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1. La Commissione parlamentare antimafia e la Calabria.
La presenza della Commissione parlamentare antimafia in Calabria e la presenza della Calabria e della 'ndrangheta nei lavori della Commissione sono segnate da numerosi atti e documenti.
Per i più significativi valgano l'elenco che segue e altre notizie in appendice:
le audizioni a palazzo San Macuto dei rappresentanti del governo, del capo della polizia e dei comandi dei carabinieri e della guardia di finanza, dei direttori della DIA e dello SCO, dei magistrati della Direzione nazionale e di alcune direzioni distrettuali antimafia, del vicepresidente e di consiglieri del CSM, di alcuni procuratori della repubblica e procuratori aggiunti, del dott. Salvatore Boemi procuratore aggiunto presso la DDA di Reggio Calabria e del dott. Roberto Pennisi già sostituto procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, del Governatore della Banca d'Italia e del Presidente della Consob, del Presidente e di altri rappresentanti di Legambiente, del prof. Giuseppe Fragomeni presidente del Consorzio ASI di Reggio Calabria, del prof. Marco Vitale presidente della Medcenter S.p.A., l'impresa nazionale cui è stata affidata la realizzazione e la gestione del porto di Gioia Tauro, e, da parte di un gruppo di lavoro della Commissione sulla Calabria, l'audizione a palazzo San Macuto, il 18 novembre 1997, dei sostituti procuratori della Direzione nazionale antimafia, dottor Vincenzo Macrì e dottor Emilio Le Donne, e le due audizioni del 5 marzo 1998: la prima, del procuratore aggiunto presso la DDA di Milano, dottor Manlio Minale, e dei sostituti procuratori dottoressa Laura Barbaini e dottor Armando Spataro, la seconda del procuratore aggiunto presso la DDA di Torino, dottor Marcello Maddalena, e del sostituto procuratore dottor Paolo Borgna;
i sopralluoghi e le missioni della Commissione non solo nelle regioni cosiddette "a rischio" ma anche al nord;
i tre convegni: di Palermo in collaborazione con la Guardia di finanza (sui bilanci e le prospettive della lotta al riciclaggio), di Milano in collaborazione con la Polizia di Stato (sulla presenza e il ruolo della criminalità internazionale nel territorio e nell'economia), e di Napoli con l'Arma dei Carabinieri (sulla legalità e sicurezza nelle grandi aree metropolitane);
il sopralluogo e le missioni in Calabria del 17-19 marzo 1997, del 18-19 marzo 1998, del 7-8 aprile 1998, del 15 gennaio 1999, l'incontro della Commissione a Reggio Calabria con il Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica e la partecipazione unanime alla manifestazione popolare di risposta all'attentato mafioso contro il sindaco Italo Falcomatà l'8 luglio 1997, i sopralluoghi e gli incontri di Messina l'11 e il 23-24 febbraio e, ancora, successivamente
alla relazione del Presidente senatore Del Turco del 28 aprile 1998, il 12 novembre 1998 e l'8-9 febbraio 2000;
la missione a Crotone, Siderno e Platì del 7 e 8 marzo 2000;
le relazioni e i documenti istituzionali sul contrasto del fenomeno mafioso e sulla applicazione della normativa antimafia;
documenti ed esposti pervenuti alla Commissione;
materiali e dati acquisiti dalla Commissione per indagini e approfondimenti diretti ad alcune questioni e circostanze da trattare in questa relazione.
2. Le diversità rispetto alle relazioni precedenti.
La Calabria che emerge dal lavoro conoscitivo della Commissione appare assai diversa da quella delineata nelle relazioni e nei documenti delle Commissioni antimafia che hanno operato nelle precedenti legislature.
Nella X Legislatura la Commissione ha approvato le seguenti relazioni:
Relazione sullo stato della lotta alla mafia nella provincia di Reggio Calabria (doc. XXIII, n. 6).
Relazione sulle vicende connesse alla costruzione della centrale termoelettrica di Gioia Tauro (doc. XXIII, n. 24).
Relazione dello stato della lotta alla criminalità organizzata nella provincia di Catanzaro (doc. XXIII, n. 35).
Relazione sulle risultanze degli accertamenti sulla applicazione della legge n. 246/89 recante norme su "Interventi urgenti per il risanamento e lo sviluppo della città di Reggio Calabria" (doc. XXIII, n. 44).
Nella XI Legislatura la Commissione ha approvato le seguenti relazioni:
Relazione sulla situazione della criminalità in Calabria (doc. XXIII, n. 8). Relatore: senatore Paolo Cabras.
Relazione di minoranza sulla situazione della criminalità organizzata in Calabria (doc. XXIII, n. 8-bis). Relatori: onorevoli Girolamo Tripodi e Alfredo Galasso.
Relazione sulle amministrazioni comunali disciolte in Campania, Puglia, Calabria e Sicilia (doc. XXIII, n. 5). Relatore: senatore Paolo Cabras.
Nella XII Legislatura la Commissione ha approvato la seguente relazione:
Relazione sul "caso Cordopatri" (doc. XXIII, n. 5). Relatore: onorevole Nicola Vendola.
La diversità rispetto a queste precedenti relazioni è legata a significativi cambiamenti intervenuti nelle condizioni reali, nella conoscenza del fenomeno, nel contrasto quale è stato indicato dalla normativa e quale è stato messo in atto dalle istituzioni. È necessario, pertanto, considerare un insieme di fattori.
L'istituzione delle DDA agli inizi degli anni Novanta ha dato un notevole impulso alle attività investigative, che, da quel momento in poi, sono state coordinate su un territorio molto vasto che spesso valicava quello del distretto.
L'inizio del decennio ha visto, anche in Calabria, una forte azione di contrasto da parte dello Stato, soprattutto dopo la strage di Capaci e di via D'Amelio. Nello stesso periodo è esploso il fenomeno dei collaboratori di giustizia che ha permesso di acquisire notizie direttamente da persone che, con diversi ruoli operativi, avevano fatto parte del mondo criminale, pur dovendosi sottolineare che in Calabria il fenomeno non ha avuto le proporzioni e la dirompenza che ha avuto in Sicilia.
Oggi è possibile utilizzare i numerosi dati emersi dalle più importanti operazioni che magistratura e forze dell'ordine hanno con successo concluso contro varie organizzazioni della 'ndrangheta. L'operazione più significativa, dal punto di vista della ricostruzione della dinamica mafiosa dell'ultimo quarto di secolo, è sicuramente quella della DDA di Reggio Calabria denominata Olimpia (1).
Con questa operazione e con numerose altre indagini delle forze di polizia, dei carabinieri e della Guardia di finanza - che hanno interessato altre province calabresi, in modo particolare quella di Cosenza, attraverso l'operazione denominata Galassia (2) - sono state assicurate alla giustizia svariate centinaia di mafiosi e sono state scompaginate numerose 'ndrine.
E tuttavia occorre sottolineare subito una singolare contraddizione: i mutamenti nell'assetto delle cosche in seguito agli arresti, e i colpi che sono stati - come non mai - inferti alle organizzazioni criminali - per quanto assai importanti e in alcuni casi e per alcune situazioni perfino decisivi - non sono ancora arrivati al punto da mutare radicalmente di segno la situazione complessiva e la estrema pericolosità - nazionale e internazionale - della mafia calabrese. Non si sono fino a questo momento registrati fenomeni e neppure segni di crisi, o di disgregazione interna, paragonabili a quelli che hanno investito diverse organizzazioni mafiose di Palermo e della Sicilia. Lo dicono i fatti, i documenti, i dati acquisiti dalla Commissione.
Le inchieste hanno messo ulteriormente in luce un aspetto che era già presente sin dagli anni Ottanta: l'area di espansione della
criminalità organizzata è andata ben oltre l'ambito del territorio della città e della provincia di Reggio Calabria, ha interessato oramai tutte le zone della regione seppure con diversi gradi di pericolosità e di radicamento, e ha valicato i confini della Calabria.
La 'ndrangheta cosentina, pur essendo di più recente formazione rispetto all'insediamento mafioso esistente nelle altre province calabresi, ha raggiunto in questi ultimi decenni un notevole grado di diffusione e di radicamento che la rendono ancora molto pericolosa nonostante la disarticolazione di molte 'ndrine avvenuta in anni più recenti.
L'Operazione Galassia ha svelato un complesso ramificato reticolo di "locali" collocati a Cosenza città, nella zona di Sibari e nei vicini comuni ricadenti in provincia di Crotone. Vi hanno operato personaggi di prima grandezza della 'ndrangheta cosentina e crotonese, alcuni dei quali uccisi in scontri interni per la supremazia, altri diventati collaboratori di giustizia, altri ancora condannati nei processi scaturiti dall'Operazione Galassia. Per avere un'idea dell'importanza di questi "locali" i più significativi dei quali erano quelli di Sibari e di Cirò basti solo ricordare due circostanze. La prima: essi ebbero rapporti di lavoro nel campo della droga con Pietro Vernengo, noto esponente di Cosa Nostra che ebbe un ruolo essenziale nella installazione in Sicilia delle prime raffinerie e che, insieme ai suoi familiari e per un lungo periodo, fu residente a Corigliano Calabro in provincia di Cosenza. La seconda circostanza: essi hanno costruito nel tempo una colonia in alcune città della Germania dove si venne a determinare uno scandalo politico per la amicizia di un mafioso calabrese con un leader del partito democratico di un land e per il fatto che il ministro della giustizia regionale, a conoscenza delle indagini sull'esponente della 'ndrangheta, informò il suo collega di partito consigliandogli di essere più discreto nei suoi rapporti con il mafioso amico che era, tra l'altro, finanziatore della CDU.
In passato ci sono state sicuramente delle sottovalutazioni, non solo a livello nazionale ma anche a livello locale, che non hanno permesso di cogliere in tutta la sua gravità il problema della criminalità organizzata calabrese. Da questo punto di vista sono significative le cose dette dal dottor Alfredo Serafini, procuratore della Repubblica di Cosenza: "il problema della criminalità a Cosenza è iniziato con un equivoco. Si è sempre ritenuto da parte di tutti che Cosenza fosse una specie di isola felice rispetto a Reggio Calabria più che a Catanzaro. In effetti non era affatto così: Cosenza aveva una sua carica di criminalità, forse un po' sommersa ma non meno importante; soprattutto era terra di conquista per le organizzazioni criminali che da Sud con la 'ndrangheta, da Nord con la camorra e da Est con la Sacra corona unita premevano sulla zona del cosentino che rappresentava una zona di cuscinetto".
Questo giudizio del dottor Alfredo Serafini sembra possa trovare ulteriori e significative conferme nel processo ancora in corso a Cosenza a carico di Tursi Prato e altri, alle cui risultanze il lavoro della Commissione, e la relazione sulla 'ndrangheta, dovranno prestare particolare attenzione, con riferimento innanzi tutto alle gravi connessioni
mafiose tra organizzazioni criminali e istituzioni e politica rappresentate durante il dibattimento.
Rimane in tutta la sua gravità l'antica questione del cosiddetto 'controllo del territorio' che, secondo il dottor Vincenzo Macrì della Direzione nazionale antimafia, "soprattutto nelle realtà più periferiche, nelle zone collinari e montuose, oppure nelle periferie delle grandi città, è nelle mani delle organizzazioni criminali e non delle forze dell'ordine. Di fatto il controllo capillare del territorio e di tutte le attività che vengono compiute sul territorio è ancora nelle mani delle organizzazioni mafiose, che hanno ancora le loro roccaforti, le ville blindate, gli eserciti, le milizie armate che lavorano per le cosche. Fino a quando non si distrugge questa rete capillare non si potrà avere una riappropriazione del territorio in senso stretto".
La 'ndrangheta ha da lungo tempo propri e stabili insediamenti in tutte le regioni del nord Italia. In queste nuove aree si sono introdotte novità di non poco conto. All'attività di contrasto da parte dello Stato la 'ndrangheta ha risposto sostituendo gran parte dei quadri che erano finiti in galera. Di ciò ha parlato il dottor Manlio Minale della DDA di Milano nel corso della sua audizione davanti al Comitato: "La 'ndrangheta non ha subìto quel calo che avrebbe dovuto subire a seguito delle nostre operazioni che hanno messo in condizione di non nuocere a Milano ben 3000 soggetti". Alcune inchieste hanno messo in luce determinate peculiarità. Da una indagine condotta nei confronti di un gruppo proveniente da Petilia Policastro e residente nella zona di Quarto Oggiaro "è emerso un rapporto organico (faccio riferimento ora ai rapporti, nell'ambito della 'ndrangheta, tra Milano e Calabria) tra i gruppi presenti nelle due località, tanto che il capo della cosca è stato raggiunto da un provvedimento di custodia cautelare come capo di un'unica cosca, comprensiva di Milano e di Petilia Policastro. Da quell'indagine è risultato che quella località della Calabria riforniva sistematicamente di uomini il gruppo milanese da noi attaccato e debellato. L'emergenza 'ndrangheta in Lombardia, quindi, non possiamo ritenerla risolta, vista l'esistenza di un serbatoio di uomini ancora attivo capace di fornire nuove leve".
Diverse rispetto alle relazioni e ai documenti delle legislature precedenti appaiono anche le organizzazioni e le attività criminali della 'ndrangheta: non solo quelle nate da poco, ma le stesse organizzazioni ed attività storiche.
Non esiste, non è stata mai fatta - ed è la prima proposta del "che fare" che noi qui indichiamo - una relazione della Commissione antimafia su quella particolare associazione criminale che risponde al nome di 'ndrangheta, e che non è affatto riducibile ad una mafia 'periferica' e 'locale'.
Non si può parlare della Calabria senza parlare di 'ndrangheta. Ed è bene chiarire subito che i riferimenti dedicati in questa relazione alla mafia calabrese sono lontani dall'esaurire l'analisi di un fenomeno ben più complesso e articolato di quanto si sia creduto.
Oggi è non solo necessario, ma anche possibile, uscire dallo stereotipo duro a morire di un fenomeno tipico dell'arretratezza, di un'organizzazione rozza e arcaica, rinchiusa in Calabria o perfino solo in Aspromonte nella monocultura dei sequestri di persona. E ancora
di più dallo stereotipo della strutturale, e assoluta, immutabilità della mafia calabrese. Oggi è non solo necessario, ma anche possibile, bruciare il ritardo di conoscenza, di comprensione e di azione, eliminare il conseguente status di impunità di cui la 'ndrangheta ha potuto godere e di cui ha fatto uso per rafforzare, estendere e riprodurre a seguito dei colpi subiti ogni sua ramificazione e attività. Oggi è non solo necessario, ma anche possibile, superare definitivamente l'isolamento in cui sono state lasciate specifiche denuncie e allarmate e allarmanti analisi fatte da diversi inquirenti lungo tutti gli anni Ottanta.
La possibilità di questa indispensabile svolta è data innanzitutto dal grande salto di qualità e di quantità compiuto attraverso le acquisizioni fatte in questi ultimi anni dalle indagini (non solo quelle promosse o fatte all'interno della Calabria, e non solo quelle condotte dalle DDA) e dal lavoro di impulso della Direzione nazionale antimafia.
Il salto di qualità e di quantità che è stato operato avrebbe potuto, e potrebbe, essere moltiplicato attraverso una azione nuova, decisa e diffusa di rottura dell'omertà, come sta a dimostrare il fatto che il fenomeno del cosiddetto "pentitismo" vi ha generalmente avuto, e continua ad avere, un ruolo del tutto marginale, una incidenza niente affatto determinante o paragonabile a quella che si è registrata per la conoscenza e il contrasto di Cosa nostra e di altre organizzazioni mafiose. È proprio il salto di qualità e di quantità della conoscenza prodotta dalle indagini di questi ultimi anni che induce ad apprezzare diversamente rispetto al passato la forza, la pericolosità, la diffusione nazionale e internazionale della 'ndrangheta e la sua collocazione all'interno del sistema criminale. L'ordinanza di custodia cautelare del processo Olimpia, la prima sentenza già emessa (3) e il proseguimento del dibattimento attualmente in corso a Reggio Calabria per altri tronconi del processo Olimpia, forniscono una prova esemplare di questo salto di qualità e di quantità della conoscenza, e dà allo Stato democratico la possibilità di percepire quale sia sul presente il peso della storia della 'ndrangheta che viene ricostruita per l'ultimo trentennio e quindi le gravi conseguenze prodotte dall'ignoranza, da parte dello Stato democratico, di questa realtà lungo tutto questo tempo.
Questa è una delle ragioni della proposta che qui viene avanzata: dopo questa relazione sulla Calabria, se ne rende necessaria una organica sulla 'ndrangheta, nella quale sia pienamente utilizzato e sviluppato il vasto materiale già raccolto e che qui, per l'indirizzo prevalentemente territoriale dell'analisi, non è stato possibile riportare completamente.
Questa urgenza è accresciuta da una specificità della 'ndrangheta che ha sempre teso a lavorare al coperto, lontano e distante dai riflettori dei mass media. Solo in alcuni momenti la 'ndrangheta è stata al centro dell'attenzione, e segnatamente durante alcuni sequestri di persona, nel corso della guerra di 'ndrangheta a Reggio Calabria o in seguito ad omicidi particolarmente significativi, a faide sanguinarie o a stragi come per esempio quella di Oppido Mamertina, fino agli
omicidi di Strongoli e di Isola Capo Rizzuto del febbraio 2000, o a delitti politico-mafiosi come quello dell'onorevole Ligato o del dottor Antonino Scopelliti che si predisponeva a sostenere la pubblica accusa nel maxi processo contro Cosa nostra pendente davanti alla Corte di Cassazione. In merito a quest'ultimo, grave, fatto di sangue rimangono ancora del tutto aperte alcune questioni essenziali: la causale e i mandanti dell'omicidio e la natura dei rapporti - certo non occasionali o legati solo a quel particolare momento del maxi processo - tra 'ndrangheta e Cosa nostra.
Nell'audizione del 18 novembre 1997 il dottor Macrì ha detto alla Commissione che la "mancanza di conoscenza e la capacità di lavorare nell'ombra, di non entrare nel mirino degli investigatori, della stampa, dell'opinione pubblica, hanno consentito alla 'ndrangheta di crescere, di rafforzarsi e diventare quello che è attualmente, cioè un fenomeno diffusissimo, molto ramificato sul territorio, ma anche potente sotto il profilo economico e militare".
La mafia calabrese, nel silenzio e nell'indifferenza, ha oltrepassato nei decenni scorsi i confini regionali e si è impiantata stabilmente al Nord. Oggi è l'organizzazione sicuramente più diffusa in Piemonte, in Lombardia, in Emilia-Romagna, in Trentino Alto Adige e in Liguria. Inoltre è diffusa anche a livello internazionale.
Il dottor Salvatore Boemi ha fatto notare ai commissari che le procure distrettuali di Genova, Milano, Torino, Firenze e Bologna lavorano quasi esclusivamente sulla 'ndrangheta .
La 'ndrangheta, dunque, si presenta come una organizzazione molto ramificata in Calabria e con un forte radicamento al Nord e al di fuori dei confini nazionali, non solo in Australia, ma nei paesi dell'Est, in Europa, in Canada e in America Latina.
(1) PROCURA DELLA REPUBBLICA DI REGGIO CALABRIA, DDA, (PM S. Boemi, V. Macrì, R. Pennisi, F. Mollace, G. Verzera), Richiesta di custodia cautelare in carcere a carico di Condello Pasquale + altri, n. 46/93 RGNR DDA, in data 21.12.1994. D'ora in poi il documento verrà citato come OPERAZIONE OLIMPIA. La richiesta di custodia cautelare riguardava 478 imputati. Il rinvio a giudizio fu deciso per 285 imputati. Si veda TRIBUNALE DI REGGIO CALABRIA (GIP I. Russo), Rinvio a giudizio a carico di Condello Pasquale + 284, 19.4.1996.
(2) TRIBUNALE DI CATANZARO, (GIP V. CALDERAZZO), Ordinanza di custodia cautelare in carcere a carico di Aloisio Salvatore + 46, n. 1529/93 RGNR e n. 1372/93 R GIP in data 29.6.1995 e Tribunale di Catanzaro (GIP N. Durante), Ordinanza di custodia cautelare in carcere a carico di Cirillo Giuseppe + 95, n. 1529/93 RGNR e n. 1372/93 R GIP in data 29.6.1995.
(3) CORTE DI ASSISE DI REGGIO CALABRIA (Pres. M. Rombolà), Sentenza contro Condello Pasquale + 282, 19.1.1999.