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Doc. XVII-bis n. 6


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DOCUMENTO CONCLUSIVO DELL'INDAGINE CONOSCITIVA SULLE PROBLEMATICHE ATTUALI DELLA TRANSIZIONE COSTITUZIONALE: DAL FEDERALISMO AMMINISTRATIVO ALLO STATO FEDERALE

1. Premessa.

Nel corso di questa legislatura la Commissione per le questioni regionali ha svolto una prima indagine conoscitiva - conclusasi con l'approvazione del documento conclusivo il 17 febbraio 1998 - nella quale ha inteso compiere una riflessione sulle prospettive del regionalismo aperte dalla cosiddetta riforma Bassanini. Il clima politico in cui si è svolta l'indagine era caratterizzato da una forte aspettativa che la riforma ordinamentale in atto con i decreti delegati di decentramento amministrativo potesse trovare un suggello nella (allora) progrediente riforma costituzionale. Il brusco arresto di questa, quando la Camera aveva ormai approvato il complesso di articoli riferito alla forma federale dello Stato, ha radicalmente mutato la metodologia delle riforme. Già nel convegno promosso dalla Commissione il 29 luglio dello scorso anno per presentare i risultati dell'indagine veniva autorevolmente avanzata l'ipotesi di ritornare a battere il percorso riformatore mediante singoli interventi, tesi comunque a disegnare un mosaico coerente, recuperando naturalmente per quanto possibile anche il rilevante lavoro svolto dalla Commissione bicamerale. Le perplessità venivano però dalla consapevolezza della persistenza di profondi dissensi su taluni nodi politici centrali: ci si riferisce al problema della funzione e della composizione del Senato, per il quale in seno alla Bicamerale era stata delineata una soluzione che l'ulteriore iter parlamentare avrebbe sicuramente dimostrato difficilmente percorribile, e al problema del federalismo fiscale, accantonato ancor prima dell'arresto definitivo dei lavori.
L'insediamento del gabinetto D'Alema riportava al centro del programma di governo e del dibattito parlamentare il tema delle riforme, e proprio mentre la riforma «a Costituzione invariata», una volta giunta al momento decisivo (quello del trasferimento delle risorse) sembrava segnare il passo, il processo di riforma costituzionale si è riattivato su alcuni temi rilevanti (giusto processo, elezione diretta del Presidente, federalismo, autonomia statutaria delle regioni), che costituiscono un «pacchetto» di riforme-stralcio, formalmente autonome, ma sostanzialmente connesse. Anche la Commissione per le questioni regionali ha dato un contributo al dibattito, promuovendo il 30 marzo scorso, a Cagliari, un seminario sulle autonomie speciali nella transizione istituzionale.
È nata così l'idea, anche in concomitanza con l'esame da parte della Commissione delle proposte di legge sul federalismo, di svolgere un'ulteriore, breve indagine, diretta a raccogliere materiale conoscitivo di generale interesse su questa delicata fase istituzionale, in cui la


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costruzione dello Stato federale si raccorda con il modello, ormai legislativamente delineato, dello Stato decentrato (cosiddetto federalismo amministrativo).

2. I lavori della Commissione.

L'indagine promossa dalla Commissione parlamentare per le questioni regionali sul tema «Problematiche attuali della transizione costituzionale: dal federalismo amministrativo allo Stato federale» è stata deliberata il 1o giugno 1999.
Sono state tenute le seguenti audizioni di esperti della materia: nella seduta del 15 giugno 1999 sono stati sentiti il professor Gianfranco Mor, ordinario di diritto costituzionale presso la facoltà di giurisprudenza dell'Università statale di Milano, e il professor Michele Scudiero, ordinario di diritto costituzionale presso la facoltà di giurisprudenza dell'Università «Federico II» di Napoli; nella seduta del 22 giugno 1999 il presidente emerito della Corte costituzionale, Aldo Corasaniti; nella seduta del 1o luglio 1999 il presidente emerito della Corte costituzionale, Francesco Paolo Casavola.
«A latere» dell'indagine la Commissione ha naturalmente sentito anche gli esponenti regionali in due audizioni sulle prospettive della riforma federalista: il 27 maggio è stata ascoltata una rappresentanza dei presidenti dei consigli e il 17 giugno una delegazione delle giunte regionali.

3. Le questioni emerse nel corso delle audizioni.

Nell'audizione del 15 giugno 1999 il professor Mor ha affrontato tre ordini di questioni: il rapporto tra legislazione di decentramento e riforma federalista; il problema del metodo delle riforme (revisione generale o riforme parziali); il problema delle autonomie speciali.
L'innesto della riforma costituzionale sul processo di devoluzione attuato con la legge Bassanini richiede anzitutto, ad avviso del professor Mor, un'accurata analisi delle funzioni, che si presenta in particolare necessaria in materie, come ad esempio sanità e scuola, anche per evitare che un'imprecisa definizione dei compiti in certi settori consenta poi di aprire brecce a danno dell'autonomia regionale.
Per quanto concerne la questione del metodo delle riforme, cioè dell'alternativa tra una riforma o riscrittura generale della seconda parte della Costituzione e distinte riforme parziali, è preferibile un approccio pragmatico, senza perdere di vista alcuni legami essenziali, che concernono la struttura del Parlamento, il procedimento decisionale del Governo e la composizione della Corte costituzionale. Certamente il ripensamento del bicameralismo è un passaggio avvertito come indispensabile, ma non si deve dimenticare che, ad esempio, il modello Bundesrat potrebbe riproporre un processo di formazione della decisione politica di tipo consociativo per la possibilità, nient'affatto remota, di due diverse maggioranze nei due rami del Parlamento. In una logica che quindi è di ricerca non del risultato migliore, ma di quello semplicemente possibile, forse la riforma del Parlamento


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potrebbe addirittura essere accantonata, costituzionalizzando la sede decisionale intergovernativa, cioè la Conferenza Stato-regioni-autonomie. Al problema del bicameralismo del Parlamento nazionale si accosta poi quello del bicameralismo regionale, che dovrebbe rappresentare la garanzia praticamente più efficace, in ambito regionale, del rispetto del principio di sussidiarietà. Al riguardo, l'articolo 11 del progetto governativo (A.C. 5830) attribuisce una serie di competenze in ordine alle quali non risulta chiara la natura del relativo atto deliberativo, se cioè si tratti di strumento concertativo o consultivo: la questione però potrebbe anche essere rimessa all'autonomia statutaria delle regioni.
Sul tema della specialità, il professor Mor ha sottolineato la difficoltà di mantenere le specialità storiche (o anche di costruire nuove specialità), se persiste l'idea per cui essa è in funzione del grado di autonomia (legislativa) conferita, una volta che sia rovesciato il criterio di riparto delle competenze, con l'attribuzione allo Stato di limitate materie tipiche. Una prospettiva senz'altro interessante è quella di scindere i due aspetti per verificare se sussistono strumenti adatti alla definizione di politiche differenziate che si realizzino attraverso il coinvolgimento delle regioni a statuto speciale, ad esempio sul modello dell'articolo 47 dello statuto siciliano. In merito poi alle procedure di approvazione degli statuti speciali, si intravvede in primo luogo la necessità di una normativa transitoria per consentire un rapido adeguamento ai poteri che via via si conferiscono alle regioni ordinarie. A ragione, invece, bisogna distinguere tra disposizioni statutarie che attribuiscono poteri (legislativi) e altre disposizioni statutarie: per le prime non può non sussistere, secondo il professor Mor, una riserva di legge costituzionale; per le seconde deve ritenersi possibile una procedura di modifica come quella prevista per le regioni ordinarie.
Nella seduta del 15 giugno 1999 è stato ascoltato anche il Professor Michele Scudiero, che ha osservato innanzitutto come, pur nella non univocità del termine federalismo, se tale nozione si intende come un modo di organizzare il riparto delle competenze ed i rapporti tra i soggetti territoriali, partendo dai primi livelli istituzionali, la legge n. 59 e i decreti legislativi attuativi assumono una fisionomia federalista. Pertanto, secondo questa prospettiva, al vertice del processo di costruzione dell'ordinamento si colloca oggi l'Unione europea e, quindi, in ogni progetto di rimodulazione dei rapporti e nel riparto delle competenze non solo vanno compresi i soggetti di diritto nazionale (quindi, enti locali, regioni e Stato), ma deve assumere un rilievo costante la dimensione europea. Diviene così particolarmente significativa la tendenza - avvertita anche in ordinamenti che sembravano meno disposti a dare forza ai poteri locali come la Francia - a un rafforzamento della rete dei poteri locali concomitante al consolidamento dell'ordinamento sovranazionale. Ne consegue che l'esigenza oggi fortemente sentita di riconoscere agli enti locali una vera e propria autonomia costituzionale discende non tanto dalla necessità di un «ancoraggio» forte della legge n. 59 e della conseguente produzione legislativa, quanto piuttosto dalla forte dimensione che ha assunto l'Europa.


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Il professor Scudiero ha anche sottolineato che il ridisegno dei rapporti tra i soggetti territoriali inevitabilmente non si presta a una decisione uno actu, ma rientra in una logica di processualità, che, del resto, riscontriamo nell'esperienza maturata in tutti gli ordinamenti a decentramento pluralistico ed anche in quelli concordemente riconosciuti come ordinamenti federali (gli Stati Uniti e la Germania), nei quali il federalismo è passato da alcune concezioni ispirate alla separazione delle competenze (federalismo competitivo), al cosiddetto federalismo cooperativo ed all'affermazione forte dei cosiddetti compiti comuni, per cui si fa strada non una distinzione marcata e conflittuale, ma la ricerca di modalità di collaborazione e di paziente negoziazione politica.
Il problema diviene, quindi secondo il professor Scudiero, di definire la formula stessa, individuando almeno alcuni punti fermi per identificare quando ci muoviamo nel campo del federalismo e quando in una dimensione diversa. Da questo punto di vista indubbiamente un primo punto consiste nel rovesciamento del criterio della competenza generale residuale riservando al potere centrale le materie considerate come storicamente proprie dello Stato, quindi materie infrazionabili e corrispondenti a bisogni che ugualmente si riferiscono a tutta la comunità nazionale. È chiaro che la territorializzazione dei processi incontra un forte ostacolo ed una non superabile rigidità rispetto ai fenomeni della globalizzazione. L'altro punto importante, che viene ritenuto una costante dell'assetto federale, è quello della partecipazione degli Stati membri, o dei corpi istituzionali che comunque sono riconducibili alla formula del federalismo, innanzitutto al processo di modifica costituzionale. Questo però non basta, perché la decisione fondamentale - che consiste nell'emendamento della Costituzione - non è continua e ripetuta, anche se i processi di revisione costituzionale possono essere ripetuti e costanti proprio sul tema del riparto delle competenze, come mostra l'esperienza della Svizzera la cui costituzione di oggi è molto diversa da quella del 1874 proprio sul versante del riparto delle competenze nella ricerca della stabilizzazione del quadro in base all'evoluzione della società. Vi è quindi il problema della partecipazione all'attività costituzionale non discontinua come la produzione legislativa costituzionale, attraverso ad esempio la seconda camera federale. Questo è un tema delicatissimo ed il disegno di legge presentato dal Governo è caratterizzato da una sorta di self restraint, nel senso che si afferma che la questione della seconda Camera sarebbe da affrontare nel momento in cui vi è una proposta di modificare l'ordinamento in senso federale ma, per dovuto rispetto istituzionale, viene rimessa al Parlamento. Il problema del bicameralismo è centrale se si vuole creare un assetto federale. Il tema della presenza dei rappresentanti delle articolazioni istituzionali a forte decentramento politico costituzionale (in Italia le regioni) apre poi quello della partecipazione di esponenti di esecutivi locali nell'esecutivo centrale. Ad avviso del professor Scudiero vi sono due ulteriori elementi che connotano il modello federale: un potere di organizzazione costituzionale o fondamentale, si deve cioè potenziare la potestà statutaria, e il delicato problema dell'autonomia finanziaria.
Questo aspetto si collega con quello della specialità alla quale molte regioni tengono molto o ambiscono. Ora, secondo il professor


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Scudiero, se pensiamo all'ordinamento ispirato al principio della cosiddetta sussidiarietà istituzionale si dovrebbe «stemperare» il significato di un regionalismo a geometria variabile, tenendo conto delle specifiche ragioni che ancora sussistono in alcune zone, che reclamano un regime differenziato ed una diversità di autonomia. Questa si potrebbe realizzare o riconsiderando le forme di potestà legislativa regionale (soluzione che in Italia non è apparsa molto feconda) o prevedendo una diversità di configurazione sul versante dell'autonomia finanziaria.
Dal Presidente emerito della Corte costituzionale, Aldo Corasaniti, sentito nell'audizione del 22 giugno 1999 è venuto anzitutto un forte monito affinché il problema delle riforme istituzionali venga trattato prescindendo da valutazioni di politica contingente, ma con un'ottica di lungo periodo, che costituisce l'habitus mentale indispensabile per operare nell'interesse generale. Il dottor Corasaniti ha quindi sottolineato che il federalismo non è soltanto una forma di Stato, ma anche e soprattutto un metodo di governo, cioè di gestione politica, e pertanto una forma di governo. Nel federalismo cooperativo il pilastro fondamentale è la Politikverflechtung l'intreccio delle politiche, secondo il metodo delle codecisioni. Non vi è quindi un'assoluta pregiudizialità delle riforme strutturali dello Stato per convertirlo da nazionale in federale (forma di Stato) rispetto alle altre (forma di governo), ma l'esigenza di procedere contestualmente.
Altro elemento su cui il dottor Corasaniti ha incentrato la sua relazione è il concetto di sussidiarietà, che riprende una teoria (quella degli effetti esterni), secondo la quale il metodo migliore per individuare soggetti e percorsi è quello di fare in modo che i costi e i vantaggi delle decisioni si producano nella sfera interna di interessi e di azioni proprie dei soggetti di ogni decisione. Si tratta cioè dell'avvicinamento tra coloro che subiscono (o sfruttano) gli effetti delle decisioni e quelli che le adottano, e comunque del rientrare di questi effetti nella sfera di azione dei soggetti che prendono tali decisioni. Sussistono poi esigenze di responsabilizzazione e di democraticità, perché l'assunzione di responsabilità da parte di centri periferici è conforme ai principi democratici di diffusione del potere anziché di concentrazione di esso. Se è così, l'accentramento o viceversa il decentramento dei poteri di governo non è necessariamente pregiudiziale ai problemi di strutturazione interna dei livelli di governo se non sotto un profilo, quello cioè che occorre stabilire preliminarmente in via generale, astratta e quasi provvisoria, nell'ambito di un percorso riformatore unitario, se ci si orienta verso la prima o la seconda soluzione nel metodo di governo.
Sulla base di queste premesse vi è una lettura critica del testo del Governo (atto Camera n. 5830), in quanto manca in esso una strumentazione attraverso cui le regioni possono effettivamente partecipare al governo dello Stato federale. Siamo di fronte ad una vera e propria limitazione nella considerazione di questi argomenti, perché nel progetto governativo non vi è alcun riferimento alle fonti di produzione normativa, al Parlamento - e specificatamente al bicameralismo - ed all'istituzione di una camera rappresentativa dei governi o degli interessi regionali o delle regioni, neppure su base territoriale.


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Un altro elemento di valutazione critica discende dall'inadeguata considerazione dei profili di coerenza e compatibilità tra la struttura in fieri dell'Unione politica europea - che è tutt'oggi un'Europa dei governi, anche se il Parlamento europeo è ora dotato di maggiori poteri - e la ristrutturazione dell'ordinamento repubblicano in senso federale. Non si deve necessariamente perseguire una somiglianza o addirittura una specularità fra i due ordinamenti, ma, essendo uno di essi una struttura consolidata e in via di un ulteriore consolidamento, occorre individuarne le linee evolutive, e correlativamente, il modo più adeguato di assicurare la rappresentanza, in esso, e nella gestione di esso, sia degli Stati membri che dei loro enti territoriali.
Infine, il dottor Corasaniti ha posto l'attenzione sul problema del federalismo fiscale, che è strettissimamente connesso con l'allocazione delle competenze. Una netta divisione di competenze (federalismo competitivo) ovvero una adeguata condivisione delle stesse (federalismo cooperativo) sono due opzioni tra loro alternative, tra le quali è indispensabile una scelta chiara ai fini della successiva ripartizione delle risorse.
Nell'audizione del 1o luglio 1999 il Presidente emerito della Corte costituzionale, professor Francesco Paolo Casavola, dopo aver ripercorso i momenti salienti del processo di costruzione dello Stato unitario, si è soffermato criticamente sull'uso del termine «federalismo», rammentando che in realtà il prototipo del modello federalista dell'età moderna si ritrova nel processo di formazione degli Stati Uniti d'America, in cui le colonie americane, divenute Stati indipendenti, sentirono la necessità di cedere parte della loro sovranità ad uno Stato federale che potesse assumere il ruolo di forte soggetto di diritto internazionale. In Italia, invece, per Stato federale intendiamo un processo del tutto diverso: uno Stato unitario che si disarticola in statualità minori. Si tratta quindi di un modello opposto a quello degli Stati Uniti, in cui si era passati da una pluralità di Stati ad uno Stato unitario. Il problema, secondo il Professor Casavola, non è quello di creare Stati subnazionali, ma di riconoscere le comunità al di sotto della statualità: quindi si deve ragionare in termini di diritti della cittadinanza che rappresenta il corpo vivo delle comunità e non in termini di statualità. Questo approccio trova conferma nella vicenda dell'edificazione europea, che segna da un lato il superamento della categoria della statualità, dall'altro l'affermazione del processo federalistico in senso ascendente, e non verso il basso per creare Stati subnazionali. Se alle regioni non diamo i caratteri della vecchia statualità, esse potranno esprimere un protagonismo attivo proprio in questo processo di superamento degli Stati nazionali nella sovranazione europea: potrebbero esercitare i loro poteri per collegarsi con altre regioni e città dell'Europa. Per costruire questo modello lo strumento concettuale di cui si dispone è il principio di sussidiarietà, principio elaborato sia dai giuristi liberali tedeschi dell'ottocento, sia dalla dottrina cattolica, che sancisce la prevalenza della categoria della cittadinanza su quella della statualità e da cui si evince il primato del principio comunitario su quello statualista: non che lo Stato debba estinguersi, ma piuttosto esso deve limitarsi alle quattro prerogative che ne rappresentano la struttura costitutiva (bandiera, spada, moneta e bilancia).


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4. Conclusioni

Il paradosso
delle
riforme
La complessiva esperienza parlamentare, dalla prima alla terza Commissione bicamerale, sembra rappresentare una evidente dimostrazione di quel principio che è conosciuto come «paradosso delle riforme»: quanto più un sistema politico abbisogna di ristrutturarsi, tanto più difficile risulta il conseguimento dell'obiettivo. La necessità di riforme infatti discende da una crisi del processo decisionale politico ed è quindi estremamente difficile, in una fase appunto «critica», produrre decisioni politiche fondamentali come quelle che attengono addirittura al livello della Costituzione formale e materiale.
Anche se non esplicita in questi termini la questione è indirettamente emersa laddove si è richiamata l'esigenza di elaborare i progetti di riforma al di fuori delle preoccupazioni di politica contingente ed in una prospettiva di ampio respiro e di lungo periodo.
È del resto chiaro però che lo «spirito costituente» è mancato nell'azione delle varie Bicamerali, ma non per l'assenza di «buone intenzioni» nei singoli componenti o nelle forze politiche, ma per l'oggettiva impossibilità di scindere i problemi, anche assai rilevanti, di gestione politica ordinaria dal livello «alto» della costruzione di un nuovo edificio costituzionale.
Una manifesta consapevolezza di ciò si profilava ancor prima dell'arresto dei lavori della terza Bicamerale, laddove si riconosceva che, nonostante l'ampiezza degli interventi su tutta la seconda parte della Costituzione, tutt'al più ci si trovava di fronte ad un'ampia revisione costituzionale e non alla programmata (e da taluni paventata) sostituzione della seconda parte della Costituzione. Di qui la necessità di un'alternativa istituzionale: il ricorso ad un'assemblea costituente, che avrebbe però segnato una «rottura» della Costituzione assai rilevante, ovvero più pragmaticamente la delineazione di percorsi di revisione costituzionale graduale (step by step) ai sensi dell'articolo 138 della Costituzione.
I limiti
dell'attuale
fase di
progettazione costituzionale
Da un punto di vista astratto la progettazione normativa, come in primo luogo quella costituzionale, deve fondarsi su una precisa idea degli obiettivi da raggiungere. Solo così è possibile elaborare un progetto di massima e passare, anche attraverso l'indispensabile analisi di fattibilità, al progetto esecutivo.
Ora ciò che sembra mancare nell'attuale fase di transizione è proprio una definita nozione, sia pure convenzionalmente accettata, di Stato federale, che indichi l'effettivo obiettivo strategico da raggiungere. Le carenze più evidenti del disegno di legge governativo (Senato federale e federalismo fiscale) impediscono del resto di ricostruire, anche induttivamente, il modello di riferimento. Né sembra che possano esservi dubbi sul fatto che fra gli indici di riconoscimento di una struttura statale di tipo federalista vi sia anzitutto la presenza nel Parlamento di una camera che rappresenti le articolazioni territoriali dotate di autonomia costituzionale, a garantire che la legislazione nazionale sia elaborata, laddove incide sui poteri locali, con il consenso degli stessi. Ugualmente appare irrinunciabile che le regioni godano di adeguate risorse finanziarie per poter promuovere un proprio autonomo programma di governo, nel che si sostanzia l'autonomia politica.
L'elemento strutturale naturalmente non può poi prescindere dal dato storico. Al riguardo, nel corso della sua audizione il professor


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Casavola ha ricordato come il prototipo del processo di formazione dello Stato federale è quello statunitense, che postula l'aggregazione di più Stati sovrani. Il patto di federazione è un atto del potere costituente e rappresenta il contenuto della costituzione federale. La sua finalità è, all'interno della federazione, di realizzare una pacificazione permanente, con l'attribuzione dello jus belli alla federazione. Nel caso italiano il modello federalista, se richiamato senza il necessario approfondimento, appare quindi anacronistico, soprattutto in considerazione della concorrenza e concomitanza di un reale processo federativo qual è quello europeo.
La dimensione
europea
Il dato che forse risulta maggiormente trascurato è pertanto quello che oggi presenta invece la massima incidenza sulla sovranità nazionale dei singoli Stati.
Di qui un diffuso richiamo a contestualizzare la riforma nel quadro europeo.
Infatti, già oggi si sperimenta molto chiaramente uno dei tratti essenziali dell'ordinamento federale, quello del primato del diritto federale nei confronti di quello nazionale attraverso il principio della prevalenza dei regolamenti comunitari nei confronti di tutto il diritto nazionale; non soltanto, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, dei regolamenti ma anche delle stesse direttive quando presentano certe caratteristiche. Fatti questi che impongono naturalmente di considerare con grande attenzione il problema del deficit di legittimazione democratica delle istituzioni comunitarie e di sottolineare l'esigenza di un potenziamento del ruolo del Parlamento europeo nell'equilibrio complessivo dei rapporti di potere tra gli organi dell'Unione europea.
Contemporaneamente al rafforzamento dei poteri dell'Unione si osserva un indebolimento della dimensione statuale, che lascia spazi sempre più ampi all'espressione delle realtà regionali e locali, che spesso dimostrano di saper colloquiare più positivamente tra loro al di là dei confini nazionali, come nell'esperienza delle regioni europee (Euregio Tirolo).
Da questo scenario emerge il ruolo determinante del principio di sussidiarietà.
Il principio
di sussidiarietà
e il principio
di solidarietà
Il principio di sussidiarietà è tutto incentrato sulla nozione di «comunità» e sull'idea che l'ordinamento complessivo sia la risultante di un pluralismo di formazioni e componenti sociali, che vanno riconosciute come momento collettivo di espressione della personalità umana.
La necessità di un suo esplicito e chiaro inserimento nella riforma federalista è stata sottolineata con forza dai vertici delle istituzioni regionali in due audizioni tenutesi «a latere» dell'indagine, affermando - tra l'altro - che non si può oggi por mano a un disegno di cambiamento costituzionale della Repubblica senza partire da una formulazione di principio sulla sussidiarietà. Si tratta di un passaggio riconosciuto come indispensabile, i cui contenuti sono già impliciti nei principi fondamentali della Carta costituzionale e, in particolare, nell'articolo 2 e nell'articolo 5. La realizzazione del principio di sussidiarietà richiede ovviamente l'impegno di tutte le istituzioni per la definizione di un corretto equilibrio tra i vari livelli di governo,


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scongiurando il rischio che il fenomeno del centralismo si riproduca a livello regionale.
L'enunciazione forse più precisa del principio di sussidiarietà postula che una comunità di ordine superiore (non in senso gerarchico, ma dimensionale) non deve interferire nella vita interna di una società di ordine inferiore, se non per affiancarla e coordinarne l'azione con le altre componenti sociali per il raggiungimento del bene comune.
La sussidiarietà, dunque, significa in prima istanza assunzione delle decisioni al livello più vicino ai cittadini. Certamente la sua attuazione non deve però essere intesa come giustificazione dell'attuale articolazione dei livelli di rappresentanza, che risulta eccessiva e frammentaria, onde appare necessario auspicarne una semplificazione. Parimenti l'esigenza di vicinanza del momento decisionale ai cittadini va anche contemperata con il diritto dei cittadini medesimi a fruire di servizi pubblici qualitativaniente adeguati; ciò comporta quindi la necessità di valorizzare tutti i possibili strumenti atti a favorire i processi di aggregazione tra i comuni più piccoli.
Sotto altro profilo il principio di sussidiarietà potenzialmente esclude le degenerazioni dell'interventismo pubblico; d'altra parte, laddove i poteri sono insufficienti e le risorse non sono effettivamente disponibili bisogna che si ricorra alla comunità maggiore, quindi bisogna risalire all'indietro perché l'aiuto può venire dall'alto.
Vi è inoltre un problema strettamente collegato con questo, cioè quello della distribuzione equa delle risorse almeno dentro quote minimali secondo il principio della solidarietà, di cui si conosce già l'esempio tedesco, che si è soliti definire di «federalismo cooperativo»: il modello tedesco rappresenta un punto di riferimento valido per l'Italia, nonostante le diversità di formazione dello Stato nazionale nel nostro paese e in Germania, perché il modello classico di Stato federale porterebbe certamente al rischio di secessione e a gravi conflitti politici per la mancanza di quello che è il presupposto implicito di un federalismo competitivo, cioè la sostanziale omogeneità delle parti tra di loro e rispetto al tutto.
In sostanza appare necessario riconoscere piena autonomia tributaria alle regioni relativamente a determinati tipi di imposte, ovvero attribuendo una quota certa delle entrate tributarie complessive in rapporto al territorio in cui la ricchezza è stata prodotta o scambiata. Naturalmente è necessario contemperare tale autonomia con l'esigenza di un coordinamento da parte dello Stato della politica finanziaria dei diversi soggetti territoriali, assicurando nel contempo anche la tendenziale perequazione delle condizioni sociali ed economiche in tutto il territorio nazionale.
La sussidiarietà e la solidarietà potrebbero, così intese, rappresentare, sul piano istituzionale, ma anche culturale, un approdo finale capace di coniugare dottrine liberali e dottrine sociali in una sintesi coerente sia con lo spirito della Costituzione vigente, sia con la profonda evoluzione politico-costituzionale dell'Europa.

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