Doc. LVII n. 1/A


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RELAZIONE DI MINORANZA

1. Premessa.

Onorevoli colleghi,
le caratteristiche della nota di aggiornamento al DPEF che stiamo esaminando sono queste:
Il fabbisogno tendenziale del 1997 èstimato in 125.500, ed il Governo prevede che migliorerà per due motivi:
di 62.500 miliardi per la manovra correttiva.
di 1.6016 miliardi per la riduzione del costo degli interessi passivi conseguente alla manovra correttiva di 62.500 miliardi.

2. La manovra misteriosa.

Voi sapete, colleghi, che le manovre si possono fare in due modi:
in modo serio.
in modo poco serio
le manovre poco serie sono quelle che non hanno effetti reali.
Per esempio, se lo Stato deve spendere 100 lire il 27 Dicembre, si può fare una legge che sposta la data del pagamento al 3 Gennaio. In questo modo al 31 Dicembre è stata «tagliata» una spesa. Ma voi capite che questo non è un ragionamento serio. Ne abbiamo anche sentita un'altra quella di far versare al Tesoro l'incremento del T.F.R. Oltre ad essere un'autentica follia che farebbe chiudere migliaia di società, voi capite che la cosa non è seria neppure dal punto di vista tecnico, perché va bene che in Tesoreria entrano dei quattrini, ma quelli sono soldi dei lavoratori.
Abbiamo appena cominciato a studiare i disegni di legge finanziaria ed i collegati che il Governo ha comunicato al Parlamento, un po' a una Camera e un po' all'altra, ma dalle prime analisi risulta che le intenzioni del Governo sono tutt'altro che serie.
Questa affermazione è supportata dall'analisi che vedete nell'allegato 1, che è stato costruito escludendo tutte le partite meramente contabili, ed ipotizzando che la manovra di 62.500 miliardi alla fine sarà costituita solo da provvedimenti reali, di sostanza, che non si limitano a spostare flussi finanziari negli anni o ad utilizzare danée già impegnati.

3. Ma 62.500 miliardi non bastano.

Ma il fatto è che, anche nell'ipotesi che il Governo riesca a far modificare dall'aula la finanziaria ed i collegati che ha presentato, in modo da togliere tutte le cose poco serie ed inserendo al loro posto vere entrate e veri tagli alla spesa, sarà tutto inutile, i numeri ci condannerebbero ugualmente.
La prova di questa affermazione è nel. l'allegato 2, dal quale risulta che il rapporto tra il fabbisogno del settore statale e il PIL sarebbe comunque, anche in presenza di una manovra di 62.500 miliardi, del 4,2 per cento, invece del 3 per cento richiesto dal trattato di Maastricht e previsto dal Governo.


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Adesso voi direte: ma cosa ci viene a raccontare questo Pagliarini? l'é matt? ma come, nella nota di aggiornamento al DPEF c'è scritto, a pagina 4, che è necessario:
«un ulteriore, decisivo sforzo, di carattere straordinario, da realizzarsi entro il 31 Dicembre 1996, destinato a condurre, fin dal 1997, l'evoluzione dei nostri conti pubblici all'interno dei parametri fissati dal trattato di Maastricht. Si tratta del cosiddetto "intervento per l'Europa" stimato in 25.000 miliardi, di cui circa 12.500 miliardi derivanti da un prelievo straordinario sui redditi. Si delinea così un intervento dell'ordine di 62.500 miliardi idoneo a condurre il rapporto fabbisogno statale - pil nell'intorno del 3 per cento al termine del 1997.»
Allora, come è questa storia? si va al 4,2 o in un intorno del 3 per cento?
Colleghi, apparentemente il Governo ha dimenticato completamente le spese sotto la linea. Già, le famose spese sotto la linea. Mi capite che se si tirano fuori dei quattrini, la spesa ce . La si può mettere sopra la linea, oppure sotto, a destra, a sinistra; davanti, di dietro, ma c'è sempre, non sparisce mica. Colleghi, non vorremo mica fare come gli struzzi, anche se in passato questa era sicuramente la prassi, qui a Roma. Infatti un burocrate mi ha detto che le spese sotto la linea si chiamano così perché vanno sotto la linea di.. visibilità, e così non si vedono.
Solo per la cronaca, le spese sotto la linea dimenticate dal Governo le avevamo già viste nel DEE? che avevamo discusso a Luglio, e sono queste:
scarti di emissione ... 1.125
crediti di imposta rimborsate in titoli ... 14.100
sentenze della corte costituzionale pagate in titoli ... 4.205
perdite su cambi ... (34)
Totale ... 19.396

4. E poi, perché si parla sempre del settore statale?.

Ma non è finita. Pensate che il Governo parla sempre del fabbisogno del settore statale, ma ai fini del controllo dei parametri dèl trattato di Maastricht dovremo fare riferimento al conto delle pubbliche amministrazioni, non al conto del settore statale.
Ricordo che il «debito lordo delle pubbliche amministrazioni» include:
il bilancio dello Stato,
i saldi della Tesoreria e della Cassa Depositi e Prestiti,
quelli degli altri enti dell'amministrazione centrale (CNR, ISCO, ENEA, ecc.),
le aziende autonome trasformate in ente pubblico che producono servizi non destinati alla vendita, come l'ANAS,
gli enti di previdenza (INPS, INAIL, ecc.),
le Regioni, Province, Comuni, e Comunità montane,
e gli enti delle amministrazioni locali, come le USL, le Camere di Commercio, le Università, ecc.

Dal conto della PA risulta che il rapporto del fabbisogno sul PIL sarà, dopo la manovra di 62.500 miliardi, del 4,5 per cento, come potete vedere dall'allegato 3. Dunque, se tutto andrà bene, supereremo del 50 per cento il massimo consentito. E ci va già bene, perché l'altro parametro, quello del debito sul PIL, lo superiamo del doppio: infatti siamo oltre il 120, mentre il massimo consentito è del 60 per cento.

5. E non è mica detto che il PIL sarà di 1.945.000 miliardi.

Tutti questi conti, sia ben chiaro, sono stati fatti utilizzando la stima del PIL del DPEF che avevamo discusso a Luglio. Tutti


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sanno che la situazione economica è peggiorata, e che di conseguenza le percentuali indicate nei paragrafi precedenti saranno in realtà ancora peggiori.
Lo sanno tutti meno il Governo, che nella nota di aggiornamento al DPEF non affronta questo argomento, ma si limita a stimare che il fabbisogno 1996 peggiorerà di 10.000 miliardi e quello del 1997 di 4.500 miliardi, ma apparentemente senza nessun riflesso sulla stima del PIL.

6 Prime conclusioni: questa non è la manovra per l'Europa, ma per il banco di Napoli, per il Giubileo, e compagnia bella.

A questo punto, io ho raggiunto due conclusioni:
1. con questi dati la Repubblica italiana non rispetterà al 31 Dicembre 1997 i parametri di convergenza richiesti dal trattato. Dunque, tecnicamente, la repubblica è esclusa dall'unione monetaria.
2. il cosiddetto «intervento per l'Europa» non ha nulla a che vedere con l'unione Monetaria. È sicuramente più corretto chiamarlo «intervento per salvare il Banco di Napoli», o più in generale «intervento per dare una mano al Governo Prodi».

7. In Europa non si scherza.

Inoltre non possiamo dimenticare che di recente il governatore della banca centrale olandese Duisenberg e l'ex primo ministro belga Eyskens hanno proposto pubblicamente di ridurre il disavanzo pubblico dei loro paesi a meno dell'i per cento del PIL. In un incontro che abbiamo avuto in V commissione con i rappresentanti dell'omologa commissione tedesca, i nostri colleghi ci hanno confermato che anche loro hanno l'obiettivo di raggiungere il rapporto dell'1 per cento.
Insomma, se il Governo sta pensando di negoziare un ingresso politico, magari concedendo un significativo apprezzamento della nostra moneta, che avrebbe disastrosi effetti sulla competitività delle nostre aziende e sul volume del nostro debito pubblico denominato il Euro, ci pensi bene, e si ricordi che le clausole per restare nell'Unione monetaria saranno molto severe.

8. ...e io spero che il Governo non voglia fare brutti scherzi.

La verità è che tutti sanno che con il paese organizzato in questo modo la situazione dei conti pubblici è insostenibile e continuerà a peggiorare.
A meno che... a meno che questo Governo, questi sindacati, questa maggioranza, abbiano già deciso di fare ricorso ad imposte patrimoniali straordinarie ed a qualche operazione straordinaria sul debito pubblico, e stiano solo aspettando il momento migliore per far partire questo progetto naturalmente dopo aver messo sotto saldo controllo i mezzi di informazione.

9. L'Unione Europea e gli egoismi delle Nazioni.

Anche il Presidente Scalfaro, nel suo recente messaggio alle Camere, ha riconosciuto l'importanza dell'Unione Europea ed ha scritto, correttamente, che «il Parlamento è chiamato a procedere con decisione nella marcia verso l'Europa». Ma ha scritto anche che «quando saremo cittadini di Europa, pur nella individualità del nostro essere italiani, le piccole vedute, le miserie, le povertà politiche, i meschini egoismi, cadranno finalmente di fronte a questa nuova realtà ampia e viva».
Il riferimento all'individualità del nostro essere italiani, o francesi, o tedeschi, ci sembra pericoloso. Quando saremo cittadini dell'unione Europea, saremo cittadini dell'Unione Europea, e basta, con residenza e radici in Lombardia, nell'Essex, in Catalogna, nel Pireo, nel Lazio, in Baviera


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o in Sicilia. Non dovrà più esserci spazio per gli egoismi e le inefficienze degli Stati-nazione Solo così potremo realizzare l'Unione Europea.

10. La fine degli Stati-Nazione.

Gli Stati-Nazione stanno perdendo ruoli, compiti e responsabilità. In economia una volta i governi degli Stati-nazione svolgevano un ruolo primario, ma tale ruolo domani sarà del capitale privato e delle informazioni, che circolano libere, in tempo reale e senza confini. La sovranità nazionale dovrà essere sostituita dalla sovranità dei cittadini. Già ora un Governo che favorisce il capitale nazionale e protegge le aziende del paese, anche quando queste sono inefficienti, è un pessimo Governo, perché nel mercato globale distruggerà ricchezza e genererà disoccupazione. È invece necessario attirare capitali ed aziende, perché questo è l'unico modo per creare veri posti di lavoro.
A questo proposito, vale la pena di citare: «...una Europa degli Stati non solo non basta più, ma anzi, dal punto di vista economico e sociale, è un ostacolo». La fonte non è l'ultimo libro di Umberto Bossi, o un discorso di un membro del Governo o del Parlamento per l'indipendenza della Padania. La fonte è il libro «Autonomie regionali e federalismo solidale» della Commissione «Giustizia e Pace» della Diocesi di Milano. La presentazione al libro è firmata dall'arcivescovo di Milano, Carlo Maria Martini.

11. È necessaria la separazione consensuale.

Il paese unito non ha nessuna possibilità di rispettare il trattato di Maastricht.
I tempi stringono. Il prof. Prodi di recente ha dichiarato che «dobbiamo andare nella prima squadra europea se no il nostro futuro si fa drammatico». Noi da anni dichiariamo che lo Stato italiano, con la sua struttura, con i troppi compiti che si è arrogato, con la sua natura centralista con le sue culture diverse ed incompatibili tra loro, alcune delle quali vorrebbero un centralismo ancora più marcato, non ha alcuna possibilità di rispettare, neppure in prospettiva, i parametri del trattato di Maastricht.
E nei paragrafi precedenti lo abbiamo dimostrato. I rimedi «classici», vale a dire:
cercare di aumentare le entrate;
cercare di tagliare le spese;
vendere i beni dello Stato e con il ricavato pagare i debiti,
al punto in cui siamo arrivati sono necessari, ma non sono più sufficienti.

La soluzione non si troverà mai in manovre più o meno dolorose, ma solo realizzando un profondo cambiamento strutturale, vale a dire un cambiamento dei poteri di redistribuzione e dei meccanismi che permettono e incentivano la creazione ed il mantenimento di gruppi sociali e territoriali assistiti. Allo stato attuale delle cose, questa divisione tra produttori ed assistiti si è talmente radicata da diventare quasi una divisione culturale e geografica.
Noi non riteniamo che questa situazione sia inevitabile ed eterna. Noi non pensiamo che gli abitanti del Mezzogiorno siano intrinsecamente votati ad una cultura dell'assistenzialismo. Riteniamo, invece, che questa cultura si sia sviluppata in quelle zone grazie a decenni di assistenza e di scambio elettorale: quando viene continuamente suggerito che una qualche forma di reddito può essere garantita non dagli sforzi imprenditoriali e lavorativi ma dall'appoggio politico che si può fornire a certi partiti ed individui, è facile essere indotti a pensare che questa relazione perversa sia anche l'unica possibile. Certo, finché dura e qualcuno paga, questa è la soluzione più facile e comoda da scegliere.
Anche per questo è necessario prendere serenamente atto del fatto che siamo in presenza di più culture e di più economie, e che di conseguenza è inevitabile


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una divisione consensuale del Paese che sarà di vantaggio per tutti e che può e deve realizzarsi senza traumi e senza tensioni.
Continuando a gestire il Paese senza pragmatismo, con appelli tanto retorici quanto patetici ad ideologie ed a grandi affermazioni di principio, che in realtà nella maggior parte dei casi servono solo a mantenere il potere oppure a mascherare e a far apparire come legittimi interessi particolari che legittimi non sono, e senza avere il chiaro obiettivo di tutelare interessi generali, noi condanneremo i cittadini di questa zona geografica al sottosviluppo e alla disoccupazione.
I cittadini della Padania desiderano l'adesione all'Unione Monetaria, perché ritengono che corrisponda ai loro interessi di lungo periodo, a quelli delle loro famiglie e delle loro generazioni future, perché 10 trovano coerente con i loro valori morali e perché questo è il modello di organizzazione sociale nella quale desiderano vivere. Per questo la maggioranza dei cittadini della Padania è anche disposta a pagare i prezzi indotti dalle politiche che tale processo di adesione richiede.
Non crediamo che solo i cittadini delle regioni della Padania abbiano tale desiderio, né che essi siano gli unici che da questo modello potrebbero trarre beneficio. Siamo convinti infatti che libero mercato, responsabilità ed iniziativa individuale, eliminazione di assistenzialismo ed inefficienze pubbliche , sussidiarietà dei poteri, eccetera, definiscano un modello di organizzazione civile che potrebbe essere vantaggioso anche alle altre regioni.
Ma dalle altre regioni questo desiderio di cambiamento non sale, oggi come oggi, altrettanto esplicitamente.
Ai cittadini della Padania viene oggi impedito di fare scelte moralmente giuste e socialmente ed economicamente convenienti perché il potere centrale dello Stato è controllato da interessi che sono opposti a quelli della parte produttiva del paese.
Per questo la Padania rivendica il diritto di aderire all'Unione Europea.

12. Per armonizzare in Europa le pensioni, la sicurezza sociale ed il sistema fiscale.

Noi sappiamo, siamo assolutamente certi, che questo Parlamento, anche con la sua recente Commissione Bicamerale, non approverà alcuna seria riforma federale, come siamo altrettanto certi che la Bicamerale si arenerà al primo ostacolo.
Ma se, per miracolo, domani mattina la nostra Costituzione fosse modificata in modo da realizzare la migliore delle riforme federali che adesso (a parole) tutti chiedono, nell'ipotesi che non aumenti la pressione fiscale si presenteranno questi tre scenari:
1. il paese sarà organizzato in modo più razionale. Le Regioni e gli enti locali avranno maggiori responsabilità alle quali dovranno far fronte con proprie disponibilità. Ma questo significa che diminuiranno i trasferimenti di finanza derivata: dunque, rispetto a oggi, diminuiranno i trasferimenti perequativi a favore delle aree depresse.
2. con la semplice riforma federale, e senza aumentare le tasse, noi non avremmo risolto il problema del Mezzogiorno, della sua disoccupazione e della sua incapacità di attirare capitali per investimenti. E questo significa che non potremo aderire all'Unione Monetaria.
3. Ma in ogni caso non possiamo farci illusioni. Infatti l'ipotesi, molto improbabile, che il Paese unito possa essere ammesso all'unione Monetaria, porterebbe a conseguenze ancora più drammatiche della mancata ammissione.

Infatti:
per l'ammissione del Paese unito i cittadini e le imprese dovrebbero pagare il prezzo di un nuovo aumento di pressione fiscale e dovrebbero pagare alcune delle imposte patrimoniali straordinarie che puntualmente a Roma ogni anno qualcuno propone quando si discute la legge finanziaria;


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ma, dopo l'ammissione, le nostre imprese perderebbero competitività, perché dovrebbero continuare a trasferire significative risorse finanziarie a Roma. Infatti l'unità di questo Paese porta necessariamente con sé una cultura ed una prassi di assistenzialismo e di assenza di responsabilità. Dunque, rispetto ai loro concorrenti europei, le nostre imprese avrebbero minori risorse per gli investimenti, per la ricerca, per Io sviluppo di nuovi prodotti e per la remunerazione del capitale. E anche questo scenario porta all'aumento della disoccupazione e del sottosviluppo.

13. Per aiutare il Mezzogiorno.

Il Mezzogiorno non ha bisogno solo della tangibile solidarietà della Padania e dei fondi strutturali europei. Queste sono due cose che il Mezzogiorno ha sempre avuto, e che non mancheranno nemmeno in futuro, ma che non sono sufficienti: altrimenti avrebbe già risolto tutti i suoi problemi.
Al Mezzogiorno serve qualcosa in più: paradossalmente servirebbe la fine dell'assistenzialismo, degli aiuti ai consumi, servirebbe un maggior senso di responsabilità, la consapevolezza che nessuno può risolvere per intero i problemi degli altri, servirebbe la capacità di attirare capitali per investimenti produttivi, per posti di lavoro veri, non nella inutile burocrazia di uno Stato assente, lontano e parassitario. Eventualmente servirebbe la possibilità di utilizzare lo strumento della svalutazione competitiva della moneta, e così via.
In sintesi, i problemi del Mezzogiorno si risolvono ristabilendovi uno stato di diritto, attraendo capitali e liberalizzando sempre di più l'economia. Queste sono cose alla portata di un Mezzogiorno organizzato come una nuova Regione-Stato nel cui Parlamento siedano uomini nuovi che responsabilmente sappiano capitalizzare la solidarietà della Padania e degli altri. paesi membri dell'Unione Monetaria, che non è mai mancata e che continuerà a non mancare.

14. Conclusione.

In conclusione, chiedo al Governo Prodi di preparare una nuova nota di aggiornamento al DPEF sulla base delle considerazioni espresse in precedenza, e di rivedere di conseguenza anche la legge finanziaria ed i provvedimenti collegati.


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Come vedete, pur considerando una manovra da 62.500 miliardi, peggiorando il tendenziale di soli 4.500 miliardi, e senza peggiorare la stima del PIL, siano sempre lontani (molto lontani) dal 3% richiesto dal trattato di Maastricht.


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Come vedete, pur considerando una manovra da 62.500 miliardi, peggiorando il tendenziale di soli 4.500 miliardi, e senza peggiorare la stima del PIL, siano sempre lontani (molto lontani) dal 3% richiesto dal trattato di Maastricht.