PROGETTO DI LEGGE - N. 1888




        Onorevoli Colleghi! - Il processo civile sta attraversando nel nostro Paese una difficile crisi, che ha condotto recentemente uno scrittore a parlare di "lunga agonia del processo civile" (G. Costantino, Foro Italiano, 1995, pagina 321 e seguenti).
        Alla base vi sono cause essenzialmente organizzative, data la lievitazione della litigiosità, seguita all'aumentato benessere della società post-industriale e all'accesso delle classi popolari al servizio della giustizia civile.
        Gli organici della magistratura sono invece rimasti pressoché fermi dal 1940 ad oggi, mentre è notevolmente diminuito l'orario di lavoro.
        I più recenti modelli adottati dal legislatore hanno inteso porre rimedio con l'abbassare il livello della qualità del servizio e ciò è avvenuto con l'introduzione del giudice di pace, e la soppressione della collegialità dei tribunali e dell'effetto sospensivo dell'appello, che hanno condotto ad una lunga astensione dei ceti forensi dalle udienze civili.
        Questi hanno preso consapevolezza della centralità del loro ruolo: la nascita in tutto il Paese delle camere civili e le preoccupazioni manifestate al loro IV Convegno nazionale, tenutosi a Milano il 2 e 3 giugno 1995, ne sono un tipico esempio.
        Il 1^ dicembre 1994, un decreto del Ministro di grazia e giustizia, nell'intento di ovviare alla crisi in atto, ha istituito una commissione composta da docenti, magistrati e avvocati, presieduta dal professor avvocato G. Tarzia. Il compito assegnatole è stato quello di approntare un progetto di riforma. Essa sta concludendo in queste settimane il proprio lavoro. L'opera della commissione è stata travagliata sin dall'inizio, perché è coincisa con l'entrata in vigore del giudice di pace e l'astensione dalle udienze di cui si è detto.
        E' per altro dubbio che il progetto che sortirà dai suoi lavori abbia a raggiungere l'obiettivo assegnatole, atteso che la stessa si è impegnata in un lavoro di perfezionamento dell'esistente, secondo le tendenze in essere.
        La riconducibilità di alcune norme controverse, quali ad esempio l'articolo 186-quater, a suggerimento di alcuni suoi commissari, ha provocato la più aperta contrarietà dei maggiori processualisti, espressa in un manifesto (pubblicato su Il Sole-24 Ore del mese di agosto 1995).
        Si va sempre più diffondendo la consapevolezza nel Paese che le tendenze in atto conducono a quello che è stato definito "un processo incivile" (Foro italiano, 1995, vedi pagina 225) e che occorre fermare il degrado e tornare ad un profilo alto di valori.
        In questo senso le conclusioni del XXIII Congresso nazionale giuridico forense tenutosi a Maratea il 6-10 settembre 1995, costituiscono un momento importante.
        In questi ultimi tempi un significativo contributo di studi e proposte nell'ottica del superamento della crisi della giustizia civile, per nostro fermo convincimento, è stato avanzato da un eminente avvocato, che già sedette operosamente, sia pure per breve periodo, in un'Aula parlamentare e che è stato chiamato a comporre la commissione ministeriale. Trattasi del presidente della camera civile di Varese, l'avvocato Giovanni Valcavi, che nel lavoro ha riassunto la sua lunga esperienza. Le proposte offerte si basano su una forte semplificazione e su un notevole snellimento delle procedure e su un potenziamento delle strutture. Codeste linee hanno incontrato, al Congresso di Maratea, l'adesione di numerosi delegati di importanti ordini forensi, quali Milano, Torino, Padova, Rimini, Savona, Pisa, Trani, Salerno, Caltagirone, Vallo di Lucania, Varese, Busto Arsizio, Monza, Barcellona-Pozzo di Gotto.
        I proponenti condividono appieno le motivazioni e le proposte e fanno proprio il progetto che fu pubblicato nel 1995 per i tipi della CEDAM e su importanti riviste.
        Essi sono convinti che occorre ripensare alle linee del processo civile in un'ottica di grande semplificazione, nel mantenimento delle garanzie ineliminabili che danno ad esso un senso ed, altresì, che occorre compiere un grosso sforzo per superare quelle resistenze che mettono a rischio la conservazione, a disposizione del comune cittadino, della giustizia civile.


CODICE DI PROCEDURA CIVILE

LIBRO I

DISPOSIZIONI GENERALI

Relazione introduttiva e criteri direttivi delle proposte di
modifica.

        1. Da anni il Paese ha acquisito la consapevolezza che la grave crisi del processo civile ha cause essenzialmente organizzative. L'incremento della litigiosità dall'entrata in vigore del codice nel 1942 al 1982 era stimata intorno al 300 per cento con aumenti significativi negli anni posteriori.
        Questo fenomeno trova la sua origine nello sviluppo economico del Paese (basti pensare agli indici della circolazione stradale) e nell'accesso dei numerosi ceti popolari al servizio della giustizia. L'organico complessivo degli addetti "alla giustizia civile e penale" è tuttavia rimasto fermo intorno a poco più di 6.000 giudici ed è assolutamente inadeguato rispetto all'aumento della domanda di giustizia.
        Operando un confronto con Paesi a noi vicini (delle nostre dimensioni) si nota che la Germania ha un numero di giudici più che doppio. Procedendo all'analisi di qualche dato, con riguardo al periodo si rileva che i processi di nuova formazione annua (cosiddetti "sopravvenuti") di primo grado erano pari a 951.000 (cioè il 17 per mille abitanti) e quelli pendenti, cioè comprensivi dell'arretrato, erano 1.885.000 (pari a 34 per mille abitanti).
        Il carico medio, nel quinquennio, dei processi sopravvenuti era intorno a 703 per ogni pretore ed a 287 per ogni giudice di tribunale (come se questo fosse già organizzato sulla base del giudice unico), mentre quello dei processi pendenti era intorno a 946 per ogni pretore ed a 871 per ogni giudice di tribunale.
        La quantità dei processi che "si esaurisce" ogni anno (con o senza decisioni) è sotto il livello di quelli che sopravvengono e così l'arretrato è in continuo incremento. Nelle preture il 50 per cento dei processi esauriti è definito con decisione, ma nei tribunali solo il 35 per cento, mentre nelle corti d'appello la percentuale sale all'80 per cento.
        Appare perciò oltremodo modesta, nelle attuali condizioni, la capacità dei nostri organi giudiziari di esaurire con decisioni i processi civili.
        All'inadeguatezza degli organici si devono aggiungere le altre gravi carenze organizzative, quali una scarsa razionalizzazione del lavoro, la mancanza di effettivi controlli sulla durata, sull'osservanza del rispetto dell'orario di lavoro, sulla produttività e l'indebolimento del potere gerarchico dei capi degli uffici.
        A livello del Consiglio superiore della magistratura manca perfino un ufficio "tempi e metodi". Gli stessi dati quantitativi sono scarsamente conosciuti o lo sono in modo inadeguato e le varie riforme avviate, o anche solo progettate, non sono precedute da stime anche solo approssimative sulla distribuzione del carico di lavoro tra i vari uffici e su una simulazione dei loro effetti.
        Una riprova al riguardo è data dalla tendenza codificata dalle norme transitorie (così l'articolo 90 della legge n. 353 del 1990) a prevedere che le procedure proseguano presso gli uffici di originaria appartenenza, anche se divenute di importanza bagatellare.
        Norme di questo genere fanno concludere che le riforme avviate non sono destinate a deflazionare il carico eccessivo di contenzioso dei vari uffici e ciò continuerà per molti anni, fino all'esaurimento dell'arretrato.
        2. Una situazione così grave richiede anzitutto un adeguamento degli organici e una sollecita copertura dei posti relativi, come misura prioritaria.
        Tuttavia essi incontrano ormai, da anni, le resistenze dello spirito corporativo degli organismi associativi dei giudici.
        In questo senso vanno lette le resistenze a misure che favoriscano l'accesso alla magistratura di appartenenti alle professioni legali (sulla base dei buoni risultati di analoghi rimedi esperiti a suo tempo dai Guardasigilli Mortara e Togliatti).
        La conseguenza di questo stato di cose è che gli organici sono fermi a livello dei decenni scorsi ed il reclutamento è limitato a giovani "al primo concorso ed al primo impiego", pressoché digiuni delle complesse vicende della vita, come un ex Presidente della Repubblica ebbe a denunciare.
        La selezione avviene attraverso esami nozionistici in materie non sempre attuali, senza un preventivo esame psico-tecnico attitudinale, per saggiare la dote di equilibrio così preziosa nel giudice, come avviene nelle nostre imprese.
        La tendenza del legislatore è stata sin qui quella di ricorrere ad espedienti quale quello di affidare il delicato ufficio "del giudicare" a giudici di seconda mano, cioè a persone anziane anche se volonterose (in buona parte pensionati) che ormai serbano lontani ricordi della preparazione universitaria, con esperienze recenti estranee all'attività giudiziaria e con un compenso a cottimo oltremodo modesto.
        L'esempio emblematico al riguardo è costituito dai giudici di pace di cui alla legge 21 novembre 1991, n. 374, di cui si tratterà in seguito. La stessa strada è stata percorsa recentemente dal decreto-legge 21 aprile 1995, n. 121, con i recenti provvedimenti che costituiscono il riconoscimento dell'impotenza dello Stato e della mancanza di volontà politica di fronte alle resistenze sopra accennate, malgrado le più pessimistiche previsioni sulla sorte della giustizia civile.
        Tale significato hanno le misure estemporanee ed avvilenti della giurisdizione, quale l'istituzione di un ufficio-stralcio per i processi pendenti, l'attribuzione dell'imponente arretrato (pari a 800 processi per ogni pretore e giudice di servizio) solo alla metà dei magistrati, ricorrendo alla loro integrazione con vice-pretori onorari, cui non si offrono prospettive di carriera ad una adeguata remunerazione, che si pensa di reclutare dalle professioni legali.
        Lo Stato qui fa leva sullo spirito di servizio dei professionisti, ma non tanto da favorire il loro accesso alla magistratura, che rimane quindi un ortus clausus di giovani "al primo impiego", dopo un esame nozionistico.
        Il carico di lavoro pro capite, a seguito di questi provvedimenti, (incidendo su metà degli organici) è destinato a raddoppiare e con esso i tempi lunghi della giustizia civile.
        Un altro espediente estemporaneo è costituito dalle norme della legge n. 353 del 1990, che hanno soppresso la collegialità nei tribunali ed hanno imposto la esecutorietà delle sentenze di primo grado. Per colmo della sorte e come contropeso ad un sommario giudizio di primo grado, sono state previste la trattazione e la istruttoria collegiale in appello, prestando ossequio alle ricorrenti aspirazioni ad un processo orale e concentrato, lontano dalle risorse disponibili. Codeste misure si sostanziano in un diniego di giustizia da un lato e in uno spreco privo di senso, dall'altro, perché esse intervengono, oltre tutto, dopo che la sentenza di primo grado è esecutiva o addirittura è già stata eseguita.
        3. In genere si avvertono (secondo l'opinione dello scrivente) le seguenti esigenze in materia di strutture giudiziarie:

            l'adozione di criteri razionali nella distribuzione del carico di lavoro in essere (non solo di quello di nuova formazione), così modificando le norme transitorie;

            la ridefinizione delle circoscrizioni territoriali dei giudici di pace, dei pretori e dei tribunali, sulla base della popolazione che viene servita;

            la riduzione dell'eccessiva competenza dei giudici di pace e la modifica dei loro requisiti così da favorire l'accesso a giovani laureati alla ricerca di un lavoro desiderabile anche attraverso incentivi di carriera;

            la valorizzazione del pretore ampiandone la competenza;

            la conservazione delle garanzie della collegialità e dell'effetto sospensivo dell'appello.

        Soprattutto per far fronte alla grave crisi presente nella giustizia civile, occorrono misure straordinarie di ampliamento degli organici e di mobilitazione dei professionisti legali (attraverso concorsi riservati) per la loro copertura.
        Ove si perseveri nelle attuali condizioni si accentuerà la fuga dalla giustizia pubblica in direzione di quella privata e così degli arbitrati con grave compromissione di una funzione fondamentale dello Stato.

        4. Alle misure organizzative concernenti le strutture giudiziarie sopra descritte, occorre accompagnare il ripensamento di alcune scelte di fondo del codice in vigore e l'adozione di misure innovative su taluni problemi nodali.
        La attuale disciplina dell'astensione e della ricusazione del giudice civile (quest'ultima è affidata agli altri componenti del medesimo tribunale) offre scarse garanzie alle parti e non risponde alle attese di garanzia dall'imparzialità del giudice. Ognuno avverte che la legge sulla responsabilità civile del giudice, ormai, è un ricordo del passato.
        Il rimedio va rinvenuto nel sintonizzare le norme del codice di procedura civile con quelle in atto nel processo penale (articoli 36, comma 1, lettera h), e 40 del codice di procedura penale).
        Il sistema introduttivo della novella si basa su un insieme rigido di "preclusioni", non solo a proporre domande ed eccezioni nuove, ma anche a produrre documenti e dedurre istanze istruttorie, la cui esistenza e decisività siano state scoperte dopo che è maturata la preclusione.
        L'estensione delle preclusioni appare eccessiva considerando che le stesse costituiscono l'espressione di una logica penale che va in direzione opposta allo scopo tipico del processo.
        Le "preclusioni" (come a suo tempo rilevò il Calamandrei) obbligano il difensore ad indovinare le mosse della controparte. Appare per altro problematico che esse producano i risultati attesi. Un'alternativa più incisiva rispetto ad un tale sistema, sembra una scelta che privilegi opzioni più liberali e meno rigide in fatto di preclusioni (quanto meno a produrre e dedurre istanze istruttorie) e tuttavia sia controbilanciata dall'onere, posto a carico di chi se ne giova, di rimborsare (indipendentemente dalla soccombenza) le spese ripetibili ed irripetibili che "inutilmente" ha fatto sopportare alla controparte.
        Essa rappresenterebbe un disincentivo assai più efficace, perché opera in concreto sugli interessi delle parti e così sulla distribuzione delle spese; attraverso la modifica dell'articolo 92 del codice di procedura civile.
        Il problema di fondo, nelle odierne condizioni e stante la lunga durata attuale delle procedure, è quello di operare una scelta in ordine a quali interessi delle parti si intendono privilegiare: se cioè l'interesse ad una pronuncia "di merito" in termini ragionevoli, anche a costo di sacrificare alcune "coerenze" concernenti il rapporto processuale o gli interessi delle parti al rigoroso rispetto di queste ultime. Torna qui a proposito l'antico apoftegma che "il meglio è nemico del bene";
        Ad avviso dell'autore di queste proposte bisogna porsi l'obiettivo di semplificare al massimo le regole procedurali e di evitare ogni tentazione che faccia perdere tempo, pur nella salvaguardia delle fondamentali garanzie della giurisdizione (giudice collegiale nei tribunali ed effetto sospensivo dell'appello). Questa esigenza di semplificazione induce, ad esempio ad uniformare la disciplina delle varie forme di incompetenza ed a prevedere che i provvedimenti che dichiarano la incompetenza, la litispendenza, la continenza e la connessione siano dati con ordinanza invece che con sentenza impugnabile.
        La stessa esigenza suggerisce la soppressione del regolamento facoltativo di competenza di cui all'articolo 43 del codice di procedura civile e del conflitto di competenza di cui all'articolo 45 del medesimo codice.
        Nei casi sopra indicati, infatti, l'impugnabilità della sentenza allontana la decisione di merito a tempi indefiniti, senza un apprezzabile interesse.
        Per la stessa ragione sembra preferibile che anche una pronunzia che non esaurisca il processo sia data in forma di ordinanza e non di sentenza, così modificando l'articolo 279, secondo comma, numero 4) del codice di procedura civile.
        Oggi l'attività delle parti nella trattazione della causa appare molto disordinata e si traduce in una serie infinita di rinvii per ottenere dal giudice l'autorizzazione a scambiare "scritti" difensivi.
        Sembra opportuno che la stessa legge fissi l'alternanza delle cadenze per lo scambio di scritti difensivi, e che i difensori se li possano scambiare anche via fax.
        E' ragionevole ridurre la presa di contatto con il giudice a quando sorge l'esigenza che lo stesso adotti un provvedimento, vuoi per ammettere le prove, vuoi per fissare l'udienza di discussione della causa.
        Ragioni di economia inducono a conservare la reclamabilità al collegio dei provvedimenti dell'istruttore in materia di prove (nei tribunali) e ad estenderla contro le ordinanze erronee di interruzione o di sospensione del processo.
        La disciplina delle notifiche degli atti giudiziari va integrata con norme suggerite dall'esperienza.

CRITERI DIRETTIVI PROPOSTI

        La disciplina deve essere improntata ai seguenti criteri:

1. Sulle strutture giudiziarie in genere.

        Va rifatta la geografia giudiziaria, prevedendo che ad ogni giudicatura di pace corrisponda in via di massima una popolazione intorno ai 20.000 abitanti, ad ogni pretura una popolazione intorno agli 80.000 abitanti e che ogni circondario di tribunale abbia una estensione corrispondente alle odierne province, salvo il caso che essa superi un milione di abitanti, nel qual caso ci sarà un circondario per ogni milione di abitanti o frazione residua superiore ai 500.000 abitanti.

2. Sui diversi giudici:

                a) limitare la competenza per valore del giudice di pace a lire 5.000.000 sopprimendo le maggiori previsioni e la giurisdizione penale. Stabilire tra i vari requisiti che il giudice di pace non deve avere un'età superiore a 40 anni e deve essere eletto dagli elettori compresi nel comune della giudicatura o dai consigli comunali rispettivi. Norme di cui si propone la modifica: articolo 7 del codice di procedura civile, l'articolo 4, comma 1, e 5, comma 1, lettera a), della legge 21 novembre 1991, n. 374;

                b) ampliare la competenza per valore del pretore a lire 50 milioni, quella per materia alle controversie in tema di regolamento di confini, di diritti di uso, di usufrutto, di servitù e di usucapione. Estendere la competenza per materia anche agli appelli contro le sentenze del giudice di pace, sottraendole ai tribunali, nonché fare del pretore il giudice unico di tutte le espropriazioni, comprese le immobiliari, le opposizioni a precetto, agli atti esecutivi, all'esecuzione, all'opposizione di terzo, qualunque ne sia il valore. Norme di cui si propone la modifica: articoli 8, 16 e 17 del codice di procedura civile;

                c) per i tribunali, ripristinare la precedente articolazione tra giudice istruttore e collegio, con soppressione del giudice unico di tribunale. Prevedere che il presidente del tribunale, nelle cause da lui rite nute particolarmente importanti o delicate, su istanza di parte possa disporre che la trattazione, l'istruzione e la discussione avvengano avanti l'intero collegio. Sottrarre al tribunale la competenza a decidere sugli appelli contro la decisione del giudice di pace e quella sulle querele di falso. Norme di cui si propone la modifica: articolo 9 del codice di procedura civile; articolo 90 della legge n. 353 del 1990;

                d) affidare anche le cause arretrate al giudice competente secondo le nuove regole, salvo il caso che quello precedente abbia provveduto sui mezzi di prova o la causa sia in fase conclusiva.

3. Sulla disciplina dell'astensione e della ricusazione:

            a) estendere l'obbligo dell'astensione del giudice al caso in cui abbia manifestato prima della decisione, senza esservi tenuto, il proprio convincimento sui fatti oggetto della causa;

            b) prevedere che sulla ricusazione del giudice di pace decida il pretore, su quella del pretore decida il tribunale, su quella di un giudice o dell'intero tribunale decida la corte d'appello, su quella del giudice d'appello o di Cassazione decida una sezione diversa da quella di sua appartenenza.
        Norme di cui si propone la modifica: articoli 51 e 53 del codice di procedura civile, in sintonia con gli articoli 36 e 40 del medesimo codice.

4. Sulla disciplina delle modificazioni della competenza, delle pronunce in materia di incompetenza e dei regolamenti di competenza.

        Sembra ragionevole prevedere:

            a) un uniforme momento preclusivo sia per l'eccezione sia per il rilievo d'ufficio della incompetenza per materia, valore e territorio, anche nei casi previsti dall'articolo 28 del codice di procedura civile;

            b) estendere a tutte le ipotesi di eccezioni di incompetenza, l'onere di indicare il giudice ritenuto competente e la possibilità che l'attore vi aderisca. In questo caso il provvedimento del giudice deve rivestire la forma di ordinanza e non di una sentenza impugnabile;

            c) escludere che il giudice, nel caso di una eccezione di compensazione ai sensi dell'articolo 35 del codice di procedura civile debba rimettere la causa a quello che sarebbe competente per il maggior valore del contro-credito;

            d) prevedere che le pronunce di litispendenza e continenza di cui all'articolo 39 del codice di procedura civile nonché quella di connessione di cui all'articolo 40, siano date con ordinanza e non con sentenza impugnabile;

            e) sopprimere il regolamento facoltativo di competenza di cui all'articolo 43 del codice di procedura civile e del conflitto di competenza di cui all'articolo 45 del medesimo codice;

            f) prevedere che la pronuncia sulla competenza di cui all'articolo 44 del codice di procedura civile e quella sul regolamento di competenza di cui all'articolo 49 del medesimo codice, operino anche in un nuovo processo che sia introdotto tra le stesse parti dopo l'estinzione di quello in cui sono state adottate.


5. Sulla disciplina in materia di notifica:

            a) estendere la competenza a notificare gli atti per posta ad ogni ufficiale giudiziario, anche indipendentemente dall'ufficio e dalla circoscrizione cui è addetto;

            b) estendere la possibilità di notifica alle persone fisiche anche sul luogo di lavoro e per le società e persone giuridiche anche al portiere dello stabile, se pur non dipendente;

            c) prevedere che la notifica a mani di estranei avvenga in busta chiusa;

            d) sopprimere la necessità del doppio accesso per l'affissione dell'avviso di deposito alla casa comunale ai sensi dell'articolo 140 del codice di procedura civile;

            e) sopprimere la necessità della notifica al pubblico ministero per i militari in servizio, limitandola alla consegna al comandante del corpo. Norme di cui si propone la modifica: articoli 137, secondo comma; 139, primo e secondo comma; 140; 145 e 146 del codice di procedura civile.


LIBRO II

DEL PROCESSO DI COGNIZIONE

TITOLO I

DEL PROCEDIMENTO
DAVANTI AL TRIBUNALE

Relazione introduttiva e criteri direttivi delle proposte di
modifica.

        Le maggiori crepe della giustizia civile sono emerse nei processi avanti i nostri tribunali e si sono manifestate nello spreco di attività processuale e nell'eccessiva durata dei procedimenti, che è stata censurata anche a livello internazionale.
        Un intervento finalizzato a recuperare snellezza e tempi morti delle procedure può sensibilmente migliorare lo stato presente.
        Alla base di lungaggini e di carenze di razionalità delle nostre procedure, possono porsi, tra gli altri, i seguenti fattori:

            1) il sistema della citazione ad udienza fissa ad iniziativa delle parti sulla base del calendario giudiziario annuo delle prime udienze, che determina l'accumulo di una grossa quantità di procedure per i giudici, al di fuori di qualsiasi programmazione ed organizzazione di lavoro;

            2) una concezione ed attuazione distorta dell'oralità della trattazione, di cui all'articolo 180 del codice di procedura civile, che si traduce nella partecipazione ad udienze avanti il giudice solo per ottenere l'autorizzazione e scambiare memorie scritte, con grosse perdite di tempo per tutti;

            3) la mancanza di una direzione efficiente del processo da parte dell'istruttore, su cui faceva leva l'articolo 175 del codice di procedura civile e che a causa della mole e, sovente, della relativa conoscenza della causa, indulge ai continui rinvii richiesti dai patroni e che sono causa di dispersione del processo;

            4) una eccessiva tutela formalistica delle regole puramente procedurali che emerge dall'adozione di sentenze impugnabili, con conseguenti lunghi intervalli di procedure di impugnazione, per decisioni riguardanti il processo e non il merito (è il caso delle pronunce di continenza di cui all'articolo 39, secondo comma, e della connessione di cui all'articolo 40, primo comma, del codice di procedura civile);

            5) l'accavallarsi e sovrapporsi di una pluralità di mezzi di impugnazione avverso decisioni che attengono solo alla procedura, come i regolamenti di competenza e gli appelli ordinari rimessi alla pura discrezione delle parti;

            6) il fatto che la scelta dell'udienza finale di conclusione della procedura sia rimessa alla pura discrezione del giudice onerato della stesura della pronunzia, al di fuori di qualsiasi controllo programmatorio del lavoro da parte dei suoi superiori;

            7) la indulgenza a proposito dei "nova", di deduzioni istruttorie e di produzioni documentali nuove, che rimettono in discussione il thema decidendum ed il thema probandum e l'ordine nel processo;

            8) più in generale il fatto che una volta introdotta la procedura questa è destinata a perpetuarsi senza la previsione di adeguate e razionali cause di perenzione, così ingigantendo il carico dei processi pendenti ed, in definitiva, l'arretrato.

        La legge n. 353 del 1990, in alternativa ad un ineludibile adeguamento degli organici alle dimensioni della litigiosità, ha creduto di imprimere una maggiore celerità al processo, attraverso misure che ne hanno radicalmente mutato la fisionomia garantista, come intesa da sempre.
        In tale ottica:

                a) ha soppresso la collegialità a favore del giudice unico (articolo 190-bis del codice di procedura penale) con esclusione di alcune cause, come gli appelli, dove la trattazione e la istruttoria sono previste svolgersi avanti l'intero collegio (articolo 48, secondo comma, del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12);

                b) ha soppresso l'effetto sospensivo dell'appello a favore della esecutorietà immediata della decisione di primo grado (articolo 282 del codice di procedura civile);

                c) ha abolito la reclamabilità al collegio delle ordinanze di ammissione o meno delle prove (articolo 178 del codice di procedura civile);

                d) ha soppresso i "nova" ed ha introdotto pesanti preclusioni, in concomitanza con gli scritti difensivi iniziali, anche in materia di deduzioni istruttorie e di produzione di documenti, subordinandone la interazione all'autorizzazione del giudice (articoli 183, quinto comma, e 184 del codice di procedura civile);

                e) ha ammesso la ordinanza di pagamento delle somme non contestate (articolo 186-bis del codice di procedura civile) e la ingiunzione di pagamento, in corso di causa (articolo 186-ter del codice di procedura civile).

        Si dissente radicalmente dal modo di vedere accolto dal legislatore nel 1990, influenzato da una concezione che indulge a misure sanzionatorie comportanti, per le parti, il sacrificio di garanzie che sono la espressione di fondo della giurisdizione.
        Tale concezione sacrifica l'obiettivo di una decisione giusta rispetto a quella affrettata su un thema decidendum che presenta (a causa delle preclusioni) un grosso margine di non rispondenza, rispetto al fatto che è alla base delle ragioni fatte valere.
        Rimane tuttavia una grossa perplessità che il modello accolto dalla legge n. 353 del 1990 sia idoneo ad assicurare un processo celere, così che i costi dei grossi sacrifici imposti alle parti siano compensati dal risultato. Infatti i fattori di ritardo di cui si è riferito, permangono in larga misura, quali l'accumulo di un carico di lavoro sui giudici al di fuori di una programmazione, l'eccessiva tutela formalistica di regole puramente procedurali, il sovrapporsi di mezzi di impugnazione, con lunghi intervalli di tempo per questioni attinenti alla sola procedura, e la mancanza di un razionale sistema di cause di perenzione.
        La introduzione del giudice unico, a spese della garanzia collegiale, induce a non nutrire eccessive speranze di recupero di energie giudiziarie nella definizione delle liti. I dati statistici relativi al giugno 1994 ipotizzano un carico di lavoro medio pro-capite di un ipotetico giudice unico di tribunale sull'intero territorio nazionale di 1.180 processi pendenti e di oltre 350 processi sopravvenuti ogni anno (uno al giorno, comprese le domeniche).
        L'ipotetico vantaggio conseguente alla esecutorietà della decisione di primo grado è neutralizzato dallo spreco dell'attività processuale conseguente alla prevista trattazione ed istruttoria davanti all'intero collegio del giudice d'appello, malgrado che la revisione abbia a riguardare una decisione per lo più eseguita.
        La mancanza di reclamabilità dell'ordinanza ammissiva o meno di prove fa sì che al momento della decisione di merito essa sia condizionata dalle risultanze delle prove di fatto esperite o dalla mancanza di riscontri probatori, perché non ammessi.
        Il carattere illusorio di una accelerazione del processo civile è dato dalle speranze che il legislatore ha riposto in modo notevolmente ingenuo sui risultati realizzabili dalla prima udienza di trattazione (articolo 183 del codice di procedura civile).
        La spiegazione della preclusione ancorata dal legislatore alla prima udienza di trattazione, può cogliersi nel fatto che il giudice istruttore, nel corso della stessa, "interroga liberamente le parti presenti", "tenta la conciliazione", "richiede i chiarimenti necessari" e "indica le questioni rilevabili d'ufficio delle quali ritiene opportuna la trattazione".
        Appare ben comprensibile, ove tale udienza realizzi codesti compiti, che le parti possano precisare e modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni già formulate, seduta stante, o richiedere un termine abbreviato per presentare memorie integrative delle precedenti domande e delle deduzioni istruttorie.
        Esse avrebbero, in definitiva, quanto occorre dall'andamento della udienza di trattazione, per correggere il precedente tiro ed avanzare complete istanze istruttorie in un termine breve come previsto dalla legge.
        La ragione del più profondo scetticismo è che la prima udienza di trattazione assolva ai compiti previsti dall'articolo 183 del codice di procedura civile e non si traduca, per il carico di lavoro incombente sul giudice, in una mera formalità o nella paralisi del processo.
        Chi ha pratica delle procedure conosce, per esperienza, la durata delle comparizioni delle parti avanti il giudice, e la congestione che ne deriva all'attività giudiziaria, così che è difficilmente immaginabile, con un tale sistema, quante cause finirebbero per essere trattate all'anno.
        Una udienza di comparizione delle parti nella quale venga espletato l'interrogatorio libero delle stesse, vengano richiesti i necessari chiarimenti ed indicate dal giudice le questioni di cui ritenga opportuna la trattazione, costituisce un lusso che determinerebbe la paralisi della giustizia civile.
        Nel caso, ed è certamente l'ipotesi più probabile, che tale udienza si riduca ad una formalità, verrebbe meno la logica della preclusione e questa assumerebbe la portata di una sanzione non giustificata.
        Si ritiene che la soluzione preferibile sia quella di conservare la struttura del processo avanti il tribunale articolata tra il giudice istruttore ed il collegio, come attualmente in essere, sopprimendo la previsione del giudice unico del tribunale di cui all'articolo 190-bis del codice di procedura civile.
        Si ritiene, altresì, che debba essere conservata la fisionomia garantista dell'attuale processo, che corrisponde a princìpi tradizionali della nostra esperienza giuridica e così l'effetto sospensivo dell'appello che costituisce l'espressione del principio del doppio grado di giurisdizione, abrogandosi la generalizzazione della esecutorietà della sentenza di primo grado e, altresì, la re clamabilità di alcune ordinanze del giudice istruttore, come quella in materia di prove ed altre a cui si accennerà in seguito.
        Non si revoca in dubbio l'esigenza di una deflazione della attività del tribunale. Questo obiettivo va tuttavia raggiunto con misure di decongestione del lavoro dei tribunali, riducendo la competenza per valore e per materia (e contemporaneamente aumentando quella del pretore), semplificando i rimedi processuali e privilegiando l'obiettivo della decisione di merito alle pronunzie di carattere ordinamentale.
        In particolare la migliore produzione del tribunale va conseguita con l'abolizione di quello spreco inutile di attività processuale che è costituito dalle attuali udienze di trattazione della causa, dove difensori e giudici sono impegnati in un grosso lavoro burocratico solo per autorizzare lo scambio di memorie scritte nel corso di una disordinata successione di rinvii.
        Anche la logica sanzionatoria delle preclusioni va ripensata in una logica diversa e molto più efficace, imperniata sull'onere di riparare i costi che una parte cagiona all'altra con la propria mancanza di solerzia, attraverso la sanzione delle spese irripetibili, al di fuori del principio della soccombenza, come incentivo a porre in essere comportamenti processuali ispirati a diligenza e non come misure afflittive che penalizzino la sentenza giusta.
        Con questa visione, si indicano le seguenti misure che vengono ritenute idonee a decongestionare al presente ed in prospettiva l'attività dei tribunali in una logica non illiberale che non alteri la fisionomia e non leda i valori tradizionali che sono alla base del processo civile.
        Sono qui elencate le seguenti misure:

                a) riduzione della competenza per valore e materia dei tribunali e contemporaneo aumento di quella dell'istituto pretorio che ha dimostrato, ad oggi, una notevole efficienza nella capacità ad esaurire le procedure.
        La proposta può comportare un alleggerimento di rilievo degli affari di competenza dei tribunali, per la quantità delle liti aventi un valore o riguardanti una materia che viene attribuita ai pretori. Si ha riguardo all'aumento della competenza per valore dei pretori per le cause pari a lire 50 milioni, che appare misura ragionevole (che potrebbe essere ulteriormente aumentata a lire 70 milioni), estensione di quella per materia alle esecuzioni immobiliari ed alle opposizioni alle esecuzioni (qualunque sia il valore).
        Un'ulteriore misura di decongestionamento è realizzabile attraverso la devoluzione degli appelli delle decisioni dei giudici di pace al pretore, invece che al tribunale, e alla abolizione della competenza esclusiva dei tribunali per le querele di falso, che non appaiono giustificarla, dato il carattere strumentale alla pronuncia di merito.
        Un'efficace misura di decongestionamento dell'attività dei tribunali, con riguardo alla grossa mole del contenzioso arretrato, può essere realizzata utilmente con la modifica dell'articolo 90 della legge n. 353 del 1990, con la previsione che i processi pendenti, divenuti di competenza di altro giudice, debbano essere riassunti davanti al nuovo giudice, ove non sussistano particolari ragioni tese ad economizzare il lavoro ove il giudice a quo abbia escusso prove o la causa si trovi in prossimità della conclusione. Un ulteriore rimedio potrebbe essere rinvenuto nella necessità di una speciale istanza, eventualmente accompagnata dalla integrazione di depositi giudiziari, per conservare in essere le procedure esistenti, così da alleggerire il carico di lavoro di quelle procedure che potrebbero non aver più un attuale interesse neppure per le parti. Una misura del genere fu introdotta negli anni scorsi a proposito del contenzioso tributario;

                b) possibilità per le parti, di comune accordo, di portare direttamente al giudice d'appello le cause aventi carattere documentale, saltando un grado di giurisdizione.
        Una misura di questo genere è prevista all'estero, come, ad esempio, dall'articolo 302 del codice di procedura civile del Canton Ticino e da noi, per il giudizio di Cassazione, dall'articolo 360, secondo comma. Tale misura alleggerisce il tribunale di tutte quelle controversie per le quali le parti, senza inutili attese, potrebbero adire direttamente il giudice di appello, per la specificità del carattere documentale della causa e dell'esigenza di attuare il dettato del diritto. La circostanza che ciò venga subordinato ad una istanza congiunta delle parti, fa sì che l'esigenza del doppio grado di giurisdizione non è considerata dalle parti preminente rispetto a quella di una pronunzia celere;

                c) abolizione della necessità che abbiano a tenersi udienze davanti al giudice, perché siano autorizzati o scambiati scritti difensivi delle parti.
        L'esperienza odierna indica quale sia la mole del lavoro inutile che viene svolta dalle parti e dai giudici nelle udienze di trattazione solo per ottenere l'autorizzazione allo scambio di comparse o alla produzione di documenti, che si trascinano sovente per anni ed anni.
        La partecipazione del giudice alla fase introduttiva non è necessaria perchè lo scambio di memorie può essere attuato direttamente tra le parti, senza l'intermezzo di un'apposita udienza davanti al giudice, con i mezzi più celeri di trasmissione di atti e documenti, quali i telefax.
        La legge può anche disciplinare preventivamente tale scambio tra le parti e può prevedere dopo l'esaurimento delle iniziali repliche, un periodo circoscritto di libero scambio di atti difensivi, come a suo tempo ebbe a proporre lo Zanzucchi sul "progetto Solmi" e numerose corti d'appello e lo stesso Consiglio nazionale forense, sul "progetto Oronzo Reale";
        E' auspicabile che la legge preveda, ad esempio, un termine di 30 giorni per la costituzione del convenuto e lo scambio della comparsa di risposta, e due termini, sempre di 30 giorni, per la rispettiva replica dell'attore e duplica del convenuto.
        Di qui potrebbe iniziare un periodo di 60 giorni per lo scambio (anche via fax, e perciò in tempo reale) di ulteriori scritti integrativi delle parti.
        Tutti gli atti, ovviamente, vanno depositati nelle cancellerie, dopo essere stati scambiati tra le parti.
        La stessa proposta è avanzata anche per la comunicazione dei documenti tra le parti che può essere effettuata, anche via fax, come allegati delle memorie scritte e comunque nell'ambito della fase introduttiva del processo di primo grado davanti al tribunale.
        La soppressione delle udienze di trattazione per scambiare atti scritti, che costituiscono il paradosso della oralità, è destinata a procurare una notevole deflazione del lavoro attualmente svolto nei tribunali. Ciò obbedisce all'esigenza insopprimibile (auspicata dal rappresentante del Governo all'inizio dei nostri lavori) che la presenza del giudice sia ridotta allo stretto necessario, cioè quando deve prendere provvedimenti;

                d) adozione della forma di "ordinanze", per risolvere questioni riguardanti l'ordinamento del processo invece delle sentenze che comportano una fase di impugnazione con grande perdita di tempo per tutti, su incidenti propedeutici alla definizione del merito.
        Si ha riguardo all'attuale previsione di sentenze concernenti la litis pendenza, la continenza, la connessione, e la medesima competenza, che vengono decise con provvedimenti aventi natura di sentenza.
        Una garanzia per le parti può essere accordata attraverso la previsione che tali provvedimenti vengano dati con ordinanza collegiale, e non del solo istruttore.
        Per le ordinanze ammissive o non ammissive di prove testimoniali, nonché per quelle di sospensione del processo o di interruzione di competenza del giudice istruttore, può essere prevista la loro reclamabilità al collegio.
        Una tale proposta risponde al problema di come ovviare a provvedimenti errati di sospensione o di interruzione senza cadere nell'eccesso di impugnazioni al giudice di legittimità con conseguente spreco di attività, come nel caso della sospensione.
        Un'ulteriore proposta tesa al risparmio di attività processuale, non giustificata, è quella di sopprimere la previsione attuale che la trattazione e la istruzione della causa d'appello avvengano sempre e necessariamente avanti all'intero collegio perché ciò non appare ragionevole, specialmente quando la sentenza di primo grado venga ritenuta esecutoria (come nell'attuale ordinamento) o addirittura sia già stata eseguita al momento del processo d'appello.
        All'opposto può prevedersi, così accogliendo l'insegnamento del Chiovenda, con riguardo a casi che ne prospettino l'esigenza, che il presidente del tribunale o del collegio, su istanza di una delle parti, per una controversia particolarmente delicata o importante, possa disporre che la trattazione e la istruzione avvengano avanti all'intero collegio, in deroga di quanto la legge dispone per il loro svolgimento avanti al giudice istruttore;

                e) sostituzione di una logica indennitaria a quella di ispirazione penale nella disciplina dell'attività processuale delle parti per ottenere dalle stesse che l'attività sia ispirata a solerzia e diligenza.
        La logica delle preclusioni dell'attuale ordinamento è sostanzialmente tesa a punire le parti per il trascorrere del tempo previsto nel compimento da parte dei loro difensori di atti fuori termine.
        Le preclusioni sacrificano i diritti delle parti per attività negligenti dei loro difensori ma, nel contempo, ledono anche il pubblico interesse ad una sentenza giusta mentre il processo continuerebbe a svolgersi nell'ottica di una sentenza su una verità legale diversa da quella reale. Ciò, particolarmente, concerne il rigore delle preclusioni previste attualmente e la ristrettezza del termine.
        Appare opportuno prevedere la possibilità della emendatio libelli, nell'ambito della fase introduttiva del processo, che coincide con lo scambio delle memorie e degli atti scritti (anche via telefax).
        Per quanto riguarda la produzione di documenti o la integrazione di deduzioni istruttorie, si suggerisce una concezione più equilibrata e liberale, nel senso che codesti atti vanno compiuti, in linea di massima, sempre nell'ambito della fase introduttiva del processo, che può prevedersi della durata complessiva di centoventi giorni.
        Deve essere riconosciuto alla parte che abbia scoperto in ritardo un documento che abbia portata decisiva nella definizione della lite, o che abbia parimenti scoperto la esistenza e la concludenza probatoria di testimonianze o altri mezzi di prova, e tali vengano ritenuti dal giudice nella sua pronunzia, la possibilità di produrli o dedurli nel successivo corso del processo. In questo caso, tuttavia, appare ragionevole condannare la parte che se ne giovi, come l'obbligo ope juris di corrispondere all'altra parte, in via compensativa, l'ammontare delle spese anche irripetibili e del danno causato all'altra parte per il solo fatto che essa le ha inutilmente cagionate.
        Si propone qui di prevedere la condanna alle spese anche irripetibili per la fase della procedura e gli atti che la controparte ha dovuto sopportare inutilmente, a causa del comportamento altrui, indipendentemente dal principio della soccombenza e dal fatto che il responsabile abbia agito con dolo o colpa grave. Ciò richiede un'espressa modifica dell'articolo 92 del codice di procedura civile.
        La misura proposta appare assai più efficace a scoraggiare anche da parte dei difensori i comportamenti negligenti o le astuzie, che sovente trasmodano in comportamenti scorretti sul piano deontologico, in quanto essa fa leva sul concreto interesse del difensore a non vedere sacrificate le proprie aspettative economiche dal cliente, a seguito dell'incidenza sullo stesso degli oneri a favore dell'altra parte o del di lei patrono.
        Tale misura, pur basandosi su una colpa presunta, per la trasgressione del dovere di non cagionare inutili oneri all'altra parte, si prospetta come il risultato di un equo contemperamento di interessi largamente ispirato ad equità;

                f) previsione di un più razionale sistema di cause di perenzione del processo, al di fuori di misure riconducibili alla logica di una pena della parte privata.
        Le cause di perenzione del processo odierne, nella loro frammentarietà, non appaiono giustificate nell'unica ottica possibile cioè del pubblico interesse a che il lavoro negli uffici giudiziari sia programmato e avvenga nel modo più ordinato, con la ottimizzazione dei costi pubblici.
        Occorre cioè che le cause di perenzione abbiano una loro giustificazione nella razionalizzazione del lavoro che il processo comporta a carico dei pubblici uffici.

        Accenniamo ora allo svolgimento del processo quale viene proposto nelle sue linee essenziali, con riguardo agli obiettivi annunciati.

        A - La prima fase del processo ha carattere introduttivo e si concreta nello scambio di atti scritti, nella deduzione di prove e nella produzione di documenti e può avere una durata complessiva ipotizzabile in centocinquanta giorni, rispetto ai centoventi della disciplina odierna, comprendendo anche i termini per memorie integrative che possono essere accordate dal giudice alle parti in attuazione degli articoli 183 e 184 del codice di procedura civile.
        Essa comincia con l'atto introduttivo che può avere la forma del ricorso o anche della citazione della controparte davanti al giudice, ma al di fuori di qualsiasi previsione di una "udienza fissa stabilita dalla parte" e che è alla base delle irrazionalità dell'odierno sistema.
        La fase introduttiva dovrebbe esaurirsi con il compimento del termine finale sovra indicato.
        Essa richiede ovviamente la preventiva costituzione dell'attore e la iscrizione della causa nel ruolo generale degli affari introdotti avanti il tribunale civile.
        Ovviamente la mancanza di iscrizione tempestiva della causa a ruolo comporta la perenzione della procedura.
        In questa fase è designato dal presidente un giudice istruttore con competenza solo eventuale per atti cautelari o urgenti (tra questi eventuali cancellazioni di trascrizioni delle domande giudiziali).
        Non è prevista alcuna udienza di trattazione dato che il contradditorio si svolge tra le parti, al di fuori della partecipazione del giudice.
        La comparizione dei difensori avanti il giudice e delle parti per l'eventuale tentativo di conciliazione dovrebbero essere differite alla seconda fase e cioè quella di trattazione, dopo che le parti hanno potuto conoscere rispettivamente il reciproco punto di vista attraverso lo scambio esauriente delle memorie scritte, e perciò in grado anche di valutare il rispettivo rischio.
        Ovviamente alla iscrizione a ruolo si accompagna l'onere economico di congrui depositi.
        La mancanza di questi adempimenti, come si è detto, comporta la l'estinzione della procedura.

        B - La seconda fase è quella di trattazione vera e propria e di istruzione probatoria.
        Essa comincia con la domanda di una delle parti al giudice istruttore perché la causa venga iscritta nel ruolo della trattazione.
        La mancanza di tale domanda e degli adempimenti relativi dovrebbe essere causa di estinzione del processo.
        Al giudice istruttore tocca la fissazione della prima udienza di trattazione. Ciò consente al giudice di meglio programmare e razionalizzare il proprio lavoro e quello dell'ufficio.
        La prima udienza di trattazione è chiamata ad assolvere i compiti di fare il punto della causa e delle questioni. Nel corso della stessa, dopo che le parti si sono dette tutto ciò che potevano dirsi attraverso lo scambio degli scritti difensivi, e si sono comunicati i rispettivi documenti e le istanze istruttorie, il giudice richiederà ai difensori la presentazione delle loro documentazioni.
        Esaurita la prima udienza di trattazione il giudice è chiamato a provvedere sulle richieste istruttorie e sulle ulteriori incombenze di istruzione della causa.
        Egli ordinerà altresì il pagamento delle somme non contestate e farà luogo alla emissione della ingiunzione di cui all'articolo 186-ter. Questa fase si conclude con l'ordinanza della chiusura della istruttoria.

        C - L'ultima fase è quella della deliberazione.
        Si prevede che la parte debba, sotto pena di perenzione, chiedere al presidente del tribunale la fissazione dell'udienza di discussione davanti al collegio giudicante.
        La mancata proposizione della domanda e la mancata costituzione dei depositi determinano la perenzione del processo.
        Viene indicata la competenza da parte del presidente del tribunale e non del giudice istruttore, perché il primo può meglio programmare l'attività del collegio ed in ultima analisi, controllerà anche che la redazione della decisione sia tempestivamente curata.
        Ciò eviterà che a programmare l'udienza di discussione sia lo stesso giudice istruttore onerato della stesura della decisione, al di fuori di qualunque controllo e, non ultima causa, dei grandi intervalli temporali tra la precisazione delle conclusioni e il deposito della sentenza.


CRITERI DIRETTIVI PROPOSTI

        Lo svolgimento del processo davanti il tribunale, va ispirato ai seguenti criteri:

                a) previsione del succedersi di 3 fasi distinte: una prima di carattere introduttivo, una seconda di trattazione e istruzione della causa ed infine l'ultima, di discussione e decisione.

                b) conservazione dell'attuale articolazione tra giudice istruttore e collegio per tutte le cause e soppressione del giudice unico di tribunale. Previsione che il presidente del tribunale, in via eccezionale, per cause delicate o importanti, disponga che il processo si svolga avanti l'intero collegio.

                c) previsione che le parti, di comune accordo, per cause documentali o riguardanti essenzialmente questioni di diritto, possano saltare il primo grado e sottoporre la controversia direttamente alla decisione del giudice di secondo grado.

                d) la fase introduttiva deve essere caratterizzata dallo scambio diretto tra le parti delle difese scritte e delle deduzioni istruttorie, secondo uno schema di legge, senza la necessità di partecipare ad udienze davanti al giudice. La presenza di questi va limitata alla discussione ed alla decisione di eventuali domande cautelari o a provvedimenti per risolvere incidenti sorti tra le parti.

                e) soppressione della citazione ad udienza fissa (con ritorno al sistema originario del codice del 1942) sostituendola con una citazione che invita il convenuto a comunicare le proprie difese ed a costituirsi nei termini prefissati dalla legge.

                f) aggiungere un ottavo requisito ai sette già previsti dall'articolo 163, secondo comma, del codice di procedura civile, che prescriva l'invito dell'attore al convenuto alla osservanza di precisi termini successivi, predeterminati dalla legge, per la rispettiva replica, duplica ed un ulteriore periodo per il libero scambio di scritti integrativi, pure predeterminato dalla legge.

                g) previsione che la comunicazione degli scritti e di copia dei documenti che si producono, possa avvenire con i moderni mezzi telematici, tra difensori. Successivo loro deposito in cancelleria, al momento della costituzione od entro breve termine dalla comunicazione. La comunicazione degli scritti difensivi sana i vizi dei precedenti atti.

                h) previsione che la costituzione delle parti avvenga secondo le formalità in vigore.

                i) la preclusione a dedurre e produrre va fissata con riferimento al momento dell'esaurimento della fase introduttiva. E' ammessa la produzione di nuovi documenti o la deduzione di nuove istanze di prova nel caso eccezionale che si provi che esse non hanno potuto essere effettuate prima della chiusura della fase introduttiva, come nel caso che siano stati scoperti successivamente. Previsione nel caso diverso e sempre che documenti e prove risultassero decisivi, dell'addebito, a carico di chi se ne giova, delle spese ed onorari anche irripetibili che sono stati inutilmente causati alla controparte, indipendentemente dal principio della soccombenza, così modificando l'articolo 92 del codice di procedura civile.
                l) esaurito lo scambio degli scritti e la comunicazione di copia dei documenti, seguito dal loro deposito, il passaggio alla fase di trattazione ed istruzione dovrebbe essere preceduto dalla richiesta di una delle parti al giudice istruttore perché fissi la prima udienza di trattazione. Contemporanea iscrizione della causa nel ruolo speciale delle cause da trattare ed istruire. Presunzione di abbandono nel caso di ammissione degli oneri che precedono.

                m) limitare ai soli difensori la comparizione alla prima udienza di trattazione per lo scopo di fornire al giudice le precisazioni da lui richieste e fare il punto della causa e delle questioni. La comparizione personale delle parti dovrebbe essere disposta solo nel caso in cui venga prospettato o non escluso un esito favorevole di un tentativo di conciliazione.

                n) all'esito della prima udienza di trattazione nel corso della stessa o fuori udienza entro breve termine successivo, il giudice deve pronunciare i provvedimenti sulle richieste istruttorie delle parti o, nel caso che la causa sia ritenuta matura per la decisione, invito di questi alle parti perché precisino le conclusioni.

                o) conservazione della facoltà di reclamo al collegio contro la ordinanza sulle richieste istruttorie.

                p) svolgimento della istruzione della causa, secondo lo schema in vigore.

                q) precisazione delle conclusioni su specifico foglio riassuntivo, da depositare in cancelleria, senza bisogno di partecipare ad apposita udienza.

                r) il passaggio alla terza fase va preceduto dalla richiesta di una delle parti al presidente del tribunale perché designi il collegio ed il relatore e fissi la udienza di spedizione a decisione. Presunzione di abbandono nel caso di inosservanza degli oneri precedenti.

                s) scambio di comparse e memorie conclusionali dalle parti e loro deposito in cancelleria, entro un termine fissato dal presidente, con congruo anticipo rispetto all'udienza di spedizione.

                t) abolizione della esecutorietà della sentenza di primo grado e ripristino della disciplina previgente in materia di concessione della provvisoria esecuzione.

                u) reclamabilità al collegio delle ordinanze di sospensione o interruzione pronunciate dal giudice istruttore.

                v) conservazione dell'attuale disciplina in materia di estinzione del processo con l'aggiunta della specifica ipotesi di cessazione della materia del contendere secondo l'orientamento giurisprudenziale corrente.


LIBRO II

TITOLO II

DEL PROCEDIMENTO DAVANTI
AL PRETORE ED AL GIUDICE DI PACE

Relazione introduttiva e criteri direttivi delle proposte di modifica.

        Si è detto in precedenza che tra i vari uffici giudiziari quello che si è rivelato più efficiente è il pretore, anche a causa della snellezza del rito.
        La legge n. 374 del 1991 sul giudice di pace ha portato molto disordine nella disciplina perché, pur mantenendo formalmente unito il titolo II concernente il processo avanti al pretore ed al giudice di pace, ha soppresso gran parte delle disposizioni comuni di cui al capo I, che ha trasferito come speciale quel rito avanti al giudice di pace.
        In tal modo il procedimento avanti il pretore risulta identico a quello che si svolge avanti al tribunale, con la esclusione di poche eccezioni, e cioè al di là del rinvio di cui all'articolo 311 del codice di procedura civile.
        Ciò è suscettibile di tradursi in un appesantimento ed in una minore efficienza della procedura.
        Si propone di ripristinare lo schema previgente, dando spazio alle disposizioni comuni dei processi avanti al pretore ed al giudice di pace, e conservando la specialità a quelle poche norme differenziali che sono specifiche del distinto procedimento avanti l'uno o l'altro giudice.
        Ciò si appalesa ragionevole nel caso vengano adottate misure di deflazione del contenzioso avanti al tribunale, per le dimensioni dello stesso raggiunte, con la introduzione di una fase iniziale di libero scambio degli scritti difensivi.
        Appare preferibile conservare nei procedimenti avanti al pretore ed al giudice di pace il sistema della citazione ad udienza fissa e contemplare un minore rigore nelle preclusioni e nelle ipotesi di estinzione. Ciò a differenza dei procedimenti avanti al tribunale.
        Si propone il riordino della disciplina vigente e la soppressione della necessità della rimessione al tribunale per la decisione sulla querela di falso, a favore di un accertamento incidentale del giudice della causa quoad effectus.


CRITERI DIRETTIVI PROPOSTI

        La disciplina dovrebbe essere ispirata ai seguenti criteri:

            a) Adottare come regole comuni dei procedimenti avanti al pretore ed al giudice di pace quelle che ora appaiono riservate solo a quest'ultimo e riordino delle norme del titolo.

            b) Fissare come termini dilatori liberi intercorrenti tra la notifica e la prima udienza di comparizione e trattazione, 15 giorni se il luogo è compreso nella circoscrizione del tribunale, 20 se nell'ambito della corte d'appello, 30 se di altra corte d'appello, 60 giorni se in altro Stato, con facoltà per questo ultimo caso di riduzione alla metà se la causa richiede pronta spedizione.

            c) Limitare al giudice di pace la necessità della comparizione personale delle parti davanti al giudice e quindi del loro interrogatorio e della necessità del tentativo di conciliazione. Possibilità che tale comparizione sia ordinata dal pretore nel giudizio avanti a lui pendente e nel caso che la ritenga utile.

            d) Soppressione della limitazione prevista dall'articolo 320, quarto comma, del rinvio per una sola volta per deduzioni integrative.

            e) Eliminazione della necessità della rimessione al tribunale per la querela di falso, stante il carico di lavoro di questo ufficio e non sembrando necessario perché la pronuncia è emanata incidenter tantum quoad effectus.
        
Norma da modificare: articolo 313 del codice di procedura civile.

            f) Estensione anche al processo avanti al giudice di pace delle formalità di discussione e decisione previste dagli articoli 314 e 315 solo per il processo avanti al pretore.


LIBRO II

TITOLO III

Capo I

DELLE IMPUGNAZIONI IN GENERALE

Relazione introduttiva e criteri direttivi delle proposte di modifica.


        1. In materia di regole generali sulle impugnazioni si propongono correzioni marginali.
        Esse consistono:

                a) nella modifica della previsione dell'attuale articolo 328 del codice di procedura civile, nel senso che se sopraggiunge la morte della parte soccombente, durante il termine per impugnare, la decorrenza di questo è "sospesa" fino a quando non sia rinnovata la notifica della sentenza agli eredi. Non sembra corretto che gli eredi possano giovarsi del maggior termine del riprincipiare della decorrenza del termine per impugnare, con l'adozione del criterio interruttivo, come se il tempo decorso durante la vita del dante causa non abbia alcun rilievo.

                b) Nella modifica dell'articolo 331 del codice di procedura civile nel senso di prescrivere alle parti l'obbligo di diritto di procedere alla integrazione del contraddittorio, ove si verta nella ipotesi di causa inscindibile o scindibile dipendente, sotto pena di sospensione del processo e non di inammissibilità del gravame.
        Appare preferibile stabilire, in modo rigoroso, l'obbligo delle parti di integrare il contraddittorio e limitarsi a farlo dipendere da una ordinanza del giudice, che potrebbe non intervenire. Come questa non intervenga, il pericolo di un frazionamento dei procedimenti di gravame tra le parti di una causa inscindibile o scindibile dipendente, e perciò la eventualità di giudicati contraddittori, è reale.
        Laddove la ordinanza intervenga e questa non sia eseguita, non si può ignorare che il processo d'appello può avere ripercussioni dai gravami contro la stessa decisione che intervengano successivamente tra le altre parti della medesima causa inscindibile o scindibile dipendente.
        La sanzione della sospensione del processo nel caso di mancata integrazione e la conseguente nullità degli atti che fossero compiuti nelle more in contrasto con il divieto di compiere atti, di cui all'articolo 298 del codice di procedura civile, è preferibile a quella delle inammissibilità dell'appello.

                c) Nella modifica dell'articolo 332 del codice di procedura civile nel senso che la integrazione del contraddittorio nei confronti delle altre parti, nella ipotesi di cause scindibili autonome, debba avvenire ope juris ad iniziativa della parte interessata nel termine per evitare la preclusione. Ove ciò non avvenga, si prevede che l'appello prosegua tra le parti originarie, non apparendo di rilievo il pubblico interesse al simultaneus processus, trattandosi di cause scindibili autonome e perciò suscettibili di dar luogo a giudicati diversi.


CRITERI DIRETTIVI PROPOSTI

        La disciplina dovrebbe essere ispirata ai seguenti criteri:

            a) conservazione dei termini, della loro decorrenza, della loro decadenza e del luogo di notifica, come disciplinato dalla legge vigente.

            b) Onere de jure della integrazione del contraddittorio nei confronti delle altre parti litisconsorti nelle cause inscindibili e scindibili dipendenti, non presenti nel processo senza bisogno di un provvedimento ad hoc del giudice.
        Conseguenza dell'inosservanza: la sospensione del processo e non la inammissibilità della impugnazione.
        Norma oggetto della proposta: articolo 331 del codice di procedura civile.

            c) Preclusione, a seguito di decorrenza dei termini, alla integrazione del contraddittorio nel caso di cause scindibili autonome.


LIBRO II

TITOLO III

Capo II

DELL'APPELLO

Relazione introduttiva e criteri direttivi delle proposte di
modifica.

        I dati statistici delle procedure di appello denotano un rapido aggravarsi del carico di lavoro dei giudici chiamati a decidere sui gravami nei confronti delle sentenze di primo grado e, conseguentemente, una ancora più pesante formazione dell'arretrato. Quest'ultimo appare anche più preoccupante perché nella fase d'appello i processi che si esauriscono con decisione, sono percentualmente intorno all'80 per cento contro circa il 20 per cento delle cause esaurite senza decisione, mentre nei procedimenti di primo grado quelle esaurite con decisione sono solo il 35 per cento a fronte del 65 per cento esaurite senza decisione.
        Attualmente il carico di lavoro è andato sensibilmente crescendo avanti alle corti d'appello in misura elevata da un quinquennio all'altro, per cui resta un obiettivo da perseguire con fermezza quello di deflazionare l'arretrato e agevolare la capacità di esaurimento delle procedure, snellendo l'attività che si svolge avanti i giudici di appello.
        In questa ottica si propone di conservare l'antica disciplina che attribuisce al pretore la competenza sugli appelli contro le decisioni dei giudici conciliatori (oggi giudici di pace), per via della snellezza del rito che si svolge.
        Una modifica dell'articolo 90 delle disposizioni di attuazione consiglia infatti di non aggravare le condizioni di lavoro dei tribunali attribuendo loro gli appelli contro le decisioni dei giudici di pace. Le scelte del legislatore della legge n. 353 del 1990 che vogliono la trattazione e l'istruzione delle cause di gravame avanti i tribunali e le corti svolgersi innanzi all'intero collegio, appaiono erronee e tali da aggravare la condizione presente.
        Si è qui adottato un modello processuale ispirato a concentrazione ed a oralità avanti il collegio.
        Trattasi di un modello che insieme è un non senso ed una fonte di spreco di energie giudiziarie.
        Che senso ha una trattazione e una istruzione che si svolgono avanti l'intero collegio quando il gravame concerne una sentenza di primo grado esecutoria, se non addirittura eseguita?
        Quale esigenza soddisfa la trattazione orale davanti al giudice di appello quando la stessa ha per oggetto gli atti scritti del processo di primo grado (atti introduttivi, memorie, verbali di prova, sentenza)?
        Perché destinare il lavoro di tre giudici quando può essere fatto meglio da uno solo?
        D'altro canto anche il processo di appello come organizzato, prima della riforma della legge n. 353 del 1990, appariva ed appare, per altri versi, fonte di spreco.
        L'attività del consigliere istruttore nei processi d'appello gira a vuoto per circa tre udienze prima di arrivare alla rimessione al collegio e trattasi di una inutile perdita di tempo che può essere risparmiata.
        Il modello che si propone è quello di una fase iniziale improntata ad una citazione senza udienza fissa sul tipo di quella proposta per il processo di secondo grado avanti il tribunale, che prescrive termini successivi per la costituzione del convenuto e memorie di replica e di duplica ed un ulteriore periodo riservato al libero scambio di scritti difensivi tra gli avvocati.
        Al termine di questa fase l'appellante e l'appellato possono procedere alla iscrizione della causa a ruolo e contemporaneamente richiedere al presidente della corte o della sezione la designazione del collegio, del giudice relatore e la fissazione della udienza collegiale di spedizione. Al momento della chiusura di questa fase le conclusioni devono essere fissate in un foglio di conclusioni scritte, senza bisogno di una apposita udienza.
        Si prevede che il presidente designi il collegio, il relatore fissi l'udienza collegiale di discussione e stabilisca congrui termini per il deposito e lo scambio di comparse e memorie conclusionali.
        Su richiesta delle parti, il presidente può anche disporre la discussione orale.
        Il collegio deciderà quindi la causa o ammetterà le prove, dopo avere verificato la costituzione delle parti, l'ammissibilità dell'appello ed eventualmente avere dichiarato la contumacia. Nel caso che il collegio ammetta le prove, delegherà alla escussione un suo componente.
        Seguirà la decisione della causa.


CRITERI DIRETTIVI PROPOSTI

        La disciplina dell'appello dovrebbe essere ispirata ai seguenti criteri:

                a) effetto sospensivo dell'appello e ripristino della normativa previgente in materia di concessione, sospensione e revoca della provvisoria esecuzione.

                b) Competenza esclusiva del pretore a giudicare gli appelli contro le decisioni del giudice di pace.

                c) Soppressione della citazione ad udienza fissa e sua sostituzione con citazione contenente l'invito a comunicare gli scritti difensivi ed a costituirsi in giudizio.

                d) Previsione nei giudizi avanti i tribunali e le corti d'appello di una fase introduttiva caratterizzata dallo scambio di comparse e memorie anche via fax tra le parti e seguita dalla loro costituzione, senza bisogno di partecipare ad udienze davanti al giudice.

                e) Ammissibilità delle parti a produrre documenti e dedurre istanze istruttorie sino all'esaurimento della fase introduttiva, salvo addebito delle spese ed onorari irripetibili, fatti sopportare inutilmente alla controparte ed evitabili con un comportamento più diligente.

                f) Previsione dell'onere a carico della parte più diligente di inoltrare al presidente della Corte (entro un termine predeterminato, dopo l'esaurimento della fase introduttiva) una domanda specifica per la designazione del collegio giudicante, del relatore e la fissazione di udienza di spedizione a sentenza.
        Contemporanea iscrizione del processo nel ruolo degli appelli da trattare e discutere.
        Inammissibilità dell'appello nel caso di inosservanza degli oneri precedenti.

                g) Previsione di delega del collegio giudicante ad un componente della escussione delle prove che fossero disposte, salvo che questo ultimo ritenga necessario che esse siano escusse davanti allo stesso.


LIBRO II

TITOLO III

Capo III

DEL RICORSO PER CASSAZIONE

Relazione introduttiva e criteri direttivi delle proposte di modifica.

        Il procedimento davanti alla Corte di cassazione mostra di essere stato ad oggi risparmiato dalla crisi assai più di quello davanti i giudici di merito.
        Il contenzioso ha registrato anche qui un continuo crescendo, passando da 8.545 processi sopravvenuti nel 1978-1982 a 12.691 nel 1991, e quelli pendenti hanno raggiunto il numero di 37.666 all'ultima data di riferimento. Il carico medio di lavoro pro capite è stimabile intorno a 87 processi sopravvenuti e 285 processi pendenti. Il numero medio dei processi viene suddiviso sulla base di 132 giudici addetti alle sezioni civili.
        Bisogna riconoscere che questo sovraccarico non ha sinora abbassato in modo sensibile la qualità del lavoro.
        I problemi di questo procedimento sono stati sfiorati dai vari progetti di riforma, ad eccezione di quello approfondito "Brancaccio-Sgroi". Essi sono stati oggetto di un dibattito al convegno promosso dal Foro italiano, nell'anno 1985, e vi sono stati numerosi contributi.
        Il recupero di una maggiore efficienza può essere perseguito agendo su due fronti, quali la destinazione di maggiori risorse in uomini e mezzi e la deflazione delle procedure.
        Sul primo fronte si deve perseguire l'adeguamento degli organici commisurandoli all'entità delle procedure.
        Il mantenimento di un buon livello qualitativo può anche derivare dall'attuazione dell'articolo 106 della Costituzione come ha auspicato l'attuale primo presidente.
        Lo stesso fine può essere conseguito anche attraverso una maggiore permanenza del giudice nelle sezioni di assegnazione.
        Non sembra ci si debba aspettare invece granché dalla proposta di imporre ai giudici (come sosteneva Proto-Pisani) l'obbligo della residenza a Roma.
        La deflazione del contenzioso può essere realizzata attraverso una serie concertata di misure.
        E' stato rilevato che una componente significativa della quantità dalla procedura è rappresentata dall'abuso del regolamento di giurisdizione
        Un disincentivo, a questo proposito, potrebbe essere l'accoglimento della proposta di sopprimere l'effetto sospensivo del regolamento predetto sul giudizio di merito.
        Un alleggerimento del carico è prevedibile che consegua alla proposta di sopprimere il regolamento facoltativo di competenza ed il conflitto di competenza, in sede di modifica degli articoli 43 e 45 del codice di procedura civile.
        Un risultato analogo è lecito sperare di trarre dalle proposte di modifica degli articoli 39, 40 e 41 del codice di procedura civile, con l'adottare la forma dell'ordinanza e non della sentenza impugnabile per i provvedimenti di litispendenza, continenza e connessione.
        E' stato correttamente lamentato che la quantità dei ricorsi a sensi dell'articolo 111 della Costituzione concorre in modo rilevante al carico di lavoro.
        Sembra qui opportuno prevedere una disciplina specifica che limiti le ipotesi di ricorribilità di cui all'articolo 360 del codice di procedura civile a quelle che effettivamente rilevano ai fini della copertura costituzionale. Sotto questo aspetto il vizio di insufficiente contraddittoria motivazione, potrebbe essere ritenuto non deducibile nel ricorso alla Corte di cassazione perché esso non rileva la copertura costituzionale.
        Il provvedimento impugnato di cui all'articolo 111 della Costituzione potrebbe perciò essere quello che rivela l'omissione di impugnazione su un punto decisivo. Non sembra da condividere la proposta avanzata da più parti di estendere la incensurabilità ai vizi di insufficiente contraddittoria motivazione delle sentenze pronunciate in secondo grado o in unico grado ed impugnabili a sensi dell'articolo 360 del codice di procedura civile.
        La adeguatezza e coerenza della motivazione sono requisiti irrinunciabili a presidio delle parti del processo, perché la sentenza non si limita all'adozione dello schema logico-sillogistico di tipo tradizionale, ma, in particolare, utilizza assai sovente gli strumenti della logica induttiva per trarre inferenze probabilistiche, proprie delle scienze, e si conclude in proposizioni verificate dall'esperienza.
        Un contributo all'economia del lavoro che esalti la funzione di filonomachia della corte, può essere dato dalla riunione dei processi che presentano identità di questione, sulla scia di quanto accade nei processi davanti alla Corte costituzionale.
        Da ultimo la deflazione può essere ottenuta con l'accoglimento della proposta di ammettere il rigetto dei ricorsi per manifesta infondatezza con rito camerale.


CRITERI DIRETTIVI PROPOSTI.

                a) Sopprimere l'effetto sospensivo del regolamento di giurisdizione sulla procedura di merito.

                b) Prevedere la improponibilità dei ricorsi ai sensi dell'articolo 111 della Costituzione per motivazione insufficiente e contradditoria.

                c) Ammettere la riunione dei processi che presentano identità di questioni.

                d) Prevedere il rigetto del ricorso, con rito camerale, per manifesta infondatezza.


LIBRO II

TITOLO IV

NORME PER LE CONTROVERSIE
IN MATERIA DI LAVORO.

        La crisi organizzativa della giustizia civile per la inadeguatezza degli organici di fronte all'aumento della domanda giudiziaria, non ha lasciato indenne il rito del lavoro.
        E' stato lamentato l'allungarsi dei tempi che intercorrono tra il deposito del ricorso e la decisione, e che la fissazione della udienza di discussione, in primo ed in secondo grado, davanti a parecchie curie, segue a distanza di anni dalla introduzione del ricorso.
        L'aumento del carico di lavoro è stato ricondotto all'afflusso di molte controversie riguardanti il pubblico impiego, gli invalidi civili, o che derivano da decisioni innovative della Corte costituzionale o della giurisprudenza di legittimità.
        Si è chiesto un aumento addirittura multiplo degli organici dei giudici del lavoro.
        Questo stato di cose dimostra che la preferenza verso il rito orale, concentrato, con preclusioni, davanti un giudice unico non consente di farci illusioni e non rappresenta il toccasana.
        Appare via più semplicistica l'opinione di risolvere carenze organizzative e strutturali attraverso meri interventi legislativi sul processo.
        L'adozione di misure organizzative va posta in primo piano, anche a proposito di queste procedure.
        Ci limitiamo qui (senza inoltrarci in proposte generali) a proporre una modifica al combinato disposto degli articoli 429, terzo comma, e 150 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, che come attualmente interpretato conduce al risultato erroneo di procurare al creditore un lucro e non il ristoro del quod interest secondo il quod plerumque accidit. Per una motivazione più ampia richiamo ciò che scrissi in Foro italiano 1994, I, 2624, ed il disegno di legge n. 2844 che presentai il 29 maggio 1991 al Senato della Repubblica.


LIBRO III

DEL PROCESSO DI ESECUZIONE

Relazione introduttiva e proposte di modifica.

        I. Quel che colpisce ogni operatore del diritto è la macroscopica discrepanza tra scopo e risultato del processo esecutivo. E' sotto gli occhi di tutti quanto grande sia lo scarto tra il risultato economico del soddisfacimento del diritto del creditore ed il sacrificio sopportato dal debitore.
        Ormai può dirsi che l'attuazione della sanzione esecutiva obbedisce ad una logica penale più che a quella di carattere satisfattivo.
        Ciò dipende da un complesso di fattori, taluni socio-economici, quali la marginalità del mercato interessato ai beni da realizzare, talaltri dipendenti dall'impiego o meno di messaggi pubblicitari idonei a provocare la domanda di acquisto, o riconducibili alla tecnica delle vendite impiegate (per incanto o per commissionario) o ancora alla capacità delle organizzazioni intermediarie di raggiungere il mercato.
        E' un dato di fatto che il realizzo dei beni per pubblici incanti, troppo sovente si riduce (sia che riguardi mobili o immobili) a quel poco che residua ad indebiti accordi sotto banco tra speculatori, che gareggiano senza scrupoli.
        Il processo esecutivo, ancora all'alba del 2000, non conosce altro tipo di mercato che quello anacronistico dei pubblici incanti.
        Ad essere vittime della distruzione di ricchezza non sono solo i debitori, ma gli stessi creditori concorrenti ed il grado con cui essi dovrebbero soddisfarsi secondo diritto. La esecuzione è infatti dominata, in concreto, dalla logica del prior tempore potior jure. Essa non conosce quegli ammortizzatori che sono, ad esempio, propri della legislazione concorsuale e che consentono di ottimizzare il sacrificio del debitore al migliore risultato possibile per il creditore.
        Così l'ordinario processo esecutivo non conosce la eventualità di temporanee moratorie o di concordati (con garanzia o con cessione dei beni, questa accompagnata o meno dall'impegno di rilievo da parte dei terzi) e che siano vincolanti per tutti. Tali correttivi sono abbandonati all'eventualità di accordi stragiudiziali, in cui ciascun creditore e talora lo stesso debitore hanno reciprocamente un sostanziale diritto di veto e di condizionamento.

        II. Oltre alle carenze di fondo, di cui si è sopra detto, la discrepanza tra scopo e risultato del processo esecutivo è notevolmente aggravata da una disciplina legislativa oltre modo manchevole ed incoerente.
        Non a caso, il decreto ministeriale ha assegnato a questa commissione il compito non secondario di rivedere la normativa del processo esecutivo che è stata perennemente trascurata dai precedenti progetti, salvo quello Liebmann, intorno al quale scrissi in Rivista di diritto processuale 1985, I, pagina 89.
        Le principali mancanze della normativa in vigore, si possono così riassumere:

            1) la parte generale (articoli 483-512) si riduce ad uno schema articolato in poche norme, che contemplano una disciplina sommaria ed incompleta dei più importanti nodi.
        Quel che è opinabile è il coordinamento delle norme generali con quelle speciali e di queste tra loro e la organicità dell'intero corpus.
        A questo riguardo, un aspetto quanto mai importante è dato dalla medesima pluralità dei giudici d'esecuzione (il tribunale per le espropriazioni immobiliari ed il pretore per tutte le altre) che ha perso gran parte del suo significato originario.
        All'epoca dell'entrata in vigore del codice, la ricchezza più importante era data da quella immobiliare e ciò era alla base delle maggiori garanzie sottese alla competenza del tribunale, per le stesse.
        Al giorno d'oggi, invece, la ricchezza mobiliare ha assunto una dimensione ed un ruolo sconosciuti a quell'epoca e tali da non apparire inferiori a quella immobiliare.
        Per contro, l'introduzione del giudice unico nei tribunali rende meno percepibile una ipotetica maggiore garanzia rispetto al pretore.
        I più recenti progetti di legge concernenti la espropriazione immobiliare tendono ad affidare le vendite all'incanto ai notai, assegnando al giudice un ruolo eventuale, per il caso in cui siano proposte delle opposizioni (vedi disegno di legge n. 1054 Atto Senato, XII legislatura).
        La odierna crisi della giustizia civile ha fatto perdere gran parte della originaria giustificazione della dicotomia tra giudice d'esecuzione, competente per materia ratione executionis, e giudice d'opposizione, competente per valore, in ragione del credito contestato, con i lunghi passaggi intermedi tra l'uno e l'altro, postulati dall'articolo 615, secondo comma, del codice di procedura civile.
        La crisi soprattutto ha investito i tribunali che sono divenuti sinonimo di minore efficienza e perciò di minori garanzie di quelle offerte dal pretore.
        E' del resto opinabile la identificazione del valore del compendio espropriato con l'entità del credito, che di per sé non è messa in forse dalla sorte del processo esecutivo.
        Ispirata da queste considerazioni è stata la proposta dell'autore, avanzata a suo tempo con il disegno di legge n. 2777 atto Senato della X legislatura, la quale ha mirato ad unificare nel pretore il giudice, sia delle esecuzioni di ogni tipo, sia delle opposizioni alla esecuzione e agli atti.
        Una eccezione a questa regola potrebbe riguardare la rivendicazione del terzo di cui all'articolo 619 del codice di procedura civile.

            2) Inadeguata appare per un verso la normativa esistente in ordine alla possibilità di ricercare le cose da pignorare (ed in particolare i valori mobiliari ed i conti bancari) mentre è inutilmente severa verso il debitore, per quel che riguarda i mobili usati, che arredano il domicilio domestico e cioè, praticamente, la sala ed il tinello e che valgono poco o nulla. La disparità di trattamento tra questi beni e, ad esempio, gli elettrodomestici è quanto mai evidente.
        La disciplina del pignoramento richiede, per altro, molte integrazioni.
        Il pignoramento mobiliare e presso terzi sostanzialmente si riduce a quello delle cose che vengono occasionalmente rinvenute presso il debitore (quali di fatto i pochi mobili usati) o a quei valori che sono personalmente noti al creditore procedente.
        Il ventaglio delle possibilità di ricercare le cose da pignorare offerto dall'articolo 513 del codice di procedura civile è così modesto da condannare in partenza il creditore ad essere in larga misura insoddisfatto.
        Non deve sottovalutarsi che la nostra epoca, oltretutto, è caratterizzata dal diffondersi del fenomeno fiduciario dei valori mobiliari.
        Il problema di fondo mi pare quello di attribuire all'ufficiale giudiziario maggiori poteri di indagine patrimoniale sul debitore, con possibilità di accesso (su autorizzazione del giudice) alle informazioni di banche, società finanziarie e fiduciarie. Una legislazione che prevede indagini patrimoniali è, ad esempio, quella francese.
        La espropriazione dei mobili usati di arredo della casa del debitore, prevista dall'articolo 514, primo comma, del codice di procedura civile di cui si disse, presenta costi elevati e distrugge la ricchezza.
        Alcuni anni fa il convegno di Viareggio, promosso dagli istituti di vendite giudiziarie, stimò il ricavo di questo tipo di realizzo nel 10 per cento del valore effettivo.
        Quel che il creditore talora ritrae è solo il recupero parziale del credito, sotto la minaccia di espropriare un bene di valore affettivo.
        Ciò, per altro, dà luogo a rinvii senza fine della esecuzione, alla farsa delle vendite simulate e delle coeve affittanze ed, infine, alla moltitudine di rivendiche ai sensi dell'articolo 619 del codice di procedura civile con la lievitazione del contenzioso.
        Riduttivo per eccesso è anche l'articolo 514, primo comma, numero 3), del codice di procedura civile.
        Per quanto concerne la espropriazione immobiliare, il differimento degli effetti del pignoramento alla successiva trascrizione nei registri immobiliari consente al debitore, in tale modo avvertito, di mandare ad effetto, nell'intervallo, la alienazione del bene.
        Sotto questo profilo appare meritevole di attenzione la proposta avanzata dal punto 12, lettera c) del "progetto Liebmann" di anticipare la trascrizione rispetto alla diffida dell'ufficiale giudiziario al debitore, in cui si concreta il pignoramento, a sensi dell'articolo 492 del codice di procedura civile.
        Il pignoramento e la espropriazione di quote di proprietà indivisa e di società mancano di una disciplina, non diversamente dalle universitates rerum. A proposito di queste ultime non è condivisibile la proposta del "progetto Liebmann" che, al punto 18, lettera b), prevedeva il pignoramento dell'intera universitas, quando si prospettava quello di un suo singolo componente.

            3) L'attuale disciplina risente, poi, di un modello e di una visione eccessivamente individualistici della espropriazione, come se essa riguardasse solo il creditore procedente ed il debitore esecutato e non anche gli altri creditori.
        Essa, in effetti, non prevede concrete iniziative che portino in qualche misura a notizia del pubblico, l'inizio della espropriazione e tanto meno "la prima udienza fissata per l'autorizzazione della vendita o dell'assegnazione" che gli articoli 525, 551 e 563 del codice di procedura civile assumono alla base della distinzione tra interventi tempestivi e tardivi.
        L'avvio dell'espropriazione ed il giorno in cui si terrà la prima udienza sopra indicata sono noti, sostanzialmente, alla ristretta cerchia del creditore procedente. In assenza di una pubblica notizia di tali avvenimenti, l'intervento dei creditori è legato ad una casuale notizia, di cui essi possano venire occasionalmente a giorno.
        Appare poco giustificata, in un regime del genere, la ratio che preferisce soddisfare il creditore che interviene prima di tale udienza rispetto al pari grado che interviene dopo. A maggior ragione è opinabile la norma che accorda a chi interviene prima, il privilegio rispetto a chi interviene dopo di partecipare alla espropriazione, quando entrambi sono privi di titolo esecutivo.
        A questo riguardo c'è da chiedersi che cosa significhi la formula degli articoli 500, 526, 551 e 564 del codice di procedura civile per cui l'intervenuto tempestivo privo di titolo esecutivo partecipa all'espropriazione, ma non può provocarne i singoli atti, mentre quello tardivo parteciperebbe solo alla distribuzione.
        Un sistema del genere è sostanzialmente basato sulla occasionalità, con cui il creditore pari grado acquista notizia dell'esistenza dell'espropriazione forzata ed, all'interno di questa, del giorno in cui cade la prima udienza.
        Anche il creditore privilegiato rischia di essere escluso dalla espropriazione forzata, se non partecipa alla stessa, perché non ne è venuto a notizia.
        Il codice in vigore non attribuisce al debitore, che non sia anche imprenditore, alcuna iniziativa finalizzata al soddisfo del complessivo ceto creditorio, quale ad esempio, quello di offrire un concordato a tutti.
        La eventualità di moratoria è abbandonata ad accordi stragiudiziali, in cui ciascuno ha di fatto un reciproco diritto di veto.
        Il più grosso difetto della normativa è però quello che essa non prevede un esame preventivo da parte del giudice delle domande dei creditori intervenuti, così da limitare il pericolo di un ingresso di pretese arbitrarie.
        A questo proposito le vie praticabili sarebbero in teoria due: o ammettere solo il creditore munito di titolo esecutivo, come proponeva l'articolo 473 del progetto preliminare Carnelutti, o, al contrario, ammettere l'intervento anche di chi sia sprovvisto di tale: titolo e però organizzare, in questo caso, la verifica degli intervenuti.
        Il nostro codice, da un lato, ammette ad intervenire anche i creditori privi di titolo esecutivo o addirittura di una documentazione qualsiasi, dall'altro contempla un accertamento solo posticipato e meramente eventuale dei crediti nell'ipotesi di una contestazione.
        Non è chi non veda come tale accertamento posticipato rovesci la logica che è alla base del nostro sistema o imperniata sul vaglio preventivo e sugli oneri di prova a carico dell'autore della domanda (articolo 115 del codice di procedura civile).
        C'è da chiedersi che senso abbia pretendere tanto perché un creditore si premunisca del riconoscimento del diritto, prima di agire in executivis, per poi ammettere chiunque a soddisfare le sue pretese in pregiudizio dell'esecutato, senza neppure un vaglio tempestivo di un giudice.
        Acquista perciò rilievo la esigenza di una organica normativa che prevenga il pericolo di un ingresso di pretese infondate e che tuttavia sono destinate a condizionare la posizione delle parti nel corso del processo ed atteggiamenti collusivi tra debitore e creditore, a danno degli altri.

            4) Sotto più di un profilo appare anacronistica la disciplina che riguarda la pubblicità e le vendite.
        Non è dubbio che la pubblicità condiziona pesantemente il buon fine del processo esecutivo ed il realizzo del compendio.
        L'articolo 490, primo comma, del codice di procedura civile come pubblicità prevede che si dia avviso dell'atto esecutivo mediante affissione per 3 giorni continui nell'albo dell'ufficio giudiziario, che tuttavia nessuno legge.
        Quanto agli immobili, il secondo comma prevede la inserzione dell'avviso nel foglio degli annunzi legali della provincia, che è letto da una ristretta cerchia di addetti ai lavori.
        La pubblicazione "una o più volte in determinati giornali e, quando occorre, (...) con le forme della pubblicità commerciale" (terzo comma dell'articolo 490) è prevista come straordinaria.
        La mancanza totale della pubblicità ordinaria è opponibile ai sensi dell'articolo 617 del codice di procedura civile mentre quella della pubblicità straordinaria, non dà luogo neppure ad una opposizione agli atti esecutivi (Satta, Commentario al codice di procedura civile, III, pagina 292; Cerino-Canova, Rilevanza della pubblicità straordinaria in Giurisprudenza italiana 1983, I, 2, pagina 755; Cassazione civile 23 novembre 1985, n. 5826).
        Quanto alla vendita forzata, devesi preliminarmente ricordare che in generale l'articolo 503 del codice di procedura civile dispone che essa può farsi con incanti o senza incanti.
        Per quella mobiliare, l'articolo 532 e seguenti prevede che la vendita senza incanto è effettuata "per commissionario", mentre per quella con incanti l'articolo 538 contempla che al secondo incanto è ammessa qualsiasi offerta.
        E' controverso se possono tenersi ulteriori incanti nel caso che anche il secondo sia andato deserto (per l'affermativa: Cassazione civile 6 ottobre 1958, n. 3113 ed altre; Valcavi, Problemi attuali e prospettive di riforma, 1994, pagina 245 e 267 e seguenti; Satta, Commentario al codice di procedura civile III, pagina 297 e seguenti Bonsignori; Assegnazione forzata, pagina 179; per la negativa: Andrioli, in Commento del codice di procedura civile, III, pagina 178; P. D'Onofrio, in Giurisprudenza italiana 1956, I, 2, pagina 711 e seguenti).
        La vendita immobiliare si tiene invece sulla base di offerte di chi si candida all'acquisto in rialzo rispetto a quello base, con successivi ribassi.
        Un correttivo è costituito dall'articolo 554 del codice di procedura civile che ammette offerte in rialzo, dopo l'incanto positivo.
        Le vendite mobiliari avvengono attraverso società private distribuite sull'intero territorio nazionale (il cosiddetto istituto di vendite giudiziarie) di cui non era prevista la soppressione neppure dal "progetto Liebmann". Esse, con tutti i loro difetti, hanno rappresentato un passo avanti rispetto alla precedente prassi di vendita presso il domicilio del debitore, da parte degli ufficiali giudiziari.
        Le principali carenze della vendita forzata e segnatamente di quella per incanti, sembrano da individuare nelle seguenti:

            a) il mercato espropriativo è contrassegnato da una povertà di offerenti, dato che gli interessati all'acquisto non sono raggiunti dalla pubblicità o da ricerche personalizzate attraverso intermediari.
        In questo contesto, la domanda di acquisto è monopolizzata da pochi offerenti, non di rado senza scrupoli, che non incontrano dei reali concorrenti o li stornano con accordi sottobanco.
        Non può parlarsi in tali condizioni di un mercato, contraddistinto da regole spontanee, come mostra di credere il nostro codice.

                b) Il giudice non governa le vendite, ma dirige solo una successione di atti formali e registra gli esperimenti di vendita come un notaio. Egli, del resto, non avrebbe neppure la professionalità specifica per le operazioni commerciali e tuttavia la legge non gli affida un realizzo a trattativa privata, mostrando diffidenza per eventuali abusi.

                c) Gli istituti di vendite giudiziarie sostanzialmente coesistono con la gara di offerenti mossi solo dalla auri sacra fames, in danno del povero, e sotto questo profilo essi non danno quelle garanzie che pur nel medioevo offrivano i monti dei pegni, come correttivo nella lotta alle usure.
        La odierna società post-industriale manca di quegli strumenti che addirittura aveva l'età antica.

                d) Il sistema delle vendite per incanto, in cui gli offerenti si conoscono, si traduce in una serie di esperimenti solo al ribasso e non anche al rialzo. Essi, infatti, lasciano andare deserti gli incanti fino a quando l'esperimento non raggiunge un prezzo di massima convenienza per loro, e solo dopo che ha raggiunto quotazioni minime può profilarsi un'offerta al rialzo.
        La partecipazione di qualche offerente è per lo più finalizzata solo a lucrare una differenza per desistere dall'incanto.
        In tal modo siamo in presenza di una parodia del mercato.

                e) Il nostro codice non prevede la collaborazione del debitore, che è il principale interessato al migliore realizzo, a differenza dell'articolo 52 della legge francese sulla riforma delle procedure d'esecuzione.
        Infatti l'articolo 579 del codice di procedura civile esclude che il debitore possa partecipare come acquirente alle aste immobiliari.

                f) L'articolo 538, secondo comma, del codice di procedura civile, per le espropriazioni immobiliari aggrava la situazione prevedendo che il secondo incanto possa tenersi a qualsiasi offerta, che costituisce un incentivo alla diserzione del primo incanto.

                g) Per contro la diffidenza del nostro legislatore nei confronti dell'acquisizione di beni del debitore ha posto limiti minimali non derogabili nella assegnazione (articoli 506, 538, secondo comma, 589 del codice di procedura civile) eccessivi, mentre non contempla la possibilità di un'aggiudicazione del compendio ad un prezzo ragionevole in rialzo a favore del ceto creditorio.
        E' controverso se una domanda di assegnazione possa essere presentata anche dopo il secondo incanto andato deserto (Bonsignori, opera citata 179, contra: Andrioli, opera citata, locuzione citata).
                h) L'istituto dell'amministrazione giudiziaria (articolo 592 e successivi del codice di procedura civile) sostanzialmente è desueto e non è utilizzato per le sue potenzialità intrinseche di moratoria in attesa di un migliore realizzo.

        5) Il sistema delle opposizioni, regolato dagli articoli 615, 617 e seguenti, è limitato esclusivamente a temi di decisione essenzialmente propri del processo di cognizione.
        Tale è l'opposizione al precetto ed alla esecuzione (articoli 615 e seguenti) ed alla rivendica del terzo (articolo 619).
        Appare invece sempre meno rilevante il rimedio dell'opposizione agli atti esecutivi (articoli 617 e seguenti) che concerne le "irregolarità formali" degli atti rispetto al modello astratto previsto dal codice. Il breve termine concesso per proporlo, sotto pena di preclusione, la inappellabilità della decisione, l'orientamento affermatosi nel giudizio di cognizione sulla sanatoria delle nullità, suggeriscono di dare sempre meno rilievo a questo.
Per contro è assolutamente trascurato il problema di finalizzare le doglianze e le impugnative delle parti sul merito dei provvedimenti e così eventualmente di correggerli per assicurare il migliore risultato della esecuzione. In questo senso il "progetto Liebmann" ha offerto spunti significativi.

        III. Le proposte di modifica, che vengono qui formulate, riguardano, soprattutto, una più razionale ed organica disciplina della procedura nella sua parte generale (articoli 483 e 512 del codice di procedura civile).
        In questa sede si dà adeguato spazio alle proposte di modifica innovativa concernenti l'intero processo esecutivo e che si applicano ad ogni tipo di espropriazione sia essa mobiliare, immobiliare o presso terzi.
        La tematica riguarda la individuazione del giudice competente per ogni tipo di esecuzione e per la opposizione alla stessa, qualunque sia il valore del credito, il concorso dei creditori, la pubblicità della vendita, la vendita e l'assegnazione, i nuovi istituti che si propogono, quali la moratoria ed il concordato, anche da parte dell'esecutato individuale, le opposizioni ed i reclami. Altre proposte sono speciali, nel senso che esse attengono o alla espropriazione mobiliare o presso terzi, quali le norme sulla ricerca delle cose da pignorare e la impignorabilità di alcuni mobili o la vendita e l'assegnazione di mobili dopo che sia andato deserto il secondo incanto, o la procedura immobiliare, quale l'approntamento della documentazione ipo-catastale ed il pignoramento immobiliare.
        Su un piano panoramico può dirsi che le proposte di modifica riguardano da un lato le condizioni strutturali e dall'altro la disciplina della procedura.
        Quanto alle strutture si propone:

                a) di semplificare la distribuzione della competenza del giudice attribuendo al pretore anche quella per le espropriazioni immobiliari, così facendone il giudice unico per le esecuzioni in genere, con opportuna modifica degli articoli 16, 17 e 484 del codice di procedura civile.
        Ciò è giustificato, come si è detto, dallo sviluppo assunto dalla ricchezza mobiliare, dalla mobilizzazione in forme societarie della proprietà immobiliare, dalla crisi dei tribunali e dalla istituzione del giudice unico.
        Si propone di attribuire al pretore la competenza ratione materiae delle opposizioni a precetto, all'esecuzione ed agli atti, qualunque sia il valore del credito, risparmiando i tempi lunghi della rimessione al giudice di cognizione, con opportune modifiche degli articoli 480, terzo comma, e 615 del codice di procedura civile.

                b) Per un futuro a tempi medio-lunghi si propone la istituzione di un ufficio unico delle "esecuzioni e dei fallimenti", composto da funzionari esperti in discipline economiche e commerciali ai quali affidare la gestione dinamica dell'esecuzione e non i soli adempimenti burocratici, oggi pure assolti in modo lodevole dagli ausiliari del giudice.
        In questo caso, al giudice potrebbe essere riservata la sorveglianza ed il controllo preventivo e repressivo su reclamo delle parti. Ciò postulerebbe una modifica dell'articolo 484 del codice di procedura civile.

                c) La organizzazione attuale preposta alle vendite giudiziarie deve essere radicalmente rivisitata.
        La privatizzazione in atto di questo servizio presenta le gravi disfunzioni lamentate in precedenza, in ordine al modo con cui si tengono le vendite ed alla qualità, in genere, di chi vi partecipa.
        Occorre fare ricorso alla esperienza collaudata di istituti pubblici, quale il monte dei pegni di secolare tradizione nel realizzo meno parassitario e così, quanto meno, prevedere società preposte ai realizzi giudiziari con partecipazione di capitale e di esperienza del monte dei pegni e delle casse di risparmio. Occorre prevedere, altresì, un inasprimento di sanzioni penali per le turbative di questo tipo di mercato necessitato e sanzioni amministrative quali il divieto per i soggetti condannati alla ulteriore partecipazione alle vendite giudiziarie.
        Quanto alla disciplina del processo si propone quanto segue:

                a) Di estendere la impignorabilità, così modificando l'articolo 514, primo comma, numero 2, del codice di procedura penale a tutti i mobili privi di pregio che arredano la abitazione del debitore, per le ragioni di politica legislativa a suo tempo affermate dalla legge n. 302 del 1971 per gli elettrodomestici.

                b) Di attribuire agli ufficiali giudiziari, su autorizzazione o ordine del giudice di esecuzione, poteri di indagine patrimoniale sul debitore esecutato, con accesso ad informazioni presso istituti di credito, organi delle amministrazioni dello Stato, società finanziarie e fiduciarie. Sul punto quinto il testo dell'articolo 513-bis del codice di procedura civile. Anche altre legislazioni, quali, ad esempio, quella francese, prevedono indagini di questo tipo per rimediare alla casualità del rinvenimento delle cose da pignorare che è alla base della infruttuosità dei pignoramenti.

                c) In materia di pignoramento immobiliare di anticiparlo alla trascrizione del pignoramento rispetto alla ingiunzione al debitore, come proponeva a suo tempo il "progetto Liebman" per evitare disposizioni elusive, nell'intervallo tra i due momenti.

                d) Di snellire la ricerca e l'adempimento degli atti e dei documenti ipocatastali, prevedendo che essi possono essere surrogati da una dichiarazione notarile o, ancora meglio, delegare tali incombenze al perito successivamente incaricato della stima. Non si condivide la scelta di affidare la dichiarazione del valore espropriando al creditore medesimo, come è previsto da un recente disegno di legge per le espropriazioni promosse dagli istituti di credito a medio termine.

                e) Per quanto riguarda le vendite forzate dei beni (articoli 530, 534, 576 e seguenti del codice di procedura civile) si auspica una modifica delle norme sulla pubblicità nel senso di rendere necessaria la pubblicazione su quotidiani provinciali o su fogli commerciali.

                f) Si auspica una indicazione di preferenza per la vendita per commissionario rispetto a quella per pubblici incanti, la possibilità del ricorso ad intermediari nella ricerca di offerenti e comunque di tener conto nella normativa della esperienza commerciale.
        In sede di incanti anche per i beni mobili, si propone di modificare l'attuale disciplina nel senso che le offerte in aumento o diminuzione rispetto al prezzo base siano avanzate in busta chiusa e solo successivamente alla loro apertura sia disposta la gara tra gli offerenti.
        In questo senso si propone di estendere la normativa degli articoli 571 e seguenti per le vendite senza incanto in campo immobiliare, anche ai mobili, specie se riguardano universitates rerum o juris.

                g) Di eliminare la previsione che il nuovo incanto dei mobili pignorati avvenga a qualsiasi offerta, ma invece sulla base di un nuovo valore stabilito dal giudice, così modificando l'articolo 538, secondo comma, del codice di procedura civile e prevedendo altresì esplicitamente che il giudice di esecuzione possa disporre successivi incanti anche nel caso in cui il secondo sia andato deserto finché ciò sia giustificato dalla iniziativa dell'interessato creditore che deve sopportare anche gli oneri economici dell'anticipo.

                h) Per quanto attiene alla assegnazione in genere si propone di modificare gli articoli 506, 535, secondo comma, 538, secondo comma e 589 del codice di procedura civile nel senso di codificare che, laddove i precedenti incanti siano andati deserti, i creditori possano chiedere l'assegnazione ad un valore inferiore ed in ogni caso privilegiando l'esito positivo della procedura, raccogliendo un antico suggerimento dell'autore in scritti ora raccolti in "Problemi attuali e prospettive di riforma del processo civile" Padova 1994, pagine 245, 257, 267, 275, 317 e accolte dal punto 18, lettera h), del "progetto Liebmann" che al riguardo parlò di una assegnazione espropriativa.

                i) Si avanza altresì la previsione che la domanda di assegnazione del compendio possa essere avanzata da più creditori o da cordate con impegno a soddisfare i crediti privilegiati e quelli concorrenti pro-quota.

        IV. Una particolare attenzione deve essere dedicata alle proposte concernenti una più razionale disciplina riguardante nuovi istituti quali "procedimenti eventuali su domanda del debitore, cioè la moratoria, il concorso con garanzia di terzi o con cessione dei beni".
        A questo riguardo si deve dire quanto segue:

        1) In materia di intervento dei creditori nella esecuzione forzata si propone che il giudice dell'esecuzione, al momento della consegna del fascicolo di esecuzione, abbia a fissare con decreto il termine entro cui i terzi creditori possono avanzare domande di intervento, e la udienza per l'esame delle predette domande dando adeguata pubblicità a tale decreto sui bollettini dei protesti e delle esecuzioni curate dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, ed eventualmente su fogli commerciali.
        In tal senso acquista un significato la distinzione tra interventi tempestivi o tardivi ai fini della loro anteriorità nel soddisfo e, più in generale, per rimediare alla pura occasionalità con cui i terzi creditori vengono a notizia della pendenza del processo esecutivo e della prima udienza fissata per la vendita o per l'assegnazione.
        E' previsto un vaglio da parte del giudice dell'esecuzione delle domande di intervento sulla base della documentazione allegata e delle risultanze delle prove, assunte in via di cognizione sommaria. Il giudice, all'esito di tale esame, ammetterà o escluderà il credito con provvedimento provvisoriamente esecutivo e che costituisce titolo esecutivo endo-processuale.
        Ciò dà una logica alla previsione normativa che il creditore intervenuto tempestivamente, anche se sprovvisto di titolo esecutivo, partecipa all'espropriazione e può anche provocare i singoli atti.
        Si prevede un procedimento sommario e semplificato sulla base della falsariga della verifica dei crediti nella procedura fallimentare.
        Contro il provvedimento l'interessato può proporre opposizione davanti allo stesso giudice di esecuzione che istruirà e deciderà senza rimetterla ad altro giudice.
        Ciò dà luogo alle proposte di modifica degli articoli 499, secondo comma, e 500, nonché alla introduzione delle previsioni di cui agli articoli 499-bis, 499-ter e 499-quater.

        2) Una serie di norme innovative vanno dedicate, secondo l'autore, ai procedimenti eventuali su domanda del debitore, quali la moratoria, il concordato con garanzia di terzi o con cessione dei beni.
A questo riguardo si sottolinea quanto segue:

                2a) La logica della moratoria - come si disse - è di tipo analogo a quella dell'amministrazione controllata fallimentare e della amministrazione giudiziaria di immobile di cui all'articolo 592 del codice di procedura civile della quale potrebbe rappresentare lo sviluppo.
        Può prevedersi che essa sia accordata al debitore che dimostri di trovarsi in temporanee difficoltà e che entro un termine ragionevolmente breve sarebbe in grado di estinguere il debito, così da risparmiare il sacrificio di un realizzo distruttivo ed affrettato dei suoi beni. Tale periodo può essere contenuto nell'ambito di un anno. La moratoria, ovviamente, comporta il divieto di intraprendere o proseguire atti esecutivi e la sospensione delle prescrizioni e delle decadenze.
        Il debitore dovrebbe allegare alla domanda una dettagliata situazione patrimoniale ed indicare quali e quando gli perverrebbero i mezzi per far fronte ai debiti scaduti od esigibili nel periodo. Il giudice d'esecuzione sentirà il debitore ed i creditori che dovessero comparire e con il provvedimento che dispone la misura, nominerà un commissario che sorveglierà la evoluzione patrimoniale del debitore.
        Non sembra esservi alcuna ragione per negare al privato debitore (in questo senso è orientata la legislazione svizzera) ciò che è consentito all'imprenditore.
        A fronte di un sacrificio temporale nell'intraprendere gli atti esecutivi, la moratoria assicura in anticipo una maggiore informativa sulla consistenza patrimoniale del debitore e quindi sui beni da assoggettare a pignoramento eventuale in prosieguo, a questo fine utilizzando l'interesse del debitore alla moratoria.
        La sorveglianza del commissario assicura la garanzia di una conservazione dei beni che rientrano nella responsabilità patrimoniale generale, ai sensi dell'articolo 2740 del codice civile.
        Per la espropriazione immobiliare potrebbe anche reputarsi bastevole una applicazione più intensa dell'istituto dell'amministrazione giudiziale, estendendola alla proprietà di aziende ed alle universitas rerum, come collezioni et similia.

                2b) In analogia alla legge fallimentare si propone di introdurre, come ulteriore "procedimento eventuale", la possibilità per il debitore di potere offrire il concordato ordinario o concessione di beni, laddove l'attivo sia insufficiente a coprire il passivo.
        La utilità del rimedio per il debitore è quella di evitare il protrarsi nel tempo di sbilanci patrimoniali passivi e per i creditori di vedere soddisfatti con anticipo i loro diritti, nel rispetto del loro grado.
        L'istituto è caratterizzato dal fatto che tutti i creditori sarebbero vincolati dalle decisioni prese e rappresenta un mezzo di igiene e trasparenza economica.
        Non v'è ragione di restringere agli imprenditori un istituto di generale utilità.
        In questo senso sono anche le previsioni di legislazioni straniere.
Come si è detto, esso può essere di tipo ordinario o con cessione dei beni.
        Il debitore che voglia avvalersene è tenuto ad allegare alla domanda la propria situazione patrimoniale e le eventuali stime dei beni.
        Il giudice d'esecuzione deciderà se prendere o meno in considerazione la domanda e, in caso positivo, disporrà le perizie, le moratorie provvisorie e nominerà un commissario.
        Lo stesso giudice inviterà, con pubblico avviso, i creditori ad insinuare i loro crediti e fisserà un'adunanza per le deliberazioni.
        Egli omologherà le decisioni prese a maggioranza.
        Il commissario eseguirà il concordato e, nel caso di cessione dei beni, provvederà alla loro liquidazione, redigerà piani di riparto provvisori e definitivi che, approvati dal giudice, daranno luogo alla distribuzione dell'attivo, in via provvisoria e definitiva.
Potrebbe essere previsto anche un concordato su domanda dei creditori che vogliano, individualmente o in cordata, rendersi cessionari. Alla moratoria sono dedicati gli articoli 512-bis e 512-ter, al concordato ordinario sono dedicati gli articoli 512-quater e 512-quinquies, ed al concordato con cessione di beni l'articolo 512-sexies.

        V. Per quanto attiene alle opposizioni al precetto ed all'esecuzione, si propone di conservare l'attuale disciplina dell'articolo 615 e seguenti del codice di procedura civile salvo la mancata rimessione al giudice competente per valore, in relazione anche alla previsione che la materia rientra nella competenza per materia del pretore. La struttura e la disciplina della rivendica del terzo di cui all'articolo 619 del codice di procedura civile rimane inalterata.
        All'opposto per quanto attiene all'opposizione agli atti esecutivi, per le ragioni che si sono dette in precedenza, si propone di introdurre il principio della revocabilità e della modificabilità degli atti esecutivi preparatori, tesi a sollecitare il migliore risultato del provvedimento definitivo. In questo senso si privilegia l'esame dell'idoneità e dell'opportunità di merito rispetto ad una cognizione puramente formale dell'atto rispetto al modello astratto. I provvedimenti terminali del processo esecutivo, quali la vendita e l'assegnazione, il provvedimento che forma lo stato passivo (e così ammette od esclude i crediti) quello che omologa la moratoria, il concordato preventivo con garanzia di terzi o con cessione del bene, sono impugnabili con reclamo al tribunale, che decide in camera di consiglio.
        Su questo punto si vedano gli articoli 617-bis e 618 del codice di procedura civile.


CRITERI DIRETTIVI PROPOSTI

        La disciplina del processo esecutivo va ispirata ai seguenti criteri:

                a) Prevedere nella parte generale una disciplina più completa ed organica di quella esistente ispirata alla maggiore semplicità. Essa concerne norme integrative sulla ricerca delle cose da pignorare, sulla vendita e l'assegnazione di cose mobili, sull'intervento dei creditori, sulla introduzione della moratoria del concordato e la reclamabilità dei più importanti provvedimenti del giudice.

                b) Estendere la impignorabilità a tutti gli arredi domestici senza distinzione e privi di pregio.

                c) Attribuire agli ufficiali giudiziari il potere di indagine patrimoniale sul debitore dietro disposizione del giudice di esecuzione.

                d) Anticipare gli effetti del pignoramento immobiliare alla trascrizione rispetto alla ingiunzione al debitore.

                e) Delegare al perito la ricerca della documentazione ipo-catastale.

                f) Aggiornare al mercato odierno le norme sulla pubblicità delle vendite forzate.

                g) Prevedere che le offerte all'incanto, anche per i mobili, siano fatte in busta chiusa, con successiva gara.

                h) Eliminare la previsione che il secondo incanto mobiliare avvenga a qualsiasi offerta ed, all'opposto, prevedere la successione di incanti, su domanda ed anticipi a carico del creditore.

                i) Abbassare il prezzo minimo di assegnazione dopo che sono andati deserti gli incanti.

                l) Regolare in modo compiuto l'intervento dei creditori con la previsione di un termine perché l'intervento sia tempestivo, ed il successivo vaglio del giudice ed ammissione del credito con provvedimento da considerare titolo esecutivo endo-processuale.

                m) Introdurre l'istituto di una moratoria temporanea del debitore e la relativa procedura.

                n) Prevedere la introduzione del concordato con garanzia di terzi e con cessione dei beni.

                o) Introdurre la reclamabilità nel merito dei provvedimenti del giudice di esecuzione al tribunale che pronuncia con rito camerale, in materia di vendita ed assegnazione del compendio pignorato, omologa della moratoria e del concordato, del provvedimento di estinzione del processo.




Frontespizio Testo articoli