PROGETTO DI LEGGE - N. 1888
Onorevoli Colleghi! - Il processo civile sta
attraversando nel nostro Paese una difficile crisi, che ha
condotto recentemente uno scrittore a parlare di "lunga agonia
del processo civile" (G. Costantino, Foro Italiano,
1995, pagina 321 e seguenti).
Alla base vi sono cause essenzialmente organizzative, data
la lievitazione della litigiosità, seguita all'aumentato
benessere della società post-industriale e all'accesso
delle classi popolari al servizio della giustizia civile.
Gli organici della magistratura sono invece rimasti
pressoché fermi dal 1940 ad oggi, mentre è notevolmente
diminuito l'orario di lavoro.
I più recenti modelli adottati dal legislatore hanno
inteso porre rimedio con l'abbassare il livello della qualità
del servizio e ciò è avvenuto con l'introduzione del giudice
di pace, e la soppressione della collegialità dei tribunali e
dell'effetto sospensivo dell'appello, che hanno condotto ad
una lunga astensione dei ceti forensi dalle udienze civili.
Questi hanno preso consapevolezza della centralità del
loro ruolo: la nascita in tutto il Paese delle camere civili e
le preoccupazioni manifestate al loro IV Convegno nazionale,
tenutosi a Milano il 2 e 3 giugno 1995, ne sono un tipico
esempio.
Il 1^ dicembre 1994, un decreto del Ministro di grazia e
giustizia, nell'intento di ovviare alla crisi in atto, ha
istituito una commissione composta da docenti, magistrati e
avvocati, presieduta dal professor avvocato G. Tarzia. Il
compito assegnatole
è stato quello di approntare un progetto di riforma. Essa sta
concludendo in queste settimane il proprio lavoro. L'opera
della commissione è stata travagliata sin dall'inizio, perché
è coincisa con l'entrata in vigore del giudice di pace e
l'astensione dalle udienze di cui si è detto.
E' per altro dubbio che il progetto che sortirà dai suoi
lavori abbia a raggiungere l'obiettivo assegnatole, atteso che
la stessa si è impegnata in un lavoro di perfezionamento
dell'esistente, secondo le tendenze in essere.
La riconducibilità di alcune norme controverse, quali ad
esempio l'articolo 186-quater, a suggerimento di alcuni
suoi commissari, ha provocato la più aperta contrarietà dei
maggiori processualisti, espressa in un manifesto (pubblicato
su Il Sole-24 Ore del mese di agosto 1995).
Si va sempre più diffondendo la consapevolezza nel Paese
che le tendenze in atto conducono a quello che è stato
definito "un processo incivile" (Foro italiano, 1995,
vedi pagina 225) e che occorre fermare il degrado e tornare ad
un profilo alto di valori.
In questo senso le conclusioni del XXIII Congresso
nazionale giuridico forense tenutosi a Maratea il 6-10
settembre 1995, costituiscono un momento importante.
In questi ultimi tempi un significativo contributo di
studi e proposte nell'ottica del superamento della crisi della
giustizia civile, per nostro fermo convincimento, è stato
avanzato da un eminente avvocato, che già sedette
operosamente, sia pure per breve periodo, in un'Aula
parlamentare e che è stato chiamato a comporre la commissione
ministeriale. Trattasi del presidente della camera civile di
Varese, l'avvocato Giovanni Valcavi, che nel lavoro ha
riassunto la sua lunga esperienza. Le proposte offerte si
basano su una forte semplificazione e su un notevole
snellimento delle procedure e su un potenziamento delle
strutture. Codeste linee hanno incontrato, al Congresso di
Maratea, l'adesione di numerosi delegati di importanti ordini
forensi, quali Milano, Torino, Padova, Rimini, Savona, Pisa,
Trani, Salerno, Caltagirone, Vallo di Lucania, Varese, Busto
Arsizio, Monza, Barcellona-Pozzo di Gotto.
I proponenti condividono appieno le motivazioni e le
proposte e fanno proprio il progetto che fu pubblicato nel
1995 per i tipi della CEDAM e su importanti riviste.
Essi sono convinti che occorre ripensare alle linee del
processo civile in un'ottica di grande semplificazione, nel
mantenimento delle garanzie ineliminabili che danno ad esso un
senso ed, altresì, che occorre compiere un grosso sforzo per
superare quelle resistenze che mettono a rischio la
conservazione, a disposizione del comune cittadino, della
giustizia civile.
CODICE DI PROCEDURA CIVILE
LIBRO I
DISPOSIZIONI GENERALI
Relazione introduttiva e criteri direttivi delle proposte di
modifica.
1. Da anni il Paese ha acquisito la consapevolezza che la
grave crisi del processo civile ha cause essenzialmente
organizzative. L'incremento della litigiosità dall'entrata in
vigore del codice nel 1942 al 1982 era stimata intorno al 300
per cento con aumenti significativi negli anni posteriori.
Questo fenomeno trova la sua origine nello sviluppo
economico del Paese (basti pensare agli indici della
circolazione stradale) e nell'accesso dei numerosi ceti
popolari al servizio della giustizia. L'organico complessivo
degli addetti "alla giustizia civile e penale" è tuttavia
rimasto fermo intorno a poco più di 6.000 giudici ed è
assolutamente inadeguato rispetto all'aumento della domanda di
giustizia.
Operando un confronto con Paesi a noi vicini (delle nostre
dimensioni) si nota che la Germania ha un numero di giudici
più che doppio. Procedendo all'analisi di qualche dato, con
riguardo al periodo si rileva che i processi di nuova
formazione annua (cosiddetti "sopravvenuti") di primo grado
erano pari a 951.000 (cioè il 17 per mille
abitanti) e quelli pendenti, cioè comprensivi dell'arretrato,
erano 1.885.000 (pari a 34 per mille abitanti).
Il carico medio, nel quinquennio, dei processi
sopravvenuti era intorno a 703 per ogni pretore ed a 287 per
ogni giudice di tribunale (come se questo fosse già
organizzato sulla base del giudice unico), mentre quello dei
processi pendenti era intorno a 946 per ogni pretore ed a 871
per ogni giudice di tribunale.
La quantità dei processi che "si esaurisce" ogni anno (con
o senza decisioni) è sotto il livello di quelli che
sopravvengono e così l'arretrato è in continuo incremento.
Nelle preture il 50 per cento dei processi esauriti è definito
con decisione, ma nei tribunali solo il 35 per cento, mentre
nelle corti d'appello la percentuale sale all'80 per cento.
Appare perciò oltremodo modesta, nelle attuali condizioni,
la capacità dei nostri organi giudiziari di esaurire con
decisioni i processi civili.
All'inadeguatezza degli organici si devono aggiungere le
altre gravi carenze organizzative, quali una scarsa
razionalizzazione del lavoro, la mancanza di effettivi
controlli sulla durata, sull'osservanza del rispetto
dell'orario di lavoro, sulla produttività e l'indebolimento
del potere gerarchico dei capi degli uffici.
A livello del Consiglio superiore della magistratura manca
perfino un ufficio "tempi e metodi". Gli stessi dati
quantitativi sono scarsamente conosciuti o lo sono in modo
inadeguato e le varie riforme avviate, o anche solo
progettate, non sono precedute da stime anche solo
approssimative sulla distribuzione del carico di lavoro tra i
vari uffici e su una simulazione dei loro effetti.
Una riprova al riguardo è data dalla tendenza codificata
dalle norme transitorie (così l'articolo 90 della legge n. 353
del 1990) a prevedere che le procedure proseguano presso gli
uffici di originaria appartenenza, anche se divenute di
importanza bagatellare.
Norme di questo genere fanno concludere che le riforme
avviate non sono destinate a deflazionare il carico eccessivo
di contenzioso dei vari uffici e ciò continuerà per molti
anni, fino all'esaurimento dell'arretrato.
2. Una situazione così grave richiede anzitutto un
adeguamento degli organici e una sollecita copertura dei posti
relativi, come misura prioritaria.
Tuttavia essi incontrano ormai, da anni, le resistenze
dello spirito corporativo degli organismi associativi dei
giudici.
In questo senso vanno lette le resistenze a misure che
favoriscano l'accesso alla magistratura di appartenenti alle
professioni legali (sulla base dei buoni risultati di analoghi
rimedi esperiti a suo tempo dai Guardasigilli Mortara e
Togliatti).
La conseguenza di questo stato di cose è che gli organici
sono fermi a livello dei decenni scorsi ed il reclutamento è
limitato a giovani "al primo concorso ed al primo impiego",
pressoché digiuni delle complesse vicende della vita, come un
ex Presidente della Repubblica ebbe a denunciare.
La selezione avviene attraverso esami nozionistici in
materie non sempre attuali, senza un preventivo esame
psico-tecnico attitudinale, per saggiare la dote di equilibrio
così preziosa nel giudice, come avviene nelle nostre
imprese.
La tendenza del legislatore è stata sin qui quella di
ricorrere ad espedienti quale quello di affidare il delicato
ufficio "del giudicare" a giudici di seconda mano, cioè a
persone anziane anche se volonterose (in buona parte
pensionati) che ormai serbano lontani ricordi della
preparazione universitaria, con esperienze recenti estranee
all'attività giudiziaria e con un compenso a cottimo oltremodo
modesto.
L'esempio emblematico al riguardo è costituito dai giudici
di pace di cui alla legge 21 novembre 1991, n. 374, di cui si
tratterà in seguito. La stessa strada è stata percorsa
recentemente dal decreto-legge 21 aprile 1995, n. 121, con i
recenti provvedimenti che costituiscono il riconoscimento
dell'impotenza dello Stato e della mancanza di volontà
politica di fronte alle resistenze sopra accennate, malgrado
le più pessimistiche previsioni sulla sorte della giustizia
civile.
Tale significato hanno le misure estemporanee ed avvilenti
della giurisdizione, quale l'istituzione di un
ufficio-stralcio per i processi pendenti, l'attribuzione
dell'imponente arretrato (pari a 800 processi per ogni pretore
e giudice di servizio) solo alla metà dei magistrati,
ricorrendo alla loro integrazione con vice-pretori onorari,
cui non si offrono prospettive di carriera ad una adeguata
remunerazione, che si pensa di reclutare dalle professioni
legali.
Lo Stato qui fa leva sullo spirito di servizio dei
professionisti, ma non tanto da favorire il loro accesso alla
magistratura, che rimane quindi un ortus clausus di
giovani "al primo impiego", dopo un esame nozionistico.
Il carico di lavoro pro capite, a seguito di questi
provvedimenti, (incidendo su metà degli organici) è destinato
a raddoppiare e con esso i tempi lunghi della giustizia
civile.
Un altro espediente estemporaneo è costituito dalle norme
della legge n. 353 del 1990, che hanno soppresso la
collegialità nei tribunali ed hanno imposto la esecutorietà
delle sentenze di primo grado. Per colmo della sorte e come
contropeso ad un sommario giudizio di primo grado, sono state
previste la trattazione e la istruttoria collegiale in
appello, prestando ossequio alle ricorrenti aspirazioni ad un
processo orale e concentrato, lontano dalle risorse
disponibili. Codeste misure si sostanziano in un diniego di
giustizia da un lato e in uno spreco privo di senso,
dall'altro, perché esse intervengono, oltre tutto, dopo che la
sentenza di primo grado è esecutiva o addirittura è già stata
eseguita.
3. In genere si avvertono (secondo l'opinione dello
scrivente) le seguenti esigenze in materia di strutture
giudiziarie:
l'adozione di criteri razionali nella distribuzione del
carico di lavoro in essere (non solo di quello di nuova
formazione), così modificando le norme transitorie;
la ridefinizione delle circoscrizioni territoriali dei
giudici di pace, dei pretori e dei tribunali, sulla base della
popolazione che viene servita;
la riduzione dell'eccessiva competenza dei giudici di
pace e la modifica dei loro requisiti così da favorire
l'accesso a giovani laureati alla ricerca di un lavoro
desiderabile anche attraverso incentivi di carriera;
la valorizzazione del pretore ampiandone la
competenza;
la conservazione delle garanzie della collegialità e
dell'effetto sospensivo dell'appello.
Soprattutto per far fronte alla grave crisi presente nella
giustizia civile, occorrono misure straordinarie di
ampliamento degli organici e di mobilitazione dei
professionisti legali (attraverso concorsi riservati) per la
loro copertura.
Ove si perseveri nelle attuali condizioni si accentuerà la
fuga dalla giustizia pubblica in direzione di quella privata e
così degli arbitrati con grave compromissione di una funzione
fondamentale dello Stato.
4. Alle misure organizzative concernenti le strutture
giudiziarie sopra descritte, occorre accompagnare il
ripensamento di alcune scelte di fondo del codice in vigore e
l'adozione di misure innovative su taluni problemi nodali.
La attuale disciplina dell'astensione e della ricusazione
del giudice civile (quest'ultima è affidata agli altri
componenti del medesimo tribunale) offre scarse garanzie alle
parti e non risponde alle attese di garanzia dall'imparzialità
del giudice. Ognuno avverte che la legge sulla responsabilità
civile del giudice, ormai, è un ricordo del passato.
Il rimedio va rinvenuto nel sintonizzare le norme del
codice di procedura civile con quelle in atto nel processo
penale (articoli 36, comma 1, lettera h), e 40 del
codice di procedura penale).
Il sistema introduttivo della novella si basa su un
insieme rigido di "preclusioni", non solo a proporre domande
ed eccezioni nuove, ma anche a produrre documenti e dedurre
istanze istruttorie, la cui esistenza e decisività siano state
scoperte dopo che è maturata la preclusione.
L'estensione delle preclusioni appare eccessiva
considerando che le stesse costituiscono
l'espressione di una logica penale che va in direzione
opposta allo scopo tipico del processo.
Le "preclusioni" (come a suo tempo rilevò il Calamandrei)
obbligano il difensore ad indovinare le mosse della
controparte. Appare per altro problematico che esse producano
i risultati attesi. Un'alternativa più incisiva rispetto ad un
tale sistema, sembra una scelta che privilegi opzioni più
liberali e meno rigide in fatto di preclusioni (quanto meno a
produrre e dedurre istanze istruttorie) e tuttavia sia
controbilanciata dall'onere, posto a carico di chi se ne
giova, di rimborsare (indipendentemente dalla soccombenza) le
spese ripetibili ed irripetibili che "inutilmente" ha fatto
sopportare alla controparte.
Essa rappresenterebbe un disincentivo assai più efficace,
perché opera in concreto sugli interessi delle parti e così
sulla distribuzione delle spese; attraverso la modifica
dell'articolo 92 del codice di procedura civile.
Il problema di fondo, nelle odierne condizioni e stante la
lunga durata attuale delle procedure, è quello di operare una
scelta in ordine a quali interessi delle parti si intendono
privilegiare: se cioè l'interesse ad una pronuncia "di merito"
in termini ragionevoli, anche a costo di sacrificare alcune
"coerenze" concernenti il rapporto processuale o gli interessi
delle parti al rigoroso rispetto di queste ultime. Torna qui a
proposito l'antico apoftegma che "il meglio è nemico del
bene";
Ad avviso dell'autore di queste proposte bisogna porsi
l'obiettivo di semplificare al massimo le regole procedurali e
di evitare ogni tentazione che faccia perdere tempo, pur nella
salvaguardia delle fondamentali garanzie della giurisdizione
(giudice collegiale nei tribunali ed effetto sospensivo
dell'appello). Questa esigenza di semplificazione induce, ad
esempio ad uniformare la disciplina delle varie forme di
incompetenza ed a prevedere che i provvedimenti che dichiarano
la incompetenza, la litispendenza, la continenza e la
connessione siano dati con ordinanza invece che con sentenza
impugnabile.
La stessa esigenza suggerisce la soppressione del
regolamento facoltativo di competenza di cui all'articolo 43
del codice di procedura civile e del conflitto di competenza
di cui all'articolo 45 del medesimo codice.
Nei casi sopra indicati, infatti, l'impugnabilità della
sentenza allontana la decisione di merito a tempi indefiniti,
senza un apprezzabile interesse.
Per la stessa ragione sembra preferibile che anche una
pronunzia che non esaurisca il processo sia data in forma di
ordinanza e non di sentenza, così modificando l'articolo 279,
secondo comma, numero 4) del codice di procedura civile.
Oggi l'attività delle parti nella trattazione della causa
appare molto disordinata e si traduce in una serie infinita di
rinvii per ottenere dal giudice l'autorizzazione a scambiare
"scritti" difensivi.
Sembra opportuno che la stessa legge fissi l'alternanza
delle cadenze per lo scambio di scritti difensivi, e che i
difensori se li possano scambiare anche via fax.
E' ragionevole ridurre la presa di contatto con il giudice
a quando sorge l'esigenza che lo stesso adotti un
provvedimento, vuoi per ammettere le prove, vuoi per fissare
l'udienza di discussione della causa.
Ragioni di economia inducono a conservare la reclamabilità
al collegio dei provvedimenti dell'istruttore in materia di
prove (nei tribunali) e ad estenderla contro le ordinanze
erronee di interruzione o di sospensione del processo.
La disciplina delle notifiche degli atti giudiziari va
integrata con norme suggerite dall'esperienza.
CRITERI DIRETTIVI PROPOSTI
La disciplina deve essere improntata ai seguenti
criteri:
1. Sulle strutture giudiziarie in genere.
Va rifatta la geografia giudiziaria, prevedendo che ad
ogni giudicatura di pace corrisponda in via di massima una
popolazione intorno ai 20.000 abitanti, ad ogni pretura una
popolazione intorno agli 80.000 abitanti e che ogni
circondario di
tribunale abbia una estensione corrispondente alle odierne
province, salvo il caso che essa superi un milione di
abitanti, nel qual caso ci sarà un circondario per ogni
milione di abitanti o frazione residua superiore ai 500.000
abitanti.
2. Sui diversi giudici:
a) limitare la competenza per valore del giudice
di pace a lire 5.000.000 sopprimendo le maggiori previsioni e
la giurisdizione penale. Stabilire tra i vari requisiti che il
giudice di pace non deve avere un'età superiore a 40 anni e
deve essere eletto dagli elettori compresi nel comune della
giudicatura o dai consigli comunali rispettivi. Norme di cui
si propone la modifica: articolo 7 del codice di procedura
civile, l'articolo 4, comma 1, e 5, comma 1, lettera a),
della legge 21 novembre 1991, n. 374;
b) ampliare la competenza per valore del pretore a
lire 50 milioni, quella per materia alle controversie in tema
di regolamento di confini, di diritti di uso, di usufrutto, di
servitù e di usucapione. Estendere la competenza per materia
anche agli appelli contro le sentenze del giudice di pace,
sottraendole ai tribunali, nonché fare del pretore il giudice
unico di tutte le espropriazioni, comprese le immobiliari, le
opposizioni a precetto, agli atti esecutivi, all'esecuzione,
all'opposizione di terzo, qualunque ne sia il valore. Norme di
cui si propone la modifica: articoli 8, 16 e 17 del codice di
procedura civile;
c) per i tribunali, ripristinare la precedente
articolazione tra giudice istruttore e collegio, con
soppressione del giudice unico di tribunale. Prevedere che il
presidente del tribunale, nelle cause da lui rite nute
particolarmente importanti o delicate, su istanza di parte
possa disporre che la trattazione, l'istruzione e la
discussione avvengano avanti l'intero collegio. Sottrarre al
tribunale la competenza a decidere sugli appelli contro la
decisione del giudice di pace e quella sulle querele di falso.
Norme di cui si propone la modifica: articolo 9 del codice di
procedura civile; articolo 90 della legge n. 353 del 1990;
d) affidare anche le cause arretrate al giudice
competente secondo le nuove regole, salvo il caso che quello
precedente abbia provveduto sui mezzi di prova o la causa sia
in fase conclusiva.
3. Sulla disciplina dell'astensione e della
ricusazione:
a) estendere l'obbligo dell'astensione del giudice
al caso in cui abbia manifestato prima della decisione, senza
esservi tenuto, il proprio convincimento sui fatti oggetto
della causa;
b) prevedere che sulla ricusazione del giudice di
pace decida il pretore, su quella del pretore decida il
tribunale, su quella di un giudice o dell'intero tribunale
decida la corte d'appello, su quella del giudice d'appello o
di Cassazione decida una sezione diversa da quella di sua
appartenenza.
Norme di cui si propone la modifica: articoli 51 e 53 del
codice di procedura civile, in sintonia con gli articoli 36 e
40 del medesimo codice.
4. Sulla disciplina delle modificazioni della competenza,
delle pronunce in materia di incompetenza e dei regolamenti di
competenza.
Sembra ragionevole prevedere:
a) un uniforme momento preclusivo sia per
l'eccezione sia per il rilievo d'ufficio della incompetenza
per materia, valore e territorio, anche nei casi previsti
dall'articolo 28 del codice di procedura civile;
b) estendere a tutte le ipotesi di eccezioni di
incompetenza, l'onere di indicare il giudice ritenuto
competente e la possibilità che l'attore vi aderisca. In
questo caso il provvedimento del giudice deve rivestire la
forma di ordinanza e non di una sentenza impugnabile;
c) escludere che il giudice, nel caso di una
eccezione di compensazione ai sensi
dell'articolo 35 del codice di procedura civile debba
rimettere la causa a quello che sarebbe competente per il
maggior valore del contro-credito;
d) prevedere che le pronunce di litispendenza e
continenza di cui all'articolo 39 del codice di procedura
civile nonché quella di connessione di cui all'articolo 40,
siano date con ordinanza e non con sentenza impugnabile;
e) sopprimere il regolamento facoltativo di
competenza di cui all'articolo 43 del codice di procedura
civile e del conflitto di competenza di cui all'articolo 45
del medesimo codice;
f) prevedere che la pronuncia sulla competenza di
cui all'articolo 44 del codice di procedura civile e quella
sul regolamento di competenza di cui all'articolo 49 del
medesimo codice, operino anche in un nuovo processo che sia
introdotto tra le stesse parti dopo l'estinzione di quello in
cui sono state adottate.
5. Sulla disciplina in materia di notifica:
a) estendere la competenza a notificare gli atti
per posta ad ogni ufficiale giudiziario, anche
indipendentemente dall'ufficio e dalla circoscrizione cui è
addetto;
b) estendere la possibilità di notifica alle
persone fisiche anche sul luogo di lavoro e per le società e
persone giuridiche anche al portiere dello stabile, se pur non
dipendente;
c) prevedere che la notifica a mani di estranei
avvenga in busta chiusa;
d) sopprimere la necessità del doppio accesso per
l'affissione dell'avviso di deposito alla casa comunale ai
sensi dell'articolo 140 del codice di procedura civile;
e) sopprimere la necessità della notifica al
pubblico ministero per i militari in servizio, limitandola
alla consegna al comandante del corpo. Norme di cui si propone
la modifica: articoli 137, secondo comma; 139, primo e secondo
comma; 140; 145 e 146 del codice di procedura civile.
LIBRO II
DEL PROCESSO DI COGNIZIONE
TITOLO I
DEL PROCEDIMENTO
DAVANTI AL TRIBUNALE
Relazione introduttiva e criteri direttivi delle proposte di
modifica.
Le maggiori crepe della giustizia civile sono emerse nei
processi avanti i nostri tribunali e si sono manifestate nello
spreco di attività processuale e nell'eccessiva durata dei
procedimenti, che è stata censurata anche a livello
internazionale.
Un intervento finalizzato a recuperare snellezza e tempi
morti delle procedure può sensibilmente migliorare lo stato
presente.
Alla base di lungaggini e di carenze di razionalità delle
nostre procedure, possono porsi, tra gli altri, i seguenti
fattori:
1) il sistema della citazione ad udienza fissa ad
iniziativa delle parti sulla base del calendario giudiziario
annuo delle prime udienze, che determina l'accumulo di una
grossa quantità di procedure per i giudici, al di fuori di
qualsiasi programmazione ed organizzazione di lavoro;
2) una concezione ed attuazione distorta dell'oralità
della trattazione, di cui all'articolo 180 del codice di
procedura civile, che si traduce nella partecipazione ad
udienze avanti il giudice solo per ottenere l'autorizzazione e
scambiare memorie scritte, con grosse perdite di tempo per
tutti;
3) la mancanza di una direzione efficiente del processo
da parte dell'istruttore, su cui faceva leva l'articolo 175
del codice di procedura civile e che a causa della mole e,
sovente, della relativa conoscenza della causa, indulge ai
continui
rinvii richiesti dai patroni e che sono causa di dispersione
del processo;
4) una eccessiva tutela formalistica delle regole
puramente procedurali che emerge dall'adozione di sentenze
impugnabili, con conseguenti lunghi intervalli di procedure di
impugnazione, per decisioni riguardanti il processo e non il
merito (è il caso delle pronunce di continenza di cui
all'articolo 39, secondo comma, e della connessione di cui
all'articolo 40, primo comma, del codice di procedura
civile);
5) l'accavallarsi e sovrapporsi di una pluralità di
mezzi di impugnazione avverso decisioni che attengono solo
alla procedura, come i regolamenti di competenza e gli appelli
ordinari rimessi alla pura discrezione delle parti;
6) il fatto che la scelta dell'udienza finale di
conclusione della procedura sia rimessa alla pura discrezione
del giudice onerato della stesura della pronunzia, al di fuori
di qualsiasi controllo programmatorio del lavoro da parte dei
suoi superiori;
7) la indulgenza a proposito dei "nova", di
deduzioni istruttorie e di produzioni documentali nuove, che
rimettono in discussione il thema decidendum ed il
thema probandum e l'ordine nel processo;
8) più in generale il fatto che una volta introdotta la
procedura questa è destinata a perpetuarsi senza la previsione
di adeguate e razionali cause di perenzione, così ingigantendo
il carico dei processi pendenti ed, in definitiva,
l'arretrato.
La legge n. 353 del 1990, in alternativa ad un ineludibile
adeguamento degli organici alle dimensioni della litigiosità,
ha creduto di imprimere una maggiore celerità al processo,
attraverso misure che ne hanno radicalmente mutato la
fisionomia garantista, come intesa da sempre.
In tale ottica:
a) ha soppresso la collegialità a favore del
giudice unico (articolo 190-bis del codice di procedura
penale) con esclusione di alcune cause, come gli appelli, dove
la trattazione e la istruttoria sono previste svolgersi avanti
l'intero collegio (articolo 48, secondo comma, del regio
decreto 30 gennaio 1941, n. 12);
b) ha soppresso l'effetto sospensivo dell'appello
a favore della esecutorietà immediata della decisione di primo
grado (articolo 282 del codice di procedura civile);
c) ha abolito la reclamabilità al collegio delle
ordinanze di ammissione o meno delle prove (articolo 178 del
codice di procedura civile);
d) ha soppresso i "nova" ed ha introdotto
pesanti preclusioni, in concomitanza con gli scritti difensivi
iniziali, anche in materia di deduzioni istruttorie e di
produzione di documenti, subordinandone la interazione
all'autorizzazione del giudice (articoli 183, quinto comma, e
184 del codice di procedura civile);
e) ha ammesso la ordinanza di pagamento delle
somme non contestate (articolo 186-bis del codice di
procedura civile) e la ingiunzione di pagamento, in corso di
causa (articolo 186-ter del codice di procedura
civile).
Si dissente radicalmente dal modo di vedere accolto dal
legislatore nel 1990, influenzato da una concezione che
indulge a misure sanzionatorie comportanti, per le parti, il
sacrificio di garanzie che sono la espressione di fondo della
giurisdizione.
Tale concezione sacrifica l'obiettivo di una decisione
giusta rispetto a quella affrettata su un thema
decidendum che presenta (a causa delle preclusioni) un
grosso margine di non rispondenza, rispetto al fatto che è
alla base delle ragioni fatte valere.
Rimane tuttavia una grossa perplessità che il modello
accolto dalla legge n. 353 del 1990 sia idoneo ad assicurare
un processo celere, così che i costi dei grossi sacrifici
imposti alle parti siano compensati dal risultato. Infatti i
fattori di ritardo di cui si è riferito, permangono in larga
misura, quali l'accumulo di un carico di lavoro sui giudici al
di fuori di una programmazione, l'eccessiva tutela
formalistica di regole puramente procedurali, il sovrapporsi
di mezzi di impugnazione, con
lunghi intervalli di tempo per questioni attinenti alla sola
procedura, e la mancanza di un razionale sistema di cause di
perenzione.
La introduzione del giudice unico, a spese della garanzia
collegiale, induce a non nutrire eccessive speranze di
recupero di energie giudiziarie nella definizione delle liti.
I dati statistici relativi al giugno 1994 ipotizzano un carico
di lavoro medio pro-capite di un ipotetico giudice unico
di tribunale sull'intero territorio nazionale di 1.180
processi pendenti e di oltre 350 processi sopravvenuti ogni
anno (uno al giorno, comprese le domeniche).
L'ipotetico vantaggio conseguente alla esecutorietà della
decisione di primo grado è neutralizzato dallo spreco
dell'attività processuale conseguente alla prevista
trattazione ed istruttoria davanti all'intero collegio del
giudice d'appello, malgrado che la revisione abbia a
riguardare una decisione per lo più eseguita.
La mancanza di reclamabilità dell'ordinanza ammissiva o
meno di prove fa sì che al momento della decisione di merito
essa sia condizionata dalle risultanze delle prove di fatto
esperite o dalla mancanza di riscontri probatori, perché non
ammessi.
Il carattere illusorio di una accelerazione del processo
civile è dato dalle speranze che il legislatore ha riposto in
modo notevolmente ingenuo sui risultati realizzabili dalla
prima udienza di trattazione (articolo 183 del codice di
procedura civile).
La spiegazione della preclusione ancorata dal legislatore
alla prima udienza di trattazione, può cogliersi nel fatto che
il giudice istruttore, nel corso della stessa, "interroga
liberamente le parti presenti", "tenta la conciliazione",
"richiede i chiarimenti necessari" e "indica le questioni
rilevabili d'ufficio delle quali ritiene opportuna la
trattazione".
Appare ben comprensibile, ove tale udienza realizzi
codesti compiti, che le parti possano precisare e modificare
le domande, le eccezioni e le conclusioni già formulate,
seduta stante, o richiedere un termine abbreviato per
presentare memorie integrative delle precedenti domande e
delle deduzioni istruttorie.
Esse avrebbero, in definitiva, quanto occorre
dall'andamento della udienza di trattazione, per correggere il
precedente tiro ed avanzare complete istanze istruttorie in un
termine breve come previsto dalla legge.
La ragione del più profondo scetticismo è che la prima
udienza di trattazione assolva ai compiti previsti
dall'articolo 183 del codice di procedura civile e non si
traduca, per il carico di lavoro incombente sul giudice, in
una mera formalità o nella paralisi del processo.
Chi ha pratica delle procedure conosce, per esperienza, la
durata delle comparizioni delle parti avanti il giudice, e la
congestione che ne deriva all'attività giudiziaria, così che è
difficilmente immaginabile, con un tale sistema, quante cause
finirebbero per essere trattate all'anno.
Una udienza di comparizione delle parti nella quale venga
espletato l'interrogatorio libero delle stesse, vengano
richiesti i necessari chiarimenti ed indicate dal giudice le
questioni di cui ritenga opportuna la trattazione, costituisce
un lusso che determinerebbe la paralisi della giustizia
civile.
Nel caso, ed è certamente l'ipotesi più probabile, che
tale udienza si riduca ad una formalità, verrebbe meno la
logica della preclusione e questa assumerebbe la portata di
una sanzione non giustificata.
Si ritiene che la soluzione preferibile sia quella di
conservare la struttura del processo avanti il tribunale
articolata tra il giudice istruttore ed il collegio, come
attualmente in essere, sopprimendo la previsione del giudice
unico del tribunale di cui all'articolo 190-bis del
codice di procedura civile.
Si ritiene, altresì, che debba essere conservata la
fisionomia garantista dell'attuale processo, che corrisponde a
princìpi tradizionali della nostra esperienza giuridica e così
l'effetto sospensivo dell'appello che costituisce
l'espressione del principio del doppio grado di giurisdizione,
abrogandosi la generalizzazione della esecutorietà della
sentenza di primo grado e, altresì, la re
clamabilità di alcune ordinanze del giudice istruttore, come
quella in materia di prove ed altre a cui si accennerà in
seguito.
Non si revoca in dubbio l'esigenza di una deflazione della
attività del tribunale. Questo obiettivo va tuttavia raggiunto
con misure di decongestione del lavoro dei tribunali,
riducendo la competenza per valore e per materia (e
contemporaneamente aumentando quella del pretore),
semplificando i rimedi processuali e privilegiando l'obiettivo
della decisione di merito alle pronunzie di carattere
ordinamentale.
In particolare la migliore produzione del tribunale va
conseguita con l'abolizione di quello spreco inutile di
attività processuale che è costituito dalle attuali udienze di
trattazione della causa, dove difensori e giudici sono
impegnati in un grosso lavoro burocratico solo per autorizzare
lo scambio di memorie scritte nel corso di una disordinata
successione di rinvii.
Anche la logica sanzionatoria delle preclusioni va
ripensata in una logica diversa e molto più efficace,
imperniata sull'onere di riparare i costi che una parte
cagiona all'altra con la propria mancanza di solerzia,
attraverso la sanzione delle spese irripetibili, al di fuori
del principio della soccombenza, come incentivo a porre in
essere comportamenti processuali ispirati a diligenza e non
come misure afflittive che penalizzino la sentenza giusta.
Con questa visione, si indicano le seguenti misure che
vengono ritenute idonee a decongestionare al presente ed in
prospettiva l'attività dei tribunali in una logica non
illiberale che non alteri la fisionomia e non leda i valori
tradizionali che sono alla base del processo civile.
Sono qui elencate le seguenti misure:
a) riduzione della competenza per valore e materia
dei tribunali e contemporaneo aumento di quella dell'istituto
pretorio che ha dimostrato, ad oggi, una notevole efficienza
nella capacità ad esaurire le procedure.
La proposta può comportare un alleggerimento di rilievo
degli affari di competenza dei tribunali, per la quantità
delle liti aventi un valore o riguardanti una materia che
viene attribuita ai pretori. Si ha riguardo all'aumento della
competenza per valore dei pretori per le cause pari a lire 50
milioni, che appare misura ragionevole (che potrebbe essere
ulteriormente aumentata a lire 70 milioni), estensione di
quella per materia alle esecuzioni immobiliari ed alle
opposizioni alle esecuzioni (qualunque sia il valore).
Un'ulteriore misura di decongestionamento è realizzabile
attraverso la devoluzione degli appelli delle decisioni dei
giudici di pace al pretore, invece che al tribunale, e alla
abolizione della competenza esclusiva dei tribunali per le
querele di falso, che non appaiono giustificarla, dato il
carattere strumentale alla pronuncia di merito.
Un'efficace misura di decongestionamento dell'attività dei
tribunali, con riguardo alla grossa mole del contenzioso
arretrato, può essere realizzata utilmente con la modifica
dell'articolo 90 della legge n. 353 del 1990, con la
previsione che i processi pendenti, divenuti di competenza di
altro giudice, debbano essere riassunti davanti al nuovo
giudice, ove non sussistano particolari ragioni tese ad
economizzare il lavoro ove il giudice a quo abbia
escusso prove o la causa si trovi in prossimità della
conclusione. Un ulteriore rimedio potrebbe essere rinvenuto
nella necessità di una speciale istanza, eventualmente
accompagnata dalla integrazione di depositi giudiziari, per
conservare in essere le procedure esistenti, così da
alleggerire il carico di lavoro di quelle procedure che
potrebbero non aver più un attuale interesse neppure per le
parti. Una misura del genere fu introdotta negli anni scorsi a
proposito del contenzioso tributario;
b) possibilità per le parti, di comune accordo, di
portare direttamente al giudice d'appello le cause aventi
carattere documentale, saltando un grado di giurisdizione.
Una misura di questo genere è prevista all'estero, come,
ad esempio, dall'articolo 302 del codice di procedura civile
del Canton Ticino e da noi, per il giudizio di Cassazione,
dall'articolo 360, secondo comma. Tale misura alleggerisce il
tribunale
di tutte quelle controversie per le quali le parti, senza
inutili attese, potrebbero adire direttamente il giudice di
appello, per la specificità del carattere documentale della
causa e dell'esigenza di attuare il dettato del diritto. La
circostanza che ciò venga subordinato ad una istanza congiunta
delle parti, fa sì che l'esigenza del doppio grado di
giurisdizione non è considerata dalle parti preminente
rispetto a quella di una pronunzia celere;
c) abolizione della necessità che abbiano a
tenersi udienze davanti al giudice, perché siano autorizzati o
scambiati scritti difensivi delle parti.
L'esperienza odierna indica quale sia la mole del lavoro
inutile che viene svolta dalle parti e dai giudici nelle
udienze di trattazione solo per ottenere l'autorizzazione allo
scambio di comparse o alla produzione di documenti, che si
trascinano sovente per anni ed anni.
La partecipazione del giudice alla fase introduttiva non è
necessaria perchè lo scambio di memorie può essere attuato
direttamente tra le parti, senza l'intermezzo di un'apposita
udienza davanti al giudice, con i mezzi più celeri di
trasmissione di atti e documenti, quali i telefax.
La legge può anche disciplinare preventivamente tale
scambio tra le parti e può prevedere dopo l'esaurimento delle
iniziali repliche, un periodo circoscritto di libero scambio
di atti difensivi, come a suo tempo ebbe a proporre lo
Zanzucchi sul "progetto Solmi" e numerose corti d'appello e lo
stesso Consiglio nazionale forense, sul "progetto Oronzo
Reale";
E' auspicabile che la legge preveda, ad esempio, un
termine di 30 giorni per la costituzione del convenuto e lo
scambio della comparsa di risposta, e due termini, sempre di
30 giorni, per la rispettiva replica dell'attore e duplica del
convenuto.
Di qui potrebbe iniziare un periodo di 60 giorni per lo
scambio (anche via fax, e perciò in tempo reale) di
ulteriori scritti integrativi delle parti.
Tutti gli atti, ovviamente, vanno depositati nelle
cancellerie, dopo essere stati scambiati tra le parti.
La stessa proposta è avanzata anche per la comunicazione
dei documenti tra le parti che può essere effettuata, anche
via fax, come allegati delle memorie scritte e comunque
nell'ambito della fase introduttiva del processo di primo
grado davanti al tribunale.
La soppressione delle udienze di trattazione per scambiare
atti scritti, che costituiscono il paradosso della oralità, è
destinata a procurare una notevole deflazione del lavoro
attualmente svolto nei tribunali. Ciò obbedisce all'esigenza
insopprimibile (auspicata dal rappresentante del Governo
all'inizio dei nostri lavori) che la presenza del giudice sia
ridotta allo stretto necessario, cioè quando deve prendere
provvedimenti;
d) adozione della forma di "ordinanze", per
risolvere questioni riguardanti l'ordinamento del processo
invece delle sentenze che comportano una fase di impugnazione
con grande perdita di tempo per tutti, su incidenti
propedeutici alla definizione del merito.
Si ha riguardo all'attuale previsione di sentenze
concernenti la litis pendenza, la continenza, la connessione,
e la medesima competenza, che vengono decise con provvedimenti
aventi natura di sentenza.
Una garanzia per le parti può essere accordata attraverso
la previsione che tali provvedimenti vengano dati con
ordinanza collegiale, e non del solo istruttore.
Per le ordinanze ammissive o non ammissive di prove
testimoniali, nonché per quelle di sospensione del processo o
di interruzione di competenza del giudice istruttore, può
essere prevista la loro reclamabilità al collegio.
Una tale proposta risponde al problema di come ovviare a
provvedimenti errati di sospensione o di interruzione senza
cadere nell'eccesso di impugnazioni al giudice di legittimità
con conseguente spreco di attività, come nel caso della
sospensione.
Un'ulteriore proposta tesa al risparmio di attività
processuale, non giustificata, è quella di sopprimere la
previsione attuale che la trattazione e la istruzione della
causa d'appello avvengano sempre e necessariamente avanti
all'intero collegio
perché ciò non appare ragionevole, specialmente quando la
sentenza di primo grado venga ritenuta esecutoria (come
nell'attuale ordinamento) o addirittura sia già stata eseguita
al momento del processo d'appello.
All'opposto può prevedersi, così accogliendo
l'insegnamento del Chiovenda, con riguardo a casi che ne
prospettino l'esigenza, che il presidente del tribunale o del
collegio, su istanza di una delle parti, per una controversia
particolarmente delicata o importante, possa disporre che la
trattazione e la istruzione avvengano avanti all'intero
collegio, in deroga di quanto la legge dispone per il loro
svolgimento avanti al giudice istruttore;
e) sostituzione di una logica indennitaria a
quella di ispirazione penale nella disciplina dell'attività
processuale delle parti per ottenere dalle stesse che
l'attività sia ispirata a solerzia e diligenza.
La logica delle preclusioni dell'attuale ordinamento è
sostanzialmente tesa a punire le parti per il trascorrere del
tempo previsto nel compimento da parte dei loro difensori di
atti fuori termine.
Le preclusioni sacrificano i diritti delle parti per
attività negligenti dei loro difensori ma, nel contempo,
ledono anche il pubblico interesse ad una sentenza giusta
mentre il processo continuerebbe a svolgersi nell'ottica di
una sentenza su una verità legale diversa da quella reale.
Ciò, particolarmente, concerne il rigore delle preclusioni
previste attualmente e la ristrettezza del termine.
Appare opportuno prevedere la possibilità della
emendatio libelli, nell'ambito della fase introduttiva
del processo, che coincide con lo scambio delle memorie e
degli atti scritti (anche via telefax).
Per quanto riguarda la produzione di documenti o la
integrazione di deduzioni istruttorie, si suggerisce una
concezione più equilibrata e liberale, nel senso che codesti
atti vanno compiuti, in linea di massima, sempre nell'ambito
della fase introduttiva del processo, che può prevedersi della
durata complessiva di centoventi giorni.
Deve essere riconosciuto alla parte che abbia scoperto in
ritardo un documento che abbia portata decisiva nella
definizione della lite, o che abbia parimenti scoperto la
esistenza e la concludenza probatoria di testimonianze o altri
mezzi di prova, e tali vengano ritenuti dal giudice nella sua
pronunzia, la possibilità di produrli o dedurli nel successivo
corso del processo. In questo caso, tuttavia, appare
ragionevole condannare la parte che se ne giovi, come
l'obbligo ope juris di corrispondere all'altra parte, in
via compensativa, l'ammontare delle spese anche irripetibili e
del danno causato all'altra parte per il solo fatto che essa
le ha inutilmente cagionate.
Si propone qui di prevedere la condanna alle spese anche
irripetibili per la fase della procedura e gli atti che la
controparte ha dovuto sopportare inutilmente, a causa del
comportamento altrui, indipendentemente dal principio della
soccombenza e dal fatto che il responsabile abbia agito con
dolo o colpa grave. Ciò richiede un'espressa modifica
dell'articolo 92 del codice di procedura civile.
La misura proposta appare assai più efficace a scoraggiare
anche da parte dei difensori i comportamenti negligenti o le
astuzie, che sovente trasmodano in comportamenti scorretti sul
piano deontologico, in quanto essa fa leva sul concreto
interesse del difensore a non vedere sacrificate le proprie
aspettative economiche dal cliente, a seguito dell'incidenza
sullo stesso degli oneri a favore dell'altra parte o del di
lei patrono.
Tale misura, pur basandosi su una colpa presunta, per la
trasgressione del dovere di non cagionare inutili oneri
all'altra parte, si prospetta come il risultato di un equo
contemperamento di interessi largamente ispirato ad equità;
f) previsione di un più razionale sistema di cause
di perenzione del processo, al di fuori di misure
riconducibili alla logica di una pena della parte privata.
Le cause di perenzione del processo odierne, nella loro
frammentarietà, non appaiono giustificate nell'unica ottica
possibile cioè del pubblico interesse a che il lavoro negli
uffici giudiziari sia programmato e avvenga nel modo più
ordinato, con la ottimizzazione dei costi pubblici.
Occorre cioè che le cause di perenzione abbiano una loro
giustificazione nella razionalizzazione del lavoro che il
processo comporta a carico dei pubblici uffici.
Accenniamo ora allo svolgimento del processo quale viene
proposto nelle sue linee essenziali, con riguardo agli
obiettivi annunciati.
A - La prima fase del processo ha carattere introduttivo e
si concreta nello scambio di atti scritti, nella deduzione di
prove e nella produzione di documenti e può avere una durata
complessiva ipotizzabile in centocinquanta giorni, rispetto ai
centoventi della disciplina odierna, comprendendo anche i
termini per memorie integrative che possono essere accordate
dal giudice alle parti in attuazione degli articoli 183 e 184
del codice di procedura civile.
Essa comincia con l'atto introduttivo che può avere la
forma del ricorso o anche della citazione della controparte
davanti al giudice, ma al di fuori di qualsiasi previsione di
una "udienza fissa stabilita dalla parte" e che è alla base
delle irrazionalità dell'odierno sistema.
La fase introduttiva dovrebbe esaurirsi con il compimento
del termine finale sovra indicato.
Essa richiede ovviamente la preventiva costituzione
dell'attore e la iscrizione della causa nel ruolo generale
degli affari introdotti avanti il tribunale civile.
Ovviamente la mancanza di iscrizione tempestiva della
causa a ruolo comporta la perenzione della procedura.
In questa fase è designato dal presidente un giudice
istruttore con competenza solo eventuale per atti cautelari o
urgenti (tra questi eventuali cancellazioni di trascrizioni
delle domande giudiziali).
Non è prevista alcuna udienza di trattazione dato che il
contradditorio si svolge tra le parti, al di fuori della
partecipazione del giudice.
La comparizione dei difensori avanti il giudice e delle
parti per l'eventuale tentativo di conciliazione dovrebbero
essere differite alla seconda fase e cioè quella di
trattazione, dopo che le parti hanno potuto conoscere
rispettivamente il reciproco punto di vista attraverso lo
scambio esauriente delle memorie scritte, e perciò in grado
anche di valutare il rispettivo rischio.
Ovviamente alla iscrizione a ruolo si accompagna l'onere
economico di congrui depositi.
La mancanza di questi adempimenti, come si è detto,
comporta la l'estinzione della procedura.
B - La seconda fase è quella di trattazione vera e propria
e di istruzione probatoria.
Essa comincia con la domanda di una delle parti al giudice
istruttore perché la causa venga iscritta nel ruolo della
trattazione.
La mancanza di tale domanda e degli adempimenti relativi
dovrebbe essere causa di estinzione del processo.
Al giudice istruttore tocca la fissazione della prima
udienza di trattazione. Ciò consente al giudice di meglio
programmare e razionalizzare il proprio lavoro e quello
dell'ufficio.
La prima udienza di trattazione è chiamata ad assolvere i
compiti di fare il punto della causa e delle questioni. Nel
corso della stessa, dopo che le parti si sono dette tutto ciò
che potevano dirsi attraverso lo scambio degli scritti
difensivi, e si sono comunicati i rispettivi documenti e le
istanze istruttorie, il giudice richiederà ai difensori la
presentazione delle loro documentazioni.
Esaurita la prima udienza di trattazione il giudice è
chiamato a provvedere sulle richieste istruttorie e sulle
ulteriori incombenze di istruzione della causa.
Egli ordinerà altresì il pagamento delle somme non
contestate e farà luogo alla emissione della ingiunzione di
cui all'articolo 186-ter. Questa fase si conclude con
l'ordinanza della chiusura della istruttoria.
C - L'ultima fase è quella della deliberazione.
Si prevede che la parte debba, sotto pena di perenzione,
chiedere al presidente del tribunale la fissazione
dell'udienza di discussione davanti al collegio giudicante.
La mancata proposizione della domanda e la mancata
costituzione dei depositi determinano la perenzione del
processo.
Viene indicata la competenza da parte del presidente del
tribunale e non del giudice istruttore, perché il primo può
meglio programmare l'attività del collegio ed in ultima
analisi, controllerà anche che la redazione della decisione
sia tempestivamente curata.
Ciò eviterà che a programmare l'udienza di discussione sia
lo stesso giudice istruttore onerato della stesura della
decisione, al di fuori di qualunque controllo e, non ultima
causa, dei grandi intervalli temporali tra la precisazione
delle conclusioni e il deposito della sentenza.
CRITERI DIRETTIVI PROPOSTI
Lo svolgimento del processo davanti il tribunale, va
ispirato ai seguenti criteri:
a) previsione del succedersi di 3 fasi distinte:
una prima di carattere introduttivo, una seconda di
trattazione e istruzione della causa ed infine l'ultima, di
discussione e decisione.
b) conservazione dell'attuale articolazione tra
giudice istruttore e collegio per tutte le cause e
soppressione del giudice unico di tribunale. Previsione che il
presidente del tribunale, in via eccezionale, per cause
delicate o importanti, disponga che il processo si svolga
avanti l'intero collegio.
c) previsione che le parti, di comune accordo, per
cause documentali o riguardanti essenzialmente questioni di
diritto, possano saltare il primo grado e sottoporre la
controversia direttamente alla decisione del giudice di
secondo grado.
d) la fase introduttiva deve essere caratterizzata
dallo scambio diretto tra le parti delle difese scritte e
delle deduzioni istruttorie, secondo uno schema di legge,
senza la necessità di partecipare ad udienze davanti al
giudice. La presenza di questi va limitata alla discussione ed
alla decisione di eventuali domande cautelari o a
provvedimenti per risolvere incidenti sorti tra le parti.
e) soppressione della citazione ad udienza fissa
(con ritorno al sistema originario del codice del 1942)
sostituendola con una citazione che invita il convenuto a
comunicare le proprie difese ed a costituirsi nei termini
prefissati dalla legge.
f) aggiungere un ottavo requisito ai sette già
previsti dall'articolo 163, secondo comma, del codice di
procedura civile, che prescriva l'invito dell'attore al
convenuto alla osservanza di precisi termini successivi,
predeterminati dalla legge, per la rispettiva replica, duplica
ed un ulteriore periodo per il libero scambio di scritti
integrativi, pure predeterminato dalla legge.
g) previsione che la comunicazione degli scritti e
di copia dei documenti che si producono, possa avvenire con i
moderni mezzi telematici, tra difensori. Successivo loro
deposito in cancelleria, al momento della costituzione od
entro breve termine dalla comunicazione. La comunicazione
degli scritti difensivi sana i vizi dei precedenti atti.
h) previsione che la costituzione delle parti
avvenga secondo le formalità in vigore.
i) la preclusione a dedurre e produrre va fissata
con riferimento al momento dell'esaurimento della fase
introduttiva. E' ammessa la produzione di nuovi documenti o la
deduzione di nuove istanze di prova nel caso eccezionale che
si provi che esse non hanno potuto essere effettuate prima
della chiusura della fase introduttiva, come nel caso che
siano stati scoperti successivamente. Previsione nel caso
diverso e sempre che documenti e prove risultassero decisivi,
dell'addebito, a carico di chi se ne giova, delle spese ed
onorari anche irripetibili che sono stati inutilmente causati
alla controparte, indipendentemente dal principio della
soccombenza, così modificando l'articolo 92 del codice di
procedura civile.
l) esaurito lo scambio degli scritti e la
comunicazione di copia dei documenti, seguito dal loro
deposito, il passaggio alla fase di trattazione ed istruzione
dovrebbe essere preceduto dalla richiesta di una delle parti
al giudice istruttore perché fissi la prima udienza di
trattazione. Contemporanea iscrizione della causa nel ruolo
speciale delle cause da trattare ed istruire. Presunzione di
abbandono nel caso di ammissione degli oneri che precedono.
m) limitare ai soli difensori la comparizione alla
prima udienza di trattazione per lo scopo di fornire al
giudice le precisazioni da lui richieste e fare il punto della
causa e delle questioni. La comparizione personale delle parti
dovrebbe essere disposta solo nel caso in cui venga
prospettato o non escluso un esito favorevole di un tentativo
di conciliazione.
n) all'esito della prima udienza di trattazione
nel corso della stessa o fuori udienza entro breve termine
successivo, il giudice deve pronunciare i provvedimenti sulle
richieste istruttorie delle parti o, nel caso che la causa sia
ritenuta matura per la decisione, invito di questi alle parti
perché precisino le conclusioni.
o) conservazione della facoltà di reclamo al
collegio contro la ordinanza sulle richieste istruttorie.
p) svolgimento della istruzione della causa,
secondo lo schema in vigore.
q) precisazione delle conclusioni su specifico
foglio riassuntivo, da depositare in cancelleria, senza
bisogno di partecipare ad apposita udienza.
r) il passaggio alla terza fase va preceduto dalla
richiesta di una delle parti al presidente del tribunale
perché designi il collegio ed il relatore e fissi la udienza
di spedizione a decisione. Presunzione di abbandono nel caso
di inosservanza degli oneri precedenti.
s) scambio di comparse e memorie conclusionali
dalle parti e loro deposito in cancelleria, entro un termine
fissato dal presidente, con congruo anticipo rispetto
all'udienza di spedizione.
t) abolizione della esecutorietà della sentenza di
primo grado e ripristino della disciplina previgente in
materia di concessione della provvisoria esecuzione.
u) reclamabilità al collegio delle ordinanze di
sospensione o interruzione pronunciate dal giudice
istruttore.
v) conservazione dell'attuale disciplina in
materia di estinzione del processo con l'aggiunta della
specifica ipotesi di cessazione della materia del contendere
secondo l'orientamento giurisprudenziale corrente.
LIBRO II
TITOLO II
DEL PROCEDIMENTO DAVANTI
AL PRETORE ED AL GIUDICE DI PACE
Relazione introduttiva e criteri direttivi delle proposte di
modifica.
Si è detto in precedenza che tra i vari uffici giudiziari
quello che si è rivelato più efficiente è il pretore, anche a
causa della snellezza del rito.
La legge n. 374 del 1991 sul giudice di pace ha portato
molto disordine nella disciplina perché, pur mantenendo
formalmente unito il titolo II concernente il processo avanti
al pretore ed al giudice di pace, ha soppresso gran parte
delle disposizioni comuni di cui al capo I, che ha trasferito
come speciale quel rito avanti al giudice di pace.
In tal modo il procedimento avanti il pretore risulta
identico a quello che si svolge avanti al tribunale, con la
esclusione di poche eccezioni, e cioè al di là del rinvio di
cui all'articolo 311 del codice di procedura civile.
Ciò è suscettibile di tradursi in un appesantimento ed in
una minore efficienza della procedura.
Si propone di ripristinare lo schema previgente, dando
spazio alle disposizioni
comuni dei processi avanti al pretore ed al giudice di pace,
e conservando la specialità a quelle poche norme differenziali
che sono specifiche del distinto procedimento avanti l'uno o
l'altro giudice.
Ciò si appalesa ragionevole nel caso vengano adottate
misure di deflazione del contenzioso avanti al tribunale, per
le dimensioni dello stesso raggiunte, con la introduzione di
una fase iniziale di libero scambio degli scritti
difensivi.
Appare preferibile conservare nei procedimenti avanti al
pretore ed al giudice di pace il sistema della citazione ad
udienza fissa e contemplare un minore rigore nelle preclusioni
e nelle ipotesi di estinzione. Ciò a differenza dei
procedimenti avanti al tribunale.
Si propone il riordino della disciplina vigente e la
soppressione della necessità della rimessione al tribunale per
la decisione sulla querela di falso, a favore di un
accertamento incidentale del giudice della causa quoad
effectus.
CRITERI DIRETTIVI PROPOSTI
La disciplina dovrebbe essere ispirata ai seguenti
criteri:
a) Adottare come regole comuni dei procedimenti
avanti al pretore ed al giudice di pace quelle che ora
appaiono riservate solo a quest'ultimo e riordino delle norme
del titolo.
b) Fissare come termini dilatori liberi
intercorrenti tra la notifica e la prima udienza di
comparizione e trattazione, 15 giorni se il luogo è compreso
nella circoscrizione del tribunale, 20 se nell'ambito della
corte d'appello, 30 se di altra corte d'appello, 60 giorni se
in altro Stato, con facoltà per questo ultimo caso di
riduzione alla metà se la causa richiede pronta spedizione.
c) Limitare al giudice di pace la necessità della
comparizione personale delle parti davanti al giudice e quindi
del loro interrogatorio e della necessità del tentativo di
conciliazione. Possibilità che tale comparizione sia ordinata
dal pretore nel giudizio avanti a lui pendente e nel caso che
la ritenga utile.
d) Soppressione della limitazione prevista
dall'articolo 320, quarto comma, del rinvio per una sola volta
per deduzioni integrative.
e) Eliminazione della necessità della rimessione
al tribunale per la querela di falso, stante il carico di
lavoro di questo ufficio e non sembrando necessario perché la
pronuncia è emanata incidenter tantum quoad effectus.
Norma da modificare: articolo 313 del codice di procedura
civile.
f) Estensione anche al processo avanti al giudice
di pace delle formalità di discussione e decisione previste
dagli articoli 314 e 315 solo per il processo avanti al
pretore.
LIBRO II
TITOLO III
Capo I
DELLE IMPUGNAZIONI IN GENERALE
Relazione introduttiva e criteri direttivi delle proposte di
modifica.
1. In materia di regole generali sulle impugnazioni si
propongono correzioni marginali.
Esse consistono:
a) nella modifica della previsione dell'attuale
articolo 328 del codice di procedura civile, nel senso che se
sopraggiunge la morte della parte soccombente, durante il
termine per impugnare, la decorrenza di questo è "sospesa"
fino a quando non sia rinnovata la notifica della sentenza
agli eredi. Non sembra corretto che gli eredi possano giovarsi
del maggior termine del riprincipiare della decorrenza del
termine per impugnare, con l'adozione del criterio
interruttivo, come se il tempo decorso durante la vita del
dante causa non abbia alcun rilievo.
b) Nella modifica dell'articolo 331 del codice di
procedura civile nel senso di
prescrivere alle parti l'obbligo di diritto di procedere alla
integrazione del contraddittorio, ove si verta nella ipotesi
di causa inscindibile o scindibile dipendente, sotto pena di
sospensione del processo e non di inammissibilità del
gravame.
Appare preferibile stabilire, in modo rigoroso, l'obbligo
delle parti di integrare il contraddittorio e limitarsi a
farlo dipendere da una ordinanza del giudice, che potrebbe non
intervenire. Come questa non intervenga, il pericolo di un
frazionamento dei procedimenti di gravame tra le parti di una
causa inscindibile o scindibile dipendente, e perciò la
eventualità di giudicati contraddittori, è reale.
Laddove la ordinanza intervenga e questa non sia eseguita,
non si può ignorare che il processo d'appello può avere
ripercussioni dai gravami contro la stessa decisione che
intervengano successivamente tra le altre parti della medesima
causa inscindibile o scindibile dipendente.
La sanzione della sospensione del processo nel caso di
mancata integrazione e la conseguente nullità degli atti che
fossero compiuti nelle more in contrasto con il divieto di
compiere atti, di cui all'articolo 298 del codice di procedura
civile, è preferibile a quella delle inammissibilità
dell'appello.
c) Nella modifica dell'articolo 332 del codice di
procedura civile nel senso che la integrazione del
contraddittorio nei confronti delle altre parti, nella ipotesi
di cause scindibili autonome, debba avvenire ope juris
ad iniziativa della parte interessata nel termine per evitare
la preclusione. Ove ciò non avvenga, si prevede che l'appello
prosegua tra le parti originarie, non apparendo di rilievo il
pubblico interesse al simultaneus processus, trattandosi
di cause scindibili autonome e perciò suscettibili di dar
luogo a giudicati diversi.
CRITERI DIRETTIVI PROPOSTI
La disciplina dovrebbe essere ispirata ai seguenti
criteri:
a) conservazione dei termini, della loro
decorrenza, della loro decadenza e del luogo di notifica, come
disciplinato dalla legge vigente.
b) Onere de jure della integrazione del
contraddittorio nei confronti delle altre parti litisconsorti
nelle cause inscindibili e scindibili dipendenti, non presenti
nel processo senza bisogno di un provvedimento ad hoc
del giudice.
Conseguenza dell'inosservanza: la sospensione del processo
e non la inammissibilità della impugnazione.
Norma oggetto della proposta: articolo 331 del codice di
procedura civile.
c) Preclusione, a seguito di decorrenza dei
termini, alla integrazione del contraddittorio nel caso di
cause scindibili autonome.
LIBRO II
TITOLO III
Capo II
DELL'APPELLO
Relazione introduttiva e criteri direttivi delle proposte di
modifica.
I dati statistici delle procedure di appello denotano un
rapido aggravarsi del carico di lavoro dei giudici chiamati a
decidere sui gravami nei confronti delle sentenze di primo
grado e, conseguentemente, una ancora più pesante formazione
dell'arretrato. Quest'ultimo appare anche più preoccupante
perché nella fase d'appello i processi che si esauriscono con
decisione, sono percentualmente intorno all'80 per cento
contro circa il 20 per cento delle cause esaurite senza
decisione, mentre nei procedimenti di primo grado quelle
esaurite con decisione sono solo il 35 per cento a fronte del
65 per cento esaurite senza decisione.
Attualmente il carico di lavoro è andato sensibilmente
crescendo avanti alle corti d'appello in misura elevata da un
quinquennio all'altro, per cui resta un obiettivo da
perseguire con fermezza quello di deflazionare l'arretrato e
agevolare la capacità
di esaurimento delle procedure, snellendo l'attività che si
svolge avanti i giudici di appello.
In questa ottica si propone di conservare l'antica
disciplina che attribuisce al pretore la competenza sugli
appelli contro le decisioni dei giudici conciliatori (oggi
giudici di pace), per via della snellezza del rito che si
svolge.
Una modifica dell'articolo 90 delle disposizioni di
attuazione consiglia infatti di non aggravare le condizioni di
lavoro dei tribunali attribuendo loro gli appelli contro le
decisioni dei giudici di pace. Le scelte del legislatore della
legge n. 353 del 1990 che vogliono la trattazione e
l'istruzione delle cause di gravame avanti i tribunali e le
corti svolgersi innanzi all'intero collegio, appaiono erronee
e tali da aggravare la condizione presente.
Si è qui adottato un modello processuale ispirato a
concentrazione ed a oralità avanti il collegio.
Trattasi di un modello che insieme è un non senso ed una
fonte di spreco di energie giudiziarie.
Che senso ha una trattazione e una istruzione che si
svolgono avanti l'intero collegio quando il gravame concerne
una sentenza di primo grado esecutoria, se non addirittura
eseguita?
Quale esigenza soddisfa la trattazione orale davanti al
giudice di appello quando la stessa ha per oggetto gli atti
scritti del processo di primo grado (atti introduttivi,
memorie, verbali di prova, sentenza)?
Perché destinare il lavoro di tre giudici quando può
essere fatto meglio da uno solo?
D'altro canto anche il processo di appello come
organizzato, prima della riforma della legge n. 353 del 1990,
appariva ed appare, per altri versi, fonte di spreco.
L'attività del consigliere istruttore nei processi
d'appello gira a vuoto per circa tre udienze prima di arrivare
alla rimessione al collegio e trattasi di una inutile perdita
di tempo che può essere risparmiata.
Il modello che si propone è quello di una fase iniziale
improntata ad una citazione senza udienza fissa sul tipo di
quella proposta per il processo di secondo grado avanti il
tribunale, che prescrive termini successivi per la
costituzione del convenuto e memorie di replica e di duplica
ed un ulteriore periodo riservato al libero scambio di scritti
difensivi tra gli avvocati.
Al termine di questa fase l'appellante e l'appellato
possono procedere alla iscrizione della causa a ruolo e
contemporaneamente richiedere al presidente della corte o
della sezione la designazione del collegio, del giudice
relatore e la fissazione della udienza collegiale di
spedizione. Al momento della chiusura di questa fase le
conclusioni devono essere fissate in un foglio di conclusioni
scritte, senza bisogno di una apposita udienza.
Si prevede che il presidente designi il collegio, il
relatore fissi l'udienza collegiale di discussione e
stabilisca congrui termini per il deposito e lo scambio di
comparse e memorie conclusionali.
Su richiesta delle parti, il presidente può anche disporre
la discussione orale.
Il collegio deciderà quindi la causa o ammetterà le prove,
dopo avere verificato la costituzione delle parti,
l'ammissibilità dell'appello ed eventualmente avere dichiarato
la contumacia. Nel caso che il collegio ammetta le prove,
delegherà alla escussione un suo componente.
Seguirà la decisione della causa.
CRITERI DIRETTIVI PROPOSTI
La disciplina dell'appello dovrebbe essere ispirata ai
seguenti criteri:
a) effetto sospensivo dell'appello e ripristino
della normativa previgente in materia di concessione,
sospensione e revoca della provvisoria esecuzione.
b) Competenza esclusiva del pretore a giudicare
gli appelli contro le decisioni del giudice di pace.
c) Soppressione della citazione ad udienza fissa e
sua sostituzione con citazione contenente l'invito a
comunicare gli scritti difensivi ed a costituirsi in
giudizio.
d) Previsione nei giudizi avanti i tribunali e le
corti d'appello di una fase
introduttiva caratterizzata dallo scambio di comparse e
memorie anche via fax tra le parti e seguita dalla loro
costituzione, senza bisogno di partecipare ad udienze davanti
al giudice.
e) Ammissibilità delle parti a produrre documenti
e dedurre istanze istruttorie sino all'esaurimento della fase
introduttiva, salvo addebito delle spese ed onorari
irripetibili, fatti sopportare inutilmente alla controparte ed
evitabili con un comportamento più diligente.
f) Previsione dell'onere a carico della parte più
diligente di inoltrare al presidente della Corte (entro un
termine predeterminato, dopo l'esaurimento della fase
introduttiva) una domanda specifica per la designazione del
collegio giudicante, del relatore e la fissazione di udienza
di spedizione a sentenza.
Contemporanea iscrizione del processo nel ruolo degli
appelli da trattare e discutere.
Inammissibilità dell'appello nel caso di inosservanza
degli oneri precedenti.
g) Previsione di delega del collegio giudicante ad
un componente della escussione delle prove che fossero
disposte, salvo che questo ultimo ritenga necessario che esse
siano escusse davanti allo stesso.
LIBRO II
TITOLO III
Capo III
DEL RICORSO PER CASSAZIONE
Relazione introduttiva e criteri direttivi delle proposte di
modifica.
Il procedimento davanti alla Corte di cassazione mostra di
essere stato ad oggi risparmiato dalla crisi assai più di
quello davanti i giudici di merito.
Il contenzioso ha registrato anche qui un continuo
crescendo, passando da 8.545 processi sopravvenuti nel
1978-1982 a 12.691 nel 1991, e quelli pendenti hanno raggiunto
il numero di 37.666 all'ultima data di riferimento. Il carico
medio di lavoro pro capite è stimabile intorno a 87
processi sopravvenuti e 285 processi pendenti. Il numero medio
dei processi viene suddiviso sulla base di 132 giudici addetti
alle sezioni civili.
Bisogna riconoscere che questo sovraccarico non ha sinora
abbassato in modo sensibile la qualità del lavoro.
I problemi di questo procedimento sono stati sfiorati dai
vari progetti di riforma, ad eccezione di quello approfondito
"Brancaccio-Sgroi". Essi sono stati oggetto di un dibattito al
convegno promosso dal Foro italiano, nell'anno 1985, e
vi sono stati numerosi contributi.
Il recupero di una maggiore efficienza può essere
perseguito agendo su due fronti, quali la destinazione di
maggiori risorse in uomini e mezzi e la deflazione delle
procedure.
Sul primo fronte si deve perseguire l'adeguamento degli
organici commisurandoli all'entità delle procedure.
Il mantenimento di un buon livello qualitativo può anche
derivare dall'attuazione dell'articolo 106 della Costituzione
come ha auspicato l'attuale primo presidente.
Lo stesso fine può essere conseguito anche attraverso una
maggiore permanenza del giudice nelle sezioni di
assegnazione.
Non sembra ci si debba aspettare invece granché dalla
proposta di imporre ai giudici (come sosteneva Proto-Pisani)
l'obbligo della residenza a Roma.
La deflazione del contenzioso può essere realizzata
attraverso una serie concertata di misure.
E' stato rilevato che una componente significativa della
quantità dalla procedura è rappresentata dall'abuso del
regolamento di giurisdizione
Un disincentivo, a questo proposito, potrebbe essere
l'accoglimento della proposta di sopprimere l'effetto
sospensivo del regolamento predetto sul giudizio di merito.
Un alleggerimento del carico è prevedibile che consegua
alla proposta di sopprimere il regolamento facoltativo di
competenza ed il conflitto di competenza, in
sede di modifica degli articoli 43 e 45 del codice di
procedura civile.
Un risultato analogo è lecito sperare di trarre dalle
proposte di modifica degli articoli 39, 40 e 41 del codice di
procedura civile, con l'adottare la forma dell'ordinanza e non
della sentenza impugnabile per i provvedimenti di
litispendenza, continenza e connessione.
E' stato correttamente lamentato che la quantità dei
ricorsi a sensi dell'articolo 111 della Costituzione concorre
in modo rilevante al carico di lavoro.
Sembra qui opportuno prevedere una disciplina specifica
che limiti le ipotesi di ricorribilità di cui all'articolo 360
del codice di procedura civile a quelle che effettivamente
rilevano ai fini della copertura costituzionale. Sotto questo
aspetto il vizio di insufficiente contraddittoria motivazione,
potrebbe essere ritenuto non deducibile nel ricorso alla Corte
di cassazione perché esso non rileva la copertura
costituzionale.
Il provvedimento impugnato di cui all'articolo 111 della
Costituzione potrebbe perciò essere quello che rivela
l'omissione di impugnazione su un punto decisivo. Non sembra
da condividere la proposta avanzata da più parti di estendere
la incensurabilità ai vizi di insufficiente contraddittoria
motivazione delle sentenze pronunciate in secondo grado o in
unico grado ed impugnabili a sensi dell'articolo 360 del
codice di procedura civile.
La adeguatezza e coerenza della motivazione sono requisiti
irrinunciabili a presidio delle parti del processo, perché la
sentenza non si limita all'adozione dello schema
logico-sillogistico di tipo tradizionale, ma, in particolare,
utilizza assai sovente gli strumenti della logica induttiva
per trarre inferenze probabilistiche, proprie delle scienze, e
si conclude in proposizioni verificate dall'esperienza.
Un contributo all'economia del lavoro che esalti la
funzione di filonomachia della corte, può essere dato dalla
riunione dei processi che presentano identità di questione,
sulla scia di quanto accade nei processi davanti alla Corte
costituzionale.
Da ultimo la deflazione può essere ottenuta con
l'accoglimento della proposta di ammettere il rigetto dei
ricorsi per manifesta infondatezza con rito camerale.
CRITERI DIRETTIVI PROPOSTI.
a) Sopprimere l'effetto sospensivo del regolamento
di giurisdizione sulla procedura di merito.
b) Prevedere la improponibilità dei ricorsi ai
sensi dell'articolo 111 della Costituzione per motivazione
insufficiente e contradditoria.
c) Ammettere la riunione dei processi che
presentano identità di questioni.
d) Prevedere il rigetto del ricorso, con rito
camerale, per manifesta infondatezza.
LIBRO II
TITOLO IV
NORME PER LE CONTROVERSIE
IN MATERIA DI LAVORO.
La crisi organizzativa della giustizia civile per la
inadeguatezza degli organici di fronte all'aumento della
domanda giudiziaria, non ha lasciato indenne il rito del
lavoro.
E' stato lamentato l'allungarsi dei tempi che intercorrono
tra il deposito del ricorso e la decisione, e che la
fissazione della udienza di discussione, in primo ed in
secondo grado, davanti a parecchie curie, segue a distanza di
anni dalla introduzione del ricorso.
L'aumento del carico di lavoro è stato ricondotto
all'afflusso di molte controversie riguardanti il pubblico
impiego, gli invalidi civili, o che derivano da decisioni
innovative della Corte costituzionale o della giurisprudenza
di legittimità.
Si è chiesto un aumento addirittura multiplo degli
organici dei giudici del lavoro.
Questo stato di cose dimostra che la preferenza verso il
rito orale, concentrato, con preclusioni, davanti un giudice
unico
non consente di farci illusioni e non rappresenta il
toccasana.
Appare via più semplicistica l'opinione di risolvere
carenze organizzative e strutturali attraverso meri interventi
legislativi sul processo.
L'adozione di misure organizzative va posta in primo
piano, anche a proposito di queste procedure.
Ci limitiamo qui (senza inoltrarci in proposte generali) a
proporre una modifica al combinato disposto degli articoli
429, terzo comma, e 150 delle disposizioni di attuazione del
codice di procedura civile, che come attualmente interpretato
conduce al risultato erroneo di procurare al creditore un
lucro e non il ristoro del quod interest secondo il
quod plerumque accidit. Per una motivazione più ampia
richiamo ciò che scrissi in Foro italiano 1994, I, 2624,
ed il disegno di legge n. 2844 che presentai il 29 maggio 1991
al Senato della Repubblica.
LIBRO III
DEL PROCESSO DI ESECUZIONE
Relazione introduttiva e proposte di modifica.
I. Quel che colpisce ogni operatore del diritto è la
macroscopica discrepanza tra scopo e risultato del processo
esecutivo. E' sotto gli occhi di tutti quanto grande sia lo
scarto tra il risultato economico del soddisfacimento del
diritto del creditore ed il sacrificio sopportato dal
debitore.
Ormai può dirsi che l'attuazione della sanzione esecutiva
obbedisce ad una logica penale più che a quella di carattere
satisfattivo.
Ciò dipende da un complesso di fattori, taluni
socio-economici, quali la marginalità del mercato interessato
ai beni da realizzare, talaltri dipendenti dall'impiego o meno
di messaggi pubblicitari idonei a provocare la domanda di
acquisto, o riconducibili alla tecnica delle vendite impiegate
(per incanto o per commissionario) o ancora alla capacità
delle organizzazioni intermediarie di raggiungere il
mercato.
E' un dato di fatto che il realizzo dei beni per pubblici
incanti, troppo sovente si riduce (sia che riguardi mobili o
immobili) a quel poco che residua ad indebiti accordi sotto
banco tra speculatori, che gareggiano senza scrupoli.
Il processo esecutivo, ancora all'alba del 2000, non
conosce altro tipo di mercato che quello anacronistico dei
pubblici incanti.
Ad essere vittime della distruzione di ricchezza non sono
solo i debitori, ma gli stessi creditori concorrenti ed il
grado con cui essi dovrebbero soddisfarsi secondo diritto. La
esecuzione è infatti dominata, in concreto, dalla logica del
prior tempore potior jure. Essa non conosce quegli
ammortizzatori che sono, ad esempio, propri della legislazione
concorsuale e che consentono di ottimizzare il sacrificio del
debitore al migliore risultato possibile per il creditore.
Così l'ordinario processo esecutivo non conosce la
eventualità di temporanee moratorie o di concordati (con
garanzia o con cessione dei beni, questa accompagnata o meno
dall'impegno di rilievo da parte dei terzi) e che siano
vincolanti per tutti. Tali correttivi sono abbandonati
all'eventualità di accordi stragiudiziali, in cui ciascun
creditore e talora lo stesso debitore hanno reciprocamente un
sostanziale diritto di veto e di condizionamento.
II. Oltre alle carenze di fondo, di cui si è sopra detto,
la discrepanza tra scopo e risultato del processo esecutivo è
notevolmente aggravata da una disciplina legislativa oltre
modo manchevole ed incoerente.
Non a caso, il decreto ministeriale ha assegnato a questa
commissione il compito non secondario di rivedere la normativa
del processo esecutivo che è stata perennemente trascurata dai
precedenti progetti, salvo quello Liebmann, intorno al quale
scrissi in Rivista di diritto processuale 1985, I,
pagina 89.
Le principali mancanze della normativa in vigore, si
possono così riassumere:
1) la parte generale (articoli 483-512) si riduce ad uno
schema articolato in poche norme, che contemplano una
disciplina sommaria ed incompleta dei più importanti nodi.
Quel che è opinabile è il coordinamento delle norme
generali con quelle speciali e di queste tra loro e la
organicità dell'intero corpus.
A questo riguardo, un aspetto quanto mai importante è dato
dalla medesima pluralità dei giudici d'esecuzione (il
tribunale per le espropriazioni immobiliari ed il pretore per
tutte le altre) che ha perso gran parte del suo significato
originario.
All'epoca dell'entrata in vigore del codice, la ricchezza
più importante era data da quella immobiliare e ciò era alla
base delle maggiori garanzie sottese alla competenza del
tribunale, per le stesse.
Al giorno d'oggi, invece, la ricchezza mobiliare ha
assunto una dimensione ed un ruolo sconosciuti a quell'epoca e
tali da non apparire inferiori a quella immobiliare.
Per contro, l'introduzione del giudice unico nei tribunali
rende meno percepibile una ipotetica maggiore garanzia
rispetto al pretore.
I più recenti progetti di legge concernenti la
espropriazione immobiliare tendono ad affidare le vendite
all'incanto ai notai, assegnando al giudice un ruolo
eventuale, per il caso in cui siano proposte delle opposizioni
(vedi disegno di legge n. 1054 Atto Senato, XII
legislatura).
La odierna crisi della giustizia civile ha fatto perdere
gran parte della originaria giustificazione della dicotomia
tra giudice d'esecuzione, competente per materia ratione
executionis, e giudice d'opposizione, competente per
valore, in ragione del credito contestato, con i lunghi
passaggi intermedi tra l'uno e l'altro, postulati
dall'articolo 615, secondo comma, del codice di procedura
civile.
La crisi soprattutto ha investito i tribunali che sono
divenuti sinonimo di minore efficienza e perciò di minori
garanzie di quelle offerte dal pretore.
E' del resto opinabile la identificazione del valore del
compendio espropriato con l'entità del credito, che di per sé
non è messa in forse dalla sorte del processo esecutivo.
Ispirata da queste considerazioni è stata la proposta
dell'autore, avanzata a suo tempo con il disegno di legge n.
2777 atto Senato della X legislatura, la quale ha mirato ad
unificare nel pretore il giudice, sia delle esecuzioni di ogni
tipo, sia delle opposizioni alla esecuzione e agli atti.
Una eccezione a questa regola potrebbe riguardare la
rivendicazione del terzo di cui all'articolo 619 del codice di
procedura civile.
2) Inadeguata appare per un verso la normativa esistente
in ordine alla possibilità di ricercare le cose da pignorare
(ed in particolare i valori mobiliari ed i conti bancari)
mentre è inutilmente severa verso il debitore, per quel che
riguarda i mobili usati, che arredano il domicilio domestico e
cioè, praticamente, la sala ed il tinello e che valgono poco o
nulla. La disparità di trattamento tra questi beni e, ad
esempio, gli elettrodomestici è quanto mai evidente.
La disciplina del pignoramento richiede, per altro, molte
integrazioni.
Il pignoramento mobiliare e presso terzi sostanzialmente
si riduce a quello delle cose che vengono occasionalmente
rinvenute presso il debitore (quali di fatto i pochi mobili
usati) o a quei valori che sono personalmente noti al
creditore procedente.
Il ventaglio delle possibilità di ricercare le cose da
pignorare offerto dall'articolo 513 del codice di procedura
civile è così modesto da condannare in partenza il creditore
ad essere in larga misura insoddisfatto.
Non deve sottovalutarsi che la nostra epoca, oltretutto, è
caratterizzata dal diffondersi del fenomeno fiduciario dei
valori mobiliari.
Il problema di fondo mi pare quello di attribuire
all'ufficiale giudiziario maggiori poteri di indagine
patrimoniale sul debitore, con possibilità di accesso (su
autorizzazione del giudice) alle informazioni di banche,
società finanziarie e fiduciarie. Una legislazione che
prevede indagini patrimoniali è, ad esempio, quella
francese.
La espropriazione dei mobili usati di arredo della casa
del debitore, prevista dall'articolo 514, primo comma, del
codice
di procedura civile di cui si disse, presenta costi elevati e
distrugge la ricchezza.
Alcuni anni fa il convegno di Viareggio, promosso dagli
istituti di vendite giudiziarie, stimò il ricavo di questo
tipo di realizzo nel 10 per cento del valore effettivo.
Quel che il creditore talora ritrae è solo il recupero
parziale del credito, sotto la minaccia di espropriare un bene
di valore affettivo.
Ciò, per altro, dà luogo a rinvii senza fine della
esecuzione, alla farsa delle vendite simulate e delle coeve
affittanze ed, infine, alla moltitudine di rivendiche ai sensi
dell'articolo 619 del codice di procedura civile con la
lievitazione del contenzioso.
Riduttivo per eccesso è anche l'articolo 514, primo comma,
numero 3), del codice di procedura civile.
Per quanto concerne la espropriazione immobiliare, il
differimento degli effetti del pignoramento alla successiva
trascrizione nei registri immobiliari consente al debitore, in
tale modo avvertito, di mandare ad effetto, nell'intervallo,
la alienazione del bene.
Sotto questo profilo appare meritevole di attenzione la
proposta avanzata dal punto 12, lettera c) del "progetto
Liebmann" di anticipare la trascrizione rispetto alla diffida
dell'ufficiale giudiziario al debitore, in cui si concreta il
pignoramento, a sensi dell'articolo 492 del codice di
procedura civile.
Il pignoramento e la espropriazione di quote di proprietà
indivisa e di società mancano di una disciplina, non
diversamente dalle universitates rerum. A proposito di
queste ultime non è condivisibile la proposta del "progetto
Liebmann" che, al punto 18, lettera b), prevedeva il
pignoramento dell'intera universitas, quando si
prospettava quello di un suo singolo componente.
3) L'attuale disciplina risente, poi, di un modello e di
una visione eccessivamente individualistici della
espropriazione, come se essa riguardasse solo il creditore
procedente ed il debitore esecutato e non anche gli altri
creditori.
Essa, in effetti, non prevede concrete iniziative che
portino in qualche misura a notizia del pubblico, l'inizio
della espropriazione e tanto meno "la prima udienza fissata
per l'autorizzazione della vendita o dell'assegnazione" che
gli articoli 525, 551 e 563 del codice di procedura civile
assumono alla base della distinzione tra interventi tempestivi
e tardivi.
L'avvio dell'espropriazione ed il giorno in cui si terrà
la prima udienza sopra indicata sono noti, sostanzialmente,
alla ristretta cerchia del creditore procedente. In assenza di
una pubblica notizia di tali avvenimenti, l'intervento dei
creditori è legato ad una casuale notizia, di cui essi possano
venire occasionalmente a giorno.
Appare poco giustificata, in un regime del genere, la
ratio che preferisce soddisfare il creditore che
interviene prima di tale udienza rispetto al pari grado che
interviene dopo. A maggior ragione è opinabile la norma che
accorda a chi interviene prima, il privilegio rispetto a chi
interviene dopo di partecipare alla espropriazione, quando
entrambi sono privi di titolo esecutivo.
A questo riguardo c'è da chiedersi che cosa significhi la
formula degli articoli 500, 526, 551 e 564 del codice di
procedura civile per cui l'intervenuto tempestivo privo di
titolo esecutivo partecipa all'espropriazione, ma non può
provocarne i singoli atti, mentre quello tardivo
parteciperebbe solo alla distribuzione.
Un sistema del genere è sostanzialmente basato sulla
occasionalità, con cui il creditore pari grado acquista
notizia dell'esistenza dell'espropriazione forzata ed,
all'interno di questa, del giorno in cui cade la prima
udienza.
Anche il creditore privilegiato rischia di essere escluso
dalla espropriazione forzata, se non partecipa alla stessa,
perché non ne è venuto a notizia.
Il codice in vigore non attribuisce al debitore, che non
sia anche imprenditore, alcuna iniziativa finalizzata al
soddisfo del complessivo ceto creditorio, quale ad esempio,
quello di offrire un concordato a tutti.
La eventualità di moratoria è abbandonata ad accordi
stragiudiziali, in cui ciascuno ha di fatto un reciproco
diritto di veto.
Il più grosso difetto della normativa è però quello che
essa non prevede un esame preventivo da parte del giudice
delle domande dei creditori intervenuti, così da limitare il
pericolo di un ingresso di pretese arbitrarie.
A questo proposito le vie praticabili sarebbero in teoria
due: o ammettere solo il creditore munito di titolo esecutivo,
come proponeva l'articolo 473 del progetto preliminare
Carnelutti, o, al contrario, ammettere l'intervento anche di
chi sia sprovvisto di tale: titolo e però organizzare, in
questo caso, la verifica degli intervenuti.
Il nostro codice, da un lato, ammette ad intervenire anche
i creditori privi di titolo esecutivo o addirittura di una
documentazione qualsiasi, dall'altro contempla un accertamento
solo posticipato e meramente eventuale dei crediti
nell'ipotesi di una contestazione.
Non è chi non veda come tale accertamento posticipato
rovesci la logica che è alla base del nostro sistema o
imperniata sul vaglio preventivo e sugli oneri di prova a
carico dell'autore della domanda (articolo 115 del codice di
procedura civile).
C'è da chiedersi che senso abbia pretendere tanto perché
un creditore si premunisca del riconoscimento del diritto,
prima di agire in executivis, per poi ammettere chiunque
a soddisfare le sue pretese in pregiudizio dell'esecutato,
senza neppure un vaglio tempestivo di un giudice.
Acquista perciò rilievo la esigenza di una organica
normativa che prevenga il pericolo di un ingresso di pretese
infondate e che tuttavia sono destinate a condizionare la
posizione delle parti nel corso del processo ed atteggiamenti
collusivi tra debitore e creditore, a danno degli altri.
4) Sotto più di un profilo appare anacronistica la
disciplina che riguarda la pubblicità e le vendite.
Non è dubbio che la pubblicità condiziona pesantemente il
buon fine del processo esecutivo ed il realizzo del
compendio.
L'articolo 490, primo comma, del codice di procedura
civile come pubblicità prevede che si dia avviso dell'atto
esecutivo mediante affissione per 3 giorni continui nell'albo
dell'ufficio giudiziario, che tuttavia nessuno legge.
Quanto agli immobili, il secondo comma prevede la
inserzione dell'avviso nel foglio degli annunzi legali della
provincia, che è letto da una ristretta cerchia di addetti ai
lavori.
La pubblicazione "una o più volte in determinati giornali
e, quando occorre, (...) con le forme della pubblicità
commerciale" (terzo comma dell'articolo 490) è prevista come
straordinaria.
La mancanza totale della pubblicità ordinaria è opponibile
ai sensi dell'articolo 617 del codice di procedura civile
mentre quella della pubblicità straordinaria, non dà luogo
neppure ad una opposizione agli atti esecutivi (Satta,
Commentario al codice di procedura civile, III, pagina
292; Cerino-Canova, Rilevanza della pubblicità
straordinaria in Giurisprudenza italiana 1983, I, 2, pagina
755; Cassazione civile 23 novembre 1985, n. 5826).
Quanto alla vendita forzata, devesi preliminarmente
ricordare che in generale l'articolo 503 del codice di
procedura civile dispone che essa può farsi con incanti o
senza incanti.
Per quella mobiliare, l'articolo 532 e seguenti prevede
che la vendita senza incanto è effettuata "per
commissionario", mentre per quella con incanti l'articolo 538
contempla che al secondo incanto è ammessa qualsiasi
offerta.
E' controverso se possono tenersi ulteriori incanti nel
caso che anche il secondo sia andato deserto (per
l'affermativa: Cassazione civile 6 ottobre 1958, n. 3113 ed
altre; Valcavi, Problemi attuali e prospettive di
riforma, 1994, pagina 245 e 267 e seguenti; Satta,
Commentario al codice di procedura civile III, pagina
297 e seguenti Bonsignori; Assegnazione forzata, pagina
179; per la negativa: Andrioli, in Commento del codice di
procedura civile, III, pagina 178; P. D'Onofrio, in
Giurisprudenza italiana 1956, I, 2, pagina 711 e seguenti).
La vendita immobiliare si tiene invece sulla base di
offerte di chi si candida all'acquisto in rialzo rispetto a
quello base, con successivi ribassi.
Un correttivo è costituito dall'articolo 554 del codice di
procedura civile che ammette offerte in rialzo, dopo l'incanto
positivo.
Le vendite mobiliari avvengono attraverso società private
distribuite sull'intero territorio nazionale (il cosiddetto
istituto di vendite giudiziarie) di cui non era prevista la
soppressione neppure dal "progetto Liebmann". Esse, con tutti
i loro difetti, hanno rappresentato un passo avanti rispetto
alla precedente prassi di vendita presso il domicilio del
debitore, da parte degli ufficiali giudiziari.
Le principali carenze della vendita forzata e segnatamente
di quella per incanti, sembrano da individuare nelle
seguenti:
a) il mercato espropriativo è contrassegnato da
una povertà di offerenti, dato che gli interessati
all'acquisto non sono raggiunti dalla pubblicità o da ricerche
personalizzate attraverso intermediari.
In questo contesto, la domanda di acquisto è monopolizzata
da pochi offerenti, non di rado senza scrupoli, che non
incontrano dei reali concorrenti o li stornano con accordi
sottobanco.
Non può parlarsi in tali condizioni di un mercato,
contraddistinto da regole spontanee, come mostra di credere il
nostro codice.
b) Il giudice non governa le vendite, ma dirige
solo una successione di atti formali e registra gli
esperimenti di vendita come un notaio. Egli, del resto, non
avrebbe neppure la professionalità specifica per le operazioni
commerciali e tuttavia la legge non gli affida un realizzo a
trattativa privata, mostrando diffidenza per eventuali
abusi.
c) Gli istituti di vendite giudiziarie
sostanzialmente coesistono con la gara di offerenti mossi solo
dalla auri sacra fames, in danno del povero, e sotto
questo profilo essi non danno quelle garanzie che pur nel
medioevo offrivano i monti dei pegni, come correttivo nella
lotta alle usure.
La odierna società post-industriale manca di quegli
strumenti che addirittura aveva l'età antica.
d) Il sistema delle vendite per incanto, in cui
gli offerenti si conoscono, si traduce in una serie di
esperimenti solo al ribasso e non anche al rialzo. Essi,
infatti, lasciano andare deserti gli incanti fino a quando
l'esperimento non raggiunge un prezzo di massima convenienza
per loro, e solo dopo che ha raggiunto quotazioni minime può
profilarsi un'offerta al rialzo.
La partecipazione di qualche offerente è per lo più
finalizzata solo a lucrare una differenza per desistere
dall'incanto.
In tal modo siamo in presenza di una parodia del
mercato.
e) Il nostro codice non prevede la collaborazione
del debitore, che è il principale interessato al migliore
realizzo, a differenza dell'articolo 52 della legge francese
sulla riforma delle procedure d'esecuzione.
Infatti l'articolo 579 del codice di procedura civile
esclude che il debitore possa partecipare come acquirente alle
aste immobiliari.
f) L'articolo 538, secondo comma, del codice di
procedura civile, per le espropriazioni immobiliari aggrava la
situazione prevedendo che il secondo incanto possa tenersi a
qualsiasi offerta, che costituisce un incentivo alla
diserzione del primo incanto.
g) Per contro la diffidenza del nostro legislatore
nei confronti dell'acquisizione di beni del debitore ha posto
limiti minimali non derogabili nella assegnazione (articoli
506, 538, secondo comma, 589 del codice di procedura civile)
eccessivi, mentre non contempla la possibilità di
un'aggiudicazione del compendio ad un prezzo ragionevole in
rialzo a favore del ceto creditorio.
E' controverso se una domanda di assegnazione possa essere
presentata anche dopo il secondo incanto andato deserto
(Bonsignori, opera citata 179, contra: Andrioli, opera
citata, locuzione citata).
h) L'istituto dell'amministrazione giudiziaria
(articolo 592 e successivi del codice di procedura civile)
sostanzialmente è desueto e non è utilizzato per le sue
potenzialità intrinseche di moratoria in attesa di un migliore
realizzo.
5) Il sistema delle opposizioni, regolato dagli articoli
615, 617 e seguenti, è limitato esclusivamente a temi di
decisione essenzialmente propri del processo di cognizione.
Tale è l'opposizione al precetto ed alla esecuzione
(articoli 615 e seguenti) ed alla rivendica del terzo
(articolo 619).
Appare invece sempre meno rilevante il rimedio
dell'opposizione agli atti esecutivi (articoli 617 e seguenti)
che concerne le "irregolarità formali" degli atti rispetto al
modello astratto previsto dal codice. Il breve termine
concesso per proporlo, sotto pena di preclusione, la
inappellabilità della decisione, l'orientamento affermatosi
nel giudizio di cognizione sulla sanatoria delle nullità,
suggeriscono di dare sempre meno rilievo a questo.
Per contro è assolutamente trascurato il problema di
finalizzare le doglianze e le impugnative delle parti sul
merito dei provvedimenti e così eventualmente di correggerli
per assicurare il migliore risultato della esecuzione. In
questo senso il "progetto Liebmann" ha offerto spunti
significativi.
III. Le proposte di modifica, che vengono qui formulate,
riguardano, soprattutto, una più razionale ed organica
disciplina della procedura nella sua parte generale (articoli
483 e 512 del codice di procedura civile).
In questa sede si dà adeguato spazio alle proposte di
modifica innovativa concernenti l'intero processo esecutivo e
che si applicano ad ogni tipo di espropriazione sia essa
mobiliare, immobiliare o presso terzi.
La tematica riguarda la individuazione del giudice
competente per ogni tipo di esecuzione e per la opposizione
alla stessa, qualunque sia il valore del credito, il concorso
dei creditori, la pubblicità della vendita, la vendita e
l'assegnazione, i nuovi istituti che si propogono, quali la
moratoria ed il concordato, anche da parte dell'esecutato
individuale, le opposizioni ed i reclami. Altre proposte sono
speciali, nel senso che esse attengono o alla espropriazione
mobiliare o presso terzi, quali le norme sulla ricerca delle
cose da pignorare e la impignorabilità di alcuni mobili o la
vendita e l'assegnazione di mobili dopo che sia andato deserto
il secondo incanto, o la procedura immobiliare, quale
l'approntamento della documentazione ipo-catastale ed il
pignoramento immobiliare.
Su un piano panoramico può dirsi che le proposte di
modifica riguardano da un lato le condizioni strutturali e
dall'altro la disciplina della procedura.
Quanto alle strutture si propone:
a) di semplificare la distribuzione della
competenza del giudice attribuendo al pretore anche quella per
le espropriazioni immobiliari, così facendone il giudice unico
per le esecuzioni in genere, con opportuna modifica degli
articoli 16, 17 e 484 del codice di procedura civile.
Ciò è giustificato, come si è detto, dallo sviluppo
assunto dalla ricchezza mobiliare, dalla mobilizzazione in
forme societarie della proprietà immobiliare, dalla crisi dei
tribunali e dalla istituzione del giudice unico.
Si propone di attribuire al pretore la competenza
ratione materiae delle opposizioni a precetto,
all'esecuzione ed agli atti, qualunque sia il valore del
credito, risparmiando i tempi lunghi della rimessione al
giudice di cognizione, con opportune modifiche degli articoli
480, terzo comma, e 615 del codice di procedura civile.
b) Per un futuro a tempi medio-lunghi si propone
la istituzione di un ufficio unico delle "esecuzioni e dei
fallimenti", composto da funzionari esperti in discipline
economiche e commerciali ai quali affidare la gestione
dinamica dell'esecuzione e non i soli adempimenti burocratici,
oggi pure assolti in modo lodevole dagli ausiliari del
giudice.
In questo caso, al giudice potrebbe essere riservata la
sorveglianza ed il controllo
preventivo e repressivo su reclamo delle parti. Ciò
postulerebbe una modifica dell'articolo 484 del codice di
procedura civile.
c) La organizzazione attuale preposta alle
vendite giudiziarie deve essere radicalmente rivisitata.
La privatizzazione in atto di questo servizio presenta le
gravi disfunzioni lamentate in precedenza, in ordine al modo
con cui si tengono le vendite ed alla qualità, in genere, di
chi vi partecipa.
Occorre fare ricorso alla esperienza collaudata di
istituti pubblici, quale il monte dei pegni di secolare
tradizione nel realizzo meno parassitario e così, quanto meno,
prevedere società preposte ai realizzi giudiziari con
partecipazione di capitale e di esperienza del monte dei pegni
e delle casse di risparmio. Occorre prevedere, altresì, un
inasprimento di sanzioni penali per le turbative di questo
tipo di mercato necessitato e sanzioni amministrative quali il
divieto per i soggetti condannati alla ulteriore
partecipazione alle vendite giudiziarie.
Quanto alla disciplina del processo si propone quanto
segue:
a) Di estendere la impignorabilità, così
modificando l'articolo 514, primo comma, numero 2, del codice
di procedura penale a tutti i mobili privi di pregio che
arredano la abitazione del debitore, per le ragioni di
politica legislativa a suo tempo affermate dalla legge n. 302
del 1971 per gli elettrodomestici.
b) Di attribuire agli ufficiali giudiziari, su
autorizzazione o ordine del giudice di esecuzione, poteri di
indagine patrimoniale sul debitore esecutato, con accesso ad
informazioni presso istituti di credito, organi delle
amministrazioni dello Stato, società finanziarie e fiduciarie.
Sul punto quinto il testo dell'articolo 513-bis del
codice di procedura civile. Anche altre legislazioni, quali,
ad esempio, quella francese, prevedono indagini di questo tipo
per rimediare alla casualità del rinvenimento delle cose da
pignorare che è alla base della infruttuosità dei
pignoramenti.
c) In materia di pignoramento immobiliare di
anticiparlo alla trascrizione del pignoramento rispetto alla
ingiunzione al debitore, come proponeva a suo tempo il
"progetto Liebman" per evitare disposizioni elusive,
nell'intervallo tra i due momenti.
d) Di snellire la ricerca e l'adempimento
degli atti e dei documenti ipocatastali, prevedendo che essi
possono essere surrogati da una dichiarazione notarile o,
ancora meglio, delegare tali incombenze al perito
successivamente incaricato della stima. Non si condivide la
scelta di affidare la dichiarazione del valore espropriando al
creditore medesimo, come è previsto da un recente disegno di
legge per le espropriazioni promosse dagli istituti di credito
a medio termine.
e) Per quanto riguarda le vendite forzate dei
beni (articoli 530, 534, 576 e seguenti del codice di
procedura civile) si auspica una modifica delle norme sulla
pubblicità nel senso di rendere necessaria la pubblicazione su
quotidiani provinciali o su fogli commerciali.
f) Si auspica una indicazione di preferenza
per la vendita per commissionario rispetto a quella per
pubblici incanti, la possibilità del ricorso ad intermediari
nella ricerca di offerenti e comunque di tener conto nella
normativa della esperienza commerciale.
In sede di incanti anche per i beni mobili, si propone di
modificare l'attuale disciplina nel senso che le offerte in
aumento o diminuzione rispetto al prezzo base siano avanzate
in busta chiusa e solo successivamente alla loro apertura sia
disposta la gara tra gli offerenti.
In questo senso si propone di estendere la normativa degli
articoli 571 e seguenti per le vendite senza incanto in campo
immobiliare, anche ai mobili, specie se riguardano
universitates rerum o juris.
g) Di eliminare la previsione che il nuovo
incanto dei mobili pignorati avvenga a qualsiasi offerta, ma
invece sulla base di un nuovo valore stabilito dal giudice,
così modificando l'articolo 538, secondo
comma, del codice di procedura civile e prevedendo altresì
esplicitamente che il giudice di esecuzione possa disporre
successivi incanti anche nel caso in cui il secondo sia andato
deserto finché ciò sia giustificato dalla iniziativa
dell'interessato creditore che deve sopportare anche gli oneri
economici dell'anticipo.
h) Per quanto attiene alla assegnazione in
genere si propone di modificare gli articoli 506, 535, secondo
comma, 538, secondo comma e 589 del codice di procedura civile
nel senso di codificare che, laddove i precedenti incanti
siano andati deserti, i creditori possano chiedere
l'assegnazione ad un valore inferiore ed in ogni caso
privilegiando l'esito positivo della procedura, raccogliendo
un antico suggerimento dell'autore in scritti ora raccolti in
"Problemi attuali e prospettive di riforma del processo
civile" Padova 1994, pagine 245, 257, 267, 275, 317 e
accolte dal punto 18, lettera h), del "progetto
Liebmann" che al riguardo parlò di una assegnazione
espropriativa.
i) Si avanza altresì la previsione che la
domanda di assegnazione del compendio possa essere avanzata da
più creditori o da cordate con impegno a soddisfare i crediti
privilegiati e quelli concorrenti pro-quota.
IV. Una particolare attenzione deve essere dedicata alle
proposte concernenti una più razionale disciplina riguardante
nuovi istituti quali "procedimenti eventuali su domanda del
debitore, cioè la moratoria, il concorso con garanzia di terzi
o con cessione dei beni".
A questo riguardo si deve dire quanto segue:
1) In materia di intervento dei creditori nella esecuzione
forzata si propone che il giudice dell'esecuzione, al momento
della consegna del fascicolo di esecuzione, abbia a fissare
con decreto il termine entro cui i terzi creditori possono
avanzare domande di intervento, e la udienza per l'esame delle
predette domande dando adeguata pubblicità a tale decreto sui
bollettini dei protesti e delle esecuzioni curate dalle camere
di commercio, industria, artigianato e agricoltura, ed
eventualmente su fogli commerciali.
In tal senso acquista un significato la distinzione tra
interventi tempestivi o tardivi ai fini della loro anteriorità
nel soddisfo e, più in generale, per rimediare alla pura
occasionalità con cui i terzi creditori vengono a notizia
della pendenza del processo esecutivo e della prima udienza
fissata per la vendita o per l'assegnazione.
E' previsto un vaglio da parte del giudice dell'esecuzione
delle domande di intervento sulla base della documentazione
allegata e delle risultanze delle prove, assunte in via di
cognizione sommaria. Il giudice, all'esito di tale esame,
ammetterà o escluderà il credito con provvedimento
provvisoriamente esecutivo e che costituisce titolo esecutivo
endo-processuale.
Ciò dà una logica alla previsione normativa che il
creditore intervenuto tempestivamente, anche se sprovvisto di
titolo esecutivo, partecipa all'espropriazione e può anche
provocare i singoli atti.
Si prevede un procedimento sommario e semplificato sulla
base della falsariga della verifica dei crediti nella
procedura fallimentare.
Contro il provvedimento l'interessato può proporre
opposizione davanti allo stesso giudice di esecuzione che
istruirà e deciderà senza rimetterla ad altro giudice.
Ciò dà luogo alle proposte di modifica degli articoli 499,
secondo comma, e 500, nonché alla introduzione delle
previsioni di cui agli articoli 499-bis, 499-ter e
499-quater.
2) Una serie di norme innovative vanno dedicate, secondo
l'autore, ai procedimenti eventuali su domanda del debitore,
quali la moratoria, il concordato con garanzia di terzi o con
cessione dei beni.
A questo riguardo si sottolinea quanto segue:
2a) La logica della moratoria - come si disse - è
di tipo analogo a quella dell'amministrazione controllata
fallimentare e della amministrazione giudiziaria di immobile
di cui all'articolo 592 del codice di
procedura civile della quale potrebbe rappresentare lo
sviluppo.
Può prevedersi che essa sia accordata al debitore che
dimostri di trovarsi in temporanee difficoltà e che entro un
termine ragionevolmente breve sarebbe in grado di estinguere
il debito, così da risparmiare il sacrificio di un realizzo
distruttivo ed affrettato dei suoi beni. Tale periodo può
essere contenuto nell'ambito di un anno. La moratoria,
ovviamente, comporta il divieto di intraprendere o proseguire
atti esecutivi e la sospensione delle prescrizioni e delle
decadenze.
Il debitore dovrebbe allegare alla domanda una dettagliata
situazione patrimoniale ed indicare quali e quando gli
perverrebbero i mezzi per far fronte ai debiti scaduti od
esigibili nel periodo. Il giudice d'esecuzione sentirà il
debitore ed i creditori che dovessero comparire e con il
provvedimento che dispone la misura, nominerà un commissario
che sorveglierà la evoluzione patrimoniale del debitore.
Non sembra esservi alcuna ragione per negare al privato
debitore (in questo senso è orientata la legislazione
svizzera) ciò che è consentito all'imprenditore.
A fronte di un sacrificio temporale nell'intraprendere gli
atti esecutivi, la moratoria assicura in anticipo una maggiore
informativa sulla consistenza patrimoniale del debitore e
quindi sui beni da assoggettare a pignoramento eventuale in
prosieguo, a questo fine utilizzando l'interesse del debitore
alla moratoria.
La sorveglianza del commissario assicura la garanzia di
una conservazione dei beni che rientrano nella responsabilità
patrimoniale generale, ai sensi dell'articolo 2740 del codice
civile.
Per la espropriazione immobiliare potrebbe anche reputarsi
bastevole una applicazione più intensa dell'istituto
dell'amministrazione giudiziale, estendendola alla proprietà
di aziende ed alle universitas rerum, come collezioni
et similia.
2b) In analogia alla legge fallimentare si propone
di introdurre, come ulteriore "procedimento eventuale", la
possibilità per il debitore di potere offrire il concordato
ordinario o concessione di beni, laddove l'attivo sia
insufficiente a coprire il passivo.
La utilità del rimedio per il debitore è quella di evitare
il protrarsi nel tempo di sbilanci patrimoniali passivi e per
i creditori di vedere soddisfatti con anticipo i loro diritti,
nel rispetto del loro grado.
L'istituto è caratterizzato dal fatto che tutti i
creditori sarebbero vincolati dalle decisioni prese e
rappresenta un mezzo di igiene e trasparenza economica.
Non v'è ragione di restringere agli imprenditori un
istituto di generale utilità.
In questo senso sono anche le previsioni di legislazioni
straniere.
Come si è detto, esso può essere di tipo ordinario o con
cessione dei beni.
Il debitore che voglia avvalersene è tenuto ad allegare
alla domanda la propria situazione patrimoniale e le eventuali
stime dei beni.
Il giudice d'esecuzione deciderà se prendere o meno in
considerazione la domanda e, in caso positivo, disporrà le
perizie, le moratorie provvisorie e nominerà un
commissario.
Lo stesso giudice inviterà, con pubblico avviso, i
creditori ad insinuare i loro crediti e fisserà un'adunanza
per le deliberazioni.
Egli omologherà le decisioni prese a maggioranza.
Il commissario eseguirà il concordato e, nel caso di
cessione dei beni, provvederà alla loro liquidazione, redigerà
piani di riparto provvisori e definitivi che, approvati dal
giudice, daranno luogo alla distribuzione dell'attivo, in via
provvisoria e definitiva.
Potrebbe essere previsto anche un concordato su domanda
dei creditori che vogliano, individualmente o in cordata,
rendersi cessionari. Alla moratoria sono dedicati gli articoli
512-bis e 512-ter, al concordato ordinario sono
dedicati gli articoli 512-quater e 512-quinquies,
ed al concordato con cessione di beni l'articolo
512-sexies.
V. Per quanto attiene alle opposizioni al precetto ed
all'esecuzione, si propone di conservare l'attuale disciplina
dell'articolo 615 e seguenti del codice di procedura
civile salvo la mancata rimessione al giudice competente per
valore, in relazione anche alla previsione che la materia
rientra nella competenza per materia del pretore. La struttura
e la disciplina della rivendica del terzo di cui all'articolo
619 del codice di procedura civile rimane inalterata.
All'opposto per quanto attiene all'opposizione agli atti
esecutivi, per le ragioni che si sono dette in precedenza, si
propone di introdurre il principio della revocabilità e della
modificabilità degli atti esecutivi preparatori, tesi a
sollecitare il migliore risultato del provvedimento
definitivo. In questo senso si privilegia l'esame
dell'idoneità e dell'opportunità di merito rispetto ad una
cognizione puramente formale dell'atto rispetto al modello
astratto. I provvedimenti terminali del processo esecutivo,
quali la vendita e l'assegnazione, il provvedimento che forma
lo stato passivo (e così ammette od esclude i crediti) quello
che omologa la moratoria, il concordato preventivo con
garanzia di terzi o con cessione del bene, sono impugnabili
con reclamo al tribunale, che decide in camera di
consiglio.
Su questo punto si vedano gli articoli 617-bis e 618
del codice di procedura civile.
CRITERI DIRETTIVI PROPOSTI
La disciplina del processo esecutivo va ispirata ai
seguenti criteri:
a) Prevedere nella parte generale una disciplina
più completa ed organica di quella esistente ispirata alla
maggiore semplicità. Essa concerne norme integrative sulla
ricerca delle cose da pignorare, sulla vendita e
l'assegnazione di cose mobili, sull'intervento dei creditori,
sulla introduzione della moratoria del concordato e la
reclamabilità dei più importanti provvedimenti del giudice.
b) Estendere la impignorabilità a tutti gli arredi
domestici senza distinzione e privi di pregio.
c) Attribuire agli ufficiali giudiziari il potere
di indagine patrimoniale sul debitore dietro disposizione del
giudice di esecuzione.
d) Anticipare gli effetti del pignoramento
immobiliare alla trascrizione rispetto alla ingiunzione al
debitore.
e) Delegare al perito la ricerca della
documentazione ipo-catastale.
f) Aggiornare al mercato odierno le norme sulla
pubblicità delle vendite forzate.
g) Prevedere che le offerte all'incanto, anche per
i mobili, siano fatte in busta chiusa, con successiva gara.
h) Eliminare la previsione che il secondo incanto
mobiliare avvenga a qualsiasi offerta ed, all'opposto,
prevedere la successione di incanti, su domanda ed anticipi a
carico del creditore.
i) Abbassare il prezzo minimo di assegnazione dopo
che sono andati deserti gli incanti.
l) Regolare in modo compiuto l'intervento dei
creditori con la previsione di un termine perché l'intervento
sia tempestivo, ed il successivo vaglio del giudice ed
ammissione del credito con provvedimento da considerare titolo
esecutivo endo-processuale.
m) Introdurre l'istituto di una moratoria
temporanea del debitore e la relativa procedura.
n) Prevedere la introduzione del concordato con
garanzia di terzi e con cessione dei beni.
o) Introdurre la reclamabilità nel merito dei
provvedimenti del giudice di esecuzione al tribunale che
pronuncia con rito camerale, in materia di vendita ed
assegnazione del compendio pignorato, omologa della moratoria
e del concordato, del provvedimento di estinzione del
processo.