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Doc. XXXIII n. 6


Parte Seconda
PROFILI DI MINACCIA COLLEGATI ALLO SCENARIO INTERNAZIONALE


1. Sviluppi di situazione nelle aree di maggiore interesse

Sul versante estero, l'attività informativa si muove entro uno scenario articolato da una pluralità di crisi e di focolai di tensione, il cui potenziale di minaccia - dai riflessi più diretti per l'accresciuto ruolo assunto dall'UE, e dall'Italia in particolare, nella diplomazia internazionale si esprime eminentemente in una sfida terroristica di crescente portata ed in una forte pressione migratoria clandestina, in un quadro che interessa anche zone cui sono legate le esigenze di approvvigionamento energetico dell'Europa occidentale.
In questo senso, mirata attenzione è stata rivolta all'area balcanica, in ragione della sua contiguità ai confini nazionali che amplifica le ricadute dei processi colà in atto sulla sicurezza del nostro Paese; alle diverse realtà territoriali dell'ex Unione Sovietica, le cui vicende non hanno mancato di mostrare pericolose implicazioni a livello mondiale anche in termini di stabilità economica; alle dinamiche dello scacchiere mediorientale, sempre suscettibili di riflettersi sugli assetti geopolitici e strategici non solo della regione ed, infine, al continente africano, attraversato da varie e contraddittorie spinte politico -economiche e confessionali e segnato, in una fase di ridefinizione delle zone di influenza, dall'inasprirsi di conflitti etnici e contenziosi che rischiano di produrre nuove emergenze di carattere umanitario.

a. area balcanica
La situazione della Repubblica Federale di Jugoslavia (RFJ) e, con essa, quella dell'intera area balcanica, restano condizionate dagli sviluppi della crisi kosovara.
La mediazione internazionale nel conflitto che oppone Belgrado ai separatisti ha trovato momento significativo nell'accordo di ottobre sul ritiro di aliquote dell'apparato serbo - federale dalla regione a maggioranza albanese. I limiti di tale risultato si rinvengono, peraltro, nell'incremento delle attività degli albano - kosovari, volto, da un lato, a riacquisire il controllo di consistenti aree del territorio e, dall'altro, a riorganizzare la propria struttura militare per potenziarne le capacità operative nella prospettiva di un'offensiva su più vasta scala da attuarsi con il miglioramento delle condizioni metereologiche.
Ciò, in una fase in cui le trattative tra le parti sembrano pregiudicate sia dall'intransigenza di Belgrado, sia dalla determinazione dei secessionisti a perseguire l'indipendenza, respingendo qualsiasi soluzione alternativa.
L'emergenza umanitaria conseguente al protrarsi della crisi, tradottasi in consistenti flussi di profughi verso i Paesi limitrofi (specie l'Albania, il cui territorio è stato utilizzato per infiltrare armi e militanti), non appare destinata a venir meno nei tempi brevi, poiché, anche a fronte dell'eventuale contenimento delle attività belliche, il reinsediamento dei fuoriusciti è ostacolato dalle intimidazioni e dalle rappresaglie poste in essere sia dai gruppi serbi che dagli albano - kosovari.
Tale contesto è suscettibile di riflettersi ulteriormente sul nostro Paese, trasformando le partenze clandestine in un vero e proprio esodo, e presenta rischi per l'incolumità degli osservatori internazionali e degli operatori umanitari che potrebbero essere coinvolti in scontri armati o costituire obiettivo di attentati, da parte sia indipendentista, quale reazione ad un accordo che non accolga quelle rivendicazioni, che serba, per il mancato soddisfacimento delle aspettative di sicurezza.
I rapporti interni alla RFJ risentono anche dell'acuirsi dello scontro politico tra le Autorità del Montenegro e Belgrado, tradottosi, tra l'altro, nel boicottaggio dei lavori parlamentari ad opera dei deputati montenegrini che hanno attribuito ai vertici federali intenti di destabilizzazione.
Nella Repubblica Serba di Bosnia Erzegovina (RSBE) continuano a registrarsi crescenti difficoltà nel processo di stabilizzazione, episodi di intolleranza interetnica e manifestazioni di insofferenza, specie nelle roccaforti ultranazionaliste, per l'attività delle Organizzazioni umanitarie finalizzata al reinserimento dei profughi.
A fronte dell'ulteriore deterioramento dei rapporti con la comunità internazionale, dovuto ad attriti sulla nomina di un esponente radicale alla guida del governo serbo-bosniaco, sono possibili ritorsioni da parte di elementi estremisti, anche a seguito dell'arresto di un alto ufficiale serbo per presunti crimini di guerra, compiuto da reparti statunitensi della Forza di Stabilizzazione (SFOR) nel settore di responsabilità del contingente italiano.
La presenza di una consistente minoranza favorevole alla causa indipendentista albano-kosovara appare destinata ad incidere sugli sviluppi futuri della FYROM, connessi all'atteggiamento che la nuova maggioranza di destra assumerà nei confronti delle misure volte a promuovere la tolleranza interetnica adottate dal precedente Governo.
In Croazia il progressivo rafforzamento delle correnti nazionaliste del partito al governo, espressione della «lobby erzegovese» - che mantiene stretti legami con i croato - bosniaci, influenzandone l'evoluzione politica nella Bosnia Erzegovina - può avere riflessi anche nei rapporti con le comunità minoritarie residenti nel Paese, inclusa quella italiana.
In Albania, la crisi verificatasi nel mese di settembre ha condotto alla formazione di un nuovo esecutivo, le cui possibilità di successo appaiono legate ai risultati che esso sarà in grado di conseguire sul fronte della lotta alla corruzione, del risanamento economico, del ripristino del controllo sul territorio e del mantenimento dell'ordine pubblico. Profili, questi, che fanno ancora registrare un bilancio fortemente deficitario.
Sull'opera del Governo gravano il rischio di reazioni dei gruppi criminali - intenzionati a salvaguardare i guadagni illeciti e le reti di complicità di cui hanno finora goduto - e gli esiti delle tensioni che si registrano sul piano politico e che hanno visto il partito di maggioranza attraversato da forti contrasti interni e l'opposizione dell'ex Presidente rifiutarsi di partecipare alle attività politiche ed istituzionali.
Persiste, pertanto, il pericolo di iniziative destabilizzanti di varia natura: dalla strumentalizzazione di manifestazioni di piazza, al compimento di attentati tesi ad alimentare un clima che giustifichi la riproposizione della richiesta di elezioni anticipate.
In tale contesto, assume rilievo l'eventualità di azioni ritorsive in danno di nostri cittadini presenti a vario titolo in quel Paese, ove si è registrata una campagna di stampa di particolare virulenza contro l'Italia, accusata di aver vulnerato i sentimenti nazionali del popolo albanese.
Ciò, in uno scenario interno che resta contraddistinto dall'incidenza di un fenomeno terroristico di matrice non sempre identificabile e dalla presenza di fondamentalisti islamici, sospettati di coinvolgimento nella rete internazionale dell'integralismo, e che presenta anche rischi di degenerazione connessi ad un aggravamento della crisi kosovara, a causa di possibili operazioni serbe in territorio albanese contro le basi delle formazioni armate.

b. Comunità degli Stati Indipendenti, area caucasica e centro - asiatica
Nella Federazione Russa permangono fattori d'instabilità per il protrarsi di una situazione di incertezza politica ed economica, riconducibile ad elementi strutturali e congiunturali. La nomina del nuovo primo ministro ha attenuato la tensione tra la Duma ed il Presidente, peraltro costretto a causa delle condizioni di salute a frequenti assenze dalla scena politica. La sua figura appare, pertanto, indebolita ed assumono concretezza le ipotesi di dimissioni anticipate, con conseguente avvio della corsa per la successione.
Sul piano economico, la difficile realizzabilità del processo di risanamento - alla cui prosecuzione il premier si è impegnato a livello internazionale - dovuta anche agli alti oneri sociali, rischia di determinare una ripresa della spirale inflazionistica.
La crisi finanziaria ha accentuato il distacco tra le Autorità centrali ed i soggetti federali, con il rischio di compromettere, nel medio - lungo termine, l'assetto istituzionale del Paese.
Segnali in tal senso si colgono nell'intensificazione delle relazioni tra organi locali e comandanti dei distretti militari, in una situazione che potrebbe indurre il Governo russo a negoziare la concessione di una più ampia autonomia amministrativa e politica per imbrigliare quelle forze che premono per la completa indipendenza o per la trasformazione in confederazione.
Ulteriore fattore di instabilità è costituito dalla presenza di vasti arsenali nucleari, la cui sicurezza - pur apparendo, al momento, adeguatamente garantita - è esposta al pericolo rappresentato dalla profonda crisi delle Forze Armate, che favorisce la diffusione della corruzione e crea le condizioni per la penetrazione della criminalità organizzata. In tale quadro, nuovi ritardi nell'adozione di provvedimenti atti a migliorare le condizioni dei militari potrebbero rendere più concreta la possibilità di sottrazione di ordigni a favore di gruppi terroristici o di Paesi proliferanti. Inoltre, l'indebolimento del potere centrale nei confronti dei soggetti federali potrebbe rafforzare i legami tra i comandi periferici delle Forze Nucleari Strategiche ed i dirigenti locali, con il rischio di una progressiva «regionalizzazione» del controllo sulle armi nucleari.
In Ucraina i contrasti politici stanno ritardando l'adozione dei provvedimenti necessari a consolidare i segnali di ripresa economica, con riflessi negativi sulle già precarie condizioni di vita della popolazione. Sul piano internazionale, il Paese si mostra attento a perseguire una politica di bilanciamento tra Est ed Ovest.
In Belarus il peggioramento delle condizioni economiche e sociali, riconducibile ai riflessi della crisi russa ed ai ritardi nel processo delle riforme, ha prodotto una erosione dei consensi, per fronteggiare la quale il Governo ha inasprito le misure
di repressione, accentuando così l'involuzione autoritaria del regime e l'isolamento internazionale del Paese.
L'intera area caucasica si caratterizza per una diffusa instabilità, dovuta all'incapacità delle dirigenze locali di garantire lo sviluppo e di risolvere, i contenziosi etnici e territoriali, in uno scacchiere che è oggetto di specifica attenzione da parte della Russia e dell'Iran, interessati a rafforzare la loro presenza nella regione, soprattutto in relazione allo sfruttamento delle risorse energetiche.
La recrudescenza dell'attività criminale, il crescente dinamismo degli integralisti islamici e la radicalizzazione dei contrasti interni segnano la situazione delle Repubbliche caucasiche della Federazione Russa, la cui evoluzione è condizionata dagli sviluppi degli avvenimenti in Cecenia, ove la posizione del Presidente si è indebolita, ed in Daghestan, a causa dell'attivismo dei gruppi estremisti intenzionati a costituire uno stato islamico comprendente le repubbliche musulmane russe del Caucaso.
Al momento, proprio in ragione delle difficoltà del potere centrale russo, sono prevedibili l'inasprimento del confronto tra schieramenti moderati ed estremisti, l'aumento dell'incidenza dei movimenti fondamentalisti islamici e non può essere esclusa una ripresa della guerra civile in Cecenia, con conseguenze destabilizzanti per l'intera regione.
In Georgia. il tentativo di insubordinazione di elementi delle Forze Armate e l'incremento dell'attività di guerriglia nelle regioni occidentali hanno evidenziato un indebolimento del Governo che potrebbe compromettere la possibilità di un accordo con la repubblica secessionista dell'Abkhazia.
Nonostante gli sforzi della diplomazia internazionale, sono continuati i contrasti tra Armenia ed Azerbaigian per il controllo della regione del Nagorno - Karabakh, con ripercussioni negative sulle prospettive di crescita economica, legate, in particolare, allo sviluppo dei progetti per lo sfruttamento delle risorse del Mar Caspio.
La mancata attuazione delle riforme grava sulle condizioni di vita della popolazione delle Repubbliche centro asiatiche della CSI, favorendovi l'azione del crimine organizzato.
Un ruolo chiave nell'area viene svolto dall'Uzbekistan e dal Kazakistan, impegnati a contenere l'espansione del fondamentalismo islamico, anche in connessione al rischio di massicci flussi di profughi e di eventuali implicazioni di matrice terroristica, in relazione al conflitto in Tagikistan, ove l'incremento delle attività dei gruppi più radicali della guerriglia e dei clan contrari all'attuale regime ha posto seri ostacoli alla normalizzazione della situazione interna, mettendo a rischio sia il processo di pace sia l'opera delle Organizzazioni umanitarie internazionali.
In Afghanistan, dopo la conquista di gran parte del territorio ad opera dei fondamentalisti islamici, la conflittualità ha assunto una sempre maggiore connotazione etnica ed ha fatto registrare gravi violazioni dei diritti umani e aggressioni contro il personale delle Nazioni Unite. Lo stato di tensione con l'Iran, determinatosi a seguito dell'uccisione, in agosto, di rappresentanti diplomatici di quel Paese, permane elevato soprattutto nella fascia confinaria.

c. area mediorientale e del Golfo Persico
Il processo di pace in Medioriente non ha fatto registrare significativi progressi sul piano della sicurezza nonostante l'accordo di Wye Plantation, che ha rappresentato un cauto compromesso tra le richieste palestinesi relative al ritiro delle truppe israeliane da alcune aree della Cisgiordania e le istanze di Tel Aviv in tema di adozione di incisive misure antiterrorismo.
L'annuncio dei rilevanti aiuti economici da parte della «Conferenza dei donatori» a favore dei Territori palestinesi, la visita del presidente statunitense a Gaza e la sua partecipazione alla sessione straordinaria del Consiglio Nazionale che ha ratificato l'abrogazione degli articoli antisraeliani della carta costitutiva dell'OLP hanno rappresentato eventi significativi per il prosieguo del negoziato.
Tuttavia, anche in ragione dello scontro politico in atto in Israele - che ha determinato l'indizione delle elezioni per il prossimo maggio - l'applicazione degli accordi continua ad incontrare notevoli difficoltà.
Se si considera, poi, che restano ancora da affrontare il problema di Gerusalemme e dello «status» finale dei Territori, appare evidente come l'intesa di ottobre segni solo l'inizio della ripresa del processo di pace, per la cui effettiva prosecuzione sarà determinante la maggioranza politica che si configurerà a seguito delle citate consultazioni.
Le reazioni ostili provocate dagli accordi nei settori più oltranzisti di entrambi gli schieramenti hanno conferito nuova attualità alla minaccia terroristica o di gesti eclatanti.
Ad elevare il rischio di azioni di matrice palestinese si pone la convergenza sul proposito di proseguire la lotta armata tanto della dissidenza laica, quanto di quella di ispirazione confessionale. Gli integralisti islamici hanno mantenuto elevate capacità operative e potrebbero nuovamente ricorrere all'opzione violenta non solo in danno di obiettivi israeliani, ma della stessa leadership araba.
Preoccupazioni sono state espresse circa la possibilità di attentati, da parte di estremisti ebraici, contro personalità di governo.
Quanto sopra si colloca in uno scenario regionale che presenta un elevato indice di conflittualità, in ordine al quale la posizione di Tel Aviv costituisce un referente centrale nella definizione dei variabili equilibri dell'area.
Così, l'intendimento di bilanciare la cooperazione militare turco - israeliana - percepita come una minaccia alla sicurezza, specie a seguito dello stallo del negoziato sulle alture del Golan - ha indotto la Siria a consolidare le relazioni con l'Iraq, accentuando le frizioni con Ankara, nonostante il superamento della crisi dovuta all'appoggio fornito da Damasco alle formazioni separatiste curde.
L'intensificarsi delle iniziative antisraeliane dei guerriglieri sciiti caratterizza la situazione della zona meridionale del Libano, mentre nel resto del Paese si registra un progressivo assestamento di quella composita società sotto l'egida siriana, sebbene abbiano ancora avuto luogo attentati da parte di talune componenti minoritarie.
Il ruolo di mediazione sinora esercitato dalla Giordania grazie alla stabilità ascrivibile all'autorevolezza del Sovrano, nonostante le precarie condizioni di salute, appare legato per il futuro alla capacità di quel Governo di contenere le spinte dei settori più radicali, in un momento di recessione economica.
Viceversa, continuano ad aggravarsi la situazione socioeconomica e lo stato della sicurezza nello Yemen, ove si sono verificati numerosi atti terroristici, specie nei confronti di turisti, attribuibili alle frange estremiste del dissenso, sia religioso che secolare.
In Iran il quadro politico è caratterizzato dal confronto tra i fautori delle aperture riformiste ed i circoli conservatori. L'attivismo di questi ultimi ha provocato la rimozione da cariche istituzionali di taluni promotori del rinnovamento e ne ha fatto registrare l'affermazione all'elezione dei componenti dell'organo collegiale preposto, tra l'altro, alla nomina della Guida Islamica.
L'opposizione alla linea riformista si è tradotta anche in azioni intimidatorie, segnatamente in direzione di centri studenteschi e giornalisti, nell'aggressione ad esponenti governativi sostenuti dal Presidente e nell'assassinio di intellettuali, in un inasprimento dello scontro politico che non appare destinato ad attenuarsi.
Gli attacchi condotti da forze anglo - americane contro obiettivi sensibili dell'Iraq hanno costituito l'epilogo della crisi che ha opposto quel regime alle Nazioni Unite in merito allo smantellamento delle armi di distruzione di massa. Occorrerà del tempo per valutare appieno se sia stato raggiunto l'obiettivo di eliminare o ridurre la capacità di produzione irachena e quali riflessi ne deriveranno per l'assetto politico del Paese. Intanto la posizione di ferma intransigenza da parte di Baghdad nei confronti di Washington e Londra configura la possibilità di una nuova escalation militare.
In ambito politico diplomatico c'è una generale convergenza dei membri del Consiglio di Sicurezza dell'ONU sulla necessità di indurre la dirigenza irachena a ripristinare la collaborazione con gli organi ispettivi. A tal fine si sta esaminando una nuova soluzione che contempli il monitoraggio continuo dei programmi bellici iracheni e la contestuale revoca controllata dell'embargo.

d. area nordafricana
Il contesto nordafricano, sia per la contiguità geografica con l'Italia, sia per le dinamiche che da esso si irradiano, costituisce un'area di estremo interesse sul piano della sicurezza, oltre che per la consistente spinta migratoria, per la dura contrapposizione tra il radicalismo islamista - richiamo sempre più forte per quelle popolazioni - ed i Governi, protesi ad intensificare i rapporti ed il dialogo con l'Occidente.
A fronte di tali fenomeni comuni, permane la specificità dei singoli contesti statuali anche sotto il profilo dei rispettivi atteggiamenti nei confronti della comunità internazionale.
Significativa, nel senso, l'evoluzione registrata nelle posizioni della Libia sulla vicenda Lockerbie, indicativa di un nuovo orientamento in politica estera, improntato a maggiore apertura verso l'Occidente. A ciò si è accompagnato un particolare dinamismo diplomatico che, a seguito di difficoltà nei rapporti con i Paesi della Lega Araba, ha portato ad individuare negli Stati del Sahel gli interlocutori privilegiati.
L'avvio di una convinta politica di cooperazione regionale ed una condotta di più spiccata moderazione hanno propiziato la costituzione di un esteso fronte di nazioni favorevoli alla rimozione delle sanzioni ONU, che, tra l'altro, ha portato l'Organizzazione per l'Unità Africana (OUA) a decidere la violazione unilaterale dell'embargo.
In un contesto tuttora segnato dalla vischiosità degli equilibri interni e da un progressivo deterioramento delle condizioni di vita della popolazione, il regime ha sinora efficacemente contenuto l'attività dei gruppi islamisti, facendo di quel territorio un argine ai movimenti integralisti che operano nelle nazioni contermini e continuando peraltro a rivendicare, nella persona del leader libico, un ruolo di guida nei confronti della comunità islamica.
L'esigenza di misurarsi con il fondamentalismo militante conforma la posizione dell'Egitto, che a livello regionale ed internazionale ha sviluppato nuove forme di cooperazione nella lotta al terrorismo, mantenendo rigorose misure repressive. La sensibile riduzione dell'attività armata da parte delle formazioni radicali è anche da ricondurre alla necessità di ristrutturare l'apparato operativo, nonché al dibattito in seno agli ambienti islamici egiziani sull'efficacia della violenza quale mezzo per giungere alla costituzione di uno stato teocratico.
È per sfruttare le «smagliature» prodotte da tale dibattito che il Governo ha avviato una politica di caute aperture, intesa a valorizzare l'emersione di una componente di più consistente caratura politica disponibile al dialogo.
In Algeria, si registrano fermenti legati alle prossime elezioni conseguenti alla decisione del Presidente di anticipare la fine del proprio mandato, di per sé indicativa della possibile esistenza di incrinature nella compattezza della dirigenza politico -militare, che trova da tempo nell'atteggiamento da tenere nei confronti del terrorismo islamico un motivo di divisione e contrasto.
L'intenso attivismo dei gruppi armati - tradottosi sia in una indiscriminata deriva stragista, sia nell'enucleazione di obiettivi mirati del comparto energetico e militare - trae costante alimento dal permanere di una situazione di grave crisi economica e nel disagio che ne costituisce l'effetto primario.
Del resto, è proprio nella persistenza di profonde e diffuse situazioni di squilibrio socioeconomico, nonostante l'opera di risanamento intrapresa dai Governi maghrebini, che trova origine la spinta migratoria verso l'Europa e si innesta il richiamo del radicalismo islamico, anche in realtà, come quelle del Marocco e della Tunisia, con le quali il nostro Paese ha da tempo avviato una politica di cooperazione bilaterale improntata alla promozione di una dimensione euromediterranea.

e. Corno d'Africa ed Africa centrale
La situazione nel Corno d'Africa si caratterizza per la notevole precarietà.
I tentativi di mediazione internazionale non hanno sinora conseguito risultati apprezzabili per la soluzione della crisi confinaria fra Etiopia ed Eritrea, che attraversa una fase di tregua, sostanzialmente finalizzata al potenziamento dei rispettivi dispositivi militari.
I frequenti incidenti lungo la fascia territoriale contesa fanno ritenere imminente la recrudescenza del confronto amato, che potrebbe coinvolgere anche Gibuti, accusata da Asmara di essersi schierata a fianco dell'Etiopia.
Qualora la situazione dovesse degenerare, potrebbero verificarsi esodi di massa verso i Paesi limitrofi e prospettarsi rischi per il personale delle Organizzazioni umanitarie e delle imprese straniere operanti nell'area, nonché ripercussioni anche sulla Somalia.
In quel Paese non appaiono esserci concrete prospettive di normalizzazione, in ragione del permanere di un elevato livello di tensione nella Capitale e nel Benadir e della tendenza delle parti in conflitto a costituire entità regionali autonome. Su tale contesto interagisce l'interesse etiopico alla formazione di strutture politico - amministrative favorevoli ad Addis Abeba, soprattutto per contrastare l'influenza che i gruppi estremisti islamici somali esercitano alla frontiera fra i due Paesi.
La fragilità dell'assetto politico - istituzionale della maggior parte delle realtà nazionali che lo compongono, il permanere di gravi problemi di carattere socioeconomico ed una molteplicità di conflitti interetnici connotano l'intero Centroafrica, le cui ingenti risorse naturali e minerarie non riescono ad incidere positivamente sui fattori che sono all'origine delle crisi ma, al contrario, in qualche caso le generano e ne ostacolano la soluzione.
In tale contesto, ed in assenza di un quadro di riferimento politico stabile, anche i tentativi delle organizzazioni politiche e militari locali, talune ancora allo stato embrionale e prive di strumenti operativi, non conseguono apprezzabili risultati.
La ripresa delle ostilità tra il potere centrale ed i ribelli tutsi nella Repubblica Democratica del Congo (RDC) ha di fatto spaccato il Paese in due parti ed ha investito progressivamente l'intera regione, anche in considerazione della posizione geografica del territorio congolese.
Nonostante gli sforzi diplomatici per l'avvio di negoziati di pace, la conflittualità appare destinata a protrarsi pure a causa dei contrastanti interessi dei Governi intervenuti a sostegno delle forze in conflitto. La situazione potrebbe ulteriormente aggravarsi in dipendenza della possibilità di un più allargato confronto diretto conseguente all'impegno militare di parti terze.
Di peculiare significato gli eventi riguardanti la Sierra Leone, ove si registrano crescenti difficoltà della Forza di Pace panafricana, a guida nigeriana, nel contrastare le milizie ribelli. La violenza degli scontri ha sensibilmente deteriorato le condizioni di sicurezza della popolazione, ivi compresi i residenti stranieri, con gravi riflessi sotto il profilo umanitario.

2. Terrorismo internazionale

Gli episodi terroristici di maggiore gravità del semestre confermano la rilevanza primaria assunta dalla minaccia proveniente dall'islamismo radicale, la cui portata si è ulteriormente precisata in correlazione con il processo che va enucleando uno schieramento internazionalista dalla marcata vocazione antioccidentale.
A sviluppo di un progetto più volte prospettato dai principali leader della galassia islamica, l'integralismo militante è andato promuovendo il graduale compattamento di diverse formazioni in un unico fronte atto a moltiplicare il proprio impatto attraverso il perseguimento di una strategia unitaria che comporta, quale principale corollario operativo, l'esportazione degli attacchi terroristici in aree inedite. Ciò, in una logica che esclude zone di neutralità e coniuga tattiche contingenti con disegni di più ampio respiro, privilegiando obiettivi presenti in teatri periferici. Tra questi, oltre al già interessato continente africano, particolare rilievo rivestono i Paesi dell'area balcanica, specie per la diffusa instabilità regionale, le Repubbliche musulmane caucasiche e centro - asiatiche pure a causa della contiguità con i campi di addestramento afghani e della crescita della componente radicale islamica - ed il Pakistan, per i vincoli etnico - religiosi con i talebani.
Tale tendenza evolutiva va valutata tenendo conto che la caratura transnazionale del fenomeno non ne fa venire meno la specificità all'interno delle diverse realtà nazionali e d'area.
Se, infatti, il fondamentalismo ultraradicale ha assunto in Afghanistan veste statuale, in Algeria si confronta con le istituzioni in termini che rasentano la guerra civile, vive quale opposizione armata in seno al regime egiziano ed innerva il disagio delle classi deboli in Tunisia e Marocco. Esso condiziona in Pakistan gli orientamenti filoccidentali, alimenta le rivendicazioni miranti all'autodeterminazione in talune realtà asiatiche e si pone quale vessillo identitario nella questione palestinese.


La descritta spinta aggregatrice è stata impressa al movimento islamista da singole personalità; circostanza, questa, che segna una novità rispetto ad un passato in cui tale ruolo di impulso e guida veniva svolto da soggetti statuali. Resta peraltro tutta da cogliere l'effettività ditale mutamento: se esso, cioè, corrisponda realmente ad un'inversione di tendenza nella strategia dei cd. «Stati sponsor» - sulla cui portata grava comunque l'ipoteca della perdurante operatività di campi e strutture dell'integralismo - ovvero configuri una mera scelta tattica di schermatura, funzionale al recupero di spazi di agibilità sulla scena internazionale.
L'opzione terroristica, che ha trovato il momento più visibile e significativo negli attentati dell'agosto in Kenya e Tanzania, viene confermata anche dal rinvenimento in vari Paesi mediorientali ed europei di prodotti chimici, manuali e videocassette contenenti istruzioni per 1'assemblaggio di ordigni e potrebbe ulteriormente potenziarsi in virtù del segnalato interesse di quei medesimi settori del fondamentalismo all'acquisizione di know how e di armi di distruzione di massa.
Peraltro, gli elementi raccolti in ambito informativo evidenziano come stia parallelamente emergendo una linea, anch'essa finalizzata ad imporre l'islamismo a livello mondiale, che privilegia la strada dell'«accreditamento» politico - e, pertanto, della rinuncia o del ridimensionamento dell'offensiva armata - e che ha significativamente inciso sulle formazioni terroristiche egiziane ed algerine, determinandone fratture interne o rimodulazioni operative.
Nell'attuale fase si può ipotizzare che all'affermarsi della corrente fautrice della mediazione e del negoziato, le frange più estreme contrappongano una rinnovata offensiva che potrebbe trovare spunti operativi in tematiche dall'elevato valore unificante - tra le quali continua ad essere centrale la questione palestinese, costante, potenziale detonatore per attacchi antisraeliani ed antistatunitensi - e sponde anche inedite in soggetti e Stati che se ne facciano paladini. Evenienza, questa - suggerita da ultimo dalla nuova crisi con l'Iraq - che risulta favorita dalle sinergie tra aspetti politico-ideologici, instabilità regionali ed interessi geostrategici e tanto più temibile in una contingenza globale che si qualifica per la presenza di vastissimi arsenali bellici e per un'insistente corsa al riarmo nucleare.
Il complesso delle evidenze informative traccia accentuate proiezioni della minaccia terroristica di matrice islamica sul continente europeo, già da tempo base di una capillare rete radicale, di cui il territorio italiano costituisce significativa dorsale logistica, fungendo da trait d'union tra la madrepatria, nuclei attivi in Francia, centrali propagandistiche e finanziarie in Gran Bretagna ed area balcanica, oggetto, quest'ultima, di una stringente penetrazione intesa a fruire della zona quale avanzata testa di ponte verso l'Occidente. In proposito, potrebbero riproporsi anche in relazione al conflitto kosovaro gli schemi organizzativi che vedevano l'Italia, e segnatamente la Lombardia e l'Emilia Romagna, utilizzata quale centrale di smistamento di «mujaheddin» da destinare in Bosnia.
Le strutture europee dell'integralismo sembrano allo stato prioritariamente impegnate nella ridefinizione del rapporto tra il momento logistico e quello operativo, con una prevalenza della propaganda e del proselitismo. Varie acquisizioni d'intelligence, peraltro, hanno riguardato progettualità violente contro obiettivi presenti sul Continente, anche da parte di gruppi sinora relativamente poco noti ed attivi per lo più nei luoghi di origine, con ciò prefigurando il possibile superamento della logica che individuava in quello europeo eminentemente un «territorio funzionale» alle azioni armate da compiere in aree diverse da quelle occidentali.
In un quadro siffatto è meritevole di attenta considerazione l'eventualità che occasioni di grande risonanza, come il Giubileo, possano indurre gli estremisti ad accedere ad opzioni violente.
Il monitoraggio delle attività all'interno dei confini nazionali ha fatto emergere un sostenuto dinamismo della componente egiziana, in seno alla quale sono stati registrati fermenti e tensioni in relazione alla consegna alle autorità cairote, da parte di un Paese dell'America Latina, di un esponente di spicco della comunità islamica in Italia. Le indicazioni relative all'eventuale, crescente impiego delle formazioni egiziane quale braccio operativo dello schieramento transnazionale trovano indiretta conferma nell'arresto a Torino, in ottobre, di cittadini egiziani sospettati della pianificazione di attentati antistatunitensi e nel contestuale sequestro di armi e munizionamento.
Ancora attestato su un livello prevalentemente logistico risulta l'attivismo di matrice algerina, che si sostanzia soprattutto nella fornitura di documenti falsi e nel reclutamento di militanti da inviare in campi di addestramento centroasiatici. Rileva, in proposito, l'arresto a Milano, in novembre, di un presunto terrorista, già inquisito nel '96, per reati che confermano l'impegno di natura organizzativa.
Lo scenario, peraltro, potrebbe mutare in ragione del progressivo affermarsi, anche in Italia, della linea che propugna l'estensione della «jihad» ai Paesi europei ritenuti complici del Governo di Algeri.
Le interconnessioni tra estremisti nordafricani, che ne qualificano le articolazioni estere, sono state ulteriormente riscontrate dagli approfondimenti relativi ad una cellula, smantellata nel febbraio a Cremona, di un'organizzazione radicale marocchina che farebbe parte di un insieme integralista maghrebino« - comprendente anche formazioni algerine, tunisine e libiche - al momento impegnato nella tessitura di un comune ordito logistico ed ideologico volto all'instaurazione di repubbliche islamiche nel Nordafrica.
Tra i fattori atti a moltiplicare il rischio di attentati a livello internazionale, va annoverata - con l'interscambiabilità dei militanti che ne potenzia, di fatto, le capacità offensive - la fisionomia pulviscolare di cellule e nuclei che rende problematico il loro controllo da parte delle stesse organizzazioni di riferimento e sempre possibili, dunque, iniziative autonome, frutto sia di sentimenti di ostilità nei confronti dei Paesi ospiti, sia dell'intento di tradurre in chiave operativa le suggestioni di teorizzazioni panislamiche che trovano altrove il loro luogo di elaborazione.
Preoccupazioni suscita, in questo senso, la circostanza che l'attività propagandistica degli elementi più estremisti presenti in territorio nazionale abbia fatto registrare un inasprimento dei toni e dei contenuti che riecheggia dinamiche esterne e potrebbe
consolidare un humus favorevole alla maturazione di intenti ritorsivi legati ad iniziative giudiziarie riguardanti esponenti di spicco del radicalismo.
Al riguardo. momento agglutinante - sia per il superamento delle divisioni interne, sia per conferire nuovo impulso alle sinergie infraorganizzative - può essere rappresentato dalle celebrazioni dell'Anno Santo, evento suscettibile di catalizzare spinte antioccidentali e fanatismi religiosi.
Lo spessore della minaccia derivante dal quadro descritto ha sollecitato, sia a livello bilaterale, sia in sede di più ampi consessi internazionali, un rafforzamento della collaborazione tra organismi info-investigativi che ha individuato un momento nodale di una concertata strategia di contrasto nella predisposizione di misure atte ad individuare i circuiti di finanziamento del terrorismo.
Per quanto attiene ai gruppi terroristici stranieri di matrice separatista, hanno formato oggetto di azione intelligence organizzazioni indiane, cingalesi e kosovare, impegnate in Italia nel proselitismo e nella raccolta di fondi.
Sono stati seguiti, inoltre, gli sviluppi negoziali riguardanti tanto la questione nordirlandese quanto quella basca, in relazione all'eventualità - che ha trovato in agosto sanguinosa traduzione nell'attentato di Omagh - di iniziative violente tese ad interrompere il dialogo.
Specifici approfondimenti informativi sono stati imposti, infine, dalla vicenda Ocalan, che si inserisce nell'ambito del fenomeno del separatismo curdo, da tempo all'attenzione dei Servizi per le possibili implicazioni sulla sicurezza, connesse essenzialmente ai flussi migratori clandestini ed alla presenza, sul territorio nazionale, di soggetti e strutture a vario titolo legati a gruppi armati.

3. Immigrazione clandestina

Le ondate migratorie clandestine che individuano nel nostro territorio la porta d'accesso all'Europa di Schengen trovano la loro principale scaturigine in quelle stesse endemiche situazioni di disagio socioeconomico che costituiscono ambito di ricezione privilegiata del richiamo del radicalismo islamico militante.
Non è un caso che i Servizi indichino da tempo tali flussi quali potenziali canali per la mobilità anche di estremisti e terroristi; questa eventualità, pur residuale, risulta emblematica delle molteplici incidenze sulla sicurezza di un fenomeno che si connota in termini di minaccia - ed in quanto tale è oggetto di attenzione dell'intelligence - soprattutto in ragione dell'accertata gestione criminale delle fasi che lo articolano, non di rado agevolata da smagliature - dovute ora all'inefficienza, ora al voluto disimpegno - nell'azione di contrasto svolta nei luoghi di origine.
L'attività informativa ha posto in luce il crescente coinvolgimento di strutturate organizzazioni malavitose anche nel traffico di clandestini dal Nordafrica, che aveva mostrato sinora di svilupparsi per lo più al di fuori delle grandi reti delinquenziali.
Si sono così andate evidenziando, per le direttrici dal Maghreb, rotte e modalità operative sempre più complesse e diversificate, gestite da sodalizi con basi in Marocco ed in Tunisia, snodi a Malta, in Egitto e a Cipro e ramificazioni nell'Europa continentale.


È ormai patrimonio conoscitivo consolidato, poi, il monopolio criminale dei flussi dall'area balcanica, che continua a trovare nell'Albania polo d'attrazione e transito anche per le correnti migratorie dall'Asia minore e dal subcontinente indiano. Il territorio schipetaro si qualifica in effetti per il tessuto delinquenziale che, forte di una spiccata flessibilità operativa e di rodati contatti con consorterie di altra nazionalità, appare capace di rapide rimodulazioni organizzative - in termini di diversificazione di rotte e strategie - tese a salvaguardare la rimuneratività di un traffico, e del connesso indotto illecito, che va sviluppando un vero e proprio «terziario» anche per l'esodo di profughi.
La gestione criminale del fenomeno ne condiziona talora in modo inquinante l'andamento, determinando, per esempio, repentine impennate in concomitanza con il varo di misure intese a regolarizzare la posizione nel nostro Paese dei clandestini. Così, la studiata propalazione di notizie relative ad imminenti, vere o presunte, sanatorie risulta funzionale non solo a fungere da «richiamo» per i migranti, ma anche alla creazione di un clima di emergenza che, di fatto, mantiene le condizioni di clandestinità dei flussi.
Al di là dei suddetti fattori di breve periodo, che in autunno hanno fatto registrare un «miniesodo» intracontinentale tradottosi in una nuova pressione alle frontiere terrestri del Norditalia, resta l'incidenza sul trend migratorio delle varie instabilità regionali. Al riguardo, sono seguite con particolare attenzione le vicende in Kosovo, ove il riaccendersi della violenza potrebbe preludere a nuove urgenze di carattere umanitario, e nei territori curdi, pure in relazione alla possibilità che le spinte centrifughe siano utilizzate quale strumento di pressione sull'Occidente.
La descritta interazione tra fattori strutturali, legati a crisi di ordine economicosociale, e situazioni congiunturali, connesse al permanere di conflitti etnicoreligiosi, induce ad assegnare cospicua rilevanza prospettica anche agli effetti collaterali del processo di globalizzazione dei mercati. Questi, nel favorire lo spostamento degli investimenti nelle aree a più alta redditività a discapito dei Paesi meno competitivi, finiscono con l'accentuare le disuguaglianze e la povertà in regioni connotate da elevati livelli di disoccupazione e crescita demografica.
Ne consegue una linea tendenziale che non appare destinata a registrare flessioni, a fronte della quale si impone una costante attenzione di intelligence tesa a cogliere, con le implicazioni criminali del fenomeno, i rischi per la sicurezza legati al suo impatto socio-ambientale.
La condizione di clandestinità di parte degli immigrati nel nostro Paese si pone quale sicuro fattore di alterazione del processo di integrazione nel tessuto civile e, nell'accrescere la possibilità di cooptazione nelle file della delinquenza, contribuisce ad acuire le situazioni di degrado e le connesse tensioni sociali.
Così, se già da tempo vengono segnalati, per talune aree urbane del Norditalia, i rischi connessi alla strumentalizzazione del disagio ad opera di settori dell'oltranzismo politico e di frange estreme del separatismo, crescente interesse rivestono, in prospettiva, i segnali raccolti con riferimento ad ampie zone rurali del Meridione. In un contesto di forte disoccupazione e di economie «parallele» basate sul lavoro sommerso, il massiccio afflusso di manodopera extracomunitaria disposta ad accettare i livelli minimi di retribuzione sta progressivamente saturando il «mercato», con il pericolo che la competitività tra clandestini ed autoctoni si traduca in contrapposizioni violente.
Il quadro tracciato delinea le coordinate di un fenomeno composito, cui debbono corrispondere diversificati piani di intervento volti a realizzare un profilo avanzato di contrasto. Rispetto ad esso l'azione di intelligence si pone, ad un tempo, quale parte integrante del dispositivo di tutela - specie attraverso il monitoraggio delle partenze dai porti albanesi, quotidianamente segnalate alle Forze di polizia con l'indicazione delle possibili zone di sbarco, e l'individuazione di gruppi ed elementi coinvolti nel traffico - e riferimento informativo per l'azione di governo, per quanto concerne l'analisi dell'impatto del fenomeno sulla realtà sociale, del suo interagire con i circuiti illegali e delle dinamiche in atto nei luoghi di origine.
Centrali si confermano, altresì, l'iniziativa diplomatica e la stipula di accordi con le autorità dei Paesi di provenienza, che postulano, peraltro, l'individuazione di interlocutori istituzionali affidabili, specie in relazione a quelle realtà statuali nelle quali si registrano diffusi fenomeni corruttivi e frequenti contiguità con la criminalità.
Va ribadita, in proposito, la necessità che a tale politica di dialogo si affianchino strategie concertate tra partner europei, poiché la prossimità geografica dell'Italia con le aree di emigrazione rischia di generare a livello comunitario, insieme con la preoccupazione circa le nostre capacità di contenimento del fenomeno, l'erronea percezione di una sorta di «esclusivo» onere italiano alla cooperazione ed al sostegno dello sviluppo.
L'esigenza di un efficace controllo dei flussi migratori - indicato dal Governo tra gli obiettivi prioritari - non inficia, ovviamente, lo spirito di accoglienza e di solidarietà nei confronti degli stranieri, ma si impone onde evitare problemi per la sicurezza oltre che di impatto sociale.

4. Spionaggio

Anche in ragione della maggiore permeabilità delle democrazie avanzate nell'era della globalizzazione, specifica azione è stata svolta per l'individuazione e la neutralizzazione di ingerenze spionistiche in danno di interessi nazionali, in Italia ed all'estero. Tale impegno, esercitato nell'ambito della più ampia collaborazione internazionale, ha consentito di identificare 33 agenti stranieri, di cui uno nel nostro territorio.
Risulta in crescita l'attività di spionaggio, pure sotto coperture di tipo commerciale, posta in essere da alcuni servizi nei confronti dei membri dell'Alleanza atlantica e, segnatamente, dell'Italia, non solo in direzione del settore del potenziale militare e dell'industria connessa, delle infrastrutture e dei comandi NATO ma, in generale, verso il campo tecnico-scientifico.
Taluni organismi mediorientali e nordafricani hanno continuato ad esercitare il controllo sulla dissidenza all'estero ed incrementato iniziative di propaganda anche attraverso il finanziamento di nuove associazioni.
Parallelamente per gli stessi riveste interesse primario l'acquisizione di notizie intelligence nei settori tecnologico e scientifico, finalizzate a mantenere efficiente l'apparato bellico che rischia di diventare obsoleto per carenza di know how.
Altra priorità è stata assegnata alle attività clandestine volte ad acquisire materiali sottoposti ad embargo.
Con la collaborazione di servizi collegati, infine, particolare attenzione è stata posta nella raccolta di notizie utili a prevenire eventuali minacce ed a fornire supporto informativo ai contingenti militari nazionali impegnati nelle missioni di pace.

5. Traffico di armamenti e di tecnologie avanzate, proliferazione di armi di distruzione di massa

Nel quadro delle attività volte a contrastare trasferimenti clandestini di materiale d'armamento, il monitoraggio svolto dai Servizi conferma il perdurare di rilevanti traffici.
I Balcani risultano avere da tempo assunto un ruolo di assoluta centralità per quel mercato illecito, coniugando la veste di fornitore ed utente finale.
In quella regione, infatti, il conflitto in Kosovo agisce da catalizzatore di un crescente flusso di armi, reperite nella stessa area ed in taluni Paesi europei, e movimentate sovente grazie alla corruzione di guardie di frontiera e funzionari doganali degli Stati contermini.
In Albania la criminalità risulta sempre più coinvolta nel medesimo settore illegale, sviluppato in direzione del nostro Paese sfruttando gli stessi canali dell'immigrazione irregolare verso le coste adriatiche - divenute centri di smistamento per altre regioni italiane - ed intensificando i rapporti con organizzazioni malavitose pugliesi ed, in alcuni casi, con formazioni armate balcaniche.
Per lo più dalla ex Jugoslavia e dall'Europa orientale provengono anche le armi oggetto del traffico verso le aree belligeranti del continente africano.
Tra le iniziative intraprese in ambito internazionale, significativi appaiono i passi compiuti nella sessione plenaria dell'Organismo di non proliferazione preposto al controllo dei materiali «dual-use» sensibili e dell'armamento convenzionale, ove si è giunti alla ratifica dei criteri per «la definizione dell'accumulazione destabilizzante di armamenti». Detti criteri consentiranno di individuare i casi in cui un eccessiva concentrazione di armi potrebbe far degenerare tensioni regionali e di porvi rimedio mediante l'adozione di concertate autolimitazioni all'export bellico.
In tale contesto, particolare rilevanza ha assunto lo scambio di notizie di intelligence su programmi produttivi e di acquisizione di materiali d'armamento nelle aree «a rischio», nonché sui soggetti, enti e Paesi compiacenti, coinvolti in tali attività (cd. procurement).
Nel campo delle armi di distruzione di massa, a fronte dell'efficacia delle misure poste in essere dai Regimi multilaterali di non proliferazione, stanno emergendo nuovi problemi relativi all'aumento del numero dei Paesi in grado di sviluppare programmi autonomi, all'intensificarsi dei rapporti di collaborazione tra gli stessi ed al pericolo di trasferimento di tecnologia sensibile «intangibile», mediante strumenti informatici.
In campo nucleare, sono continuati l'attività di controllo delle esportazioni di materiale dual-use da parte di imprese italiane ed il contrasto dei programmi di proliferazione dei Paesi «a rischio».
Nel settore missilistico, tutti gli Stati proliferanti hanno raggiunto o sono prossimi ad acquisire la capacità di produrre vettori con gittata di almeno 500 Km. e la metà ditali Paesi avrebbe in corso programmi di sviluppo per ottenere prestazioni maggiori. L'evoluzione in parola aumenta il rischio che, in un prossimo futuro, quei missili siano prodotti e dispiegati, nonché offerti ad altre Nazioni.
Al riguardo hanno determinato forti preoccupazioni gli esperimenti effettuati in estate dalla Corea del Nord e da uno Stato mediorientale.
In prospettiva, Pyongyang potrebbe vendere i propri armamenti anche a Stati proliferanti dell'area mediterranea, già in grado di produrre armi chimiche, con ciò elevando il livello della minaccia per l'Europa.
Destano seri timori le capacità di trasporto di armi chimiche e biologiche - sia da parte di missili da crociera che di aerei senza pilota. È da valutare se questi ultimi, anche per i costi modesti, possano essere utilizzati da gruppi terroristici. L'azione di contrasto nel settore si avvale del sistematico monitoraggio dei poligoni di lancio e dei siti coinvolti nei programmi di maggior interesse. In particolare, attività informativa è stata intrapresa nei confronti di un ente straniero, responsabile di importanti progetti in campo convenzionale e missilistico, nonché in merito ad un presunto traffico illegale di aeromobili telecomandati per impieghi militari. La ricerca è stata altresì indirizzata verso le reti di «procurement» di alcuni Paesi proliferanti, finalizzate all'acquisizione delle tecnologie necessarie allo sviluppo del settore.
Nel settore chimico, si ritiene probabile l'aumento dell'attività clandestina per l'acquisizione dei precursori necessari alla realizzazione di agenti nervini dell'ultima generazione da parte di uno Stato mediorientale che avrebbe raggiunto la capacità di produrli. Nello stesso contesto risultano proseguire i test di disseminazione, l'ultimo dei quali è stato effettuato nel mese di novembre.
Il campo biologico è quello che desta maggiori preoccupazioni in ragione del crescente interesse di alcuni Paesi mediorientali, anche in direzione della biotecnologia. È emerso, in proposito, l'avvio di rapporti con enti, organizzazioni ed istituti scientifici di Stati più avanzati, nel tentativo di dare ai programmi di proliferazione la copertura di studi scientifici a scopi civili. Timori sussistono anche per il possibile trasferimento di scienziati dall'Est europeo.
Si è palesata l'esigenza di estendere l'attività informativa anche ai laboratori del settore, nella considerazione che gruppi terroristici con risorse e conoscenze limitate possono realizzare a basso costo aggressivi artigianali.
Nel contempo prosegue il monitoraggio dell'area balcanica, con specifico riferimento all'eventuale supporto al terrorismo islamico da parte di fabbriche e strutture industriali del settore chimico.
A livello internazionale si sta esaminando la possibilità di dar vita a un programma comune di controllo sulla produzione, il commercio e l'esportazione di esplosivi o altri materiali «sensibili», quali armi chimiche e biologiche, in relazione al pericolo di un loro impiego ad opera del terrorismo.


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