La seduta inizia alle 20,20.
Il Presidente Salvatore BIASCO comunica che la seduta di giovedì 3 luglio avente all'ordine del giorno l'esame dello schema di decreto legislativo recante norme sulla unificazione della base imponibile del lavoro dipendente ai fini fiscali e ai fini contributivi, semplificazione degli adempimenti dei datori di lavoro, già fissata per le ore 20, è anticipata alle ore 18 con relatore il deputato Giorgio Benvenuto in sostituzione del senatore Rossano Caddeo, impossibilitato per motivi di salute; ad essa faranno seguito audizioni informali sullo stesso provvedimento, che proseguiranno nella giornata di martedì 8 luglio. Su richiesta dei deputati Massimo Berruti e Pietro Armani nonchè del senatore Antonio D'Alì, avverte che la discussione generale sul provvedimento recante cessione e conferimento di aziende, fusione, scissione e permuta di partecipazioni, proseguirà nella seduta fissata per giovedì 3 luglio, alle ore 13 e, conseguentemente, rinvia la votazione sul provvedimento medesimo alla seduta di martedì 8 luglio, ore 20.
La Commissione prosegue l'esame dello schema di decreto in titolo, iniziato nella seduta del 27 giugno scorso.
Il deputato Pietro ARMANI rileva che il provvedimento in esame è il più atteso dagli operatori economici, perchè unitamente alla «Dual income tax» costituisce il cuore degli incentivi alle attività d'impresa promessi dal Governo.
Le operazioni di ristrutturazione aziendale vanno, senza alcun dubbio, fiscalmente facilitate se non si vuole che, proprio per l'onerosità fiscale, gli operatori rinuncino ad attuarle, non consentendo, così, l'auspicato rafforzamento e sviluppo dell'intero apparato produttivo nazionale.
Il primo obiettivo è di introdurre un regime di tassazione «attenuata» per le plusvalenze realizzate con la cessione di aziende o complessi aziendali e/o con la cessione di partecipazioni qualificate.
L'introduzione di una opzione per una tassazione sostitutiva da corrispondere ratealmente appare di per sè apprezzabile, ma l'elevatezza dell'aliquota proposta per
detta tassazione fa sì che rimanga incerto l'esito incentivante che il provvedimento potrà avere.
Già con il sistema della tassazione sospesa a tempo indeterminato e subordinata al reinvestimento, di cui alla prima versione dell'articolo 54 contenuta nel decreto del Presidente della Repubblica n.597 del 1973, la tassazione delle plusvalenze realizzate, soprattutto se reinvestite in cespiti a lungo ammortamento, era molto attenuata; anche l'originario regime dell'articolo 54 del vigente Testo Unico delle imposte sui redditi (1988) appare più conveniente di quello proposto, perchè malgrado l'aliquota ordinaria fosse del 36 per cento (oggi è del 37 per cento), si concedeva il concorso al reddito imponibile in rate costanti nell'arco di dieci anni: ciò significa un dimezzamento dell'aliquota, ferma restando la tassazione «zero» negli esercizi in cui vi fosse stata la perdita.
Di contro, l'imposta sostitutiva, un volta scelta, dovrebbe essere corrisposta anche se in uno dei successivi esercizi vi fosse un imponibile negativo. Inoltre, non appare corretto paragonare l'aliquota proposta con quella ordinaria oggi vigente comprensiva dell'Ilor, perchè la soppressione di quest'ultimo tributo e la sua sostituzione con l'Irap (non applicabile alle plusvalenze) verrà comunque «scontata» dai contribuenti, visto l'obiettivo minimale dell'invarianza di gettito complessivo posto all'Amministrazione finanziaria.
Infine, il pagamento rateizzato è un vantaggio solo finanziario (e non anche economico, come può essere la rateizzazione dell'imponibile, allorquando concorre con una perdita della gestione ordinaria, facendo somma algebrica), che diventa sempre meno apprezzabile quanto più si abbassano i tassi d'interesse correnti, a seguito anche della caduta dell'inflazione.
In conclusione, pur apprezzando le intenzioni del Governo osserva che il testo proposto consente il raggiungimento solo parziale dell'obiettivo prefissato. Per ottenere una vera incentivazione degli smobilizzi patrimoniali delle imprese ed il conseguente rafforzamento dell'apparato produttivo nazionale (e, quindi, una sua maggiore capacità concorrenziale in campo internazionale), occorrerebbe essere più coraggiosi e, pertanto, dovendo (nel rispetto della delega), rimanere nel sistema impositivo proposto, applicare un'aliquota di tassazione più bassa, dell'ordine del 18 per cento, portando a tale livello anche quella prevista per la tassazione delle plusvalenze occasionali, realizzate dalle persone fisiche con la cessione di partecipazioni qualificate.
Il secondo importante obiettivo del provvedimento è quello di introdurre un regime di neutralità fiscale per le operazioni di conferimento di aziende, di rami aziendali e di partecipazioni di controllo o collegamento.
Il regime proposto appare molto complesso, con implicazioni di carattere civilistico non facilmente delimitabili a priori. In effetti, il legame che viene ad instaurarsi tra società conferente e società conferitaria, in forza del quale la tassazione delle plusvalenze iscritte eseguite dall'una riverbera effetti liberatori sull'altra, non dovrebbe creare problemi nel caso in cui la società conferente controlli la conferitaria. Se questa, invece, ha solo una partecipazione di minoranza, si può immaginare non facile la composizione degli interessi contrapposti di chi dovrebbe «riscattare» la plusvalenza iscritta liberando la plusvalenza dell'altro.
È, pertanto, facile immaginare che queste operazioni producano un proliferare di regimi di «doppio binario» (coesistenza di valori di bilancio e di diversi valori fiscali) che potrebbe rendere estremamente difficoltosa, soprattutto a distanza di tempo dal suo nascere, qualsiasi azione di verifica degli uffici finanziari.
Anche in questo caso sarebbe stata auspicabile, analogamente a quanto a suo tempo già previsto dalle leggi n.576 del 1975 e n.904 del 1977, l'introduzione di un sistema di sospensione a tempo indeterminato della plusvalenza in capo alla conferente con il contemporaneo pieno riconoscimento fiscale dei maggiori valori
attribuiti ai beni conferenti in capo alla conferitaria, affidando alla normativa antielusiva il compito di reprimere le operazioni poste in essere in modo artificioso, al solo fine di ottenere vantaggi di indebito risparmio fiscale.
Infine, in materia di antielusione, la nuova normativa proposta, nel tentativo di superare gli ostacoli interpretativi posti dal vigente articolo 10 della legge n.408 del 1990, finisce con il tratteggiare una fattispecie estremamente ampia che, nella sua sostanziale indeterminatezza, può generare gravi danni non solo ai contribuenti ma anche all'Amministrazione finanziaria.
Infatti, per i contribuenti nasce l'incubo di dover giustificare come non elusiva qualsiasi legittima operazione che consenta di non soggiacere alla massima imposizione tributaria possibile. In altre parole, il limite tra elusione fiscale e legittima ricerca di risparmio tributario, già in astratto molto difficilmente delineabile, nella norma proposta appare pressochè inesistente ed affidato al giudizio soggettivo dell'ufficio chiamato a sindacare sulla sussistenza o meno di «valide ragioni economiche»: un giudizio che palesemente non rientra nelle capacità tecniche istituzionali dell'Amministrazione finanziaria e che riguarda la valenza degli atti di gestione posti in essere dagli imprenditori, valenza di cui costoro dovrebbero poter rispondere solo se e nei limiti in cui il codice civile dispone al riguardo.
Nel contempo, la nuova vaga formulazione impone agli uffici («l'amministrazione finanziaria disconosce ...» cioè deve disconoscere) una ricerca affannosa del possibile profilo elusivo potenzialmente insito in qualsiasi operazione gestionale di una certa complessità: ne nascerà la presunta individuazione di una molteplicità di operazioni elusive, per le quali, in via cautelativa, oltre che per mancanza di competenza di giudizio, non saranno ritenute valide le ragioni difensive addotte dai contribuenti, portando quindi, all'instaurarsi di pesanti contenziosi dagli esiti incerti, ma di gestione sicuramente defatigante.
In altri termini, soprattutto nell'ambito delle società di capitali la nuova normativa potrebbe portare all'accentuazione di una inutile caccia alla presunta elusione, a tutto detrimento di una ben più utile caccia alla vera evasione.
Il senatore Furio BOSELLO esprime un giudizio complessivamente positivo sullo schema di decreto legislativo per come esso è formulato, anche se appare discutibile l'entità della aliquota potendo questa attestarsi sul 15-18 per cento.
Segnala, inoltre, nell'articolo 1 comma 3 dello schema di decreto un erroneo riferimento all'articolo 2359 comma 2 anzichè comma 3 del codice civile, relativamente alla fattispecie del collegamento societario.
Esprime, invece, un giudizio totalmente negativo sulla norma antielusiva di cui all'articolo 7 dello schema di decreto, in quanto la stessa aggrava i difetti dell'articolo 10 della legge n.408 del 1990, dalla quale trae origine. Ritiene infatti che in un sistema tributario, quale è quello attualmente vigente in Italia, basato su fattispecie impositive definite con criteri analitico-casistici un norma antielusiva di portata generale sia inaccettabile. Al contrario, in un sistema tributario evoluto le fattispecie impositive sono formulate in termini generali, mentre quelle antielusive sono contenute in disposizioni specifiche.
Il deputato Massimo BERRUTI con riferimento all'articolo 7, comma 8, dello schema di decreto rileva che al contribuente viene imposto il gravoso onere di dimostrare l'assenza dell'effetto elusivo nel caso di comportamenti cui si applicano disposizioni che prevedono limiti alla facoltà di deduzione, detrazione o di far valere crediti d'imposta. Ritiene al riguardo che tale disposizione sia assolutamente illiberale ed idonea a creare un consistente contenzioso, in evidente contrasto con le finalità del recente provvedimento sull'accertamento con adesione.
Il Presidente, Salvatore BIASCO, relatore, ritiene che la formulazione, forse non felice, della disposizione possa ingenerare equivoci. Il senso della norma peraltro è di consentire al contribuente di promuovere un vero e proprio procedimento amministrativo per chiedere la disapplicazione di norme che si rivelino, in concreto, irrazionalmente penalizzanti nei suoi confronti.
Il deputato Giovanni PACE ritiene importante precisare quali siano i tempi di presentazione dell'istanza prevista dall'articolo 7 comma 8, con riferimento, in particolare, all'interrogativo se l'istanza debba essere presentata dal contribuente prima o dopo la messa in opera delle operazioni astrattamente riconducibili alle fattispecie elusive; analogo interrogativo concerne il momento in cui l'ufficio competente deve rispondere. Osserva che rileva altresì il momento in cui viene avanzata l'istanza medesima, poichè, ad esempio, qualora proposta negli ultimi giorni dell'anno solare potrebbe avere effetti - difficilmente quantificabili nel momento in cui la stessa viene presentata - nella successiva dichiarazione dei redditi. Considerata l'ampiezza di tali questioni, ritiene insoddisfacente la devoluzione delle stesse ad un atto regolamentare.
Il senatore Antonio D'ALÌ, nel richiamarsi a tutte le osservazioni contenute negli interventi finora effettuati, segnala l'opportunità di prevedere una aliquota più bassa al fine di favorire l'opzione del contribuente per la tassazione forfettaria. Ritiene anch'egli necessaria l'eliminazione dell'articolo 7 del provvedimento, la cui applicazione comporterà l'accentuazione dei caratteri inquisitori che va sempre più assumendo il nostro sistema fiscale; tale disposizioni, inoltre, sembra estendere il princìpio di cui alla lettera g) di delega oltre i limiti dettati dal legislatore.
Il Presidente Salvatore BIASCO, in considerazione degli orientamenti precedentemente manifestati dai commissari, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.
La seduta termina alla 21,05.