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Introduzione.
L'esigenza da cui è maturata la scelta di avviare l'indagine conoscitiva sull'incorporazione dell'acquis di Schengen nell'ambito dell'Unione europea era quella di seguire con particolare attenzione un procedimento le cui tappe erano definite solo nelle linee essenziali dal Protocollo sull'integrazione dell'acquis di Schengen, allegato al Trattato di Amsterdam, rendendo - se possibile - tale iter più trasparente e visibile. Al tempo stesso si intendeva compiere una riflessione sul significato e sulle conseguenze delle scelte connesse a tale processo che, partendo da alcune decisioni già contenute nel Protocollo, doveva poi svilupparsi e concretizzarsi in successivi accordi e decisioni del Consiglio.
L'indagine conoscitiva in questione è stata deliberata il 7 ottobre del 1998, all'indomani della ratifica del Trattato di Amsterdam (1), che reca in allegato, appunto, il citato Protocollo.
L'obiettivo era quello di capire fino in fondo «cosa sarebbe cambiato» con l'incorporazione e dare una risposta, una volta conclusosi il procedimento, ad alcune questioni che rimanevano «non chiarite». In particolare, oltre al problema fondamentale concernente le modalità dell'incorporazione dell'acquis di Schengen (tra primo e terzo pilastro), ci si è chiesti quali sarebbero state le conseguenze della sostituzione del Comitato esecutivo, organo decisionale creato ad hoc dalla Convenzione di Schengen, con il Consiglio, organo decisionale della Comunità, con competenze generali. In altri termini: la materia Schengen incorporata nel primo o nel terzo pilastro dell'Unione sarebbe stata ancora «visibile», individuabile su base certa così da comprenderne lo sviluppo ulteriore ed immaginare una successiva attività degli organismi di controllo nati con la Convenzione di Schengen? In particolare l'interrogativo si poneva per l'Autorità di controllo comune e per la Commissione permanente per l'applicazione della Convenzione (istituita con una decisione del Comitato esecutivo nel settembre del 1998, come organo interno di controllo e di verifica della corretta applicazione degli accordi di Schengen negli stati che già attuano la Convenzione e in quegli stati che, avendo aderito agli Accordi di Schengen, dovranno assicurare i prescritti parametri per entrare operativamente nello spazio di libera circolazione), organismi rispetto ai quali il Protocollo non si esprimeva in alcun modo. Ma la questione si poneva anche per l'esperienza italiana di un «Comitato parlamentare di controllo sugli Accordi di Schengen», anche se questa istanza bicamerale nasceva da una precisa volontà del legislatore nazionale di assicurare un controllo sulla materia Schengen e quindi non poteva essere oggetto di «assorbimento» da parte del suddetto Protocollo. Tuttavia è sembrato necessario svolgere una riflessione sul ruolo del Comitato alla luce della nuova situazione venutasi a delineare con il Trattato di Amsterdam, al fine di assicurare nel modo
migliore il controllo del Parlamento nella fase ascendente del processo decisionale, compito questo che trova - ad ogni modo - un suo preciso riconoscimento nel Protocollo allegato al Trattato di Amsterdam sul ruolo dei Parlamenti nazionali, e che deve naturalmente riguardare anche la materia Schengen una volta integrata nel quadro giuridico dell'Unione europea.
Ciò che è apparso subito evidente è stato il carattere tecnico, forse prima ancora che politico, delle decisioni che dovevano essere assunte: per questa ragione si è incluso nel programma delle audizioni anche il contributo di alcuni «esperti» della materia comunitaria, che potessero fornire un'interpretazione più analitica ed anche un parere giuridico sulle conseguenze dell'incorporazione.
L'entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, dei Protocolli e delle Dichiarazioni allegati, avvenuta il 1o maggio 1999, ha evidenziato la fondatezza delle preoccupazioni che avevano motivato l'avvio dell'indagine conoscitiva: a quella data, infatti, sono risultati ancora irrisolti nodi essenziali quali la collocazione del SIS, il sistema informativo Schengen, nel primo o nel terzo pilastro dell'Unione (sull'argomento vedi infra Capitolo 4), né compiutamente definiti altri aspetti, quali la partecipazione all'ulteriore sviluppo dell'acquis di Schengen della Norvegia e dell'Islanda, paesi non membri dell'Unione europea, che per tale ragione partecipavano alla cooperazione Schengen in qualità di Stati associati.
Una situazione quindi ancora in divenire, rispetto alla quale si sono posti tuttavia con una certa urgenza alcune questioni ed in particolare, come si è detto, il ruolo del Parlamento, che già assicurava un controllo democratico sulle decisioni che venivano assunte quando le materie Schengen erano trattate nell'ambito di una cooperazione rafforzata internazionale e che dunque, quale che sia la forma del controllo che si vorrà prescegliere, non può «retrocedere» rispetto a prerogative già acquisite, soprattutto a fronte dell'entrata in vigore di un Trattato, quello di Amsterdam, che tra l'altro vuol proprio valorizzare insieme il ruolo dei parlamenti nazionali e del Parlamento europeo.
1. I limiti interni ed esterni della cooperazione Schengen.
L'incorporazione dell'acquis di Schengen nel quadro giuridico dell'Unione europea ha rappresentato senz'altro un riconoscimento della validità e dell'efficacia dell'esperimento Schengen, che in nove paesi (2) ha operativamente realizzato la soppressione dei controlli alle
frontiere (interne) terrestri, marittime e aeree, ha promosso la conclusione di accordi bilaterali tra le forze di polizia per attuare gli istituti dell'inseguimento e dell'osservazione transfrontaliera di cui agli articoli 40 e 41 della Convenzione di Schengen, ha posto in essere un sistema d'informazione, il SIS, per la raccolta dei dati relativi alle persone non ammissibili nel territorio Schengen o segnalate ai fini dell'estradizione (articoli da 92 a 101 della Convenzione), ha realizzato una vignetta visto uniforme valida per gli spostamenti ed il soggiorno di durata non superiore a tre mesi negli Stati Schengen (articolo 10 della Convenzione), eccetera.
2. Il contenuto del Protocollo sull'integrazione dell'acquis di Schengen nell'ambito dell'Unione europea.
I «punti di partenza» stabiliti dal Protocollo prevedevano in primo luogo, per i 13 Stati Schengen la possibilità di proseguire nell'ambito istituzionale e giuridico dell'Unione europea la cooperazione rafforzata avviata con la firma degli accordi e della Convenzione di Schengen, mentre la Gran Bretagna e l'Irlanda mantenevano una posizione di opting out, con la possibilità di partecipare, su richiesta, alle disposizioni dell'acquis o ad alcune di esse. Alla data di entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, quindi, l'acquis di Schengen doveva pertanto applicarsi automaticamente ai tredici Stati membri, senza necessità di dover attivare le procedure di autorizzazione ad una cooperazione rafforzata di cui al Titolo VII del TUE, e le disposizioni dell'acquis dovevano considerarsi a tutti gli effetti diritto dell'Unione. In secondo luogo, all'entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, il Consiglio avrebbe sostituito il Comitato esecutivo.
3. Le regole dell'incorporazione.
4. Le decisioni assunte dal Consiglio sull'incorporazione.
4.1. Il 20 maggio 1999, al termine di negoziati assai più lunghi e faticosi del previsto, il Consiglio ha infine adottato la coppia di decisioni prevista dall'articolo 2, paragrafo 1, secondo comma, del protocollo allegato al TUE e al TCE, relativo all'integrazione dell'acquis di Schengen nell'ambito dell'Unione europea.
europeo alle politiche in materia di immigrazione e di asilo, comunitarizzate dal nuovo titolo IV del TCE.
di migranti clandestini, sono stati correttamente ricondotti al terzo pilastro (articoli 30, par. 1, 31 e 34 TUE). Per quanto riguarda le altre parti della convenzione di Schengen, limitandosi a quelle che hanno acquistato maggiore rilevanza nella pratica, si osserva in particolare che i capitoli relativi alla «cooperazione tra forze di polizia» e alla cooperazione giudiziaria in materia penale hanno trovato collocazione nell'ambito del titolo VI TUE, coerentemente con la filosofia generale della ripartizione delle competenze tra pilastri che sorregge il Trattato di Amsterdam.
5. La posizione della Gran Bretagna e dell'Irlanda.
Un Protocollo allegato al Trattato di Amsterdam sulla posizione del Regno Unito e dell'Irlanda stabilisce, coerentemente a quanto già previsto dal Protocollo sull'integrazione dell'acquis di Schengen nell'Unione europea, la non partecipazione dei due paesi all'adozione delle misure proposte dal Consiglio a norma del Titolo IV del TCE, del quale le disposizioni dell'acquis di Schengen rappresentano una parte.
6. La posizione della Norvegia e dell'Islanda.
Quanto alla Norvegia e all'Islanda, siglato l'accordo di associazione volto a sancire la prosecuzione della partecipazione di questi due paesi all'ulteriore sviluppo dell'acquis di Schengen (13) (con le implicazioni legali, finanziarie, eccetera... che ne conseguono), si è riunito per la prima volta, il 18 maggio, il «Comitato misto» previsto dall'accordo medesimo per l'adozione del regolamento interno relativo alla definizione delle procedure di associazione». Tale regolamento è in via di ulteriore definizione e sarà con ogni probabilità approvato entro il mese di giugno.
7. Le conseguenze dell'incorporazione dell'acquis di Schengen nell'Unione Europea ed il controllo parlamentare.
Se dal punto di vista politico, l'incorporazione dell'acquis di Schengen ha rappresentato un significativo passo in avanti verso la trasformazione dell'Unione in uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, sul piano pratico si deve realisticamente prendere atto che molta strada deve ancora essere compiuta.
Danimarca, dell'Irlanda e della Gran Bretagna. Quest'ultimo Stato, come si è detto, ha peraltro già ufficialmente comunicato, nell'ambito del Consiglio GAI del 27 e 28 maggio, di voler partecipare alla cooperazione rafforzata Schengen limitatamente ad alcuni articoli della Convenzione.
fissazione di un termine - 5 anni - è già di per sé importante soprattutto in termini politici, in quanto vale - analogamente a quanto è avvenuto per l'EURO - a mobilitare l'impegno degli stati in vista di una scadenza ben precisa.
7.1. Procedure decisionali
Si conferma infatti, nelle sue linee essenziali, lo «schema Schengen», con una struttura composta da gruppi di lavoro che preparavano dal punto di vista tecnico le decisioni, deliberate a livello politico prima dal Gruppo Centrale, (composto da alti funzionari degli Stati membri) e poi, in via definitiva, dal Comitato esecutivo Schengen (quindi dai governi degli Stati membri) all'unanimità. Con l'entrata in vigore del Protocollo sull'integrazione dell'acquis cambiano nominalmente i soggetti titolari del processo decisionale, in quanto i gruppi di lavoro sono interni al Consiglio, il Gruppo Centrale è sostituito dal COREPER (composto anch'esso - come in precedenza il «gruppo centrale» - da alti funzionari degli Stati membri) ed il Comitato Esecutivo Schengen è sostituito dal Consiglio dei ministri dell'UE che sempre in queste materie, salvo pochissime eccezioni, decide all'unanimità.
7.2. Controllo della Corte di Giustizia
Sotto il profilo del deficit giurisdizionale, per le materie confluite nel terzo pilastro la competenza della Corte di giustizia può estendersi all'interpretazione e alla legittimità degli atti adottati, ma previa accettazione da parte degli Stati membri, mentre, per le materie confluite nel Titolo IV del TCE, le competenze della Corte appaiono più limitate rispetto a quanto previsto in via generale per gli atti
comunitari (è ad esempio esclusa la facoltà del rinvio pregiudiziale da parte dei giudici nazionali non di ultima istanza e anche per le giurisdizioni di ultima istanza il ricorso alla Corte è facoltativo e non obbligatorio come previsto per gli atti comunitari ai sensi dell'articolo 234 del TCE). Inoltre vi è il limite generale, previsto dall'articolo 2 del protocollo sull'integrazione, delle misure e delle decisioni relative al mantenimento dell'ordine pubblico e alla salvaguardia della sicurezza interna, rimesse esclusivamente alla potestà normativa e quindi alla sovranità degli Stati membri.
7.3. Controllo dei Parlamenti
Quanto al deficit democratico, si prevede nel Trattato una consultazione obbligatoria del Parlamento europeo da effettuare prima dell'adozione definitiva di un atto da parte del Consiglio. Si tratta di un passo in avanti importante rispetto alla situazione precedente ma a ben guardare non «decisivo», in quanto la «consultazione obbligatoria» non è «codecisione»: è un elemento che indubbiamente incide sulla legittimità formale dell'atto (la mancata consultazione renderebbe l'atto illegittimo) ma non sui contenuti di esso, in quanto il Consiglio può liberamente discostarsi dal parere espresso dal Parlamento europeo. Sia per le materie Schengen confluite nel Titolo IV del TCE che per quelle fondate sul Titolo VI del TUE non si configura, pertanto, allo stato attuale una forma di compartecipazione dell'organo rappresentativo al potere normativo. La «regola» (fino ad una eventuale decisione diversa del Consiglio assunta all'unanimità) è quella della consultazione/informazione del Parlamento europeo peraltro in settori che toccano come pochi altri la libertà e i diritti degli individui.
processo decisionale («esamina i progetti di decisione vincolanti per l'Italia» ... «esprime il proprio parere vincolante»).
rafforzi la posizione del Governo in sede di negoziazione e valga al tempo stesso ad avvicinare le decisioni europee agli effettivi bisogni del paese: «Andare al tavolo della decisione di una direttiva o di un regolamento senza un'adeguata consapevolezza dei propri bisogni e dell'impatto che quella regola finirà con l'avere sul sistema economico e giuridico significa correre il rischio di conseguenze perverse a livello nazionale, anche con effetti di ritardo rispetto agli adempimenti necessari per adeguare lo standard nazionale a quello comunitario».
indirizzo, eventualmente analizzando a livello regolamentare forme di intervento di altre Commissioni permanenti, ove si ritenesse di ampliare le competenze del Comitato allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia.
8. Conclusioni.
Per giudizio pressoché unanime degli osservatori e degli studiosi, l'inserimento dello sviluppo dell'Unione europea quale «spazio di libertà, sicurezza e giustizia» tra gli obiettivi fondamentali dell'Unione stessa (articolo 2 TUE) rappresenta una delle principali novità introdotte dal Trattato di Amsterdam e segna un possibile salto di qualità nel processo di integrazione.
libertà, sicurezza e giustizia siano l'oggetto di una considerazione integrata e indisciplinare, che consenta di mettere a fuoco il livello strategico, in questo settore, delicato e decisivo, dell'integrazione europea.
che potrebbe configurarsi come una «Commissione per le libertà pubbliche» con competenze analoghe alla omologa Commissione presente in seno al Parlamento europeo, la quale sarebbe «uno strumento utile per trattare questioni come quelle della cooperazione giudiziaria, del diritto di famiglia, della collaborazione tra gli organi di sicurezza, che riguardano aspetti fondamentali delle libertà pubbliche dei cittadini, sui quali il controllo e l'indirizzo del Parlamento sarebbero sicuramente utili».
dell'Unità nazionale EUROPOL (16)) che, assicurando una continuità con il passato, potrebbero ben calibrarsi alla nuova stagione che si è aperta, sviluppando anche una dialettica con i Parlamenti nazionali, il Parlamento europeo e altri luoghi istituzionali (quali le università), che possono rappresentare un'importante momento di stimolo e di riflessione critica.
al dispositivo Schengen che dipende dal primo pilastro: ma chi in concreto avrà «l'ultima parola» per dire, ad esempio, se uno Stato che già applica la Convenzione di Schengen rispetta gli obblighi previsti per l'eliminazione dei controlli alle frontiere interne? Una soluzione più chiara sembra invece riguardare il Segretariato Schengen che, dopo lunghe controversie sindacali, è stato integrato nel Segretariato generale del Consiglio con l'unico limite della previsione di un periodo di prova al termine del quale valutare l'effettiva professionalità del personale.
Dalla prima applicazione della Convenzione, nel 1995, ad oggi, si sono quindi conseguiti risultati concreti, che hanno fatto compiere passi importanti verso la realizzazione della libera circolazione delle persone che, tra le quattro libertà sancite dal Trattato di Roma (libera circolazione delle persone, delle merci, dei servizi e dei capitali) è forse quella che riveste carattere più delicato, perché strettamente connessa ai diritti fondamentali dei cittadini. Ma la cooperazione rafforzata realizzata con gli accordi di Schengen ha seguito regole sue proprie, che ora il Trattato di Amsterdam in parte riconosce, che tuttavia sono nate e si sono sviluppate in un quadro intergovernativo esterno all'Unione. Il Trattato di Maastricht, infatti, si limitava soltanto a prevedere la possibilità per due o più Stati membri di instaurare tra loro una cooperazione più stretta purché non in contrasto con gli obiettivi dell'Unione, concependo lo strumento della cooperazione rafforzata come ipotesi residuale, senza disciplinarla in positivo, come invece innova il Trattato di Amsterdam. L'esperimento Schengen ha, quindi, rappresentato un esempio ante litteram di cooperazione rafforzata (3), strumento che il Trattato di Amsterdam (4), come si è detto, oggi valorizza, ma con regole ben precise che mirano a «strutturare» l'istituto e a renderlo meno «occasionale». Con il progredire della costruzione dell'edificio europeo, si rendono infatti sempre meno compatibili iniziative non riconducibili nel quadro giuridico dell'Unione, che, se pur meritevoli di condivisione per gli obiettivi che perseguono, finiscono poi, se non collocate entro precisi limiti e procedure, per incrementare quella «integrazione differenziata» o a «diverse velocità» che si cerca invece di evitare.
Di qui il problema dei «limiti» della cooperazione Schengen, che possiamo distinguere in «interni» ed «esterni».
Quanto ai limiti interni, essi dipendevano dalle regole stesse di funzionamento che il sistema Schengen si era dato, ed erano essenzialmente due: il primo riconducibile all'assenza di un controllo giurisdizionale da parte della Corte di Giustizia sulle decisioni che venivano assunte dall'organo esecutivo, le quali tuttavia erano immediatamente vincolanti per gli Stati membri, al pari di un regolamento comunitario. A questo riguardo si deve ricordare che vi è una differenza tra una convenzione conclusa ad esempio nell'ambito del terzo pilastro dell'Unione (che pure riceve un controllo giurisdizionale «minore» rispetto alla materia propriamente comunitaria) e una convenzione come quella di Schengen riconducibile al diritto internazionale, in quanto per le convenzioni stipulate ai sensi del titolo VI del TUE può esistere ad esempio, previa accettazione degli stati membri, un controllo giurisdizionale sulle questioni pregiudiziali di interpretazione dei Trattati, mentre le convenzioni di diritto internazionale, essendo al di fuori del quadro giuridico ed istituzionale dell'Unione europea, non possono essere oggetto di alcun controllo da parte della Corte di giustizia (5). Si aggiunga inoltre la mancanza di tipicità degli atti e delle decisioni assunte in un quadro intergovernativo, che rende difficilmente immaginabile una forma di controllo giurisdizionale ed in particolare della Corte di giustizia, le cui funzioni sono tassative.
Il secondo limite interno era costituito dall'assenza di un controllo democratico da parte del Parlamento europeo e da parte dei parlamenti nazionali che non si fossero dotati, come il Parlamento italiano o quello dei Paesi Bassi (6), di apposite procedure e/o organismi di controllo. Un deficit democratico lamentato da più parti, ed in particolare dal Parlamento europeo, che ha più volte sottolineato la necessità di una maggiore trasparenza e di un più elevato livello di controllo democratico e giurisdizionale relativamente alla cooperazione Schengen (7). Si tenga del resto presente che il «successo» di Schengen, e quindi la progressiva realizzazione della libera circolazione della persone, ha sempre più posto l'accento sulla necessità di dover assicurare al contempo adeguati standards di sicurezza e richiesto altresì un'armonizzazione legislativa e amministrativa che rende indispensabile il coinvolgimento dei parlamenti (rispetto alle forme del controllo parlamentare, vedi, infra, cap. 7). La costruzione dello «spazio di libertà, sicurezza e giustizia», cui il Trattato di Amsterdam dedica una particolare attenzione, considerandolo come uno degli obiettivi dell'Unione, e che senz'altro vede nelle norme Schengen un primo, importante contributo, deve quindi potersi realizzare con il pieno coinvolgimento dei cittadini e quindi degli organi che li rappresentano.
Quanto ai limiti esterni, essi erano rappresentati sotto un profilo formale dall'incongruenza di fondo a che una forma di cooperazione rafforzata realizzasse con regole sue proprie una delle quattro libertà fondamentali previste dal Trattato di Roma, tenendo presente, come si è detto, che la libera circolazione delle persone non può prescindere dall'adozione di adeguate misure di accompagnamento sotto il profilo della sicurezza, dall'adozione di norme comuni in materia di ingresso, soggiorno, allontanamento dello straniero e da una politica comune in materia di immigrazione ed asilo. Un «pacchetto» troppo sostanzioso per immaginare di poterlo realizzare interamente al di fuori del quadro giuridico dell'Unione. Sotto il profilo sostanziale, si è creato inoltre un parallelismo e talvolta una sovrapposizione (si pensi in particolare alla materia dei visti) tra la cooperazione Schengen e l'ambito comunitario, anche se la Convenzione di Schengen stabilisce espressamente, agli articoli 134 e 142, la prevalenza del diritto comunitario e di eventuali Convenzioni concluse tra gli Stati membri per la realizzazione di uno spazio senza frontiere interne.
Con la scelta politica di procedere all'incorporazione dell'acquis di Schengen nell'Unione europea e nello spirito complessivo del Trattato di Amsterdam, si è così voluto da un lato riconoscere l'efficacia della cooperazione Schengen e dei risultati che così erano stati conseguiti, dall'altro si è valutato che la cooperazione Schengen non potesse proseguire in un quadro meramente intergovernativo, tanto per ragioni di efficacia, quanto per ragioni di coerenza democratica complessiva del sistema. Si sono così voluti superare i «limiti» insiti nella cooperazione rafforzata Schengen, in particolare quello del deficit democratico che spesso si è lamentato non solo relativamente a Schengen, ma anche rispetto al quadro dell'Unione europea ed in particolare rispetto al terzo pilastro. Anche per questo il Trattato di Amsterdam reca in allegato un Protocollo sul ruolo dei Parlamenti nazionali, che insieme valorizza il ruolo del Parlamento europeo e dei parlamenti nazionali, attribuendo a questi ultimi il diritto ad essere consultati su tutti gli atti da adottare nell'ambito del primo pilastro e del terzo pilastro dell'Unione prima che la decisione venga formalmente assunta, quindi nella fase ascendente del processo decisionale. Scelta ribadita anche nella legge di ratifica del Trattato di Amsterdam (legge 16 giugno 1998, n. 208). Una procedura, quindi, che sembra ripercorrere l'esperienza Schengen voluta dal legislatore italiano che, istituendo un organismo ad hoc per verificare l'attuazione e il funzionamento degli accordi di Schengen, aveva altresì previsto per questo organismo il potere di esprimere un «parere vincolante sui progetti di decisione vincolanti per l'Italia» prima della loro adozione. Una procedura che trova una conferma logica anche nel nuovo Regolamento interno adottato dal Consiglio dei ministri dell'Unione europea, che all'articolo 2 prevede un periodo di sei settimane prima che un atto possa essere messo all'ordine del giorno provvisorio del Consiglio, proprio per consentire ai parlamenti nazionali ed al Parlamento europeo, in attuazione del citato Protocollo sul ruolo dei parlamenti, di essere informati tempestivamente delle decisioni che si intende assumere e di poter esprimere eventuali atti di indirizzo (sull'argomento vedi più dettagliatamente il cap. 7).
In terzo luogo, all'entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, l'acquis di Schengen, che si era sviluppato nel quadro di una cooperazione rafforzata tra stati, sarebbe stato integrato nel quadro istituzionale e giuridico dell'Unione europea, considerando le singole disposizioni fondate sul Titolo VI del Trattato sull'Unione europea, quindi nell'ambito del terzo pilastro dell'Unione, fino all'eventuale adozione di misure che ne comportassero il passaggio al primo pilastro. Una sorta di «clausola di salvaguardia» in caso di difficoltà o incertezze tra gli stati, inserita probabilmente per evitare una rigidità eccessiva e non pregiudicare quindi la possibilità di arrivare in un «secondo momento», dopo l'entrata in vigore del Trattato, alle decisioni previste dal Protocollo. Lo scopo era quello di non compromettere un'altra delle novità introdotte dal Trattato: la progressiva comunitarizzazione di alcune materie Schengen, come la libera circolazione delle persone, le questioni dell'immigrazione e dell'asilo che il Trattato di Amsterdam riconduce nel Titolo IV del TCE, cui pertanto doveva logicamente seguire anche la collocazione delle relative disposizioni facenti parte dell'acquis di Schengen.
La prosecuzione della cooperazione rafforzata nel quadro giuridico dell'Unione europea, la sostituzione del Comitato esecutivo con il Consiglio e l'incorporazione delle disposizioni dell'acquis di Schengen «almeno» nel terzo Pilastro dell'Unione sono state dunque le scelte fondamentali contenute nel Protocollo, che ha poi rinviato a successivi accordi e decisioni del Consiglio il completamento dell'integrazione dell'acquis di Schengen nell'Unione europea. Tali decisioni hanno dovuto riguardare:
1. la preliminare definizione dell'acquis di Schengen;
2. l'attribuzione di una base giuridica alle singole disposizioni dell'acquis;
3. un accordo da definire con Norvegia e Islanda, paesi «associati» alla cooperazione Schengen, in quanto non membri dell'Unione europea, per definire la loro partecipazione all'ulteriore sviluppo dell'acquis di Schengen;
4. un accordo per definire altresì i reciproci diritti e obblighi tra l'Islanda e la Norvegia da un lato, la Gran Bretagna e l'Irlanda dall'altro nei settori dell'acquis che riguardano tali stati;
5. la definizione delle modalità per integrare il segretariato Schengen nel segretariato generale del Consiglio.
La prima decisione che il Consiglio ha dovuto assumere, come si è detto, è stata quella relativa alla definizione dell'acquis di Schengen. Da un punto di vista formale, tale decisione è stata assunta dal Consiglio in composizione a tredici, quindi dagli stati Schengen, senza la partecipazione della Gran Bretagna e dell'Irlanda che ancora non avevano dichiarato di voler aderire a tale cooperazione. Da notare che la decisione è stata assunta dal Consiglio senza necessità di una preventiva iniziativa da parte della Commissione o di uno Stato membro come invece è previsto nella fase transitoria quinquennale in materia di libera circolazione delle persone, di immigrazione e di asilo (Titolo IV del Trattato CE). Né i relativi progetti di decisione sono stati trasmessi al Parlamento italiano per un preventivo parere in vista della loro adozione definitiva, interpretando, ad avviso di questo Comitato, l'articolo 2 del Protocollo in modo del tutto letterale: «Il Consiglio, deliberando all'unanimità ...adotta le disposizioni necessarie...», senza appunto tener conto che il legislatore italiano ha voluto nella materia Schengen uno specifico controllo da parte del Parlamento (8).
Da un punto di vista sostanziale, il Protocollo stesso stabilisce che l'acquis è costituito dall'Accordo di Schengen del 14 giugno 1985, dalla Convenzione di applicazione del 19 giugno del 1990, dall'atto finale e dalle dichiarazioni comuni relativi, dai protocolli e dagli accordi di adesione all'accordo del 1985, con i relativi atti finali e dichiarazioni, dalla convenzione del 1990 firmata successivamente dall'Italia, dalla Spagna, dal Portogallo, dalla Grecia, dall'Austria, dalla Danimarca, dalla Finlandia e dalla Svezia, dalle decisioni e dalle dichiarazioni adottate dal Comitato esecutivo e dagli organi da esso delegati fino all'entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, che segna l'entrata in vigore anche del Protocollo.
La «ricognizione» dell'acquis di Schengen è stata in realtà ben più complessa di quello che si poteva immaginare, essendo ad alcuni Stati apparso inopportuno riconsiderare nell'acquis di Schengen le disposizioni desuete o superate dalla normativa comunitaria (9). D'altra parte
il riconoscere ancora un valore effettivo alle disposizioni dell'acquis non era privo di rilievo, visto che conseguenza ne sarebbe stata la necessità di dovervi attribuire anche una base giuridica, con un innegabile appesantimento dell'insieme delle norme da integrare nel quadro dell'Unione europea (sull'argomento vedi infra capitolo 4).
Quanto alla decisione concernente l'attribuzione delle basi giuridiche alle disposizioni dell'acquis di Schengen, essa è stata il frutto di una lunga trattativa poi concretizzatasi in una decisione del Consiglio per cui valgono, da un punto di vista formale, le stesse considerazioni svolte per la decisione sulla definizione dell'acquis di Schengen, tenendo presente che in questo caso le divergenze tra gli Stati erano più di merito che di forma: il coinvolgimento dei Parlamenti sarebbe stato pertanto ancor più doveroso (sull'argomento vedi infra cap. 4). Si è trattato, in questo caso, di una decisione assunta dal Consiglio nella sua formazione a quindici stati.
Quanto al metodo, all'indomani della firma del Trattato di Amsterdam, è stato costituito un gruppo di lavoro con lo scopo di definire quali disposizioni dell'acquis di Schengen dovessero confluire nel Titolo IV del Trattato che istituisce la Comunità europea, essere quindi «comunitarizzate», e quali rimanere invece sotto l'egida del Terzo pilastro. I problemi maggiori, come si è anticipato e si dirà più in dettaglio nel Capitolo 4, hanno riguardato la collocazione del SIS, il sistema informativo Schengen, nel primo o nel terzo pilastro dell'Unione, cui è sottesa la questione politica se tale strumento debba ritenersi attinente alla libera circolazione delle persone, e quindi da collocare nel primo pilastro, ovvero uno strumento di cooperazione tra le forze di polizia, da collocare nel terzo pilastro dell'Unione. Né sono valse in questo caso soluzioni di carattere tecnico che, su iniziativa della Commissione, ne proponevano una ripartizione tra i pilastri (10): la decisione è stata alla fine di «non decidere» (sull'argomento vedi infra Capitolo 4).
Rispetto all'accordo da concludere con Norvegia e Islanda, si tratta di una decisione che deve essere presa dal Consiglio all'unanimità, ma nella composizione a tredici stati: i paesi Schengen che, sulla base dell'accordo di associazione firmato a Lussemburgo il 19 dicembre del 1996, ne dovranno definire l'ulteriore attuazione e sviluppo. Vi è poi un successivo accordo da concludere per disciplinare diritti e obblighi della Norvegia e dell'Islanda da un lato, della Gran Bretagna e dell'Irlanda dall'altro nei settori dell'acquis che riguardano tali stati. Questa ultima decisione sarà assunta formalmente dal Consiglio nella sua formazione a 15 stati: i paesi membri dell'Unione Europea, ma nella sostanza costituirà l'esito delle negoziazioni avviate con la Norvegia e l'Islanda, quindi una «decisione a 17 Stati».
Quanto ai tempi per l'adozione delle richiamate decisioni, la Dichiarazione n. 44, allegata al Trattato di Amsterdam, prevede
espressamente che le misure necessarie per l'attuazione del Protocollo siano adottate entro la data di entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, così che a decorrere da tale momento l'acquis sia applicabile «almeno» ai tredici Stati Schengen. Lo stesso Protocollo, tuttavia, prevede che le disposizioni dell'acquis di Schengen devono considerarsi fondate sul Titolo VI del TUE fino all'adozione delle misure che ne definiscano una eventuale diversa base giuridica: una sorta di clausola di salvaguardia, come si è detto, che sembra voler escludere rigidità eccessive e non voler pregiudicare la possibilità di arrivare anche in un secondo momento alle decisioni sull'attribuzione delle basi giuridiche all'acquis di Schengen (eventualità questa che, come si è accennato, si è già in concreto verificata a proposito della «collocazione» del SIS). Alcuni automatismi sono invece previsti dallo stesso Protocollo, che a tale data già prevede la sostituzione del Comitato esecutivo con il Consiglio ed una posizione di opting out di Gran Bretagna ed Irlanda, salvo una esplicita richiesta di partecipazione, in tutto o in parte, alle disposizioni dell'acquis di Schengen, nonché il mantenimento della posizione quo ante da parte della Danimarca (che già aveva aderito alla Convenzione di Schengen in quanto produttiva di obblighi di carattere internazionale e non comunitario). Quanto alla definizione degli accordi per stabilire la posizione della Norvegia e dell'Islanda, il Protocollo non contiene alcuna specifica indicazione di tempo; tuttavia il fatto di aver stabilito la prosecuzione del loro status di paesi associati relativamente all'ulteriore sviluppo dell'acquis di Schengen prefigura necessariamente tempi «brevi» per la definizione del relativo accordo, mentre tempi di più ampio respiro possono riguardare la decisione relativa ai reciproci diritti ed obblighi dei due Paesi con Gran Bretagna e Irlanda.
Quanto alla decisione concernente l'integrazione del segretariato Schengen nel segretariato generale del Consiglio, con l'entrata in vigore del Trattato di Amsterdam vengono immediatamente coinvolti gli interessi e i diritti del personale del Segretariato Schengen (in quanto esso, come tale, non «esiste più»): si tratta pertanto di una decisione che deve essere assunta se non in anticipo almeno contestualmente all'entrata in vigore del Trattato stesso.
Si tratta, com'è noto, di due distinte decisioni, la prima delle quali (1999/435/CE) adottata dai tredici Stati membri partecipanti alla «cooperazione rafforzata» che subentra al «sistema Schengen» ha per oggetto la definizione dettagliata dell'acquis Schengen; mentre la seconda decisione (1999/436/CE) adottata all'unanimità da tutti i quindici Stati) si occupa di determinare la base giuridica, nei trattati, delle disposizioni che compongono tale acquis. Limitandosi agli aspetti più significativi e meno scontati delle due importanti decisioni, si possono rilevare gli aspetti seguenti.
4.2. Innanzitutto, bisogna constatare che la decisione 1999/435/CE scioglie un punto oggetto di lunghe controversie negoziali, nel senso che l'«acquis rilevante», quello cioè di cui è necessario determinare la base giuridica ai fini dell'incorporazione, è soltanto quello avente efficacia vincolante e «tuttora in vigore» (considerando n. 2).
Il considerando n. 4 della decisione elenca, poi, in maniera analitica, tutte le ragioni per cui, in relazione a un determinato elemento dell'acquis, la determinazione della base giuridica può risultare non necessaria o non opportuna. La lista comprende, per esempio, le disposizioni che, per il tempo trascorso, sono divenute superflue oppure obsolete in quanto aventi ad oggetto una disposizione che è contemplata anche da una disposizione giuridica della Comunità, dell'Unione europea o da un atto adottato da tutti gli Stati membri, ecc. Questa delimitazione rigorosa dell'acquis rappresenta indubbiamente un fattore di razionalizzazione normativa e deve essere valutata positivamente dal punto di vista della certezza del diritto. In particolare, è da giudicare favorevolmente il fatto che non sia stata adottata, nonostante fosse stata proposta da alcuni Stati, la cosiddetta «clausola balai» (ovvero, secondo la poco elegante, ma chiara, espressione francese generalmente utilizzata, «clausola scopa»), in base alla quale tutte le componenti dell'acquis non specificamente individuate sarebbero ricadute automaticamente nell'ambito del terzo pilastro dell'UE.
Tuttavia, il considerando n. 5 stabilisce espressamente che la mancata determinazione di una base giuridica all'interno del sistema normativo della Comunità e dell'Unione per determinate disposizioni dell'acquis «non ha per effetto di renderle inesistenti o di privarle della loro efficacia giuridica» e che «rimangono impregiudicati gli effetti giuridici degli atti in vigore adottati sulla base di tali disposizioni». I 13 Stati Schengen, insomma, si sono premurati di fare in modo che eventuali «pezzi» di acquis, esclusi o «dimenticati» nella fase dell'incorporazione, conservino comunque la loro efficacia normativa precedente, naturalmente sulla base del diritto internazionale e non del diritto europeo.
Infine, è opportuno sottolineare che, com'era d'altra parte doveroso e inevitabile, l'articolo 1 della decisione 1999/435/CE, al secondo comma, dispone che l'acquis sia pubblicato nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee, ad eccezione delle disposizioni non più in vigore o non più attuali e di quelle classificate come «riservate» dal Comitato esecutivo Schengen. Questo obbligo di pubblicità, che si spera verrà adempiuto nel tempo più breve possibile, assume grande rilevanza, perché sino ad oggi il contenuto integrale dell'intero acquis è rimasto sconosciuto persino ai Parlamenti nazionali degli Stati aderenti e, in particolare, al Comitato Schengen del Parlamento italiano. Le disposizioni dell'acquis di Schengen sono inoltre da considerare, con l'entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, diritto dell'Unione, alla pari di un qualsiasi altro atto comunitario, produttive quindi di obblighi e diritti che devono essere conoscibili da parte di tutti.
4.3. Quanto alla decisione 1999/436/CE, nelle sue linee fondamentali, essa appare conforme allo spirito del Trattato di Amsterdam, che ha segnato una forte discontinuità rispetto al passato nell'approccio
La scelta della comunitarizzazione (con il conseguente rafforzamento dei controlli democratici e giudiziari su un settore di estrema importanza e delicatezza) sarebbe stata contraddetta apertamente e ostacolata, se le disposizioni dell'acquis Schengen relative all'abolizione dei controlli alle frontiere interne, ai controlli alle frontiere esterne, ai visti e all'immigrazione in generale, avessero trovato collocazione nel terzo pilastro dell'UE, invece che nel citato titolo IV del Trattato comunitario. In questo senso il prof. Tesauro, nel corso dell'audizione svolta dinanzi al Comitato Schengen il 20 aprile del 1999, (vedi Resoconti Stenografici allegati) ha affermato che si doveva «sdrammatizzare il problema dell'acquis di Schengen» da ripartire nel primo o nel terzo pilastro dell'Unione europea, in quanto l'acquis di Schengen relativo alle materie del titolo IV del TCE «deve essere necessariamente comunitarizzato» e sarebbe comunque «assorbito dalla comunitarizzazione già avvenuta con il semplice spostamento dal terzo al primo pilastro di queste materie». La decisione spettante al Consiglio sull'attribuzione delle basi giuridiche alle disposizioni dell'acquis di Schengen era dunque, secondo il parere del prof. Tesauro, non insindacabile, ma soggetta al controllo delle Corte di Giustizia, competente a «verificare la legittimità dell'inclusione di una certa materia nel terzo o nel primo pilastro».
Nonostante le difficoltà sorte e gli ostacoli frapposti da alcuni Stati membri questo esito contraddittorio e «anti-europeo» non si è verificato. La decisione 1999/436/CE ha effettivamente operato, in misura quasi completa, quella che il gergo eurocratico definisce ormai «ventilazione» (in un italiano più corretto, si dovrebbe dire «ripartizione») dell'acquis.
La base giuridica delle disposizioni tuttora in vigore e rilevanti della Convenzione, degli accordi di adesione, delle decisioni e dichiarazioni del Comitato esecutivo, e degli «atti adottati ai fini dell'attuazione della convenzione di Schengen dagli organi ai quali il comitato esecutivo ha conferito poteri decisionali» è determinata, in maniera analitica e dettagliata, rispettivamente negli allegati A, B, C e D della citata decisione 8056.
In termini generali, e limitandosi all'allegato A (quello, di importanza ovviamente centrale, che determina la base giuridica degli articoli della convenzione di Schengen), si constata che l'intero titolo II (intitolato - com'è noto - «Soppressione dei controlli alle frontiere interne e circolazione delle persone» e comprendente i seguenti capitoli: cap. I, dedicato al «Passaggio delle frontiere interne»; cap. II, «Passaggio delle frontiere esterne»; cap. III, «Visti»; cap. IV, «Condizioni di circolazione degli stranieri»; cap. V, «Titoli di soggiorno e segnalazione ai fini della non ammissione»; cap. VI, «Misure di accompagnamento») è stato «incorporato» nel primo pilastro. In particolare, la base giuridica delle disposizioni in questione della convenzione è stata individuata negli articoli 62 e 63 del Trattato di Roma, come modificato dal Trattato di Amsterdam. L'unica eccezione è rappresentata dai paragrafi 2 e 3 dell'articolo 27 della Convenzione di Schengen i quali, trattando di un'ipotesi di scambio di informazioni e di cooperazione tra autorità nazionali in merito a casi di traffico
4.4. La principale lacuna all'interno del piano di ripartizione dell'acquis Schengen disposto dalla decisione 1999/436/CE del Consiglio riguarda gli articoli 92-119 della convenzione, ossia dell'intero titolo IV, relativo al «Sistema d'Informazione Schengen» (SIS). Per questi importantissimi articoli, che nella tabella dell'allegato A sono contrassegnati con la sigla «P.M.», è prevalsa una soluzione interlocutoria.
Di fronte alle persistenti divergenze tra gli Stati membri in merito alla più auspicabile collocazione istituzionale futura del SIS (e della relativa Autorità comune di controllo, di cui all'articolo 115 della Convenzione di Schengen), il Consiglio ha deciso «di non decidere», rinviando a tempo indeterminato la scelta definitiva sulla base giuridica di tali disposizioni. La conseguenza immediata di tale rinvio è che - per effetto del disposto dell'articolo 2, par. 1, quarto comma, del protocollo Schengen - l'intera disciplina del SIS e della protezione dei dati personali al suo interno è incardinata nel terzo pilastro.
La soluzione lascia evidentemente insoddisfatti chi (come il Parlamento europeo e la Commissione) - in considerazione del fatto che il SIS (almeno per quanto riguarda la schedatura degli «stranieri segnalati ai fini della non ammissione»: articolo 96 della Convezione di Schengen) è anche uno strumento decisivo di politica dell'immigrazione - auspicava che fosse trovata da subito una soluzione pi- articolata che desse conto di questa natura complessa e multi-funzionale della banca-dati di Strasburgo (11).
4.5. Su un piano più generale, bisogna mettere in evidenza che la ripartizione dell'acquis effettuata dal Consiglio, pur avendo una indiscutibile rilevanza intrinseca, non fa che aprire un processo tecnico-legislativo di notevole complessità. Il Consiglio, infatti, non ha ancora «trasfuso» - come sembra dover fare - le singole disposizioni che compongono l'acquis in atti tipici del primo o del terzo pilastro. Non è ancora stato stabilito, per esempio, se le norme della convenzione e le decisioni del Comitato esecutivo la cui base giuridica è stata individuata nel titolo IV TCE debbano dispiegare, nell'ordinamento
comunitario, gli effetti di un regolamento, di una direttiva o magari di una semplice raccomandazione. È evidente che non si tratta di opzioni equivalenti, né dal punto di vista delle istituzioni comunitarie e degli Stati membri, né da quello dei cittadini europei e dei cittadini di Paesi terzi.
È quindi indispensabile, ai fini della certezza e della effettività del diritto europeo, che - al più presto - la Commissione traduca in precise proposte normative l'intero acquis Schengen di cui, finalmente, conosciamo la base giuridica.
In realtà, già in data 12 marzo 1999, era stata preannunciata dal governo inglese l'intenzione di avvalersi dell'articolo 4 del Protocollo sull'integrazione dell'acquis di Schengen, aderendo a quelle disposizioni dell'acquis che si riferiscono alla cooperazione giudiziaria in materia penale, incluso il SIS e partecipando ad «ogni aspetto della cooperazione nel settore Giustizia e Affari interni presente e futuro che non entri in conflitto con i controlli alle frontiere nazionali» (Agence Europe, 13 marzo 1999). Il governo inglese aveva inoltre manifestato la volontà, pur non modificando il suo sistema di controllo sulle frontiere nazionali, di estendere al massimo la sua partecipazione alla politica sull'immigrazione, ed il suo interesse a sviluppare la cooperazione con i partners dell'Unione Europea in materia di diritto di asilo e per ciò che concerne il diritto civile, la lotta contro la droga e la criminalità organizzata (12).
Concretamente, il ministro dell'interno inglese ha chiesto, nell'ambito del Consiglio GAI del 27 e 28 maggio 1999, di partecipare agli articoli da 39 a 44 e 47 della Convenzione di Schengen in materia di cooperazione di polizia, agli articoli da 48 a 69 in materia di mutua assistenza in materia penale, attuazione del principio del non bis in idem, estradizione e trasferimento dell'esecutorietà delle sentenze penali, agli articoli da 70 a 76 in materia di stupefacenti, agli articoli da 92 a 119 in materia di Sistema Informativo Schengen, agli articoli da 126 a 130 in materia di protezione dei dati personali. È altresì prevista la presentazione di un'analoga richiesta da parte dell'Irlanda.
Si è posto così, forse più rapidamente del previsto, l'esigenza di disciplinare al più presto i reciproci diritti e doveri di questi due Stati con Norvegia e Islanda, in attuazione dell'articolo 6, comma 2 del Protocollo sull'integrazione dell'acquis di Schengen.
Il Comitato misto, in base al citato accordo di associazione, è un organismo composto di rappresentanti dei Governi islandese e norvegese e di membri del Consiglio dell'Unione e della Commissione incaricato di accertarsi che siano tutelati gli interessi di questi due Paesi non membri dell'Unione europea sotto il duplice profilo di eventuali richieste che dai due Paesi provengono nei confronti dell'Unione europea e del coinvolgimento dei paesi stessi - tramite una dovuta informazione - riguardo ad atti o provvedimenti che costituiscono l'ulteriore sviluppo dell'acquis di Schengen. Per l'adozione di questi atti si deve infatti necessariamente tenere conto delle indicazioni fornite dall'Islanda e dalla Norvegia (articolo 8) che «accettano, attuano ed applicano ... gli atti e i provvedimenti adottati dall'Unione europea per modificare o sviluppare le disposizioni dell'acquis di Schengen». A tal fine il Comitato misto, si riunisce non solo a livello ministeriale ma anche a livello di alti funzionari, con la possibilità di partecipare inoltre ai lavori dei Comitati che coadiuvano la Commissione europea nell'esercizio dei suoi poteri esecutivi. È altresì previsto un «potere di iniziativa» da parte dei rappresentanti dei Governi islandese e norvegese, che hanno il diritto di «avanzare suggerimenti» (articolo 4) e, al fine di un'applicazione ed interpretazione il più possibile omogenea delle disposizioni che sviluppano l'acquis di Schengen, possono presentare alla Corte di Giustizia memorie o osservazioni scritte, quando essa sia stata adita da uno Stato membro per l'interpretazione pregiudiziale di una delle disposizioni dell'acquis di Schengen. È prevista inoltre la presentazione, annualmente, al Comitato misto, di relazioni che diano conto delle modalità con cui le autorità amministrative e giurisdizionali della Norvegia e dell'Islanda abbiano applicato ed interpretato le disposizioni dell'acquis.
Quanto all'accordo da concludere, ai sensi dell'articolo 6, comma 2 del Protocollo sull'integrazione dell'acquis di Schengen, tra la Norvegia e l'Islanda da un lato e la Gran Bretagna e l'Irlanda dall'altro nei settori dell'acquis cui partecipano uno o entrambi i due paesi, si tratta di una decisione da assumere all'unanimità di tutti i membri del Consiglio, che verrà probabilmente adottata entro il mese di giugno. I punti salienti della proposta di decisione (DOC. JAI 44-9139/99) sono la previa consultazione del Comitato misto, quindi della Norvegia e dell'Islanda, allorché Regno Unito e/o Irlanda chiedano di partecipare a singoli settori della cooperazione rafforzata Schengen.
In ogni caso, affinché sorgano tra gli Stati interessati effetti giuridici occorre il verificarsi di due condizioni: che le disposizioni di cui trattasi siano divenute applicabili per Norvegia e/o Irlanda (a
seguito dell'apposita constatazione fatta dal Consiglio) e per Regno Unito e/o Irlanda (a seguito dell'opzione da essi esercitata ed accolta dal Consiglio stesso).
I tredici Stati Schengen sono infatti autorizzati a proseguire tra loro la cooperazione rafforzata per l'applicazione dell'acquis di Schengen nel quadro giuridico dell'Unione europea (articolo 1 del Protocollo sull'integrazione dell'acquis). Ciò significa che le disposizioni dell'acquis la cui base giuridica sia stata riconosciuta nel primo o nel terzo pilastro non vengono «diluite» nel Titolo IV del TCE o nel Titolo VI del TUE, bensì conservano la loro specificità e soprattutto la loro riconoscibilità in quanto oggetto di una cooperazione rafforzata che le differenzia rispetto alle più ampie materie dell'immigrazione, visti, asilo, attraversamento delle frontiere esterne di cui al Titolo IV del TCE e della cooperazione di polizia e giudiziaria penale di cui al Titolo VI del TUE.
La ragione di questa differenziazione si legge nei «considerando» del Protocollo sull'integrazione: «tenendo conto della particolare posizione della Danimarca», «tenendo conto del fatto che l'Irlanda e il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord non sono parte degli accordi di Schengen», ma «possono in qualsiasi momento chiedere di partecipare, in tutto o in parte, alle disposizioni dell'acquis (articolo 4 del Protocollo); «tenendo conto della necessità di mantenere un rapporto speciale con la Repubblica d'Islanda e il Regno di Norvegia, Stati che hanno entrambi confermato la loro intenzione di essere vincolati dalle disposizioni summenzionate, in base all'accordo firmato a Lussemburgo il 19 dicembre 1996», in altri termini, uno «Schengen à la carte», di cui appare indispensabile individuare un filo conduttore.
La stessa decisione del Consiglio 8056/99, che ha attribuito la base giuridica alle singole disposizioni dell'acquis di Schengen stabilisce, nel considerando n. 11 che «gli atti giuridici emanati in virtù di una proposta o di un'iniziativa finalizzata all'ulteriore sviluppo dell'acquis di Schengen devono contenere un riferimento al protocollo Schengen», e la ragione di questa «marchiatura Schengen», come chiarisce lo stesso considerando, risiede nella necessità che «sia assicurata la certezza del diritto e le disposizioni facenti parte del Protocollo possano essere applicate in ogni momento».
Concretamente l'apposizione di un «bollino Schengen» è collegata alla necessità, di mantenere la Norvegia e l'Islanda associate al processo di «decision shaping», come ha rilevato anche il Commissario europeo Monti nel corso di un'audizione svolta dinanzi al Comitato il 5 maggio u.s., e di consentire una partecipazione ad hoc della
Si conferma ancora quindi una volta l'esigenza, affinché sia assicurata la certezza del diritto, della riconoscibilità della materia Schengen e quindi dell'ulteriore sviluppo dell'acquis, incorporato nel primo o nel terzo pilastro. Si tenga inoltre presente che, in base all'articolo 5 del Protocollo sulla posizione della Danimarca, questo paese dispone di un periodo di «6 mesi dalla decisione del Consiglio su una proposta o un iniziativa di sviluppare l'acquis di Schengen per comunicare se intende recepire tale disposizione nel proprio diritto interno». Se deciderà in tal senso si creerà un obbligo di diritto internazionale non solo tra la Danimarca e i 13 Stati Schengen, ma anche con l'Irlanda e la Gran Bretagna, se questi Stati membri avranno comunicato di voler partecipare ai settori di cooperazione in questione.
Un intreccio quindi di obblighi, diritti, nonché di conseguenze finanziarie che deve necessariamente avere un elemento di riconoscimento, rappresentato appunto dal «bollino Schengen», almeno fino a quando, entro i 5 anni delineati dal Trattato di Amsterdam, la comunitarizzazione delle disposizioni dell'acquis di Schengen e, più in generale, delle materie di cui al Titolo IV del TCE non sia portata a compimento, con il passaggio alla procedura di codecisione con il Parlamento europeo (un discorso a parte riguarda invece le materie del terzo pilastro e quindi le disposizioni dell'acquis di Schengen confluite nel Titolo VI del TUE, rispetto a cui il metodo intergovernativo è ancor più evidente e potrebbe protrarsi ancor più a lungo).
Sotto il profilo dei tempi, anche la progressiva comunitarizzazione, entro un periodo di 5 anni, delle materie di cui al Titolo IV del TCE, in cui sono in parte confluite le disposizioni dell'acquis di Schengen, presenta elementi di incertezza. È auspicio comune, infatti, che i 5 anni rappresentino un «termine ultimo» per giungere, già nei prossimi anni, alla più democratica procedura di codecisione con il Parlamento europeo, che porterebbe a compimento la scelta politica della comunitarizzazione. Tuttavia, al trascorrere dei 5 anni, potrebbe non essere stato ancora conseguito questo risultato, visto che il Consiglio non è «obbligato» a deliberare, peraltro all'unanimità, la codecisione con il Parlamento europeo nei settori (o parte di essi) contemplati dal titolo IV del TCE. Si tratta infatti di una «eventualità», vista con un certo scetticismo anche da alcuni studiosi auditi nel corso dell'indagine conoscitiva, tra cui la professoressa Adinolfi (vedi Resoconto Stenografico allegato) che ha sottolineato come non sia facile prevedere «un consenso unanime degli stati a questo fine», consenso che «non sarà neppure facilmente raggiungibile», tenendo peraltro presente che «proprio all'interno di questo arco di tempo dovrà essere adottata, secondo quanto indica il Trattato, la maggior parte degli atti normativi in materia di immigrazione ... e compiute scelte molto significative...».
Il secondo elemento di incertezza, assai più delicato, è rappresentato dunque dalla effettiva volontà, da parte di tutti gli Stati membri, di voler proseguire e dare attuazione concreta alla comunitarizzazione delle materie di cui al Titolo IV del TCE, anche se la
A parte queste constatazioni preliminari, si deve poi osservare che allo stato attuale la cooperazione Schengen prosegue nel quadro giuridico dell'Unione europea senza sostanziali cambiamenti, rispetto alla situazione precedente all'entrata in vigore del Protocollo sull'integrazione, sia per quanto concerne le disposizioni confluite nel Titolo IV del TCE, sia per quanto riguarda le materie confluite nel Titolo VI del TUE, sotto il profilo delle procedure decisionali, del controllo della Corte di giustizia, del controllo democratico dei parlamenti.
L'unica novità, a ben guardare, è il potere di iniziativa attribuito anche alla Commissione oltre che ai singoli Stati membri, mentre nell'ambito della cooperazione Schengen la Commissione aveva un ruolo di mero «osservatore». Nel sistema comunitario vero e proprio, tuttavia, l'iniziativa appartiene alla sola Commissione, che, per la sua stessa composizione, con la partecipazione di tutti gli Stati membri, ha funzioni di garanzia e di indipendenza.
Il quadro appare invariato, invece, per quanto concerne le materie confluite nel terzo pilastro dell'Unione europea, visto che in questo caso il metodo intergovernativo, con l'iniziativa attribuita agli Stati membri e le decisioni assunte dal Consiglio all'unanimità, ripercorre nella sostanza lo «schema Schengen», con un ruolo di mero osservatore da parte della Commissione.
Di qui l'importanza di non sottovalutare nessuno strumento del controllo democratico, realizzando anzi - se possibile - una «sinergia» tra Parlamento europeo e parlamenti nazionali. La consultazione obbligatoria vale, del resto, anche per i Parlamenti nazionali che, azionando i propri meccanismi interni, devono poter esprimere pareri e/o atti di indirizzo al Governo.
Questo modulo di intervento, che per la prima volta si trova disciplinato in modo specifico anche in un atto comunitario, e precisamente nel Protocollo allegato al Trattato di Amsterdam sul ruolo dei parlamenti nazionali nell'Unione europea, ribadito da ultimo anche nel nuovo Regolamento interno del Consiglio, (14) non e affatto nuovo sul piano interno.
La legge di ratifica degli accordi di Schengen (legge 30 settembre 1993, n. 388) che istituisce il Comitato parlamentare Schengen, disegna infatti un ruolo incisivo del Comitato nella fase ascendente del
La legge comunitaria per il 1995-97 (legge 24 aprile 1998, n. 128) richiede altresì un intenso impegno al Parlamento nella fase ascendente (articolo 14: «1. I progetti degli atti normativi e di indirizzo di competenza degli organi dell'Unione europea o delle Comunità europee, nonché gli atti preordinati alla formulazione degli stessi, e le loro modificazioni, sono comunicati, contestualmente alla loro ricezione, alle Camere per l'assegnazione alle Commissioni parlamentari competenti, alle regioni anche a statuto speciale e alle province autonome, dal Presidente del Consiglio dei ministri o dal Ministro competente per il coordinamento delle politiche comunitarie, e indicando la data presunta per la loro discussione o adozione da parte degli organi predetti. Le Commissioni parlamentari, prima della data di cui al comma 1, formulano osservazioni e adottano ogni opportuno atto di indirizzo al Governo. Entro il predetto termine le regioni e le province autonome possono inviare al Governo osservazioni») ed infine la stessa legge di ratifica del Trattato di Amsterdam (legge 16 giugno 1998, n. 209) ribadisce tale impegno [articolo 3: «1. Il Governo assicura che siano tempestivamente messi a disposizione delle Camere, delle regioni e delle province autonome tutti i documenti di consultazione redatti dalla Commissione ("libri verdi", "libri bianchi" e comunicazioni), le proposte legislative della Commissione, quali definite dal regolamento interno del Consiglio dell'Unione europea e le proposte relative alle misure da adottare a norma del Titolo VI del Trattato sull'Unione europea. 2. Nei termini previsti dalle norme comunitarie, le Camere formulano osservazioni ad adottano ogni opportuno atto di indirizzo al Governo»].
La crescita del ruolo svolto dal Parlamento europeo non determina quindi un affievolimento delle ragioni che stanno alla base del controllo esercitato dai Parlamenti nazionali. Come infatti ha affermato il Ministro Letta nel corso di un'audizione svolta dinanzi al Comitato (Vedi Resoconto Stenografico allegato): «L'immagine che raffigura l'azione di controllo e di rappresentanza democratica del Parlamento europeo o dei Parlamenti nazionali come elementi di un gioco a somma zero, come vasi comunicanti nei quali la crescita di livello di una delle due arene porta alla diminuzione di livello della seconda, non è corretta né credo adeguata alla complessità dell'ordinamento comunitario attuale». Gli obiettivi e la ratio dei due livelli del controllo sono infatti diversi ed inoltre più che necessari entrambi in una fase che, come si è detto, non assicura ancora la compartecipazione del Parlamento europeo al processo decisionale. E comunque: «il Parlamento europeo porta una visione di ampiezza europea, contribuendo nel confronto tra le forze e le idee politiche, ad esprimere ragioni ed interessi diffusi, che rischierebbero di non trovare altrimenti spazio»; gli interessi, in altri termini, dei cittadini europei. «Il Parlamento nazionale porta le istanze specifiche della generalità degli interessi e dei cittadini nella formazione di una più consapevole e approfondita posizione nazionale in seno alla deliberazione sovranazionale». Concetto questo ribadito anche dal Prof. Tesauro (vedi Resoconto Stenografico allegato) che in particolare ha sottolineato come una stretta collaborazione tra Parlamento e Governo nazionale
L'elemento su cui tuttavia permangono ambiti di incertezze è la forma del controllo e dell'indirizzo parlamentare e quindi anche dell'organo «legittimato» all'interno del Parlamento ad esprimere tale indirizzo.
Sotto questo profilo, la legge di ratifica del Trattato di Amsterdam si limita a prevedere l'espressione «di ogni opportuno atto di indirizzo al Governo» da parte delle Camere, essendo poi rimessa all'autonomia regolamentare di queste ultime la scelta della modalità di intervento. D'altra parte il mutato contesto istituzionale europeo non cambia a livello nazionale la posizione del Governo rispetto alle Camere.
Il legislatore italiano in questo senso aveva dimostrato grande sensibilità quando, con la ratifica degli accordi di Schengen, aveva previsto una forma di codecisione Parlamento-Governo attribuendo ad un Comitato bicamerale il potere di esprimere un parere vincolante nella fase ascendente del processo decisionale. Un modulo di intervento che sembra quasi anticipare la «formula della codecisione» Consiglio-Parlamento europeo che il Trattato di Amsterdam prefigura in prospettiva (entro 5 anni) per le materie Schengen e più in generale per le materie attinenti allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia entro un periodo di cinque anni.
Tuttavia una simile forma di intervento è ipotizzabile se titolare ne è un organismo «unico», quindi bicamerale o monocamerale, ma non se il controllo è attribuito genericamente ad entrambe le Camere, con il rischio di pareri difformi o addirittura contrastanti tra loro. L'unità rappresenta dunque un punto di riferimento importante da cui partire soprattutto, secondo quanto esposto dal Ministro Letta, per «disegnare le forme del controllo parlamentare sulle politiche in materia di libera circolazione delle persone» ... D'altra parte «l'obiettivo della creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia nell'Unione richiede di organizzare politiche complesse, che colleghino in modo coerente diversi flussi di produzione normativa, che possono partire dall'ambito del primo o del terzo pilastro. L'unitarietà di un controllo parlamentare che verifichi i progressi compiuti nei diversi settori è un elemento positivo per l'efficacia del controllo e funzionale ad una maggiore coerenza delle scelte politiche». Del resto, la costruzione dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia ha alle sue fondamenta lo spazio Schengen di libera circolazione delle persone e l'ulteriore sviluppo dell'acquis di Schengen incorporato nel quadro giuridico dell'Unione europea (primo e terzo pilastro) sarà il tassello su cui costruire la cittadinanza europea, uno spazio giudiziario europeo, una politica comune in materia di immigrazione, un trattamento analogo quanto ai criteri di valutazione per l'esame delle domande di asilo, eccetera.
Premesse queste considerazioni, al fine di definire le forme del controllo parlamentare e quindi gli ambiti di competenza delle Commissioni, si tratta di scegliere se voler privilegiare un criterio di «competenza per fonte normativa» o di «competenza per materia». In altri termini: si deve tener presente che parte della materia Schengen è stata comunitarizzata e deve quindi seguire quanto al controllo parlamentare le procedure utilizzate rispetto alle norme comunitarie ovvero si deve tener conto dell'ampiezza e della complessità della materia, che per sua natura è «interpilastri» e necessita di una visione integrata degli aspetti che ne fanno parte? E ancora: se si segue il criterio più formalistico della competenza per «fonte normativa» che tipo di controllo assicurare agli atti che proseguendo la cooperazione Schengen si svilupperanno nel quadro del terzo pilastro dell'Unione europea? E come «conciliare» il controllo su tali atti con quello sugli atti che sviluppano l'acquis di Schengen nell'ambito del Titolo IV del TCE tenendo presente che esiste una innegabile connessione, sancita dal «bollino Schengen», tra le due categorie di fonti?
Vista la complessità e probabilmente la non coerenza della situazione che si verrebbe a determinare seguendo il primo criterio e tenendo inoltre presente che la legge di ratifica degli accordi di Schengen è ancora in vigore, sembra davvero quasi obbligata la scelta di dover seguire un criterio di «competenza per materia»: la materia Schengen contrassegnata dal suddetto «bollino», per poi definire l'organo legittimato ad effettuare il controllo parlamentare e quindi la forma del controllo stesso. Il criterio della «competenza per materia» dovrebbe peraltro portare a considerare unitariamente non solo la materia Schengen, ma la materia «spazio di libertà, sicurezza e giustizia» (Sull'argomento, vedi, infra, il capitolo successivo).
In questa ultima ipotesi le competenze del Comitato non dovrebbero tuttavia intendersi come esclusive. È opportuno, infatti, che le commissioni permanenti competenti in materia di giustizia e affari interni non rimangano escluse dalla cognizione di atti e documenti rientranti nelle politiche generali dell'Unione europea. Si potrebbe pertanto immaginare una procedura parlamentare che, con l'obiettivo di conservare al parlamento l'importante prerogativa del parere vincolante nella fase ascendente del processo decisionale valga ad arricchire il contenuto di tale parere con eventuali osservazioni di altre Commissioni di merito.
Una forma quindi di partecipazione al procedimento consultivo che consenta di ampliare lo spettro delle valutazioni in base alle quali esprimere il parere vincolante, che, come si è detto, rappresenta un qualificante potere di indirizzo al Governo in materie connesse alla tutela dei diritti fondamentali costituzionalmente garantiti ed evita inoltre, in quanto espresso da un organismo bicamerale, l'eventualità di pareri discordanti, che non giovano all'efficacia e alla funzionalità del controllo.
In conclusione, sia il dato formale dell'essere ancora in vigore la legge di ratifica degli accordi di Schengen, sia il dato sostanziale della «carenza di controllo parlamentare» che si verrebbe a determinare se venisse meno il parere vincolante riconosciuto al Comitato portano a ritenere che non si debba rinunciare a questo importante potere di
Sebbene non sia definito in termini organici e dettagliati nel Trattato di Amsterdam, lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia si configura indiscutibilmente come un ambito di elaborazione politica e normativa interdisciplinare, in cui confluiscono, in particolare, le attività in materia di immigrazione, asilo e cooperazione giudiziaria in materia civile svolte nell'ambito del nuovo titolo IV TCE e le attività in materia di cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale svolte in base al titolo VI TUE (15).
Le ragioni di questa ripartizione - a cui corrisponde logicamente e praticamente la «ventilazione» tra primo e terzo pilastro dell'acquis di Schengen - sono essenzialmente politiche e hanno a che fare con il diverso rapporto tra sovranità nazionali e interesse comune europeo nel settore della politica migratoria, da un lato, e in quello della lotta alla criminalità (in particolare a quella organizzata operante su base transnazionale), dall'altro.
Pur collocando gli «affari interni» in ambiti istituzionali diversi, però, il Trattato di Amsterdam ha voluto conservare un raccordo concettuale, politico e istituzionale tra le due metà del vecchio «terzo pilastro». È stata così elaborata la nozione di spazio di libertà, sicurezza e giustizia.
La necessità di configurare questo ambito unitario di elaborazione politica e normativa interdisciplinare (e «inter-pilastro») è derivata dalla consapevolezza che, sebbene migrazioni e criminalità, visti e cooperazione di polizia, cooperazione giudiziaria in materia civile e penale siano tematiche distinte, che sarebbe fuorviante (anche nei rapporti con l'opinione pubblica) continuare a confondere nello stesso «calderone» istituzionale, le connessioni tuttavia esistono.
Esistono innanzitutto connessioni di ordine pratico: per esempio, quelle derivanti dal fatto che l'immigrazione clandestina verso l'Europa comunitaria è, oggi, in gran parte, gestita da organizzazioni criminali sempre più complesse.
Ma esiste anche l'esigenza di uno stretto raccordo politico-decisionale. È opinione assai diffusa, infatti, che ci debba essere un certo parallelismo tra settori diversi del processo di integrazione europea. In particolare, con riferimento al vasto settore degli affari interni, è opinione largamente condivisa in seno alle istituzioni comunitarie e agli Stati membri che, sinora, la cooperazione europea ha fatto grandi passi avanti in materia di attività di polizia, mentre si trova ancora a uno stadio primitivo nel campo giudiziario. Simili asimmetrie possono indubbiamente provocare squilibri, che l'esistenza di un framework decisionale unitario (come, appunto, lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia) dovrebbe evitare.
D'altra parte l'esigenza di programmare l'azione europea in maniera integrata, senza separazioni rigide tra pilastri, e avendo come riferimento ideale e pratico uno spazio poliziesco, giudiziario, giuridico e di libertà unico, è confermata dalla prassi recente delle istituzioni europee.
Nel mese di dicembre 1998, è stato presentato un Piano d'azione, elaborato congiuntamente dalla Commissione e dal Consiglio che ha per oggetto proprio la realizzazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Allo stesso tema, complessivamente considerato, il Parlamento europeo ha consacrato una conferenza interparlamentare nel mese di marzo 1999. Infine, è in calendario per il mese di ottobre 1999, durante il semestre di presidenza finlandese dell'Unione, un Consiglio europeo straordinario, a Tampere, interamente dedicato alle problematiche connesse con la realizzazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia.
Se, dal punto di vista politico e strategico, lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia si configura come un unicum, anche il controllo democratico sulla nascita e sullo sviluppo di questa nuova dimensione dell'integrazione europea deve essere unitario. Questo dato affiora, con estrema evidenza, dalla prassi e dall'organizzazione del Parlamento europeo, la cui «Commissione per le libertà pubbliche» ha assunto, negli ultimi mesi, un compito di supervisione globale sullo sviluppo dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia.
Anche in seno alla Commissione, un approccio analogo sembra farsi strada, Dopo le incertezze sulla ripartizione delle competenze tra Commissari e tra direzioni generali della Commissione, che hanno caratterizzato negativamente il mandato della Commissione uscente, il nuovo Presidente della Commissione europea, nel quadro di una vasta riforma della struttura e del funzionamento dell'organo, ha annunciato anche un accorpamento delle competenze dei commissari, che dovrebbe, tra l'altro, garantire un approccio integrato e una responsabilita politica unitaria nella costruzione dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia.
Alla luce di questi sviluppi, appare indubbiamente opportuno, se non necessario, assicurare che - anche a livello nazionale - esista una sede specializzata in cui le tematiche diverse afferenti allo spazio di
La istituzione di un organo parlamentare dotato di simili competenze favorirebbe, inoltre, la cooperazione e la sinergia tra il Parlamento nazionale e il Parlamento europeo, dove - come abbiamo visto - opera un organo, la Commissione per le libertà pubbliche, il cui spettro di competenze è, appunto, ampio e interdisciplinare.
Una simile simmetria di competenze tra organi specializzati di controllo democratico, a livello nazionale e a livello europeo, sarebbe coerente con un modello di controllo democratico complesso che si va affermando nella dottrina e che ha trovato, ora, una decisiva «investitura» ufficiale, mediante il protocollo sul ruolo dei Parlamenti nazionali allegato al Trattato di Amsterdam. Si tratta di un modello di controllo parlamentare a più livelli, in cui le istanze comuni di libertà e di giustizia del «popolo europeo» vengono espresse dal Parlamento continentale, mentre le istanze analoghe che emergono a livello nazionale, coerentemente con il principio «costituzionale» di sussidiarietà, trovano nei Parlamenti nazionali i loro portavoce e i loro difensori.
Rispetto all'ambito nazionale si ritiene pertanto di poter formulare una proposta che sulla base delle precedenti considerazioni può essere letta come «interpretazione della situazione esistente» o come stimolo ad un vero e proprio adeguamento normativo. Le conclusioni a cui si è pervenuti al termine dell'indagine conoscitiva in oggetto sono infatti che con l'entrata in vigore del Trattato di Amsterdam (e quindi del Protocollo sull'integrazione dell'acquis di Schengen nell'ambito dell'Unione europea) la cooperazione Schengen prosegue nel quadro giuridico dell'Unione e le materie oggetto di tale cooperazione devono essere «riconoscibili» per le considerazione esposte nel capitolo 7 (Schengen à la carte). Inoltre sia le materie confluite nel Titolo IV del TCE che le materia confluite nel Titolo VI del TUE conservano ancora sia per le procedure decisionali che per il controllo esercitato dalla Corte di giustizia che per il controllo esercitato dal Parlamento europeo e dai parlamenti nazionali forti caratteristiche del metodo intergovernativo.
Si ritiene allora che il Parlamento non possa retrocedere rispetto a prerogative (parere vincolante nella fase ascendente del processo decisionale) che il legislatore aveva voluto rispetto alla materia Schengen e che tali competenze debbano essere ricondotte al Comitato parlamentare Schengen non solo perché la legge che le prevede è ancora in vigore, ma perché il contesto di riferimento (Titolo IV del TCE e Titolo VI del TUE) non è ancora «comunitario», e - non ultimo - anche per la specifica esperienza che ha maturato il Comitato.
Lo stesso Ministro Dini (cfr. Resoconto Stenografico del 22 luglio 1999) nel corso dell'audizione «conclusiva» dell'indagine conoscitiva, ha affermato che «fino al momento della comunitarizzazione il parere del Comitato mantiene tutta la sua forza», ed ha valutato positivamente la prospettiva di un ampliamento delle competenze del Comitato
La soluzione più coerente al nuovo contesto che, come si è detto, accanto all'integrazione dell'acquis di Schengen nell'Unione europea prevede il più ambizioso obiettivo della trasformazione dell'Unione stessa in uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia sembrerebbe allora quella prescelta dal Parlamento dei Paesi Bassi che pure, come si è detto, si era dotato di organismo parlamentare con potere di esprimere un parere vincolante sulla materia Schengen. Tale potere rimarrà - per quanto concerne il parlamento olandese - su tutte le materie del Titolo VI del TUE e sulle materie del Titolo IV del TCE fino a quando non sarà completata la procedura di comunitarizzazione (vedi la legge di ratifica del Trattato di Amsterdam approvata dal Regno dei Paesi Bassi il 24 dicembre 1998, allegata al presente documento).
Rispetto alla situazione italiana si deve osservare che la ripartizione dell'acquis di Schengen tra primo e terzo pilastro si esplica in un elenco di atti e non di materie in senso stretto. Tali atti sono e saranno (relativamente all'ulteriore sviluppo dell'acquis di Schengen) quelli contrassegnati da un «bollino Schengen» e costituiscono di fatto il nucleo del costituendo spazio di libertà, sicurezza e giustizia. L'ipotesi «minima» che pertanto si può formulare rispetto alle competenze del Comitato, che peraltro può desumersi dalla situazione esistente (permanenza in vigore della legge istitutiva del Comitato, «bollino» Schengen sugli atti che sviluppano l'acquis eccetera) in via di interpretazione, è il permanere di un potere consultivo nella forma del parere vincolante sugli atti che proseguono la cooperazione Schengen nel quadro giuridico dell'Unione europea (primo e terzo pilastro) almeno fino a quando non sarà completata, relativamente al Titolo IV del TCE, la procedura di comunitarizzazione. In una più ampia prospettiva, pensando eventualmente ad un adeguamento normativo, la soluzione più coerente sembrerebbe invece quella di dettare - analogamente a quanto ha deciso il Parlamento dei Paesi Bassi - una disciplina speciale per il controllo parlamentare nelle materie del Titolo IV del TCE e del Titolo VI del TUE. La permanenza ed eventualmente l'estendersi di un forte controllo - nella forma di un parere vincolante attribuito ad un organismo ad hoc quale il Comitato parlamentare Schengen, che assicura peraltro, essendo bicamerale, l'unitarietà di indirizzo - appare coerente con la scelta iniziale del legislatore di assicurare un intervento incisivo del Parlamento su una materia strettamente legata ai diritti fondamentali dei cittadini che, una volta integrata nel quadro giuridico dell'Unione, costituirà la base su cui costruire e sviluppare lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Il Comitato parlamentare Schengen ha acquisito d'altra parte un patrimonio di competenze (cui si è aggiunta la vigilanza sull'attività
Evitando quindi di duplicare competenze ma al tempo stesso angolazioni settoriali, sarà importante trovare l'opportuna sede politica per realizzare gli adeguamenti proposti. In quest'ottica, anche in relazione ai nuovi poteri che il Trattato di Amsterdam attribuisce alla COSAC (Conferenza degli organi specializzati negli affari europei) sullo sviluppo dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, si dovrebbe considerare la partecipazione del Comitato alle riunioni di questo organismo, che seppure non ha poteri decisionali, può rappresentare un utile laboratorio di indirizzo e di impulso normativo.
Un'ultima considerazione si vuole svolgere sul futuro degli altri organismi Schengen quali l'Autorità Comune di Controllo, la Commissione permanente per l'applicazione della Convenzione, lo stesso Segretariato Schengen, che sembra rispondere alla medesima esigenza di dover conciliare e coordinare il «sistema Schengen» con la nuova cornice istituzionale. In altri termini non è stato ancora possibile «diluire» il «sistema Schengen» nell'Unione ed allo stato attuale, esso conserva una sua specificità.
L'Autorità Comune di controllo, ad esempio, continuerà ad esistere con gli stessi compiti previsti dall'articolo 115 della Convenzione di Schengen almeno fin quando non si arriverà alla costituzione di un'unica autorità per la tutela dei dati personali prevista dall'articolo 286 del TCE: ma un eventuale assorbimento dei compiti dell'ACC Schengen presupporrebbe che il SIS fosse trasferito in ambito comunitario. Quindi, fino a quando il SIS rimarrà nell'ambito del Terzo pilastro l'unico controllo ipotizzabile è quello dell'Autorità Comune di Controllo Schengen assistita dal Segretariato Schengen confluito nel Segretariato generale del Consiglio. Questa Autorità, è detto in una decisione del Consiglio del maggio 1998, rimarrà un'Autorità indipendente, in quanto non viene assimilata ad un gruppo di lavoro del Consiglio (17). La Commissione incaricata di valutare la corretta applicazione della Convenzione di Schengen diverrà invece un gruppo di lavoro interno al Consiglio senza tuttavia che sia stato modificato il suo mandato: vi sono pertanto alcune discrasie rispetto alle competenze della Commissione, che a partire dal 10 maggio ha assunto automaticamente il ruolo di guardiana dei Trattati per gli aspetti «primo pilastro» del funzionamento di Schengen. I compiti della Commissione permanente gruppo di lavoro del Consiglio non dovrebbero pertanto influire sul ruolo di guardiana dei trattati della Commissione rispetto
In conclusione l'integrazione dell'acquis di Schengen nell'Unione europea, che pure ha già richiesto un notevole impegno soprattutto relativamente alla cosiddetta «ventilazione» delle relative disposizioni, lungi da potersi considerare un «momento conclusivo» è al contrario il primo passo, quasi una scommessa, verso la trasformazione dell'Unione in uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, ed è pertanto opportuno seguire con un'attenzione particolare l'evolversi delle materie che vi sono alla base, le quali non possono rimanere estranee o sottoposte occasionalmente al controllo del Parlamento nazionale.
(1) Legge 16 giugno 1998, n. 209.
(2) Si ricorda che l'Accordo di Schengen pur essendo stato sottoscritto da 13 paesi e dalla Norvegia e l'Islanda in forma di associazione, non essendo questi stati membri dell'Unione europea, è in realtà operativo solo in 9 paesi, per i quali sono state completate tutte le procedure di ratifica e verificate le condizioni sostanziali di applicabilità dell'Accordo. Questi paesi sono l'Austria, il Belgio, la Francia, la Germania, l'Italia, il Lussemburgo, i Paesi bassi, il Portogallo e la Spagna. La Grecia si trova ancora in una situazione «mista», in quanto partecipa al SIS, il sistema informativo Schengen, e alla cooperazione in materia di visti, ma sono ancora operativi i controlli alle frontiere aeree e marittime. Quanto alla Danimarca, alla Svezia e alla Finlandia, sono ancora in corso le procedure di ratifica da parte degli stati membri.
(3) Sull'argomento vedi il capitolo 7 del primo volume relativo all'indagine conoscitiva sull'attuazione della Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen in Atti parlamentari - XIII Legislatura, Indagini conoscitive e documentazioni legislative, n. 3, 1997, consultabile anche sul sito internet della Camera dei deputati, all'indirizzo www.camera.it/chiosco.asp?content=/ bicamerali/home.htm, Comitato Schengen, «indagini conoscitive».
(4) Il Trattato di Amsterdam definisce in termini generali il concetto di cooperazione rafforzata (titolo VII del TUE) e poi ne specifica le procedure, i limiti e le condizioni con riguardo ai singoli pilastri dell'Unione, cosi da poter tener conto delle particolari caratteristiche di ciascuno.
(5) A tale riguardo è da sottolineare come il Trattato di Amsterdam, nel disciplinare le forme di cooperazione rafforzata «possibili» nel quadro giuridico dell'Unione europea, ne preveda anche l'assoggettamento al controllo giurisdizionale della Corte di giustizia.
(6) Anche nel Parlamento dei Paesi Bassi esiste infatti un apposito sottocomitato della Commissione giustizia che segue le materie Schengen esprimendo, al pari del Comitato italiano, pareri vincolanti al Governo prima che il Governo possa esprimersi in sede internazionale impegnando la posizione del Paese.
(7) Vedi in particolare la Risoluzione del Parlamento europeo sul funzionamento e l'avvenire di Schengen, A4-0014/97.
(8) Più correttamente, la suddetta decisione, unitamente a quella concernente l'attribuzione delle basi giuridiche all'acquis di Schengen, è stata trasmessa per il parere al Parlamento olandese, che, come si è detto, ha un sistema di controllo sulla materia Schengen analogo a quello previsto dal legislatore italiano.
(9) Si tenga presente che in base agli articoli 134 e 142 della Convenzione di Schengen, il diritto comunitario è prevalente rispetto alle norme della Convenzione, le quali vengono sostituite o modificate in funzione di eventuali convenzioni concluse in ambito comunitario. Ciò è avvenuto, ad esempio, quando è entrata in vigore la Convenzione di Dublino sullo stato responsabile ad esaminare una domanda di asilo, che ha sostituito gli articoli da 28 a 38 della Convenzione di Schengen.
(10) Sull'argomento vedi il capitolo III del volume conclusivo dell'indagine conoscitiva sull'attuazione della Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen in Atti parlamentari - XIII Legislatura, Indagini conoscitive e documentazioni legislative,n. 3,a, 1998, consultabile anche sul sito internet della Camera dei deputati, all'indirizzo www.camera.it/chiosco.asp?content=/ bicamerali/home.htm, Comitato Schengen, «indagini conoscitive».
(11) Per un esame delle varie ipotesi formulate nei mesi scorsi in merito al possibile assetto istituzionale e organizzativo del SIS, rinviamo a quanto esposto nel capitolo III del volume conclusivo dell'indagine conoscitiva sull'attuazione della Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen in Atti parlamentari - XIII Legislatura, Indagini conoscitive e documentazioni legislative, n. 3,a, 1998, consultabile anche sul sito internet della Camera dei deputati, all'indirizzo www.camera. it/chiosco.asp?content=/ bicamerali/home.htm, Comitato Schengen, «indagini conoscitive».
(12) L'annuncio inglese di parziale adesione ad alcuni aspetti della cooperazione Schengen ha destato qualche perplessità soprattutto da parte della Spagna, che ha sottolineato l'esigenza di considerare gli accordi di Schengen come un tutt'uno.
(13) Decisione 1999/439/CE.
(14) Articolo 2, comma 3 del Regolamento del Consiglio: «I punti relativi all'adozione di un atto o di una posizione comune riguardante una proposta legislativa o una proposta relativa ad un provvedimento da adottare a norma del Titolo VI del Trattato UE sono iscritti all'ordine del giorno provvisorio ai fini di una decisione soltanto se è trascorso il periodo di sei settimane, previsto al punto 3 del protocollo sul ruolo dei Parlamentari nazionali nell'Unione europea. Il Consiglio può derogare all'unanimità al termine di sei settimane se l'iscrizione di un punto rientra nelle eccezione dettate da motivi di urgenza di cui al punto 3 di detto protocollo».
(15) Per ragioni attinenti alla storia della cooperazione europea nel settore degli affari interni, queste diverse attività, sebbene di natura politicamente assai eterogenea, erano collocate nello stesso quadro istituzionale, sia in ambito Schengen, sia all'interno del «terzo pilastro» dell'unione, quale questo venne originariamente costruito a Maastricht. Com'è noto, l'ultima conferenza intergovernativa di riforma dei trattati ha operato una «ripartizione istituzionale» delle materie afferenti al vecchio «terzo pilastro», collocando «visti, asilo, immigrazione ed altre politiche connesse con la libera circolazione delle persone» in ambito comunitario (sebbene solo al termine di un processo di «comunitarizzazione» graduale ed incerto) e mantenendo, invece, la cooperazione di polizia e giudiziaria penale all'interno di un «terzo pilastro» profondamente riformato.
(16) Legge di ratifica 23 marzo 1998, n. 93 (art. 6).
(17) Tuttavia la decisione stessa (1999/438/CE) non sembra riconoscere, come ha rilevato il prof. Rodotà nel corso di un'audizione svolta dinanzi al Comitato l'8 luglio 1999 (vedi Resoconto Stenografico allegato), «quelle possibilità concrete di azione che sono poi la vera ragione dell'indipendenza, in quanto non dispone di autonomia di mezzi e di bilancio ed è quindi nei fatti «alle dipendenze» del Consiglio stesso.