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1. Premessa.
Nell'esercizio delle funzioni attribuitele dalla legge istitutiva, la Commissione ha ritenuto necessario avviare un'indagine specifica sul problema dei traffici di rifiuti, intesi come attività di raccolta e trasporto dei rifiuti, sia per terra (su gomma e su rotaia) sia per mare.
Si tratta di un settore di estremo interesse, da un lato, per le opportunità di pervenire ad una razionale soluzione di molti problemi e per le occasioni di lavoro che offre; dall'altro, per le preoccupazioni che esso desta, per il fatto di non essere accuratamente seguìto dalle autorità preposte, con i connessi rischi che delle predette occasioni di guadagno si avvantaggino soggetti non affidabili, quando non direttamente le organizzazioni malavitose.
Per avere un'idea di quanto possa essere redditizio il trasporto incontrollato di rifiuti, si consideri che il costo di smaltimento (ivi compreso il costo del trasporto) per chilogrammo di rifiuti urbani va dalle 60 alle 350 lire; quello per chilogrammo di rifiuti ospedalieri è di circa 4000 lire (1); quello dei rifiuti industriali va dalle 500 alle 5000 lire (2). È chiaro pertanto che queste somme, che i produttori committenti s'impegnano a corrispondere alle imprese di trasporto e stoccaggio, sono in grado di assicurare un certo profitto, ove gli appaltatori seguano tutte le prescrizioni normative nel trasporto e nel trattamento dei materiali; ma ne assicurano uno molto maggiore ove alla regolare procedura essi sostituiscano condotte illecite e, dunque, meno costose.
La questione, peraltro, non desta interesse e preoccupazione solo per gli appetiti che intorno ad essa gravitano, ma anche per le negative ripercussioni che essa ha sull'ambiente, dal momento che le «scorciatoie gestionali», che imprese inaffidabili escogitano per trarre miglior profitto dalla propria attività, sono essenzialmente scarichi abusivi o comunque non conformi alle prescrizioni sanitarie. Ne deriva pertanto un danno all'ambiente ed un considerevole pericolo per la salute delle persone.
Il problema, invero, è già stato affrontato a varie riprese dalla Commissione, sia pure sotto aspetti particolari, relativi a specifiche indagini giudiziarie legate a realtà territoriali determinate (3). In
questa relazione si dà conto dei segmenti esaminati, con particolare riguardo al traffico transfrontaliero di rifiuti ed ai connessi problemi normativi e di controllo.
Se le risultanze dell'attività conoscitiva ed ispettiva sono di lettura piuttosto complessa e sollecitano in futuro ulteriori approfondimenti, si può tuttavia asserire che il quadro d'insieme è degno della massima attenzione e di più d'un allarme.
1.1. Le audizioni e le missioni.
Salvo quanto sarà esposto in seguito circa il metodo di lavoro seguìto nell'analisi dei dati raccolti e nella verifica «sul campo» degli stessi, può essere utile fin d'ora ricordare che la tematica è stata affrontata anche con l'aiuto di taluni esperti ascoltati dalla Commissione.
Il 2 giugno 1999, è stata ascoltata Loredana Musmeci (4), ricercatrice dell'Istituto superiore di sanità ed esperta di questioni inerenti ai codici doganali ed OCSE dei rifiuti.
Il gruppo di lavoro sui traffici di rifiuti, costituito nella Commissione e coordinato dal Presidente Scalia, si è riunito per affrontare questa specifica tematica l'11 gennaio, il 15 e 22 febbraio, l'1, 2 e 16 marzo 2000.
In diverse occasioni, poi, su delega del Presidente, consulenti della Commissione si sono recati fuori sede, per compiere sopralluoghi presso aziende importatrici di materiali di sfrido, nonché per incontrare magistrati titolari di indagini su fatti connessi al traffico illecito di rifiuti.
Il 20 settembre 2000 è stato anche ascoltato il ministro per le politiche comunitarie, Gianni Mattioli, il quale ha svolto una serie di considerazioni sulle iniziative governative in sede europea per completare le direttive e le norme tecniche finora emanate, nonché su un eventuale intervento in ambito interno, qualora siano proposti atti in contrasto con il diritto comunitario.
2. Il quadro normativo della materia e gli organi preposti al controllo.
2.1. Indicazioni delle fonti del diritto.
Concorrono a disciplinare il settore del traffico dei rifiuti, inteso come trasporto e smaltimento o recupero, diverse fonti, a livello sia comunitario che statale.
La principale fonte è senza dubbio il regolamento del Consiglio della Comunità europea 259/93 del 1o febbraio 1993. Tale regolamento, abrogando la direttiva 84/631, ha tenuto conto di convenzioni internazionali, quali quella di Basilea del 22 marzo 1989 (sul controllo dei movimenti transfrontalieri dei rifiuti pericolosi e del loro smaltimento),
e di Lomè del 15 dicembre 1989, articolo 39 (sul divieto di esportazione di rifiuti pericolosi dalla Comunità europea ai Paesi ACP - Africa, Caraibi, Pacifico), nonché della decisione dell'OCSE del 30 marzo 1992 (sul controllo dei movimenti transfrontalieri dei rifiuti destinati ad operazioni di recupero).
L'articolo 32 del regolamento prevede, inoltre, il rispetto di quanto disposto dalle convenzioni internazionali sui trasporti, elencate nell'allegato I del regolamento stesso.
Integrano il regolamento 259/93 la decisione della Commissione del 24 novembre 1994, relativa al documento di accompagnamento standard, previsto dallo stesso regolamento, e la decisione della Commissione n. C (1999) 3880 def. del 24 novembre 1999, che adegua alcuni allegati del regolamento, conformemente all'articolo 16, par.1, ed all'articolo 42, par. 3, relativi alla sorveglianza ed al controllo delle spedizioni di rifiuti all'interno della Comunità, nonché in entrata ed in uscita dal suo territorio.
Altra fonte notevole è il regolamento CE 120/97 del Consiglio, del 20 gennaio 1997, che modifica l'articolo 16 del regolamento n. 259, introducendo il divieto, dall'1 gennaio 1998, di esportazione di rifiuti destinati al recupero al di fuori dei Paesi OCSE.
Occorre poi tenere presenti il regolamento CE 99/1420 del Consiglio, del 29 aprile 1999 (5); il regolamento CE 99/1547 della Commissione del 12 luglio 1999 (6); il decreto legislativo n. 22 del 1997 (come integrato dalle successive modifiche). Come è noto, esso recepisce le direttive 91/156/CE sui rifiuti, 91/689/CE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggi, abrogando, ha tra l'altro, l'articolo 9-bis della legge n. 475 del 1988.
Sul piano della normativa secondaria, vale la pena segnalare il decreto ministeriale 3 settembre 1998, n. 370 (regolamento concernente le modalità di presentazione delle garanzie finanziarie per il trasporto transfrontaliero di rifiuti), che ha abrogato i precedenti decreti ministeriali n. 457 del 1988, 26 aprile 1989 e 28 giugno 1989; nonché il decreto del ministro della marina mercantile, di concerto con il ministro dell'ambiente, 31 ottobre 1991, n. 459 (norme sul trasporto marittimo dei rifiuti in colli).
2.2. I princìpi generali della disciplina.
Il regolamento CEE 259/93, entrato in vigore il 6 maggio 1994, istituisce un sistema di supervisione e di controllo relativo alle spedizioni di rifiuti all'interno della Comunità europea, nonché in entrata ed in uscita dal suo territorio.
Fondamentalmente, esso si pone i seguenti obiettivi: ridurre al minimo i trasporti; tendere ad effettuare lo smaltimento dei rifiuti in impianti il più possibile vicini al luogo di produzione; tendere all'autosufficienza dei Paesi appartenenti all'Unione europea (sia come comunità che singolarmente).
Stabilisce, inoltre, l'obbligo di: riprendere i rifiuti, smaltirli o recuperarli secondo metodi ecologicamente corretti, se le spedizioni non possono essere eseguite conformemente alle clausole previste dal documento di accompagnamento o dal contratto; riprendere i rifiuti, smaltirli o recuperarli correttamente, se le spedizioni sono state effettuate in modo illecito. Se non vi provvede il soggetto che si è reso responsabile dell'illiceità, dovrà farsene carico l'autorità competente di spedizione o di destinazione.
Il trattato di Schengen, entrato in vigore in Italia il 26 ottobre 1997 ma già adottato da altri Paesi dell'Unione europea nel 1993, nel dare esecuzione quasi completa al principio comunitario della libera circolazione delle persone e delle cose, ha dato ulteriore impulso al libero mercato delle merci in genere ed ha stabilito di applicare «controlli relativi ai trasporti di merci pericolose e di rifiuti», dichiarando che «le parti contraenti devono rafforzare la loro cooperazione allo scopo di effettuare i controlli del trasferimento di rifiuti pericolosi e non pericolosi attraverso le frontiere interne».
Parallelamente, il regolamento 259/93, seguendo tali indicazioni, applica le procedure di controllo dei rifiuti diversificandole in base alla tipologia degli stessi rifiuti ed alla loro destinazione: per i rifiuti non pericolosi destinati al recupero (allegato II/lista verde), infatti, vengono adottate procedure semplificate per il trasporto ma si prevede un'attività di controllo al fine di un corretto recupero; per le spedizioni di rifiuti «mediamente» pericolosi destinati al recupero (allegato III/lista ambra) sono previste procedure autorizzatorie con il «tacito consenso», trascorsi i trenta giorni dall'accusa di ricevimento da parte dell'autorità di destinazione; per i rifiuti pericolosi destinati al recupero (allegato IV/lista rossa) e per tutti i rifiuti destinati allo smaltimento sono previste procedure autorizzatorie scritte; per le esportazioni di rifiuti pericolosi destinati al recupero e per quelli destinati allo smaltimento è altresì previsto il deposito di una cauzione.
Ogni Stato membro può stabilire sotto quale forma il notificatore debba prestare la garanzia finanziaria e quali procedure di controllo adottare, al fine di soddisfare quanto richiesto dagli articoli 27 e 30 del regolamento.
In buona sostanza, da quanto esposto emerge che i controlli alle frontiere sui transiti di rifiuti sono di natura essenzialmente cartolare.
D'altro canto è necessario sottolineare come esistano difficoltà ermeneutiche sul concetto stesso di «rifiuto», e per la definizione del
campo concettuale di applicazione della normativa e per le specifiche regole che distinguono appunto i rifiuti da altri materiali o merci. A partire dalla definizione che l'Unione europea dà ai rifiuti come contenuta nelle direttive di settore sino alla 91/156/CE, passando attraverso anni di normative statali e di giurisprudenza interna e comunitaria, il punto di arrivo è tuttora un quadro di forte incertezza e di valutazione necessariamente attenta al caso per caso del singolo materiale, nel contesto in cui il soggetto detentore appunto «se ne disfi, intenda o abbia l'obbligo di disfarsene».
Sul punto è bene ricordare che non si è ancora giunti a definizioni pacifiche e condivise sia tra i vari Stati membri dell'Unione, sia tra i diversi attori, soggetti, e destinatari dei precetti.
A livello di giurisprudenza comunitaria, di recente la Corte di giustizia europea con le sentenze ARCO del 15 giungo 2000 C-418,419/97 e FORNASAR del 22 giugno 2000 C-318/99, ha avuto modo di ribadire che non spetta agli Stati membri fissare in via generale cosa sia o non sia un rifiuto, essendo la definizione in fattispecie astratta della nozione di rifiuto contenuta in atti normativi di rango primario dell'Unione, mentre la qualificazione delle fattispecie concrete sarà compito delle autorità amministrative e giudiziarie che tali norme sono chiamate ad applicare al fatto storico.
La definizione di rifiuto, infatti, non deve essere intesa nel senso che essa escluda sostanze od oggetti suscettibili di riutilizzazione economica, in quanto l'effettiva esistenza di un rifiuto ai sensi della legislazione europea va accertata alla luce del complesso delle circostanze, tenendo conto delle finalità della direttiva e in modo da non pregiudicarne l'efficacia e, se necessario, ponendo la questione in via pregiudiziale alla Corte di giustizia.
Sempre la Corte ha quindi rimarcato che non è possibile che vengano introdotti elementi rigidi di interpretazione autentica che, in forma di presunzione assoluta juris et de jure, diano per provata la destinazione di una sostanza e l'intenzione del detentore sulla base di comportamenti astratti o qualità merceologiche o industriali, così da escluderla ab origine dalla normativa sui rifiuti.
Tale impostazione del giudice delle leggi comunitario, inserito in una linea costante che parte dalle sentenze Zanetti del 28 marzo 1990 C-359/88 e Tombesi del 25 giugno 1997 C-304/94, se pure rigorosa e particolarmente attenta a garantire il massimo rispetto delle finalità di tutela ambientale e pertanto pienamente condivisibile, indubbiamente non facilita la definizione di un quadro normativo di riferimento certo in cui si svolgono le concrete attività di gestione, in particolar modo quelle legate alle fasi del recupero e riutilizzo dei materiali provenienti dal ciclo dei rifiuti; tema noto che, almeno nel nostro Paese, è legato alla definizione delle cosiddette MPS, materie prime seconde, ed alla normativa ad esse applicabile da ultimo con riferimento a quanto previsto dal decreto ministeriale del febbraio 1998 sulle operazioni di recupero di rifiuti non pericolosi assoggettabili a procedura semplificata di cui al decreto legislativo n. 22 del 1997.
Parallelamente il Parlamento è stato ed è impegnato a dare il proprio contributo alla soluzione della complessa ed ormai annosa questione, in particolare nell'ambito della discussione delle modifiche del decreto legislativo n. 22 del 1997 contenute nel progetto di legge
n. 6316 della Camera dei deputati, già approvato dal Senato della Repubblica; anche attraverso tale via potrebbero giungere elementi interpretativi utili alla certezza del diritto applicabile al settore, da affiancare all'ineludibile azione in sede comunitaria per la definizione di un quadro normativo certo in tema di rifiuti che, nella chiarezza ed uniformità europea, tolga spazio alle attività illecite promuovendo l'economia sana.
A fronte di ciò, la Commissione ha avuto modo di constatare che l'Italia ha di recente avviato un'azione in sede comunitaria per recare un contributo di chiarezza e di maggior definizione valida per l'intero mercato interno su alcune specifiche categorie di materiali recuperati da rifiuti, in particolare i residui di lavorazione del settore tessile, della concia e dei metalli: ciò per considerare tali materiali come materie prime seconde, concedendo la possibilità di utilizzare - per il loro trattamento - le procedure agevolate. Si andrebbe così a riconoscere il ruolo delle filiere industriali che da tempo riutilizzano tali prodotti, migliorando nel contempo il coordinamento tra le amministrazioni del settore in vista di una maggiore coerenza ed incisività del ruolo del «sistema Paese», come il ministro per le politiche comunitarie ha avuto modo di esporre nell'audizione del 20 settembre 2000, richiamando peraltro un preciso indirizzo in tal senso espresso dalla Commissione ambiente della Camera con la risoluzione n. 7-00525 approvata il 29 settembre 1998.
2.3. Gli organi competenti per il controllo.
Secondo la normativa vigente, le autorità preposte ai controlli sui trasporti transfrontalieri dei rifiuti sono:
le regioni e le province autonome. Si tratta di autorità competenti di spedizione e di destinazione transfrontaliera dei rifiuti individuate dal combinato disposto degli articoli 36 del regolamento 259/93 e degli articoli 16 e 19, punto f), del «decreto Ronchi»;
le province. Queste sono indicate quali autorità competenti dall'articolo 20 del decreto legislativo n. 22 del 1997 a svolgere controlli su tutte le attività di gestione dei rifiuti, inclusi i trasporti transfrontalieri. Per l'esercizio delle attività di controllo le province possono avvalersi, tra l'altro, delle ARPA;
le capitanerie di porto. Queste, ai sensi del citato decreto ministeriale n. 459 del 1991, sono preposte a rilasciare l'autorizzazione all'imbarco ed il nulla-osta allo sbarco nei porti nazionali di rifiuti pericolosi e non pericolosi. Per lo svolgimento di tali attività possono eventualmente avvalersi del chimico di porto;
il Ministero dell'ambiente. È l'autorità competente al transito nel territorio nazionale dei rifiuti, ai sensi del combinato disposto del regolamento 259/93 e dell'articolo 16 del «decreto Ronchi»;
gli uffici doganali. Ai sensi del testo unico delle leggi doganali.
Per verificare l'effettività del quadro normativo testé delineato nelle sue linee essenziali, la Commissione ha in primo luogo assunto una notevole quantità di dati, chiedendoli (principalmente con l'invio di questionari) alle varie amministrazioni competenti e ad alcuni impianti campione.
In particolare, le prime informazioni sono state fornite dalle regioni e dalle province, dall'amministrazione doganale, dall'Istituto per il commercio con l'estero (ICE) e dal Ministero dell'ambiente.
Nella prima fase dell'indagine sono stati chiesti alle regioni ed alle province autonome i dati relativi alle importazioni ed alle esportazioni di rifiuti effettuate dalle società poste nell'ambito della propria giurisdizione negli anni 1997 e 1998.
Successivamente, è stato chiesto alle amministrazioni provinciali il numero e l'esito dei controlli effettuati in merito negli anni 1997-1998 (quindi ancora in regime di vigenza del decreto ministeriale n. 457 del 1988).
Per una verifica incrociata dei dati forniti da regioni e province, sono stati chiesti all'ICE i dati relativi all'import/export di alcune tipologie di rifiuti inseriti nella lista ambra (in quanto soggetti ad autorizzazione da parte delle autorità competenti), per gli anni 1997 e 1998. I dati dell'ICE vengono forniti dall'ISTAT che elabora, a sua volta, i dati forniti dal dipartimento delle dogane del Ministero delle finanze. I dati doganali provengono: dalle informazioni desunte dai documenti doganali per le operazioni effettuate presso le dogane ove vengono espletate le formalità doganali; dalle informazioni desunte dai modelli INTRA presentati periodicamente da operatori commerciali nazionali.
Dall'esame delle risposte fornite dalle regioni sono risultati principalmente, come rifiuti importati negli anni 1997 e 1998, notevoli quantitativi di legno trattato, ceneri e residui di alluminio, accumulatori al piombo ed altri (7); come rifiuti esportati, miscele di vario tipo, ceneri e scorie metalliche varie (8).
Dai dati trasmessi dalle province si evince che sono stati effettuati pochi controlli, e quei pochi si sono basati quasi esclusivamente sull'esame della documentazione disponibile presso le ditte, in particolare sui registri di carico e scarico.
Nella richiesta dei dati all'ICE è stato necessario, come già evidenziato, restringere il campo di informazione alle sole tipologie di rifiuti - di seguito riportate - per cui esiste l'armonizzazione tra il codice doganale ed il codice OCSE, come specificato nelle liste allegate al regolamento n. 259/93: rifiuti da metallurgia dello zinco; rifiuti da metallurgia dell'alluminio; rifiuti da metallurgia del rame; rifiuti da metallurgia del piombo.
Dal raffronto dei dati forniti dall'ICE e da quelli trasmessi dalle regioni è stato riscontrato che: per le importazioni, le regioni hanno comunicato di aver autorizzato l'ingresso in Italia di circa 150.000 tonnellate di ceneri e residui di alluminio a fronte di un quantitativo notevolmente inferiore - circa 21.000 tonnellate - comunicato dall'ICE; tale situazione si rovescia quando vengono presi in esame i dati concernenti le ceneri di zinco e di rame. Infatti, alle regioni non risultano importazioni di tali rifiuti, mentre risultano 10.392 tonnellate di ceneri e residui di zinco nonché 4.213 tonnellate di ceneri e residui di rame comunicate dall'ICE; per le esportazioni, si nota la stessa situazione riscontrata per le importazioni. A fronte di circa 120.000 tonnellate di ceneri e residui di alluminio esportate secondo le regioni, l'ICE comunica che sono state esportate circa 20.000 tonnellate degli stessi rifiuti. Differenza meno marcata per le esportazioni di ceneri e residui di zinco, avendo le regioni comunicato l'esportazione di circa 5.000 tonnellate in meno rispetto all'ICE. Per le ceneri e residui di piombo le regioni hanno comunicato che non sono state effettuate esportazioni, mentre l'ICE ha comunicato che sono state esportate circa 18.000 tonnellate. Anche per i rifiuti della metallurgia del rame le regioni hanno comunicato un dato inferiore a quello fornito dall'ICE di circa 13.000 tonnellate.
Da evidenziare, inoltre, 2.000 tonnellate circa di rifiuti di zinco esportate verso Paesi al di fuori dell'OCSE.
Al fine di individuare il motivo di un così evidente divario tra i dati forniti dalle regioni e quelli ricevuti dall'ICE, in special modo relativamente ai rifiuti di alluminio, sono stati presi in considerazione anche i dati in possesso del Ministero dell'ambiente, desunti dai certificati di avvenuto recupero relativi ai due anni in esame, considerato che, come noto, i rifiuti appartenenti alla lista ambra sono soggetti alla presentazione di una garanzia finanziaria che fino al novembre 1998 veniva accettata da quel Ministero e liberata dopo aver ricevuto dal destinatario i certificati di avvenuto smaltimento o recupero.
Al Ministero dell'ambiente risultano esportate 10.515 tonnellate di ceneri e residui di zinco e 38.100 tonnellate di ceneri di alluminio (un ulteriore dato, diverso rispetto a quello delle regioni e dell'ICE).
Una spiegazione plausibile a questi dati non concordanti potrebbe essere data individuando i documenti da cui tali dati sono stati desunti. Infatti le regioni, negli anni 1997 e 1998, avevano disponibili i documenti (notifiche) con i quali le società, che intendevano esportare in Italia o esportare dall'Italia, chiedevano l'autorizzazione; è plausibile
che la richiesta risulti superiore rispetto al reale quantitativo inviato, anche se la differenza riscontrata dai dati appare comunque eccessiva.
Questa motivazione sembra non essere attendibile quando si confrontano i dati relativi all'importazione ed all'esportazione di ceneri di zinco e di alluminio. In tal caso si potrebbe avanzare l'ipotesi che i rifiuti importati siano classificati verdi, quindi esenti da autorizzazione e pertanto non riscontrati nei dati delle regioni.
L'utilizzo dello stesso codice doganale, che individua sia i rifiuti appartenenti alla lista verde che quelli appartenenti alla lista ambra, può essere all'origine dell'equivoco.
Il dato fornito dal Ministero dell'ambiente, che abbiamo visto avere un valore intermedio rispetto ai dati degli altri enti, è desunto dai certificati di recupero delle esportazioni effettuate nel periodo in esame. Non è chiaro come possano divergere tanto i valori riscontrati dal Ministero da quelli delle dogane. Se non fosse previsto, da procedure consolidate del Ministero, che i certificati di recupero debbano essere notificati alle autorità competenti di destinazione, si potrebbe ipotizzare che alcuni trasporti non siano stati effettuati.
Le 2.000 tonnellate di rifiuti di zinco che risultano essere esportate al di fuori dell'OCSE potrebbero rappresentare, molto verosimilmente, un traffico illecito in quanto: dal 1o gennaio 1998 è assolutamente vietata l'esportazione a scopo di recupero di rifiuti appartenenti alla lista ambra al di fuori dell'OCSE (v. il regolamento CE 97/120); i rifiuti appartenenti alla lista verde possono essere esportati al di fuori dell'OCSE solamente verso i Paesi terzi che hanno comunicato alla Commissione europea di accettare tali rifiuti e con quali procedure (articolo 17 del regolamento CE 259/93).
Quest'ultimo caso apre la problematica della definizione di rifiuto. Infatti, nel 1998 le scorie e ceneri di zinco erano definite «mercuriali» e in quanto tali non soggette alla normativa sui rifiuti. Sebbene disciplinate dal regolamento 259/93, il produttore o il commerciante potrebbe essere stato indotto in errore nell'effettuare le esportazioni al di fuori dell'OCSE.
La mancanza di correlazione è stata riscontrata inoltre tra i codici CER ed i codici doganali, nonché tra gli stessi codici CER ed i codici OCSE (si evita di approfondire l'argomento «codici CIR» in quanto quasi esclusivamente sostituiti dai CER).
4.1. L'armonizzazione dei codici CER.
Per la problematica legata alla mancanza di correlazione tra i codici (OCSE, CER, doganali e della convenzione di Basilea) ed al fine di conoscere lo stato dei lavori del comitato per l'adeguamento tecnico-scientifico in materia di legislazione sui rifiuti, ex articolo18 della direttiva CE 91/156 sull'armonizzazione delle liste, la Commissione ha svolto degli approfondimenti presso varie sedi istituzionali, nell'ambito dei quali è stata sentita anche la dottoressa Loredana Musmeci, ricercatrice dell'Istituto superiore di sanità e rappresentante italiana nel predetto comitato.
Il problema delle liste di rifiuti elaborate in contesti internazionali, quali Commissione europea, OCSE, UNEP (United nations environment program), e della loro armonizzazione è enorme ed è ormai sentito come tale anche a livello comunitario.
In tale sede la posizione italiana è stata quella di sostenere che, essendo già state elaborate in sede OCSE liste di rifiuti da avviare a recupero, sarebbe stato comunque opportuno partire da queste liste o tenerle almeno presenti al fine di inglobarle in qualche modo nel catalogo europeo dei rifiuti.
Tale posizione è stata sempre minoritaria, in quanto le liste dell'OCSE sono state create con lo specifico obiettivo del recupero, mentre in Europa era necessario fare un elenco di rifiuti che rendesse pienamente operativa la definizione di rifiuto della direttiva, la quale, come è noto, consta di una componente oggettiva e di una soggettiva. Inoltre, va sottolineato che le liste dell'UNEP, recepite nella convenzione di Basilea, hanno un'ulteriore finalità, cioè di limitare o controllare il movimento transfrontaliero verso Paesi terzi di certe specifiche tipologie di rifiuti che possono rappresentare un rischio.
Ne deriva, secondo quanto sopra, quanto sia difficile l'armonizzazione delle liste se le finalità da raggiungere sono diverse.
Successivamente, con la creazione dell'annesso V al regolamento 259/93 si è riaperto il discorso della differenziazione delle liste, in quanto si è constatato che, a fronte di tipologie di rifiuti non molto differenti tra loro, risulta estremamente difficoltoso determinare una corrispondenza tra gli stessi. Infatti, anche per ciò che concerne le liste OCSE e quelle del catalogo europeo, o non vi è corrispondenza o a una voce delle prime ne corrispondono cinque o sei delle seconde e viceversa.
A ciò si aggiunga che: gli Stati membri hanno l'obbligo di recepire solamente la parte del catalogo europeo riguardante la lista dei rifiuti pericolosi; la direttiva di cui sopra dà facoltà agli Stati membri di aggiungere altre tipologie di rifiuti pericolosi all'elenco e le eventuali aggiunte devono essere comunicate attraverso una ben definita procedura (comunicazione ufficiale ai sensi della direttiva 91/689) alla Commissione europea; contrariamente agli altri Stati membri, l'Italia è l'unico Paese che ha recepito in modo rigoroso l'elenco dei rifiuti pericolosi. Un esempio per tutti è quello della Francia, che per riconoscere un rifiuto utilizza un codice che arriva ad otto campi, anziché quello comunitario a sei campi; il 15 dicembre 1999 sono state apportate modifiche alla lista europea dei rifiuti pericolosi aggiungendo ceneri volanti, polveri di caldaia, rifiuti di pirolisi, fluff-frazione leggera, polveri e altre frazioni provenienti dalla macinazione dei veicoli a fine vita contenenti sostanze pericolose. La nuova lista entrerà in vigore il 1o gennaio 2002. Si sta ancora discutendo dell'inserimento o meno dei veicoli a fine vita non drenati dei liquidi, inseriti nella lista ambra dell'OCSE.
Infine, vi è da considerare che per ciò che concerne i codici OCSE c'è l'orientamento di eliminare dalle tre liste (verde, ambra e rossa) il codice doganale, al fine di utilizzare esclusivamente il codice specifico della lista OCSE. Infatti, potrebbe verificarsi che un rifiuto, trasportato con lo stesso codice doganale utilizzato per un prodotto, non sarebbe di facile identificazione.
Rimane, tuttavia, il fatto che, pur eliminando il codice doganale, resta aperto il problema della disomogeneità tra il codice europeo e quello OCSE, per come sopra detto.
Attualmente, i codici OCSE dei rifiuti destinati al recupero hanno trovato un'armonizzazione con quelli doganali in una percentuale che si aggira intorno al 60/70 per cento; in un futuro prossimo sono destinati a scomparire e saranno sostituiti da quelli creati a seguito dell'accordo di Basilea (ratificato da circa cento Paesi), in quanto per mancanza di fondi l'OCSE a breve terminerà la propria attività.
Da quanto emerso sin qui, è agevole comprendere come fosse necessario un supplemento d'indagine, che non si limitasse al controllo cartolare. È per questo che, ai sensi dell'articolo 13 del regolamento interno, la Commissione ha deliberato lo svolgimento di talune visite ispettive, incaricandone ufficiali di polizia giudiziaria.
Tali visite sono state eseguite presso due società che trattano rifiuti di alluminio e presso tre società che lavorano gli scarti del legno. In alcuni degli stabilimenti visitati sono stati prelevati dei campioni, che poi la Commissione ha fatto analizzare.
5.1. Imprese che trattano alluminio.
Dall'analisi dei dati doganali e regionali (per la parte relativa alle esportazioni), risultava che la società Fonderie Riva di Parabiago (MI) importava ed esportava la stessa tipologia di rifiuto contraddistinto dal codice doganale 26204000.
Dalle informazioni avute dalla società Fonderie Riva, sono risultate importate dalla Slovenia schiumature di alluminio (individuate nella lista verde dei rifiuti e quindi non soggette ad autorizzazione) ed esportate ceneri di alluminio (inserite nella lista ambra e soggette quindi ad autorizzazione), entrambe col codice doganale 26204000.
Poiché le schiumature di alluminio sono sprovviste di un corrispondente codice doganale, la società ha ritenuto di utilizzare il codice doganale più affine ai rifiuti importati, come è risultato anche dai formulari prodotti.
Quindi, ciò che si sarebbe potuto configurare come traffico illecito in mancanza della richiesta di autorizzazione alla regione Lombardia e una non giustificata importazione/esportazione della stessa tipologia di rifiuto, si configura invece come un utilizzo improprio del codice doganale, giustificato dall' impossibilità di disporre dell'equivalente specifico codice doganale.
5.2. Imprese che trattano legno.
Il controllo presso le società che riciclano legno è stato effettuato al fine di conoscere la tipologia e le tecnologie di trattamento di tali rifiuti che - dai dati forniti dalle regioni - sono stati importati negli anni 1997 e 1998 per una quantità massiccia (circa 1.800.000 tonnellate).
Sono state visitate tre società (9) che producono pannelli truciolari. La maggior parte del legno utilizzato è costituito da rifiuti di legno non trattato (lista verde). Il legno trattato (lista ambra) - autorizzato ad essere importato dalle regioni competenti - è costituito da rifiuti di costruzioni e demolizioni.
Sono state effettuate anche analisi di tale legno trattato rinvenuto presso le predette ditte, che confermano la non pericolosità del rifiuto da sottoporre a recupero.
5.3. Risultati delle analisi di campioni di alluminio e legno prelevati presso le aziende.
Nel corso delle visite di cui sopra sono stati prelevati alcuni campioni sia di legno che di residui di alluminio, ambedue tipologie provenienti dall'estero.
Dalle risultanze analitiche si è constatato che tali rifiuti sono da classificarsi speciali non pericolosi e come tali possono, quindi, essere riciclati nelle aziende sopracitate ai sensi del decreto ministeriale 5 febbraio 1998.
In qualche caso, parte dei materiali legnosi o di sfridi di lavorazione del truciolare viene adoperata come combustibile per l'alimentazione di un termodistruttore per la generazione di vapore, utilizzato dall'azienda. Le ceneri di tale combustione sono da classificarsi come rifiuti pericolosi e, come tali, dati i valori di cessione dei metalli nell'eluato, devono essere adeguatamente sottoposti a processi di inertizzazione prima di essere conferiti in discarica di tipo 2B, oppure possono essere avviati, con costi più elevati, a discarica di tipo 2C senza subire trattamenti di inertizzazione.
6. Problematiche riscontrate sulle attività degli organi di controllo.
Tra gli organi di controllo precedentemente menzionati (regioni, Ministero dell'ambiente, eccetera) le attività ispettive e di analisi, secondo la normativa vigente, vengono attribuite alle province che possono utilizzare le strutture ARPA.
Dall'esame dei documenti pervenuti in Commissione, dalle informazioni ottenute per le vie brevi e dai sopralluoghi effettuati presso le diverse aziende, sono state riscontrate le seguenti problematiche: le informazioni che sarebbero dovute pervenire alle province da parte delle regioni o dei notificatori non giungevano a queste a causa della poca chiarezza della normativa di riferimento (decreto ministeriale n. 457 del 1988); le poche informazioni giunte non erano sufficientemente tempestive da consentire un efficace controllo; quando il controllo veniva effettuato, quasi sempre si trattava di controlli cartacei.
Attualmente, con l'introduzione del decreto ministeriale n. 370 del 1998 - che attribuisce alle autorità regionali tutte le competenze sull'importazione e sull'esportazione dei rifiuti - dovrebbero essere superati tutti i problemi legati al flusso di informazioni ed alla tempestività delle stesse, in considerazione del fatto che le province potrebbero a loro volta attivare le ARPA.
La mancanza di armonizzazione tra i codici doganali, OCSE, CER e Basilea, non permette al momento un'adeguata conoscenza dei flussi in ingresso ed in uscita dei rifiuti dal nostro Paese, né dalla Comunità europea. La Commissione in proposito ha rilevato un'evidente difformità nei dati in materia a seconda dei soggetti che hanno fornito gli stessi (regioni, province ed ICE) con differenze che in alcuni casi superano di cinque volte il tonnellaggio rilevato per lo stesso materiale (120 mila tonnellate di residui di alluminio esportate secondo le regioni, a fronte delle 20 mila rilevate dall'ICE). A tal fine, alla luce del fatto che in questo periodo si sta discutendo il passaggio dei codici OCSE nelle liste Basilea, la Commissione è orientata a chiedere al Governo di assumere una posizione ufficiale per far definire l'appartenenza dei rifiuti della lista verde in maniera univoca, tanto da non consentire che i rifiuti appartenenti alla lista ambra possano transitare in lista verde; nonché di far individuare il maggior numero possibile di codici doganali da abbinare ai codici rifiuti della lista di Basilea. Occorre poi seguire in via di campione per una o due tipologie di rifiuti i vari passaggi dal Paese produttore a quello destinatario. Tra l'altro, l'appartenenza di un rifiuto ad una lista verde spesso comporta una scarsa conoscenza del reale riciclo e del sito finale dove questo avviene. Ciò a causa dell'eccessiva semplificazione della norma che, come è noto, per tale lista non prevede l'autorizzazione per il trasporto.
Va qui valutata positivamente l'iniziativa del Governo volta ad una nuova definizione per alcuni materiali recuperati da rifiuti - quali i residui delle lavorazioni del tessile, della concia e dei metalli - che consenta di ricomprendere questi nella categoria delle materie prime seconde, agevolando quindi le attività di recupero di queste filiere industriali.
Alle problematiche sopra evidenziate va aggiunta - non secondaria - quella relativa alla definizione di rifiuto, di cui si è già ampiamente trattato nella relazione alle Camere della Commissione per il primo biennio d'attività svolta (doc. XXIII, n.35, pagg. 44-46). L'attuale testo in discussione alla Camera, oltre a definire il significato del «si disfi», «abbia deciso di disfarsi» e «abbia l'obbligo di disfarsi», precisa che le prime due ipotesi perdono il loro significato quando una sostanza o un oggetto ed il suo utilizzo soddisfano le seguenti condizioni: la sostanza o l'oggetto deve avere le caratteristiche merceologiche delle materie prime o delle materie prime secondarie (...); l'eventuale trattamento della sostanza o dell'oggetto deve corrispondere ed essere analogo al normale trattamento industriale delle materie prime o delle materie prime secondarie (...); la sostanza o l'oggetto deve essere destinato in modo effettivo ed oggettivo all'utilizzo in un ciclo produttivo;
l'utilizzo della sostanza o dell'oggetto in un ciclo produttivo deve essere effettivo ed oggettivo e non deve comportare pericoli per la salute o per l'ambiente maggiori di quelli propri delle normali attività produttive.
A dimostrazione di quanto sia urgente ed importante un chiarimento sulla definizione di rifiuto, valga per tutti il seguente esempio: si supponga che vengano importati da Paesi europei (ad esempio, dalla Germania) rifiuti di plastica provenienti dalla raccolta differenziata. Tali rifiuti, qualora fossero identificati con il codice OCSE GH 010, potrebbero arrivare in Italia senza alcuna autorizzazione da parte delle autorità competenti di spedizione e di destinazione in quanto appartenenti alla lista verde (allegato II del regolamento 259/93). Una volta giunti in Italia, la semplice certificazione che ne attesti le caratteristiche previste per le materie prime secondarie (UNIPLAST-UNI 10667), comportando di fatto l'uscita dall'ambito della normativa sui rifiuti, permetterebbe di colmare interi fatiscenti magazzini di tali materiali, che in realtà non sempre potrebbero essere facilmente riciclabili e si potrebbero quindi prestare ad operazioni dolose quali incendi di capannoni. Su questa problematica, per episodi già verificatasi, si è pronunciata la Corte di giustizia europea, IV sezione, il 25 giugno 1998.
La Commissione si rivolge con determinazione a Governo e Parlamento affinché pongano in essere tutti gli sforzi per favorire in sede europea la conclusione dell'iter procedimentale connesso alla definizione giuridica di rifiuto. In tal modo si potrà offrire un quadro normativo certo ed uniforme all'amministrazione, alle imprese, al sistema dei controlli ed agli operatori di giustizia.
Più in generale, si può concludere che l'analisi - che ormai la Commissione ha svolto molte volte - sulle norme e sulla tenuta organizzativo-gestionale delle amministrazioni chiamate ad applicarle ha mostrato livelli eterogenei di efficacia. Vi sono regioni e province i cui apparati sono al corrente delle proprie specifiche competenze e che le esercitano con un qualche risultato. Ve ne sono altre che sono del tutto carenti sul punto. Tra i controlli svolti dagli enti territoriali e quelli statali, inoltre, c'è una totale difformità metodologica, sicché i dati disponibili sono spesso divergenti e difficilmente comparabili.
Ne deriva che gli operatori privati che operano correttamente non hanno come interlocutrice un'amministrazione che segue indirizzi precisi e univoci, mentre quelli che operano scorrettamente trovano assai agevole inserirsi nelle maglie della normativa, avendo per di più di fronte un'amministrazione spesso impreparata.
(1) Al riguardo si pensi che, nella sola Sicilia, ogni anno si produce un chilogrammo di rifiuti ospedalieri per degenza giornaliera, per un totale di circa 3 milioni di degenze giornaliere annue.
(2) Al proposito si consideri che la produzione, nel 1997, di rifiuti del comparto industriale, strettamente inteso, ammonta in Italia a circa 21 milioni di tonnellate.
(3) Si vedano ad esempio i documenti XXIII-16 sul Lazio, p. 18; XXIII-23 sull'Abruzzo, p. 45; XXIII-34 sulla Sicilia, p. 45; Relazione alle Camere sull'attività svolta (doc. XXIII-35), p. 37 ss.
(4) V. il resoconto stenografico della seduta, p. 2.
(5) Esso riporta, negli allegati A e B rispettivamente l'elenco dei rifiuti appartenenti alla lista verde per cui esiste il divieto di esportazione verso alcuni Paesi non appartenenti all'OCSE; l'elenco dei Paesi verso cui possono essere esportate alcune tipologie di rifiuti della lista verde applicando, tuttavia, le procedure di controllo previste per i rifiuti destinati allo smaltimento.
(6) Tale regolamento stabilisce la procedura di controllo cui sono soggetti alcuni rifiuti appartenenti alla lista verde nel caso in cui essi vengano esportati verso taluni Paesi ai quali non si applica la decisione dell'OCSE nell'allegato A, figurano i Paesi che hanno accettato alcune tipologie di rifiuti a condizione che vengano rispettate le procedure previste per i rifiuti appartenenti alla lista ambra; nell'allegato B, i Paesi che accettano alcuni rifiuti verdi con le procedure previste per i «rifiuti rossi»; nell'allegato C, i Paesi che desiderano ricevere alcune tipologie di rifiuti seguendo le procedure previste per i rifiuti destinati allo smaltimento.
(7) Più in dettaglio, si tratta di: legno trattato individuato dai codici 170201, 030103, 150103, 200170 per un quantitativo pari a 1.784.082 tonnellate; ceneri e residui di alluminio individuati dal codice 100300 per un quantitativo pari a 152.450 tonnellate; accumulatori al piombo individuati dal codice 160601 per un quantitativo pari a 3.800 tonnellate; residui di centrali termiche e altri impianti individuati dal codice 100100 pari a 15.500 tonnellate; rifiuti di oli esausti individuati dal codice 130100 per un quantitativo pari a 24.000 tonnellate (vedi tabelle allegate).
(8) Più in dettaglio, si tratta di miscele di solventi alogenati individuate dai codici 070107, 070703, 130301, 140502, AC 240, RA 010 per un quantitativo pari a 48.400 tonnellate; miscele di solventi non alogenati individuate dai codici AC 210 per un quantitativo pari a 29.660 tonnellate; scorie e ceneri di alluminio individuate dal codice 100300 per un quantitativo pari a 120.000 tonnellate; scorie e ceneri di zinco individuate dal codice 100500 per un quantitativo pari a 18.000 tonnellate (vedi tabelle allegate).
(9) Si tratta delle società Sit (Società industria truciolare) di Mortara (Pavia), Falco spa di Codigoro (Ferrara) e Saib spa di Caorso (Piacenza), le quali hanno mostrato peraltro livelli tecnologici e qualitativi assai elevati.
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