi di provvedimenti che davvero si configurino come un'inversione di tendenza rispetto alla situazione quale oggi viviamo.

MASSIMO BALDINI. Presidente, a proposito della posizione da lei espressa nella sua relazione introduttiva, vorrei soffermarmi sul fatto che lei esclude che alla base di qualche mancanza vi sia stata una precisa volontà partigiana o una faziosità


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programmata. È quello che ha detto testualmente nella sua relazione introduttiva. Credo però che, al di là di questa dichiarazione, in realtà vi è stata un'informazione programmata in modo fazioso e totalmente asservito alle esigenze della maggioranza, o meglio alle esigenze dell'Ulivo. Che questa valutazione politica non sia espressa solo dal Polo - come tale potrebbe anche essere considerata strumentale, per un altro punto di vista, per una diversa valutazione politica, per diversi interessi politici - emerge da una valutazione espressa dalle lavoratrici e dai lavoratori RAI, a cura del partito della rifondazione comunista, che nella sua introduzione dice che tutta la fase dello scontro politico e della crisi di Governo sulla legge finanziaria è stata raccontata dalla RAI «in maniera faziosa, arrogante e mistificatoria: radio e televisione sono state usate come armi per ferire e possibilmente colpire a morte un partito della Repubblica italiana».
Credo che questa posizione politica, proprio per i rapporti esistenti tra rifondazione comunista e l'Ulivo, non possa essere considerata in termini strumentali così come potrebbe essere infondatamente considerata la posizione da noi più volte espressa, non soltanto nel corso della crisi politica ma anche per quanto riguarda il tipo, le modalità e il taglio dell'informazione anche in epoche precedenti la crisi politica.
Allora, come fa a sostenere oggi, come ha già fatto in passato, che comunque, per quanto riguarda la qualità dell'informazione televisiva, nulla si può dire se non che forse ci è stato qualche piccolo errore, che nella sostanza non inficia la qualità del servizio pubblico radiotelevisivo? Credo che la Commissione di vigilanza non possa più accogliere una valutazione politica (ripeto politica, perché è una valutazione politica che viene fatta anche dai vertici della RAI) in relazione al servizio pubblico radiotelevisivo. Per noi non è più accettabile che tutto possa essere nascosto dietro alcune sbavature di tenue entità non volute, quando invece riteniamo che il discorso sia impostato in modo determinato e sia realizzato anche con grande pervicacia.
Il documento di rifondazione comunista - lo cito perché è importante citarlo - afferma anche: «Nel corso dell'assemblea di presentazione del piano editoriale, la dottoressa Annunziata ha comunicato di voler trasformare il TG3 in senso istituzionale, assumendo il compito che, durante i Governi precedenti, svolgeva il TG1». Ecco, credo che qui vi sia un'impostazione precisa, specifica che è una conseguenza chiara dell'impostazione che la stessa Annunziata ha dato al ruolo nel momento in cui lo ha assunto davanti a persone che hanno potuto testimoniare, attraverso un documento ufficiale e non smentito, che la posizione della Annunziata non è stata estemporanea, casuale, essendosi trattato di un atteggiamento scaturito da un'impostazione iniziale che la Annunziata ha voluto dare alla sua attività di direttore del TG3.
Allora, come possiamo continuare a sostenere la posizione che voi venite a sostenere nella Commissione di vigilanza? Come possiamo continuare a far finta di nulla nel momento in cui la Commissione di vigilanza, in sostanza a grande maggioranza, denuncia le carenze riguardanti l'informazione radiotelevisiva? Che la situazione sia molto grave lo dimostra il fatto che uno dei due rami del Parlamento, la Camera, ha avvertito l'esigenza di promuovere un dibattito sul problema specifico, per valutare quali iniziative utili possano essere adottate per costringere il CdA della RAI, e comunque la RAI, ad una virata in relazione a questa impostazione, che è totalmente e squisitamente politica e totalmente voluta, e viene perseguita con grande pervicacia e con grande determinazione.
Credo che questa Commissione parlamentare non possa più essere costretta a ripetere costantemente un rituale come questo. Se il tutto si dovesse risolvere con le posizioni espresse attraverso la valutazione politica che lei, presidente, ha dato


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nel suo intervento significherebbe oggettivamente svuotare questa Commissione di ogni ruolo e anche, da parte della RAI, mantenere una posizione di totale rifiuto rispetto alle esigenze e agli indirizzi che questa Commissione ha portato avanti. Non capisco come, dopo una serie ripetuta di episodi di questo tipo, dopo una serie ripetuta di denunce da parte della Commissione in relazione al servizio pubblico radiotelevisivo (tanto che la Commissione stessa ha ritenuto opportuno approvare all'unanimità un documento contenente indirizzi precisi, specifici sul comportamento che la RAI avrebbe dovuto seguire in materia di pluralismo), vi sia stata una totale disattenzione, direi una totale assenza rispetto a questa impostazione.
Possiamo continuare in questa - consentitemelo - pantomima, per cui ognuno rimane sulle proprie posizioni, ognuno esprime le sue valutazioni, e magari, dopo questo episodio, se ne ripeteranno altri, rifaremo le solite audizioni, noi vi esprimeremo le nostre posizioni e la RAI ci continuerà a dire che l'informazione fatta finora è la migliore possibile, e tutto rimane nello statu quo ante? Oppure, arrivati a questo punto, vi fate carico degli orientamenti e degli indirizzi forniti dalla Commissione e che sono stati riproposti anche in questa audizione, e quindi adottate provvedimenti concreti per determinare un'effettiva virata del servizio pubblico radiotelevisivo, e quindi per quanto riguarda la qualità e l'obiettività dell'informazione ed il rispetto del pluralismo politico? Questa è la domanda alla quale dovrete rispondere con estrema chiarezza. Vi diciamo chiaramente che se la posizione rimane quella che lei ha enunciato nella sua dichiarazione introduttiva, presidente, la consideriamo totalmente insufficiente, totalmente carente, perché non tiene conto degli indirizzi della Commissione di vigilanza, non tiene conto di alcuna delle esigenze che abbiamo posto sul tappeto, e questo ci costringe ad assumere posizioni ancor più conflittuali nei confronti della RAI, per vedere se è possibile arrivare a modificare la situazione.

MAURO PAISSAN. Riconoscendomi integralmente in quanto ha detto il senatore Semenzato, mi limito ad alcune considerazioni. Qui, ovviamente, non è in discussione il giudizio sulla crisi di Governo, il giudizio politico sulle scelte in tal caso di rifondazione comunista o di altri soggetti politici. I colleghi sanno che noi verdi ed io personalmente abbiamo sollevato la questione dell'informazione pur dando un giudizio pesantissimo sulla crisi (che riteniamo tuttora davvero pazzesca, come il suo esito ha poi dimostrato) e un giudizio pesante sulle scelte e sui comportamenti del partito di rifondazione comunista.
Ma proprio da questa posizione di radicale dissenso politico su quel passaggio della crisi - noi ci siamo impegnati per la sua soluzione, per il superamento della crisi -, abbiamo trovato deprecabile quelli che ho definito gli eccessi ed i bollori militanti nell'informazione politica della RAI a favore del Governo. Abbiamo trovato deprecabili gli atteggiamenti di non sufficiente equilibrio informativo durante quei giorni ed abbiamo trovato deprecabile anche più di una sciatteria professionale ritrovata nei telegiornali di quei giorni, telegiornali del servizio pubblico che, in momenti di acuta tensione politica, sono chiamati a un di più di responsabilità, ad un di più di professionalità ed a un di più di equilibrio.
Ho apprezzato che il collega De Murtas abbia lasciato da parte il discorso sulla puntata di Fantastico, su Montesano, perché i discorsi sulla satira esigerebbero altri momenti: anch'egli ha concentrato l'attenzione sull'informazione. Io mi limito ad alcune annotazioni aggiuntive tralasciando il discorso sul TG3, perché si è detto perfino troppo al riguardo ed io non intendo infierire.
Due sole osservazioni supplementari. In primo luogo, ho parlato di sciatteria professionale. La prendo dal TG2, ma presumo che potrei prenderla anche da altri telegiornali serali di quei giorni e riguarda la frase «le fibrillazioni politiche sono


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costate 28 mila miliardi». Questa è una frase che uno studente di economia boccerebbe. È una frase che ho preso dal TG2 e che con altre cifre è comparsa sui giornali del giorno dopo: ma legittimamente con altre cifre, perché si tratta di affermazioni virtuali su una realtà assolutamente virtuale, non corrispondente ad un serie di cittadini o di imprese che abbiano visti bruciati 28 mila miliardi dei loro patrimoni. È una drammatizzazione della situazione sulla base di una sciatteria professionale, perché un redattore alle prime armi di economia sa che non si può dire: è una frase che possiamo usare nella polemica politica, che gli uomini politici usano dandosi reciprocamente del responsabile, ma che un serio informatore non può utilizzare in un telegiornale di servizio pubblico, perché non corrisponde a nulla, perché l'indice MIBTEL il giorno dopo aveva recuperato e perciò i possessori dei titoli non ci hanno rimesso nulla. Quella del calo della borsa è un'informazione che si può dare, ma non in quella forma. Questo lo dico per richiamare al dovere dell'alto tasso di professionalità e di responsabilità necessario al servizio pubblico nei passaggi più delicati dal punto di vista politico.
È altresì da rimproverare che un altro telegiornale, il TG1, sia assalito e dominato, nei passaggi fondamentali di ogni crisi politica, da quello che io definisco il riflesso paleocentrista, che lo porta a sovrarappresentare i suoi fantasmi politici e a censurare altre presenze politiche, se si vuole minoritarie ma reali. È stato fatto sfoggio di numeri, ma io ne prendo alcuni per segnalare una collocazione che non ha fondamento né dal punto di vista politico né da quello professionale del TG2: è il numero delle interviste del TG1 nei mesi di luglio, agosto e settembre. In questo periodo le formazioni politiche nate dall'ex democrazia cristiana, cioè CCD, CDU e PPI hanno visto 155 interviste al TG1.

PRESIDENTE. Qual è la fonte?

MAURO PAISSAN. Il centro di ascolto di informazione radiotelevisiva, che mi pare sia riconosciuto come assolutamente obiettivo. Alleanza nazionale, che è grande più o meno il doppio e che ha un ruolo significativo sulla scena politica, ha avuto 67 interviste. La lega nord ne ha avute 27, per non parlare dei verdi, dei quali aggiungo solo fra parentesi che ne hanno avute 24 comprese tutte le interviste al sindaco Rutelli sulle Olimpiadi del 2004 (con una presenza in termini di tempo dello 0,8 per cento, escluso il sindaco Rutelli per le Olimpiadi). Il PDS è rappresentato più o meno alla pari di forza Italia, se si esclude il Governo; ma la presenza del PDS al Governo è davvero consistente.
Cito questi dati, dottor Iseppi, perché ho l'impressione che forse una telefonata a qualche giornalista del TG1, per dire che sulla scena politica italiana non esistono più la democrazia cristiana ed il partito comunista e non siamo più nella realtà politica in cui questi due partiti avevano il 70 per cento del consenso del paese, sarebbe utile. Parlo di una telefonata, non chiedo provvedimenti amministrativi: una telefonata per aggiornare la valutazione storico-politica di alcuni dei giornalisti del TG1. E su questo, dottor Iseppi, deve ancora una risposta al collega Semenzato. Ha una motivazione giornalistica, una motivazione professionale, una valutazione politica, il fatto che nei sette giorni caldi della crisi il TG1 abbia visto la presenza costante in ogni sua puntata dell'onorevole Casini ed una sola di un esponente verde? Sette a uno mi pare un rapporto che non ha alcun fondamento rispetto al consenso elettorale né, in quei giorni, rispetto al ruolo politico.
Infine, trovo scandaloso il modo in cui è stata seguita la marcia Perugia-Assisi. Ma mi pare che su questo vi sia stata un'ammissione anche da parte del presidente Siciliano. Lo ribadisco perché, essendo il senatore Semenzato umbro, oltre che un noto pacifista, non vorrei che apparisse una sua notazione personale. Ridurre Capitini, San Francesco ed i terremotati al battibecco politico del giorno è un'operazione violenta dal punto di vista della distorsione informativa.


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ANTONIO FALOMI. Il telegiornale delle 14,30 è stato più prudente; ha distinto meglio.

MAURO PAISSAN. Abbiamo visionato soltanto le cassette dei telegiornali serali, che sono quelli più visti. Anche le notazioni che ho fatto prima sulle presenze riguardano solamente il TG1 delle 20, perché in altre edizioni vi erano altre presenze politiche.
Questi sono alcuni fatti che mi portano a ribadire la mia analisi e a invitarvi ad un'ulteriore riflessione critica. Ho apprezzato l'atteggiamento con cui siete venuti oggi in questa sede, un atteggiamento non di difesa d'ufficio di tutto ciò che è stato fatto (mapotrei dire combinato) in quel periodo. Penso che la Commissione debba esprimere un giudizio sull'oggetto della nostra discussione, sull'informazione politica di quei giorni, e debba indicare delle soluzioni anche sulla falsariga di alcune proposte che voi stessi avete fatto e che la Commissione in modo autonomo valuterà.
Dal punto di vista politico, ho apprezzato l'intervento del collega Falomi come capogruppo della sinistra democratica, un intervento assai diverso da altre uscite di esponenti di quel partito sull'informazione RAI durante la crisi, un intervento che ha ammesso la fondatezza dei rilievi critici e che perciò apprezzo, perché non vi è stato alcun «servizio d'ordine» da parte del gruppo della sinistra democratica nei confronti di testate particolari, né di giornalisti particolari, né di singoli servizi.
Penso che la RAI sia ancora distante da raggiungere gli obiettivi che noi abbiamo indicato nel documento sul pluralismo. So che non è esclusiva responsabilità vostra, che avete avuto a che fare con un'eredità pesante. Penso che sia compito della Commissione stimolarvi e spronarvi a camminare più in fretta nei confronti di quegli obiettivi.
Si è parlato di una via intermedia fra il nulla ed i provvedimenti disciplinari. Io indico una piccola misura che forse potrebbe essere utile a togliere alcuni dei vizi dell'informazione politica del servizio pubblico, che è quella che nei giornali spesso si indica come la necessità della rotazione nelle funzioni. Penso che non sia sano che un singolo redattore permanga anni ed anni, con il passaggio delle legislature, delle Repubbliche e dei partiti, a fare sempre lo stesso lavoro. Nei giornali questo non è ammesso, nel senso che si induce ad una rotazione, se si vuole con promozione, ma comunque ad una rotazione, perché si instaurano rapporti personali, rapporti politici, consonanze politiche ed ideologiche che non rendono un servizio alla professionalità dell'informazione politica. Ovviamente, noi non abbiamo diritto a vincolare la RAI a questo tipo di decisioni, ma auspicare che voi poniate ai direttori l'opportunità di questa misura forse è utile.
Infine, voglio dire che su questa materia i verdi non si sentono vincolati a logiche di maggioranza. Decideremo, per quanto riguarda sia le proposte sia il comportamento di voto, nella discussione che svolgeremo nelle prossime due riunioni, sulla base del merito delle osservazioni, delle proposte e delle indicazioni.

PRESIDENTE. Colleghi, hanno chiesto di intervenire l'onorevole Melandri ed il senatore Costa.

GIOVANNA MELANDRI. Sì, desidero intervenire sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Allora dovrò dare la parola anche al senatore Costa.

GIOVANNA GRIGNAFFINI. Avevo chiesto anch'io di parlare.

PRESIDENTE. Ma in ufficio di presidenza si era concordato di dare la parola ad un oratore per gruppo.

GIOVANNA MELANDRI. Vorrei porre una questione di metodo sul prosieguo dei nostri lavori. La discussione utile di oggi mi sembra che abbia evidenziato che il confronto tra i gruppi parlamentari ed il presidente ed il direttore generale della RAI si è svolto partendo dalla valutazione di alcuni episodi circostanziati che


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riguardano le testate, che sono state tutte chiamate in causa dall'uno o dall'altro intervento. Chiedo perciò di proseguire il dibattito nella prossima seduta avendo in Commissione i direttori delle testate. Mi sembra importante che si riconosca anche ai direttori l'autonomia e la responsabilità sulle scelte che riguardano le loro testate giornalistiche, e quindi l'interlocutore della Commissione non debbano essere soltanto l'editore e i vertici dell'azienda ma anche i direttori delle testate, che hanno responsabilità autonoma sulle scelte. Credo che giovedì potremmo sviluppare ulteriormente la nostra discussione sulla base di un confronto con i direttori delle testate.

PRESIDENTE. Onorevole Melandri, nel documento di indirizzi sul pluralismo approvato dalla Commissione, al di là delle deliberazioni assunte dall'ufficio di presidenza, che ha stabilito dei tempi certi (se la proposta dell'onorevole Melandri fosse stata sollevata in quella sede sarebbe sembrata interessante anche al presidente), abbiamo scritto testualmente: «La verifica del rispetto dei presenti indirizzi è affidata al rapporto costante tra la Commissione e il consiglio di amministrazione». Interlocutori esclusivi della Commissione sono il consiglio di amministrazione e, per quanto di sua competenza, il direttore generale. Questo non vuol dire che non si possa fare quanto ha detto, onorevole Melandri, però lo deve stabilire l'ufficio di presidenza: mi sembrerebbe improprio stabilirlo in sede assembleare.
Do la parola al senatore Costa, che prego di essere sintetico.

ROSARIO GIORGIO COSTA. Sarò brevissimo. Presidente e direttore, questa Commissione, con il documento sul pluralismo votato all'unanimità, diede l'esempio di voler collaborare, di voler dare il «la» all'azienda RAI, all'azienda RAI degli italiani, di come si vuole iniziare un discorso nuovo che prescinda dalla logica di occupazione parziale o totale dell'azienda. A noi cristiano-democratici uniti - puntualmente discriminati, ed è sufficiente prendere atto dei dati dell'osservatorio di Pavia (ma questo è solo un debordo momentaneo) - sembra che, a quell'atto di buona volontà, da parte della RAI non si sia corrisposto con lo stesso atteggiamento di buona volontà. E a me personalmente non sembra che questa carenza di predisposizione al meglio venga né dalla direzione amministrativa né dalla presidenza né dal consiglio di amministrazione. Io ho vissuto un'esperienza simile alla vostra in ambiente sanitario e ricordo quando, come direttori o come amministratori, ci accapigliavamo pensando di gestire l'azienda sanitaria: invero, chi la gestiva era il personale medico. In questo ambito accade la stessa cosa, a mio modesto avviso. E allora, che può fare un consiglio di amministrazione che di volta in volta si riunisce su relazione del direttore? Prende atto di questa enorme dispiacenza, perché io credo che per voi questa debba essere un'enorme dispiacenza, perché altrimenti non dovrei credere alla vostra buona fede, alla quale credo. Allora, in costanza di uno sbiellamento quale quello che emerge dalle lamentele che salgono da larghi strati di questa Commissione (non dico né dalla maggioranza né dalla minoranza, ma da larghi strati di questa Commissione), che all'unanimità aveva votato il documento sul pluralismo, che cosa è possibile fare? Lungi da me il pensare di fare un mestiere che non mi appartiene: io comincerei seriamente a considerare le clausole del contratto di lavoro che legano i vari collaboratori e i vari responsabili del giornale e della rete, perché, in base alle volte in cui le lamentele sono molte, è evidente che il soggetto è criticato. Per un magistrato è sufficiente un minimo di critica perché sia rimosso. E allora questo può essere un modo di essere amministratori (o direttori, ma non intendo sostituirmi a nessuno), perché si cominci a dare atto che i contratti vanno rispettati e che quando ci sono lamentele così generalizzate, indipendentemente dall'ambito dal quale provengono, certamente qualcosa non va bene. È


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probabile che, se oggi provengono dal centro destra, domani provengano dalla sinistra. Allora, direttore e presidente, ai quali riconosco certamente la buona fede (perché uno che fa il presidente o il direttore non può avere la gioia di pensare di avere una Commissione così sciupata sul piano dell'opinione rispetto all'ente), vedete un po' di riesaminare ad uno ad uno questi comportamenti, vedete un po' di guardarli, vedete un po' perlomeno di denunciare il mancato rispetto del contratto, perché chi come noi è in buona fede, perché in buona fede ha votato all'unanimità il documento sul pluralismo, non può continuare a vedere questo sfascio, perché poi gli viene spontaneo il desiderio di pensare alla privatizzazione dell'azienda come soluzione estrema. Questo paese, infatti, non può essere impegnato nel Parlamento, nel Governo, nelle Commissioni parlamentari dall'argomento della RAI, che è un argomento senza fine, una favola che non finisce mai. E allora, proprio per l'affetto che riserviamo all'azienda, tentate di svolgere questa azione facendo capire seriamente che non si scherza.
Ho presentato un'interrogazione in questi giorni - ma anche questo è un debordo rispetto al discorso principale - sull'atteggiamento di qualche autorevole e professionalmente valido uomo impegnato non nei giornali, ma in altri ambiti, con riferimento all'azione su Soffiantini. Non è possibile che si lasci prendere dalla mania di fermare una trasmissione, di interromperla per mandare in diretta una cronaca sull'azione di polizia che può determinare la perdita della vita umana di tantissime persone, ivi compreso l'ostaggio! Ma insomma, questo è un paese dove c'è un servizio pubblico o dove c'è qualcosa che è privatissimo, né del direttore né del presidente? Io sono convinto che né il direttore né il presidente hanno ispirato comportamenti di questo tipo. Allora, per essere umili e semplici, io in quell'azienda sanitaria così mi comportai: quando tutti dicevano che il presidente, il direttore era inadeguato all'abbisogna, e alla fine faceva solo parte del suo dovere, erano i medici che facevano i loro porci comodi (passatemi l'espressione grassa alla quale non sono abituato). Ora, qui si ha l'impressione che effettivamente nessuno voglia fare il suo dovere. Il suo dovere lo ha fatto soltanto la Commissione, all'origine del suo lavoro, quando ha approvato all'unanimità un documento sul pluralismo. Provate a sforzarli, questi signori, a fare in modo che tentino di fare il loro dovere.
Se vi capita, poi, ricordatevi pure del CDU, che è veramente discriminato, secondo i dati dell'Osservatorio di Pavia.

PRESIDENTE. Il senatore Falomi ha chiesto la parola per un richiamo al regolamento.

ANTONIO FALOMI. Intervengo per un richiamo all'articolo 7, punto c), del nostro regolamento, secondo il quale la funzione dell'ufficio di presidenza è quella di esaminare le richieste e le proposte dei membri della Commissione in ordine all'andamento dei servizi televisivi previsti dall'articolo 18. Poiché l'onorevole Melandri ha avanzato una richiesta ed ha anche formulato una proposta, credo che esse debbano essere esaminate dall'ufficio di presidenza perché, se fossero recepite, si potrebbe anche determinare la condizione per modificare il calendario inizialmente definito.

PRESIDENTE. Non ho nulla in contrario rispetto alla sua richiesta, senatore Falomi, vedrò se vi siano i tempi, anche perché giustamente lei ricorda che l'articolo 7, punto c) prevede che l'ufficio di presidenza esamini le richieste e le proposte dei membri della Commissione in ordine all'andamento dei servizi televisivi, mentre la richiesta dell'onorevole Melandri riguarda l'andamento dei lavori della Commissione. Comunque, valuteremo se vi sarà il tempo di convocare i direttori delle testate per procedere alla loro audizione.
Avrei dovuto intervenire anch'io, ma rinuncio al mio intervento essendo stato pienamente rappresentato dalla maggioranza della Commissione, segnatamente mi riferisco agli interventi degli onorevoli


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Landolfi e Paissan. Do quindi la parola al presidente Siciliano.

ENZO SICILIANO, Presidente della RAI. Onorevole presidente, onorevoli commissari, devo dirvi che, indipendentemente dalle polemiche (se vorrà, il direttore generale potrà poi dirvi se sia d'accordo con me), da questa mattinata posso dirmi soddisfatto di una circostanza: il fatto che sia stato sottolineato un qualcosa che va portato in azienda oggi pone in luce proprio la necessità, come diceva il senatore Semenzato all'inizio, di garanzia di presidio che l'informazione RAI deve rappresentare nel nostro paese, senza quelle sciatterie professionali così gravi sottolineate dall'onorevole Paissan e che hanno messo in questione se la RAI abbia in un certo senso contravvenuto al dettame del documento sul pluralismo approvato all'unanimità dalla Commissione.
Credo che errori vi siano stati e non sottovaluto affatto gli esempi portati dall'onorevole De Murtas; tuttavia, una rottura di patti tra la RAI e la Commissione, nel senso di una violazione profonda di quel documento, scusatemi (chiedo scusa a coloro che, invece, l'hanno ravvisata e sottolineata) ma io non la ravviso.
Credo che il punto di fondo sia quello indicato dal senatore Falomi, cioè il che fare; non credo che le conferenze siano inutili: penso siano utilissimi i confronti tra chi si propone una reale intelligenza delle cose per arrivare alla soluzione di problemi che sembrano talvolta insuperabili e talvolta incancreniti dal passato. Non perché si tratta di una proposta che ho avanzato personalmente, ma credo davvero che il giorno in cui la RAI spalancasse le sue porte, i suoi problemi alla Commissione parlamentare, all'opinione pubblica, a quegli intellettuali che in questi ultimi giorni hanno dibattuto su quali siano in effetti i diritti ed i doveri di un'informazione da servizio pubblico; ecco, in quel momento credo che ce ne gioveremmo tutti: se ne gioverebbe l'azienda e se ne gioverebbero i giornalisti che lavorano in azienda, perché un acquisto di consapevolezza è forse quanto in un certo senso un'azienda che fa cultura deve proporsi per sé e per il paese che serve.
Possono esservi anche soluzioni particolari, come quella di far ruotare i giornalisti, suggerita dall'onorevole Paissan; su questo non posso esprimermi perché, com'è noto, la gestione è in mano ad altri; posso esprimere un parere personalissimo, da iscritto all'ordine, soltanto quello: posso essere d'accordo con quello che lei dice, onorevole Paissan, ma questo vale quel che vale, vale cioè il parere di Enzo Siciliano che casualmente ha avuto l'opportunità di esprimersi su questo punto al microfono della Commissione parlamentare di vigilanza.
Tuttavia, è vero che discutere e dibattere la questione ed arrivare a capire come in effetti si possa distinguere tra fatti ed opinioni in maniera tale che quella soggettività naturale che non può essere cancellata, che è inalienabile da qualsiasi pensiero possa salvaguardare insieme anche il pluralismo nella sua massima estensione, quale il documento votato all'unanimità in questa sede rappresenta, penso che sia un proposito che non può venire sottovalutato ed anche svalutato sostenendo che si tratti di oziosità. Penso che dar luogo a questo confronto serva probabilmente a capire meglio il senso di quella pluralità che nel vostro - ed anche nostro - documento è contenuta.
Spero che il dibattito che avrà luogo in quest'aula parlamentare possa anche recepire i propositi che abbiamo manifestato; lo spero non perché ho fiducia che la nostra buona fede possa venire intesa, ma perché spero che queste idee riescano a sottolineare anche una circostanza: parliamo di codice etico, io penso che esso non sia un codice di disciplina e penso che quel bisogno di autonomia di proposta, di cui parlava poco fa il senatore Lombardi, comporti anche una determinazione di autonomia di come dovrebbe configurarsi l'informazione di un servizio pubblico rispetto alle determinazioni politiche che naturalmente vanno ad urtarsi in essa.


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Cosa vogliamo? Vogliamo un quadro di equilibrio, tutti quanti, indipendentemente dalle differenze politiche. Nell'avviarci verso questo quadro di equilibrio, ho tuttavia la consapevolezza profonda che l'azienda abbia compiuto un cammino, un cammino difficile proprio per quel passato che tutti voi riconoscete esservi all'interno dell'azienda e che è ricaduto sulle nostre spalle, che oggi questa azienda guidiamo. Credo, comunque, che a quel frutto conclusivo bisognerà arrivare probabilmente anche quando l'azienda sarà in altre mani diverse dalle mie; ma questo passaggio, quest'azienda che io, il consiglio d'amministrazione, il direttore generale abbiamo il compito di portare avanti verso quel punto finale, cerchiamo determinatamente di portarla avanti. Grazie.

PRESIDENTE. Dichiaro conclusa l'audizione odierna.

La seduta termina alle 14,20.

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