Onorevoli Colleghi! - La nostra Costituzione annovera tra i suoi principi fondamentali il riconoscimento delle autonomie locali come dati costitutivi della Repubblica, tanto che così prefigura la trasformazione dello Stato di diritto accentrato in Stato sociale delle autonomie.
Infatti, l'articolo 5 della Costituzione dispone che «la Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i princìpi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento».
Tale caratterizzazione autonomistica sancita nella Costituzione ha poi trovato conferma anche in sede europea, perché le autonomie locali assicurano «il diritto e la capacità effettiva delle collettività locali di disciplinare e gestire, nell'ambito della legge, sotto la propria responsabilità e a favore delle proprie popolazioni, una parte importante delle funzioni pubbliche» (articolo 3.1 della Carta europea delle autonomie locali).
Una vera e propria autonomia non è stata neppure avviata nonostante la emanazione della legge generale 8 giugno 1990, n. 142, recante il cosiddetto ordinamento delle autonomie locali, per cui occorre provvedervi con la massima urgenza in modo da dare luogo ad una vera rifondazione democratica della nostra Repubblica attivando tutte le risorse esistenti, a cominciare dalle autonomie locali, per trasformarla in Repubblica federale.
Per quanto contenuto nel precetto di cui al riportato articolo 5, la innovazione indispensabile dell'ordinamento costituzionale è costituita dalla assunzione del principio di sussidiarietà inteso nel senso che i livelli istituzionali più alti hanno diritto di intervento solo quando quelli di governo del territorio, più vicini ai cittadini, non riescono, attraverso le loro competenze, a soddisfare le esigenze delle comunità, come già si trova dichiarato nel Trattato di Maastricht del 1992.
Infatti, all'articolo 3b del trattato istituito della Comunità europea, introdotto a Maastricht, è scritto che «nei settori che non sono di sua esclusiva competenza la Comunità interviene secondo il principio di sussidiarietà, soltanto se e nella misura in cui, gli obiettivi della azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell'azione in questione, possono essere realizzati meglio a livello comunitario».
Sulla base di questi nuovi princìpi e prospettive deve essere realizzato un modello nuovo dei rapporti Stato-regioni-enti locali, in posizione e funzione di collaborazione e cooperazione.
E questo perché le dinamiche del cambiamento, la necessità di riforma della «forma dello Stato» e le esigenze relative hanno ricevuto in questo momento storico una brusca accelerazione derivante dalla comprensenza di alcune grandi emergenze nazionali, quali, in particolare, quella economica e finanziaria, quella politica e quella giudiziaria.
All'accelerazione dei fattori di crisi non sono seguiti conseguenti e coerenti interventi modificativi dell'ordinamento giuridico e dell'organizzazione dello Stato tali da adeguare la struttura pubblica alla effettiva velocità di evoluzione dei fenomeni politici, sociali ed economici.
Il dibattito politico si è prevalentemente incentrato in una serie di discussioni di interventi che rispetto alle reali esigenze di cambiamento hanno dimostrato una sostanziale sterilità.
Ma ancor di più il dibattito sulle tematiche specifiche si è articolato con discussioni caotiche sugli scenari che si aprono per il nostro Paese. È però proprio nelle fasi di grande rinnovamento che bisogna conservare la lucidità e saper coniugare le risposte alle emergenze con le grandi opzioni strategiche.
La prospettiva neo-regionalistica e federalista rappresenta in questa fase un indubbio, se non l'unico, modo per affrontare le difficoltà italiane.
Ciò specificatamente per quanto riguarda l'autonomia finanziaria che del buon governo è la premessa ineludibile, strada obbligata per riconciliare i cittadini con la funzione pubblica dando a quest'ultima l'efficienza e la trasparenza che il centralismo non ha saputo garantire. Una decisa iniziativa in tali direzioni appare condizione imprescindibile anche per dare più forza ai sistemi economici e territoriali italiani, rendendoli più competitivi in Europa.
La competizione, infatti, si è spostata dal livello dell'impresa a quello delle regioni economiche, dei sistemi territoriali, delle città. Di conseguenza il compito di esprimere una vitale imprenditorialità, presupposto per un efficace rilancio occupazionale e per una effettiva solidarietà da non confondersi con l'assistenzialismo, spetta ormai a istituzioni diverse da quelle dello Stato centralista.
Di qui la necessità di avere anche in Italia istituzioni regionali in grado di esercitare un ruolo forte ed autonomo nel governo dei fenomeni economici e sociali, per mezzo di adeguati strumenti legislativi, operativi e finanziari.
Il processo di revisione istituzionale non si può limitare solo alla forma dello Stato.
Deve necessariamente coinvolgere il problema della formazione del Governo e della Presidenza della Repubblica.
Il nostro Paese ha bisogno di un assetto costituzionale che favorisca la formazione di governi stabili tali da assumersi effettivamente le responsabilità dell'esecutivo, svincolato dalla tutela partitocratica.
Va da sé che occorre ridisegnare un modello istituzionale che definisca tutte le questioni aperte, il presidenzialismo, il federalismo, le funzioni delle Assemblee parlamentari, la magistratura.
La proposta federalistica viene presentata, quindi, ben lungi da discostarsi o da confliggere con le tendenze che si stanno evidenziando nel dibattito politico in corso; si inserisce anzi armonicamente nella logica presidenzialista nel momento in cui si deve ritenere il federalismo come elemento equilibratore e bilanciatore del potere presidenziale, come freno a tentazioni autoritarie del presidenzialismo.
La diffusione territoriale del potere fra più soggetti diventa elemento che concorre, in modo determinante, a fornire le garanzie democratiche.
Anche il problema della formazione delle leggi federali rimane aperto. In questo caso il dibattito e il confronto non ha prodotto ipotesi definitive. È chiaro che sia la doppia lettura legislativa, sia la «Camera delle regioni» rimangono problemi aperti, nella loro concreta forma di attuazione.
In ogni caso la proposta federalista è destinata ad accelerare il processo di definizione del ridisegno istituzionale, come conseguenza anche del processo di integrazione europea e di esperienze storiche, oramai decisive.
La presente proposta federalista quindi fornisce una prima e prioritaria risposta, oramai ineludibile, alla necessità di costruire un nuovo assetto costituzionale.
A tal fine si provvederà ad altre specifiche iniziative legislative costituzionali, in corso di definizione, da parte dei medesimi proponenti della presente proposta di legge.
Princìpi ispiratori della presente proposta di legge costituzionale, che in parte riprende una precedente iniziativa legislativa del consiglio regionale del Veneto, sono:
1. - Il federalismo mediante l'autogoverno delle regioni.
L'aspirazione ad avere uno Stato centrato sull'autogoverno e sulla valorizzazione delle autonomie e dei poteri locali non appartiene soltanto ad una tradizione minoritaria del pensiero risorgimentale. Al contrario è presente proprio nella tradizione risorgimentale vincente, nel pensiero politico di Cavour e di altri.
Proprio Cavour nel 1860 aveva dichiarato in Senato di «volere riforme che realizzassero una maggiore libertà di azione dei territori e delle forze sociali», o come egli si esprimeva, «la scentralizzazione».
Innumerevoli sono poi i riferimenti storici delle varie culture politiche che si sono pronunciate a favore di un deciso autogoverno regionale con processi innovativi della legislazione e della forma statale che prevedessero l'effettivo decentramento territoriale con il superamento del centralismo statale.
A distanza di 135 anni queste aspirazioni non si sono ancora concretizzate. La possibilità di autogovernarsi offre motivi di emancipazione e di crescita a tutte le regioni italiane, specificatamente a quelle economicamente più deboli, particolarmente a quelle meridionali. L'opzione federalista, poi, non è affatto in contraddizione col mantenimento di un forte sentimento di unità e di identità nazionale. Come ben dimostrano le esperienze della Germania e degli Stati Uniti d'America è piuttosto un altro modo, oggi certamente più efficiente e moderno, di organizzare lo Stato. È certamente un modo, forse più idoneo, di dare risposta alle esigenze di cambiamento, alle aspirazioni della gente ed alla necessità di allineare il Paese istituzionale a quello reale.
Nasce quindi uno Stato federale costruito sulle regioni, sulle province e sui comuni.
2. - Competenze esclusive.
L'attribuzione della potestà legislativa alle regioni deve procedere sulla strada della competenza esclusiva, abbandonando l'opzione delle competenze concorrenti.
In particolare l'individuazione di un elenco specifico di materie che rimangono in capo allo Stato federale con l'attribuzione delle competenze rimanenti alle regioni, è la strada che si deve seguire con decisione.
La netta separazione delle competenze legislative dello Stato federale da quelle delle regioni, adottando il criterio della residualità, appare la garanzia che l'autogoverno diventi effettivamente la forma di riorganizzazione dello Stato federale a salvaguardia dal rischio dell'ingenerarsi di pericolose interferenze che potrebbero vanificare il principio dell'autogoverno regionale nelle materie specifiche.
La necessità di azioni coordinate a livello nazionale può essere attuata mediante la fissazione dei principi fondamentali con leggi dello Stato federale, caso per caso, fermo restando che le leggi statali in materia non propria devono valere nei confronti delle regioni e non nei confronti del cittadino.
3. - Federalismo fiscale.
La nuova regione e le nuove autonomie locali devono essere finanziariamente autonome per rappresentare un credibile progetto innovativo.
Questo è un obiettivo irrinunciabile da perseguire rompendo decisamente con il passato e abbandonando le vecchie logiche di trasferimento di risorse che hanno portato, e non soltanto nel Mezzogiorno, a scelte non eque, poco efficienti e con sostanziale dispersione delle risorse stesse.
Questo non deve significare la rinuncia al principio fondamentale della solidarietà delle regioni più ricche verso quelle più povere, né alla rinuncia del ruolo dello Stato nella gestione di quelle politiche di trasferimento che ancora occorrono.
Tutto ciò significa solo restituire maggiore equità ed efficienza alla spesa pubblica responsabilizzando le regioni e le autonomie locali sull'obiettivo dell'autosufficienza attraverso opportuni meccanismi finanziari che siano più a contatto con il cittadino, sia in relazione alla domanda di spesa che al controllo della stessa.
Fondo di solidarietà per le aree deboli, autonomia del prelievo fiscale, trasferimento da parte delle regioni delle risorse finanziarie occorrenti al funzionamento dello Stato federale, individuazione di limiti massimi di prelievo fiscale e tributario, ed infine, definizione di un quadro di beni primari da sottoporre ad esenzione fiscale (ad esempio, la prima casa), sono gli strumenti cardine della proposta di una fiscalità a modello federalista decentrato.
Ovviamente in questo quadro il riordino con legge ordinaria della normativa tributaria e fiscale è un adempimento ineludibile.
Il progetto di legge prevede il rovesciamento, divenuto ormai ineludibile, dell'attuale criterio di ripartizione delle competenze, con l'attribuzione alle regioni della potestà legislativa in ogni materia non riservata allo Stato federale, per perseguire i seguenti ulteriori obiettivi:
a) Migliore definizione delle materie di competenza statale.
Pur consapevoli dell'aleatorietà intrinseca di ogni definizione e circoscrizione di materie, si è inteso evitare ogni troppo facile sovrapposizione, così come l'attribuzione allo Stato federale di materie potenzialmente omnicomprensive.
Inoltre, là dove è apparso necessario individuare le competenze statali sulla base dell'«interesse nazionale» (introducendo quindi un criterio di intrinseca politicità), si è previsto del pari che la relativa competenza sia svolta in accordo e con la partecipazione regionale.
Le cosiddette «clausole flessibili», pertanto, non dovrebbero giocare ad esclusivo vantaggio della normazione statale.
Dalla massiccia diffusione del potere si evince la natura del federalismo che viene proposto.
b) Definizione del carattere e dell'efficacia delle leggi organiche.
A questa nuova categoria di leggi statali è stata data una caratterizzazione più precisa e sostanziale.
Le forme di tale partecipazione delle regioni alla formazione di tali leggi non sono state definite per non chiudere la porta alla Camera delle regioni, opzione sulla quale non si è ancora approfondito adeguatamente.
Dal punto di vista sostanziale, si è previsto che le leggi organiche hanno valore vincolante per le sole regioni e non per i cittadini.
Ciò differenzia nettamente le leggi organiche dalle attuali «leggi cornice», che, com'è noto, sono ritenute in grado di abrogare e di sostituirsi esse stesse alla legislazione regionale che se ne discosti. Poiché quindi lo Stato non può realizzare direttamente i fini che la legislazione organica si prefigge, ne dovrebbe seguire la pratica necessità che le leggi organiche siano approvate col consenso delle Regioni, la cui contrarietà ai dettami delle leggi stesse si potrebbe altrimenti tradurre in forme di inattuazione sostanziale pressoché impossibili da reprimere e ancor di più da arginare.
Dovrebbe del pari essere scongiurato - o comunque limitato - il pericolo che la legge organica si spinga a dettare una disciplina di dettaglio anziché di principio (ciò che frequentemente si verifica oggi nelle cosiddette «leggi cornice»), fenomeno che è almeno in parte legato proprio alla diretta operatività dell'attuale legge quadro nell'ambito intersubbiettivo.
Con tutto questo, non possiamo certo sostenere che le perplessità concernenti la possibile invasione statale dell'ambito riservato alla competenza legislativa concorrente delle regioni possano dirsi definitivamente fugate.
Anche in tale prospettiva si è voluto, pertanto, sottolineare ulteriormente la mera eventualità, e non la necessità nell'approvazione delle leggi organiche, in difetto delle quali la legislazione regionale è soggetta soltanto ai dettami della Costituzione e delle leggi costituzionali (non è sembrato opportuno rifarsi ai limiti in atto vigenti per la cosiddetta «potestà legislativa esclusiva» delle regioni a statuto speciale, che hanno dato una pessima prova).
Inoltre, le leggi organiche non possono esser emanate in ogni materia di competenza legislativa regionale, ma soltanto per disciplinare i princìpi fondamentali delle funzioni che pongono esigenze unitarie; ogni qual volta ciò non si verifichi, pertanto, l'emanazione di leggi organiche verrà a configurare un'indebita invasione della sfera riservata alla potestà legislativa regionale.
c) Ridefinizione del sistema dei controlli.
Eliminato il rinvio governativo delle leggi regionali, che ha consentito al Governo di giocare un ruolo eccessivo nella formazione della legislazione regionale (è a tutti noto il fenomeno della cosiddetta «contrattazione» tra Governo e regioni in ordine alle leggi rinviate), è lasciata al Governo la sola possibilità di impugnare la legge sottoposta a controllo davanti alla Corte costituzionale ovvero davanti al Parlamento (in questa seconda ipotesi, per contrasto con l'interesse nazionale o con quello di altre regioni).
È inoltre escluso il carattere preventivo del controllo, che si esercita su leggi già pubblicate e, almeno potenzialmente già entate in vigore.
La proposizione dell'impugnativa da parte del Governo non comporta peraltro l'automatica sospensione della legge impugnata, ma dovrà esser semmai la Corte, su apposita istanza cautelare del Governo stesso, a disporre la temporanea sospensione dell'efficacia della legge regionale.
Il controllo sulle leggi delle regioni, insomma, deve rivestire i caratteri della neutralità e della tecnicità, e non può più essere un'arma di cui il Governo si serve per fini strettamente politici.
d) Disciplina del regime transitorio.
Il pesante carico di competenze legislative ed amministrative, che la riforma trasferisce alle regioni, non può esser assunto tutto d'un colpo.
È sembrato necessario, pertanto, prevedere che le nuove competenze legislative vengano esercitate dalle regioni, almeno in linea di massima, solo col trasferimento delle relative funzioni, nonché degli uffici, dei beni e del personale di cui oggi si avvale lo Stato federale.
Se tuttavia, nel termine di un anno, tale trasferimento (da disporre con legge statale ordinaria) non dovesse avvenire, le funzioni legislative verranno egualmente radicate in capo alle regioni.
e) Presenza regionale in Parlamento.
Resta impregiudicata la questione della creazione della Camera delle regioni e quella della forma di partecipazione regionale all'approvazione delle leggi organiche. Si rinvia a leggi costituzionali federali la definizione dei modi di partecipazione delle regioni alla elaborazione ed attuazione dell'indirizzo politico nazionale.
Potestà amministrativa e finanziaria.
Il rilevante incremento di potestà legislative regionali comporterà, per il principio del parallelismo (che il testo predisposto non soltanto mantiene, ma altresì rafforza), un ancor più cospicuo incremento delle funzioni amministrative delle regioni.
Di conseguenza, si imporrà una profonda e vasta riorganizzazione dell'apparato amministrativo statale e regionale.
Non è ovviamente in sede costituzionale che possono trovare puntuale disciplina tali complessi fenomeni, per regolare i quali ci si deve quindi affidare di necessità alle norme legislative di trasferimento.
Saranno dunque queste ultime a conferire alle regioni il personale, gli uffici, i beni indispensabili all'espletamento concreto delle nuove funzioni.
Anche in questo caso, tuttavia, le disposizioni transitorie si premurano di fissare un termine ultimo per la emanzione di tali leggi. Si tratta di un termine annuale, decorso inutilmente il quale gli uffici statali vengono collocati alla dipendenza funzionale delle regioni (permanendo quindi a carico dello Stato federale, ma essendo tuttavia utilizzabili dalla regione per il perseguimento dei suoi fini).
Per evitare che il trasferimento delle funzioni avvenga prima della sistemazione del quadro finanziario regionale - ciò che, in concreto, potrebbe determinare la paralisi dell'apparato amministrativo delle regioni - è peraltro prevista una preventiva verifica dell'equilibrio finanziario di ogni singola regione, verifica affidata alla Commissione per le questioni regionali, costituita - come si è detto - con il concorso paritario delle stesse regioni.
La determinazione delle modalità di svolgimento delle nuove funzioni regionali è ovviamente affidata, almeno in linea di massima, alle stesse regioni.
Il testo di riforma si preoccupa soltanto di fissare al riguardo alcuni princìpi, tra i quali, in particolare, quello per cui le funzioni stesse sono organizzate essenzialmente attraverso gli enti locali, salvo quelle che attengano ad esigenze di carattere unitario, quindi una costituzionalizzazione del principio dettato dall'articolo 3, comma 1, della legge 8 giugno 1990, n. 142, che viene inoltre meglio chiarito.
A tal proposito, il progetto di riforma indica quindi con chiarezza che tra regioni ed enti locali il rapporto deve essere ispirato alla collaborazione, e non - come è troppo spesso accaduto finora - alla contrapposizione reciproca.
Del resto, una volta che le regioni si siano sostituite allo Stato nello svolgimento della maggior parte delle funzioni amministrative, la conservazione di un rapporto diretto tra lo Stato e gli enti autonomi non avrebbe più senso (posto che a tutt'oggi lo abbia); gli articoli 128 e 129, nel testo del progetto, attribuiscono pertanto alle regioni il compito di disciplinare l'assetto di comuni, province ed altri enti locali, fermo restando, ovviamente, il principio d'autonomia sancito dall'articolo 5 della Carta costituzionale.
Il controllo sugli atti amministrativi regionali è rimesso - lo si diceva - alla disciplina statutaria di ogni singola regione.
Si è ritenuto, tuttavia, di dover prevedere un ampliamento dei soggetti legittimati ad impugnare gli atti stessi in via giurisdizionale.
Oltre ai titolari di interessi legittimi (cui la legittimazione al ricorso è garantita dall'articolo 24 della Costituzione), si è ritenuto così di ammettere al ricorso anche gli attori popolari, le formazioni sociali, un certo numero di consiglieri regionali, e soprattutto il Commissario del Governo (entro trenta giorni dalla comunicazione dell'atto regionale).
Quest'ultima statuizione mira evidentemente a compensare la sottrazione dei poteri di controllo oggi spettanti alla apposita Commissione. Le regioni non hanno infatti alcun interesse a render intangibili o insindacabili i propri atti, purché la verifica sia fatta da autorità realmente indipendenti, e non divenga uno strumento di pressione e di compressione dell'autonomia. Massima trasparenza, dunque, e massima apertura del governo regionale verso l'esterno, ma un fermo rifiuto verso interventi di controllo che si possano troppo facilmente piegare a finalità di indirizzo politico dell'attività amministrativa delle regioni.
Un potere sostitutivo del Governo è infine previsto (articolo 118, sesto comma), quando gli organi regionali non adempiano obblighi internazionali ovvero quando la loro inerzia comporta grave pregiudizio ad interessi nazionali.
Strettamente legata al problema di un'autentica riforma regionalista, la questione dell'autonomia finanziaria è affrontata dal nuovo articolo 119.
Questo attribuisce alle regioni sia l'autonomia finanziaria sia la potestà di emanare tributi propri.
Quote del gettito dei tributi erariali riscossi nelle regioni sono peraltro attribuite alle regioni stesse, che non devono dunque far fronte alle proprie necessità esclusivamente (o prevalentemente) tramite l'esazione di tributi nei confronti della popolazione regionale. Le leggi statali che determinino nuovi oneri a carico delle regioni sono pertanto tenute ad adeguarne le entrate, in modo da evitare la creazione di effetti squilibranti sulla finanza regionale.
Infine, la tuttora viva realtà delle aree depresse del nostro Paese ha consigliato di mantenere in vita la previsione di interventi finanziari aggiuntivi, che lo Stato federale dispone al fine di porre riparo alle diseguaglianze economiche, d'intesa con le regioni interessate.
Forma di governo regionale.
La nuova centralità delle regioni impone un adeguamento del loro assetto istituzionale, disegnato dalla Carta costituzionale in considerazione di un ruolo di tali enti ben più modesto di quello futuro.
Nel comporre questo nuovo assetto si deve naturalmente affidare un ruolo adeguato alla potestà statutaria, che va giustamente rivalutata, come espressione massima dell'autonomia regionale.
Ad essa, quindi, sono rimesse scelte di estremo rilievo in ordine all'organizzazione regionale (il sistema di elezione dei componenti l'assemblea regionale, del Presidente del Governo e dell'Assemblea regionale, i princìpi sul funzionamento e le attribuzioni degli organi di governo con la possibilità di far luogo alla nomina dei cosiddetti «assessori esterni», sull'ordinamento degli uffici, sul procedimento legislativo regionale, sui controlli sull'amministrazione regionale, eccetera).
Si è disciplinata del pari la formazione dello statuto, prevedendo che esso, deliberato dall'assemblea regionale a maggioranza assoluta dei suoi componenti, venga quindi approvato con legge organica dal Parlamento. La fonte statutaria, pertanto, assume una veste doppiamente rinforzata sotto l'aspetto formale, che la colloca su un piano del tutto peculiare nella gerarchia delle fonti.
Si è mantenuta, infine, la previsione relativa allo scioglimento dell'assemblea nel caso in cui la medesima non sia in condizione di funzionare.
Attività di rilievo internazionale delle regioni.
Il nuovo articolo 118, nel dettare i princìpi relativi all'amministrazione regionale, prevede anche che le regioni possano:
a) sulla base di una legge organica svolgere attività di rilievo internazionale e stipulare convenzioni con le corrispondenti entità territoriali di altri Stati;
b) dare immediata e diretta attuazione alle direttive comunitarie.
Se la legge organica di cui al punto a) non viene emanata nel termine di un anno dall'entrata in vigore della riforma, le regioni possono egualmente svolgere le attività ivi contemplate, nel rispetto della Costituzione e delle leggi costituzionali.
Si potrà realizzare, in tal modo, un'incisiva presenza delle regioni in campo internazionale, aprendo quindi alle regioni stesse ampie prospettive d'azione anche al di fuori dei confini nazionali.
Questa è peraltro un'esigenza ormai integralmente recepita in sede comunitaria, come dimostrano i recenti accordi di Maastricht, dei cui risultati si è pure tenuto conto nel testo di riforma (articolo 118 quarto comma).
Regioni ad autonomia speciale.
Nell'intento di non appiattire la specialità sul modello ordinario, e di non travolgere peraltro le specificità che le regioni ad autonomia differenziata reciprocamente presentano, è sembrato opportuno operare su tre direttive:
a) confermare che lo statuto d'autonomia attribuito alle regioni ordinarie dalla riforma vale fin d'ora, in forma potenziata, anche per le regioni speciali;
b) prevedere una fase neo-statutaria, in cui le ulteriori e maggiori forme d'autonomia da riservare alle regioni speciali vengano definite attraverso la partecipazione paritaria delle assemblee legislative regionali. Si rivendica pertanto una potestà statutaria al momento negata (lo statuto speciale è infatti del tutto eteronomo);
c) nella fase transitoria dai vecchi ai nuovi statuti (prevedibilmente non breve), confermare e rafforzare l'autonomia già riconosciuta dalle norme statutarie vigenti, da applicare in quanto più favorevoli alle autonomie differenziate.
In particolare, ciò implica la necessità di:
1) affermare chiaramente che le competenze attribuite alle regioni dalla riforma debbono intendersi immediatamente conferite alle regioni a statuto speciale.
Per non privare peraltro queste ultime della loro connotazione particolare in attesa della formazione dei nuovi statuti (con le intuibili conseguenze in ordine ai tempi di approvazione di questi ultimi, ed alla stessa maturazione della necessaria volontà politica in seno al Parlamento nazionale), appare necessario prevedere fin d'ora che:
tutte le competenze legislative attribuite alle regioni sono svolte dalle regioni a statuto speciale in regime di esclusività;
tale regime implica la sottoposizione delle leggi regionali speciali al solo limite del rispetto delle norme di rango costituzionale;
sono fatte salve le norme statutarie speciali che conferiscono talune di dette competenze alle province autonome di Trento e di Bolzano;
2) modificare l'articolo 116 della Carta, prevedendo per lo statuto speciale che venga approvata una particolare procedura di revisione costituzionale modellata in termini analoghi a quelli previsti per la formazione degli statuti ordinari;
3) se la riforma andrà in porto, i più gravi problemi si porranno, per le regioni speciali, nella fase transitoria precedente la formazione dei nuovi statuti.
Le norme transitorie proposte intendono ovviare ad almeno alcuni dei prevedibili inconvenienti.
Il criterio cui sembra opportuno ispirarsi è quello del massimo favore per le autonomie differenziate, nel senso che la disciplina statutaria vigente continua ad applicarsi se ed in quanto conferisce alle regioni speciali più ampie potestà rispetto allo statuto d'ordinaria autonomia, mentre viene travolta e sostituita da quest'ultimo in caso contrario.
Poiché tuttavia valutazioni di questo tipo sono necessariamente opinabili ed aleatorie, non sarebbe inopportuno che, ove possibile, il progetto di legge costituzionale indicasse già almeno alcune norme statutarie speciali che si vogliono mantenere in vita (alla loro individuazione dovrebbe ovviamente provvedere ogni singola assemblea legislativa delle cinque regioni interessate).
Resta comunque fermo il generale potenziamento della potestà legislativa regionale.».
Potestà legislativa regionale.
Sotto questo profilo sono assolutamente rilevanti le disposizioni degli articoli 70 e 117 sulla distinzione di funzioni legislative statali e regionali, compreso il tipo di forza delle leggi.
L'articolo 119, nella nuova formulazione, disciplina la autonomia finanziaria delle regioni con la previsione della creazione di un fondo per l'adempimento concreto di doveri inderogabili di solidarietà economica e sociale.
Completano il quadro della struttura regionale i precetti contenuti negli articoli modificati 121, 122, 123, 124, 125, 126, 127 e 128.
I comuni e le province.
L'articolo 129 conferma e concretizza, attraverso funzioni proprie regionali, l'autonomia statutaria dei due enti infraregionali, mentre il successivo articolo 130 viene abrogato.
Nell'ottica della costruzione di uno Stato federale saranno le regioni che decideranno se, o come, costruire il sistema del controllo preventivo sugli atti delle province e dei comuni.
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