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5. La «mafia dei rifiuti» e la criminalità ambientale.
La Commissione ha dedicato grande attenzione agli aspetti illeciti che si manifestano nel ciclo dei rifiuti: pertanto, come già accennato, ha avuto numerosi incontri con esponenti dell'autorità giudiziaria, sia in sede plenaria a Roma che nelle audizioni svolte nel corso di missioni di delegazioni della Commissione.
Tale attività ha consentito di formare un quadro dettagliato di conoscenze sulle principali fattispecie di reato che funestano il ciclo
dei rifiuti; in questa parte della relazione si intende pertanto fornirne una descrizione, dando conto anche di alcune delle inchieste giudiziarie di cui la Commissione è venuta a conoscenza. Per una trattazione più puntuale delle stesse si rimanda senz'altro alle relazioni territoriali dedicate alle diverse aree del territorio nazionale.
5.1. La «mafia dei rifiuti»
(15) Presso cave abbandonate o discariche non autorizzate a ricevere rifiuti di provenienza extra-regionale, se non addirittura mescolati al terriccio ed interrati per essere utilizzati nella pavimentazione di strade o nella costruzione di abitazioni civili.
Esemplificativa di tale attività è l'indagine condotta dalla direzione distrettuale antimafia di Napoli su traffici illeciti di rifiuti pericolosi provenienti da industrie del nord Italia, in specie dell'Emilia Romagna, e trasportati lungo le dorsali tirrenica e adriatica, per essere abbandonati in aree territoriali del meridione controllate dalla criminalità organizzata(16); va aggiunto come l'indagine mostri chiaramente la penetrazione delle organizzazioni camorristiche nei traffici di rifiuti; la varietà di siti destinati allo smaltimento illegale di tali rifiuti industriali e la loro pronta individuazione da parte dell'organizzazione, a fronte del sequestro di altri, è indice di un controllo del settore che va ben oltre il territorio in cui esse operano direttamente - come mostrano le connessioni fra traffici abusivi di rifiuti e criminalità organizzata emersi in Abruzzo, Lazio, nonché in Piemonte, Lombardia e Liguria - e della penetrazione che tali organizzazioni stanno attuando nelle cosiddette aree non tradizionali.
(16) V. i DOC. XXIII-32 sull'Emilia Romagna, XXIII-12 sulla Campania e XXIII-23 sull'Abruzzo, che a questo riguardo devono intendersi integralmente riportate.
Altro elemento da sottolineare riguarda l'estensione delle attività delle organizzazioni criminali: risulta infatti dalle indagini che i clan hanno ormai ampliato le loro attività specifiche nel settore dal semplice controllo dei siti finali di smaltimento alle attività di trasporto e di commercializzazione, gestendo, quindi, tali attività illecite dal produttore di rifiuti sino al sito di smaltimento illegale.
Ma va aggiunto da subito un ulteriore elemento: sarebbe quanto mai errato ricondurre tutte le attività illecite nel settore dei rifiuti all'azione delle cosiddette 'ecomafie'. Esistono aziende non riconducibili alla criminalità organizzata che tuttavia paiono basare la loro attività proprio su una non corretta gestione dei rifiuti. Ricondurre tutta l'illegalità alle 'ecomafie' significherebbe quindi dimenticare una grossa fetta (sicuramente predominante) di attività illecite.
(17) V. ancora il DOC. XXIII-23 sull'Abruzzo, p. 42.
Sempre in Abruzzo, la Commissione è venuta a conoscenza del procedimento pendente presso la procura della Repubblica di Pescara a carico di 60 persone (tra cui amministratori e dirigenti di ben 58 società commerciali con sedi in tutta Italia) quali responsabili, fra l'altro, del delitto di associazione per delinquere finalizzato allo smaltimento di rifiuti in un impianto non autorizzato. L'organizzazione, fin dal 1995, aveva approntato gli strumenti operativi e fiscali per perseguire i suoi illeciti interessi(18).
(18) V. ancora il DOC. XXIII-23 sull'Abruzzo e l'audizione del sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Pescara, Pasquale Fimiani, nella seduta del 18 novembre 1997.
Per tornare più direttamente all'azione della criminalità organizzata, va ricordato come la Direzione distrettuale antimafia di Roma ha indicato in sede di audizione località quali Cassino, Latina, Formia, Pomezia, Anzio, Nettuno e Ardea come territori dove, dalla fine degli anni 70, si sono insediati gruppi appartenenti alla criminalità organizzata calabrese, siciliana e, in particolare, campana. Queste ipotesi su tali filiere criminali operanti anche nel ciclo dei rifiuti a tutt'oggi, però, hanno avuto solo un parziale e superficiale riscontro nelle audizioni di alcuni magistrati che se ne sono occupati e nei procedimenti penali attivati nel distretto.
di Cosenza. I materiali pericolosi venivano miscelati con rifiuti inerti, e quindi interrati in aree a vocazione agricola della Calabria, come i territori circostanti Cassano Ionio o la Piana di Sibari.
(19) V. il procedimento n. 738 del 1996 (doc.335/1 dell'archivio della Commissione).
Tali finanziamenti non hanno conseguito il loro obiettivo, cioè la realizzazione di impianti per un efficiente smaltimento dei rifiuti, come dimostra il recente commissariamento della regione Calabria. Il procedimento - tuttora pendente davanti al GUP - evidenzia le forti collusioni con gli organi amministrativi regionali (di cui si dirà meglio nel prosieguo del lavoro), nonché la presenza di alcune ditte già coinvolte in vicende giudiziarie connesse al ciclo dei rifiuti, verificatesi nella regione Sicilia(20).
(20) Cfr. l'audizione dottor. Luigi De Magistris dell'8 luglio 1998.
A proposito delle infiltrazioni mafiose nel ciclo dei rifiuti in Sicilia, la Commissione ha avuto modo di individuare - nell'ambito dello studio sulla composizione societaria delle aziende operanti nel ciclo - una situazione di rischio venutasi a creare a Palermo. La segnalazione è stata quindi fatta oggetto di una specifica informativa presentata alla procura della Repubblica di quella città, che ha immediatamente aperto un'indagine, tuttora in corso.
5.1.2. Il «controllo» del ciclo da parte delle organizzazioni criminali. Tali episodi e tali inchieste dimostrano come si sta registrando - nelle regioni a rischio - un salto di qualità nell'azione delle organizzazioni mafiose. L'interesse non riguarda più solo l'attività finale di smaltimento ma si sta estendendo al controllo degli appalti e alle stesse scelte delle pubbliche amministrazioni.
(21) V. ancora il DOC. XXIII-12 sulla Campania, e la relazione sulla Sicilia (DOC XXIII-34), approvata il 29 settembre 1999 e che a questo riguardo deve intendersi integralmente riportata.
Il quadro emergente appare desolante: da una parte si conferma quanto emerso sin dai primi atti della Commissione, secondo cui la criminalità organizzata stava acquisendo il controllo dell'affaire rifiuti, dall'altra si evidenza uno scollamento tra organi della pubblica amministrazione se non altro preoccupante.
Se, invero, fin dall'inizio degli anni 90 sono segnalati fenomeni d'interferenza negli atti della pubblica amministrazione relativi agli appalti per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, solo in questi anni si registrano i primi interventi concreti e di una certa incisività.
(22) V. ancora il documento sulla Sicilia (DOC. XXIII-34).
Le vicende relative alle discariche di Bellolampo e Pollina, di cui si è ampiamente detto nella relazione sulla Sicilia, dimostrano un controllo completo del ciclo; una gestione indifferenziata di tutti gli affari che, logicamente, non poteva e non può prescindere dal controllo della programmazione, costruzione e gestione di qualsiasi impianto afferente ai rifiuti, tanto più quando questi impianti siano in mano pubblica o vengano dall'attività della pubblica amministrazione in un qualche modo agevolati(23).
(23) V. ancora la relazione sulla Sicilia (DOC. XXIII-34).
Ancora più illuminante è, al riguardo, la relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia e delle altre associazioni criminali similari, relativa alla «infiltrazione mafiosa nei cantieri navali di Palermo»(24) dalla quale emerge un controllo territoriale completo, ivi compresa la gestione dei rifiuti e, più in generale, degli scarichi illeciti.
(24) V. il DOC. XXIII-21, approvato dalla Commissione Antimafia il 26 gennaio 1999.
La verità è che nulla sembra essere cambiato, per la criminalità organizzata, rispetto a tutti gli altri affari. Il meccanismo è sempre lo stesso e l'aveva ben compreso Gioacchino Basile quando denunciava le interferenze illecite delle famiglie nella gestione dei cantieri navali di Palermo e, in particolare, nella gestione dei rifiuti, anche di amianto, all'interno dei cantieri stessi. Al riguardo le dichiarazioni testimoniali rese da Gioacchino Basile nel corso del dibattimento rendono evidente che l'affaire «rifiuti» ha avuto una posizione predominate sia nella vicenda giudiziaria del Basile stesso, sia nell'intera gestione dei cantieri navali di Palermo, sia, infine, nel consolidare i collegamenti - gestiti dalla famiglia mafiosa dell'Acquasanta - tra la città siciliana e l'interno dei cantieri stessi(25).
(25) V., in merito, le dichiarazioni rese da Gioacchino Basile nel procedimento penale a carico di Galatolo ed altri, in particolare quelle contenute nei verbali delle udienze dibattimentali del 4, 9 e 10 dicembre 1998.
Ulteriore dimostrazione viene dall'indagine relativa all'impianto di compostaggio di Trapani e dall'appalto vinto da una società, la Dusty, probabilmente ed originariamente non collegata alla mafia del territorio. Subito dopo l'aggiudicazione, la Dusty si rende conto che non ha i mezzi idonei per assicurare il trasporto dei rifiuti, e se ne rende conto a seguito di furti nei cantieri e di qualche piccolo danneggiamento(26).
(26) V. ancora la relazione sulla Sicilia (DOC. XXIII-34).
La conseguenza è che, pur aggiudicataria dell'appalto, la Dusty deve ricorrere a subappalti, rivolgendosi a quelle stesse ditte che precedentemente, per motivi unicamente giudiziari, non avevano potuto aggiudicarsi la gara. Ci si trova, come è evidente, di fronte a quello che è il classico e indiscusso modus operandi delle associazioni camorristico-mafiose: l'estorsione.
(27) V. al riguardo quanto affermato nella relazione sulla Sicilia, in ordine ai procedimenti condotti dalla procura della Repubblica di Catania nei confronti dei pubblici amministratori incaricati della gestione della discarica di Portella Arena.
Lo scollamento istituzionale riscontrato nel corso delle attività relative alle indagini che la Commissione ha svolto per la Sicilia rasenta a volte il grottesco, se si pensa che, in una delle tante relazioni prefettizie prodromiche allo scioglimento di consigli comunali per infiltrazioni mafiose, a base del provvedimento era stata posta proprio la penetrazione amministrativa della De Bartolomeis e delle società del gruppo facenti capo al Virga.
(28) V. l'audizione del prefetto di Napoli, Giuseppe Romano, nella seduta del 21 settembre 1999.
5.1.3. Il nesso tra cave abusive e smaltimenti illeciti. Della connessione tra coltivazione di cave e discariche, o meglio, gestione illecita dello smaltimento di rifiuti, hanno parlato alla Commissione diversi magistrati impegnati nel settore(29). Da ultimo, in relazione ai noti eventi alluvionali che hanno interessato l'agro sarnese-nocerino ed in particolare il comune di Sarno, il sostituto procuratore della Repubblica di Nocera Inferiore, Giancarlo Russo, ha parlato con toni assai preoccupati della situazione nel territorio.
(29) V. al riguardo le audizioni del Procuratore Nazionale Antimafia aggiunto, Alberto Maritati, del procuratore della Repubblica di Napoli, Agostino Cordova, del sostituto procuratore della Repubblica di Napoli, Giovanni Melillo, del sostituto procuratore della Repubblica di Napoli, Federico Cafiero de Raho.
Il riferimento specifico è alla vetustà della normativa (quella del 1985 è stata doppiata da una legge regionale della Campania del 1995) la quale, in assenza di un piano-cave specifico per la regione Campania, prevede la possibilità di continuare ad effettuare l'attività estrattiva in alcune cave, sia pure a certe condizioni, nonché la possibilità di recupero ambientale o di riqualificazione delle aree oggetto delle vecchie cave dismesse, cosa che rischia di diventare la leva per consentire attività di illecito utilizzo. Dall'audizione del presidente della regione Campania, la Commissione ha appreso che finalmente, il piano-cave è stato approvato(30).
(30) V. l'audizione del presidente della regione Campania, Andrea Losco, del 23 settembre 1999.
Di un ulteriore aspetto e di altre implicazioni, rispetto ad una vecchia discarica abusiva in provincia di Salerno, già esaurita da qualche anno, gestita da un certo Filippo Troisi, ha parlato il sostituto procuratore della Repubblica presso la pretura di Salerno, Angelo Frattini(31).
(31) Seduta del 19 maggio 1999.
Secondo i risultati investigativi, nelle aree circostanti tale discarica, erano presenti altre discariche abusive ove si svolgevano attività estrattive e di sversamento, soprattutto di inerti da costruzione e di materiali plastici. Attorno alla discarica vi era uno sversamento di percolato che aveva dato luogo addirittura a veri e propri laghi. La situazione si è aggravata allorché il Troisi, che nella zona portava avanti un'attività di escavazione, scavando ha contribuito a far crollare parzialmente una parte della vecchia discarica, causando una fuoriuscita di percolato che incrementava la superficie dei laghi e laghetti già esistenti. Questo ha creato problemi igienico-sanitari, per cui si è provveduto a sequestrare l'intera area della discarica e tutta l'area di cava oggetto dell'abusiva estrazione(32).
(32) V. l'audizione del 19 maggio 1999
Significativo appare ancora l'utilizzo delle cave nella Marsica, così come raccontato da Stefano Gallo, sostituto procuratore della Repubblica di Avezzano(33). Nella indagine «Ebano» è stato accertato che le cave marsicane erano il sito elettivo di discarica; anzi si è avuta capacità di adeguamento dei pregiudicati locali, che erano praticamente la manovalanza deputata al rinvenimento dei siti di discarica,
(33) V. la seduta del 10 dicembre 1998.
ed una prontezza nel reperimento di sempre nuove discariche, il tutto agevolato da una normativa di settore che fiancheggiava il decreto-legge n. 438 del 1994 ed il decreto ministeriale 5 settembre 1994.
(34) V. l'audizione del sostituto procuratore della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, Donato Ceglie.
5.1.4. Le attività illecite e il ruolo della pubblica amministrazione. Il coinvolgimento, a vario titolo, di pubblici amministratori è un dato emergente anche nei procedimenti relativi alla gestione dei rifiuti solidi urbani. Basti citare alcuni esempi, oltre quelli già visti in precedenti parti di questa relazione.
(35) Società di recente acquisita dalla EMAS di Milano e controllata al 100% dalla EMIT di Milano, azienda quest'ultima di cui la Commissione ha già avuto modo di interessarsi per le vicende legate al digestore di Novara. V. il DOC. XXIII-16, sul Lazio.
In Piemonte, è in corso un'indagine presso la procura della Repubblica di Novara, relativa ad attività illecite che vanno dalla raccolta di rifiuti prodotti in Lombardia ed avviati illecitamente in discariche del Piemonte alla gestione illecita di impianti di incenerimento e depurazione delle acque. Tra gli altri, risultano inquisiti il «gruppo Acqua» dei fratelli Pisante, già coinvolto in iniziative giudiziarie delle procure di Milano, Monza, Catania e Savona; nonché imprenditori, amministratori e politici locali, a testimonianza della rilevanza degli interessi in gioco e dei collegamenti tra settori deviati dell'imprenditoria, della pubblica amministrazione e della politica (per lo più ipotesi di corruzione).
Numerose e varie sono state le ragioni, poste in evidenza dai procedimenti esaminati, che hanno portato a questa situazione. Quella che, a giudizio della commissione, sembra essere la più rilevante e pregna di significato, è relativa al controllo degli appalti della pubblica amministrazione.
5.2. La criminalità ambientale e le indagini seguite dalla Commissione.
(36) V. il DOC. XXIII-28.
Il procedimento penale sulla discarica e gli impianti di Pitelli pendente presso la procura del tribunale della Spezia, trae origine da un'inchiesta avviata dalla procura di Asti, che perseguiva un'attività truffaldina legata al ciclo dei rifiuti in cui sono coinvolti numerosi personaggi del settore, tra cui il titolare degli impianti di Pitelli, Orazio Duvia, consigliere d'amministrazione della società Sistemi Ambientali s.r.l., amministratore unico della Contenitori Trasporti s.p.a. e socio di fatto della Ipodec s.r.l., tutte società che operano alla Spezia nel ciclo dei rifiuti.
(37) Articolo 1 della legge n. 426 del 1998.
A prescindere da ogni valutazione sui profili squisitamente penali, sono innegabili alla luce dei numerosi elementi già acquisiti dalla Commissione (ed esposti analiticamente nel documento citato, cui si fa rinvio) le patenti illegalità commesse dai vari organi amministrativi ai quali era devoluto il controllo sulla discarica e sugli impianti. Già il primo atto, vale a dire la concessione edilizia per la realizzazione della discarica, pare viziato da irregolarità, poiché l'utilizzo dell'area non poteva essere consentito, in quanto il piano regolatore ne prevedeva l'uso in parte quale zona panoramica ed in parte quale zona per l'edilizia economica e popolare. Tutti gli atti amministrativi successivi alla data del 1979 riposano su tale evidentissimo vizio di fondo, che
in seguito viene addirittura rilevato e non preso in considerazione. Intanto, nel sito della discarica e degli impianti, avvengono sversamenti selvaggi di ingenti quantitativi di rifiuti pericolosi per circa un ventennio, causando uno stato di inquinamento notevole ed esteso sia alle acque sotterranee alimentate da falde superficiali che a quelle alimentate da falda profonda.
(38) V. relazione della Commissione sulla Liguria (DOC. XXIII-13).
Sono stati numerosi, per la verità, i procedimenti della magistratura che hanno riguardato nel corso degli anni l'attività della discarica di Pitelli, di cui si dà conto nel documento elaborato dalla Commissione,
alcuni di questi risolti in piccoli interventi circoscritti alla sanzione delle condotte più lievi (violazioni del decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 1982), senza che si riuscisse a cogliere il fenomeno nella sua interezza e complessità, ed altri nei diversi profili di illiceità delle condotte poste in essere sia dal privato che dall'amministrazione pubblica. Certamente, ciò è in parte dipeso dall'assenza di coordinamento tra i diversi uffici giudiziari e dal fatto che attività ispettive e di accertamento, specie amministrative, erano fortemente esposte all'opera corruttrice del Duvia, come dimostrano le vicende giudiziarie più recenti. Non può negarsi, però, che l'assenza di un intervento serio ed incisivo rispetto alle vicende di Pitelli, da parte della magistratura spezzina, tradisce ancora quel ritardo culturale nell'approccio alla tematica ambientale che ha causato una minore attenzione verso le problematiche della ricerca e dell'acquisizione della prova delle infrazioni, che già risentono di una legislazione convulsa, ancora frammentaria e spesso confusa. Evidenti sono poi apparsi i limiti che alla ricerca ed acquisizione della prova discendono dalla natura prevalentemente contravvenzionale dei reati ambientali(39), come la Commissione ha più volte rappresentato agli organismi di indirizzo politico.
(39) V. il DOC. XXIII-5.
5.2.2. Il petrolchimico di Porto Marghera (VE). La Commissione ritiene opportuno evidenziare le vicende relative al gravissimo stato di inquinamento della laguna veneziana, ad esemplificazione delle conseguenze connesse agli smaltimenti illeciti di rifiuti tossico-nocivi (ampiamente diffusi nelle regioni settentrionali) da parte di alcune imprese di rilevanza nazionale che hanno operato al di fuori della legalità, più inclini, purtroppo, alla ricerca del massimo profitto che a uno smaltimento corretto e pertanto più oneroso dei rifiuti.
(40) V. il procedimento n. 3340 del 1996 (doc.213/8b).
L'indagine ha preso avvio dalla segnalazione di numerosi casi di decesso e patologie connesse alla lavorazione del cloruro di vinile, dei composti organici clorurati e dei suoi derivati, con cui negli anni settanta e nella prima metà degli anni ottanta si produceva il PVC nella zona di Porto Marghera.
consentiti. E appare opportuno evidenziare che dagli accertamenti è risultato che al più tardi dal 1972 la Montedison era a conoscenza che il CVM è una sostanza cancerogena, sicché sembra di poter affermare che la scelta sia stata dettata unicamente da meri interessi economici.
(41) V. il procedimento n.22984 del 1996 - decreto di sequestro preventivo (doc. 256/4; I e II richiesta di sequestro preventivo da parte del pubblico ministero: doc.256/1-3).
La gravità del fenomeno risulta accentuata dalle pesanti responsabilità dei rappresentati degli enti preposti ai controlli, che hanno minimizzato il fatto ed omesso i necessari interventi a tutela della salute pubblica, tanto anche in presenza di pregresse verifiche dell'Istituto superiore di sanità sullo stato di inquinamento della laguna veneta, acclarato anche dalla specifica normativa a sua tutela e dai numerosi procedimenti penali che avevano interessato il sito.
5.2.3. Alcuni altri casi. La Commissione deve poi rilevare che quelli evidenziati per Porto Marghera non sono gli unici procedimenti a
carico di aziende del gruppo ENI per quanto concerne la non corretta gestione dei rifiuti. È stata infatti avviata dal sostituto procuratore della Repubblica di Matera, Franca Macchia, un'indagine sulle attività svolte dall'AGIP nel territorio della Basilicata, che ha portato al rinvio a giudizio di alcuni dirigenti e dipendenti dell'azienda in relazione al ritrovamento, in un pozzo minerario esaurito, di rifiuti di origine chimica (come fenoli e mercurio) che, secondo gli accertamenti svolti, sono assolutamente incompatibili con le attività di estrazione mineraria e, quindi, sono stati smaltiti illecitamente. Lo stesso sostituto titolare delle indagini ha rappresentato inoltre alla Commissione l'assenza di un presidio costante ai pozzi AGIP ed il fatto che le vasche di decantazione presenti nell'impianto sono accessibili agli smaltitori che hanno l'appalto per il servizio di trasporto delle acque di strato, i quali si occupano di smaltimenti di rifiuti in discarica e, quindi, gestiscono notevoli quantitativi di rifiuti, non solo di provenienza AGIP(42).
(42) V. l'audizione del sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Matera, Franca Macchia, nella seduta dell'8 luglio 1998.
Ancora: in Lombardia, la procura di Monza ha sequestrato circa 120mila metri cubi di rifiuti pericolosi in relazione all'attività di una società - la Ecobat - che assorbe circa il 60% del mercato nazionale relativo al trattamento di batterie esauste e a quella dell'Enirisorse, azienda del gruppo ENI. Dell'indagine ha riferito alla Commissione il sostituto titolare, Luciano Padula(43), affermando: «l'ipotesi accusatoria è che l'Enirisorse ha ceduto l'attività a due ditte, per i metalli piombosi alla Ecobat, per quelli non piombosi alla City Industrie. Questi subingressi sarebbero avvenuti per la Ecobat nel marzo 1996 e per la City Industrie nell'agosto 1996; tuttavia, la volturazione dell'annesso atto autorizzatorio per l'Ecobat è intervenuta soltanto nell'ottobre 1997; per City Industrie non è mai avvenuta [...]. Ovviamente l'Enirisorse, stante la dismissione dell'attività, si è trovata a gestire enormi quantitativi di sostanze senza preoccuparsi, secondo l'ipotesi accusatoria, di smaltirli nel rispetto della normativa vigente. Avrebbe trovato degli escamotages per disfarsi di questo rifiuto nel senso stretto del termine ed ottenere questo risultato con il massimo risparmio di spesa. In particolare, avrebbe interessato l'Ecodeco su Pavia e la ditta Lombardo su Marcianise per effettuare una miscelazione di questo rifiuto [...]. Si è trattato di una illecita miscelazione perché non è stata richiesta alcuna autorizzazione [...]. Peraltro, i successivi accertamenti hanno evidenziato che vi erano anche percorsi diversi. L'Enirisorse ne avrebbe attivato uno anche in Calabria, avrebbe devoluto una parte di questa sostanza presso la ditta Meca di Lamezia Terme, la quale, a seguito di un trattamento, che comunque è oggetto di accertamenti e di verifiche, avrebbe conferito il residuo in una discarica addirittura di categoria 1-A, ossia destinata ai rifiuti urbani e assimilabili»(44). Va peraltro evidenziato che la destinazione di questa miscela di ebanite da parte di Enirisorse in territorio campano
(43) V. audizione del 2 luglio 1998 ed atti acquisiti dalla Commissione.
configura anche la violazione della legge regionale che prevede il divieto di importazione di rifiuti da altre regioni.
5.2.4. I traffici illeciti. I lavori svolti consentono di affermare la persistenza ed anzi l'aggravarsi di fenomeni che già la precedente Commissione monocamerale aveva posto all'attenzione del Parlamento. In primo luogo emerge il fenomeno dello spostamento di ingenti quantitativi di rifiuti anche pericolosi dal Nord al Sud del paese, spesso in violazione del divieto di esportazione transregionale.
stoccaggio, i quali offrono facilmente il fianco ad attività di miscelazione tout court e modifica (mediante alterazioni e falsificazioni dei documenti di accompagnamento) della tipologia dei rifiuti tossico nocivi, che vengono in tal modo avviati a forme di smaltimento poco corrette, nei siti più disparati, con grave danno per l'ambiente e la salute dei cittadini.
(45) V., tra gli altri, il procedimento relativo alla discarica di Tollo in cui paiono evidenti infiltrazioni della criminalità organizzata (relazione sull'Abruzzo, DOC. XXIII-23 p. 40).
5.3. Gli strumenti di contrasto e la necessità di riforme.
5.3.1. Alcuni spunti. Carenze normative non risolte dal «decreto Ronchi», inefficacia dei controlli amministrativi, inadeguatezza del sistema di prevenzione e repressione penale, disattenzione degli organi preposti al rilascio delle autorizzazioni, nonché la distrazione della collettività, oggi peraltro più attenta alla tutela dell'ambiente, consentono ad organizzazioni di tipo mafioso di gestire, in regime di quasi monopolio, il settore dei rifiuti in vaste aree del Paese.
Commissione ha già segnalato la preziosa opera di collaborazione tra organi istituzionali che si è avuta in occasione dell'indagine sulla discarica di Pollina (46).
(46) V. supra, nella parte relativa alla nomina della Commissione Prefettizia, allo scioglimento del consiglio comunale di Pollina e alla confluenza dei risultati acquisiti nell'indagine giudiziaria in corso da parte della procura distrettuale di Palermo.
Manca, invece, se si fa eccezione per l'attività investigativa delegata dalla DDA di Caltanissetta, sia un monitoraggio del fenomeno da parte delle competenti DIA(47), sia una più fruttuosa analisi generale, da parte dell'Autorità giudiziaria, delle pur numerose ed illuminati relazioni redatte dalle varie prefetture dell'isola in ordine alle ipotesi di scioglimento dei consigli comunali per infiltrazioni mafiose o per condizionamento dell'attività amministrativa.
(47) V., ad esempio, relazione della DIA di Catania sulle infiltrazioni mafiose in provincia di Siracusa, acquisita agli atti della Commissione, che non affronta minimamente il problema.
L'attività di contrasto svolta dalle forze di polizia e dalla magistratura sembra, in base agli atti ed alle risultanze, essere stata tempestiva e ben diretta; tuttavia, gli organi di controllo non appaiono ancora adeguatamente preparati, né culturalmente attrezzati, ad affrontare la nuova situazione.
«cultura» di controllo e di indagine in materia ambientale. Peraltro, non sempre vengono attivati i pur deboli strumenti legislativi esistenti.
5.3.2. I controlli doganali. La Commissione sta studiando il fenomeno dei trasporti internazionali dei rifiuti per valutare quali strumenti porre in essere per arginare eventuali forme di illecito.
dispongono di conoscenze merceologiche che permettono una lettura più profonda della documentazione che accompagna le singole merci riducendo, così, il rischio che controlli non adeguati finiscano addirittura con il legittimare traffici illeciti. Il discorso non riguarda, ovviamente, i soli rifiuti solidi urbani, ma soprattutto quelli pericolosi e quelli speciali.
5.1.1. Le infiltrazioni mafiose. La Commissione ha raccolto dati preoccupanti in ordine al rapporto intercorrente fra traffico illegale di rifiuti e criminalità organizzata dalla testimonianza di vari magistrati, che hanno avuto modo di occuparsi della questione nel corso delle inchieste attinenti alle società criminali operanti in Campania, nel Lazio, in Calabria e in Sicilia. Un quadro d'insieme è stato fornito dalla procura nazionale antimafia.
Elementi concreti, poi, sono stati forniti da quanto affermato in audizione da Agostino Cordova, procuratore distrettuale di Napoli: il classico modus operandi per tale tipo di traffici riguarda il sistema del cosiddetto «giro-bolla», grazie al quale i rifiuti pericolosi vengono spediti da un soggetto a un altro, il quale emette una ricevuta. Tale ricevuta però è falsa, poiché costui quei rifiuti nei fatti né li riceve né li inertizza. In realtà i rifiuti sono stati spediti altrove illecitamente(15). Eppure formalmente la documentazione è regolare: vi è un mittente di rifiuti pericolosi e vi è un ricevente che dichiara sia la ricezione che il declassamento.
A questo proposito è sufficiente citare sinteticamente alcuni casi: il procedimento penale, tuttora pendente, sul depuratore di Montesilvano, dove si è accertato che venivano smaltiti rifiuti industriali provenienti da diverse zone del nord Italia, in prevalenza stoccati presso un impianto di Forlì; o il caso dei rifiuti urbani del comune di Milano inviati in Abruzzo. L'azienda municipalizzata di quel capoluogo non smaltiva direttamente in Abruzzo, atteso il divieto fissato da una legge regionale. Con una serie di appalti a società commerciali, dei quali si è interessata la procura di Milano, essa incaricava le medesime società di dividere i rifiuti tra secchi ed umidi. Tutti i rifiuti erano, quindi, inviati per il trattamento e per la cernita in Abruzzo; una volta entrati nello stabilimento, il rifiuto acquistava «cittadinanza» abruzzese e, di conseguenza, per circa il 90% veniva smaltito come rifiuto in quel sito(17).
In Calabria, particolarmente significative delle connessioni tra criminalità organizzata e traffici illeciti di rifiuti appaiono due inchieste condotte dalla procura di Catanzaro. La prima inchiesta riguarda l'illecita gestione di circa 30mila tonnellate di rifiuti pericolosi, precisamente ferriti di zinco provenienti dalla «Pertusola-sud» di Crotone, azienda del gruppo ENI, da parte di un'organizzazione criminale collegata ad organizzazioni criminali mafiose della provincia
La seconda indagine avviata dalla procura di Catanzaro riguarda, invece, gli appalti per la realizzazione di impianti di smaltimento dei rifiuti nei comuni di Catanzaro, Rossano e Reggio Calabria(19). La regione Calabria, per la realizzazione degli impianti, aveva in un primo momento ottenuto un finanziamento statale di 67 miliardi, che sono stati spesi senza realizzare le opere; è seguito un ulteriore stanziamento di 23 miliardi e un terzo di altri 10 miliardi.
Si tratta di un'attività che produce effetti devastanti, a volte irreversibili, sul piano ambientale, come hanno dimostrato, per la Campania, l'indagine «Adelphi», una delle prime nel settore, che ha saputo evidenziare le dimensioni e la complessità del fenomeno e, per la Sicilia, le indagini relative alle discariche di Portella Arena e Pollina(21).
Basti ricordare le inchieste, anche recenti, condotte sia dalla DDA di Palermo che dalla DDA di Catania(22), per comprendere come la criminalità organizzata abbia assunto nel settore il controllo totale.
Ritornando a quanto detto in ordine alle tecniche di controllo del territorio da parte della criminalità organizzata, occorre ribadire che - anche nel settore della gestione dei rifiuti - la mafia si afferma e prospera non solo per una forza di tipo organizzativo, ma anche e soprattutto per il pesante condizionamento che esercita sul tessuto sociale, ingenerato con l'omertà e l'intimidazione. Tali aspetti, del resto, il legislatore ha felicemente colto nella redazione della fattispecie di cui all'articolo 416-bis del codice penale.
L'infiltrazione, quindi, nel contesto socio-economico, è di una tale evidenza che nessuno se ne può sottrarre e anche amministratori, certamente non collusi, si sono trovati a rispondere di reati connessi alla loro attività di pubblici ufficiali, unicamente perché l'apparato burocratico li ha potuti indurre ad atti non corretti(27).
A fronte di tanto, però, si sono anche riscontrate ipotesi collaborative di notevole spessore, come quella attivata nel corso dell'indagine a carico di Butticè ed altri relativa alla discarica Pollina. In quest'ultima, la commissione di accesso nominata dal prefetto di Palermo è stata non solo promotrice del decreto di scioglimento del consiglio comunale, ma ha fornito altresì utili elementi per individuare le connessioni esistenti con la famiglia Farinella e per consentire, quindi, la contestazione della fattispecie associativa mafiosa anche a pubblici ufficiali.
La situazione non appare dissimile in Campania, pur essendo minori i riscontri rispetto agli appalti della pubblica amministrazione. Forse la ragione è da ricercare nel commissariamento di questa regione per l'emergenza rifiuti; l'affidamento della gestione delle discariche al prefetto di Napoli ha significato il controllo statale del settore, che rende più difficile l'intervento della criminalità, quanto meno nella fase dello smaltimento finale, anche se lo stesso prefetto di Napoli ha evidenziato la diffusa infiltrazione criminale nelle aziende di raccolta e trasporto dei rifiuti(28).
In Liguria, a Borghetto Santo Spirito, sono state rinvenute circa 25 mila tonnellate di rifiuti pericolosi in una cava di proprietà di tale Federico Fazzari, legato parentalmente a Carmelo Gullace, persona sottoposta a misure cautelari antimafia; a questi rifiuti, vanno aggiunti altri 40 mila fusti che sarebbero stati seppelliti - a detta dello stesso Fazzari - dalla medesima organizzazione in una cava sita nei pressi di Lavagna, non ancora individuata.
Merita sull'argomento segnalare la recentissima iniziativa della procura della Repubblica presso il tribunale di Santa Maria Capua Vetere che, conscia delle dimensioni del fenomeno e delle implicazioni criminali, ha aperto un'indagine ad ampio raggio sulle cave situate nel circondario(34).
Nel Lazio, l'autorità giudiziaria di Velletri ha chiesto il rinvio a giudizio per il reato di abuso di ufficio di numerosi rappresentanti dell'amministrazione comunale che avrebbero assegnato l'appalto per la nettezza urbana del comune di Anzio ad una società di Napoli, la Colucci Appalti(35), nonostante fosse carente di alcuni requisiti richiesti nel bando di gara.
Si tratta dunque di un dato che emerge con forti e chiare connotazioni dalla disamina dei procedimenti penali, anche quelli relativi alla gestione dei RSU. Il punto di contatto, quindi, tra due tipologie apparentemente lontane si determina nella gestione del sistema amministrativo locale che, dovendo funzionare come controllo autorizzatorio, in realtà sembra non svolgere con la dovuta intensità tale compito.
Il classico controllo della criminalità sullo «spazzamento», che significava controllo del territorio attraverso la conoscenza della realtà notturna e la realizzazione di profitti illeciti, si è progressivamente trasformato in controllo completo del «ciclo», ivi compresa la realizzazione degli impianti collaterali e l'eventuale gestione del traffico sia nazionale che internazionale di rifiuti.
La mafia, la 'ndrangheta e la camorra e le altre organizzazioni similari mirano ad occupare tutti gli spazi da cui è possibile trarre una utilità, ponendosi come forza mediatrice fra autorità locali e società, tra mercato e Stato. È perciò necessario il recupero del controllo del territorio da parte degli enti territoriali, non solo sotto il profilo dell'ordine pubblico, ma anche e soprattutto sotto il profilo della presenza di strutture, di uffici e di servizi adeguati all'ampiezza del territorio e alla popolazione.
Questa «vocazione imprenditoriale» delle organizzazioni mafiose spiega perché esse orientino il loro campo di azione sulle opportunità che, nel tempo, i vari mercati offrono. Così la mafia approda ai rifiuti non appena si manifesta una crescita economica del settore, impadronendosi di alcuni snodi fondamentali ed impedendo che tale crescita si trasformi in sviluppo vero e proprio, poiché va a stravolgere le regole del mercato legale.
Un altro interessante fronte è quello che si può ricavare dal ricorso alle relazioni ex articolo 15bis della legge 19 marzo 1990, n. 55 e da tutte le altre ipotesi di relazioni prefettizie per lo scioglimento dei consigli comunali. Dagli atti acquisiti dalla commissione si evince con chiarezza come il fenomeno del condizionamento degli appalti di gestione, realizzazione ed utilizzo delle discariche e, in genere, dei servizi di raccolta dei RSU, sia diffuso e come lo stesso sia stato segnalato nell'ambito delle procedure di scioglimento dei consigli comunali.
La grave situazione descritta spesso condiziona le possibilità di uno sviluppo di un mercato legale in grado di rispondere positivamente alla necessità di garantire un servizio ai cittadini e alle imprese.
Se nel meridione d'Italia gli interessi si esprimono con il controllo della criminalità organizzata, nel settentrione d'Italia, l'imprenditoria «deviata» ricerca la complicità ed il sostegno delle amministrazioni locali e della burocrazia corrotta. È necessario, pertanto, andare avanti nell'azione di responsabilizzazione delle aziende del settore, che in molti casi appaiono purtroppo più inclini alla ricerca del massimo profitto che non ad uno smaltimento corretto e pertanto più oneroso. Ed è altrettanto necessaria un'azione di responsabilizzazione degli enti locali, poiché la debolezza delle funzioni di controllo amministrativo è una delle condizioni principali per la penetrazione nel settore degli operatori più spregiudicati e, quindi, delle organizzazioni criminali di riferimento.
5.2.1. La discarica di Pitelli (SP). I lavori svolti dalla Commissione sulle vicende legate alla discarica di Pitelli, basati su un approfondito studio degli atti amministrativi e giudiziari relativi a tale impianto, hanno portato all'approvazione di un primo documento(36), giacché sono emerse numerose problematiche connesse al ciclo dei rifiuti nella città della Spezia: su queste la Commissione continuerà nei prossimi mesi il suo lavoro.
L'attività illecita - secondo la prospettazione accusatoria - consisteva nella sistematica falsificazione di documenti di accompagnamento (tesi a consentire l'ingresso in discarica di materiali non autorizzati) e nella falsificazione di dichiarazioni di avvenuto smaltimento di rifiuti; nella commissione di truffe in danno di enti pubblici e privati ai quali venivano fatturati costi di smaltimento non affrontati; infine, nel sistematico illecito smaltimento di rifiuti tossico nocivi provenienti dal territorio nazionale e dall'estero. Tali condotte illecite, poste in essere sin dal 1975, erano agevolate dalla notevole capacità penetrativa dei soggetti coinvolti, tra cui il Duvia, negli enti pubblici di varia natura preposti al controllo e proseguivano anche durante il periodo in cui la discarica di Pitelli era sottoposta a sequestro giudiziario.
Gravissimo lo stato di degrado dell'area di Pitelli, tanto grave da aver determinato l'intervento del legislatore, con la previsione dell'inclusione del sito tra quelli ad alto rischio ambientale, per i quali sono previsti finanziamenti statali per le opere di bonifica(37).
Il comportamento spregiudicato ed arrogante della pubblica amministrazione si spinge sino ai tempi più recenti: è del settembre 1995 (quando è già avviato alla procura presso il tribunale della Spezia un procedimento, poi confluito in quello attuale, in cui veniva disposta una consulenza per accertare la legittimità dell'operato dei vari organi comunali, provinciali, regionali preposti ai controlli) la delibera regionale di approvazione del progetto di variante, che modifica la categoria della discarica in 2 B super, così autorizzandosi il conferimento di rifiuti che producono un eluato dieci volte superiore ai limiti della legge 'Merli'; addirittura, nel mese di giugno 1998 interviene un atto della regione Liguria che diffida la Sistemi Ambientali s.r.l. dal concedere disponibilità di accesso al proprio impianto per lo smaltimento dei rifiuti ad aziende non autorizzate, e che appare incomprensibile dal momento che l'impianto era fermo dal novembre 1996, cioè dal momento dell'intervenuto sequestro giudiziario dell'intera area.
Il quadro che viene fuori da quanto sin qui sinteticamente svolto sull'operato degli organi amministrativi è molto significativo: da un lato emerge un coacervo di interessi e complicità che hanno consentito al Duvia e ai suoi soci di realizzare un disegno di arricchimento a evidente danno dell'ambiente e della salute dei cittadini (senza considerare le truffe consumate a danno di soggetti pubblici e privati); dall'altra, la vicenda rivela l'inefficienza attuale del sistema dei controlli - già più volte denunciata dalle forze istituzionali e richiamata dalla Commissione - cui contribuisce, in parte, un eccessivo frazionamento ed intreccio di competenze che caratterizza la produzione legislativa. Si è creata, in realtà, una proliferazione e un accavallamento di competenze e di adempimenti rispetto ai quali diventa difficile sia una verifica del raggiungimento degli obiettivi dell'attività, sia una ricerca e individuazione delle responsabilità.
Va qui evidenziato che nella vicenda non sono mancate infiltrazioni della criminalità organizzata del casertano, rese evidenti dalla partecipazione alla Contenitori Trasporti s.p.a., nei primi anni 90, di soggetti-amministratori della società che sono stati coinvolti nell'indagine «Adelphi» condotta dalla procura distrettuale di Napoli(38). Né ci si può esimere dall'esprimere forti perplessità per l'assenza (fino ad epoca recente) di un serio ed incisivo intervento da parte della magistratura, nonostante che rapporti delle forze dell'ordine e denunce dei cittadini risalgano già ai primi anni ottanta.
È in fase dibattimentale presso il tribunale di Venezia il procedimento che vede coinvolte numerose persone e le società che esse rappresentano - tutte operanti nel petrolchimico di Porto Marghera - per condotte illecite commesse in un periodo che va dal 1970 al 1988, e che hanno causato danni irreparabili sull'ecosistema lagunare veneziano(40).
Sono coinvolte società come la Montecatini Edison, la Fertimon, l'Audiset e la Montefluos. Il sostituto procuratore Felice Casson, titolare dell'indagine, ha riferito alla Commissione che dagli accertamenti svolti è emerso come, sin dall'inizio dell'attività produttiva nell'area di Porto Marghera, i rifiuti di ogni specie e, soprattutto, tossico-nocivi, venivano smaltiti senza alcun controllo sia all'interno dello stabilimento che nelle sue vicinanze, contribuendo al progressivo avvelenamento delle acque di falda sottostanti l'area in cui sono state rinvenute tracce di composti anche cancerogeni superiori ai limiti
Ben 18 sono i siti individuati, che presentano rifiuti pericolosi, gran parte dei quali vi sono stati sversati prima dell'entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 1982; da quel momento, come ha detto il magistrato, tali rifiuti sono stati portati altrove, anche all'estero (ad esempio, in Nigeria). Le contestazioni dell'organo d'accusa a carico di 27 imputati, tutti dirigenti o amministratori (o entrambi) del gruppo Montedison-Enichem e loro società figlie, sono particolarmente gravi, poiché hanno ad oggetto non solo gli smaltimenti illeciti di ingenti quantitativi di rifiuti assai pericolosi con le gravissime conseguenze sullo stato dell'ambiente di cui si è detto (violazioni della normativa in materia ecologica e ambientale), avendo le società iniziato un'opera di bonifica, peraltro parziale, soltanto nell'agosto 1995; ma altresì i delitti di strage e di disastro per i concreti pericoli cagionati alla pubblica incolumità, tanto che ne derivavano la morte e la malattia di un numero «allo stato ancora imprecisabile di persone» (così si legge testualmente nella richiesta di rinvio a giudizio) che prestavano la propria opera presso lo stabilimento petrolchimico.
Se la vicenda appena descritta fa riferimento agli anni passati, non possono trascurarsi altre fattispecie riscontrate presso il petrolchimico in epoca assai recente. Si fa riferimento al sequestro dello scarico Sm15 al Petrolchimico di Porto Marghera, di cui si sta occupando la procura di Venezia. In ordine a quest'ultima indagine lo stesso sostituto titolare, Luca Ramacci, ha denunciato alla Commissione con toni allarmati «l'impressionante situazione d'inquinamento e la concreta sussistenza di serissimo pericolo per la salute della popolazione» dovuta proprio agli scarichi del Petrolchimico. Si legge nel decreto di sequestro che gli indagati avrebbero effettuato o lasciato effettuare e comunque non avrebbero impedito lo scarico di reflui pericolosi provenienti dall'impianto di depurazione biologico della ditta Ambiente s.p.a., con recapito finale nelle acque lagunari in assenza della prescritta autorizzazione, ciò pur essendo a conoscenza non solo della situazione esistente, ma anche dei risultati di accertamenti disposti sulla qualità e lo stato delle acque lagunari(41).
(44) Dell'aspetto relativo ai traffici illeciti, pure emersi nel corso dell'indagine, si dirà più ampiamente nel relativo paragrafo.
A queste indagini va aggiunta quella - già citata - relativa alla gestione dei rifiuti dello stabilimento di Crotone della «Pertusola-Sud», all'epoca dei fatti appartenente anch'essa al gruppo ENI.
Sono, infatti, numerose le indagini giudiziarie connesse ai traffici e allo smaltimento illegale di rifiuti che vedono coinvolte regioni come il Piemonte, la Lombardia, la Liguria, l'Emilia-Romagna, il Lazio, l'Abruzzo, oltre a quelle in cui tradizionalmente è più presente la criminalità organizzata (Sicilia, Campania, Calabria e Puglia). Le rotte del traffico illegale si muovono sull'asse nord-sud in direzione del Mezzogiorno, dove i rifiuti vengono smaltiti in discariche non autorizzate, costituite da cave, da specchi d'acqua, da grandi buche scavate in fondi anche agricoli sulle quali, una volta ricoperte, vengono praticate, non di rado, colture. I rischi assai modesti connessi a tale pratica illegale e le «garanzie di omertà» assicurate dai trasportatori e dagli smaltitori, hanno reso l'affare appetibile anche per imprese di medie e grandi dimensioni che affidano spesso i loro rifiuti a soggetti legati alla criminalità organizzata, i quali garantiscono costi di smaltimento inferiori a quelli praticati dal mercato legale.
Dalle audizioni di magistrati che hanno svolto inchieste nel settore e dagli atti processuali acquisiti, emerge che tali traffici, in parte gestiti dalla criminalità (organizzata e comune), sia per motivi interni alla stessa organizzazione (lotte tra fazioni), sia per la progressiva incapienza dei siti utilizzati, sia per l'intervento incisivo delle forze dell'ordine che hanno proceduto al sequestro di numerose discariche collettrici di rifiuti (in particolare in Campania e nel Lazio), si sono spostati negli ultimi anni dalla dorsale tirrenica a quella adriatica, coinvolgendo tutta la fascia abruzzese e, in particolare, tutte le zone limitrofe al percorso autostradale della A14; il che ha comportato che sono rimaste interessate al fenomeno zone tradizionalmente esenti da presenze criminali, organizzate e non, che operano in settori di varie imprenditorie.
I canali attraverso i quali si realizzano questi traffici illeciti sono essenzialmente tre: conferimento dei rifiuti industriali nel sistema di raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani, in modo ovviamente occulto; trasformazione, puramente nominale e cartacea, dei rifiuti in materie prime secondarie, utilizzate da operatori compiacenti in modo improprio o illegale sia nei cicli produttivi che, ad esempio, nella realizzazione di sottofondi stradali o altro; declassazione, ovviamente illecita, dei rifiuti tossico-nocivi, che presentano costi di smaltimento più alti, in rifiuti speciali.
Un settore particolarmente esposto al rischio di tali comportamenti illeciti è quello relativo all'attività svolta dai numerosi centri di
È opportuno evidenziare i rilevanti risvolti di natura fiscale connessi all'accertamento di carichi di rifiuti tossico nocivi, ritirati e poi, di fatto, non smaltiti. Infatti, dal riscontro delle operazioni fittizie di smaltimento emergono costi non sostenuti, ancorchè portati in deduzione dall'impresa produttrice dei rifiuti, nonché l'utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, aventi il duplice scopo di documentare il regolare conferimento dei rifiuti ad imprese autorizzate e di realizzare una cospicua evasione delle imposte sui redditi e sui valori aggiunti (sul punto v. infra paragrafo 5.3.3.).
Le vicende giudiziarie di cui la Commissione è venuta a conoscenza dimostrano, altresì, l'esistenza di società commerciali attive nel mettere in contatto l'industriale produttore dei rifiuti con il trasportatore o lo smaltitore, in tal modo determinando un ulteriore aumento dei costi di smaltimento (i costi dell'attività di intermediazione) ed al contempo rendendo più complessa l'individuazione dei referenti e dei responsabili dei traffici illeciti, poiché la documentazione relativa ai rifiuti trasmigra da una società all'altra(45).
La gravità del fenomeno si nota anche attraverso la progressiva presa di coscienza dell'autorità giudiziaria delle problematiche connesse al ciclo dei rifiuti, la qual cosa spiega perché solo di recente sono stati accertati fatti «di vecchia data» che hanno portato ad una maggiore attenzione ed approfondimento nell'attività di accertamento delle attività illegali.
Mancano ancora, però, azioni di monitoraggio del territorio, volte a individuare le possibili insorgenze del problema, come denunciano situazioni illustrate innanzi. Se, invero, si registra una presa di coscienza sempre maggiore da parte degli organi deputati al controllo ed al contrasto, il percorso sembra ancora lungo. Al riguardo la
Per altri profili, mentre per un verso occorre prendere atto della sollecitudine con la quale alcuni organi di polizia giudiziaria (quelli specializzati, in particolare i carabinieri del NOE ed il comando del Corpo forestale dello Stato) hanno seguito i procedimenti aventi ad oggetto la questione rifiuti, d'altra parte occorre anche porre in evidenza che tutte le indagini sono scaturite da fatti accidentali. Mancano cioè referenti istituzionali capaci di letture dei fenomeni che possano portare a denunzie motivate ad opera delle strutture amministrative di controllo preposte alla verifica della regolarità nelle modalità di conduzione dei traffici. Sembra debole il controllo delle forze di polizia diffuse nel territorio ed aventi anche compiti di carattere amministrativo (vigili urbani, polizia stradale, eccetera), al fine di individuare ed interpretare i traffici e le connesse mistificazioni gestionali. In particolare, come detto, sembra mancare una conoscenza approfondita del fenomeno di infiltrazione da parte degli organi di investigazione specifica che ben raramente hanno saputo mettere a punto e focalizzare le pur copiose informazioni emergenti da più parti.
Assai debole è anche il coordinamento tra le varie forze di polizia, come (fatto ancora più grave, attesa l'esistenza dello strumento processuale di cui all'articolo 117 del codice di procedura penale) tra gli uffici giudiziari inquirenti, spesso costretti ad operare su stralci di inchieste trasmessi una volta effettuati gli accertamenti.
Conclusivamente, in ragione delle circostanze e dei fenomeni posti in evidenza, fermo restando che la Commissione giudica che la complessità della situazione richiede ulteriori approfondimenti, può affermarsi che gli elementi acquisiti consentono di valutare positivamente l'azione di contrasto della magistratura e delle forze dell'ordine nei confronti degli episodi che sono venuti in evidenza, ma che appare assai in ritardo, se non addirittura mancante, una strategia di prevenzione generale e speciale, nonché una cosciente ed adeguata
Per tale motivo, la Commissione si impegna a seguire con particolare attenzione l'evolversi della situazione e a sostenere le iniziative centrali e locali per rafforzare, anche in questa regione, la lotta alla criminalità ambientale. Interessante potrebbe essere ipotizzare possibilità di coordinamento delle indagini in materia ambientale e con specifico riferimento alle infiltrazioni mafiose, da parte delle sezioni territoriali della DIA, con monitoraggio periodico del fenomeno, già svolto da tale direzione investigativa per altri tipi di reato.
Tale tipo di attività da una parte potrebbe meglio utilizzare le notizie e le informazioni che alle autorità di controllo pervengono da canali diversi (ad esempio attività di accertamento a livello amministrativo dell'infiltrazione mafiosa nella gestione degli enti locali) e, dall'altra consentirebbe di inquadrare il fenomeno nella sua, purtroppo, naturale sede di gestione «globale» ed «illegale» dell'affaire rifiuti.
La realtà emergente dalle indagini svolte in Sicilia, rende evidente come a fronte di attività illecite nel contesto delle quali si è inserita, con un lucroso profitto, la criminalità organizzata, l'effetto della normativa ambientale vigente è praticamente nullo, giacché le modeste sanzioni delle leggi speciali sono del tutto inadeguate a fronteggiare e scoraggiare i vantaggi economici miliardari che determinano.
Ad avviso della Commissione, tuttavia, a sostegno e a monte di quanto asserito sinora, occorre che intervengano modifiche legislative sul piano del diritto penale sostanziale e processuale. Sull'argomento v. infra (paragrafo 6.2.).
L'ipotesi è che ai trasportatori dei rifiuti non compresi nella «lista verde» sia fatto obbligo di recarsi agli uffici doganali di entrata o uscita per un controllo più efficace dell'avvenuto passaggio. Non sono da sottovalutare le difficoltà che una procedura del genere potrebbe comportare; difficoltà peraltro che aggraverebbero i problemi già presenti sulle strade italiane. È giusto richiedere più controlli, ma si deve riconoscere che le pattuglie della polizia stradale non hanno le risorse, né dispongono di adeguati strumenti per verificare se i rifiuti dichiarati nelle bolle siano quelli effettivamente trasportati.
Una potenzialità possibilmente utilizzabile e da considerare con attenzione è quella che riguarda i servizi doganali (servizi antifrode) che al momento dispongono di professionalità e di sistemi informativi che consentono di rilevare immediatamente i traffici e di bloccare transiti di merci su tutto il territorio nazionale ed negli stati dell'Unione Europea in tempi reali. Peraltro, gli organi della dogana
A partire dal mese di marzo 1999, consulenti della Commissione stanno effettuando missioni conoscitive presso le circoscrizioni doganali terrestri e marittime. Lo scopo di queste visite è quello di rendersi conto, sul campo, dei controlli effettuati, nel territorio doganale, dalle autorità preposte in materia di rottami ferrosi e rifiuti pericolosi ai sensi del decreto legislativo n. 22 del 1997; allo stato attuale si sta delineando un quadro che permette di formulare le seguenti considerazioni.
Per quanto riguarda i rottami ferrosi si è finora visto che presso le frontiere di terra con i paesi terzi, in particolare la Slovenia, ci si avvale essenzialmente della figura dell'esperto qualificato, la cui opera è remunerata dal proprietario del carico; l'assenza di un controllo 'terzo' non dà pertanto garanzie riguardo all'intera operazione. Va a questo proposito ricordato come sono molte le aziende operanti nel settore che stanno installando all'entrata dei rispettivi siti industriali 'cancelli' per il rilevamento della radioattività: un'ulteriore conferma della non totale idoneità dei controlli effettuati all'ingresso nel territorio nazionale.
Per quanto riguarda invece i rifiuti pericolosi, tali carichi se provengono o sono destinati a paesi comunitari (compresi i rifiuti provenienti da paesi terzi e sdoganati in un paese dell'Unione) non sono soggetti all'espletamento di alcuna formalità doganale.
Quelli provenienti da paesi terzi, invece, devono osservare una procedura per cui la bolletta doganale, compilata dallo spedizioniere, deve passare al controllo del sistema denominato «canale verde». Se non emergono anomalie (quali per esempio un'errata compilazione e niente più, che tuttavia porterebbe al respingimento della bolletta) i dati vengono elaborati da una banca dati di «analisi dei rischi» che provvede alla ricerca di uno o più profili di rischio. Qualora vengano individuati tali profili, si procede al controllo documentale o visivo della merce, ma in linea generale i controlli disposti dal sistema si attestano intorno al 5 per cento delle bollette inserite nel sistema.
Tale essendo il sistema dei controlli doganali, emergono due possibilità di migliore contrasto ai traffici internazionali. Il primo riguarda la possibilità (al vaglio della Commissione) che i rifiuti vengano inseriti nel catalogo dei fattori di rischio dell'elaboratore centrale; il secondo attiene più direttamente all'aspetto investigativo. Per tracciare un'analogia con i traffici di stupefacenti, è evidente che le operazioni di polizia che portano a sequestri di ingenti quantitativi di droghe non sono dovute al caso ma a un'intensa attività di indagine precedente al sequestro; tale attività non è possibile al momento per i rifiuti stante l'attuale assenza di previsioni penali per questo tipo di reato. Per ciò si rimanda comunque alla parte di questa relazione in cui tale problematica viene affrontata più nel dettaglio.
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