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Doc. XXIII n. 46


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INTRODUZIONE

1. Viaggio nell'inferno

«L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso e esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno e farlo durare, e dargli spazio», così Italo Calvino nelle sue «città invisibili». Anche il vasto universo della camorra napoletana si presenta come un inferno e, quel che più conta, rende inferno tutto ciò su cui si dispiega e anche in questo caso vi sono due modi per non soffrirne: accettare l'inferno magari negativizzandolo in maniera assoluta, senza tentare di indagarne le sue articolate ramificazioni, oppure impegnarsi in una analisi specifica dei suoi tratti caratterizzanti, dei suoi nuclei essenziali, dei suoi nodi fondamentali, perché l'inferno sia sempre più ridotto e, in prospettiva, eliminato nella sua configurazione e, ancor più decisivamente, nelle sue cause.
È questa seconda opzione la scelta che appare necessaria ed urgente, una scelta che non è solo necessaria ma anche possibile per la corrispondenza e l'alimento che essa certamente ritrova nelle grandi energie del popolo di Napoli e della Campania, nelle risorse anche culturali e morali della città e della regione, nelle ricche esperienze di rinnovamento di tante città e tanti comuni.

2. Il piano di lavoro e gli obiettivi perseguiti

La presente relazione si pone l'obiettivo di operare una indagine ricognitiva sul fenomeno «camorra» in Campania, che abbia la capacità di mettere a fuoco i punti essenziali che lo caratterizzano.
In tale direzione si pongono le indicazioni normative che hanno portato all'istituzione di questa Commissione parlamentare d'inchiesta. Nella legge istitutiva, n. 509 del 1o ottobre 1996, viene, infatti, esplicitamente affermato che fra i compiti della Commissione vi sono quelli di «accertare la congruità della normativa vigente, formulando le proposte di carattere legislativo e amministrativo ritenute opportune per rendere più coordinata e incisiva l'iniziativa dello Stato, delle regioni e degli enti locali e più adeguate le intese internazionali concernenti la prevenzione delle attività criminali, l'assistenza e la cooperazione giudiziaria; accertare e valutare la natura e le caratteristiche dei mutamenti e delle trasformazioni del fenomeno mafioso e di tutte le sue connessioni».
Al fine di espletare tali compiti istituzionali, la Commissione ha effettuato un primo sopralluogo nel giugno 1997 a Napoli, Caserta,


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Aversa, Torre Annunziata e Casal di Principe e un sopralluogo a Salerno nel marzo 1998, compiendo, poi, un ulteriore sopralluogo in Napoli nel giugno del 2000 al fine di acquisire gli ulteriori dati per la comprensione di quella che appare una realtà in continuo movimento.
Nel corso degli stessi sono stati ascoltati gli esponenti di tutti gli organismi istituzionali: dal Prefetto al Questore, dai vertice locali delle forze dell'ordine ai sindaci, dal Procuratore generale della Repubblica ai magistrati della Procura distrettuale antimafia, ai vertici di tutti gli Uffici giudiziari del distretto, dal Presidente della Regione a quello della Provincia ed al sindaco di Napoli, a esponenti di significative articolazioni della società civile quali Associazioni, gruppi di volontariato e così via.
Complessivamente sono state ascoltate oltre 150 persone.
Nel corso dei sopralluoghi, altresì, sono state acquisite varie relazioni scritte, in particolare, delle Prefetture e della Procura della Repubblica di Napoli ed è stata, altresì, acquisita la «Relazione sui problemi posti all'amministrazione della giustizia dalla criminalità organizzata in Campania» approvata dal CSM il 27 luglio del 2000, nonché la relazione annuale sul fenomeno della Criminalità organizzata redatta dal Ministro degli interni e si è tenuto conto di quanto affermato dal Procuratore Nazionale Antimafia, dott. Pier Luigi Vigna, nel corso dell'audizione del settembre 2000.
Le dichiarazioni di tutti coloro che hanno partecipato alle audizioni, sollecitate anche dai numerosissimi interventi dei membri della Commissione sono state regolarmente verbalizzate e trasfuse in quasi mille pagine.
Sono state convocate a Roma, inoltre numerose altre persone, quali Commissari straordinari dei comuni, i cui Consigli sono stati sciolti per mafia, la cui esperienza poteva essere utile per la comprensione di alcuni aspetti della realtà indagata.
Attraverso una riflessione su tali verbali, come sui numerosi documenti rilevanti pervenuti alla Commissione, si è tentato di delineare un quadro essenziale che, pur nella necessaria schematicità (una relazione che avesse riportato per intero le considerazioni ascoltate sarebbe stata, oltre che mostruosamente lunga, un inutile ripetizione di quanto già consegnato nei già citati verbali delle sedute), avesse non solo la capacità di fissare la rilevanza quantitativa e qualitativa del fenomeno ma che non dimenticasse, altresì, che esso nasce ed opera in uno specifico contesto socio-economico e culturale del quale occorre individuare gli aspetti essenziali e i contorni
In questa ottica il piano operativo della relazione sarà preliminarmente caratterizzato dalla individuazione della attuale situazione della camorra in Campania, dei settori e ambiti specifici di attività, tenendo conto che, in questi ultimi anni, agli ambiti tradizionali di attività se ne sono aggiunti nuovi che hanno dilatato il potere economico dell'organizzazione camorristica e, conseguentemente, la sua capacità pervasiva e la sua pericolosità.
Una ricognizione siffatta, e la verifica critica dei risultati assai importanti conseguiti dalla azione antimafia in questi anni nella economia, nelle istituzioni e nella politica è operazione necessaria per porsi realisticamente il problema di cosa fare, seguendo specifiche linee di intervento e fissando efficaci modalità operative.


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Si è consapevoli, infine, che tali linee di intervento e modalità operative conseguirebbero risultati parziali e, soprattutto, non duraturi, se non si affronta in pieno il problema di una diversa qualità della vita in Campania, regione nella quale, attraverso trasformazioni culturali adeguate e un'articolata strategia pedagogica nell'accezione di più ampia del termine, occorre instaurare una cultura della legalità e del rispetto di ciascuno.

3. La complessità dell'analisi ed i punti di riferimento della stessa

Chi si avvicina al fenomeno camorra non può fare a meno di verificare come esso sia stato per lungo tempo assolutamente sottovalutato, quasi a volerne esorcizzare l'esistenza.
Un importante studio di fine Ottocento la considerava un relitto storico.
Nel 1912, dopo il processo Cuocolo, relativo all'assassinio dei coniugi Gennaro e Maria Cuocolo (1906) e fondato sulle rivelazioni di Gennaro Abbatemaggio, pentito ante litteram, la si dette per finita.
Nel 1915 l'allora capo della camorra napoletana, Del Giudice, la dichiarò sciolta.
Il fascismo si vantò della sua ulteriore soppressione.
E. J. Hobsbawm, in un libro del 1959, «I ribelli», ne parla come di un qualcosa in via di estinzione.
A tale proposito, la relazione approvata nell'XI legislatura, sul punto ampiamente condivisibile, spiegava questi fatti storici con l'altissimo rapporto di integrazione di questa forma di criminalità con gli strati più poveri della popolazione, che nei momenti di difficoltà perde i suoi connotati specifici e si confonde con l'illegalità diffusa. Quando, poi, si ripresentano le condizioni idonee riappare, sia pure con significative diversità rispetto al passato.
In effetti più che di riapparizione si tratta di riproposizione, in fasi di particolare debolezza dello Stato e della società civile, di un modello criminale fondato sulla intermediazione violenta in attività economiche, legali e illegali, che si adegua ai caratteri che queste attività assumono nel tempo.
L'immersione corrisponde, in genere, non soltanto a momenti repressivi particolarmente efficaci, ma anche a politiche nazionali dirette a una integrazione dei ceti più poveri, come è accaduto durante l'età giolittiana, o a politiche di sviluppo industriale, come è accaduto in alcune fasi del secondo dopoguerra, che hanno dato a molti la possibilità di guadagnare un salario senza rivolgersi alla camorra.
Una situazione di tipo analogo - sia pure strutturalmente alquanto diversa - sembra del resto essere avvenuta anche in periodi a noi più vicini ed in particolare a metà degli anni 90, quando i notevolissimi risultati raggiunti nel contrasto fecero troppo presto gridare alla sconfitta definitiva della camorra. Le defezioni, sia nella forma del pentitismo che in quella molto più ambigua della dissociazione, anche di personaggi di vertice diedero l'illusione che la partita si potesse considerare vinta.
Ancora una volta, invece, la camorra in modo anche camaleontico era riuscita a mimetizzarsi aspettando di riemergere non appena si fossero ricreate le condizioni.


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Profondamente contraddittoria, del resto, è stata anche la reazione istituzionale, perché a ondate repressive si sono alternate fasi di disattenzione o, persino, di spregiudicata utilizzazione politica.
A questi e ad altri possibili esempi di notevole sottovalutazione del fenomeno possono essere contrapposti, però, rilevanti testimonianze di attenzione - queste per il vero risalenti per lo più a tempi recenti e soprattutto in questi ultimi anni -, sia sul versante politico-istituzionale che su quello scientifico e pubblicistico.
Non è questa la sede per richiamarle; sia sufficiente averle ricordate dopo aver doverosamente ricordato quanto il fenomeno camorra sia stato, spesso, sottovalutato.

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Se la sottovalutazione del passato ha reso più difficile l'approccio conoscitivo non vi è dubbio che un ulteriore elemento di particolare difficoltà è costituito da alcuni dati strutturali della camorra medesima.
In primo luogo a parte alcuni tentativi egemonici - quali quelli di Cutolo nei primi anni '80, di Alfieri da metà degli anni '80 fino ai primi del '90 o quelli più recenti di Licciardi e del famoso cartello di Secondigliano - la struttura della camorra è sempre stata, in particolare quanto più forte è stata l'attività repressiva - alquanto pulviscolare.
Tra le forme di criminalità organizzata, la camorra si distingue, in pratica, per la mancanza di una «autorità» di vertice al di sopra dei gruppi che operano sul territorio e per la struttura prevalentemente orizzontale dei diversi sodalizi, che perseguono i propri interessi economico-criminali con un processo continuo di aggregazione e riaggregazione.
Sul territorio campano - ma per quello che si preciserà non tutte le zone sono interessate allo stesso modo, essendo la Camorra presente in particolare nella città di Napoli, nella sua provincia, in ampie zone di quella di Caserta, nell'agro nocerino sarnese e nella piana del Sele in quella di Salerno ed in modo ancora più limitato per le province di Avellino e Benevento - hanno operato un elevato numero di clan, gelosi della loro autonomia e pronti a darsi battaglia a suon di morti non appena si verificasse anche una piccola invasione di campo.
Le stesse articolazioni camorristiche fra di loro hanno caratteri tutt'altro che omogenei; accanto a strutture che hanno mutuato rituali e caratteri dai mafiosi siciliani - si pensi, a titolo esemplificativo, al clan Fabbrocino o a quello dei casalesi sotto la gestione della diarchia Bardellino-Iovine, entrambi tipici sodalizi mafiosi - vi sono organizzazioni locali che paiono mutuare più che i caratteri dell'associazione mafiosa quelli delle classiche bande criminali, tipiche delle periferie delle città europee.
Questa affermazione - che ovviamente non vuole affatto sminuire la pericolosità delle organizzazioni criminali campane ma che anzi evidenzia il rischio di una continua esclation di violenze difficili da controllare, proprio per l'assenza di capi carismatici - potrebbe persino giustificare un uso diverso del termine «camorra» che si limiti ad indicare tutti quei fenomeni criminali organizzati che in comune hanno il fatto di operare nell'unica regione.


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È chiaro che una disomogeneità come quella evidenziata rende certamente più problematico un qualsivoglia approccio di conoscenza.

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Un ulteriore elemento di complessità dell'indagine non può non essere rappresentato dalla estrema capacità di gran parte dei fenomeni camorristici di pervadere il tessuto sociale nel quale operano.
L'omertà individuata in alcuni contesti della città di Napoli o della provincia di Caserta non è soltanto dettata da paura ma, almeno in alcune occasioni, da condivisione di un modus vivendi alternativo rispetto al modello comune.
Come potrebbero del resto spiegarsi quei - per fortuna non tantissimi - veri e propri assembramenti in alcuni quartieri cittadini o in alcune zone della provincia napoletana e casertana a difesa degli spacciatori di droga o per impedire le attività di indagini della polizia giudiziaria.
In questa stessa chiave di lettura può, del resto, essere vista la generale tolleranza del contrabbando di sigarette; in nessun altro contesto territoriale - nemmeno nei quartieri a più alta densità mafiosa della Sicilia - è mai avvenuto una così ampia e massiccia vendita illegale - costituente, comunque, reato penale - alla luce del giorno e spesso sotto gli occhi disinteressati delle stesse forze dell'ordine e benevoli dei cittadini.

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Se non vi è dubbio che l'humus ideale per lo sviluppo della criminalità organizzata sono il disagio sociale, le situazioni di emarginazione e di sottosviluppo un'analisi onesta e completa del fenomeno camorra non può che smentire come valida sempre e comunque l'equazione «questione criminale» = «disagio sociale».
La criminalità camorristica - ed in particolare i suoi vertici - non necessariamente provengono da situazioni di povertà e di sottosviluppo. Da questo proviene gran parte della manovalanza criminale, spesso sacrificata nelle lotte tra i clan, ma in molte occasioni i reali gestori delle attività delle consorterie criminali sono soggetti che vi dedicano per fare il salto di qualità dal punto di vista economico - forse che il pentito Galasso non è un macroscopico esempio che conferma la validità dell'assunto - e per acquisire rispetto nei loro ristretti ambiti locali. Non sembri un paradosso ma il camorrista degli anni '90 e del 2000 veste sempre più i panni dei «colletti bianchi» ed assume i connotati tipici di chi si propone di fare a tutti i costi una scalata sociale alla grande ricchezza ed al grande potere. Solo un personaggio di tal tipo può avere la capacità - necessaria per la sopravvivenza di questa forma di criminalità - di tenere i contatti con i più svariati ambienti delle istituzioni.
Il dato sopra indicato introduce senza dubbio un'ulteriore variabile che non può non rendere più complesso l'approccio con questa criminalità organizzata.

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Quanto detto fino a questo momento non può e non vuole certamente dare un connotato di inconoscibilità alla entità camorra - ovviamente, niente delle azioni umane è inconoscibile, ontologicamente refrattario alla tensione conoscitiva -; non vi è dubbio però che quanto meno lineare si presenta il fenomeno molto più complessa sarà l'analisi da effettuare.
A questo riguardo va certamente detto che il compito della Commissione è, però, agevolato non soltanto dal già sottolineato interesse della pubblicistica all'analisi di questa forma criminale ma, per quel che ne occupa, dall'esistenza di una precedente relazione, approvata nel corso dell'XI legislatura, ed il cui relatore è stato l'on. Violante, che ha già approfondito gran parte delle questioni rappresentando lo stato della situazione fino al 1993, facendo sì che questa commissione potesse certamente considerare il proprio lavoro come un tentativo di saldarsi idealmente a quello, mettendo in rilevo le novità e le caratteristiche emerse negli ultimi anni.
Pur non essendo stata approvata mai dalla Commissione, nella XII legislatura fu presentata una ulteriore relazione che, comunque, non può non fornire elementi utili per l'analisi che si andrà facendo.
Il relatore ha anche fatto propri alcuni spunti e considerazioni provenienti dai documenti elaborati dalla minoranza.

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