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Seguito dell'audizione del presidente della RAI, professor Enzo Siciliano, e del direttore generale, dottor Franco Iseppi, sull'attuazione dell'atto di indirizzo in materia di pluralismo.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'audizione del presidente della RAI, professor Enzo Siciliano, e del direttore generale, dottor Franco Iseppi, sull'attuazione dell'atto di indirizzo in materia di pluralismo.
STEFANO SEMENZATO. Vorrei innanzitutto associarmi alla richiesta inviata alla RAI dal presidente della commissione per le pari opportunità, Silvia Costa, per l'attivazione di un servizio RAI nelle zone terremotate, come già avvenne in occasione del terremoto del Friuli. Mi sembra che una iniziativa di questo tipo rientri tra le forme di pluralismo attraverso cui dare voce ad esigenze locali, ma importanti e particolarmente sentite in questo momento nelle zone terremotate.
atto un dibattito sulla cosiddetta televisione del nulla. Vorrei sottolineare, per esempio, che ieri sera è ripresa la trasmissione Macao, un programma simpatico, che mi piace, rispetto al quale però mi sfugge il rapporto tra questo tipo di trasmissioni e la funzione di servizio pubblico; non mi sono chiare cioè le scelte di tipo culturale della RAI, essendo evidente che alcuni elementi di punta costituiscono fatti culturali molto forti.
PRESIDENTE. Ha detto: «Li dimentico».
STEFANO SEMENZATO. Evviva la sincerità, però il risultato è che in base ai dati dell'osservatorio di Pavia, nel mese di agosto, un rappresentante del movimento dei verdi non è mai apparso nei servizi del TG3.
ENRICO JACCHIA. Signor presidente, voglio anch'io innanzitutto sottolineare la ricchezza del palinsesto che ci è stata presentata dal presidente e dal direttore generale della RAI, rispetto al quale è però necessaria qualche osservazione, in particolare con riferimento a quella che il collega Semenzato ha definito «televisione del nulla». Innanzitutto, come abbiamo già osservato, c'è troppa cronaca nera; nei primi venti minuti del telegiornale, abbiamo arresti, mostri, avvisi di garanzia. Come sottolineavo quasi un anno fa, per il nostro pubblico del nord (parlo non di leghisti, ma dell'opinione pubblica nel nord), una cronaca nera così massiccia, di solito riferita ad episodi che avvengono più al sud, fa male, fa ritenere alla gente che tutto il male sia lì. Chiedo, quindi, se potete fare qualcosa per diminuire la quantità di cronaca nera, visto che altri argomenti ci sono (vivaddio se ci sono!).
PRESIDENTE. Colleghi, però, non è poi così vera questa presenza eccessiva di Casini; non esageriamo, basta considerare i dati.
ENRICO JACCHIA. È un mio amico, è simpatico, però ci vuole un equilibrio.
Semenzato: credo infatti che i responsabili di certe scelte siano non i vecchi redattori ma quelli delle generazioni degli ultimi dieci anni. Ma su questo argomento tornerò fra breve. La volta scorsa, avevo poi fatto alcune osservazioni relativamente ad una maggiore presenza degli esponenti politici nei programmi di approfondimento piuttosto che nei notiziari.
PAOLO ROMANI. Signor presidente, sulla base dell'articolata relazione della volta scorsa avevo preparato un intervento ma, dopo ieri sera, ho dovuto buttar via quell'intervento e dovrò farne uno a braccio che nasce dall' emotività che mi ha scatenato la visione dei telegiornali RAI.
questa Commissione ha sancito per il rispetto del pluralismo, con le premesse cui ho fatto riferimento in precedenza.
PRESIDENTE. Do ora la parola al presidente e al direttore generale della RAI per le prime risposte.
ENZO SICILIANO, Presidente della RAI. Mi limiterò ad affrontare una questione di ordine metodologico. Onorevole Romani, penso che i giornali vadano fatti testimoniando ciò che accade, anche in presa diretta, come spesso può accadere ad un telegiornale. Lei ha definito il TG3 di ieri sera un happening ed anche se non ho potuto vederlo, perché ero in viaggio, ci credo, nel senso che conosco bene le qualità di «inviato sul posto» del direttore del TG3; immagino che proprio in quella mezz'ora, in cui si stava verificando qualcosa di sicuramente rilevante, il TG3 abbia testimoniato il divenire dei fatti nel modo in cui si svolgevano, seguendo anche un
ordine di reazioni che il direttore ha pensato bene di mandare in onda.
ENRICO JACCHIA. È comunque esagerato.
ENZO SICILIANO, Presidente della RAI. Su questo si può discutere. Lei, senatore Jacchia, ha anche ragione ed a volte questo aspetto dà fastidio anche a me, ma il problema è che i fatti si verificano; non credo peraltro che vi sia, da parte dei redattori dei telegiornali, alcuna voluttà nell'insistere e nel sottolineare tali avvenimenti.
ENRICO JACCHIA. Si tratta di incapacità professionale, perché in questo modo è più facile fare informazione.
ENZO SICILIANO, Presidente della RAI. Allora, dovremmo parlare anche di tanta incapacità professionale che si riscontra
sulla carta stampata, ma su questo terreno il discorso non finirebbe mai. Credo che le regole sancite dal documento approvato da questa Commissione in materia di pluralismo diano luogo ad un'offerta di vera qualità, che tiene in piedi il rapporto tra le forze politiche e il servizio pubblico su un terreno che è quello della professionalità, della moralità...
PAOLO ROMANI. Le farò avere la videocassetta, presidente: vi sono cose che non sono assolutamente in sintonia con tali criteri.
ENZO SICILIANO, Presidente della RAI. Comunque, si vuole fare questo e non commettere alcun sopruso con riferimento alle indicazioni ricevute.
FRANCO ISEPPI, Direttore generale della RAI. Vorrei partire dalle osservazioni dell'onorevole Romani per rilevare, molto schematicamente, che ieri il fatto vero, dal punto di vista giornalistico, era la rottura e la ricucitura nella sinistra: che un telegiornale dia spazio in modo preponderante a tutto questo è spiegabile sostanzialmente tenendo conto dell'avvenimento.
PAOLO ROMANI. Non ho parlato di minuti.
FRANCO ISEPPI, Direttore generale della RAI. Questa è la base di partenza, che serve anche a spiegare come in certe sere sembra che il tema dominante sia la cronaca nera; invece, prendendo in considerazione i dati, si può constatare che ad essa è dedicato uno spazio relativamente limitato nell'offerta complessiva dell'informazione televisiva.
PAOLO ROMANI. La crisi della sinistra interessa tutti gli italiani, non solo quelli di sinistra.
FRANCO ISEPPI, Direttore generale della RAI. Stavo dicendo che il ragionamento va fatto sia isolando il discorso su D'Alema, sia tenendo conto congiuntamente dei tre telegiornali, sia non ignorando la specificità del format scelto da Lucia Annunziata nel suo telegiornale. Se si mettono insieme tutti questi aspetti, non dico che ciò sia sufficiente per far cambiare opinione all'onorevole Romani; credo però che questi siano elementi da prendere in considerazione per giudicare il tipo di offerta complessiva che è stata assicurata ieri, in una giornata abbastanza particolare per il paese.
PRESIDENTE. Il senatore Semenzato ha posto anche una domanda sulle redazioni ambientali.
FRANCO ISEPPI, Direttore generale della RAI. Per quanto riguarda la televisione del nulla, il riferimento è a Macao. Ognuna delle nostre reti ha una sua missione particolare ed il giudizio sui programmi va visto in sé - perché questo è importante - ma anche nel contesto delle singole reti.
ENRICO JACCHIA. Qui risulta che il 18 per cento è stato dedicato alla magistratura e alla cronaca nera.
FRANCO ISEPPI, Direttore generale della RAI. Probabilmente quelli sono dati riferiti ad un determinato periodo. Le variabili sono: partiti politici, politica estera compreso il Vaticano, economia, sindacato, soggetti sociali, varie, cronaca, spettacolo, cultura, sport, religione, scienza, ambiente, medicina.
PRESIDENTE. La giudiziaria è in cronaca?
ENRICO JACCHIA. Da questa tabella risulta che alla magistratura è stato dedicato il 18 per cento.
FRANCO ISEPPI, Direttore generale della RAI. Sono due tabelle differenti: quelli che sto illustrando sono dati aggregati, quelli a cui fa riferimento lei sono dati singoli riferiti ad un certo periodo; non sono dati falsi, ma messi insieme in modo diverso.
PRESIDENTE. Rivolgeranno adesso domande i colleghi Baldini, Giulietti e Passigli.
MASSIMO BALDINI. Dagli interventi del presidente e del direttore generale della RAI in risposta alle osservazioni dell'onorevole Romani mi pare emerga la conferma che essi non vogliono capire come stanno esattamente le cose, e chiaramente non c'è peggior sordo di chi non vuol capire. Guardando i telegiornali, tutti si rendono conto che i servizi di informazione sono oggettivamente partigiani; come giustamente poneva in evidenza l'onorevole Romani, anche nel corso di questa crisi Prodi è stato presentato come un martire, Bertinotti come un guastafeste e un guastatore, i rappresentanti del Polo come elementi accidentali della politica nazionale. Questo è un dato di fatto che non si è verificato soltanto ieri, ma anche nei mesi passati: è un dato costante del modo di fare informazione alla RAI.
tiene conto del pluralismo delle posizioni culturali e sociali che più volte abbiamo ribadito.
GIUSEPPE GIULIETTI. Devo dire che è un po' difficile intervenire, perché è evidente che la soluzione della crisi sta condizionando pesantemente questo dibattito, che doveva riguardare la gestione complessiva della RAI: mi pare invece che stiamo parlando dei telegiornali degli ultimi giorni.
PRESIDENTE. Non ha ancora sentito tutti.
GIUSEPPE GIULIETTI. Ho sentito qualcuno: con fatica ma ascolto!
PAOLO RAFFAELLI. Un bilancio di metà legislatura!
GIUSEPPE GIULIETTI. Per me si può fare: tra l'altro, mi diverto anche!
ENRICO JACCHIA. Quali sono?
GIUSEPPE GIULIETTI. Te le dico: che la RAI ha sovrarappresentato il fenomeno della lega, non ne ha dato una lettura culturale giusta, ha sottorappresentato le forze democratiche del nord-est e non ha consentito di percepire che quella parte dell'Italia non era in mano ad un partito.
ENRICO JACCHIA. Non ho detto queste cose!
GIUSEPPE GIULIETTI. Infatti le ho dette io! Non ripeto le cose che hai detto perché avrei difficoltà: per me è molto difficile e quindi non riesco a farlo.
ENRICO JACCHIA. Capisco che fai fatica!
GIUSEPPE GIULIETTI. Certamente: ti rispetto, ma fammi terminare perché è necessario che ognuno si abitui ad ascoltare diversi punti di vista. C'è una parte del paese che ritiene la RAI ancora molto conservatrice ed arretrata, schiacciata dalle precedenti gestioni sul modello Mediaset, insufficiente nel processo di rinnovamento culturale e dei suoi quadri.
grande marcia di solidarietà; forse occorreva una grande attenzione. Voglio essere libero di dirlo senza venir strumentalizzato e senza chiedere la testa di nessuno; voglio dirlo per proporre una riflessione ed un ragionamento, perché questo è ciò che mi interessa.
PRESIDENTE. Scusi, collega Giulietti, ma questo argomento non è all'ordine del giorno.
GIUSEPPE GIULIETTI. Lo so, ma c'è un nesso profondo. Nella relazione si fa riferimento alla riforma dell'azienda, alla divisionalizzazione di cui si è molto parlato, alla rete senza pubblicità: questo conta molto di più di un minuto e mezzo di telegiornale. Credo che sia importante che la Commissione di vigilanza chieda ai vertici RAI - ecco perché c'è il nesso - che sulle scelte relative in particolare alla rete senza pubblicità si svolga un confronto con la nostra Commissione e, aggiungo, un momento di dibattito pubblico attraverso una conferenza di produzione nella quale discutere quale modello di autoriforma la RAI stia scegliendo. Non mi pare un problema secondario: non vorrei che risolvessimo alcune questioni sul minutaggio e poi scoprissimo dai giornali che è stato definito un nuovo modello organizzativo, compresa la rete senza pubblicità. È un dato paradossale: sto rivendicando il ruolo positivo di confronto della Commissione e quindi chiedo se vi sia realmente l'intenzione, qui manifestata, di promuovere una conferenza di produzione nella quale indicare gli scenari possibili dell'autoriforma, coinvolgendo il Parlamento e le forze produttive e culturali di questo paese nella decisione.
PRESIDENTE. Prima di dare la parola al senatore Passigli, vorrei brevemente intervenire sul problema della terza rete. Ci mancherebbe che io volessi che la Commissione non discuta della questione: conosco quanto stabilisce la legge; la RAI è tenuta a redigere il suo piano e a portarlo qui da noi per il parere. Vorrei però che il problema fosse affrontato non attraverso una domanda incidentale ma con un serio dibattito.
GIUSEPPE GIULIETTI. Sono d'accordo. Ho posto una questione di metodo, se cioè non si ritenga necessario un passaggio intermedio.
PRESIDENTE. Stavo arrivando a questo: i vertici della RAI possono decidere di rispondere o meno sulla questione che lei ha sollevato. Sarebbe però utile avviare insieme il cammino, affinché il Parlamento possa aiutare la RAI a risolvere alcune questioni.
STEFANO PASSIGLI. Penso anch'io che questo scambio di opinioni dovrebbe per quanto possibile esulare dall'immediatezza del momento, dall'avere o meno visto gli ultimi telegiornali in un momento
particolare: altrimenti il dibattito viene sviato.
il discorso relativo alla critica di merito; in tal caso si potrebbero addirittura rovesciare i discorsi.
stampata esistono i tempi e i modi per il fruitore di valutare che cosa è un fatto e che cosa è il commento o, per lo meno, può farlo in maniera più articolata e migliore rispetto all'utente televisivo. Una notizia televisiva interpretata è molto pericolosa, a mio avviso, ed io vorrei che, nell'ambito della stessa trasmissione di news, vi fosse la trasmissione dell'informazione e poi il commento, chiaramente distinto, ossia la rubrica. Non amo affatto i corsivi, se così li chiamate, cioè una esternazione di notizie unita ad una esternazione di opinioni: per carità! Mentre ciò è fattibile da parte dell'opinionista sulla carta stampata, lo è in una rubrica televisiva solo se è proprio il commento dell'opinionista, non la trasmissione di un fatto.
PRESIDENTE. Mi pare che questo non c'entri nulla con l'audizione.
STEFANO PASSIGLI. No, questo reagisce sulla formazione dei piani aziendali e dei programmi a breve. Così come non c'entrava - mentre invece secondo me era abbastanza rilevante - il discorso sulla piattaforma digitale, qual è il mix futuro tra televisione tematica e generalista? Quali risorse finanziarie sono a disposizione? Quali strumenti? Tutto questo, presidente Storace, reagisce molto sul tema all'ordine del giorno.
PRESIDENTE. La sua è un'opinione rispettabile, ma non è la mia, perché i nostri interlocutori sanno di essere stati chiamati a rispondere sugli indirizzi. Risponderanno se lo riterranno opportuno. Prego, presidente Siciliano.
ENZO SICILIANO, Presidente della RAI. Senatore Baldini, non ho voglia di fare il muro contro muro, non appartiene al mio orizzonte mentale. Tuttavia debbo ripetere un concetto: il pluralismo è qualcosa che deve servire al modo in cui - e in questo la televisione risulta estremamente utile - si può stare più o meno bene nel proprio paese; la televisione deve avviare anzitutto a questo. Non ripeterò il discorso che il minutaggio mette in fuga i reali problemi della televisione per prospettarne altri, secondi, che appartengono più alla vita parlamentare che non a quella della produzione televisiva.
all'interno del palinsesto in modi assolutamente diversi da come si faceva prima.
ENZO SICILIANO, Presidente della RAI. Dichiaro inoltre che sul terremoto continueremo la copertura giornalistica che è in atto. Aggiungo che, per quanto attiene al recupero dei monumenti offesi dal sisma, c'è una troupe di RAIUNO che segue passo passo il lavoro che ancora non si può definire di restauro ma piuttosto di contenimento dei danni: fino a restauro compiuto, tutto sarà seguito direttamente in modo da acquisire non soltanto materiale per poter arrivare a trasmissioni di testimonianza, ma anche materiale d'archivio, che possa servire anche a capire come un certo tipo di lavoro viene compiuto e può essere affidato a futura memoria.
ENZO SICILIANO, Presidente della RAI. Sulla piattaforma digitale posso dire - e il direttore generale potrà confermarlo - che intenzione della RAI è che si arrivi ad una piattaforma unica che abbia una maggioranza italiana.
FRANCO ISEPPI, Direttore generale della RAI. Devo innanzitutto tre risposte alle domande formulate dal senatore Baldini. La prima è che nelle trasmissioni di questi giorni non si può non rimarcare il predominio di una informazione con riferimento alla maggioranza, ma questo è dovuto alla contingente situazione di conflittualità all'interno della maggioranza. Forse lei ricorda, come ricordo io, che nel 1980 si è assistito allo stesso fenomeno: con la crisi del pentapartito è stata esclusa
dall'informazione la minoranza d'allora, che non è certo la maggioranza di oggi.
MARCO TARADASH. Guardi che anche l'opposizione è molto conflittuale!
FRANCO ISEPPI, Direttore generale della RAI. Quindi chi legge l'informazione politica proiettando, generalizzando o universalizzando il dato di questi giorni, fa una lettura impropria.
PAOLO ROMANI. Non è in gioco questo! Se avesse fatto una trasmissione di tutta una sera sull'argomento, ne saremmo stati felici! Non è questo in discussione!
FRANCO ISEPPI, Direttore generale della RAI. Però questo è il dato degli ultimi giorni. Se questo dato viene messo assieme ai dati degli ultimi sei mesi, ne viene fuori un'informazione radicalmente diversa con riferimento alle forze politiche.
PRESIDENTE. A me sembra di capire che l'onorevole Romani dicesse che c'è stato un sospiro di sollievo di quella parte d'Italia che voleva la soluzione della crisi di governo, mentre la rabbia dell'altra parte d'Italia, che voleva la crisi di governo perché non vuole questo Governo, non è stata rappresentata.
FRANCO ISEPPI, Direttore generale della RAI. È comprensibile però che ieri e l'altro ieri questo fosse il tema principale; certamente non lo può essere né oggi né lo sarà domani. Comunque, se si analizzano i dati semestrali, si arriva a conclusioni del tutto diverse. Li ho già citati la volta scorsa, quindi non li cito adesso nella loro globalità; però sostanzialmente, se si legge l'informazione degli ultimi sei mesi, si vede benissimo che c'è un'attenzione ridotta nei confronti del Governo e dei soggetti istituzionali (tra il 29 e il 26 per cento dell'offerta), una maggiore presenza diretta di esponenti dell'opposizione (il Polo delle libertà il 30 per cento e la lega nord il 6,4) sia in rapporto ai dati rilevati nei notiziari (rispettivamente 22,9 e 4,6) sia rispetto a quelli relativi agli esponenti della maggioranza, che hanno il 25,2 per cento. Lo stesso equilibrio si riscontra anche nei dati relativi ai partiti della maggioranza e delle opposizioni: il 27,7 per cento dell'attenzione complessiva è andato alla maggioranza e il 27,5 per cento alla minoranza, cui si aggiungono sostanzialmente i rapporti tra presenza diretta ed indiretta.
PAOLO ROMANI. È un problema non di quantità ma di qualità! Mi riferivo non ad un programma sulla crisi del mondo dell'est, ma sui lager staliniani.
FRANCO ISEPPI, Direttore generale della RAI. Credo che come sempre le cose vanno viste in una economia complessiva e non con riferimento ai singoli programmi, altrimenti diventa difficile fare qualsiasi ragionamento.
PAOLO ROMANI. È stata una serata di celebrazione e di autoesaltazione di Che Guevara e del regime castrista.
FRANCO ISEPPI, Direttore generale della RAI. Anche perché sono passati trent'anni dalla morte di Che Guevara.
del viaggio del Papa in Brasile, della consegna del premio Nobel a Dario Fo, perché si deve comunque creare sempre un rapporto con le attualità.
della piattaforma, della rete senza pubblicità, eccetera.
STEFANO SEMENZATO. Le avevo rivolto una domanda sulla possibilità di istituire una agenzia radio locale sul terremoto.
FRANCO ISEPPI, Direttore generale della RAI. Per la radio pensiamo di fare un'operazione analoga a quella che abbiamo realizzato per l'Albania, cioè di dare un'informazione sistematica giornaliera.
incontri e alla stesura di diverse bozze di accordi prenegoziali. Al riguardo va detto che le parti non hanno trovato un'intesa proprio in merito all'assetto contrattuale ed in particolare ai seguenti punti: la prefigurazione dei diritti e degli obblighi che spetterebbero ai contraenti in fase di produzione del progetto in questione e alle fonti di acquisizione degli introiti da portare al recupero del 50 per cento dell'apporto, secondo quando deliberato dal consiglio di amministrazione.
PRESIDENTE. A quando fa riferimento la Rada?
FRANCO ISEPPI, Direttore generale della RAI. All'agosto del 1996.
PRESIDENTE. È certo di questo?
FRANCO ISEPPI, Direttore generale della RAI. Sì. Ritenendo che il contratto di attivazione oggetto di trattativa sia da interpretare unicamente come un atto dovuto di mera esecuzione.
STEFANO PASSIGLI. Questa è una preoccupazione che avevamo manifestato.
FRANCO ISEPPI, Direttore generale della RAI. Vi è la possibilità di riaprire il discorso, possibilità della quale noi approfitteremmo anche perché Andermann dovrebbe rimangiarsi alcune delle affermazioni al limite della diffamazione che ha fatto nei nostri confronti (questa è una delle condizioni per andare avanti nella trattativa).
GIOVANNA MELANDRI. Rinuncio al mio intervento, però desidero richiamare il punto sollevato dall'onorevole Giulietti relativo alla questione dei precari, a cui non mi sembra sia stata data risposta.
ANTONIO FALOMI. Vorrei innanzitutto associarmi alle richieste avanzate dal senatore Semenzato e dall'onorevole Giulietti sui problemi delle zone terremotate, alle quali è stata già data una risposta. Desidero comunque sottolinerare l'urgenza e la necessità di un impegno nelle direzioni indicate lasciando alla RAI la valutazione delle forme migliori da utilizzare. Effettivamente meccanismi che consentano alla RAI di svolgere una funzione di servizio per le zone terremotate e iniziative come quelle che sono state prospettate sono molto importanti.
corretta, cioè da servizio pubblico, pur avendo presente la dimensione, come quella attualmente allo studio, dei rapporti per la definizione della piattaforma.
PRESIDENTE. Non aveva molte ragioni per trionfare!
ANTONIO FALOMI. ...nelle posizioni del direttore del Corriere della Sera, il quale poneva le domande che una parte di italiani si pongono rispetto alla crisi politica.
considerare il rischio che il contenzioso, una volta aperto, si risolva a livello giudiziario. Si tratta di un rischio che il direttore stesso considerava dall'esito certo e cioè che probabilmente la RAI perderebbe ed anche questo è fonte di danno.
PAOLO RAFFAELLI. Il fatto di intervenire quasi a conclusione del dibattito attenua in qualche modo il clima di imbarazzo che si avvertiva all'inizio della seduta, quando sembrava che per l'ennesima volta vi fosse una sorta di muro contro muro tra l'esibizione di quelle che mi erano parse velleità censorie da parte di alcuni colleghi ed il rifugiarsi da parte dei vertici della RAI nel vasto mare dell'oggettività di fronte alle critiche formulate. Ora mi sembra che il clima in qualche modo si sia normalizzato, perché in realtà ci siamo resi conto che il muro contro muro non ha ragione d'essere.
PAOLO ROMANI. Contestavo la celebrazione, non la trasmissione!
PAOLO RAFFAELLI. È proprio questo: se continui ad interrompere, dai ancora più forza alle ragioni che mi permetto di esporre.
sacco di tempo e di venir meno ad un compito costruttivo.
- cito un tema che mi sta molto a cuore - il tema dell'Algeria. Ritengo che un paese come il nostro, legato all'Algeria da un cordone ombelicale di enormi dimensioni dal punto di vista economico ed industriale - il metanodotto -, paese che secondo me sta pagando un prezzo anche rilevante per questo cordone ombelicale in termini di visione complessiva dei problemi, avrebbe bisogno di un servizio pubblico che indagasse di più dentro i problemi politici, sociali, culturali, religiosi di quella crisi e dentro le interconnessioni profonde, dirette e materiali, che vi sono fra quella crisi e la nostra realtà.
ancora fortemente sottovalutato. Mi sembra che negli ultimi tempi esso sia un po' sfuggito all'occhio dei riflettori, mentre credo che vi debba rientrare, perché, senza entrare nei dettagli, i sintomi di una riduzione della sensibilità rispetto a questa gamma di problemi dei diritti dei deboli rappresentano un problema reale e assolutamente urgente.
MARCO TARADASH. Leggo su Il Sole 24 Ore di oggi che questa sera andrà in onda Novant8: «In studio i segretari di rifondazione comunista, Fausto Bertinotti, del partito popolare, Franco Marini, e della Fiom piementose, Giorgio Cremaschi. Conduce David Sassoli. In scaletta anche un'intervista esclusiva al Presidente del Consiglio Romano Prodi». Si tratta di una trasmissione che va in onda questa sera: capisco la concezione del pluralismo che ci è stata esposta, per la quale, quando c'è la crisi di Governo, si fa parlare chi l'ha provocata e tutti gli altri, mentre l'opposizione avrà il suo momento in una fase successiva, quando ci sarà la crisi dell'opposizione. Francamente, però, mi sembra un argomento di regime: se vi è un momento in cui l'opposizione dovrebbe confrontarsi con il Governo è quello della crisi dell'esecutivo; se vi è un momento in cui i cittadini dovrebbero avere il diritto di conoscere, non attraverso la voce di chi è interessato alla soluzione e dei protagonisti della crisi ma attraverso l'intero ventaglio delle interpretazioni, è quello di una crisi della maggioranza e del Governo.
un certo caso (non ricordo più se fosse quello di Sindona o un altro) vi erano complicità di Tizio e di Caio; in sostanza, le affermazioni del pentito diventavano il termine di paragone della verità.
CARLO ROGNONI. Ritengo che il confronto odierno sia stato utile, anche se devo dire che all'inizio ero molto perplesso, in quanto mi sembrava che si continuasse a ripetere sempre le stesse cose. Ritengo però che siamo giunti ad un momento che potrebbe essere di svolta, in quanto coloro che dirigono la RAI dovrebbero avere l'orgoglio di sentire che hanno di fronte la grande occasione di dare veramente un segnale di svolta.
si sono dotati ed il modo in cui hanno vissuto la RAI hanno sempre cercato... Credo comunque che siamo giunti ad una fase in cui si deve avere il coraggio e la volontà di cambiare quell'impostazione. Se si proietta sulla realtà attuale l'immagine del pluralismo che si aveva nel passato, basata sulla divisione per aree politiche, si giunge ad una divisione per poli; tra l'altro siamo ancora - purtroppo, a mio avviso - di fronte ad un bipolarismo tutto da costruire, perché in realtà le aree non sono due ma ve ne sono anche altre e se la RAI deve dare una risposta a questo tipo di pluralismo, non se ne esce più.
PRESIDENTE. Non è stato violento, ha posto alcune domande.
CARLO ROGNONI. L'onorevole Taradash è stato violento nelle aggettivazioni. Sono invece d'accordo con lui nella sostanza, in quanto ritengo che si assista ad alcuni programmi e ad un uso dell'informazione che si collocano totalmente al di sotto delle aspettative professionali legate ad un servizio pubblico (questo vale in generale). Non ci si può allora porre nella condizione di difendere per partito preso, perché si fa parte di una certa forza politica, ciò che si giudica professionalmente sbagliato. Ritengo invece che il consiglio di amministrazione e il direttore generale della RAI dovrebbero raccogliere questa sfida: premesso che si è parlato, per esempio, di professionalità, ritengo che il servizio pubblico debba avviare un grande discorso sull'aggiornamento professionale, realizzando un investimento su questo versante. Il giornalismo in generale è decaduto - le ragioni sono sotto gli occhi di tutti - e si è trasformato in uno scontro di fazione contro fazione; questo non aiuta la crescita dell'opinione pubblica, la quale non riesce più a comprendere dove sia la verità, dal momento che ognuno ha, per così dire, la sua bandierina.
ENZO SICILIANO, Presidente della RAI. Da questa giornata, almeno io personalmente esco...
PRESIDENTE. La giornata non è ancora finita, presidente: dobbiamo ancora affrontare altre questioni.
ENZO SICILIANO, Presidente della RAI. Vi saranno le sue domande, presidente, alle quali risponderemo (ha fatto bene a ricordarmelo). Almeno fino a questo punto, esco da questa giornata con un acquisto elevato, di qualità: è emerso un problema molto importante che è stato sottolineato dall'onorevole Raffaelli e di cui hanno già parlato sia il direttore generale sia il senatore Rognoni. Intendo dire che usciamo da questo confronto con il Parlamento, con la Commissione con un compito ed un problema da risolvere, un problema deontologico per l'informazione, che riguarda la formazione dei giornalisti; occorre cioè pensare come effettivamente l'informazione televisiva possa essere ancor meglio aggiornata, puntualizzata, affinata nei confronti delle esigenze di un paese moderno come il nostro.
FRANCO ISEPPI, Direttore generale della RAI. All'onorevole Taradash vorrei dire che alla trasmissione di questa sera parteciperanno anche gli onorevoli Maceratini per alleanza nazionale, La Loggia per forza Italia ed altri che stanno facendo
pervenire la loro adesione; i nomi citati sui giornali sono i primi che hanno aderito all'invito a partecipare, ma non ci saranno solo loro.
PRESIDENTE. È inutile che ve le mandi, altrimenti me le portate qui. Ho rinunciato, ma ne parleremo dopo.
FRANCO ISEPPI, Direttore generale della RAI. Non sono quindi in grado di rispondere in modo formale, ma dal punto di vista sostanziale ho chiesto dei chiarimenti a Sorgi ed egli mi ha risposto che c'è stata l'intervista al pentito, ma c'è stata anche la replica, immediata e puntuale, di Berlusconi. Quindi è stata data l'informazione, ma è stata anche data la possibilità...
PRESIDENTE. Ci mancherebbe altro! Il problema è che questo pentito assurge a protagonista di una notizia e magari Berlusconi viene trattato alla stregua di un criminale!
FRANCO ISEPPI, Direttore generale della RAI. Questo è vero, però non si può dare ad ogni cosa un'interpretazione di tipo soggettivo.
MARCO TARADASH. Il problema non è che sia stata data la notizia del pentito, è che il pentito è stato presentato come colui che aveva fatto delle rivelazioni, che aveva svelato degli intrecci.
FRANCO ISEPPI, Direttore generale della RAI. Però è stata data a Berlusconi la possibilità di replicare e rispondere nello stesso contesto, nella stessa trasmissione, e non a distanza.
MARCO TARADASH. La RAI svolge la funzione di pubblica accusa e Berlusconi deve difendersi!
FRANCO ISEPPI, Direttore generale della RAI. C'è una cosa che mi troverebbe consenziente se modificassimo i termini, cioè se, invece di essere considerato un fascista o un comunista o un manager, fossi considerato qualcosa di più semplice: l'idea che spesso l'appiattimento complessivo e il meccanismo delle contrapposizioni diventano una regola dell'informazione. Sono d'accordo sul fatto che a volte ci manchi la capacità di quelli che nei consigli di amministrazione si chiamano colpi d'ala e che si rischi spesso un appiattimento nel modo con cui comunichiamo i rapporti tra maggioranza e minoranza o tra Governo e opposizione. Però utilizzare queste categorie di riferimento mi lascia un po' imbarazzato e mi sembra improprio.
PRESIDENTE. Ho il dovere della chiarezza su alcune questioni anche con riferimento a quanto hanno detto alcuni autorevoli colleghi di questa Commissione. Parto da quella che apparentemente può sembrare una battuta, cioè dalla denuncia dell'onorevole Taradash a proposito della quale il dottor Iseppi ha detto di non aver ricevuto alcuna lettera. Se il direttore generale non ha ricevuto la lettera, è perché qualcosa è accaduto. A meno che non si debba aspettare che ci sia una seduta della Commissione per porre domande (correndo anche il rischio di essere accusati di violenza nelle argomentazioni), mi pare che bisognerà correggere qualcosa nell'impostazione tra servizio pubblico radiotelevisivo e Commissione di vigilanza.
viene in Commissione, ricordo che l'ultima volta che il presidente della RAI è venuto qui si è verificato quello che a mio parere è stato un atto di palese insubordinazione al Parlamento. Venire qui e rifiutare di rispondere alle domande poste da colui che secondo i Presidenti delle Camere ha la rappresentanza esterna della Commissione (e non compete a voi sapere se rivolga le domande a nome della Commissione o meno), a mio parere è un atto grave di lesione democratica.
STEFANO PASSIGLI. Abbiamo già fatto un'altra volta questa discussione, se cioè il Governo sia assimilabile alla maggioranza politica che lo sostiene o non sia piuttosto un'istituzione: la conclusione di questa Commissione è stata che il Governo è istituzione.
PRESIDENTE. Nessuno lo ha stabilito: lo ha stabilito lei, senatore Passigli! Se lei non interrompesse, potrebbe leggere quello che è stato approvato con votazione unanime, cioè anche con il suo voto: «L'informazione istituzionale e quella relativa all'attività di Governo devono anch'esse tenere conto della necessità di assicurare il rispetto dei principi della completezza e dell'obiettività dell'informazione». Questo vuol dire che, se il Governo dice qualcosa, qualcun altro deve poter replicare: altrimenti non capisco il significato di quella affermazione.
una presenza pari a zero. Ho raccolto questi dati e sono pronto a citarli: spero di non annoiarvi. Li avevo preparati per l'audizione precedente, che pensavo si esaurisse, e quindi si riferiscono al trimestre 5 giugno-5 settembre.
MARCO TARADASH. Forza Italia su Blob!
PRESIDENTE. No, quello è in presa diretta: li hanno ridicolizzati, non gli hanno dato la parola per autoridicolizzarsi!
immagina quindi che siate d'accordo con quanto vi abbiamo domandato), ha chiesto alla RAI di poter disporre anche dei dati relativi alle diverse fasce orarie, ai telegiornali regionali (per i quali ci sono denunce incredibili di violazioni del pluralismo), al giornale radio. Abbiamo chiesto altresì di poter disporre della valutazione qualitativa della programmazione. La prego di ascoltare con attenzione, presidente Siciliano, perché la questione è un po' delicata.
quindi, quando avete fatto il contratto avete trovato una forma di accordo. È chiaro che la RAI vide il successo della trasmissione e pensò che poteva guadagnarci anch'essa: questo significa stare sul mercato. Se quindi la RAI facesse un gesto di buona volontà evitando accuse verso questo produttore, la Commissione lo apprezzerebbe.
affermazioni del direttore siano ancora valide (e magari potrà rispondere anche il direttore del personale). In quell'occasione ci riferimmo ad una sanatoria della situazione dei precari - cioè di persone che da decenni, alcuni addirittura da tredici anni, aspettano un'assunzione o una cacciata, comunque vogliono sapere quale sarà la loro sorte - ma ci fu risposto che il mondo va verso la flessibilità e che, dunque, la questione non si poteva porre. Oggi, in presenza di un accordo di Governo per l'imposizione delle trentacinque ore di lavoro, in virtù del quale la flessibilità risulta un po' spostata, considerato anche l'intervento pesante della legge sulla vita delle aziende, vorremmo capire se si dovrà aspettare la legge sull'orario di lavoro e l'annullamento della flessibilità per costringere la RAI ad assumere queste persone sulla base di criteri predeterminati oppure se l'azienda intende invece, a spron battuto, al di là degli accordi che può sottoscrivere con l'USIGRAI - che la Commissione non è mai tenuta a conoscere - fare qualcosa.
al di là della critica negativa riscossa, che sostanzialmente fa propaganda ad un sindaco impegnato in campagna elettorale alla vigilia delle elezioni. Tralascio anche le argomentazioni sollevate da un altro parlamentare di alleanza nazionale su una vicenda a voi nota, ossia sul continuo affidamento a produttori e registi di chiara fama politica di opere realizzate dalla RAI.
trasmissioni dà 120 minuti al PDS. Evidentemente per l'osservatorio di Pavia quel signore non è un giornalista, ma un esponente politico che fa una trasmissione giornalistica! È necessario fare chiarezza perché, se un bravissimo giornalista proprio perché tale raccoglie voti al punto di essere eletto in Parlamento, deve scegliere: o fa il giornalista o fa il parlamentare. Ci sono risorse anche in altri settori politici altrimenti, potrei dire, per condurre trasmissioni. Dico, e forse non ho torto, che ci sono risorse anche all'interno della RAI per poter condurre trasmissioni del genere. Il cittadino si accorge di certe cose: considerate, per esempio, che cosa è successo con il linciaggio da parte degli organi di stampa di Bertinotti, che certamente non raccoglie la mia simpatia. Bertinotti è stato messo letteralmente in croce dall'informazione di regime in questo paese; siamo arrivati ad un momento di satira durante la trasmissione Fantastico di Enrico Montesano, il quale ha «dato giù» a Bertinotti con il risultato che la gente ha cambiato canale e la Corrida ha fatto premio sulla trasmissione di Montesano. E questo crea nocumento all'azienda.
STEFANO PASSIGLI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
STEFANO PASSIGLI. Signor presidente, l'ho ascoltata con attenzione per i 47 o 48 minuti della sua lunga esposizione, durante la quale ha posto domande ben precise.
PRESIDENTE. Grazie.
STEFANO PASSIGLI. Credo che a questo punto per due considerazioni si imponga il rinvio della risposta del presidente e del direttore generale della RAI: da un lato, per l'ampiezza delle domande formulate e per la loro specificità, che credo richieda anche risposte specifiche; dall'altro, per l'assenza di buona parte dei commissari.
PRESIDENTE. Ci sono altri interventi sulla questione?
CARLO ROGNONI. Mi dichiaro favorevole alla proposta formulata dal collega Passigli.
PRESIDENTE. Per rispetto istituzionale nei confronti del collega Passigli non sorrido sulla questione posta. Francamente ho usato strumenti istituzionali - per esempio sulla raccolta dei dati di Pavia, quelli che ho citato in relazione ai partiti - ma sono quelli che hanno a disposizione tutti i commissari: sono infatti dotato di calcolatrice inserita nel computer e ho fatto i conti sui dati contenuti nelle tabelle che ci sono state inviate. Non mi sembra una grande scoperta. Le altre questioni sono relative agli indirizzi che abbiamo approvato, ed ho posto domande leggendo l'audizione del dottor Silva, che è stata pubblicata; del resto, anche le risposte che eventualmente il presidente ed il direttore generale della RAI forniranno saranno pubblicate nel resoconto stenografico.
non mi offenderò; lo noterò, ma questa è un'altra questione. Se lei, collega Passigli, voleva offrire una ciambella di salvataggio, lascio al presidente della RAI decidere se ne vuole approfittare.
STEFANO PASSIGLI. Non ho offerto alcuna ciambella di salvataggio.
PRESIDENTE. Comunque lei ha parlato, senatore Passigli. Questa è un'audizione del presidente e del direttore generale della RAI, non del presidente della Commissione di vigilanza. Ho svolto scrupolosamente il mio dovere.
ENZO SICILIANO, Presidente della RAI. Ripeto quel che ho detto nella mia comunicazione del 17 settembre scorso, e cioè che non ho mai pensato per un attimo di negare documentazione, mostrarmi intollerante o insultante verso i membri o il presidente di questa Commissione e tanto meno nei confronti del Parlamento. Non ho il minimo interesse a questo, mai. Sono perché si lavori nel rispetto delle competenze di ciascuno, per fornire ai cittadini un migliore servizio - questo è il mio intento - e per chiarire anche l'ambito nel quale devo muovermi, che non è un ambito semplice e che richiede meditazione e grande senso di responsabilità.
STEFANO PASSIGLI. Ho avanzato una formale richiesta, presidente, su cui la Commissione dovrebbe pronunciarsi.
CARLO ROGNONI. C'è una formale richiesta di aggiornamento dei lavori della Commissione. Signor presidente, lei ha persino richiesto se c'era qualcuno a favore o contro la richiesta.
PRESIDENTE. Chiedo scusa, colleghi, questa è un'audizione. Siccome non ci sono votazioni, le audizioni non hanno la prassi delle deliberazioni per cui si può sospendere o altro.
STEFANO PASSIGLI. Si può comunque sospendere la seduta.
PRESIDENTE. Senatore Passigli, lei non vuole che il presidente della RAI risponda alle mie domande?
STEFANO PASSIGLI. Non mi faccia dire cosa che non ho detto. Ho detto che per far sì che le risposte possano essere le più esaurienti e documentate a contestazioni che ella ha mosso o domande che ha posto molto precisamente e puntualmente (ella stessa diceva di avere elaborato dei dati), chiedo che i commissari possano essere presenti, che possano avere a sua pari elaborato dati avendo preso visione di molte delle questioni da lei sollevate, alcune delle quali non note fino ad oggi alla Commissione. L'invito è di sentire la risposta del presidente e del direttore generale della RAI in altra circostanza, non di non sentirli, per carità; sono anzi felicissimo di udirli, ma in altro momento e in altra sede, quando la Commissione sarà in una composizione più adeguata e quando - ripeto - gli stessi commissari potranno aver preso visione di alcune delle questioni da lei sollevate e non precedentemente toccate dalla Commissione.
PRESIDENTE. Se c'è un orientamento favorevole al rinvio dei lavori della Commissione, a norma del regolamento, siccome spetta a me riconvocare la Commissione in caso di lavori sospesi, riconvoco la Commissione domani mattina alle 10. Vedremo se gli altri colleghi interverranno. Mi dispiace per il presidente e il direttore generale della RAI, ma dovranno tornare domattina.
La seduta termina alle 14,35.
Ricordo che nella seduta del 17 settembre i nostri ospiti avevano riferito in merito all'attuazione data al documento di indirizzo sul pluralismo approvato dalla nostra Commissione in data 13 febbraio 1997.
Per quanto riguarda lo svolgimento del dibattito, cui non si applicheranno limiti di tempo, interverranno tre commissari per volta che porranno domande e richieste di chiarimento; salvo ostruzionismi imprevisti, l'audizione dovrebbe concludersi nella giornata odierna.
I primi tre iscritti a parlare sono i colleghi Semenzato, Jacchia e Romani.
Il direttore generale, nell'intervento introduttivo svoltosi nella precedente seduta, ha fatto una lunga elencazione di trasmissioni televisive e ridistribuito giustamente il palinsesto RAI secondo i criteri indicati dalla Commissione, dando l'immagine effettiva di una grande quantità di prodotti e di programmi commissionati dai vertici dell'azienda. Si è data nella sostanza un'immagine oggettiva delle produzioni RAI, rispetto alle quali tuttavia si pongono indubbiamente alcune questioni, perché pluralismo non è soltanto quantità, ma anche equilibrio, capacità di capire quali sono le indicazioni date dalla RAI nel merito della propria programmazione.
Non so se la RAI faccia tendenza o segua la tendenza; so per certo che oggi è in
Mi sembra sia in atto anche un altro dibattito, che potrebbe essere ricompreso nella categoria notizia-non notizia, ossia una certa forma di spettacolarizzazione continua dei telegiornali che porta ad una grande predominanza della cronaca nera e qualche volta rosa. Vi sono, infatti, telegiornali che sembrano veri e propri elenchi di fatti orribili, raccontati con una certa dovizia di particolari, qualche volta anche macabri. Ritengo che gli elementi del fare informazione siano decisivi dal punto di vista dell'approccio del pluralismo sul terreno culturale.
Sebbene questo tipo di dibattito sia molto stimolante ed importante, devo svolgere una parte rilevante del mio intervento sugli elementi del pluralismo politico. Vorrei partire dal TG3 e ricordare che qualche mese fa la Commissione ha audito Lucia Annunziata, che ha dichiarato di voler fare una grande autocritica riconoscendo la propria difficoltà a tenere presente il movimento dei verdi, di non riuscire cioè a collocarli nella propria mente.
Pongo dunque il problema di cosa debba fare una forza politica quando non rientra negli schemi concettuali dei direttori televisivi. Chiedo a lei, presidente, ed al direttore generale, quale debba essere il comportamento di tale forza e come possa essere risolto il problema.
Il tema degli schemi concettuali va al di là del caso di Lucia Annunziata, perché, sempre da una lettura costante dei dati dell'osservatorio di Pavia, si evince che non esistono soltanto forze politiche sottorappresentate, ma anche molte forze soprarappresentate, che è un'altra forma di lesione del pluralismo.
La discussione su cosa sia il nostro sistema politico è molto complicata, ma possiamo tutti essere d'accordo sul fatto che ci troviamo di fronte ad un sistema bipolare ibrido, non perfetto, complesso, con ampie articolazioni all'interno dei due poli. La rappresentazione che ne viene data dal servizio pubblico è, invece, quella di un sistema solo parzialmente bipolare con una fortissima soprarappresentazione di una forza, di un'area centrista. Questo dato si riscontra numericamente, ma anche socialmente, dal punto di vista dell'impatto emotivo. Vorrei sapere quale sia il fattore estetico o politico che porta gli esponenti del CCD, Casini e Mastella, ad assicurarsi una presenza così forte sul video, essendo tra gli esponenti politici più soprarappresentati nei telegiornali. Peraltro non si parla quasi mai di questa forza politica se non attraverso l'intervista diretta ad un suo esponente ed anche questo è un dato costante.
Credo vi sia un elemento di carattere culturale dietro una forma di rappresentazione che porta, per esempio, il TG1 di giovedì 2 ottobre - cito un caso emblematico, ma non troppo - ad intervistare Letta, vicesegretario del partito popolare italiano, Soro, caposegreteria dell'onorevole Marini, Lusetti, responsabile esteri ed enti locali del partito popolare italiano, Casini, che ha rilasciato due interviste su due argomenti diversi, Mastella, Buttiglione e poi i due capigruppo del PDS.
È evidente che una rappresentazione dello scenario politico realizzata in questo modo rimanda ad un problema di forma mentis dei giornalisti, di quale sia l'interpretazione politica del sistema e quali le rappresentazioni che di essa vengono date.
Credo che questo tipo di problema non attenga tanto alle direttive che possono essere impartite quanto proprio alla formazione politico-culturale dei giornalisti. Probabilmente si tratta di discutere - è questo il problema che pongo - se non sia utile il ricambio, la rotazione della generazione di redattori che si sono formati in una fase in cui la percezione della politica e del suo funzionamento erano dettate da altre regole. Mi chiedo se non si debba adottare un approccio di questo tipo per creare forme di pluralismo articolate e diversificate tra i giornalisti rispetto alla realtà politica.
Da questo punto di vista, vi è un dato abbastanza evidente che non è, e non riguarda tanto l'autonomia dei giornalisti, quanto il modo e la «pasta» di cui essi sono formati. Se non si affronta la questione della formazione delle redazioni, su cui altre volte ho insistito, ponendo il problema del perché in RAI le redazioni ambientali sono state in qualche modo sgretolate all'interno dei telegiornali e considerate non utili, non cambia nulla. È necessario che la struttura e la cultura dei giornalisti vengano riarticolate in maniera da garantire il pluralismo. Credo che quest'ultimo non possa derivare semplicemente da direttive, ma debba trovare collocazione e funzionamento in forme di ricambio, di aggiornamento ed anche di mescolamento delle attuali compagini redazionali.
Non vedo allo stato una soluzione diversa da un intervento di questo tipo, ma al riguardo vorrei sentire l'opinione dei dirigenti della RAI.
Per quanto concerne la presenza delle forze politiche, devo intanto necessariamente osservare che la lega nord è poco rappresentata. Al riguardo vi sono dati abbastanza significativi, perché in base alle tabelle dell'osservatorio di Pavia le percentuali relative ai notiziari dal 1o gennaio al 30 giugno sono del 2,0 per la lista Pannella e del 4,6 per la lega nord: ebbene, il 2 per cento a Pannella e Sgarbi e il 4,6 per cento alla lega indicano, mi sembra, una sproporzione che salta agli occhi.
Il collega Semenzato osserva giustamente che i verdi figurano poco ed è inutile che dica che anche la lega figura poco. Si osserva autorevolmente che quando alcuni personaggi vanno in video la gente chiude subito la televisione: può darsi che sia vero in base ai dati dell'osservatorio, ma non è un argomento sufficiente. D'altra parte, come osservavo già un anno fa in questa sede - non vorrei dare un dispiacere all'amico Follini - anche se Casini è simpatico, viene bene in video, non è possibile che, quando fa più freddo, per prima cosa se ne vanno a chiedere i motivi a lui, che naturalmente risponde subito, perché è simpatico e rapido...
Per quanto riguarda le diverse generazioni dei redattori che raccolgono le notizie per mandarle in video, ho un'opinione esattamente contraria rispetto a quella di
Aggiungo un'osservazione, rispetto ai vari punti posti in evidenza dal direttore generale, sulla politica internazionale. Dalle tabelle risulta, per esempio, che nel TG1 (ma il discorso vale per tutti i notiziari) alla politica internazionale è dedicato il 17,5, alla magistratura il 18 per cento, all'Unione europea l'1,1 per cento. Visto però che stiamo vivendo momenti di angoscia proprio per l'Europa, mi sembra evidente la sproporzione: non voglio chiedere programmi di educazione europea, dei quali si è discusso per decenni ma, se mi consentite, per dei bravi redattori e conduttori, trattare più di politica internazionale e meno di magistratura non sarebbe uno sbaglio.
Riprendendo le considerazioni relative ai redattori, personalmente credo nei valori morali di tutti coloro che lavorano alla RAI per rispondere alla richiesta di pluralismo: io stesso li ho potuti constatare di persona per quindici anni. Mi lascia però perplesso la professionalità della fascia dei redattori entrati in RAI negli ultimi dieci anni (quindi è il contrario di quanto osservava Semenzato), in gran parte anche per colpa della nostra scuola di giornalismo: questa fascia di redattori di fatto influenza in determinate direzioni l'opinione politica, e lo fa, credo, per insufficiente professionalità, non per volontà consapevole.
Cito molto rapidamente tre esempi. Il primo è quello relativo agli albanesi: quando il Governo, finalmente con l'accordo di tutti i gruppi parlamentari, decise di spostare al 30 novembre la data per il rimpatrio di quelli che si trovavano illegalmente in Italia, tutti i notiziari mandarono in video le immagini di bambini che piangevano, di poveretti che si chiedevano cosa potessero fare; in sostanza, si dava ad un pubblico di 10-12 milioni di telespettatori l'impressione che il Governo stesse facendo una cosa abominevole. La televisione francese, tedesca o inglese avrebbero invece seguito il Governo, appoggiato dalla quasi unanimità del Parlamento, nella sua azione. Credo che coloro che mandavano in video interviste di quel tipo lo facevano non per ragioni politiche ma proprio perché non avevano capito, per mancanza di professionalità.
Un secondo esempio è quello del campanile di San Marco e dell'intervista a Rocchetta: quando avvenne quell'episodio, la prima cosa che fecero fu intervistare Rocchetta, il quale, approfittando dell'occasione di andare in video, si pronunciò sull'episodio trattando gli assalitori del campanile da manigoldi; ebbene, Rocchetta è l'ispiratore nazista di quella gente: difatti, il giorno dopo, lo intervistarono di nuovo, si pentì e disse che erano suoi discepoli ideali. Anche in questo caso, i giovani redattori non sapevano chi è Rocchetta.
Il terzo esempio è quello delle interviste per le strade, che è un punto delicato: in queste interviste noterete che le risposte di un lombardo, di un piemontese o di un toscano sono molto più corte, di tipo quasi francese, rispetto a quelle di un cittadino del centro, perché questo è nella natura stessa della gente. Anche in questo caso, però, bisogna stare attenti perché non è possibile che tutte le volte si domandi: avete avuto paura? E si risponda: sì, abbiamo avuto paura, come se solo gli italiani avessero paura. Nelle interviste fatte al nord, ci sono invece risposte molto più corte e percutenti: sì, ricostruiremo; sì, faremo. Questo allora bisogna dirlo ai redattori: è troppo facile fare domande stupide. Con ciò, non voglio addossare alcuna responsabilità al direttore, che delle quattordici ore in ufficio credo ne passi dieci proprio a cercare di risolvere questi problemi, che ha ereditato. Questa fascia dei redattori degli ultimi dieci anni, però, a mio avviso, deve essere considerata più da vicino.
Faccio una breve premessa: si è discusso a lungo, anche in questa sede, su quale fosse l'autentico azionista di riferimento della RAI (si è parlato del Parlamento, dell'IRI) ma alla fine dei conti, sostanzialmente, anche questa dirigenza RAI, come le precedenti, ha voluto rivendicare a se stessa la funzione di editore, ed io penso che lo si debba legittimamente riconoscere, perché alla fine ci vuole una certa stabilità nella definizione delle competenze. Ora, se vi è una funzione che ha l'editore nel sistema dei media, anche in quello pubblico, è stabilire un rapporto fiduciario con i direttori, rapporto fiduciario che nasce sulla base delle determinazioni di alcune regole interne all'azienda, che l'editore stabilisce e che il direttore è tenuto ad osservare, nonché sull'esigenza - in questo caso specifico - di far rispettare ai direttori le delibere che questa Commissione formula (con la forza che ha nel momento in cui le definisce, che deriva anche dal fatto che queste risoluzioni nell'ultimo anno sono state emanate con una sostanziale unanimità di tutti i gruppi parlamentari).
Ebbene, la risoluzione sul pluralismo che abbiamo votato conteneva, pur nella sua genericità, alcuni elementi importanti, visto che siamo riusciti a definire determinate regole di fondo. Il primo è l'obbligo per ciascun mezzo radiotelevisivo gestito dal servizio pubblico, che motiva la sua esistenza e quindi il suo finanziamento attraverso il canone nel suo essere dalla parte di ogni cittadino evitando ogni subordinazione a partiti, poteri e interessi, di assicurare al cittadino il diritto di essere compiutamente informato. Vi è poi la parte più specifica rispetto al tema di oggi, cioè il pluralismo politico: il servizio pubblico è tenuto a rappresentare con equilibrio le posizioni della maggioranza e delle opposizioni, delle coalizioni e delle diverse forze politiche. Infine, l'informazione istituzionale e quella relativa all'attività di Governo devono anch'esse tenere conto della necessità di assicurare il rispetto dei principi della completezza e dell'obiettività dell'informazione.
Sono tre regolette, direi, chiare, di difficile malevola, o maliziosa interpretazione. Ora, caro presidente, caro direttore generale, ieri sera il TG3 era il primo telegiornale che ascoltavamo, ed eravamo tutti ansiosi di capire cosa stesse succedendo al paese, come sarebbe finita la crisi e se le forze politiche si sarebbero messe d'accordo; ebbene, dopo la sigla del TG3, c'è stato non un telegiornale ma un happening dell'Ulivo, una cosa sconcia, indecente, indecorosa, indegna. Si è cominciato con il riassunto della situazione politica, si è proseguito con un collegamento con gli operai di un cantiere navale, dove ovviamente dominante era solamente il fatto che ci si dovesse comunque mettere d'accordo in nome dell'unità della sinistra; poi si sono interpellate le donne dell'Ulivo, non meglio identificate, ed abbiamo visto il dispiacere che avrebbero potuto avere due importanti esponenti del PDS se il Governo fosse caduto. Vi è stato poi il servizio sugli operai di Brescia che andavano a Roma a chiedere che non si «rompesse», dopo di che finalmente Prodi, intorno alle 19,20, è uscito dal Quirinale e ha dato la fausta notizia: ci siamo allora ricollegati con gli operai dei cantieri navali i quali hanno decretato l'apoteosi! Questo non è telegiornale, è un happening, uno spettacolo, qualcosa che prescinde totalmente dalle regole che ho letto prima. Chiedo alla direzione della RAI se intenda licenziare la dottoressa Lucia Annunziata, perché non si fa così un telegiornale: in questo caso, il rapporto fiduciario deve intendersi, a mio avviso, interrotto, in quanto non sono state rispettate - immagino - le regole stabilite dall'azienda per quanto riguarda la gestione del telegiornale, ma soprattutto non sono state osservate le elementari, facili e identificabili regole che
Questo, però, non è tutto, in quanto pensavo e speravo che almeno all'interno del TG1 il servizio pubblico avrebbe consentito ai cittadini italiani di capire cosa fosse accaduto: a noi non interessava sapere che era fondamentale che il Governo Prodi restasse in sella e che non fosse interrotta l'unità della sinistra; ci interessava capire perché vi era stata la rottura, nonché con quali meccanismi, quali procedure e dove si sarebbe trovato un accordo (tant'è che alla fine è stato raggiunto). Tutto questo, però, non è accaduto e si è invece continuato con l'happening: sul TG1 sono stati reintervistati, per ribadire alcuni concetti, gli operai di Brescia calati a Roma e non si è minimamente rispettata la richiesta, che veniva dal paese, di capire cosa stesse accadendo. Poiché questa è stata definita la crisi più pazza (la definizione non viene da me ma da un personaggio di ben altro livello rispetto al sottoscritto), vi era la necessità di comprenderne qualche meccanismo, ma ciò non è avvenuto. Mi chiedo allora: se questa è la RAI di oggi, se questi sono i servizi trasmessi dai telegiornali, dov'è l'editore? Quest'ultimo intende intervenire, dare delle indicazioni, far rispettare le risoluzioni approvate dalla nostra Commissione, oppure preferisce lasciare i direttori liberi di gestire a modo loro un'informazione che si pone tutti gli obiettivi ad eccezione di quello di informare i cittadini?
Tralascio l'apoteosi finale con la conclusione «a tarallucci e vino» dell'intervista all'onorevole D'Alema: nel TG1, ovviamente, si è ribadito anche il collegamento con lo stesso D'Alema e si è così predisposto un pacchetto complessivo che sancisse il fatto che con ieri si chiudeva una crisi pasticciata; si è quindi giunti immediatamente alla conclusione e non si è minimamente approfondita la questione.
Vi chiedo allora se abbiate mai considerato che il 54 per cento del paese non vota per l'Ulivo e forse non è d'accordo con gli operai dell'Italsider, con quelli di Brescia, con le donne dell'Ulivo. Devo dire che ieri sera sono rimasto veramente esterrefatto, perché ho assistito ad un comportamento indegno del servizio pubblico; nel momento in cui chiedo l'allontanamento della dottoressa Lucia Annunziata, chiedo che si adottino provvedimenti anche nei confronti del TG1, che in altre occasioni ha dato credito a dei pentiti (non ha importanza che ciò avvenisse come seconda o quarta notizia) che diffondono notizie su esponenti politici ed ai quali è stato dato lo stesso rilievo televisivo riservato all'informazione sulla crisi, in assenza di qualsiasi filtro o capacità di analisi.
Ritengo, in conclusione, che il servizio pubblico debba, per così dire, darsi una regolata: non è possibile, presidente, che si continui con questo rito virtuale di confronto. Affermo quindi fin d'ora che non intendo più partecipare a questi dibattiti se non verranno adottati dei provvedimenti.
Ci riserviamo inoltre di promuovere una campagna (ricordo quella che fu definita «abbonato, alza la voce») che potremmo chiamare «italiano, spegni la RAI», perché non è più possibile continuare in questo modo.
I protagonisti di quella mezz'ora erano comunque quelli ed i giornali non possono fare altro - lo ripeto - che seguire ciò che accade, anche con quel tanto di incerto e di falotico che caratterizza la ripresa televisiva e l'essere della televisione. Penso che in quei momenti la stessa televisione dia il meglio di sé. Se poi si ripartiscono quantitativamente le apparizioni (lo dico anche in risposta alle osservazioni dei senatori Jacchia e Semenzato), diventa molto difficile operare una suddivisione così equilibrata: in tal caso, ci si perderebbe nell'inseguire l'ordine matematico delle frazioni e non ci si ritroverebbe più. Riprenderò, al riguardo, quanto ho già affermato la prima volta in cui sono intervenuto in questa sede.
Premesso che in quanto ha affermato il senatore Semenzato vi sono aspetti che mi hanno sorpreso e che rappresentano indubbiamente occasione di riflessione, ritengo che il problema sia quello di come «giocare» la rappresentatività delle forze politiche, se si vuole veramente che essa abbia un contenuto efficace, non di persuasione ma di testimonianza. È inutile, infatti, affermare che una certa forza politica è presente in video per un determinato numero di minuti mentre ad un'altra viene riservato un tempo inferiore: se giorno per giorno si operasse una ripartizione frazionando il tempo, i telegiornali sarebbero, dal punto di vista dei minuti, dei numeri periodici, che non finirebbero mai. Per superare questo tipo di problemi (lo dico oggi all'onorevole Romani così come ebbi modo di affermarlo la prima volta in cui intervenni in questa Commissione), ho fiducia nella professionalità dei nostri direttori e credo che questa stessa fiducia sia anche ripagata dal pubblico televisivo, il quale segue con favore i nostri telegiornali.
Non credo, peraltro, che la gente accenda stupidamente il televisore, perché se non vuole farlo non lo accende. Posso dire con grande sincerità che in anni passati mi è accaduto di non accendere la televisione; su questo ho anche scritto e sono sorte molte polemiche al riguardo (ho vissuto tutto ciò sulla mia pelle). Credo quindi che, se gli italiani accendono il televisore e seguono i nostri telegiornali, qualcosa ne trarranno. Anche se non subordino assolutamente tutto all'audience, credo che vi sia una ricchezza ed un'articolazione, anche culturale, nell'informazione, ossia qualcosa di diverso dalla ripartizione quantitativa delle forze.
Comprendo la preoccupazione che ciascuna forza politica ha in questa occasione dinanzi alla RAI che è servizio pubblico; comprendo anche che questo «stiracchiamento» che si verifica nel dibattito sia giustificatissimo, in perfetta buona fede. Ritengo però che dall'altra parte vi sia la responsabilità dei direttori di giornale, che godono della fiducia dei vertici della RAI (per questo sono stati nominati) e devono vivere questa stessa responsabilità tenendo anche conto dell'ordine in cui va seguito l'evolversi della politica e della cronaca.
Quanto all'osservazione secondo cui vi sarebbe molta cronaca nera nei telegiornali, devo dire che sciaguratamente il nostro paese raggiunge dei vertici di cronaca nera che in alcuni giorni sono veramente impressionanti, in altri meno.
Ieri, come dicevo, il fatto era quello che ho citato. Questo ci consente di addentrarci, con l'analisi, più all'interno delle questioni e di spiegare perché, per esempio, nel programma di Vespa si sia iniziato con D'Alema e non con Berlusconi, che sarà ospitato tra due giorni. Tutto questo tenendo conto che è in corso una campagna elettorale e che quella di Vespa è una delle rubriche riportate alla responsabilità delle testate, per cui essa deve garantire un certo equilibrio. Era comunque abbastanza logico che Vespa iniziasse con D'Alema anziché con Berlusconi, perché ieri il fatto dominante era la rottura e la ricucitura nella sinistra. Tuttavia, la rubrica di Vespa va un po' isolata da questo discorso, perché rientra tra quelle che devono rispettare, al loro interno, un equilibrio complessivo in campagna elettorale.
Per quanto riguarda l'offerta di informazione televisiva, credo che il giudizio sull'editore RAI vada espresso prendendo in considerazione i tre telegiornali insieme, perché la RAI è un solo editore. Quindi, il discorso va fatto - lo ripeto - mettendo insieme il TG1, il TG2 e il TG3, perché l'editore RAI, come dicevo, è uno solo, anche se poi ogni telegiornale sceglie il suo format di espressione. All'interno di questo discorso va collocato il giudizio sul TG3: considerato, come presupposto, che ieri il fatto dominante era quello già ricordato e che la signora Annunziata ha scelto di privilegiare una comunicazione monotematica, era abbastanza evidente che ieri questo fosse il tema centrale, quasi esclusivo, della sua informazione.
Passando alle altre questioni sollevate, ricordo che il senatore Semenzato ha posto tre domande: una di esse è relativa al dibattito sulla televisione del nulla, l'altra al modo di fare informazione, mentre la terza riguarda la rappresentatività dei soggetti politici nell'ambito dell'informazione.
Usando un linguaggio immaginifico, si può dire che RAIUNO è paragonabile ad un cane lupo, è cioè una rete che difende la tradizione, si rivolge ad un destinatario particolare, alle famiglie, ha il passo più legato alla storia ed alle tradizioni che non al futuro, anche se sperimenta cose nuove come ha fatto nel campo dell'informazione. RAIDUE è una specie di cavallo pazzo, che corre nelle praterie della comunicazione: è allora spiegabile che in questa rete ci sia un programma come Macao, che ci siano tentativi di proporre un'offerta che vada un po' al di là delle regole e tenti di sperimentare nuovi campi, nuovi linguaggi, nuovi rapporti con il pubblico. Speriamo infine, perché non è ancora così, che RAITRE sia un delfino, cioè una rete che si caratterizza per i linguaggi, con una grande capacità di sperimentare e di avviare rapporti con tutto il resto del mondo.
Questi esempi servono per dire che il discorso sulla televisione del nulla va collocato in un'offerta complessiva, dove ognuno sta tentando certe strade che sono anche di grande legittimazione di pubblico. Quello sulla qualità, invece, è un discorso diverso, che non va ricondotto ad un dato esclusivamente estetico ma ad una valutazione complessiva dell'offerta del servizio pubblico.
Il tema del ruolo e della formazione dei giornalisti e della qualità dell'informazione ha attraversato gli interventi dei senatori Semenzato e Jacchia. Da questo punto di vista, siamo assolutamente deficitari anche a livello di elaborazione teorica: il giornalismo che pratichiamo oggi è prevalentemente un accumulo di informazioni e di notizie; è una fase intermedia rispetto ad un giornalismo di appartenenza politico-culturale come quello del passato, ma non è ancora un giornalismo di tipo intellettuale-interpretativo come quello che ci auguriamo. Il giornalista del futuro deve essere un intellettuale che interpreta i fatti ed aiuta a collocarli in un contesto piuttosto che qualcuno che riporta e accumula notizie, perché quest'ultima funzione viene svolta anche da altri.
Il tema di fondo, quindi, è come dovranno essere i giornalisti e cosa dobbiamo fare perché si orientino su questa strada; ci sono molti modi, che vanno dai contratti alla formazione, ma è certo che, se non abbiamo questo riferimento complessivo, ci troveremo sempre a giudicare l'offerta più sulla base degli aspetti negativi che non di quelli positivi. Mi rendo conto che questo è il tema più importante, ma è anche quello rispetto al quale so fornire meno risposte, se non quella di un grande investimento formativo e di una grande capacità di costruire un modello complessivo di riferimento di questa figura intellettuale, che sostanzialmente è quella che giustifica la sopravvivenza del giornalismo.
Passo adesso ai dati. Non è vero che facciamo tanta cronaca: dal 1o gennaio al 30 giugno 1997 il TG1 ha trasmesso il 3,7 per cento di cronaca e il 20,1 per cento di politica estera, il TG2 il 4,3 per cento di cronaca e il 18,4 per cento di politica estera, il TG3 il 2,6 per cento di cronaca e il 17,9 per cento di politica...
Rispetto alla questione della rappresentanza di tipo politico, oltre alla considerazione generale che i dati vanno visti in un certo periodo e non in una sola giornata e che vanno inquadrati nella cronaca, è vero che ci possono essere attenzioni e sensibilità diverse; credo però che anche a questo proposito vada costruito un contesto che non è legato solo alla preoccupazione che Casini abbia messo il maglione. Anche questo è un elemento che ci interessa, perché Casini è sempre con il maglione, così come D'Alema sa cucinare; tutto va però inquadrato in un contesto. Questo naturalmente non vuol dire che non ci sia mancanza di sensibilità nei confronti di certi temi, come la stessa Annunziata ha riconosciuto.
È risaputo, per esempio, che il direttore del TG3 è schierato manifestamente su posizioni politiche che conosciamo perfettamente - anche perché non lo nega - ed assolve ad un compito di grande importanza sul piano politico e morale e su quello delle prospettive. Questo è per noi inaccettabile: la dottoressa Annunziata può fare ciò che vuole con uno strumento che paga personalmente e gestisce per conto proprio in termini privatistici, ma non può pensare che l'opinione pubblica italiana, i cittadini, le parti politiche, sociali e culturali possano accettare un'impostazione di questo tipo.
Oltre a questo, vi è un ulteriore elemento negativo rappresentato dal fatto che spesso è «infilato» nel telegiornale anche il commentatore, che fa il megafono del Governo e della maggioranza; quindi non solo la notizia viene offerta al pubblico in modo fazioso, ma addirittura si ribadisce la posizione attraverso il commento di un Carneade spesso qualsiasi, che aggrava sempre di più la situazione. È inaccettabile, per esempio, che nel corso di una crisi il commentatore dica in televisione che Prodi è un bravo ragazzo e Bertinotti è un cattivo soggetto o che la finanziaria deve essere approvata in un modo piuttosto che in un altro perché solo così si va in Europa e così via. Allora, risparmiateci almeno i commenti all'interno del TG, perché è chiaro che un giornalista fa i commenti a suo uso e consumo, secondo la propria visione, quindi è un commento oggettivamente partigiano e fazioso, che non
Posso anche capire quando voi dite, per giustificare alcune posizioni per noi inaccettabili, che c'è una rottura nella sinistra per cui l'elemento portante dell'informazione è quello e che c'è un'attesa di un certo tipo da parte di alcuni settori che gravitano a sinistra, per cui bisogna dare visibilità a queste posizioni. Ma quando a questa impostazione si aggiunge anche il commento all'interno del telegiornale, mi chiedo quale giustificazione possa essere data dal presidente e dal direttore generale della RAI ad un giornalista che dà il proprio taglio politico, totalmente schierato. A questa domanda dovete rispondere, perché non sono disponibile ad accettare che commentatori di parte vadano nel TG a fare da megafono al Governo Prodi; come diceva il collega Romani, questo è inaccettabile, per non usare aggettivazioni più pesanti.
Che questa sia ormai una linea costante, lo vediamo anche attraverso le rubriche di carattere culturale. Vengono trasmesse con grande insistenza ed invadenza una valanga di trasmissioni che riguardano fascismo e nazismo; ne prendiamo atto, ma vorremmo sapere perché con altrettanta insistenza, chiarezza e approfondimento non vengano offerti anche altri tipi di servizi culturali, storici e informativi riguardanti altri movimenti che hanno costituito tragedie immani per l'Europa, come il comunismo. Ci chiediamo anche come mai non vengano effettuati servizi sulle responsabilità e le connivenze di esponenti politici nazionali per quanto riguarda le tragedie di questo movimento politico in campo internazionale. A questo dovete rispondere, non potete fare sempre un'informazione culturale e storica a senso unico, come se nel mondo ci fossero stati solo il nazismo e il fascismo e dall'altra parte non ci fosse stato nulla; c'è stato anche qualcos'altro rispetto al quale vorremmo ci fosse un minimo di attenzione da parte vostra.
Abbiamo denunciato più volte anche la questione dei servizi giornalistici per quanto riguarda le testate regionali. C'è stato risposto che si cerca di dare visibilità agli eventi più importanti nella regione e, guarda caso, questi sono sempre quelli che caratterizzano non tanto una maggioranza politica, quanto una forza - sempre la stessa - predominante in quella maggioranza. Per noi non è possibile accettare un'impostazione di questo tipo e non possiamo neppure accettare la giustificazione che questa mattina avete cercato di fornire per un atteggiamento indubbiamente fazioso, di intolleranza, di negazione del documento e dei principi che più volte abbiamo affermato all'unanimità.
È evidente che non possiamo più accettare un'impostazione di questo tipo e che dovremo articolare altre forme di protesta per manifestare le nostra posizioni, ma anche per impedire che si vada oltre procedendo su una strada per noi totalmente inaccettabile. Non potete «rimpiattarvi» dietro argomentazioni fumose che non hanno alcuna giustificazione razionale e oggettiva rispetto alle osservazioni critiche che stiamo muovendo nei confronti del servizio radiotelevisivo. Spero quindi che nel corso della discussione e nelle ulteriori risposte che ci darete ci siano maggiori chiarezza e consapevolezza di come stanno esattamente le cose all'interno della RAI.
Ma in realtà c'è un grande rischio. In genere le parti prevedono che ci sia chi difende e chi è contro la RAI. Se seguiamo questa logica, adesso io farò il mio intervento e risponderò con dovizia di argomentazione su tutto quello che ho visto, sulle proteste che quotidianamente ricevo. Quando ho partecipato alla manifestazione CGIL-CISL-UIL nel Veneto, collega Jacchia, c'era un brutto clima verso la RAI per ragioni opposte alle tue.
Discutiamo di ciò che vogliamo, ma sappiate che esistono forti riserve, anche da un versante culturale diverso, sul ruolo e le funzioni del sistema di comunicazione. Questo è importante, perché se prendiamo la strada del non ascolto e ciascuno pensa di avere tutte le ragioni, non andiamo in nessun luogo: questa può essere anche una scelta. Abbiamo sempre votato all'unanimità ma questo non è obbligatorio in Commissione di vigilanza. Riterrei però che questo sarebbe un passo indietro perché tutto si trasferirebbe sul clima complessivo del sistema delle telecomunicazioni: tutti non potrebbero far altro che riprendere le bandiere e gli elmetti. Nessuno si deve offendere perché, se si innesca un clima, ogni azione comporta una reazione.
Vorrei invece cercare di ragionare, paradossalmente, su cose che a me non piacciono, ma che non possono essere lette solo a giorni alterni. Elementi di faziosità o di non rispetto nel servizio pubblico che si sono verificati nel passato e nel presente debbono essere sottolineati con forza ai vertici aziendali; se vi sono stati episodi specifici come quelli denunciati, non credo che il modo giusto di ragionare sia quello di dire: non li ho visti.
Non ho seguito i telegiornali, ma sarebbe grave - e talvolta anch'io l'ho constatato - che qualche telegiornale si ritenesse parte dei congressi, del dibattito politico, quasi protagonista dell'azione politica. Ritengo che questo sia intollerabile, sempre e comunque. Non siamo gli avvocati difensori; pregherei tutti, però, di evitare un clima «a parti fisse». Se le parti sono fisse, ripeto, si fanno prove muscolari e non di ragionamento.
Mi consentirete di non seguirvi perché ci sono altri temi che mi interessano e che voglio porre. Il primo è quello del terremoto in Umbria e nelle Marche: non c'entra ma so che il presidente Storace ha mostrato attenzione all'argomento, del quale ho parlato con lui in una precedente occasione.
Devo ringraziare il servizio pubblico ed anche le emittenti private di questo paese per il modo in cui si sono mossi, salvo alcune cadute. Ad esempio - ecco perché voglio discutere liberamente delle critiche - la marcia Perugia-Assisi era per la pace e per i terremotati: non era una marcia sulla crisi di Governo e forse era il caso di non trasformarla in questo senso. Non era un congresso dell'Ulivo o del PCI: era una
Detto questo, però, debbo ringraziare centinaia di persone che ho visto lavorare sulla vicenda del terremoto. Ciò che mi irrita è proprio il passaggio da una giusta valutazione ad una generalizzazione: sono losche figure, la programmazione non funziona, eccetera. Il ragionamento diventa allora difficile.
Sulla vicenda del terremoto, mi rivolgo al presidente ed al direttore generale della RAI per sapere, anzitutto, se si ritiene - passata l'emergenza - di mantenere un «diario della ricostruzione», non abbandonando quelle popolazioni, soprattutto i comuni meno noti, ma mantenendo postazioni della RAI che garantiscano in quelle regioni (non è un problema di collegio elettorale) una continua attenzione per quei territori.
In secondo luogo, era stata annunciata dalla RAI la promozione di un'iniziativa di solidarietà per le Marche e l'Umbria. Non penso ad un'azione di assistenza ma ad un'iniziativa culturale che potrebbe essere rappresentata da un viaggio in quei territori - che sono un grande patrimonio di cultura - proposto all'estero con una giornata specifica sia di divulgazione in sede internazionale della conoscenza di queste zone sia di sollecitazione della solidarietà legata al recupero di singoli monumenti e luoghi.
Credo che questo sia servizio pubblico e vorrei che ne ragionassimo: il servizio pubblico ha senso se può dedicare parte della sua programmazione complessiva (penso anche alle nuove TV tematiche ed al ruolo che possono svolgere nel campo della ricostruzione, del restauro, della prevenzione) ad un progetto per quest'area, magari contemplando forme di alleanza positiva con le emittenti private, che hanno lavorato seriamente.
Dico questo perché anch'io ho visto cose che non mi sono piaciute sulla carta stampata ed in alcuni servizi televisivi. Inviterei però a distinguere attentamente tra casi di professionisti poco seri e le centinaia di persone che, nel pubblico e nel privato, fanno invece il loro mestiere molto seriamente.
Vorrei poi dire che il pluralismo non si estrinseca solo nel minutaggio: di questo si è parlato poco. Oggi si è giustamente parlato dei telegiornali degli ultimi giorni; forse però potremmo anche riflettere su cosa sia stata la serata Vajont con i suoi quattro milioni di spettatori. Non si tratta di contrapporre il bene al male ma di verificare che c'è una programmazione molto ampia con funzioni di servizio civile. Ci sono alcuni momenti, recuperati nel palinsesto, che riguardano la memoria del paese, che sono un pezzo della linea editoriale dell'azienda: si intende sviluppare tutto ciò, nelle reti RAI, oppure rappresenta un'eccezione? Mi pare che si tratti di un grande patrimonio, che finalmente ci facilita la distinzione tra pubblico e privato e la separazione delle loro funzioni, il che ci consente di esercitare con serietà la funzione di vigilanza non solo sui telegiornali ma sul complesso della programmazione, attraverso alcuni stimoli positivi che mi paiono raccolti. Non mi pare inutile il ruolo della Commissione vigilanza; altrimenti potremmo anche decidere sulla nostra soppressione. Vedo invece una fase contraddittoria, nella quale però gli elementi posti unitariamente dai colleghi cominciano ad essere raccolti: vorrei capire se sto parlando di eccezioni o di elementi strutturali.
Venendo in conclusione ai temi strutturali, li ho letti nella relazione e mi preoccupano più delle legittime irritazioni di ciascuno di noi su alcune questioni; vorrei chiedere due chiarimenti che riguardano il pluralismo tecnologico e strutturale.
Mi riferisco alla trattativa sulla piattaforma digitale, per sapere in che modo si sta procedendo e se questo paese avrà o no una piattaforma digitale con pluralità di offerta.
Si tratta di un problema di pluralismo strutturale, così come lo è quello dei precari. C'era un impegno a presentare un piano per i precari che riguarda le modalità delle assunzioni. C'è un forte bacino di precariato nei programmi ancor più che nel settore informativo. So che su questo tema c'è stato un lavoro in sede di definizione contrattuale ma vi era anche un impegno della Commissione: vorrei sapere se sui temi specifici delle modalità di assunzione e del bacino di precari siano state raggiunte intese capaci di portarci verso la soluzione del problema.
Queste sono le domande che volevo porre e mi scuso se sono stato non troppo breve. La mia intenzione - lo dico al collega Romani - non era affatto quella di chiudere la discussione: l'invito a tutti noi è quello di non farci condizionare dalla cronaca e di proseguire il lavoro della Commissione, chiedendo ai vertici della RAI una verifica puntuale sugli episodi che sono stati sottolineati. Credo di averlo detto con grande chiarezza: il problema non è l'impunità di qualcuno, ma ci sono delle regole e vanno rispettate da tutti. Allo stesso tempo vorrei invitare all'attenzione verso il percorso che scegliamo: innescare nuovamente un'antica polemica alla quale pure ho partecipato in prima persona non ci porterà a rendere più libero il settore delle comunicazioni ma potrebbe farci compiere passi indietro. Ognuno di noi è libero di farlo, ma credo che finché è possibile dobbiamo tentare di mantenerci sul terreno del ragionamento e del lavoro comune.
Mi sembra però che alcune fra le cose che sono state dette discendano da una considerazione più generale che appare molto spesso nei nostri lavori: mi riferisco ad una visione che alcuni di noi hanno del servizio pubblico e che mi pare abbastanza distorta. Mi appare riaffiorare in modo ricorrente nella Commissione l'opinione che il servizio pubblico sia tale in quanto pagato da un canone.
Talora questo si esprime in modo molto rozzo dicendo, come ho sentito anche stamane, che la Annunziata (o altre persone in altri casi) dovrebbero costruirsi il proprio strumento e a quel punto dire ciò che vogliono. Non è così: non è pagare un servizio attraverso il canone che rende pubblico lo stesso servizio. Il punto di fondo è che è pubblico, e quindi rilevante per il legislatore (e mi auguro che in futuro lo sia anche per questa Commissione, che dovrebbe ampliare l'ambito delle sue competenze), ciò che concorre a formare il consenso politico del paese, per quanto riguarda le news, e la sua cultura politica, in senso molto lato.
Quindi alcune questioni vanno poste nel contesto generale del sistema dell'informazione di questo paese.
Non dico, come potrebbero ritenere taluni, che la RAI fa un certo tipo di informazione perché nel complesso del sistema informativo deve riequilibrare l'informazione fatta da altri, non è questo il punto. Tuttavia non possiamo dimenticare che, per giudicare il tipo di informazione politica fatta dalla RAI - anch'io mi soffermo su tale questione che è stata maggiormente toccata dai precedenti interventi -, dobbiamo valutare il contesto dell'informazione politica nel paese. Mentre per la carta stampata si ha un amplissimo pluralismo e la natura del mezzo consente di riportare fatti, ma anche informazioni, commenti e valutazioni inevitabilmente legati ai fatti, o molto spesso manipolativamente inseriti nella comunicazione stessa del fatto, e vi è un lettore che ha un testo davanti, non è sottoposto all'impatto prodotto dalla comunicazione diretta del mezzo televisivo e possiede strumenti critici maggiori nei confronti della commistione di informazione e commento che gli arriva dalla carta stampata, nell'ambito del sistema televisivo, se si vuole discutere della qualità dei TG - come è accaduto stamane - è assolutamente essenziale fare il raffronto con il resto dell'offerta televisiva di informazione, come fanno queste tabelle.
Una volta eseguito il raffronto (non parlo delle posizioni tenute, ma dei minutaggi), credo si possa giungere a conclusioni diverse rispetto a quelle formulate. Si è detto che si parla eccessivamente, in taluni casi, di magistratura, che si dà troppo spazio alle sue posizioni. Questa, però, è una critica di merito, perché in termini di attenzione al tema magistratura (e confronto le due «ammiraglie»), il TG1 dedica il 18 per cento del tempo a fronte del 18,5 del TG5, del 18,7 del TG3 e del 18,3 del TG4, (altra cosa è come viene trattata la notizia). Sicuramente, in termini di attenzione, il servizio pubblico tocca un tema con la stessa rilevanza con la quale è trattato dai TG delle reti commerciali.
Passo ad altri campi. All'informazione estera, che rappresenta uno dei grandi plus a favore dell'informazione RAI, il TG1 dedica un tempo pari al 20,1 per cento a fronte del 13 del TG5; dunque vi è una netta e maggiore copertura dell'informazione da parte del servizio pubblico. Si può continuare passando, per esempio, alla copertura di cultura, considerato come spettacolo e cultura, pari al 7,9 per cento del TG1 contro il 3 del TG5; l'affermazione in base alla quale si dedica troppa attenzione ai partiti politici cela un dissenso di merito su come viene trattata la notizia, perché in realtà emerge il 9,3 per cento del TG1 contro il 7,2 per cento del TG5 e addirittura l'11,8 del TG4.
Dunque non vi è un eccesso di politicizzazione sui temi della magistratura e dei partiti politici da parte dei TG nazionali: e il minutaggio lo conferma. Diverso è
Se volessimo dedicare una intera giornata alla polemica sulla qualità dell'informazione politica - e io considero tutta l'informazione politica servizio pubblico - svolta dalle testate da me ricordate (il TG4, per esempio), ci accapiglieremmo a lungo senza trattare la materia all'ordine del giorno e il grado di copertura complessiva offerta dai palinsesti RAI, che nel campo dell'informazione è indubbiamente di ottimo livello. Mi riferisco al numero dei TG ed alla qualità di copertura delle notizie internazionali e degli eventi culturali; per cui alla fine che critica può essere mossa? È il dissenso di un parte politica che accusa la RAI di schierarsi con una certa parte politica: è un'accusa ricorrente, mossa verso tutti i consigli di amministrazione dalle minoranze del momento.
Ripercorrendo la storia, questo è successo più o meno: forse dovremmo cercare di superare questa situazione, tentare di ampliare il reale compito della nostra Commissione, ponendoci quello di una diversa definizione di servizio pubblico, e poi procedere all'analisi della sostanza dell'informazione rappresentata. Sul tema della sostanza molti di noi hanno obiezioni da sollevare, addirittura di segno opposto: ricordava l'onorevole Giulietti che viene data un'eccessiva copertura al fenomeno Lega - un'affermazione che sottoscriverei pienamente -, dando la sensazione in taluni casi che nelle regioni del nord-est non esista altro. Personalmente mi sono lamentato di alcune trasmissioni del TG3 durante le quali un uomo come Carlo Azeglio Ciampi è stato identificato come non appartenente alla sinistra; avendo una formazione culturale e politica assolutamente identica a quella di Ciampi, mi sento assolutamente uomo della sinistra; di un uomo proveniente dalla tradizione azionista non si può dire che cammini nei dintorni della sinistra, come faceva Di Pietro o Lady Diana, cosa che ho letto in un commento di corsivo assolutamente non adatto. Una parte politica semmai può lamentarsi di come viene trattata una notizia o una informazione da testate considerate da altri assolutamente funzionali, organiche a quella parte politica, ma non voglio entrare nei dettagli di una tale questione.
A mio avviso, invece, esiste una questione generale da sollevare relativa al fatto che la RAI, complessivamente, deve uscire dal periodo di assoluto schiacciamento sul modello di televisione commerciale che l'ha caratterizzata, determinato dagli anni in cui le esigenze di bilancio l'avevano costretta a non investire in produzione autonoma, ma a copiare i palinsesti capaci di massimizzare il gettito pubblicitario: questa è la grande questione che è oggi di fronte all'azienda pubblica e sul rilancio della propria produzione si può discutere circa le linee. In questo contesto vorrei porre al consiglio di amministrazione la stessa domanda che rivolsi a Silva, ossia: per quale ragione era stata abbandonata la produzione dei programmi che il produttore di Tosca, Andermann, aveva proposto alla RAI? Perché, una volta raggiunta una ipotesi di transazione molto favorevole alla RAI dal punto di vista giuridico, per quanto mi è dato sapere dalle informazioni avute (per quanto ne so, vi era stato un perfezionamento di talune ipotesi contrattuali oltre ad un'ipotesi transattiva) e dato che la controparte è disponibile alla transazione, perché - vi chiedo - non si è proceduto? Gradirei una risposta, anche se ricomprenderei tale questione nell'esigenza di ridare fiato e spazio alla produzione propria nonché alla necessità di definire, informando e seguendo gli indirizzi della nostra Commissione, le linee degli investimenti, dal momento che si può investire su linee diverse.
Devo sottolineare che comunque il futuro della RAI necessita di una ridefinizione del ruolo del giornalista RAI; mi interessano gli accenni fatti, anzi gradirei capire che cosa significhi il fatto che un giornalista interpreti i fatti e non li riporti semplicemente. Il ruolo del giornalista televisivo è molto diverso da quello della carta stampata perché nella carta
Se interpretare i fatti significa scegliere quali notizie passare e quali no, sono consenziente perché è inevitabile che nella professione giornalistica vi sia un vaglio: se questo è ciò che si intendeva sono d'accordo, va benissimo; se invece si tratta di paludare i fatti o di confezionarli per una loro maggiore e più facile comprensione da parte degli ascoltatori o dei telespettatori, non ci siamo.
Il punto fondamentale rimangono le scelte di strategia e per questo è significativa la domanda posta dall'onorevole Giulietti sullo stato delle trattative per la piattaforma digitale. Un altro quesito rilevante è: nell'ambito di quale ipotesi di assetto del capitale azionario si muove a lungo termine la RAI? Vi sono indicazioni che la RAI possiede e che non sono esplicitate ancora a livello di Parlamento e di Governo? Sappiamo che esiste un'ipotesi, giunta a noi dalle indicazioni referendarie, circa la privatizzazione e che ogni tanto viene riaffermata: dal punto di vista dell'assetto del capitale sociale, quali sono le ipotesi sulle quali si basa il consiglio di amministrazione? Vi è stato detto di procedere tranquillamente, ché nell'ambito della vita nulla avverrà? Oppure qualcosa avverrà? Che tipo di alleanze internazionali...
Le dirò che, a quindici mesi dalla mia nomina, sento l'orgoglio di poter dire che questa RAI non è né brutta né vecchia ma che è diversa. E questo non è un convincimento cieco, ma basato sui fatti. Questa RAI trasmette molto materiale che è diverso ed organizzato diversamente dal passato. All'onorevole Giulietti, che poco fa chiedeva se c'è un'intenzione progettuale di rinnovamento, devo dire che c'è, proprio sulla base di certe trasmissioni (il Vajont, la Callas, Padre Pio e quant'altro) che dimostrano come questa RAI intenda fare cultura lasciandola scivolare
È una fatica che abbiamo fatto assieme al direttore generale, una fatica non da poco. Perché in definitiva la RAI è un organismo forte, resistente, abituato a lavorare secondo certi procedimenti. E quel che abbiamo fatto, così rapidamente, è il risultato di una volontà non da poco. Ripeto, questo per me è motivo di orgoglio. A questo mi afferrerò continuamente, perché c'è stata l'intenzione non solo di modificare l'offerta ma, modificando l'offerta, di modificare anche il modo della domanda. E soddisfazioni in questo senso ne abbiamo avute. Vedere infatti trasmissioni come il Vajont (per rimanere alle settimane recenti) o come i documentari di storia in prima serata raccogliere il consenso che raccolgono significa che siamo riusciti non solo a cambiare i nostri modi di offrire i materiali, ma anche ad avere dal pubblico risposte che stanno a dimostrare che le stesse intenzioni, il gusto, la sensibilità intellettuale e culturale del nostro paese sta cambiando in modo a mio giudizio positivo. E a questo forse la RAI ha dato un contributo non trascurabile.
Non soltanto organizzeremo eventi di solidarietà - e credo che su questo il direttore generale potrà dirvi che intenzioni ci sono - ma vorremmo anche che l'opinione pubblica internazionale fosse informata di quanto è accaduto e di quel che l'Italia sta facendo nei confronti di questo accidente che ha offeso in profondità regioni così ricche di cultura, di tradizione, d'arte ed anche di vita sociale e civile, come le Marche e l'Umbria.
Sulla rete senza pubblicità, la RAI ha già cominciato una profonda riflessione che porterà all'elaborazione del documento che in seguito sarà sottoposto al Parlamento. È una riflessione che riguarda la grande avventura nella quale la RAI sarà proiettata nel futuro, perché preparare una rete senza pubblicità che sia insieme una rete che faccia ascolto, cultura ed informazione è una carta da giocare con cautela ma anche con ardimento. In definitiva il paese chiama la RAI anche a saper essere pronta a certe risposte indipendentemente dalla corsa che c'è stata in anni passati in gara con le TV commerciali.
Il che significa che, se si analizza la situazione con questi dati meramente di riferimento - ed è un approccio secondo me relativo ma, come tutti gli approcci relativi, ha un senso perché vale comunque per tutti, anche se non è certo attraverso questi elementi che si arriva ad influenzare gli atteggiamenti e i comportamenti della gente -, il rapporto è sostanzialmente soddisfacente, almeno per quanto riguarda gli standard normali con cui si giudicano queste cose.
Quanto al perché si fanno trasmissioni sul fascismo e sul nazismo e non invece sulla crisi del comunismo, voglio solo ricordare che due mesi fa Levi ha fatto otto ore di programma sulla crisi del mondo dell'est.
Qui viene fuori il ruolo del servizio pubblico che tra le sue caratteristiche deve avere quella di un grande rapporto con l'attualità; il che vuol dire che il servizio pubblico si deve occupare del trentesimo anniversario della morte di Che Guevara,
Perché ha funzionato il programma sul Vajont, che è un pezzo teatrale che sei mesi fa non avrebbe funzionato per nulla? Perché è stato contestualizzato in un tipo di domanda che è quella connessa al contesto nel quale sostanzialmente oggi si svolge l'informazione televisiva, che vede al suo centro uno dei grandi temi di fondo che è il terremoto. Diversamente non si sarebbe spiegato questo tipo di rapporto con un prodotto come questo.
Ciò mi permette di fare un salto e arrivare alle domande del senatore Passigli, prima di arrivare a quelle dell'onorevole Giulietti, per precisare cosa intendo io sulla necessità di ripensare il ruolo di giornalista. Sono completamente d'accordo che il giornalista deve scegliere anzitutto gli argomenti di cui si occupa. Quello che metto in discussione è che spesso i fatti vengono sostanzialmente accumulati senza una chiave di lettura. Non dico che il giornalista non deve dare le informazioni; dico che manca un ruolo rispetto alle grandissime possibilità di un rapporto diretto con le fonti, per una serie di motivazioni tecnologiche o anche di consumo. Per capirci, la cronaca dovrebbe essere letta come Gombrich ci ha spiegato a proposito delle mostre: senza un tipo di contesto è difficile capire un fatto. Questo è il motivo per il quale credo siano giuste le critiche di Giulietti sulla marcia della pace che era legata alla ricostruzione o, se si vuole, al terremoto. Quando si cerca di dare una lettura o comunque di approfittare di un fatto per riportare tutto alla politica o ad una dialettica dentro o fuori l'opposizione, non si fa un giornalismo corretto. Dopo di che, ognuno sceglie le strade che vuole per i corsivi o meno. Quando parlo di ruolo di tipo intellettuale parlo della capacità di un giornalista di spiegare i contesti nei quali si inseriscono le notizie e non dell'accumulazione delle stesse, posto il principio che il suo dovere di base è quello di sceglierle. Su questo non mi pare vi sia discussione.
A proposito del servizio pubblico, che mi sembra l'aspetto più interessante, credo che esso vada ripensato perché la nostra idea in proposito - la stiamo realizzando - è del tutto diversa da quella di dieci anni fa: non si tratta più di un servizio pubblico garantista, che si occupa solo del pluralismo, che fa solo riferimento ai diritti garantiti dalla Carta costituzionale, ai diritti di informazione, a quelli delle minoranze, si tratta di un servizio pubblico che crede di svolgere un ruolo altamente attivo di tipo imprenditoriale e di rischio, rispetto ad un contesto - quello della comunicazione - nel quale tutto sta cambiando e nel quale vuole assumere un ruolo di governo. Ciò non significa non mettere in discussione l'attuale tipo di servizio pubblico.
Se facciamo un ragionamento serio, dobbiamo cominciare ad affrontare ad esempio la crisi dell'intrattenimento, una crisi fortissima non del servizio pubblico ma di questo tipo di televisione. Ciò vuol dire che il servizio pubblico del futuro dovrà caratterizzarsi per offerte parzialmente diverse da quelle attuali. Non è pensabile un servizio pubblico che non abbia una sua offerta di grande fiction, un grossissimo rapporto con l'informazione e con i fatti, con l'attualità del mondo, però è probabile che su alcuni generi esso debba fare profonde, altissime riflessioni. Questo è il concetto di servizio pubblico che noi oggi viviamo rispetto ad una parte della sua offerta. Esso infatti ha senso se, accanto alle generaliste, comincia a pensare a tematiche free - come stiamo facendo, perché l'integrazione tra di esse valorizza il concetto di servizio pubblico -, se si muove su altri tipi di mercati, se si prepara sostanzialmente a ritrovare una legittimazione di mercato indipendentemente dalle risorse di partenza (il discorso del canone), in un contesto che non è quello attuale e nel quale verranno messe in discussione tutte le attuali forme di finanziamento. Credo si debba ragionare su questi temi nei quali entrano i discorsi
Per quanto riguarda la piattaforma, mi pare che la situazione sia la seguente: tutti gli italiani (RAI, Mediaset, RAI e Telecom e Cecchi Gori) pensano ad un'unica piattaforma, la sola prospettiva che può essere retta in termini economici e di investimento; pensano ad un rapporto con i francesi la cui motivazione non riguarda puramente questioni di business, ma va ricercata nel fatto che i francesi sono un partner interessante dal punto di vista culturale e delle capacità produttive e nel fatto che comunque abbiamo scelto l'Europa come contesto complessivo nel quale muoverci rispetto all'informazione, alle produzioni, alla politica estera. Questa è l'idea che va coniugata con alcuni vincoli antitrust, per cui occorre individuare una soluzione che permetta contemporaneamente l'unicità della piattaforma tecnologica e - se si vuole andare un po' più in là - dell'amministrazione o della gestione degli abbonamenti e la diversificazione dell'offerta, che può rappresentare un punto di incontro e anche di rifiuto da parte dell'autorità antitrust. Questa è la prospettiva in cui ci muoviamo e rispetto alla quale dobbiamo precisare che la maggioranza qualificata di tutto questo - ci riferiamo non solo al Governo finanziario ma anche e a quello degli abbonati - deve essere italiana. Crediamo fino in fondo a questa prospettiva: se non si realizzasse, non rimarrebbe che l'alternativa di due piattaforme, ipotesi questa che escludiamo ma che affronteremo nel giorno in cui verificheremo che non è possibile perseguire l'obiettivo che ci prefiggiamo.
Rispetto al terremoto, oltre al ragionamento su una informazione sistematica, pensiamo di attuare una specie di Telethon per l'arte, cioè un'operazione internazionale per raccogliere risorse da destinare sostanzialmente alla ricostruzione. L'idea non è quella di un'operazione nazionale, ma è quella di inventare un Format per il recupero di una serie di opere d'arte nel mondo che sono la testimonianza della nostra civiltà. La nostra ambizione è quella di inventare un Format vendibile a livello internazionale in modo da sperimentarlo per altre cinque o sei operazioni di questa natura. Questo potrebbe essere il patrimonio che consegniamo al terzo millennio (per venerdì è previsto in prima serata un programma della Milella sul modo in cui sta avvenendo la ricostruzione nelle zone terremotate).
Pensiamo sia finita la fase nella quale, come è avvenuto all'inizio, i mezzi di comunicazione di massa si sono occupati del terremoto quasi esclusivamente come un fatto che riguarda il patrimonio artistico. Inizialmente, anche in considerazione del numero limitato di morti rispetto all'esperienza precedente dell'Irpinia, si è insistito maggiormente su questo aspetto, ma ora stiamo cambiando il tipo di prospettiva per occuparci della ricostruzione, nella quale entrano in modo prioritario i beni artistici e culturali. Vi è quindi un cambiamento nel nostro modo - ed anche in quello degli altri - di fare informazione su questa tragedia.
Per quanto riguarda i film in diretta, tutti conoscete la storia che è apparsa sui giornali. In pratica, essa parte da una proposta formulata dalla Rada Film e approvata dal consiglio di amministrazione della RAI nel 1995. La delibera conteneva un mandato al direttore generale di allora di procedere alla stipula di un contratto di attivazione globale del progetto. Ciò vuol dire evidentemente assumere tutti gli elementi valutativi per un'eventuale successiva fase di produzione. Questa delibera ha costituito la base di trattativa con la Rada Film e ha dato luogo a numerosi
La Rada Film valuta che le trattative si debbano ritenere concluse sulla base dell'ultima bozza di accordo del 5 agosto 1996, in quanto individua nella delibera consigliare una fonte contrattuale di per sé vincolante per la RAI.
In tale contesto, è sorto un contenzioso tra RAI e Rada Film che in questa fase finale ha visto un recupero di contatti ma che sostanzialmente presenta posizioni diametralmente opposte. La situazione è questa: Rada Film condiziona la propria accettazione ad una impostazione contrattuale che non si concilia con le consuete procedure normative aziendali. In pratica essa non è in grado di indicare sin d'ora quale sia l'opera che intende produrre, riservandosi di compiere una scelta successivamente all'approvazione del contratto. Per noi questa è una condizione difficilmente accettabile perché non è la stessa cosa realizzare in diretta la Turandot, il Barbiere di Siviglia o la Cavalleria Rusticana, considerato che alla RAI verrebbe chiesto di fornire i mezzi tecnici di ripresa e l'applying via satellite, situazioni logistiche con prospettive di tipo economico radicalmente diverse.
Inoltre, la Rada non è in grado o non intende comunicare il costo complessivo di produzione dell'opera in diretta, rendendo impossibile una valutazione di congruità del preventivo e del rapporto tra investimento (4 miliardi più i mezzi tecnici) e diritti d'acquisto. Ancora, chiede condizioni finanziarie di assoluta straordinarietà, nonché altre clausole minori, comunque difformi dalle consuete procedure normative RAI. Rada Film ha scritto una lettera comunicando che è disposta a riaprire il discorso e noi saremmo ben lieti di farlo senza andare in giudizio, dove probabilmente perderemmo.
Per quello che riguarda i temi al centro della discussione, vorrei sottolineare che siamo stati convocati per fare una verifica sull'attuazione del documento di indirizzo in materia di pluralismo, alla luce dei comportamenti e delle attività concrete svolte dal servizio pubblico radiotelevisivo.
Avverto peraltro il rischio che tale verifica si disperda nella valutazione di singoli aspetti, trasmissioni o edizioni di telegiornali. Non dico che non si debbano fare singole valutazioni, ma corriamo il rischio sostanzialmente di far perdere di profondità la nostra discussione e di offrire una visione deformata della realtà, che può anche essere consolatoria per le proprie convinzioni, ma non credo ci faccia compiere un passo avanti.
Credo dovremmo sforzarci tutti, nel momento in cui verifichiamo lo stato di attuazione dell'indirizzo deliberato dalla Commissione, di liberarci della logica di parte che ci porta a prendere in considerazione l'episodio che più di altri ci consente di sviluppare una certa polemica politica, trascurando il quadro d'insieme e la valutazione complessiva. Ritengo che questo modo di fare impedisca la dialettica che in una Commissione come la nostra non può essere semplicemente di maggioranza-minoranza, ma deve essere tra Parlamento e servizio pubblico radiotelevisivo. Peraltro questo modo di fare spinge ognuno a chiudersi in recinti predeterminati di comportamento, mentre dovremmo sforzarci - ripeto - di dare una valutazione d'insieme delle questioni alla nostra riflessione.
In tal senso non ci sfuggono alcuni elementi che non possono non essere considerati quando facciamo una riflessione. In questa occasione è riemerso il tema del ruolo del servizio pubblico, del canone televisivo e così via. Chi dirige la RAI non può non tenere conto della realtà concreta in cui opera l'azienda, che deve svolgere contemporaneamente un ruolo di servizio pubblico ed essere presente sul mercato: questo è il dato da cui partire.
Nell'equilibrio tra tali funzioni, peraltro molto chiaramente definite in una specifica convenzione per la parte riguardante il servizio pubblico, si possono avere torsioni in un senso o nell'altro, ma resta il fatto che l'azienda contemporaneamente svolge - ripeto - funzioni di servizio pubblico e di presenza sul mercato.
È evidente che, se viste nell'ottica di servizio pubblico, determinate trasmissioni possano essere valutate in un modo o nell'altro ma, se l'equilibrio particolare dell'azienda è questo, ciò non dipende dai dirigenti della RAI, bensì dal Parlamento e da ciò che esso ritiene debba essere il servizio pubblico.
Su questo argomento e su quali saranno le prospettive del servizio pubblico è in corso un dibattito. Fra pochi giorni dovrà riprendere la discussione presso l'VIII Commissione del Senato sul disegno di legge n. 1138, di cui una parte importante riguarda il servizio pubblico. Saremo noi a dover dire quale debba essere il nuovo equilibrio entro cui la RAI deve muoversi. Non si può certo rimproverare ai dirigenti della RAI, che agiscono in un sistema legislativo dato, il verificarsi di una torsione in cui vi è poco di servizio pubblico (peraltro non è così), perché, se esaminiamo la convenzione Stato-RAI e i dati concreti relativi ad un arco di tempo sufficientemente lungo, ci accorgiamo che gli adempimenti previsti per l'azienda sono stati sostanzialmente rispettati. Il punto di quale equilibrio nuovo tra la funzione di servizio pubblico e presenza sul mercato è tema che dovremo affrontare nelle sedi competenti (al riguardo ha ragione il presidente, che ci ha richiamato circa l'opportunità di porre determinate domande); le risposte le dovremo dare noi nelle aule parlamentari.
A noi interessa sapere se, dentro gli equilibri dati, la RAI rispetti determinate funzioni. A me sembra molto importante il fatto che la RAI stia dando applicazione alla disposizione legislativa che le permette di entrare nel sistema dei canali tematici in chiaro satellitari, con una impostazione a mio avviso sostanzialmente
Un secondo elemento di cui dobbiamo tenere conto nelle nostre valutazioni è quello di esaminare i fatti nella loro complessità. Ognuno di noi guarda la televisione come qualsiasi cittadino, anche se, per il lavoro che svolgiamo, ciò non avviene molto di frequente. Siamo attratti o respinti da questa o quella trasmissione o telegiornale, ma come commissari abbiamo il dovere di valutare, come ha sottolineato anche il senatore Passigli, l'insieme delle situazioni. Vorrei anche sottolineare che nell'atto di indirizzo abbiamo previsto che le valutazioni di indirizzo comprendessero un arco temporale sufficientemente ampio, idoneo per esprimere un apprezzamento.
All'inizio di questa nostra discussione ci sono stati forniti dal presidente Siciliano e dal direttore Iseppi dati e tabelle, che costituiscono elementi utili per una valutazione complessiva. Da quei dati e tabelle ricavo un'immagine di servizio pubblico che francamente mi sembra molto distante da quella che è stata qui descritta sulla base di un singolo telegiornale o trasmissione.
Vorrei dire, per inciso, che non ho seguito il telegiornale, ma il programma Porta a porta e non mi pare che esso fosse quel trionfo dell'Ulivo e di D'Alema, perché mi sembra vi fosse un contrappeso...
A me sembra che i dati forniti siano abbastanza completi. Vorrei peraltro rivolgere una richiesta alla RAI: continuiamo a ricevere valutazioni settimanali, oltre a quelle semestrali, sui dati di ascolto dell'osservatorio di Pavia. Queste informazioni sono molto importanti, tuttavia sarebbe molto utile ricevere anche valutazioni relative a periodi intermedi tra una settimana ed i sei mesi. Sarebbe altresì utile ricevere la rilevazione, per un periodo congruo, non soltanto di dati quantitativi elaborati dall'osservatorio di Pavia, ma anche di dati relativi alle tematiche trattate.
Non mi sento di esprimere complessivamente un giudizio nei confronti dell'azienda, almeno per il periodo che abbiamo valutato, che sia di totale stravolgimento di quegli indirizzi. Ognuno di noi può esprimere critiche su singole trasmissioni e questioni; ciò mi sembra giusto ed è anche un modo di essere della Commissione, ma se dobbiamo svolgere una funzione di valutazione dello stato di attuazione dell'indirizzo dato, non mi sento di esprimere un giudizio così radicalmente negativo, come quello che ho sentito esprimere, derivandolo dall'analisi di qualche singolo episodio. Poi su singoli aspetti - lo hanno detto anche altri colleghi come Passigli e Giulietti (non mi pare di avere l'atteggiamento di chi vuole fare il difensore d'ufficio della RAI) - si possono esprimere critiche.
Vorrei porre due questioni specifiche di cui si è discusso solo in parte. Uno degli elementi importanti della convenzione Stato-RAI è quello dell'attivazione di un canale parlamentare di cui ha dato notizia la stampa, ma vorrei capire esattamente come stiano le cose, ritenendo estremamente importante il fatto che la RAI svolga questo tipo di servizio, attualmente prestato in modo egregio da Radio radicale. A me sembra che uno dei compiti del servizio pubblico sia anche quello dell'informazione parlamentare istituzionale, nel senso ampio del termine, di cui nel paese c'è domanda.
La seconda questione è stata sollevata dal senatore Passigli e riguarda il caso Andermann, su cui vorrei qualche informazione per chiarire ulteriormente la vicenda. A me sembra del tutto legittimo che la RAI, di fronte ad un contratto che ritiene oneroso per se stessa, lo rimetta in discussione, anche se non può non
Vi è un punto che non capisco e su cui vorrei una spiegazione ulteriore rispetto a quella già fornita dal direttore generale. Ricordo, ed è stato sottolineato anche nella discussione che abbiamo avuto con il dottor Silva, che nell'aprile del 1997 era stata definita un'ipotesi transattiva. Per quello che ne so, essa sembrava la proposta giusta di fronte da un lato all'esigenza della RAI di rinegoziare il contratto per problemi di costo e dall'altro di finire in tribunale e perdere. L'ipotesi transattiva era stata definita nell'aprile del 1997 e nel giugno di questo stesso anno vi era stato un accordo sostanziale tra le parti.
La domanda che vorrei porre al dottor Iseppi è la seguente: da parte della Rada Film su questa ipotesi transattiva vi è stato un rifiuto o un'accettazione? A me sembra che ciò sia importante, perché è ovvio che se la proposta transattiva venisse rifiutata il discorso resterebbe aperto, mentre se tale proposta, avanzata dalla RAI, venisse accettata dalla Rada Film, la questione si potrebbe concludere rapidamente.
Ho tuttavia una preoccupazione, caro Romani. Proprio per la stima che ti porto, vorrei esprimere una preoccupazione tutta politica. Non vorrei che la risoluzione della crisi, inattesa per alcuni, avesse l'effetto di rigettare indietro posizioni politiche di persone di solito molto ragionevoli già in tempi remoti, fin dal 1948.
Quando sento parlare di gulag e vi sono interruzioni del dibattito, quando si discute del programma dedicato a Che Guevara nel trentennale della sua morte, una trasmissione...
Chiunque abbia visto quella trasmissione, anche non per intero, si è potuto rendere conto che essa è stata uguale non dico a uno schiaffo in faccia, ma sicuramente ha avuto un effetto devastante in termini di impianto rispetto alle concezioni più mitiche e costruttive del disegno della mitologia di Che Guevara che vanno molto di moda e che probabilmente infastidiscono di più. Sentire oggi parlare il capo del plotone che ha realizzato la cattura, con un voce che rassomiglia in qualche modo alle espressioni della ragionevolezza contemporanea, come una delle voci in campo, è esattamente l'operazione che va fatta in questo paese per superare definitivamente rotture e contrapposizioni che nel passato hanno prodotto costi anche in termini di sangue. Benché generalmente preferisca evitare giudizi su singole trasmissioni, considero quindi quella una bella operazione culturale ed anche, a mio avviso, civile, perché essa allarga ancora di più il solco, che è necessario sia profondissimo, rispetto a tentazioni romanticheggianti che possono avere anche sbocchi sanguinosi.
Chiedo scusa per questa parentesi, che forse è fuori tema rispetto all'ordine del giorno della Commissione, ma credo che, se non andiamo oltre il giudizio aprioristico su cose che tante volte non si sono neanche viste, rischiano di perdere un
Non mi sento personalmente di fare alcuna difesa d'ufficio rispetto a cadute che pure vi sono nella pratica della trasmissione delle notizie, che d'altronde sempre vi sono quando si fa informazione: credo, collega Romani, che il riferimento alla professione giornalistica sia sotto questo profilo assolutamente opportuno. Chiunque abbia praticato il mestiere complicato di dare tutti i giorni le notizie a caldo sa quanto sia alto il rischio di difficoltà, di errori, di imperfezioni e proprio per questo mi interessa molto - venendo ad un nodo della discussione di oggi - l'apertura di una riflessione da portare avanti con riferimento a quanto era contenuto in una delle risposte del direttore Iseppi. Mi riferisco a quella che ha provocato una richiesta di chiarimento, secondo me assolutamente legittima ma indicativa, da parte del senatore Passigli, il quale ha fatto riferimento in qualche modo al passaggio da una figura di giornalista mero accumulatore di notizie (nemmeno autore di una scelta) ad una figura di giornalista come professione intellettuale in senso weberiano, analista ed esplicatore dei contenuti.
È chiaro che, rispetto ai meccanismi di funzionamento del giornalismo italiano, sopratutto di quello che, attraverso le sinergie ai livelli periferici della professione in cui l'intreccio fra nazionale e locale è troppo spesso perverso, ha premiato in maniera indiscriminata, in particolare negli ultimi anni, la quantità, porre il problema, come fa Iseppi, di una discussione sulla figura professionale del giornalista significa affrontare una questione terribilmente forte, moderna ed anche insidiosa. Oggi infatti giovanissimi colleghi giornalisti all'esordio nella professione vengono costretti ad accumulare ogni giorno moli enormi di righe scritte, di articoli, con meccanismi di correzione, rispetto sia all'esercizio della professione, sia al controllo del pezzo, ormai ridotti al minimo, perché spesso quello che conta è riempire le pagine e non comporre buoni giornali.
Nel momento in cui si pone un problema di questo genere, evidentemente, presidente, la connessione rispetto ai supporti tecnologici, alla base materiale, strutturale ed organizzativa del meccanismo informativo diventa assolutamente inscindibile: non siamo quindi fuori tema. Un salto di qualità sul terreno della formazione e degli orientamenti della funzione editoriale diventa dunque immediatamente un unicum con l'altra questione: attraverso quali strumenti e meccanismi vengono comunicati e trasmessi i nuovi ruoli e le nuove funzioni. Ritengo che questo tema non riguardi soltanto la RAI e il sistema radiotelevisivo; credo invece che riguardi (ricordo che lo abbiamo già detto un'altra volta en passant) il complesso del funzionamento della professione giornalistica in questo paese. Si arriva così al cuore - ma questo è veramente fuori tema - della crisi della figura professionale corporativa ed anche dell'ordine; è comunque un tema che richiede un approfondimento urgente, perché altrimenti, a mio avviso, si apre una sfasatura drammatica tra lo spirito di sacrificio, la professionalità e la capacità di impegno dei numerosi operatori dell'informazione, anche vostri, che stanno sul campo, sotto la basilica superiore, oppure in uno dei tanti piccoli centri terremotati, a fare un lavoro che consiste nel dare, sotto il profilo del servizio pubblico, un orientamento, nel favorire un clima di tranquillità e precondizioni adeguate alla ricostruzione e poi invece altri pezzi di comunicazione e di informazione.
Porto, a titolo esemplificativo, un solo elemento che è a mio avviso molto preoccupante: è stato citato a più riprese, come merito della RAI, lo spazio sensibilmente superiore rispetto alla concorrenza più agguerrita che essa ha dedicato all'informazione internazionale. Al riguardo, non vi è dubbio che un buon giornalismo produce un'informazione non provinciale, non chiusa in un asfittico orticello domestico; osservo però, per esempio, che non sono affatto soddisfatto di come la RAI affronta
Cito l'esempio dell'Algeria come emblematico di tutto un blocco di problemi che è tutto interno alla questione del pluralismo ed al suo modo di esprimersi relativamente a ciò che si chiama mondializzazione e globalizzazione. Sono temi e parole che figurano spesso nei telegiornali economici, quindi nelle pagine specialistiche che riguardano le borse e l'andamento delle monete, ma che non compaiono dentro gli spazi che attengono all'analisi del mutamento delle condizioni di vita materiale degli italiani, le quali hanno invece molto a che vedere con questo processo in atto. Esso, infatti, non ha soltanto una dimensione cosmica ma anche una valenza molto forte, diretta ed immediata, per le condizioni di vita dei nostri cittadini.
Non voglio dilungarmi eccessivamente, per cui mi limito a poche ulteriori considerazioni. Non sono fra quelli che pensano che la televisione debba necessariamente essere sempre utile, perché in alcuni casi può anche essere semplicemente evasiva, uno strumento di riposo, di facilitazione di una condizione di tranquillità alla fine di una giornata di lavoro; non mi scandalizza, insomma, la «televisione del nulla», mentre mi può scandalizzare una televisione della nullificazione che introduca surrettiziamente messaggi nichilisti, ma non mi sembra che sia questo il problema che abbiamo oggi di fronte. Mi interessa invece che, accanto a questo necessario cedimento al meccanismo dell'Auditel, siano colte fino in fondo tutte le occasioni: per esempio, i quattro milioni di telespettatori della trasmissione Vajont sono stati per me una sorpresa, malgrado il livello straordinariamente elevato della trasmissione (francamente non pensavo che si riuscisse a raggiungere questo risultato), ma se oggi sappiamo, per averlo sperimentato, che tutto ciò è possibile e realizzabile, dobbiamo cogliere questa disponibilità di massa come una possibilità forte.
Ancora poche battute. Credo che il senatore Jacchia vi abbia fatto un complimento quando ha osservato che i vostri telegiornali sono troppo poco governativi, perché trasmettono troppo poco messaggi rassicuranti: ritengo che non abbiamo affatto bisogno di una televisione che faccia questo tipo di rassicurazioni generali, così come non credo affatto che il problema della quantità di cronaca nera e di notizie preoccupanti nei telegiornali sia legato alle scelte editoriali. È già successo nel passato che apparati dello Stato decidessero di non dare pubblicità nei giornali radio alla cronaca nera, ai tempi dell'EIAR, ma il quadro delle compatibilità politiche e culturali del paese era completamente diverso rispetto ad oggi.
Ritengo invece che il problema sia semmai un altro, e lo ripropongo anche se in questa Commissione è già stato posto diverse volte. Si tratta del problema della tutela: sono convinto che la cronaca vada fatta, che quanto di brutto e pericoloso succede nel paese vada comunicato; la questione è che questo deve avvenire sempre e comunque dentro un quadro di compatibilità che renda chiaro che non tutti i pesi specifici e non tutti i poteri sono pari. Vi sono infatti soggetti che, qualora mandati in onda, possono subire danni irreparabili: penso al minore, al ragazzino trovato con una bustina di droga, a tanti soggetti intrinsecamente deboli nel meccanismo comunicativo. Ho la sensazione che, nel complesso del sistema radiotelevisivo nazionale, la RAI non porti la palma della maggiore responsabilità, e comunque nessuno è esente da colpe: il problema dei poteri e delle debolezze degli ultimi è infatti
Voi avete compiuto una scelta di regime, avete deciso che le voci in questione erano soltanto quelle del Governo: per me è una scelta fascista, o comunista. Voi lo chiamate pluralismo: è un pluralismo a tempo, con un primo tempo, un secondo tempo, i tempi supplementari. D'altra parte, vi capisco benissimo: so che considerate questa Commissione come una fatica da subire di tanto in tanto, perché non siete gli editori della RAI, come sapete benissimo, né lo siamo noi; gli editori della RAI sono coloro che dispongono dei cordoni della borsa e dei cordoni delle nomine. La RAI è questo, è sempre stata questo: vi sono stati tentativi più o meno riusciti per brevi periodi di trasformarla in altro; ciò che vi è oggi di differente rispetto a prima è che non vi è la sensibilità che così è.
Ho ascoltato con attenzione il collega Raffaelli, il quale ha fatto uno splendido intervento che però non c'entra nulla con il problema che abbiamo: a cosa serve oggi, in questo paese, la RAI come servizio pubblico. Secondo me non serve a nulla: serve soltanto a costringere voi che siete bravissime persone, intellettuali di prestigio o manager di grande levatura a partecipare ad una finzione assurda per spiegare a noi che le cose devono andare come stanno andando. In realtà, le cose vanno così perché la RAI è al servizio di un potere che oggi è talmente ben strutturato in se stesso da riuscire ad avere al suo interno tutte le voci possibili ed immaginabili: la Confindustria fa parte della maggioranza di Governo al pari dei soviet che ieri hanno partecipato alle trattative sulla ricomposizione della stessa maggioranza. Il nostro è quindi un paese che ha ormai trovato la sua dimensione, così come la trovò al tempo del fascismo, all'interno della stessa logica, con differenze che attengono soltanto alla spartizione, alla misura, ossia alla quantità, non alla qualità.
Prendiamo atto che questa sera andrà in onda la trasmissione di David Sassoli, che voi giustificate in termini di pluralismo. Vi pongo allora delle domande più specifiche, minime, assolutamente banali, ricordando che ho portato avanti una denuncia, che è stata poi ripresa dal capogruppo di forza Italia in ufficio di presidenza, rispetto all'informazione (non mi riferisco, quindi, alle analisi, agli analisti, alle Weltanschauung, Weber e così via) che è stata data sulle dichiarazioni di un pentito, le quali sono state trasmesse nel bel mezzo del TG1: il cronista riferiva che quel pentito aveva rilasciato determinate dichiarazioni ed aveva sollevato il velo su determinati fatti. Da quella informazione risultava che il pentito aveva rivelato che Berlusconi era mafioso e che rispetto ad
Avete visto la videocassetta di quel servizio? Avete analizzato quella notizia? La giudicate corrispondente agli indirizzi della Commissione di vigilanza ed alle linee editoriali della RAI? In caso di risposta affermativa, ditecelo esplicitamente, altrimenti informateci su che cosa sia stato fatto affinché questo non si ripeta. È forse un atto di censura chiedere a un giornalista di fare un pezzo secondo criteri di obiettività e di prudenza, non sposando interamente ed esclusivamente una tesi d'accusa? È stato richiamato il giornalista in questione? Gli avete parlato? È stato sospeso? È stato premiato?
Voglio quindi sapere se sia avvenuto qualcosa, perché ciò che accade è che in questa sede vi sottoponiate ad una sorta di penitenza e che poi non cambi mai nulla. Vorrei pertanto sapere se su una questione qualsiasi (in particolare, quella che ho sollevato e che è stata ripresa in ufficio di presidenza) vi sia stato un riflesso di interesse.
Passando ad altre questioni, si è affermato che in una controversia giudiziaria con la Rada Film la RAI sarebbe soccombente. Se questo viene dato per scontato e quindi pensate di avere torto, perché non viene realizzato quel genere di programma? Continuo a non capire perché sia nata la controversia se poi non la si vuole risolvere, sapendo già che si finirà in giudizio e che questo sarà perso dalla RAI. Qual è la motivazione ideologica di tale comportamento? Ritengo che si dovrebbe valutare il programma in sé, ovvero il fatto che funzioni o meno, giudicando se sia un fallimento catastrofico dal punto di vista della qualità o del ritorno, ovvero se tutto dipenda semplicemente dal fatto che la decisione è stata presa da un altro consiglio di amministrazione, per cui di per sé non va bene, oppure da antipatie personali nei confronti del produttore.
Per quanto riguarda, infine, l'informazione parlamentare, sono anch'io interessato a capire se la RAI si sia attrezzata a tal fine ed in che modo intenda assicurare quel servizio che da tempo le viene richiesto.
Per capire che cosa significhi una svolta vera in questo momento ci si deve porre il problema di che cosa sia stato il servizio pubblico: in passato si è affermata un'idea di informazione che era al servizio non degli ascoltatori ma dei vari poteri; per tanti anni è stata al servizio di un solo potere, poi ci si è inventati che il pluralismo fosse la rappresentazione di aree politiche: vi era allora un'area laica, una laico-socialista, una democristiana e una di sinistra. Questo è stato il pluralismo fino al momento della crisi di un sistema politico, che è crollato. Successivamente, ci siamo portati dietro questo retaggio: ricordo precedenti consigli di amministrazione che ho cercato di sollecitare ricordando loro che avevano l'occasione di ribaltare le carte, perché il discorso relativo alle tre reti suddivise tra l'area laica, quella cattolica e quella comunista non stava più in piedi. Si pone quindi l'esigenza di rovesciare come un guanto questa impostazione e di porsi effettivamente il problema, perché la maturità della democrazia è giunta ad un punto tale da richiedere che l'informazione diventi davvero quarto potere e quindi si emancipi dai grandi potentati economici nonché dal peso che i partiti pretendono di avere.
Questa è, infatti, una grande contraddizione, perché i partiti, attraverso la Commissione di vigilanza, gli organismi di cui
Tra l'altro, nella fase che stiamo attraversando, se si vuole essere corretti, occorre riconoscere che uno dei due poli è sopraffatto da un conflitto di interessi proprio nel sistema dell'informazione; quindi, il fatto di affermare che la risposta possa venire da un servizio pubblico più legato alla maggioranza di Governo o all'opposizione non porterebbe da nessuna parte ed in questo modo non si darebbe una risposta valida per l'anno 2000.
Il dottor Iseppi ha accennato in qualche modo al problema di che cosa debba essere il servizio pubblico da oggi in avanti; si tratta di una riflessione necessaria, che non ho sentito qui e sulla quale credo che dobbiamo aprire il confronto, perché è sicuro che il servizio pubblico, così com'è, non va, in quanto la sua credibilità non funziona. Poniamoci allora il problema di che cosa vogliamo che esso sia in una situazione che sta radicalmente cambiando.
Non approvo affatto il modo violento con cui l'onorevole Taradash (ma questo fa parte del suo carattere) ha sottolineato alcuni aspetti che non funzionano.
Il servizio pubblico, quindi, dovrebbe fare uno sforzo sul terreno dell'aggiornamento professionale, dando un segnale autentico del fatto che la professionalità va recuperata, innanzitutto nei telegiornali. Infatti, anche se il servizio pubblico comprende tante cose, occorre considerare che molti esempi citati in questa sede sono legati all'uso dei telegiornali i cui direttori, a mio avviso, vanno richiamati, in quanto è necessaria maggiore professionalità: non si chiede asservimento a nessuno, ma essi dovrebbero avere l'orgoglio di fare un mestiere che consentirebbe loro di essere un quarto potere; anche se tale aspetto entra in qualche modo in contraddizione con l'idea del servizio pubblico, cominciamo intanto ad muoverci su quella strada.
L'onorevole Taradash ha affermato che siamo qui per una finzione assurda o per fare penitenza, ma io le dico molto sinceramente, presidente, che, da cittadino qualsiasi quale sono, mi sento profondamente onorato di essere qui e di rispondere ai rappresentanti del popolo italiano di quel che facciamo in una grande azienda culturale come la RAI. Non vi è quindi nessuna finzione assurda, bensì un compito complesso rispetto al quale dobbiamo dare risposte precise e puntuali. Ricordo, in particolare, che il senatore Rognoni ha affermato poco fa che il pluralismo è qualcosa di più complesso della rappresentazione di aree politiche: è verissimo, ed in questa direzione che ci sforziamo di muoverci; commettiamo sicuramente degli errori, ma credo che ci stiamo muovendo su quel binario. È certamente vero, nonché motivo dell'orgoglio di cui ho parlato poco fa, quanto affermava l'onorevole Raffaelli, ossia che il successo ottenuto da una trasmissione come Vajont, di qualità culturale così singolare, significa - lo ripeto - che questa RAI è riuscita a muovere un passo in avanti nei confronti del paese, ossia non soltanto a modificare la propria offerta, ma anche a cambiare, attraverso la stessa offerta, la natura della domanda, innalzando la qualità culturale degli spettatori della televisione; credo che questo sia un aspetto importantissimo.
Tornerò a Viale Mazzini con un carico di sensibilità ma anche, venendo incontro a quanto affermava il senatore Falomi, con la consapevolezza che l'invito a superare la propria parte deve tradursi anche, a mio avviso (me lo lasci dire, presidente), in un rapporto più serrato, dialettico tra Parlamento e servizio pubblico.
Mi si consenta anche di sottolineare quelle che credo siano le domande in ordine alle quali il Parlamento può dare una risposta costruttiva alla RAI: in particolare, come valuta il Parlamento il rovesciamento rivoluzionario avviato dalla stessa RAI nel rapporto tra acquisti e produzioni? Come valuta il Parlamento l'aspetto editoriale centrale di questa RAI diversa, che considera il recupero della memoria e la storia - si tratta peraltro di un elemento di continuità nei palinsesti di questa RAI diversa - come un elemento di conoscenza e di stimolo per il nostro paese? Come valuta il Parlamento tutto questo, nonché le modificazioni in atto, che vanno dall'istituzione delle televisioni free al ripensamento, cui accennava poco fa il direttore generale, della qualità dello stesso intrattenimento? A proposito di tutto questo abbiamo necessità di avere risposte dal Parlamento, perché ci siamo avviati su un cammino difficile e le risposte del Parlamento non sono una finzione assurda, ma vengono dal grembo del paese nella sua interezza. E questo per noi è un valore, è un valore per me che sono un cittadino qualsiasi e rappresento sì un'azienda, ma anche, innanzitutto, la mia dignità e la mia moralità.
Credo che adesso il direttore Iseppi possa rispondere alle domande riguardanti la Rada Film e i precari.
Quanto all'altra questione, mi sono informato con Sorgi, anche se finora non ho ricevuto alcuna lettera...
Il discorso su Rada Film va ricondotto ai termini in cui mi sono espresso. Ho detto che il contenzioso che abbiamo con Rada Film viene segnalato dai nostri uffici come molto rischioso per la RAI ed è quindi vero che potremmo perdere; è anche vero, però, che possiamo decidere se il rischio minore sia perdere una causa o imbarcarsi in un'avventura di cui non conosciamo gli estremi. L'operazione più famosa della Rada Film è stata senz'altro la Tosca, che alla RAI è costata 5 miliardi e 570 milioni; l'unica sponsorizzazione, di 80 milioni, è stata incamerata dalla Rada Film, alla quale sono stati riservati anche tutti i diritti di vendita; nessun altro introito è entrato in RAI.
Mi pare allora che, quando si affronta un'operazione di questa dimensione, sia giusto avere una serie di precauzioni e non si esclude affatto che autonomamente si vada verso un giudizio negativo sul contenzioso se non sono chiare le condizioni del rapporto. Allo stato attuale c'è una disponibilità (quella che c'era in aprile) legata a determinate condizioni che fanno di tale disponibilità un atteggiamento ma non un comportamento di tipo pratico. La conclusione è che siamo interessati a chiudere, ma vogliamo farlo con molta chiarezza; la conclusione consensuale è certamente la migliore, ma non pensiamo si debba concludere ad ogni costo, perché abbiamo anche necessità di tipo aziendale e di complessiva trasparenza di gestione.
Quanto alla questione dell'attivazione di una rete parlamentare, l'aggancio è dato sostanzialmente dal contratto di servizio, arricchito da una precisazione emersa nella Commissione parlamentare di vigilanza con la quale si impegnava la concessionaria all'avvio del servizio di rete parlamentare a terra a partire dal 1o gennaio 1998. Si precisava che in ogni caso dal 1o novembre 1997, con carattere aggiuntivo, si avvierà la diffusione via satellite in analogico e digitale del canale radiofonico parlamentare. L'ipotesi più rispondente anche alle esigenze della popolazione è quella di realizzare la rete interamente in modulazione di frequenza.
La legge del 1997, istitutiva dell'Autorità di garanzia nelle telecomunicazioni, stabilisce il termine del 30 aprile 1998 per la predisposizione del piano nazionale di assegnazione delle frequenze, prevedendo però che tale termine possa essere derogabile al 31 dicembre (in realtà anche questa seconda data è un'ipotesi basata su un margine di ottimismo elevato). In questa prospettiva la RAI, non avendo sufficiente disponibilità di frequenze entro il 1o gennaio 1998, si trova nella necessità di doverle reperire sul mercato; il consiglio di amministrazione della RAI ha preso in esame questo problema nella riunione del 10 settembre scorso e ha dato mandato al presidente e al direttore generale di verificare con il Ministero delle poste le condizioni per attivare una rete parlamentare con l'assegnazione delle necessarie frequenze.
La ristrettezza dei tempi e l'indisponibilità delle frequenze, se questa verrà confermata dal ministero, potranno comportare l'esigenza di cercare sul mercato acquisendo emittenti, impianti, o rami d'azienda. Tale operazione è consentita dalla legge n. 650 del 1996 (articolo 1, comma 13) che prevede il trasferimento di intere emittenti radiofoniche tra concessionarie in ambito nazionale e il trasferimento di impianti o rami d'azienda radiofonici tra concessionari in ambito locale o nazionale, disposizione che si applica per analogia anche alla RAI. Sono adesso in corso valutazioni tecnico-economiche di opzioni commerciali (tra cui quella per l'emittente Radio radicale); se queste fallissero per pretese inaccettabili, bisognerà procedere con soluzioni meno soddisfacenti dal punto di vista della copertura del territorio.
Infine, la RAI è pronta ad iniziare da subito la diffusione dei servizi parlamentari via satellite analogico e digitale che, come richiesto dalla Commissione parlamentare di vigilanza, ha carattere aggiuntivo rispetto alla trasmissione via etere senza costi aggiuntivi per gli utenti dotati di ricevitore satellitare. Questo permetterà di portare il servizio radiofonico anche agli italiani all'estero. Nel giro di qualche giorno sapremo quale sia la valutazione economica di questa eventuale acquisizione di frequenze.
In conclusione, ribadisco che forse è arrivato il momento di fare un grande investimento sulla formazione, cogliendo l'occasione di coinvolgere anche soggetti come gli editori o l'università; è una necessità che, almeno a livello di base, può rispondere a bisogni trasversali rispetto agli editori; poi naturalmente ciascuno avrà una sua specificità in questo percorso formativo.
Al di là del fioretto permanente (o della penitenza) che si fa ogni volta che si
Mi aspettavo allora non dico un chiarimento sulla questione, ma almeno una spiegazione per capire se la RAI ritenga che in questa Commissione si debba semplicemente deporre e andarsene, senza capire che i problemi non vengono sollevati per spirito di parte ma da parlamentari e cittadini che hanno tutti la medesima dignità. Questa premessa per me è obbligata, perché il presidente Siciliano ha detto che la RAI si attende risposte dal Parlamento - e questo è giusto - ma anche il Parlamento ha diritto ad avere risposte dalla RAI e la risposta non può essere il riconoscimento di aver sbagliato senza che poi succeda nulla, come nel caso pentiti-Berlusconi richiamato dall'onorevole Taradash (ma anche nel caso della marcia di Perugia, su cui mi soffermerò più avanti). Le risposte devono riguardare le questioni che vengono poste e non è vero che qui ci sia una voglia di muro contro muro, come diceva l'onorevole Raffaelli, anche perché sarebbe la lotta di Davide contro Golia. Qui non c'è nessuno che ha il potere che avete voi: esercitiamo semplicemente un diritto di controllo, che in una democrazia deve essere ritenuto prevalente rispetto all'esercizio del potere di gestione.
Non è vero che si perde un sacco di tempo nelle critiche, come ha detto Raffaelli, o che, come rilevava il senatore Rognoni, si corre il rischio di dire sempre le stesse cose. Se ciò accade è perché accadono sempre le stesse cose ed è un dovere sottolinearle, altrimenti saremmo qui semplicemente ad ascoltare. Il senatore Rognoni ha detto molte cose che condivido in teoria, ma il problema è la pratica. Sono contento che il presidente della RAI ripeta che i confronti in questa sede sono utili, ma se non hanno conseguenze non servono; è un anno che la questione va avanti così: le questioni vanno poste e va trovata risposta anche a quelle che mi permetterò di sollevare come membro di questa Commissione proprio in ragione della vigilanza rispetto agli indirizzi che è nostro preciso compito effettuare. Ho rinunciato a scriverle: lei preferisce le domande ed allora le faccio pubblicamente, in modo che ci sarà la possibilità di una risposta, anche per risparmiare ulteriori interventi dei Presidenti delle Camere, che mi sembra abbiano riconosciuto la titolarità del presidente di questa Commissione di porre la questione, e per evitarle di aprire conflitti nei confronti della Commissione stessa.
Premetto il mio personale giudizio su quanto è stato detto qui dai vertici della RAI, che è di assoluta negatività. Non ho colto la volontà di rispettare gli indirizzi della Commissione ed a quelli io mi atterrò perché ho il dovere di rappresentare anche la Commissione, soprattutto per quanto riguarda la vigilanza sugli indirizzi che essa si è data. Lor signori tra l'altro ricorderanno che la legge n. 249 dà un potere formidabile a questi indirizzi perché l'istituenda Autorità avrà la possibilità di sanzionare eventuali violazioni ai nostri indirizzi. La legge non ha specificato chi possa attivare quel meccanismo; immagino che, come avviene per il Garante per l'editoria, possa essere attivato da un qualsiasi cittadino, anche dall'onorevole Taradash se dovesse riscontrare disfunzioni nella vostra informazione rispetto ai nostri indirizzi.
Il senatore Passigli, ma anche il senatore Falomi, hanno sottolineato alcune questioni relative all'intero sistema radiotelevisivo. È molto giusto quanto si dice, cioè che in fondo un servizio pubblico è esercitato anche dal privato; ma è questa Commissione che ha stabilito che quello che rappresenta un dovere per il sistema radiotelevisivo diventa un obbligo per il sistema pubblico.
Dobbiamo allora partire dalla regola che noi abbiamo fissato. Non a caso, nel nostro documento abbiamo previsto che in un lasso temporale significativo (per questo non mi soffermerò sul singolo episodio di ieri sera: non è mio compito e può farlo un commissario), per esempio tre mesi, la direzione generale della RAI è chiamata a richiedere alla testata interessata la correzione della linea informativa. Come si effettua la vigilanza su questo indirizzo? Ricevendo comunicazione dalla direzione generale della RAI che c'è stata una richiesta di correzione: noi non l'abbiamo mai ricevuta. Evidentemente, per la RAI le cose che sono accadute fino ad oggi non hanno necessità di essere corrette: questo è un primo indirizzo che viene violato, se è vero che voi siete intervenuti per cercare di correggere alcune situazioni.
Tengo molto a questo aspetto perché non riguarda solo il pluralismo politico, direttore Iseppi, ma anche il rispetto del cittadino ed il rapporto con la società. Nel nostro documento, nella premessa al punto 2, abbiamo scritto che la Commissione di vigilanza richiama la RAI, i suoi organi dirigenti ed i suoi dipendenti al rispetto del principio del pluralismo nella programmazione ed in ogni tipo di trasmissione. Il contesto non c'entra nulla. È inutile dire che se il TG3 fa una cosa ed il TG1 un'altra, tanto arriva il TG2: il pluralismo è un dovere anche per la dottoressa Lucia Annunziata! Ogni testata ha il dovere, proprio perché c'è la possibilità di richiamo da parte vostra, di rispettare i principi del pluralismo: non è pensabile che tutto ciò non sia tenuto presente dal servizio pubblico che - scriviamo ancora - «deve rappresentare con equilibrio le posizioni della maggioranza e dell'opposizione».
Non sto discutendo il dato morale delle persone, presidente Siciliano: sto discutendo quello che «viene dal tubo», che vediamo ogni sera sullo schermo. Oggi abbiamo ascoltato il direttore generale fare un'elencazione di dati, che in verità ci aveva fornito anche nella scorsa occasione, in base ai quali sembra che la «RAI dell'Ulivo» sia un'invenzione dell'opposizione; sembra anzi che la RAI sia del Polo, perché questo avrebbe più spazio rispetto all'Ulivo. Vorrei evitare che fuori di qui si possa dire che c'è stata una presa in giro. Vorrei anche un chiarimento sulla questione perché altrimenti non riusciremo davvero ad andare d'accordo.
Come si fa a trascurare il dato bipolare? Come si fa a trascurare il fatto che il Governo è comunque espressione di una maggioranza e che la somma di quest'ultima e dell'esecutivo, anche se ciò è avvenuto nel passato (a me non interessa il passato, ma capire se i cittadini che hanno pagato il canone e che non sopportano questo Governo debbano essere rappresentati o meno)...
Non mi soffermo solo su questo, senatore Passigli, né sulla questione (che è incidentale) relativa a chi stia di più in televisione e chi ci stia di meno. Mi soffermo su quelli che non ci stanno mai: questo è il problema. Abbiamo partiti politici che nell'arco temporale deciso da questa Commissione (tre mesi) in determinati generi di trasmissione (la fonte è l'osservatorio di Pavia, non certamente io) fanno registrare
Vorrei poi trattare il tema del vostro contratto con l'osservatorio di Pavia, che rappresenta un problema di trasparenza. Mi potrebbe interessare sapere quanto date all'osservatorio: non arrivo a chiedervi tanto, ma voglio capire i termini della convenzione con questo organismo per comprendere perché certe trasmissioni vengano monitorate come comunicazione politica.
«Altro» RAITRE (trimestre 5 giugno-5 settembre): la comunicazione politica (spero che i colleghi non ridano, perché ce l'ha detto l'osservatorio di Pavia) è entrata in trasmissioni come Miss Italia, Concerto alle sorgenti del Po, Le stanze delle passioni, La domenica sportiva, Il pomeriggio sportivo, Le infedeli, Universiadi, Quelli che il calcio, Blob, Format, Mediamente, RAI Educational, Telesogni, Affari di famiglia, Articolo 1, Condominio mediterraneo, Fermata d'autobus, Misteri, Abbiamo già le stelle, Gran Tour, eccetera. Questo è «altro» di RAITRE: ci sono partiti politici che in quel trimestre non sono mai stati presenti. Cito rinnovamento italiano, verdi, cristiano-democratici uniti, lista Pannella.
«Altro» RAIUNO. Trasmissioni monitorate: Hong Kong addio, A bordo campo, Gli archivi del Cremlino, Linea verde, Medici con le stellette, Linea blu, Giochi senza frontiere (si è notato che anche in quest'ultima trasmissione c'erano esponenti politici; qualcosa deve essere successo: i dati sono vostri, non nostri), La partita del cuore (e questo è noto), Giochi del Mediterraneo, I tre tenori, Speciale Olimpiadi 2004, Uno di notte, Notti romane e, appunto, Miss Italia. Anche qui non è mai stato presente rinnovamento italiano, così come alleanza nazionale, CCD, CDU, lista Pannella.
C'è poi un dato singolare: posso capire che si dica che è ovvio che, come diceva prima il senatore Passigli interrompendomi, una cosa è il Governo, altra cosa è la maggioranza. Ma il rapporto tra maggioranza ed opposizione in questo caso è 89-11 per cento (non 60 a 40 o 70 a 30: sto citando un dato clamorosamente squilibrato, non quello ordinariamente tale). Mi chiedo poi se la completezza dell'informazione venga garantita se il rapporto tra Governo ed opposizione è 80-20 per cento. Il rapporto tra centro sinistra ed opposizione è di 81 a 19; quello fra centro-sinistra e Polo è 85 a 15. Sono dati che ho raccolto manualmente: dirò poi perché l'ho fatto e chiedo alla RAI di risparmiarci questo lavoro.
Per quanto riguarda l'informazione su RAITRE, le trasmissioni sono state Maastricht Italia, Mixer speciale, Dalle venti alle venti: partiti come rifondazione comunista, rinnovamento italiano e lista Pannella non sono mai stati presenti in tre mesi di trasmissione.
Nell'informazione di RAIUNO, che riguardava Pinocchio e Porta a porta, partiti come rinnovamento italiano, CCD, vari del Polo, lega, oltre a Governo e istituzioni, non sono mai stati presenti in tre mesi. Per quanto riguarda l'informazione del mattino (Uno mattina), la stessa cosa accade a rinnovamento italiano e al CDU.
Chiedo allora se si possa conoscere il contenuto del contratto con l'osservatorio di Pavia per capire come venga monitorata l'informazione politica. Associandomi poi a quanto diceva, se non erro, il senatore Falomi, rileverò che a me va bene ricevere dati settimanali, se però essi riportano anche la somma del trimestre che li precede, perché questo è il sistema di valutazione che si è data la Commissione. Quest'ultima, nel documento di indirizzo che è stato da voi accettato al punto che avete sottoscritto il contratto di servizio con la RAI recependolo integralmente (si
Lei ricorderà che c'è stata una polemica - su cui tornerò successivamente - sulla trasmissione Delitto alla Sapienza condotta dall'onorevole Augias. Più avanti mi soffermerò su questo tema; ora mi interessa un altro aspetto. Abbiamo svolto un'audizione con il direttore della rete e con l'onorevole Augias a seguito della protesta formale del senato accademico. Se non sbaglio, essa si è tenuta il 22 luglio (la trasmissione era andata in onda il 2 di quel mese) ed il direttore della rete ci ha detto che per lui quella era la migliore delle trasmissioni possibili. In presenza del parere del rettore Tecce, ho messo agli atti della Commissione il parere della consulta qualità della RAI del 3 luglio che, secondo il direttore di RAIDUE, non gli era mai stato dato: quel parere era diametralmente opposto a quello dello stesso direttore. Vorremmo allora capire perché la consulta qualità (dei cui pareri abbiamo chiesto di poter disporre: si tratta di valutazioni qualitative della programmazione) non abbia dato questo parere neanche al direttore di RAIDUE, a meno che egli non abbia mentito in questa sede; credo che abbia detto la verità e che non ne sapesse nulla.
Tornando alla questione posta da Taradash, chiedo: che cosa accade quando un organo della RAI dice che una trasmissione fa schifo, fa pena, per usare un linguaggio a noi noto? C'è un provvedimento? C'è qualcosa di cui si prende atto, evitando perciò di affidare trasmissioni a persone che hanno già ottenuto un parere negativo della consulta qualità? È una questione su cui mi piacerebbe avere una risposta precisa.
Nel nostro documento sul pluralismo culturale abbiamo fatto riferimento all'impegno per la promozione e diffusione del prodotto nazionale ed europeo di qualità, tanto in Italia quanto all'estero: in questo quadro vedo la questione Andermann. Il direttore ci ha detto alcune cose abbastanza interessanti. Si è visto che il tema non attiene a particolari problemi del presidente della Commissione, che anzi in questa vicenda ha sollecitato la RAI ad intervenire perché ha riconosciuto la sua importanza, senza fare mai di essa oggetto di polemica politica.
Il direttore ci dice che la Rada chiede qualcosa di più rispetto a quello che la RAI può dare. Ho ricevuto per conoscenza un telegramma in cui si dice: la RAI conferma la piena disponibilità a sottoscrivere un contratto transattivo, come tra noi (immagino tra voi e loro) definito, nel testo in vostro possesso fin dal giugno 1997, purché la sottoscrizione delle parti avvenga entro il 10 ottobre prossimo (che è ormai passato).
Vorrei capire: se è vero che c'è un accordo transattivo tra di voi, perché non si arriva alla soluzione? Mi dispiace: non vorrei che si ponesse una questione al contrario. C'è un fatto personale; ripeto che tutta la Commissione ha sollevato la questione e quindi non mi sembra si tratti di una bandiera politica. A me dispiace sentire il direttore generale della RAI - persona peraltro solitamente prudente nelle sue affermazioni - dire: Andermann dovrà rimangiarsi certe cose.
Molte volte si è detto che certe parole non si devono usare e questa è una di quelle occasioni. Nessuno deve rimangiarsi nulla, direttore: qui si tratta semplicemente di cercare di risolvere un problema che sta a cuore a tutti perché lo si ritiene giusto e non perché qualcuno ha un interesse particolare. È vero che il vecchio contratto della Tosca prevedeva un guadagno per la Rada film; il nuovo contratto non lo prevede poiché metteva i diritti a disposizione della RAI. Evidentemente,
Un'altra questione è molto più delicata. Lor signori avranno letto il resoconto dell'audizione del dottor Silva, che ascoltammo in merito alla politica relativa alla fiction della RAI, e più precisamente nel settore della direzione delle produzioni, coproduzioni, acquisti. Arrivammo ad inserire nel documento di indirizzo questa frase: «Per i programmi non prodotti direttamente o coprodotti dalla RAI dovrà essere assicurato un criterio di assegnazione della produzione che non determini esclusioni o situazioni di privilegio tra imprese di pari affidamento».
Ricordo che questa espressione fu inserita all'unanimità su proposta dell'onorevole Paissan, relatore del documento, il quale denunciò che troppo spesso imprenditori del settore lamentavano discriminazioni, come è capitato a ciascuno dei commissari. Si decise che la RAI doveva darsi dei criteri, conosciuti anche da noi, e che l'Italia della produzione ne fosse a conoscenza. Dall'audizione del dottor Silva non abbiamo tratto molta soddisfazione in verità e, per evitare di mettere in luce questioni che potrebbero apparire personali, mi atterrò esclusivamente agli indirizzi della vigilanza RAI.
Tra l'altro, abbiamo scritto che «la Commissione di vigilanza non mette certo in discussione l'autonomia ideativa, produttiva e informativa di chi fa radio e televisione pubblica, purché essa non determini discriminazioni o trattamenti di favore verso determinate parti»: citerò alcuni esempi tra un attimo. Mi soffermo sull'ultima parte del documento di indirizzo per poi passare alle questioni concrete, ricordando che abbiamo stabilito nel documento che «condizione perché la RAI appaia credibile in ordine ai principi indicati nel documento sul pluralismo è che le assunzioni e le nomine nell'azienda pubblica avvengano in base a criteri trasparenti». È stato denunciato in Commissione - è un'altra delle lettere che non vi ho inviato perché c'è chi non vuole rispondere alle lettere del presidente della Commissione risparmiando così tanto baccano - dall'onorevole Cento del gruppo parlamentare dei verdi (non è un pericoloso estremista di destra) che recentemente si è proceduto a trenta nomine, lottizzate a suo dire, perché sono stati privilegiati alcuni nuovi dirigenti appartenenti ad un settore politico (ripeto, lo dice un esponente dei verdi, non io). Vorrei capire se ciò corrisponda al vero.
Circa l'informazione politica, l'onorevole Giulietti ha riferito l'eccessivo spazio dato alla lega, il che ha costituito anche l'oggetto di una denuncia dell'onorevole Rizzo di rifondazione comunista il quale, con una lettera a me indirizzata e che per i medesimi motivi non vi ho trasmesso, lamentava l'assenza dello stesso trattamento per una manifestazione altrettanto imponente, pari quasi a quella della lega, che rifondazione comunista aveva organizzato lo stesso giorno di quella leghista di Venezia.
Nel nostro documento si sostiene ancora che «per le assunzioni si auspica il ricorso a procedure concorsuali»: vorremmo capire se la procedura sia stata attivata, dato che si parla di criteri oggettivi di selezione anche per quanto riguarda il tema del precariato. In argomento, vorrei dire qualcosa in più. Il direttore generale ricorderà che in proposito partecipò ad un'audizione, nel mese di settembre o ottobre dell'anno scorso, a pochi mesi dalla mia elezione a presidente, durante la quale si affermò che la RAI era vicina alla soluzione, nel senso che entro pochi mesi il problema sarebbe stato risolto. In giugno vi è stata una nota che, però, non ha eccitato l'entusiasmo della Commissione, dato che in materia si continua ad attendere risposte alle domande che vengono poste; vorremmo capire perciò se le
Il presidente della RAI, nella scorsa audizione, facendo riferimento alle professionalità utilizzate (nel nostro documento la Commissione si è riferita al doveroso utilizzo di tutte le professionalità interne all'azienda, senza alcuna discriminazione, al fine di garantire il pluralismo delle professionalità) disse che sono rimasti tre casi da ricollocare: le chiedo di spiegare alla Commissione chi siano queste tre persone per capire se si tratti effettivamente di persone che non sono messe in condizione di lavorare perché non capaci oppure se, per avventura, esistano altri motivi.
Passo ad altre questioni riguardanti generalmente ed in particolare i nostri indirizzi. Durante l'audizione del dottor Silva, a proposito dei criteri di assegnazione delle produzioni, è stata negata la possibilità di dar vita ad essi. Dalla RAI non abbiamo avuto informazioni in tal senso, però abbiamo saputo dal dottor Silva dell'esistenza di un'altra questione che personalmente mi ha lasciato sconcertato, sempre con riferimento all'utilizzo delle professionalità interne. Mi rivolgo al direttore perché, se non sbaglio, ha la delega all'utilizzo del personale RAI.
Il dottor Silva ha ammesso tranquillamente che il suo assistente, dottor Pecorelli, proveniente da un'azienda operante nella fiction, oggi ha la delega per questo stesso settore, la fiction, dopo aver lasciato la società di provenienza, la Sidecar, di cui era socio al 50 per cento. Si dice che, per regola interna della RAI, le aziende i cui proprietari si trasferiscano in RAI non lavorano, almeno per sei mesi, con l'azienda, eppure si dice che per questo dottor Pecorelli - le cui credenziali non so quali siano - il consiglio di amministrazione abbia concesso una deroga. Chiedo di sapere se sia vero che il consiglio di amministrazione abbia dato la deroga e se non vi fossero professionisti nell'azienda che potessero essere responsabili della fiction per conto del dottor Silva o esercitare le funzioni di suo assistente. Se ciò fosse avvenuto in altri tempi, si sarebbe parlato di questione morale, date le polemiche scaturite.
Ancora. Secondo il dottor Silva, contestualmente al rifiuto di varare criteri di assegnazione delle produzioni, è accaduto che alcune produzioni da lui stesso proposte alla RAI alla precedente gestione - ne cito una per tutte, l'Elefante bianco, ma potrei farne un elenco - venivano bocciate, mentre altre dello stesso tipo e proposte da persone diverse, passavano. Vorremo capire in base a quali meccanismi alcune società abbiano sempre le stesse opportunità, altre invece non le abbiano mai.
Un'altra questione che ha interessato la nostra Commissione è relativa alla polemica su un film, che ha riscosso un netto dissenso di critica, il cui titolo è I Vesuviani. Loro sanno che la nostra competenza si spinge fino al rispetto delle finalità del servizio pubblico, su cui intendo porre una questione a termini di legge, anche se non sono a disagio nel pensare che qualcuno accusa la RAI di parzialità nell'acquisto dei diritti di antenna di un film,
Torno su alcune vicende sollevate in Commissione a proposito della professionalità dei dipendenti della RAI: la vicenda del TG3. Presidente Siciliano, non arrivo a chiedere il licenziamento di nessuno perché tutto sogno tranne che licenziare qualcuno, ma la questione sollevata a proposito del TG3 non è infondata, perché è stato il direttore del TG3 a proporre una curiosa questione durante una recente assemblea di redazione. È stata la dottoressa Lucia Annunziata a paragonare la propria redazione all'Ulivo; parlando del DNA della redazione, con una infelice frase, ha sostenuto che quando si spacca l'Ulivo, si spacca anche la redazione. Presidente Siciliano, non ho dubbio che lei creda in ciò che dice, però il problema delle redazioni è questo e, se un direttore sostiene che la propria redazione è come l'Ulivo, che si spacca quando si spacca l'Ulivo, il problema esiste e vuol dire che vi è assenza di professionalità. È ciò a cui si riferiva il senatore Rognoni - non penso che si riferisse all'Annunziata ma al clima generale - e che il vertice della RAI deve estirpare.
Non è pensabile che la situazione sia ulteriormente tollerabile.
Il direttore generale della RAI ha concordato sulle affermazioni dell'onorevole Giulietti, cosa che faccio anch'io, relativamente a quanto avvenuto per la marcia della pace; ma quando lei concorda su una questione, che cosa accade nel concreto? Il redattore del servizio, il responsabile della testata o il capo servizio subiscono provvedimenti? Non è opportuno far sapere, visto che vi è trasparenza sugli stipendi ed a maggior ragione dovrebbe essercene sui provvedimenti, che la RAI sanziona un redattore in presenza di un determinato comportamento? Non è opportuno far sapere che alla RAI queste cose non possono accadere? Non sarebbe questa un'acquisizione di punti nella credibilità del vertice aziendale?
A proposito dell'utilizzo delle professionalità interne entro in un'altra questione abbastanza delicata. Come si conciliano i doppi incarichi all'interno dell'azienda? Esattamente come per la fiction, che ha quel signore nominato assistente dal dottor Silva, non vi sono altre persone che svolgono il ruolo di segretario del consiglio di amministrazione - con tutto il rispetto per chi lo fa - o di direttore della radiofonia? Non vi sono altre persone che possono essere nominate amministratore delegato della SIPRA o responsabile dei servizi sportivi? Non vi sono altre persone che possono assumere l'incarico di direttore della produzione e di presidente di RAITRE? Perché accentrare tutto su poche persone, direttore? È un problema sollevato dall'interno dell'azienda; può darsi che abbiate scelto le persone migliori, non ho motivo per dubitarne, però bisogna spiegare perché alle stesse persone venga affidata una pluralità di incarichi.
Vengo ora alla vicenda Augias. Mi riferisco non solo agli indirizzi ma anche alla Carta delle garanzie degli operatori del servizio pubblico radiotelevisivo (proposta nel 1995 dalla dottoressa Moratti), che non mi risulta sia stata abrogata dall'attuale vertice RAI. Quel documento stabilisce per i dipendenti della RAI ovviamente, e probabilmente non è questo il caso, che in presenza di un mandato parlamentare non si possano fare trasmissioni. Se questo vale per i dipendenti, vale a maggior ragione per chi collabora con la RAI, ma allora come si concilia l'affidamento di importanti trasmissioni come Il delitto alla Sapienza e quella su Lady Diana, all'onorevole Augias? Mi riferisco a tale questione non perché mi stia particolarmente a cuore, ma in quanto l'ho colta nei dati riferiti dall'osservatorio di Pavia che, nella comunicazione politica, per le due
Un'ulteriore questione - sempre ai fini della trasparenza - che per me ha grande importanza e in cui vi è un impegno personale, mi è stata segnalata dall'Ente nazionale dei sordomuti leggendo il documento relativo ai nostri indirizzi, che mi sono permesso di inviare. Si tratta particolarmente del punto 2B, secondo capoverso del documento di indirizzo sulla programmazione per i portatori di handicap. Premesso che secondo il decreto del Ministero dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica del 23 giugno scorso, si inserisce la lingua dei segni tra le materie universitarie per il diploma di laurea di traduttore e interprete, la categoria chiede più ore e migliori nella scelta dei programmi per questi utenti della televisione pubblica che pagano il canone nonostante il loro handicap. Si chiedono brevi telegiornali nelle fasce di punta nell'ascolto serale, più ore di trasmissione, una finestra con l'interprete nella lingua dei segni nei TG della mattina, del pranzo o dell'ora serale e nei dibattiti politici perché anche loro votano. Da questo punto di vista, la RAI è in grado di attrezzarsi?
Ancora sulle produzioni, con riguardo al contratto di servizio e agli investimenti della RAI. Anch'io apprezzo molto - e quindi capirete che non c'è nessuno che ce l'ha per partito preso con la RAI - l'inversione di tendenza che ci è stata descritta per quanto riguarda il rapporto tra produzione e acquisti. Lo reputo positivo perché probabilmente fa crescere l'industria del paese.
L'11 luglio il responsabile del settore, appunto il dottor Silva, ha annunciato per il 1997 330 miliardi di investimenti per la produzione, 280 miliardi per la fiction e 50 per il cinema. Siccome a questa Commissione non possono bastare gli annunci ma deve chiedere anche il rendiconto, perché qui si esplica la vigilanza, vorremmo capire se sia disponibile l'elenco delle opere e dei produttori, nonché quello delle somme che sono state spese o sono state stanziate nell'ambito di questi 330 miliardi.
Un'altra competenza della Commissione è quella che riguarda la vigilanza sullo stesso contratto di servizio, per il combinato disposto della legge n. 249 e della legge n. 206 da cui origina la convenzione e quindi il contratto di servizio. L'articolo 9 del contratto di servizio prevede circa mille miliardi di spesa per gli audiovisivi nel triennio 1997-1999. Anche qui chiedo quali criteri la RAI intenda seguire e quali forme di trasparenza e conoscenza di destinazione dei fondi siano previste, dal momento che, se le norme impongono determinati adempimenti, occorre poi verificare come vengono spese le somme. La domanda concerne anche i dati illustrati sul rapporto tra produzione ed acquisti, per la necessaria verifica da parte nostra sulle vostre attività; in altre parole, vorremmo evitare di leggere i particolari su Il Mondo e vorremmo conoscerli in Commissione, perché riteniamo che sia giusto garantire trasparenza.
Non dico altro sulle questioni legate al caso Andermann, sul quale i colleghi sono intervenuti con dovizia di particolari. Spero che da questo punto di vista la RAI voglia rispondere comprendendo che si tratta di questioni non personali ma che possono fare solo del bene al servizio pubblico radiotelevisivo.
Però non posso non aggiungere una considerazione. Molte questioni da lei poste sono di carattere generale o particolare di cui la Commissione si è occupata in passato, ma altre sono questioni - faccio ammenda nel caso io sia l'unico commissario che non le conosce - che la Commissione nella sua interezza non mi sembra abbia conosciuto. A questo punto, mi chiedo quale sia la fonte dell'informazione, pur dichiarando che ovviamente ogni commissario è libero di documentarsi come meglio crede. Mi domando, in sostanza, se a monte delle sue domande non vi sia una profonda attività istruttoria per la quale probabilmente sono stati usati anche i mezzi della Commissione: lettere o documenti giunti alla Commissione, forse le stesse strutture della Commissione, sia funzionari sia altre risorse. In questo caso credo che i membri della Commissione ne avrebbero dovuto essere compiutamente informati, almeno per avere gli stessi documenti e seguirla nella sua puntuale esposizione.
Quindi, sia per documentare i membri della Commissione, sia per far sì che le risposte del presidente e del direttore generale della RAI siano le più puntuali possibile, ritengo assolutamente indispensabile che la Commissione venga aggiornata.
Francamente mi pare una questione che affiderei al presidente ed al direttore generale della RAI, che possono decidere di rispondere o non rispondere. Mi parrebbe strano che su questioni relative agli indirizzi non avessero risposte già pronte. Non ho sollevato questioni che esulano dall'ordine del giorno, ad esempio la piattaforma digitale o la terza rete (collega Passigli, non l'ho vista attenta a chiedere di intervenire sull'ordine dei lavori anche su tale questione). Quindi il presidente della RAI può anche decidere di non rispondere al presidente della Commissione di vigilanza, è assolutamente libero ed io
Do ora la parola al presidente della RAI.
Il seguito dell'audizione è rinviato a domani mattina alle 10.