SENATO DELLA REPUBBLICA |
CAMERA DEI DEPUTATI |
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XII LEGISLATURA |
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Doc. XXXIV
n. 1
RELAZIONE
DEL COMITATO PARLAMENTARE PER I SERVIZI DI INFORMAZIONE E SICUREZZA E PER IL SEGRETO DI STATO
PRIMO RAPPORTO SUL SISTEMA DI INFORMAZIONE E SICUREZZA
Comunicata alla Presidenza il 6 aprile 1995
INDICE
I. | LE CONDIZIONI ATTUALI DEL SISTEMA | * |
1. |
Premessa |
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2. |
I documenti acquisiti e le attività svolte |
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3. |
I poteri del Presidente del Consiglio |
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4. |
La disciplina del segreto di Stato |
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5. |
La duplice delega del Presidente del Consiglio e le funzioni di Autorità nazionale per la sicurezza |
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6. |
Il compito di "sovrintendere" |
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7. |
La dissociazione tra effettivo esercizio dei poteri relativi, al segreto di Stato e responsabilità politica del Presidente del Consiglio |
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8. |
Le competenze del Ministro della difesa e del Ministro dell'interno |
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9. |
Il Comitato parlamentare e i vertici politici dell'Esecutivo. Il rapporto con il Presidente del Consiglio |
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10. |
Il rapporto con il Ministro della difesa |
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11. |
Il rapporto con il Ministro dell'interno |
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12. |
L'affidabilità dei componenti dei Servizi |
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13. |
Le valutazioni dei vertici tecnici dei Servizi |
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14. |
Funzioni dei Servizi. Significato dell'espressione "compiti informativi e di sicurezza" |
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15. |
Problemi attuali del SISMI |
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16. |
Problemi attuali del SISDE |
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17. |
Funzioni e problemi attuali del CESIS |
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18. |
I SIOS: le funzioni fondamentali |
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19. |
Il II Reparto della Guardia di finanza |
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20. |
Il CED del Ministero dell'interno |
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21. |
Il falso dossier su Castellari |
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II. |
L'UCSI: un ufficio privo di regolamentazione legislativa |
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22. |
I "Nulla osta di segretezza" |
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23. |
La natura delle indagini |
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24. |
Un'assoluta discrezionalità |
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25. |
I documenti acquisiti |
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26. |
In contrasto con la legge |
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III |
I CATTIVI USI DELLA DISCREZIONALITA |
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27. |
Le ricorrenti deviazioni |
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28. |
La continuità |
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29. |
Il condizionamento derivante dalle logge massoniche |
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IV. |
QUATTORDICI CASI EMBLEMATICI DI DEVIAZIONE DEL SERVIZIO SEGRETO MILITARE |
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30. |
Tipologia delle deviazioni |
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31. |
Le schedature illegittime del SIFAR |
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32. |
Le false informazioni del SID relative alla strage di Piazza Fontana |
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33. |
La vicenda di Giannettini |
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34. |
Episodi di depistaggio |
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35. |
Il deposito di materiale bellico ad Aurisina |
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36. |
Il depistaggio delle indagini sulla strage di Peteano |
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37. |
La vicenda di Augusto Cauchi |
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38. |
La vicenda di Federigo Mannucci Benincasa |
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39. |
I rapporti di Pecorelli con i Servizi |
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40. |
I depistaggi delle indagini sulla strage di Bologna |
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41. |
I Servizi e la loggia P2 |
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42. |
L'archivio Uruguaiano di Licio Gelli |
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43. |
Il Supersismi e l'attività di Francesco Pazienza |
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44. |
I documenti sulla VII Divisione e su Gladio. Il disordine degli archivi e le ipotesi di manipolazione |
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V. |
LA DEVIAZIONE DEL SISDE |
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45. |
Una gestione anomala |
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46. |
Le segnalazioni dell'ambasciatore Fulci |
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47. |
Gli accertamenti giudiziari |
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48. |
La prassi degli assestamenti di bilancio |
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49. |
L'accantonamento dei fondi riservati |
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50. |
Comportamenti in contrasto con la legge |
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51. |
Le ragioni istituzionali degli abusi |
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52. |
Il mancato controllo dell'autorità politica |
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53. |
Misure regolamentari rivolte ad evitare l'uso scorretto dei fondi riservati |
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VI. |
I RAPPORTI TRA I SERVIZI DI INFORMAZIONE E DI SICUREZZA E LA CORTE DEI CONTI |
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54. |
Una indennità che viola la legge |
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VII. |
LA MEMORIA DELLE OPERAZIONI E LA TENUTA DEGLI ARCHIVI |
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55. |
Le condizioni attuali |
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56. |
Le manipolazioni |
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VIII. |
LE PROSPETTIVE DI CAMBIAMENTO |
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57. |
Le trasformazioni politiche e il mutamento degli obiettivi: un'occasione per rompere la continuità e riformare i Servizi |
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IX. |
NUOVE REGOLE PER LA RIFORMA DEI SERVIZI. VENTI PROPOSTE |
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58. |
Rinnovamento e status del personale |
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59. |
Sistema binario a forte coordinamento |
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60. |
Il Sottosegretario di Stato per la sicurezza |
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61. |
Il Segretario generale del CESIS |
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62. |
Soppressione del CIIS |
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63. |
La disciplina legislativa dell'UCSI |
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64. |
L'oggetto del controllo parlamentare |
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65. |
Gli interlocutori del Comitato |
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66. |
La conservazione dei documenti dei Servizi |
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67. |
Controllo del Comitato sulle attività e sulle spese |
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68. |
I bilanci dei Servizi |
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69. |
La tutela del segreto dei lavori del Comitato |
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70. |
Gli archivi dei Servizi |
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71. |
Classificazione del segreto e temporaneità |
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72. |
Inopponibilità del segreto di Stato |
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73. |
Inopponibilità del segreto istruttorio |
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74. |
Denuncia di atti illegittimi |
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75. |
Garanzie funzionali |
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76. |
Il controllo sul Centro elaborazione dati del Ministero dell'interno |
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77. |
I SIOS di forza armata |
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X. |
LE PRIORITA POLITICHE |
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78. |
Ciò che emerge dalla ricognizione |
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79. |
La vicenda SISDE e l'urgenza di un rinnovamento radicale |
PRIMO RAPPORTO SUL SISTEMA DI INFORMAZIONE E SICUREZZA
I. LE CONDIZIONI ATTUALI DEL SISTEMA
Lo Stato democratico ha diritto alla ricerca di informazioni riservate ed all'acquisizione di notizie in qualsiasi modo rilevanti per la difesa della propria integrità e della sicurezza pubblica.
La cultura giuridica italiana ha più volte affrontato il problema della definizione di questo diritto ed ha analizzato le norme e le strutture istituzionali che ad esso fanno capo. Il Parlamento ha dedicato al medesimo tema specifiche inchieste ed attività ricognitive, volte a verificare l'applicazione delle leggi vigenti e la legittimità delle prassi formatesi nel tempo. Dalle iniziative e dai lavori parlamentari hanno spesso tratto origine i contributi della dottrina.
Un lucido inquadramento teorico di questo diritto era già in un saggio di Arturo Carlo Jemolo, pubblicato nel 1967 e volto a richiamare l'attenzione dei costituzionalisti su un aspetto trascurato della struttura statale, ma presente ed attivo
(1).Numerosi spunti offerti dallo scritto di Jemolo sono stati poi ripresi nella letteratura giuridica: in specie quelli che prospettavano la necessità di nuove garanzie. La legislazione ne ha tenuto conto, sia pure con approdi che oggi consideriamo limitati ed insufficienti.
La dottrina, nel definire il diritto d'informazione e di prevenzione dello Stato, ha fissato tre limiti necessari. Il primo è che l'ambito di competenza degli organi militari dev'essere limitato alle indagini per la difesa da potenziali nemici esterni. Il secondo è che la raccolta di informazioni sulle idee politiche dei cittadini è illegittima. Il terzo è che l'impegno assunto mediante trattati o accordi internazionali di sottoporre ad una particolare sorveglianza determinate categorie di cittadini, per la loro appartenenza ad un partito politico, o per le loro opinioni, è ugualmente illegittimo ed in contrasto con la Costituzione.
L'azione che gli apparati di informazione e sicurezza sono chiamati a svolgere deve avere invece come fondamento e come linea di confine proprio i principi della Costituzione. Anzitutto l'articolo 52, che definisce la difesa della Patria come sacro dovere del cittadino; in secondo luogo, combinato con il precedente, l'articolo 54, il quale stabilisce che "tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi
(2)". Le attività di intelligence e di sbarramento all'attività informativa di altri Stati o poteri, con tutto ciò che hanno di non convenzionale nei mezzi (per cui possono prevedersi deroghe alle ordinarie disposizioni di legge(3)), sono comunque ordinate a quelle finalità.Chi appartiene ai Servizi di informazione e sicurezza ha il dovere di essere fedele alla Repubblica, ma questo è anche per lui un diritto che dovrebbe comportare rifiuto e denuncia delle deviazioni.
Per altro verso, la prevenzione di atti dannosi all'integrità dello Stato e la difesa contro l'eversione interna ci riportano a valori costituzionali quali quelli dell'articolo 11 ("L'Italia ripudia la guerra ... "), dell'articolo 1, comma 2 ("La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione"), dell'articolo 2 ("La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo ... ").
Questo è in sintesi il modello normativo, il quadro di valori e finalità a cui possono ricondursi nel nostro ordinamento i Servizi di informazione e sicurezza.
La loro credibilità - anche in relazione ai principi costituzionali - è direttamente proporzionale alla legittimità delle direttive ed alla serietà dei controlli, a cominciare da quello parlamentare, che nell'attuale legislazione è invece approssimativo ed insufficiente.
Oggi, comunque, l'esercizio corretto del potere di controllo che spetta all'organo parlamentare deve partire da una considerazione. La realtà è molto lontana dal modello normativo che la dottrina ha tracciato. Le stesse garanzie introdotte per legge sono state ampiamente aggirate e rese vane.
Numerose deviazioni e ricorrenti illegalità hanno pesantemente condizionato i Servizi di informazione e sicurezza nelle vicende italiane dell'ultimo trentennio. A più riprese si è verificato un cattivo uso della discrezionalità.
La partecipazione a disegni eversivi, il depistaggio di delicate indagini giudiziarie volto a coprire quei disegni, i rapporti con centri di potere occulti, l'appropriazione illecita del pubblico danaro sono tra gli effetti (alcuni lontani nel tempo, altri più attuali) di questa degenerazione istituzionale.
Il mutato quadro internazionale (con il venir meno della guerra fredda e delle ragioni di una "doppia lealtà" dei Servizi
(4)), e contemporaneamente i profondi mutamenti in corso nel sistema politico italiano rappresentano un'occasione storica. E possibile fare luce sugli abusi del passato, su come la discrezionalità sia stata piegata a fini di parte, sulle ragioni del silenzio o del depistaggio, nell'ambito dei Servizi, riguardo ad alcuni grandi delitti di terrorismo. E possibile ripensare le funzioni e rinnovare dalle fondamenta le strutture organizzative di questi apparati.Coloro che all'interno dei Servizi lealmente operano non possono non condividere un'esigenza di pulizia, di maggiore efficacia del proprio lavoro, di criteri obiettivi per il reclutamento e per la valutazione di ciascuno.
Questa relazione intende contribuire ad un'analisi del sistema italiano d'informazione e sicurezza ed alla compiuta definizione degli obiettivi del rinnovamento.
2. I documenti acquisiti e le attività svolte
Il Comitato parlamentare per i Servizi di informazione e sicurezza e per il segreto di Stato, ricostituito nella XII legislatura, ha ripreso i suoi lavori il 15 settembre 1994, con la elezione del Presidente e dell'Ufficio di Presidenza. E stata immediatamente avviata una ricognizione complessiva dello stato dei Servizi. Si sono svolte dal 15 settembre 1994 al 22 marzo 1995 21 riunioni. Per le richieste di informazioni necessarie all'esercizio dei poteri di controllo del Comitato sono state effettuate 17 audizioni di responsabili politici e tecnici. Sono state inviate: 5 richieste scritte al Ministro dell'interno, che hanno tutte avuto risposta; 2 richieste scritte al Segretario generale del CESIS, che hanno avuto risposta; 8 richieste scritte al Direttore del SISMI, che hanno avuto risposta; 11 richieste scritte al Direttore del SISDE, di cui 10 hanno avuto risposta; una richiesta al responsabile del SIOS Aeronautica, che ha avuto risposta.
E stato effettuato, in data 14 dicembre 1994, un sopralluogo presso la sede dell'Ufficio centrale per la sicurezza (UCSI), organo dipendente dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, sul quale il Comitato, dalla sua istituzione nel 1977 fino ad oggi, non aveva mai svolto alcuna attività di controllo
(5). In occasione di quel sopralluogo, il Comitato ha acquisito 10 fascicoli personali, scelti a caso ed a titolo di esempio, contenenti informazioni riservate, raccolte dall'UCSI ai fini del conferimento dei "Nulla osta di segretezza" (NOS). Al Direttore dell'UCSI è stata inoltre inviata una ulteriore richiesta scritta di ragguagli circa le attività dell'Ufficio, che ha avuto risposta.Sono stati acquisiti dal 15 settembre 1994 al 22 marzo 1995, 327 documenti. Di questi 95 provengono dall'Autorità giudiziaria e 20 sono stati inviati al Comitato (in quanto rilevanti per la sua funzione di controllo) da parte della magistratura requirente pur essendo tuttora coperti dal segreto d'indagine.
L'attenzione del Comitato si è rivolta alla organizzazione ed alle finalità degli apparati per la sicurezza: anzitutto, ai due Servizi (SISMI e SISDE) istituiti dalla legge n. 801 del 1977; in secondo luogo al CESIS, organo di coordinamento tra i Servizi, di analisi e di elaborazione delle situazioni; in terzo luogo alle strutture minori (SIOS) che svolgono attività di informazione in ambito militare (ai sensi dell'articolo 5 della stessa legge
(6)); in quarto luogo, al Centro elaborazione dati (CED) del Ministero dell'interno, sul quale il Comitato è tenuto ad esercitare il proprio controllo, in base alla legge n. 121 del 1981 (articolo 10)(7).In particolare, il Comitato ha affrontato i problemi connessi agli scopi ed alle forme dell'attività di intelligence nella lotta contro la mafia e i gruppi criminali organizzati. Com'è noto, il decreto-legge n. 345 del 29 ottobre 1991, convertito con modificazioni dalla legge n. 410 del 30 dicembre 1991, ha regolato l'attività informativa e di sicurezza del SISDE e del SISMI in questo campo ed ha previsto (articolo 2, comma 3) che il controllo su tali attività sia esercitato dal Comitato parlamentare. Per chiarire compiutamente i problemi legati a questo tipo di intelligence, anche al di là dei quesiti proposti ai responsabili politici e tecnici dei Servizi di informazione e sicurezza, è stata disposta in data 27 ottobre 1994 l'audizione del Direttore della Direzione investigativa antimafia (DIA).
Infine, attraverso la raccolta di elementi conoscitivi sulle competenze e sul funzionamento dell'UCSI, si sono messi a fuoco i rapporti tra questo Ufficio ed i Servizi di informazione e di sicurezza.
3. I poteri del Presidente del Consiglio
La legge n. 801 del 1977 configura per il Presidente del Consiglio la qualità di massimo responsabile politico della sicurezza del paese. Oltre ai poteri di direzione, attraverso i quali il Presidente mantiene l'unità dell'indirizzo politico e la omogeneità dell'azione di governo, a lui spetta, in questo campo, una peculiare potestà regolamentare che ha carattere di esclusività. Essa incide sui rapporti con i Ministri della difesa e dell'interno, dai quali rispettivamente dipendono il SISMI e il SISDE, e si riflette direttamente sull'ordinamento di questi due Servizi, nonché sui poteri e sulla struttura del Comitato esecutivo per i Servizi di informazione e di sicurezza (CESIS).
Spetta inoltre al Presidente del Consiglio il potere di controllare l'applicazione dei criteri relativi all'apposizione del segreto di Stato. L'articolo 12 della legge fissa l'ambito di riferimento della segretazione ed evoca sommariamente i valori ai quali essa si riconduce, dando rilievo alla dimensione internazionale. E infatti qui stabilito che siano coperti da segreto tutti quei documenti la cui diffusione sia idonea a recare danno alla integrità dello Stato (di questo concetto che designa un bene primario, la norma sottolinea la correlazione con gli accordi internazionali), poi alla difesa delle istituzioni che la Costituzione ha posto come fondamento dello Stato, al libero esercizio delle funzioni costituzionali, all'indipendenza (nozione non dissimile da quella di integrità), alle relazioni con altri Stati (il che sottintende ancora una volta criteri fissati in accordi internazionali), alla preparazione e difesa militare dello Stato. Come si vede, l'elencazione è assai generica e tale da consentire un'amplissima discrezionalità
(8).Vi è da sottolineare, nell'indicazione di questi criteri, uno sbilanciamento. Accanto ad una serie di formule normative astratte e di contenuto non prefissato (difesa delle istituzioni, indipendenza dello Stato eccetera), alle quali deve ricondursi la nozione di segreto, si trova il riferimento agli accordi internazionali che rinvia invece ad una fonte normativa diretta. Essa definisce e limita l'idea stessa di integrità dello Stato. E una regolamentazione precisa e vincolante che deriva dalle decisioni e dalle norme assunte entro il sistema di alleanze di cui l'Italia fa parte.
4. La disciplina del segreto di Stato
La nozione onnicomprensiva di "segreto di Stato" non è nuova, perché già figurava nell'articolo 261 del codice penale (il quale prevede e punisce la "rivelazione di segreti di Stato"). La norma codicistica assumeva come parametro l'interesse della sicurezza dello Stato o comunque l'interesse politico interno o internazionale dello Stato (cfr. articolo 256 c.p.).
La varietà di contenuti e di implicazioni di questo concetto, fatto proprio dalla legge n. 801 del 1977, che (a parte il richiamo agli accordi internazionali) rende vaghi e difficilmente controllabili i criteri della segretazione, è già stata criticata dalla dottrina: "è un calderone in cui si trovano affastellati segreto politico e segreto militare"
(9).D'altro canto, in quella legge ed in particolare nell'articolo 12, manca un'abrogazione esplicita del Regio decreto legislativo n. 1161 dell'11 luglio 1941, recante "Norme relative al segreto militare". Anzi, la stessa legge n. 801 del 1977, all'articolo 18, riconduce le disposizioni del codice penale concernenti il segreto politico interno o internazionale alla definizione di segreto che essa ha posto, ma lo fa in via temporanea, fissando espressamente un obiettivo ed un impegno per il legislatore: quello della "emanazione di una nuova legge organica relativa alla materia del segreto". Ciò conferma la vigenza ancora attuale delle norme risalenti al 1941 che infatti coprono, allinterno della nozione più ampia, l'ambito specifico del segreto militare. Ma il Regio decreto legislativo del 1941 offre una definizione ed una disciplina del segreto militare, in relazione a finalità belliche, evidentemente eccezionali, limitate nel tempo e in un contesto di straordinarietà che è incompatibile con i principi costituzionali
(10).Resta invece tuttora fermo il meccanismo fondamentale di quel provvedimento. Si tratta di norme lontane nel tempo, improntate ai principi di un ordinamento militare che viveva una esperienza di guerra, in un regime autoritario. Ma nonostante tutto ciò queste norme costituiscono ancora oggi un punto di riferimento fondamentale nella disciplina giuridica del segreto. L'attento esame di alcune di esse può mostrare quale sia la continuità dell'assetto attuale con quello anteriore alla Costituzione e certamente lontano dai suoi valori guida.
L'articolo 1 prevedeva un divieto di divulgazione di notizie concernenti le amministrazioni militari e gli enti statali preposti alla produzione bellica (comma 1): notizie di cui erano elencate più specificamente le materie in un allegato al decreto. Veniva adottato, in tal modo, un criterio oggettivo per la predeterminazione del segreto. Ma immediatamente dopo si introduceva una regola di diversa natura, che possiamo definire soggettiva, in quanto rimandava tutto alla decisione dell'autorità, rendendo possibile una dilatazione del segreto.
"Mediante separati provvedimenti - così stabiliva l'articolo 1, comma 2 - da portarsi a conoscenza del pubblico ed anche con semplice diffida agli interessati qualora il divieto debba imporsi soltanto a determinati Enti e persone, l'Autorità competente può estendere il divieto di divulgazione anche a notizie non indicate nell'allegato". In base all'insieme delle norme del decreto, sembra che l'Autorità competente sia rappresentata dagli organi del potere esecutivo che di volta in volta intervengono. Ciò pone una esigenza di raccordo su cui le norme del 1941 non dicevano nulla.
All'articolo 8, il decreto stabiliva: "Spetta ai singoli Ministeri e al Sottosegretario di Stato per le fabbricazioni di guerra di curare l'osservanza delle presenti norme da parte dei loro organi, nonché degli Enti o delle persone comunque sottoposte alla loro ingerenza o controllo con facoltà di adottare le ulteriori misure che ritengono necessarie per la tutela del segreto".
Dunque si prevedeva, nel 1941, un sistema di autorità, all'interno del potere esecutivo, competenti alla segretazione ed alla tutela del segreto ed operanti al di fuori di qualsiasi controllo, indipendentemente da ogni predeterminazione di criteri oggettivi ai quali attenersi nel proprio operare.
Lo stesso identico meccanismo si ritrova, con una puntuale specificazione, in alcune norme secondarie riservate, oggi vigenti. Anche queste definiscono un sistema costituito da molteplici autorità, individuate in tutte le branche della Pubblica amministrazione: un insieme di organi competenti all'apposizione del segreto ed alla sua tutela, sia in campo militare sia in campo civile.
Il sistema, caratterizzato da massima discrezionalità, nel quale assumono una posizione di primo piano i criteri e le direttive di segretezza stabiliti da accordi internazionali, fa capo teoricamente al Presidente del Consiglio, ma di fatto ha al proprio vertice un alto funzionario della Pubblica amministrazione. L'autorità politica di governo ha per lungo tempo delegato i poteri relativi a tale sistema. Le decisioni autoritative restano il vero fondamento per la determinazione e la protezione del segreto. Ma ciò avviene in presenza di una deresponsabilizzazione dell'autorità politica. Il Comitato parlamentare osserva che questo meccanismo non è sottoposto ad alcun serio controllo. In ordine al sistema del segreto, le garanzie di rispondenza ai principi costituzionali sono quelle fissate dalla legge n. 801 del 1977 che lascia in vita il Regio decreto legislativo del 1941 e poco aggiunge quanto alla determinazione del segreto, affermando in sostanza che la principale fonte normativa sono gli accordi internazionali. Si tratta di garanzie deboli e del tutto insufficienti.
5. La duplice delega del Presidente del Consiglio e le funzioni di Autorità nazionale per la sicurezza
I poteri del Presidente del Consiglio in materia di Servizi di informazione e di sicurezza sono stati, dal 1977 ad oggi, oggetto di una duplice delega. Da un lato vi è stata una delega prevista dalla legge n. 801 del 1977. L'articolo 3, comma 3, della legge stabilisce infatti che un Sottosegretario di Stato possa presiedere il CESIS in luogo del capo del Governo. Questa delega è stata conferita soltanto per alcuni periodi. Formalmente limitata al dettato dell'articolo 3 già ricordato, essa si è esplicata, al di là del compito specifico di presiedere il CESIS, in una serie di singole disposizioni del Presidente del Consiglio, che affidavano ad un Sottosegretario il compimento di atti relativi ai poteri di coordinamento della politica informativa e di sicurezza. I confini della delega sono sempre stati incerti, anche in relazione alla non chiara definizione dei poteri del Segretario generale del CESIS.
I Sottosegretari a cui è stata data la delega sono stati: l'onorevole
Francesco Mazzola, nel Governo Andreotti, dal 20 marzo 1979 al 31 marzo 1979, nel Governo
Cossiga, dal 4 agosto 1979 al 19 marzo 1980, in un successivo Governo Cossiga, dal 4
aprile 1980 al 28 settembre 1980, e nel Governo Forlani, dal 18 ottobre 1980 al 26 maggio
1981;
l'onorevole Michele Zolla, nel Governo Fanfani dal 1° dicembre 1982 al 2 maggio 1983;
l'onorevole Nicola Sanese, nel Governo Fanfani, dal 17 aprile 1987 al 28 aprile 1987;
l'onorevole Angelo M. Sanza, nel Governo De Mita, dal 13 aprile 1988 al 18 dicembre 1988;
l'onorevole Emilio Rubbi, dal 5 gennaio 1989 al 22 luglio 1989.
La più lunga permanenza è stata quella dell'onorevole Mazzola, per la durata di quattro governi e in una fase nella quale si determinarono gravi deviazioni dei Servizi di informazione e di sicurezza (dalla vicenda della P2 allinsediamento ai vertici del SISMI di un gruppo di potere parallelo all'apparato di sicurezza e protagonista di attività illegittime, fino alla vicenda delle trattative con Cutolo e con le Brigate rosse per il sequestro Cirillo). La delega allora non evitò le deviazioni. I poteri di coordinamento affidati ad un Sottosegretario, nei ristretti limiti consentiti dalla legge n. 801 del 1977, non offrirono alcuna garanzia di un effettivo controllo politico sulla condotta dei Servizi. Da una delega così ristretta ed incerta non poteva scaturire una compiuta vigilanza né un potere di guida dell'attività dei Servizi. Peraltro, le deviazioni non furono affatto individuate neanche dai Ministri competenti, da cui i Servizi direttamente dipendevano.
Accanto a questa delega (di rilievo politico e di scarsa funzionalità) se ne è venuta configurando nella prassi un'altra, non prevista dalla legge, di natura tecnica. Così, quasi senza interruzioni, i Presidenti del Consiglio hanno attribuito l'effettivo esercizio dei poteri concernenti la tutela del segreto di Stato (di cui all'articolo 1, comma 2, della legge n. 801 del 1977) ad un alto funzionario che ha assunto la denominazione di "Autorità nazionale per la sicurezza" (ANS).
Questa figura non è prevista nella legge n. 801 del 1977, che assegna al Presidente del Consiglio la titolarità dei poteri in ordine al segreto di Stato, e ne definisce all'articolo 12 (sia pure con l'incertezza ed i limiti che abbiamo sopra segnalato) la sfera delle possibili applicazioni.
In realtà, la denominazione di Autorità nazionale per la sicurezza era anteriore alla legge. Essa indicava le funzioni relative all'apposizione ed alla tutela del segreto. Queste funzioni erano tradizionalmente esercitate dal vertice del Servizio segreto militare.
Alcuni accordi in ambito NATO ne hanno regolato l'esercizio nei rapporti tra il Governo italiano e i Governi dei paesi alleati. Si è realizzato così un innesto. Gli accordi internazionali hanno definito un sistema di segretazione relativo a documenti ed informazioni, che nell'ordinamento italiano poteva essere ricondotto sia al Regio decreto legislativo del 1941 sia alle previsioni del codice penale. Le norme regolamentari riservate hanno poi compiutamente disciplinato il sistema interno del segreto. Ad esse si deve la costruzione della figura soggettiva denominata Autorità nazionale per la sicurezza.
In realtà, se si guarda oltre lo schermo delle forme giuridiche, ci si accorge che le norme regolamentari dipendono direttamente dagli accordi internazionali.
Ciò risulta dal testo del Securty Agreement by the Parties to the North Atlantic Treaty, dalle norme di sicurezza (Basic Principles and Minimum Standards of Security) e dalle Security Procedures for the Protection of NATO classified Information (NATO Document CM 55 15 Final). Tali norme erano state approvate dal Consiglio atlantico il 2 maggio del 1955. In esse, tra l'altro, gli Stati membri si impegnavano ad istituire ciascuno una Autorità nazionale per la sicurezza che curasse la tutela delle informazioni NATO classificate e fosse in stretto collegamento con l'Ufficio NATO per la sicurezza.
Tra questi principi di sicurezza vi sono anche le norme che costituiscono la base del regime dei Nulla osta di segretezza
(11).E da ricordare come fonte più recente un Exchange of notes (with annex) costituing an agreement relating to the safeguarding, of classified information, Washington, 4 august 1964. Si tratta di un accordo firmato dal Segretario di Stato americano Dean Rusk e dall'ambasciatore d'Italia Sergio Fenoaltea. In esso si estendono a tutte le informazioni classificate scambiate tra i due Governi gli stessi principi che questi avevano precedentemente concordato di applicare per la salvaguardia delle informazioni classificate protette dal Security Agreement tra i membri dell'Alleanza atlantica, approvato dal Consiglio atlantico il 6 gennaio 1950. Contemporaneamente si richiamano i Basic Principles and Minimum Standards of Security, approvati dal Consiglio il 2 maggio 1955.
Dunque, l'Autorità nazionale per la sicurezza è una figura che ha avuto origine entro l'organizzazione NATO.
Nell'ordinamento italiano essa è stata soltanto recepita da circolari riservate. Dopo il 1977, la situazione di fatto si è mantenuta identica, pur essendo mutato il regime legislativo (ma senza l'abrogazione del Regio decreto legislativo del 1941 e con una piena continuità delle norme regolamentari, mentre restano in vigore gli accordi internazionali da cui queste dipendono).
Sono appunto gli effettivi poteri di tutela del segreto ad esse, e costantemente delegati, a cominciare dalla responsabilità dell'Ufficio centrale per la sicurezza (UCSI) che ha il compito di dirigere, coordinare e controllare l'applicazione delle norme di sicurezza nella Pubblica amministrazione, in base ad accordi NATO e comunitari, nonché di determinare regole e procedure per la tutela del segreto. Sia la delega, sia la struttura ed il funzionamento di questo Ufficio sono oggi regolati da circolari riservate della Presidenza del Consiglio dei Ministri: due in particolare, emanate dal presidente del Consiglio Francesco Cossiga, in data 23 novembre 1979 e 5 gennaio 1980. Esse recepiscono, lasciandole sostanzialmente intatte, le "Norme unificate per la tutela del segreto", già raccolte ed approvate nel 1973 dal generale Vito Miceli, allora capo del SID, in qualità di Autorità nazionale per la sicurezza.
Nelle norme riservate che hanno oggi come fonte formale la Presidenza del Consiglio, la tutela del segreto passa attraverso la individuazione, la collocazione e lattivazione presso tutte le amministrazioni dello Stato di organi preposti a tale delicato settore. Si delinea così una subamministrazione per la tutela e la gestione del segreto, che dipende dall'Autorità nazionale per la sicurezza e che non è regolata da alcuna legge. In questa si fondono i due concetti convergenti di sicurezza e di tutela del segreto.
In base alla delega, i poteri che la legge assegnava in via esclusiva al Presidente del Consiglio sono stati, salvo un breve intervallo, affidati ad un organo non politico. Occorre sottolineare che si è trattato e si tratta di un organo interno al circuito istituzionale dei Servizi.
Il Comitato parlamentare osserva che un elemento di debolezza della legge n. 801 del 1977 (nonostante il proposito di introdurre garanzie) è proprio nel fatto di non avere compiutamente regolato ex novo i poteri del Presidente del Consiglio relativi all'apposizione ed alla tutela del segreto di Stato, con la relativa organizzazione amministrativa, e di non averli distinti dalle funzioni e dalla organizzazione dei Servizi di informazione e di sicurezza.
6. Il compito di "sovrintendere",
L'assenza di una distinzione tra le funzioni attinenti al segreto di Stato e quelle dei Servizi di informazione e di sicurezza è ereditata dalla prassi, dalle circolari riservate e dalla disciplina legislativa anteriore alla legge n. 801 del 1977. Prima di questa infatti non vi era una normativa che stabilisse con precisione i compiti dei Servizi di informazione e di sicurezza né una disciplina legislativa della loro struttura.
Il DPR n. 1477 del 18 novembre 1965 fu emanato prima che venissero alla luce gli episodi degenerativi dei primi anni 60 e in particolare del luglio 1964, nei quali si era manifestato un uso distorto degli apparati di sicurezza. Rispetto a quegli abusi non si può dire che il decreto fornisse garanzie o sbarramenti. Regolando l'ordinamento dello Stato maggiore della difesa e degli Stati maggiori delle tre armi, esso assegnava, tra l'altro, al Capo di stato maggiore il compito di sovrintendere al Servizio unificato di informazioni delle forze armate. Questo - secondo la norma del 1965 - doveva provvedere "a mezzo dei propri reparti, uffici e unità, ai compiti informativi di tutela del segreto militare e di ogni altra attività di interesse nazionale per la sicurezza e la difesa del paese, attuando anche l'opera intesa a prevenire azioni dannose al potenziale difensivo del paese". Si trattava di una sorta di controllo interno all'apparato militare.
La norma non incideva sulle competenze del responsabile del Servizio segreto militare, che aveva un potere di direzione e di organizzazione delle strutture nonché di determinazione e tutela del segreto. A lui spettava il titolo di Autorità nazionale per la sicurezza che, dopo il 1977, sarebbe stato usato per qualificare il funzionario a cui andava la delega del Presidente del Consiglio.
Mentre al Capo di stato maggiore della difesa il DPR n. 1477 del 18 novembre 1965 affidava il compito di sovrintendere al Servizio, contemporaneamente determinava. in via legislativa, gli ambiti di azione di questo, mantenendo strettamente legate le attività di informazione, di sicurezza, di tutela del segreto.
In questo quadro, il riferimento ad "ogni altra attività di interesse nazionale per la sicurezza e la difesa del paese" (indicata come un bene da tutelare), se confrontato con il più limpido e tradizionale concetto della "difesa della patria", che coincide con un valore costituzionale, appariva generico e rischioso, in quanto idoneo a fornire possibili coperture ad attività di tipo politico (indagini, schedature, altre iniziative extraistituzionali), che si sono largamente verificate nella esperienza dei Servizi.
La legge n. 801 del 1977 ha introdotto una significativa novità, riconducendo l'insieme di questi poteri al Presidente del Consiglio, separando il Servizio segreto interno da quello militare e definendo le attività di entrambi secondo canoni più rispondenti al dettato costituzionale
(12).Ma poi, nell'applicazione pratica, le innovazioni sono risultate parziali e inadeguate. In particolare, il potere del Presidente del Consiglio in ordine al segreto di Stato, a causa della delega, ha finito con l'essere nulla di più di un potere di sovrintendere, come quello che era stato proprio del Capo di stato maggiore della difesa (finche era in vigore, nella sua interezza, il DPR n. 1477 del 18 novembre 1965).
7. La dissociazione tra effettivo esercizio dei poteri relativi, al segreto di
Stato e responsabilità politica del Presidente del ConsiglioIl sistema addetto alla gestione del segreto di Stato, che ha propri terminali in ogni branca della Pubblica amministrazione, è stato in questi anni, di fatto, un prolungamento dei Servizi di informazione e di sicurezza, guidato da una figura di vertice di questi apparati.
Dalla fase di prima applicazione della legge n. 801 del 1977 fino al 1991, destinatario della delega è sempre stato il Direttore del SISMI. Dal gennaio 1978 all'agosto 1981, il generale Giuseppe Santovito; dall'agosto 1981 al maggio 1984, il generale Ninetto Lugaresi; dal maggio 1984 al febbraio 1991, l'ammiraglio Fulvio Martini. Tra il febbraio e il luglio del 1991 le funzioni di Autorità nazionale per la sicurezza sono state esercitate direttamente dal Presidente del Consiglio. Si trattava dell'onorevole Giulio Andreotti e questa decisione intervenne all'indomani di una crisi nei rapporti tra il Capo del Governo ed il vertice del SISMI, durante i mesi nei quali veniva resa pubblica l'esistenza della struttura clandestina Gladio, tra notizie e valutazioni contraddittorie.
L'onorevole Andreotti censurò allora pubblicamente l'ammiraglio Martini, che subito dopo lasciò la direzione dei Servizi, per avere impartito direttive, proprio in ordine a Gladio, all'insaputa dell'autorità di governo, venendo meno ad un dovere di informazione e di lealtà. Al di là della valutazione formulata sull'operato dell'ammiraglio Martini, l'onorevole Andreotti introdusse una rilevante innovazione, evidentemente volta a limitare il peso istituzionale assunto dal SISMI e dal suo vertice. Questo Servizio disponeva di un surplus di potere, rispetto agli altri apparati di intelligence, che si manifestava fondamentalmente in due direzioni: da una parte la guida ed il controllo di attività non ortodosse, come quelle di Stay behind, assai scarsamente controllate dalle autorità politiche di governo e note solo ad alcune di esse; dall'altra la posizione sovraordinata rispetto al complesso di organi della Pubblica amministrazione preposti alla gestione del segreto di Stato e, di conseguenza, il potere di impartire direttive a questa sorta di subamministrazione. Il presidente del Consiglio Andreotti agì nel 1991 per limitare l'influenza del SISMI in entrambe le direzioni. Soppresse Gladio e spostò fuori del SISMI i poteri di Autorità nazionale per la sicurezza.
Nel luglio 1991, con una nuova delega, i poteri di Autorità nazionale per la sicurezza sono stati assegnati all'ambasciatore Francesco Paolo Fulci, Segretario generale del CESIS, che ha operato con l'intenzione di separare l'UCSI dal Servizio segreto militare, e quindi ancora sulla linea di un contenimento di questo.
Dall'aprile 1993 al luglio 1994 destinatario della delega è stato il generale Giuseppe Tavormina, Segretario generale del CESIS.
Dal luglio 1994 ad oggi, destinatario è il prefetto Umberto Pierantoni, segretario generale del CESIS.
Mai è avvenuto che la seconda delega (gestione del segreto) si assommasse alla prima, relativa al coordinamento tra i Servizi. La dissociazione tra effettivo esercizio dei poteri relativi al segreto di Stato (comprendendo tra questi anche la guida e il controllo dell'UCSI) e la responsabilità politica generale del Presidente del Consiglio è stata una costante dal 1977 ad oggi. Questa dissociazione ha contribuito, da un lato, a rendere più incerto il controllo politico sul sistema dell'informazione e della sicurezza e, dall'altro, a mantenere in una zona d'ombra, priva di regole certe e sottratta alla conoscenza del Parlamento, le specifiche funzioni dell'Autorità nazionale per la sicurezza, a cominciare dalle attività riservatissime di grande delicatezza svolte dall'UCSI, anch'esse al di fuori di qualsiasi norma legislativa.
8. Le competenze del Ministro della difesa e del Ministro dell'interno
Il Ministro della difesa e il Ministro dell'interno stabiliscono l'ordinamento e curano l'attività rispettivamente del SISMI e del SISDE, sulla base delle direttive e delle disposizioni; impartite dal Presidente del Consiglio. Sono responsabili politicamente della struttura e dell'operato dei due Servizi, nell'ambito di indirizzi e sulla base di regole unitarie, di cui in ultima istanza risponde il Capo del Governo. E questa la ragione del rapporto diretto, fissato dalla legge, tra Comitato parlamentare di controllo e Presidente del Consiglio. Egli è, infatti, il primo interlocutore diretto dell'organo parlamentare. A lui ed al Comitato interministeriale di cui all'articolo 2 della legge n. 801 del 1977 si indirizzano le richieste di informazioni.
Tale è il circuito formale che consente il controllo e ne segna i limiti. Nella prassi, anche andando al di là della informazione sulle linee essenziali che può essere fornita dal Presidente, l'organo parlamentare ha, da tempo, realizzato un rapporto diretto con i due Ministri e con i responsabili tecnici dei vari apparati. Ciò ha determinato una estrema articolazione nell'assunzione di conoscenze e nella richiesta di notizie e documenti, anche se il Comitato non dispone di alcun potere formale di acquisizione diretta. Anzi, proprio con i responsabili tecnici si è tentato di intensificare sempre di più il dialogo, per conoscere l'organizzazione e le linee di attività dei Servizi, per rimuovere inconvenienti e possibili fattori di deviazione.
9. Il Comitato parlamentare e i vertici politici dell'Esecutivo. Il rapporto con il Presidente del Consiglio
Il Comitato ha dovuto registrare carenze e ritardi che segnala al Parlamento.
Non è stata possibile, nonostante le sollecitazioni, l'audizione del Presidente del Consiglio, onorevole Silvio Berlusconi. E una consuetudine in genere rispettata ad ogni inizio di legislatura che corrisponde all'esigenza di conoscere le direttive politiche in questo settore. E così mancato il quadro di riferimento e l'indirizzo generale che il Presidente del Consiglio avrebbe dovuto illustrare. Ne si sono potuti approfondire i problemi riguardanti la disciplina del segreto di Stato e le funzioni di Autorità nazionale per la sicurezza.
10. Il rapporto con il Ministro della difesa
Il rapporto con il Ministro della difesa, dal quale dipende il SISMI,
si è sviluppato secondo modalità non soddisfacenti.
Il Ministro, onorevole Cesare Previti, è stato ascoltato in due audizioni. Non è stato possibile attuare un vero e proprio confronto al di là delle comunicazioni scritte che il Ministro ha depositato le quali contengono delle lacune. Il Ministro non ha spiegato i motivi che hanno suggerito l'avvicendamento al vertice del SISMI, nel luglio del 1994.
11. Il rapporto con il Ministro dell'interno
Il contributo del Ministro dell'interno, dal quale dipende il SISDE, rispetto alle esigenze di informazione del Comitato è stato esauriente per certi aspetti e carente per altri.
Il Ministro, onorevole Roberto Maroni, è stato ascoltato in due successivi incontri. Ha fornito notizie sulla struttura e sulle attività del SISDE, sulla sua organizzazione nel territorio nazionale, sulle modalità del controllo politico, sugli archivi (dei quali ha sottolineato le anomalie), sui rapporti fra SISDE ed UCSI (formulando un giudizio critico circa questo Ufficio e circa le attuali procedure di rilascio dei "Nulla osta di segretezza"). Ha illustrato le ragioni che lo avevano indotto a decidere la sostituzione del Direttore del SISDE ed ha esposto gli indirizzi generali fissati per il Servizio, soffermandosi tra l'altro sull'incarico, affidato al nuovo responsabile, prefetto Gaetano Marino, di riorganizzare l'assetto interno ed in particolare gli archivi.
Tuttavia, il ministro Maroni non ha dato seguito ad un qualificante impegno da lui assunto nei confronti del Comitato. Si deve infatti ricordare che il 12 luglio 1994, rispondendo ad alcune interrogazioni di fronte all'Assemblea del Senato, egli aveva rivelato l'esistenza di attività illegittime nell'ambito del Servizio, volte alla raccolta di informazioni concernenti uomini politici, partiti, associazioni. "Per quanto riguarda... l'analisi delle concrete attività messe in opera da alcuni componenti del SISDE - aveva annunciato -, emergono comportamenti non in linea con quanto previsto dalla legge: gli accertamenti compiuti hanno messo in rilievo l'esistenza di numerosi fascicoli intestati a uomini politici e partiti rappresentati in Parlamento". Questo annuncio, già anticipato sulle pagine dei giornali, era tale da suscitare preoccupazione e scalpore. "Alcuni di questi fascicoli proseguiva il Ministro - sono stati impiantati nel corso dell'attuale gestione, vale a dire a partire dal 10 agosto 1993; altri fascicoli, impiantati anteriormente a tale data, sono stati tuttavia integrati da documentazione pervenuta successivamente alla data di inizio della gestione dell'attuale direttore... La legge non mi consente di dare alcuna indicazione circa il contenuto dei dossier innanzi citati; mi limito a comunicare che essi verranno consegnati nelle mani del Presidente del Comitato parlamentare di controllo istituito dalla legge n. 801 del 1977 non appena egli verrà eletto, continuando nel frattempo ad essere da me personalmente custoditi".
La intenzione di affidare al Comitato la custodia di quei fascicoli irregolari appariva per la verità discutibile. Restavano comunque aperti due problemi. Fino a che punto erano giunte quelle attività illegittime? E quali iniziative occorreva assumere per accertare le responsabilità, per espellere dal Servizio chi aveva svolto attività in contrasto con i propri compiti istituzionali?
In quella medesima circostanza, il Ministro rendeva noto al Senato l'avvicendamento ai vertici tecnici del Servizio e la nomina del nuovo Direttore. "I nuovi vertici del Servizio di informazione civile, non appena insediati - aggiungeva - procederanno all'attuazione di una serie di attività già concordate, tra cui merita particolare rilievo la profonda revisione delle procedure di controllo attualmente adottate, con l'obiettivo di garantire l'assoluta rispondenza dell'attività di ogni singolo dipendente del SISDE ai principi stabiliti dalla legge e dalle numerose disposizioni regolamentari attuative via via emanate ma troppo spesso rimaste inapplicate". Con ciò egli confermava che la formazione di quei fascicoli era dovuta alla mancanza di un corretto controllo politico e all'inosservanza delle norme vigenti.
Dopo il 15 settembre 1994, il Comitato ha più volte, tramite il Presidente, chiesto al Ministro dell'interno di trasmettere una dettagliata relazione sul complesso documentale formato dal SISDE, a cui l'onorevole Maroni aveva fatto riferimento. Questa relazione avrebbe dovuto segnalare le irregolarità commesse, i livelli di responsabilità e le ipotesi di comportamento sleale nella formazione dei fascicoli intestati ad esponenti politici e a partiti rappresentati in Parlamento. Avrebbe dovuto perciò rappresentare un essenziale contributo al lavoro di ricognizione e di analisi condotto dal Comitato, portando alla luce, nei suoi connotati e nelle sue cause, una inammissibile deviazione rilevata dal Ministro nel SISDE.
Non è da trascurare, al riguardo, che in una intervista, resa al Corriere della sera il 6 novembre 1994, il sottosegretario allinterno onorevole Maurizio Gasparri riproponeva la questione dei fascicoli, sottolineando polemicamente che essi riguardavano soltanto alcune parti politiche, ma affermando in conclusione che tutto ciò apparteneva al passato. A proposito di tali affermazioni, il Ministro ha dichiarato davanti al Comitato, nell'audizione del 6 dicembre 1994, che il Sottosegretario aveva preso visione soltanto del fascicolo a lui stesso intestato e non conosceva gli altri, se non per i nomi delle persone e dei partiti interessati. Nient'altro è stato comunicato al Comitato. Non si sa se altre autorità politiche abbiano visto i fascicoli ne se ad essi sia stata data una particolare classificazione di segretezza.
Nonostante le ripetute sollecitazioni e le assicurazioni del Ministro ribadite in entrambi gli incontri con il Comitato, si deve rilevare che l'organo parlamentare non è stato messo in condizione di conoscere quali fossero gli scopi e la consistenza delle attività in contrasto con le leggi, ne di conoscere quali settori o singoli componenti del SISDE ne siano responsabili. Le tre pagine di informazione sulla vicenda inviate dal Ministro in data 13 gennaio 1995 (quattro giorni prima che prestasse giuramento il nuovo Governo), non rispondono compiutamente ai quesiti che erano stati proposti. Il Ministro ripete quanto già aveva affermato davanti al Senato: "Per quanto attiene al contenuto dei fascicoli, posso dire che alcuni di essi sono stati predisposti per esigenze connesse alla tutela dell'esponente politico a nome del quale sono stati impiantati, anche se nessuna tempestiva informazione di questa attività è stata data all'interessato". Aggiunge inoltre: "Il contenuto di questi fascicoli è generalmente di per sé non significativo". Su di esso egli fornisce, in poche parole, un ragguaglio non analitico ne esauriente, ma insiste nel ritenere quell'attività grave e censurabile, senza peraltro indicare se siano stati presi provvedimenti e quali nei confronti di chi l'aveva posta in essere.
Così, una vicenda oscura, come quella della raccolta di informazioni riservate relative a personalità politiche e a partiti, è stata resa di pubblico dominio, ma senza spiegare la esatta portata dei comportamenti che venivano segnalati come illegittimi. Ne si è fatta chiarezza nelle sedi istituzionali. Il Comitato ha chiesto di accertare i fatti, di rimuovere i responsabili, di distruggere i fascicoli irregolari. Nulla di tutto ciò è avvenuto. Sono invece rimaste inquietanti ombre non diradate e i dossier giacenti presso il Ministero interno restano noti solo ad alcuni, mentre sull'intera vicenda possono tornare a riproporsi le polemiche, con evidente danno alla credibilità dei Servizi.
La inadeguatezza complessiva degli apporti forniti dal Governo ha dunque reso più difficile e, per quanto riguarda gli indirizzi generali, approssimativa l'attività di controllo del Comitato parlamentare.
12. L'affidabilità dei componenti dei Servizi
Riguardo alla affidabilità dei componenti dei Servizi ed ai rischi di comportamenti illegittimi, il Comitato prende atto di due diverse valutazioni formulate dal Ministro della difesa e dal Ministro dell'interno, rispettivamente a proposito del SISMI e del SISDE.
Il Ministro della difesa ha infatti affermato: "In definitiva il SISMI, così come è articolato, con le responsabilità e con le competenze definite, con la specificità di ciascuna articolazione, con la subordinazione e le connesse attività di controllo ai diversi livelli, non può essere soggetto a disfunzioni e/o deviazioni... Non escludo che qualcuno possa sbagliarle; ma ciò è del tutto casuale e l'articolazione dell'organismo di cui ho precedentemente detto fa sì che l'errore umano sia ininfluente sulla sicurezza dello Stato"
(13).E da ricordare che in un passato recente (meno di due anni fa) la necessità di un rinnovamento all'interno del SISMI era stata affermata più volte dal ministro della difesa Fabbri e dallo stesso Presidente del Consiglio. Ciò aveva condotto ad avviare un vero e proprio piano di ristrutturazione. Il direttore del SISMI, generale Sergio Siracusa, ha fornito al Comitato notizie sull'attuazione di quel piano, riconoscendone la validità.
Il Ministro dell'interno ha dichiarato: "E difficile avere la certezza matematica che non sia rimasto qualcuno all'interno del SISDE che abbia mantenuto qualche collegamento con ambienti estranei all'attività istituzionale del Servizio... Sarebbe facile chiedere di sciogliere il SISDE e di arruolare tutta gente nuova in un Servizio nuovo, ma non è possibile e dobbiamo invece verificare i singoli episodi dai quali dobbiamo imparare. Ho la certezza e la garanzia assoluta che i nuovi vertici del SISDE stanno lavorando in questo senso. Non ho la certezza assoluta ne la garanzia totale che in tutto l'apparato del SISDE tutti gli uomini attualmente in forza - nessuno escluso - sono in grado di fornire tali garanzie"
(14). Su questa base il Ministro dichiarava di aver dato incarico ai nuovi dirigenti di denunciare e sanare le situazioni di irregolarità.13. Le valutazioni dei vertici tecnici dei Servizi
Nonostante le carenze e i ritardi manifestati dalle autorità politiche di governo, ampia è stata la disponibilità dei nuovi vertici tecnici dei Servizi, che hanno finora assicurato un fattivo contributo ai lavori del Comitato.
I giudizi da loro formulati in ordine al grado di affidabilità dei componenti dei Servizi ed alla legalità del loro modus operandi sono in genere tranquillizzanti.
Il Comitato considera positivamente i propositi di risanamento e di rinnovamento espressi dai Direttori del SISMI e del SISDE ed assume l'impegno ad una costante verifica circa la coerenza degli indirizzi e la loro realizzazione concreta
(15).Ma è certo che già in passato sono state fornite all'organo parlamentare di controllo assicurazioni poi clamorosamente smentite dai fatti. Ciò rende necessario prendere in esame le cause istituzionali e le occasioni che hanno a più riprese determinato la degenerazione di questi apparati.
14. Funzioni dei Servizi. Significato dell'espressione "compiti informativi e di sicurezza"
La legge n. 801 del 1977 ha istituito due Servizi con funzioni distinte, in luogo della struttura unica militare, che c'era stata anteriormente.
Il primo è il Servizio per le informazioni e la sicurezza militare (SISMI), che dipende dal Ministro della difesa. In base all'articolo 4 della legge, esso assolve a tutti i compiti informativi e di sicurezza per la difesa sul piano militare dell'indipendenza e della integrità dello Stato da ogni pericolo, minaccia o aggressione. Inoltre, agli stessi fini, svolge compiti di controspionaggio.
Il secondo è il Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica (SISDE), che dipende dal Ministro dell'interno. In base all'articolo 6 della legge, esso assolve a tutti i compiti informativi e di sicurezza per la difesa dello Stato democratico e delle istituzioni che la Costituzione ha posto a suo fondamento contro chiunque vi attenti e contro ogni forma di eversione. La portata della novità introdotta dalla legge n. 801 del 1977 è chiara. Al Servizio di informazione e di sicurezza militare si intendevano sottrarre i compiti finalizzati alla sicurezza interna che, nell'ambito di una equivoca interpretazione delle funzioni dell'apparato militare, erano stati storicamente e a più riprese fonti di deviazioni. Ma non sembra che il rimedio sia stato sufficiente.
Le funzioni di entrambi questi apparati sono indicate con l'espressione "compiti informativi e di sicurezza". A giudizio del Comitato parlamentare, l'espressione appena menzionata non può e non deve intendersi nel senso di individuare due funzioni dei Servizi, separate e distinte. Essa è piuttosto una endiadi, per la quale la ricerca di informazioni deve interpretarsi come finalizzata alla sicurezza dello Stato. Non sono ammissibili azioni di sbarramento o di controspionaggio che si traducano nell'uso di mezzi coattivi, contro la legge. Con l'espressione "compiti informativi e di sicurezza" si vuole indicare la finalizzazione dell'attività di ricerca e di raccolta di informazioni (in gran parte presumibilmente riservate) alla tutela della sicurezza dello Stato.
A questo proposito, il direttore del SISMI, generale Sergio Siracusa, ha dichiarato davanti al Comitato parlamentare: " ... gli organismi di informazione e sicurezza sono soprattutto produttori di informazioni. Ci sono informazioni di carattere generale ed informazioni rivolte alla sicurezza; tutto ciò che è 'a valle', vale a dire che è applicazione, parte esecutiva, non fa parte della nostra attività. Ad esempio, se noi sappiamo che uno di quei signori della mafia è a Praga in un determinato appartamento non possiamo andare a catturarlo con una squadra, perché non rientra tra le nostre competenze e le nostre attività"
(16).Sulla base di tali considerazioni, il Presidente ha posto al Direttore del SISMI una domanda volta a definire i limiti dell'attività di controspionaggio: "Se c'è una spia di un paese straniero in Italia vengono raccolte le informazioni e si creano le condizioni per l'intervento della polizia giudiziaria, ma il SISMI non interviene direttamente. E così?". Il Direttore del SISMI ha risposto: "Sì, questa è la linea di demarcazione"
(17).Il Comitato ritiene che la linea di demarcazione sopra indicata debba essere tenuta ferma e che debba assolutamente evitarsi la creazione, allinterno dei Servizi, di nuclei speciali, costituiti per adempiere direttamente a funzioni di sicurezza o ad attività repressive.
Anche nel caso di garanzie funzionali per cui possano autorizzarsi - a determinate condizioni, come più avanti si proporrà
(18) - singole attività in contrasto con norme di legge, poste in essere da soggetti appartenenti ai Servizi, per il perseguimento di primarie finalità istituzionali e nel quadro di un rigoroso sistema di controlli, i compiti di questi apparati devono comunque restare limitati all'attività informativa. Le garanzie funzionali - se ammesse - dovranno riferirsi esclusivamente alla ricerca di informazioni, sia sulle minacce esterne o interne alla sicurezza sia sull'attività informativa compiuta da soggetti esterni, a danno dello Stato.15. Problemi attuali del SISMI
Il SISMI dispone attualmente di un personale effettivo pari a 2.223 unità, sensibilmente inferiore al ruolo organico, stabilito con decreto del Presidente del Consiglio.
La ristrutturazione in corso prevede che da una organizzazione del Servizio fondamentalmente per materie si passi ad un assetto ordinato (secondo una linea verticale di ripartizione delle competenze) attorno alle funzioni cosiddette di ricerca e situazione (quest'ultima risultante dall'analisi e dalla valutazione dei dati informativi raccolti).
Per quel che riguarda i Centri organizzati su scala territoriale, si è operato per garantire una rotazione dei responsabili, in modo da evitare, per il futuro, il fenomeno delle lunghe permanenze degli stessi funzionari alla guida di rilevanti centri periferici, che ha dato luogo, negli anni passati, ad una serie di inconvenienti.
Attualmente, il 13 per cento dei quadri direttivi del SISMI risulta proveniente dal SID (Servizio operante dal 1966 fino alla legge n. 801 del 1977 e coinvolto in gravi deviazioni). Si tratta di 62 unità. Dal SIFAR (organismo precedente al 1966) proviene invece lo 0,6 per cento dei quadri direttivi e si tratta di 3 unità.
Risulta da questi dati numerici una continuità con il passato, che riguarda le funzioni direttive (e quindi i gruppi di comando) all'interno del Servizio.
Nel quadro della ristrutturazione, si segnalano:
a) l'avvenuto scioglimento della VII Divisione, in seguito agli accertamenti condotti in sede giudiziaria e parlamentare sulla struttura Gladio, sulle attività di Stay behind sulle ipotesi di illegalità e soprattutto sulle anomalie derivanti dall'assenza di chiarezza e di responsabilità certe nel rapporto tra queste strutture e le autorità politiche di governo sovraordinate ad esse
(19);b) la creazione di una Divisione che si occupa di criminalità organizzata;
c) la ridefinizione della mappa dei centri operanti all'estero.
16. Problemi attuali del SISDE
Il SISDE dispone attualmente di un personale effettivo di 1.339 unità, inferiore al ruolo organico, previsto pari a 1.586 unità.
La specificità del Servizio si concreta nella funzione di difesa dello Stato democratico contro ogni forma di eversione costituzionale, difesa alla quale è strettamente collegata l'azione di contrasto alla criminalità organizzata, secondo il dettato della legge n. 410 del 1991. Questa connessione risulta tanto più essenziale, se si riflette sui caratteri assunti dall'attacco delle grandi associazioni di tipo mafioso nell'ultimo quindicennio. L'organizzazione denominata Cosa nostra è quella che più di altre ha fatto ricorso al terrorismo.
Anche di recente, nei gravi attentati della primavera-estate 1993, che pure erano destinati a lanciare avvertimenti piuttosto che a realizzare stragi, la componente eversiva ha avuto un forte rilievo. E vi sono elementi per ritenere che la matrice mafiosa non sia stata esclusiva.
Nello specifico settore, il SISDE deve assicurare l'apporto indispensabile di una intelligence a carattere generale e preventivo, capace di integrare le attività investigative, e condotte dalle forze di polizia e da strutture specializzate come la DIA.
L'attività informativa svolta dal SISMI in questo campo riguarda il versante estero e non deve sovrapporsi a quella del SISDE.
Il rinnovamento in atto nella organizzazione del SISDE prevede - il Comitato ritiene in modo coerente con il ruolo ora ricordato - un potenziamento dei Centri operativi periferici tale da rendere adeguato il controllo territoriale con la più razionale "copertura" delle sedi. Particolare cura deve essere posta nella scelta degli uomini che dirigono e compongono i Centri periferici, nelle regioni ove operano le strutture di vertice del sistema mafioso. Là dove i poteri criminali sono più forti e lo stesso controllo del territorio da parte dello Stato è messo in discussione, l'attività di intelligence è più ardua e facilmente si rischia - talvolta anche senza esserne consapevoli - di favorire i disegni e le strategie di intossicazione informativa della mafia.
Disegni e strategie che nella fase attuale tendono a svilupparsi ampiamente, come mostra la recente vicenda del cosiddetto dossier Di Maggio.
Dopo la crisi seguita alla vicenda dei fondi neri che si affronta in altra parte della relazione, il ridotto bilancio del SISDE privilegia la costituzione di un sistema informatico centralizzato nonché la predisposizione di misure intese, alla riqualificazione del personale così da adeguarne la professionalità al "cambiamento culturale" che tende a esaltare il momento dell'analisi e della ricerca.
Tale ultimo obiettivo deve, a giudizio del Comitato, impegnare particolarmente il SISDE che ha sempre risentito del modo certo insoddisfacente di reclutamento, di selezione e di formazione dei quadri, fin dal momento della costituzione del Servizio all'indomani della approvazione della legge di riforma del 1977.
17. Funzioni e problemi attuali del CESIS
Il Comitato esecutivo per i Servizi di informazione e sicurezza (CESIS) dispone attualmente di 202 unità, pressoché pari all'organico previsto di 206 unità.
Come è noto, il CESIS è struttura istituita alle dipendenze del Presidente del Consiglio al quale fornisce il supporto tecnico nella funzione di coordinamento dell'attività dei Servizi operativi.
Il CESIS è composto, oltre che dal Segretario generale e dai Direttori del SISMI e del SISDE, dal Capo di stato maggiore della difesa, dal Capo della polizia, dal Segretario generale del Ministero degli affari esteri, dal Comandante generale dell'Arma dei carabinieri, dal Comandante generale della Guardia di finanza e dal Segretario generale della Presidenza del Consiglio.
Al CESIS assicura continuità di funzionamento e di gestione il responsabile della Segreteria che, con il tempo, ha assunto un ruolo di sempre maggiore rilievo, certo al di là della previsione normativa che lo definisce come organo servente del Collegio.
Tale evoluzione, già posta in luce in passato, suggerisce al Comitato di riproporre una nuova configurazione legislativa del ruolo e delle funzioni del Segretario generale, come si illustrerà più dettagliatamente in altra parte della relazione.
18. I SIOS: le funzioni fondamentali
All'articolo 5 della legge n. 801 del 1977 si prevede che "i reparti e gli uffici addetti all'informazione, sicurezza e situazione esistenti presso ciascuna forza armata o corpo armato dello Stato hanno compiti di carattere esclusivamente tecnico-militare e di polizia militare limitatamente all'ambito della singola forza armata o corpo. Essi agiscono in stretto collegamento con il SISMI".
Le competenze di questi reparti e di questi uffici nonché il collegamento con il SISMI costituiscono dunque oggetto ordinario del controllo parlamentare che il Comitato deve esercitare nei confronti dei SIOS (Servizi di informazioni operative e situazione) di forza armata, gerarchicamente dipendenti dai rispettivi Capi di stato maggiore e dal Ministro della difesa. Va ricordato che i SIOS sviluppano a mezzo di intercettazioni, di analisi tecnica delle comunicazioni in una determinata area di interesse, una attività di intelligence finalizzata a configurare la situazione degli obiettivi annualmente indicati dallo Stato maggiore della difesa, sentito il SISMI. Così il SIOS Esercito è chiamato a definire il potenziale militare di un determinato paese, il SIOS Marina a controllare la situazione marittima complessiva, non solo militare, nell'area del Mediterraneo, il SIOS Aeronautica ad occuparsi, tra l'altro, dell'autorizzazione al sorvolo di velivoli che transitano o fanno scalo sul territorio nazionale. I dati riferiti alle diverse situazioni sono messi a disposizione delle strutture che ne hanno bisogno, in primo luogo il SISMI al quale pervengono, in tal modo, le informazioni dai SIOS. Ma anche dal SISMI sono fornite informazioni ai SIOS di forza armata, secondo un rapporto di scambio reciproco, di flusso continuo di dati e di notizie che potrebbero trovare - ad avviso del Comitato - un fattore di razionalizzazione nella creazione di una intelligence militare unificata.
Ai SIOS di forza armata compete il rilascio delle abilitazioni di sicurezza oltre che per i militari (fino al grado di tenente colonnello incluso) per i civili e il personale ausiliario delle forze armate, per i civili operai e assimilati dipendenti da ditte che effettuano lavori o assicurano forniture "classificati" per le forze armate e per i quali le ditte medesime hanno inoltrato al competente SIOS le richieste di abilitazione. I SIOS di forza armata rimettono all'UCSI le pratiche di abilitazione per tutti i casi nei quali sorgano dubbi e perplessità in ordine alla fiducia da accordare ai fini della sicurezza.
Anche questa competenza, che integra l'attività dei SIOS di forza armata nel sistema della sicurezza, è stata attentamente valutata da parte del Comitato.
Si è così accertato che la fase istruttoria che precede la concessione dell'abilitazione da parte dei SIOS è gestita dall'Arma dei carabinieri.
19. Il II Reparto della Guardia di finanza
La Guardia di finanza dispone di una struttura informativa: il II Reparto.
Esso svolge attività informativa riguardante la ricerca doganale, l'attività anticontrabbando ed antidroga; più in generale si occupa di traffici illeciti.
E equiparabile ai SIOS di forza armata.
Il II Reparto provvede alla tenuta e allaggiornamento dello schedario generale del Corpo, connesso con l'attività informativa.
In questo schedario generale, attivo dal 1952, viene archiviata la documentazione, secondo criteri alfabetico-cronologici. La documentazione è tutta opportunamente conservata. Nessuna delle acquisizioni informative è mai stata distrutta.
20. Il CED del Ministero dell'interno
La legge n. 121 del 1 aprile 1981 sulla riforma della polizia ha istituito presso il Ministero dell'interno un archivio magnetico centrale per le informazioni concernenti la prevenzione e la repressione della criminalità. La legge ha affrontato il problema cruciale delle garanzie volte a prevenire i pericoli connessi alla installazione di grandi elaboratori elettronici (con il potere di disporre di una mole enorme di informazioni sui cittadini).
Tra le garanzie assume un particolare risalto la funzione di controllo che deve essere esercitata (articolo 10) dal Comitato parlamentare per i Servizi di informazione e sicurezza sul Centro elaborazione dati (CED). Il controllo dovrebbe avvenire "attraverso periodiche verifiche dei programmi nonché di dati e di informazioni casualmente estratti e forniti senza riferimenti nominativi" (articolo 10, comma 1). Conseguenza del controllo può essere la cancellazione dei dati, ma anche la loro integrazione, quando risultino parzialmente inesatti o equivoci. La cancellazione dev'essere ordinata dal Comitato, quando i dati siano stati acquisiti in violazione dell'articolo 7 della legge che fissa limiti alla raccolta delle informazioni, indicando tassativamente i documenti dai quali possono essere tratte, vietando l'assunzione di informazioni relative all'esercizio dei diritti di libertà politica, religiosa, sindacale, fissando l'ambito in cui è possibile acquisire notizie su operazioni o posizioni bancarie.
Un regolamento da emanare con decreto del Presidente della Repubblica - stabilisce l'articolo 11 - disciplina le procedure per la raccolta dei dati e delle informazioni, per l'accesso nonché per la correzione e cancellazione dei dati erronei e per la integrazione di quelli incompleti.
Il DPR n. 378 del 3 maggio 1982, in attuazione della norma di legge ora richiamata, dispone all'articolo 18: "le modalità tecniche relative alla estrazione casuale dei dati e informazioni da fornire senza riferimenti nominativi al Comitato parlamentare, nel corso delle verifiche, sono stabilite dalla Commissione tecnica di cui all'articolo 8, terzo comma, della legge n. 121 del l aprile 1981, ed approvate dal Comitato parlamentare stesso".
Dunque, una Commissione tecnica, costituita con decreto del Ministro dellinterno e che si colloca nell'ambito della stessa amministrazione sottoposta al controllo parlamentare, avrebbe dovuto predisporre le condizioni operative necessarie all'esercizio effettivo del controllo. Ciò non è avvenuto.
Le norme che consentirebbero l'accesso dell'organo parlamentare ai dati ed alle informazioni non sono mai state adottate. Si è impedito così finora al Comitato di adempiere ad un suo dovere istituzionale. E venuta meno una essenziale funzione di verifica (e di garanzia) circa la rispondenza complessiva del funzionamento del CED ai principi costituzionali in materia di diritti dei cittadini.
Il Comitato denuncia al Parlamento questa prolungata inadempienza che non è ulteriormente tollerabile.
La normativa prevista dev'essere adottata. Il Comitato ritiene che per un puntuale controllo debbano essere rimossi due ostacoli. In primo luogo, oggi esso non può assumere direttamente dati dallarchivio elettronico, perché le modalità di memorizzazione non consentono di estrarre adeguate informazioni senza riferimenti nominativi. In secondo luogo, manca presso il Comitato un terminale.
Il sistema informativo del CED deve essere riorganizzato, essendo oggi impostato per soddisfare le esigenze dei diversi utenti, ma non quelle del controllo parlamentare.
21. Il falso dossier su Castellari
L'attenzione del Comitato si è soffermata su una vicenda, dai risvolti ancora oscuri, che ha coinvolto operatori del CED. Il Pubblico ministero che dirige le indagini relative alla morte dell'ex direttore delle partecipazioni statali, Sergio Castellari, ha acquisito agli atti dell'inchiesta la copia di un dossier su Castellari, attribuito al SISDE e successivamente risultato falso. Per formare tale documento sono stati utilizzati dati provenienti dal CED del Ministero dell'interno. A seguito di successivi accertamenti, si è potuto concludere che i dati erano stati estratti, secondo una procedura corretta, da operatori del CED. Questi sono stati sospesi dalle loro funzioni.
Resta da stabilire di quale iniziativa siano stati partecipi, quali fossero gli scopi del falso dossier e del depistaggio delle indagini a cui probabilmente si mirava. Si attendono su questo i risultati delle indagini giudiziarie.
Risulta al Comitato che tra i dati provenienti dal CED ed inseriti nel dossier vi erano, tra l'altro, i numeri telefonici delle utenze riservate di Sergio Castellari e del figlio. La Commissione tecnica aveva da tempo disposto l'acquisizione al CED dell'archivio SIP con i numeri riservati. Perciò, interrogando un archivio di secondo livello e quindi di accesso più limitato, è possibile agli operatori abilitati conoscere l'identità dei titolari di tutte le utenze riservate. Ma questo tipo di informazioni (non essendo oggi l'azienda telefonica assimilabile ad una pubblica amministrazione o ad un ente pubblico) non sembra compreso nella previsione dell'articolo 7 della legge n. 121 del l aprile 1981 che contiene un elenco tassativo dei dati da raccogliere. Il Direttore del CED non è stato in grado di spiegare questa circostanza. Si tratta di un'ulteriore anomalia derivante dal mancato controllo.
II. L'UCSI: un ufficio privo di regolamentazione legislativa
22. I "Nulla osta di segretezza"
L'Ufficio centrale per la sicurezza (UCSI) assolve a compiti direttivi, di coordinamento, di controllo per l'applicazione delle procedure di sicurezza derivanti direttamente da norme interne o dagli accordi internazionali NATO e comunitari. E ufficio servente rispetto all'Autorità nazionale per la sicurezza (ANS), perciò guida e controlla l'insieme degli organi che all'interno della pubblica amministrazione sono addetti alla gestione del segreto di Stato. Fissa inoltre le norme e le procedure attraverso le quali il segreto viene tutelato, nel campo dei documenti, dei materiali, delle telecomunicazioni, dei sistemi informatici. Comprende due Divisioni ed impiega 115 persone in organico, di cui 104 effettivi.
Questo Ufficio è stato strettamente legato al Servizio segreto militare fino al 1991: fin quando il Direttore del SISMI ha continuato ad essere investito dei compiti di Autorità nazionale per la sicurezza.
Prima delle circolari riservate emanate dal Presidente del Consiglio Francesco Cossiga il 23 novembre 1979 e il 5 gennaio 1980, l'Ufficio aveva la sigla USI (Ufficio sicurezza), ma l'assetto era lo stesso; e prima ancora (fino alla metà degli anni 60) i medesimi compiti venivano svolti dall'USPA (Ufficio sicurezza del Patto Atlantico). Fu il generale Giovanni De Lorenzo a definire questo organo come "collaterale del SIFAR"
(20).La dottrina ha individuato la sua competenza fondamentale, sulla base degli scarsi elementi di cognizione disponibili, nel "rilascio del Nulla osta di sicurezza - così scrive Giovanni Cocco in un libro del 1980 - cioè di una forma di benestare che non solo condizionava l'accesso a fonti particolarmente riservate.... ma condizionava di fatto l'accesso ad una serie di incarichi e di funzioni importanti fino a quelle ministeriali"
(21). Va segnalato che la formula "Nulla osta di sicurezza", qui riferita, è dubbia e, almeno nell'ordinamento attuale, non esatta. Infatti, nelle norme regolamentari riservate oggi in vigore, alla sigla NOS si fa solitamente corrispondere l'espressione "Nulla osta di segretezza".Storicamente, si rispecchiava nellUSPA una posizione di subalternità del Servizio segreto italiano rispetto all'organizzazione NATO ed alla potente Agenzia di intelligence statunitense. Il rapporto è divenuto, con gli anni, meno stringente, ma l'assoluta discrezionalità e l'assenza di regole hanno continuato ad essere i caratteri essenziali di questo Ufficio, peraltro mai sottoposto finora ad un controllo parlamentare.
Il Comitato si è particolarmente soffermato sulla procedura per la concessione del Nulla osta di segretezza. Si tratta di un'abilitazione (deliberata dall'ANS) che concede ad una persona o ad una impresa (e specificamente a determinate persone che la rappresentano) l'accesso a notizie, documenti o materiali ai quali è attribuita una classifica di segretezza. Può esservi per le imprese un'abilitazione preventiva che consente di partecipare a gare d'appalto, per lavori nei quali vi siano problemi di sicurezza e di tutela del segreto, e che si converte poi in un vero e proprio Nulla osta complessivo, sulla base di ulteriori indagini.
La procedura è comunque prevista:
per gli ufficiali generali, colonnelli e gradi equipollenti
(22); per i funzionari direttivi e di concetto appartenenti all'amministrazione della Difesa ed alle amministrazioni delle forze armate; per i cancellieri della giustizia militare;per i civili dipendenti da tutte le altre amministrazioni civili dello Stato, e civili con incarico di esperti, destinati a rappresentare periodicamente lo Stato a riunioni NATO e UEO;
per i civili dirigenti ed impiegati dipendenti da ditte industriali o commerciali, da organismi pubblici e privati, che trattano documenti riservati o che concorrono (con richieste di autorizzazione inoltrate al Ministero dell'industria e del commercio o ad altre amministrazioni) per la progettazione o l'esecuzione di lavori classificati o per la partecipazione a gare relative a progetti o lavori per infrastrutture NATO o comunque da proteggere.
Il NOS ha validità per sette anni ed un anno prima della scadenza dev'essere inoltrata la richiesta di rinnovo. Per il personale NATO i termini sono, rispettivamente, di cinque anni e di sei mesi. Se il rinnovo è chiesto entro i termini e nelle more il Nulla osta giunge a scadenza, esso conserva validità fino al momento in cui è resa nota la nuova delibera. Prima del termine l'UCSI, sulla base di segnalazioni (per esempio relative a vicende giudiziaria) e di nuovi accertamenti, può decidere la revoca del NOS.
La prima e fondamentale protezione del segreto e delle stesse persone abilitate consiste nel non abilitare coloro che comunque possano presentare un lato vulnerabile. Ma quali sono i criteri di giudizio? L'aver adottato il concetto vago di vulnerabilità come elemento ostativo all'abilitazione può consentire le valutazioni più diverse.
Negli anni della guerra fredda venivano considerati inidonei a trattare documenti o attività con requisiti di segretezza i cittadini che avevano orientamenti politici avversi all'Alleanza atlantica. Vi era nella loro esclusione da determinate funzioni o impieghi, ai quali avrebbero avuto altrimenti diritto, una deroga al principio di uguaglianza, stabilita in evidente contrasto con la Costituzione. Oggi di quelle discriminazioni si coglie soltanto un residuo.
Il rilascio dei NOS continua ad avere effetti rilevanti nella vita professionale di numerosissimi soggetti (in gran parte militari e dipendenti pubblici) così come nelle attività e negli affari di molte imprese. Le deliberazioni dell'UCSI possono modificare radicalmente carriere individuali, possono far partecipare l'una o l'altra impresa ad appalti remunerativi o possono escluderla. E grande il potere che così viene esercitato. Ma si tratta di un potere che non è disciplinato da alcuna regola legislativa e che è svincolato da ogni controllo. La sua assoluta discrezionalità rischia continuamente di trasformarsi in irragionevolezza e in arbitrio. O - come pure avviene spessissimo - dà luogo ad indagini di routine che si riducono a mera ed inutile apparenza.
Il Nulla osta di segretezza viene richiesto all'UCSI dall'ente interessato. L'Ufficio, a sua volta, chiede di regola ai Carabinieri, attraverso le strutture territoriali, di svolgere indagini. Se vi sono aspetti concernenti la sfera economica e finanziaria, è possibile che si sollecitino indagini da parte della Guardia di finanza. Il tipo di investigazione e la scelta degli organi da attivare dipendono da una piena discrezionalità.
Le indagini riguardano la persona, le sue attività, i suoi congiunti ed hanno una maggiore o minore estensione (per esempio fino ai congiunti conviventi o anche al di là di essi) a seconda del livello di segretezza a cui il soggetto abilitato dovrà accedere.
Il generale Rodolfo Guarino, Direttore dell'UCSI, al quale il Comitato dà atto di una collaborazione leale e proficua, che ha consentito di effettuare per la prima volta un controllo su questo Ufficio, ha, tra l'altro, dichiarato che le richieste inviate all'Arma dei carabinieri sono numerosissime. Le pratiche comuni, per le quali non vi sono specifiche segnalazioni dal centro, sono trattate con una notevole lentezza. Le strutture territoriali dei Carabinieri, quando non sono sollecitate, non le smaltiscono tempestivamente. "Quando c'è invece qualche indicazione particolare - ha soggiunto - allora si approfondisce mediante l'Arma dei carabinieri o anche con la Guardia di finanza". A tale scopo l'UCSI raccoglie tutte le informazioni utili ad indirizzare gli approfondimenti e le indagini più mirate. Può interessare il SISMI, domandando se esistano su un determinato soggetto controindicazioni riferite alla sicurezza nazionale. C'è insomma un duplice livello degli accertamenti. Da un lato, vi è la richiesta ai Carabinieri, che procedono secondo i loro normali schemi di attività ed in base a formulari informativi standardizzati. Dall'altro, vi è la possibilità che dal centro una determinata pratica venga pilotata, con segnalazioni particolari e sollecitando informazioni più specifiche. L'Ufficio dunque non è solo destinatario di notizie e non si limita ad ordinarle. Ha anche un ruolo attivo nella raccolta delle informazioni.
Risulta, d'altra parte, che l'UCSI ha promosso specifiche indagini su persone, nel 1992, quando si profilò l'ipotesi di illeciti disciplinali e penali commessi da funzionari del SISDE. Allora, il Segretario generale del CESIS, ambasciatore Francesco Paolo Fulci, costituì un nucleo misto, composto da personale dell'UCSI e del CESIS, per verificare la fondatezza dei sospetti. Il controllo era finalizzato ad un'eventuale revoca dei NOS ma anche a mettere in guardia l'autorità politica circa la inaffidabilità di quei funzionari (che sarebbe stata un anno dopo confermata dalle indagini giudiziarie)
(23). Va rilevato che questa attività dell'UCSI non ebbe comunque alcun esito. L'autorità politica non assunse decisioni né vi fu alcuna segnalazione alla magistratura.24. Un'assoluta discrezionalità
Presso la sede dell'UCSI sono conservati 308.000 fascicoli relativi a persone e circa 2.500 relativi ad imprese. In essi sono consolidate tutte le notizie raccolte attraverso le varie indagini (di routine o mirate). Si tratta di un patrimonio informativo enorme, eterogeneo nella sua composizione con pratiche a volte limitate ad una corrispondenza burocratica, altre volte più complesse. Il Comitato ha acquisito alcuni fascicoli, sulla base di una scelta casuale, ed ha acquisito l'elenco delle imprese titolari di abilitazione preventiva o di Nulla osta di segretezza.
In passato gli archivi dell'UCSI erano collegati con il SISMI, o meglio con il Centro elaborazione dati di quel Servizio, che comprendeva un'area riservata all'UCSI. Fu l'ambasciatore Fulci che fece trasferire questo collegamento dal SISMI al Centro elaborazione dati del CESIS allo scopo di separare il prima possibile l'UCSI dal Servizio segreto militare di cui per anni era stato un'appendice.
Risulta al Comitato che, fino alla fine degli anni 60 e all'inizio degli anni 70, le indagini finalizzate al rilascio del NOS riguardavano anche gli orientamenti politici. Vi erano - secondo uno schema che risaliva alla contrapposizione elettorale del 1948 - alcuni partiti guardati con sospetto, sebbene fossero rappresentati in Parlamento. Chi risultasse simpatizzante di quei partiti veniva considerato inaffidabile.
Attualmente, ha affermato il Direttore dell'UCSI, soltanto l'attività eversiva contro le istituzioni democratiche è rilevante; non c'è discriminazione sulla base delle opinioni e i partiti politici che costituiscono il sistema democratico sono considerati tutti uguali.
In realtà il Comitato ha accertato che ancora oggi l'Arma dei carabinieri adotta, per lo svolgimento delle indagini richieste dall'UCSI, un formulario informativo, evidentemente risalente al passato, ma la cui validità è stata di recente confermata, nel quale si prevede un'acquisizione di notizie ed una valutazione di natura politica sulle persone che sono oggetto di esame.
Questo formulario prevede infatti, tra l'altro, che i Carabinieri assumano " ... altre notizie che possano meglio lumeggiare la figura dell'interessato, comprese le cariche pubbliche ricoperte, gli ambienti, anche politici, frequentati, ed eventuali relazioni con persone controindicate che possano esercitare influenza o coercizione nei suoi confronti". In un'altra stesura, di cui il Comitato ha preso visione presso la sede dell'UCSI, il riferimento alle cariche pubbliche ed agli ambienti politici non è compreso. Ciò dimostra che i Carabinieri operano secondo criteri non uniformi. Ma è certo che quel testo, il quale autorizza valutazioni discriminatorie, risulta confermato da una direttiva del Presidente del Consiglio del 20 dicembre 1990; è presente in fascicoli recenti acquisiti e il Segretario generale del CESIS lo ha inviato al Comitato l'8 novembre 1994, confermandone esplicitamente la validità attuale.
Le anomalie che si rilevano esaminando i documenti UCSI acquisita dal Comitato sono numerose ed in qualche caso assai gravi.
Il Comitato ha richiesto espressamente due fascicoli personali: quello intestato a Matilde Martucci, segretaria in servizio presso il SISDE fino al 1993, e quello intestato a Francesco Sorrentino, dipendente del Servizio dal 14 settembre 1988 al 10 novembre 1994 e fratello della dottoressa Rosa Maria Sorrentino, funzionaria del SISDE, recentemente condannata in primo grado a due anni e dieci mesi di reclusione, in relazione alla vicenda dei fondi riservati.
Si trattava di due casi già noti, per diversi motivi. La Martucci aveva ottenuto il NOS di più alto livello, il 19 novembre 1984, nonostante. la modesta qualifica di "agente tecnico" ed essendo stati ignorati precedenti a suo carico, relativi alla "condotta morale e civile". Vi erano state difficoltà, come attestano alcune annotazioni, ma tutto si era sbloccato in seguito all'intervento personale del prefetto Malpica. Anche questo è documentato e si tratta di una procedura non regolare, resa possibile dal regime di discrezionalità.
E da sottolineare che sulla richiesta di rinnovo del NOS, scaduto il 18 novembre 1991, l'UCSI non prese alcuna decisione fino al 23 marzo 1993, sebbene fossero già emerse nuove controindicazioni anche a carico di un congiunto. Soltanto in questa data si decise di negare il NOS. Nel frattempo, quello precedente conservava la sua validità.
Francesco Sorrentino, proveniente dal Ministero della pubblica istruzione, era stato assegnato al centro SISDE di Salerno e poi destinato alla funzione di responsabile dell'agenzia di Avellino. Gli era stato assegnato un NOS in data 8 febbraio 1989. Il fascicolo contiene una schedatura, con sommarie informazioni relative al padre, alla madre, alle sorelle ed ai fratelli, alla moglie, al suocero ed alla suocera, alle figlie ed al figlio. L'unico congiunto che era sfuggito completamente all'attenzione dei Carabinieri di S. Angelo dei Lombardi, dai quali aveva origine l'informativa, risulta essere il cognato Costantino Vecchione, tratto in arresto nel 1984, perché implicato nell'attentato al procuratore della Repubblica di Avellino Antonio Gagliardi, e successivamente condannato a tre anni di reclusione, per associazione a delinquere di tipo mafioso. Come poteva la vicenda essere ignota ai Carabinieri? E chiaro che se un elemento di vulnerabilità come questo può sfuggire all'UCSI, ciò significa che l'intera procedura non funziona ed è per ciò inutile.
Ma altri esempi presi in esame dal Comitato, in seguito all'assunzione casuale di fascicoli, confermano come la discrezionalità degli accertamenti non offra garanzie di certezza. Contemporaneamente, emerge l'inefficacia delle procedure rispetto allo scopo dichiarato. L'UCSI non appare in grado di individuare tempestivamente i fattori di debolezza di un soggetto, che possono esporlo a pressioni illecite e quindi renderlo inidoneo ad incarichi delicati, dai quali dipendono beni pubblici e perfino vite umane.
Come si vede nel corposo fascicolo personale di un sottufficiale marconista, acquisito dal Comitato, ove sono raccolte le informative dal 1970 al 1994, le notizie relative agli orientamenti politici vengono assunte fino al 1975. I congiunti vengono qualificati come "orientati verso la DC". Del sottufficiale in questione è annotato il fatto che "non si interessa di politica" e tutto ciò rientra fra gli elementi favorevoli.
Ad un altro sottufficiale, partecipante ad esercitazioni NATO, viene revocato il NOS, che aveva avuto per sei anni, dopo un ricovero in ospedale determinato da abuso di sostanze stupefacenti e senza che prima ci si fosse accorti di questo elemento di vulnerabilità.
In alcuni casi, le indagini sembrano inesistenti. All'addetto finanziario presso un'ambasciata è riconosciuto il NOS sulla base di informazioni condensate in formule quali "nessuna indicazione", riguardo a dati rilevanti per la sicurezza nazionale, o come "buona condotta morale e civile", con l'avvertenza infine che non si procede a raccogliere elementi sul conto dei suoceri del candidato "perché nati e residenti all'estero". E tutto ciò viene considerato esauriente dall'UCSI.
Per quel che riguarda i fascicoli relativi alle imprese, il Comitato ha espressamente richiesto quello della S.p.A. "Impresa Angiolini Bortolotti" di Napoli, che era stata al centro di polemiche, dopo una pubblica denuncia del prefetto Umberto Improta. Nonostante infiltrazioni camorristiche, l'impresa era stata abilitata a lavori per i quali erano necessarie garanzie particolari di sicurezza. Anche in questo caso, l'incertezza della procedura e dei criteri da applicare ha condotto ad una situazione discutibile e rischiosa.
La società risultava da tempo abilitata alla partecipazione a gare di appalto per lavori classificati. In seguito ad una serie di variazioni, nel gennaio 1991, veniva richiesto il NOS per il nuovo rappresentante legale, signor Antonino Apreda. Egli era procuratore di un'altra società di Napoli (s.a.s. IMEC), che aveva inoltrato istanza di abilitazione. Era subentrato nel 1990, come rappresentante legale di quest'ultima società, al padre, signor Giuseppe Apreda, giudicato non idoneo ad ottenere il NOS individuale a causa di pendenze penali con gravi capi d'imputazione.
II rapporto di parentela induceva l'UCSI a non concedere il NOS individuale. Fallita la IMEC, l'intera pratica veniva archiviata, ma non si rimetteva in discussione né tanto meno si revocava l'abilitazione preventiva della "Impresa Angiolini Bortolotti". In questo caso, le pendenze giudiziarie a carico del padre del signor Antonino Apreda non venivano considerate rilevanti. Nel frattempo emergevano le accuse di coinvolgimenti camorristici, di cui l'UCSI non riceveva però notizie da fonte ufficiale.
La situazione di rischio, in questo caso, dipendeva dal permanere dell'abilitazione, nonostante gli elementi acquisiti circa la non affidabilità del rappresentante dell'impresa, e dall'assenza di informazioni all'UCSI da parte degli organi di polizia sulle ipotesi di collegamenti con ambienti della camorra.
Il Comitato segnala al Parlamento e al Governo che tra le imprese titolari di abilitazione preventiva o di Nulla osta complessivo non sono poche quelle i cui rappresentanti hanno precedenti negativi sul piano giudiziario o che risultano essere state toccate da attività illecite. Ciò appare da una serie di schede riepilogative inviate dalla Guardia di finanza al Comitato. Le schede sono state richieste con riferimento ad imprese abilitate per disposizione dell'UCSI, che operano nelle regioni a più alta densità mafiosa- L'indagine svolta è dunque molto circoscritta: soltanto un campione. La Guardia di finanza si è limitata ad un esame degli atti dello Schedario generale del Corpo nonché delle banche dati (Archivio della Polizia e della Guardia di finanza), estraendo controindicazioni che riguardano 92 imprese.
In particolare va rilevato con preoccupazione che, a proposito di un'impresa palermitana titolare di NOS complessivo fino al 5 aprile 1996, risulta nello Schedario generale della Guardia di finanza la seguente annotazione: "Apposita informativa di polizia giudiziaria ha segnalato che la società potrebbe essere collegata ad attività di riciclaggio della mafia"; ed analogamente sembra non aver avuto alcuna conseguenza per l'UCSI il fatto che a una società di Agrigento munita di abilitazione preventiva risulti interessato un noto imprenditore recentemente coinvolto in inchieste di mafia.
Si tratta di episodi significativi i quali confermano la necessità di una profonda revisione delle procedure attinenti ai NOS.
Al di là dei casi che si sono fin qui esaminati, vi è un problema più generale che riguarda la struttura e le attività dell'UCSI.
Si può certamente definire quest'Ufficio come un organo di valutazione di documenti e di dati informativi necessari al rilascio del NOS.
Esso è, in altre parole, addetto alla raccolta di informazioni. Interviene nella fase delle indagini necessarie ad istruire le pratiche relative ai NOS; può pilotarle e sollecitare approfondimenti; può trasmettere ai Servizi di informazione e di sicurezza gli elementi conoscitivi acquisiti (ciò risulta da uno dei fascicoli di cui il Comitato ha preso visione). D'altra parte la sua attività (pur con tutti i limiti e le contraddizioni che abbiamo visto nella prassi) è rilevante ai fini della sicurezza.
Se questa è la fisionomia dell'Ufficio, il fatto che esso non sia in alcun modo previsto dalla legge n. 801 del 1977 non lo colloca soltanto in una condizione che è al di là della legge, ma lo pone in contrasto con essa.
L'articolo 10, al comma 1, prevede infatti: "Nessuna attività comunque idonea per linformazione e la sicurezza può essere svolta al di fuori degli strumenti, delle modalità, delle competenze e dei fini previsti dalla presente legge".
Chi potrà negare che l'attività dell'UCSI sia, almeno in teoria, attività idonea per l'informazione e la sicurezza e che perciò essa violi l'articolo 10 della legge n. 801 del 1977? Una regolamentazione legislativa che disciplini ex novo la struttura e le funzioni di questo Ufficio è dunque, a maggior ragione, indispensabile.
III. I CATTIVI USI DELLA DISCREZIONALITA
La discrezionalità è un aspetto essenziale del modo di operare dei Servizi di informazione e di sicurezza. L'Amministrazione agisce alla luce di una "legittimità dei fini"
(24), con un'ampia libertà di comportamento, che può implicare specifiche deroghe alle disposizioni ordinarie di legge cui si attengono gli altri organi dello Stato. Tali deroghe (ciò è già nella logica della legge n. 801 del 1977) richiedono naturalmente una previsione legislativa ed un controllo.La deviazione dei Servizi si verifica quando questi perseguono specifiche finalità informative od operative, in contrasto con il dovere di fedeltà alla Repubblica. E una circostanza che ricorre più volte nella storia del Servizio segreto militare. Ma recentemente fatti del genere, ed in particolare l'acquisizione di potere e di denaro al di fuori delle finalità istituzionali del Servizio, si sono individuati anche nell'attività del SISDE. Il nuovo Direttore ne ha riconosciuto la gravità ed ha manifestato l'impegno a liquidare le eredità del passato.
Inoltre, la deviazione è riscontrabile in tutti i casi nei quali le notizie vengono occultate e sottratte alle indagini giudiziarie, oppure quando si raccolgono e si conservano informazioni su personalità pubbliche, prescindendo da ragioni di sicurezza, o vengono usate notizie a fini discriminatori o per esercitare pressioni politiche.
Infine, vi è deviazione quando il rapporto fiduciario dei Servizi con l'autorità di governo viene distorto e le garanzie di riservatezza sono strumentalizzate per coprire la illegalità dei comportamenti, l'abuso nell'amministrazione e l'appropriazione privata di danaro pubblico.
In tutti questi casi, la discrezionalità è esercitata ad arbitrio; non è ancorata alle finalità ed ai principi fissati dalla Costituzione; è diretta a sostenere interessi di parte o addirittura è indirizzata verso scopi illeciti.
Il Comitato intende esaminare alcune vicende emblematiche e più rilevanti nelle quali le deviazioni sono venute alla luce.
Il Comitato sottolinea come la fedeltà ai principi di democrazia, la lealtà nei confronti delle istituzioni, l'impegno per sventare insidie interne ed internazionali alla libertà di tutti siano finalità essenziali, in un corretto ed equilibrato sistema democratico, dei Servizi di informazione. Questa via impegnativa è stata ed è percorsa con efficacia da non poca parte operativa dei componenti dei Servizi. Risultano perciò ancor più gravi, a parere del Comitato, le deviazioni che, partendo talora, come appare documentato, dai vertici, si sono susseguite in questi anni e che hanno riverberato e continuano a riverberare la loro ombra anche su quanti dimostrano fedeltà ai loro doveri.
La riconquista dell'onestà, laddove appaia necessaria, è premio per tutti gli onesti. La riaffermazione della lealtà democratica, talvolta offuscata, come è dimostrato in taluni dei casi qui di seguito presi in esame, è garanzia per tutti i cittadini liberi. Fuori e dentro i Servizi.
Tra le deviazioni, che stanno per essere esaminate, assume un risalto drammatico il fatto che in varie occasioni, dall'interno dei Servizi, ma specialmente del Servizio segreto militare, vi siano stati interventi volti a depistare le indagini sul terrorismo delle stragi e che vi siano stati collegamenti con gruppi eversivi. Del resto, in una fase difficile della vita politica italiana (fine degli anni 70 - inizi degli anni 80) al vertice di tutte le strutture dei Servizi vi sono stati esponenti della loggia massonica P2, con effetti di inquinamento e con la creazione, in particolare nel SISMI, di un gruppo di comando parallelo rispetto all'Amministrazione e del tutto fuori controllo.
Vi è stata continuità nelle deviazioni. Esse sono proseguite e si sono, per certi aspetti, aggravate, nonostante la legge n. 801 del 1977 avesse introdotto garanzie nuove.
Le indagini giudiziarie su fatti eversivi e sulla partecipazione ad essi di uomini dei Servizi, sono state rese più ardue dall'assenza, o dalla lacunosità e dal disordine, dei documenti concernenti l'attività dei Servizi e che avrebbero dovuto essere puntualmente conservati. La effettiva organizzazione degli archivi, in tutte le loro diramazioni e i loro livelli, continua ad essere non chiara. Fino ad oggi non è stato possibile, per l'Autorità giudiziaria, un compiuto censimento dei documenti relativi alla VII Divisione del SISMI ed alla struttura Gladio; ne si è realizzato un accertamento esaustivo circa i suoi componenti e le sue strategie operative.
In ogni deviazione, c'è una debolezza istituzionale, una insufficienza di regole o di garanzie. Il Comitato intende trarre, dall'esame delle deviazioni, un insegnamento utile per definire una disciplina più stringente e consona alla legittimità dei fini che i Servizi perseguono.
29. Il condizionamento derivante dalle logge massoniche
Alcune delle deviazioni più gravi discendono - come si è detto - dal ruolo inquinante che la loggia massonica P2 ha avuto nella vita pubblica e nella organizzazione dello Stato.
La loggia P2 è stata protagonista di una operazione di svuotamento delle regole e delle garanzie introdotte nel sistema di informazione e sicurezza con la legge n. 801 del 1977.
Il Comitato osserva che i Servizi hanno un particolare dovere di vigilanza sui propri dipendenti, per impedire che essi siano eterodiretti e che si riproducano situazioni di interferenza analoghe a quelle proprie del sistema piduista.
Il Direttore del SISDE ha reso noti al Comitato alcuni casi di funzionari allontanati negli anni scorsi per la loro appartenenza a logge massoniche. Questo è stato considerato un elemento di inaffidabilità.
La questione è stata posta, nei suoi termini generali, anche al Direttore del SISMI, sottolineando l'esigenza che tutti i dipendenti dei Servizi siano comunque liberi da un vincolo associativo così stringente quale è il giuramento massonico.
Le vicende della loggia P2 dimostrano, del resto, come un'associazione di tipo riservato, inserita nella massoneria, possa agevolmente divenire un centro di affari, di disegni politici occulti e di interferenze illecite nell'attività della pubblica amministrazione. Il Direttore del SISDE ha, a questo proposito, precisato che il Servizio ritiene di non dover utilizzare persone appartenenti alla massoneria non tanto per un giudizio di valore sulle finalità della loro affiliazione, quanto per la considerazione che esse potrebbero essere condizionate e non autonome a causa di tale appartenenza.
Avendo ampia possibilità di scelta, il Servizio preferisce tenere con se persone non condizionate. Si tratta di un impegno che il Comitato valuta positivamente.
IV. QUATTORDICI CASI EMBLEMATICI DI DEVIAZIONE DEL SERVIZIO SEGRETO MILITARE
30. Tipologia delle deviazioni
Nelle vicende del Servizio segreto militare si sono verificati più volte comportamenti in contrasto con il dovere di fedeltà alla Repubblica. Ciò dipende da interpretazioni aberranti dell'interesse nazionale, da scelte politiche eversive (oppure tendenti ad una stabilizzazione realizzata con mezzi non legali); infine, dall'intenzione di acquisire potere.
Il controllo effettivo da parte dell'autorità di governo, in modo tale che questa sia davvero responsabile dei Servizi, la vigilanza sulle loro modalità di formazione e la scelta di uomini affidabili rappresentano antidoti essenziali alle deviazioni. Così come lo è la previsione che di tutte le operazioni compiute resti memoria e che il segreto dal quale esse sono coperte sia temporaneo. Solo una disciplina rigorosa di questa memorizzazione, della conservazione dei documenti e dell'accesso ad essi può garantire contro l'uso anomalo delle informazioni, contro il loro occultamento o la loro alterazione (fenomeni frequenti, che hanno causato il depistaggio di indagini giudiziaria) e può scoraggiare le attività devianti.
Il fatto che le funzioni di Autorità nazionale per la sicurezza siano state esercitate per tanti anni dal capo del Servizio segreto militare ha creato un circuito che legava questo direttamente alle Autorità similari dei paesi alleati, ai loro Servizi segreti e soprattutto a quello statunitense, più potente e di fatto in posizione sovraordinata.
E nata da qui la estrema difficoltà dei controlli. I governi italiani hanno a lungo accettato questa situazione, anche dopo la legge n. 801 del 1977. Ciò ha limitato nella loro effettività i poteri riconosciuti al Presidente del Consiglio. Soprattutto, ne ha vanificato la responsabilità politica, rendendo ancora più aleatorio il controllo parlamentare.
Soltanto all'inizio degli anni 90 è intervenuto un parziale cambiamento. Si sono tolti al Direttore del SISMI i poteri di Autorità nazionale per la sicurezza. Ma è continuata l'assenza di una effettiva guida politica, unitaria e responsabile, e di un controllo efficace.
31. Le schedature illegittime del SIFAR
Una grave attività deviante dei Servizi di informazione e di sicurezza fu quella che negli anni 60 ruotò attorno al generale Giovanni De Lorenzo. Essa si collocava in un contesto, su cui esiste ormai documentazione e letteratura, caratterizzato da stretti rapporti di dipendenza tra il Servizio segreto militare italiano e quello statunitense
(25).Non vi fu soltanto la vicenda del golpe tentato o minacciato durante l'estate del 1964. Essa fu preceduta dalla predisposizione, da parte del Servizio segreto, di 157.000 fascicoli, 34.000 dei quali furono considerati illegali sia dalle commissioni amministrative che dalla Commissione parlamentare d'inchiesta. Questi ultimi contenevano informazioni su persone. In una puntuale relazione sulla vicenda, redatta a seguito di una inchiesta amministrativa dal generale Beolchini, si segnalava che, con circolare del 6 febbraio 1959, erano state richieste a tutti i capi degli uffici periferici del Servizio note biografiche e dettagliate notizie sull'attività "comunque svolta" dai deputati e dai senatori. Per ciascun parlamentare era stato formato un fascicolo. Nel 1960 erano state raccolte notizie personali relative a prelati, vescovi e sacerdoti delle varie diocesi. Lo stesso era poi avvenuto per gli appartenenti al mondo economico e ad altre categorie di interesse rilevante per la vita della nazione, con riferimento anche a sindacalisti, funzionari e dirigenti di partito, fino ai livelli periferici. "I fascicoli - osservava la relazione Beolchini erano in origine limitati al controspionaggio vero e proprio e formati per le persone accertate pericolose o sospette, vale a dire per coloro che erano comunque indiziati di svolgere attività pericolose per la sicurezza dello Stato... Sennonché, diversa considerazione deve essere fatta quando muta il carattere e la dimensione del fenomeno, allorché la formazione del fascicolo per le persone non sospette non è più un fatto eccezionale, giustificato da particolari circostanze, ma viene esteso come sistema a tutti gli uomini che abbiano assunto un ruolo di qualche rilievo nella vita del paese; ... quando per la stessa natura scandalosa delle notizie raccolte si abbia motivo di temere che i documenti informativi possano essere usati per colpire la persona, nel perseguimento di fini non chiari e comunque non coincidenti con l'interesse pubblico
"(26).Le iniziative illegittime del Servizio, volte a condizionare con il ricatto settori e personalità rilevanti della vita pubblica italiana, erano rese possibili, sotto il profilo istituzionale, dall'assoluta assenza di regole certe, entro cui collocare il potere ed i compiti di questi apparati, e dalla mancanza assoluta di controlli di qualsiasi genere. In particolare, la distorsione e la strumentalizzazione delle attività informative per scopi di parte ed extraistituzionali avvenivano attraverso una gestione arbitraria degli archivi, volutamente sottratta ad ogni criterio certo e controllabile, ma - nell'apparente confusione - tutta dominata dai gruppi di comando che di fatto manovravano i documenti riservati. Era questo un aspetto dell'abusiva utilizzazione degli uffici determinatasi all'epoca di De Lorenzo. La relazione Beolchini rilevava in proposito "un grave disordine nella conservazione degli archivi; la mancanza di una regolare rubrica nella quale risultassero in carico tutti i fascicoli, un sistema troppo sbrigativo e familiare nel prelevamento dei documenti, giacche qualunque addetto poteva farsi consegnare i fascicoli adducendo un ordine dei capi ufficio, senza registrazione.
32. Le false informazioni del SID relative alla strage di Piazza Fontana
Subito dopo la strage di piazza Fontana e i contemporanei attentati di Roma, nel dicembre 1969, il SID intervenne per depistare le indagini. Il maresciallo Gaetano Tanzilli, del Centro CS3 di Roma, aveva inviato tre informative nelle quali si indicava come possibile autore degli attentati di Roma Mario Merlino, per ordine di Stefano Delle Chiare e su mandato di Yves Guerin-Serac. Si trattava di elementi di estrema destra e quest'ultimo risulta essere stato a capo di una rete europea di orientamento antidemocratico e filonazista. Ma nel primo rapporto informativo redatto dal maresciallo Tanzilli, Merlino è definito "fìlocinese" e Guerin-Serac "anarchico"; nel secondo, inviato alla polizia e ai carabinieri, ma non alla magistratura, Merlino diventa "anarchico" e di Guerin-Serac si dice "è anarchico, ma a Lisbona non è nota la sua ideologia"
(27).L'11 aprile 1970, un documento interno del SID, che l'Autorità giudiziaria conoscerà solo nel 1976, precisava: "Sia Guerin-Serac sia Leroy (suo collaboratore) non sono anarchici, ma appartengono ad una organizzazione anticomunista. Si suggerisce di tacere questa notizia alla polizia e ai carabinieri".
Nel 1985, al processo di Bari per la strage di piazza Fontana, il maresciallo Tanzilli, al quale era stata attribuita la paternità di quella informazione, dichiarò, davanti alla Corte d'assise, che essa era stata fabbricata dai suoi superiori, mescolando ad alcune notizie, da lui fornite, altre che egli non conosceva ed obbligandolo ad assumerne la paternità.
Le notizie originarie chiamavano in causa una struttura eversiva con la quale è accertato che Delle Chiaie abbia avuto stretti rapporti e su cui le indagini sono più volte tornate negli anni successivi. In un rapporto del 12 giugno 1989 della Sezione anticrimine di Bologna si legge: "... Guerin-Serac, alias Ralph Keriou o Yves Guillou, appartenente come Leroy ad un movimento di estrema destra neonazista denominato Ordre et tradition, rivestiva, almeno formalmente, l'incarico di direttore dell'Aginter Press, agenzia di stampa portoghese dalla quale il Delle Chiare riuscì ad ottenere una tessera di riconoscimento rilasciata in data 31 dicembre 1971 intestata a tale Giovanni Martelli e rinvenuta nell'abitazione di via Spartaco 30, dei coniugi Paulon-Modugno, all'interno di una valigetta 24 ore. Anche nell'appartamento di via Sartorio, nella disponibilità di Delle Chiare, erano stati rinvenuti appunti su Guerin-Serac e domande poste allo stesso Delle Chiaie dal 'Settimanale'" Risulta del resto che Guerin-Serac, "arruolatore di mercenari da utilizzare nella lotta anticomunista", come lo definisce il Giudice istruttore di Bologna, abbia finanziato direttamente l'attività del Delle Chiaie quando egli era latitante
(28).I rapporti tra Guerin-Serac e Delle Chiaie costituiscono un argomento che è tuttora oggetto di una istruttoria in corso: quella condotta a Milano dal giudice istruttore Guido Salvini sulla strage di piazza Fontana. Ciò conferma quanto fosse rilevante la prima informazione del SID.
A quale scopo mirava la confusione volutamente introdotta sul ruolo di Guerin-Serac? Contando sul fatto che l'organizzazione portoghese, attiva e protetta nel regime di Salazar
(29), non poteva allora essere sottoposta ad una seria indagine, si dava spazio alla segnalazione di partenza ma se ne alterava il senso, facendo credere ad una convergenza tra opposti estremismi: tra Delle Chiaie e gli anarchici, con un supporto internazionale di estrema sinistra. La rete eversiva avente il proprio centro a Lisbona era dunque nota al Servizio e veniva posta in relazione alle vicende italiane. Ma il depistaggio consisteva nel travisarne la natura, nel rendere fin dall'inizio inverosimile il collegamento, al tempo stesso sminuendo l'importanza dell'Aginter Press. D'altra parte, anche dopo la caduta del regime autoritario portoghese, le indagini a Lisbona sono state difficili e non hanno portato a nessun risultato concreto.Il fatto che il maresciallo Tanzilli abbia atteso sedici anni prima di rivelare ai giudici di essere stato obbligato a scrivere il falso indica quale controllo ferreo il Servizio esercitasse sui propri dipendenti.
La storia delle deviazioni induce a ritenere che molti altri uomini i quali hanno prestato servizio negli apparati di sicurezza, a diversi livelli, conservino ancora il segreto su episodi di depistaggio più o meno gravi e su attività illegittime, pur non essendone stati diretti responsabili. Essi farebbero opera utile per le istituzioni se svelassero tutto ciò che sanno.
Una grave intromissione del SID nel procedimento penale per la strage di piazza Fontana è quella che si realizzò organizzando la fuga all'estero di Marco Pozzan e di Guido Giannettini.
Contro il primo, il 20 giugno 1972, l'Autorità giudiziaria di Milano che indagava su quella strage aveva emesso un mandato di cattura per associazione sovversiva. Pozzan era legato al gruppo eversivo di destra padovano che faceva capo a Franco Freda. Resosi irreperibile ed avendo un contatto con uomini del SID, fu da questi condotto nel gennaio 1973 a Roma, in un appartamento di copertura del Servizio, il cui proprietario doveva poi nel 1990 risultare appartenente alla struttura Gladio. Qui fu a lungo interrogato su tutto ciò che sapeva della eversione di destra e dei suoi esponenti. Nei giorni successivi, fu fatto espatriare con un passaporto intestato a tale Mario Zanella. Una persona di questo nome risulterà poi iscritta nelle liste della loggia P2. L'organizzatore dell'espatrio, capitano Antonio La Bruna, risulterà anche egli iscritto alla loggia P2
(30).Le modalità della fuga di Guido Giannettini, giornalista di estrema destra e collaboratore del SID, furono le stesse. Il Servizio curò il suo trasferimento a Parigi, il 9 aprile 1973, quando già le indagini relative alla strage ed alle attività eversive connesse si orientavano verso di lui, sulla base di alcune parziali ammissioni di responsabilità del padovano Giovanni Ventura. I rapporti del SID con il giornalista e le stesse retribuzioni a suo favore continuarono anche dopo la fuga
(31).L'obiettivo del Servizio sembra essere stato comunque quello di coprire Giannettini e, per un certo periodo, di sottrarlo al procedimento penale. I fatti emersi in sede giudiziaria dimostrano come il ruolo da lui svolto, in rapporto con ambienti eversivi e contemporaneamente in collegamento con il SID (con le relative esigenze di copertura che il Servizio faceva valere), fosse ben noto all'autorità politica fin dal giugno 1973.
In questo caso il depistaggio è nato per nascondere i collegamenti del SID con ambienti eversivi. Sotto il profilo istituzionale, tutto ciò era possibile per l'assenza di controlli.
Altri depistaggi dei quali si sono resi responsabili elementi dei Servizi e che riguardano indagini giudiziarie sul terrorismo delle stragi e sulla eversione di destra, risultano ora da una nota che il giudice istruttore di Milano Guido Salvini ha fatto pervenire al Comitato parlamentare per i Servizi di informazione e sicurezza
(32).Essa ha dato notizia di numerosissime richieste di esibizione e di informazioni inviate alla Direzione del SISMI. Ha inoltre comunicato che il materiale richiesto è stato messo a disposizione dell'Autorità giudiziaria, unitamente a note informative esplicative, dalla Direzione del Servizio, a partire dal 1992 "con un atteggiamento di piena collaborazione".
Questa recente scelta di collaborazione da parte del Servizio ha consentito di acquisire riscontri e prove in merito a numerosi episodi di depistaggi.
La nota si riferisce in particolare:
"alla sparizione dei nastri magnetici e dei relativi brogliacci su cui erano registrati una serie di colloqui avvenuti negli anni 1973\74 fra il capitano La Bruna e il costruttore Remo Orlandini sui risvolti del golpe Borghese e sul tentativo golpista della Rosa dei Venti. Tale documentazione", precisa il Giudice istruttore di Milano, "non era mai stata trasmessa alla magistratura inquirente, nemmeno nella forma di nota informativa ed è attualmente in possesso di questo ufficio;
all'allestimento da parte di personale del SID e dei Carabinieri, nei pressi di Camerino, nel 1972, di un arsenale con armi ed esplosivi, la cui responsabilità era stata fatta ricadere su gruppi di estrema sinistra della zona
(33);al tentativo di far ricadere su gruppi di sinistra il grave attentato avvenuto nell'aprile del 1974 in danno delle scuole slovene di Trieste, commesso invece da elementi di Ordine Nuovo provenienti anche da Milano
(34);all'effettuazione a Reggio Calabria, all'inizio degli anni 70, di un traffico di timers elettronici ed esplosivi con la copertura di ufficiali dellesercito;
alla distruzione di documentazione relativa alle notizie che un componente della cellula di Padova, facente capo a Freda e Ventura, stava fornendo a personale del Centro SID di tale città. L'acquisizione di tale documentazione avrebbe significativamente aumentato gli elementi raccolti a carico del gruppo veneto. Quanto al gruppo veneto di Ordine Nuovo, dalla documentazione acquisita risulta ormai provato che numerosi suoi elementi erano in stabili contatti con Servizi di sicurezza italiani e stranieri".
La nota conclude comunicando che tutti i fatti indicati in sintesi saranno trattati nella sentenza ordinanza di rinvio a giudizio concernente gli episodi circostanti la strage di Piazza Fontana. Questa verosimilmente - prosegue la nota - sarà depositata a marzo, mentre sull'episodio della strage l'istruttoria proseguirà fino al 30 giugno 1995. Il fatto che una importante documentazione, negli anni passati, non sia stata messa a disposizione dall'Autorità giudiziaria pone il problema istituzionale delle modalità di controllo sugli archivi. Si tratta di definire criteri certi per la sistemazione dei dati da conservare e per il loro reperimento. Ed occorre che sia sempre individuata una autorità responsabile della conservazione e della integrità dei documenti.
Il Comitato parlamentare considera come una positiva novità rispetto al passato, l'atteggiamento di collaborazione che è stato manifestato dal SISMI a partire dal 1992 e che ha consentito più puntuali accertamenti. Gravissima è tuttavia la responsabilità non solo di chi ha posto in essere le deviazioni nei decenni passati, ma anche di chi, all'interno degli apparati di sicurezza, le ha tollerate.
Se la collaborazione dei Servizi con l'Autorità giudiziaria fosse stata tempestiva e non fosse giunta a tanti anni di distanza, la lotta contro il terrorismo e contro i fenomeni eversivi sarebbe stata ben più efficace. Molte impunità si sarebbero spezzate ed è lecito ritenere che alcuni crimini sanguinosi si sarebbero potuti impedire.
35. Il deposito di materiale bellico ad Aurisina
Il 24 febbraio 1972 e il 3 marzo successivo, secondo notizie ufficialmente fornite alla stampa, i carabinieri della tenenza di Aurisina (in provincia di Trieste) rinvenivano nella zona un'abbondante quantità di materiale di natura bellica.
Su questo episodio gli accertamenti disposti dal giudice istruttore di Venezia Felice Casson hanno consentito dì stabilire alcuni punti fermi.
Il materiale rinvenuto apparteneva sicuramente alla struttura Gladio. E certo che il SID, in relazione a questo ritrovamento, inviò i propri emissari a Trieste e ad Aurisina, sia presso il proprio Centro CS sia presso i locali Comandi dei carabinieri. Occorreva immediatamente intervenire per occultare le finalità del deposito di armi e di esplosivi, ma anche perché non venissero effettuati controlli sulla quantità e sulle caratteristiche dei materiali che là erano conservati. Allo scopo di pilotare le indagini e di far emergere il meno possibile di informazioni sulla vicenda, il SID stabilì contatti con il capo di stato maggiore dell'Arma dei carabinieri, generale Arnaldo Ferrara, con il comandante della Divisione Pastrengo di Milano, generale Giovanbattista Palumbo e con il comandante della Legione carabinieri di Udine, colonnello Dino Mingarelli.
Il rinvenimento dei materiali non sarebbe avvenuto nell'epoca ufficialmente indicata (febbraio-marzo 1972), ma nell'estate precedente. Gli uomini del SID avrebbero indotto i carabinieri di Aurisina a stilare falsi verbali di sopralluogo ed un falso rapporto.
Quanto ritrovato, sia per quantità sia per qualità, non corrispondeva completamente a ciò che figurava essere stato costituito in origine come dotazione del deposito, poiché vi erano dei materiali in più e anche dei materiali in meno. Si trattava come è stato accertato del Nasco (nascondiglio) n. 203. Da rilevare inoltre che i materiali stessi non erano interrati, come invece avrebbero dovuto essere secondo la tecnica di occultamento di simili depositi, ma si trovavano all'aperto. Pertanto questo Nasco è da considerare "aperto"
(35). Rimangono oscuri i motivi che avevano portato alla manomissione e quindi evidentemente ad un uso anomalo dei materiali bellici. Resta comunque la persuasione espressa dall'allora tenente colonnello Gerardo Serravalle, giunto in quel periodo al comando di Gladio, secondo cui vi era tra molti appartenenti a tale struttura la tendenza a perseguire, più che un'azione anti invasione, un'azione politica interna contro la sinistra(36).Così sull'episodio conclude il giudice istruttore di Venezia: "Dagli atti acquisiti e sequestrati presso le sedi romana e triestina del SISMI emerge in maniera documentale e pacifica che il SID fece di tutto per depistare l'Autorità giudiziaria procedente, fornendo false indicazioni, negando il vero, facendo in modo che i vertici dellArma intervenissero al fine di interrompere indagini e rastrellamenti e, addirittura, fornendo ai giudici di Trieste tre possibili piste (che sapevano essere tutte e tre false) quanto alla natura e all'origine del materiale bellico rinvenuto... "
(37).Questo ritrovamento segnò comunque una svolta. Tutti i depositi di materiale bellico furono smantellati. Non vi fu però una smobilitazione della struttura Gladio. L'operazione era anzi volta a garantire la continuità di azione. Essa, anche sulla base di sollecitazioni che provenivano dal Servizio segreto statunitense, venne a connotarsi non solo come un'organizzazione volta a contrastare eventuali invasioni sul fronte nord-orientale, ma anche come struttura informativa e di sicurezza operante sull'intero territorio nazionale
(38).36. Il depistaggio delle indagini sulla strage di Peteano
Il 31 maggio 1972, a Peteano, venne fatta saltare un'auto piena di esplosivo. Tre morti e un ferito tra i carabinieri che la perquisivano, chiamati da una telefonata anonima. Le indagini sulla strage furono subito assunte proprio dall'Arma dei carabinieri con una determinazione insolita. Si legge nella sentenza di primo grado della Corte di assise di Venezia: "Che la polizia fosse subito stata emarginata dalle indagini è dato pacifico che emerge da tutte le risultanze processuali. Già il 5 giugno 1972, con una riservatissima alla persona", il Questore di Gorizia si rivolgeva al Prefetto lamentando che "il colonnello Mingarelli ha deliberatamente eretto un muro invisibile ma invalicabilissimo, dimostrando di non gradire assolutamente la collaborazione della Questura" ...
(39).Il 1° giugno era giunto a Gorizia il generale Giovanbattista Palumbo, comandante della Divisione Pastrengo di Milano, e aveva ordinato al colonnello Dino Mingarelli (già collaboratore del generale De Lorenzo ed inoltre coinvolto nelle vicende del piano Solo e nelle ipotesi golpistiche del luglio 1964) di assumere la direzione delle indagini. Egli stesso indirizzò poi Mingarelli su un'improbabile pista rossa utilizzando, sembra, il colonnello dei carabinieri Michele Santoro, già coinvolto in un'attività di depistaggio delle indagini su alcuni attentati dinamitardi avvenuti nel 1971 a Trento
(40) Constatata l'impraticabilità della pista rossa, le indagini furono orientate su un gruppo di persone in contatto con la piccola malavita goriziana, poi arrestate e rimaste a lungo in stato di detenzione.Sulla strage di Peteano vi è stata una ammissione di responsabilità da parte del terrorista nero Vincenzo Vinciguerra. Egli ha collocato l'ideazione e l'organizzazione del crimine all'interno del circolo di Ordine Nuovo di Udine, con una serie di ammissioni rilevanti, anche se parziali, circa i rapporti tra alcune organizzazioni di estrema destra e settori degli apparati dello Stato. L'azione del gruppo di Udine, che aveva già prima della strage compiuto un attentato all'abitazione del deputato del MSI De Michieli-Vitturi, e inoltre aveva realizzato azioni contro linee ferroviarie, monumenti ed edifici pubblici, fu coperta dalle stesse autorità che avrebbero dovuto indagare. Con il Vinciguerra è stato condannato, anchegli all'ergastolo, il neofascista Carlo Cicuttini. Questi, resosi latitante dopo i primi sviluppi dell'indagine giudiziaria, durante il lungo periodo della latitanza ha avuto collegamenti con organi statuali di paesi dell'America Latina, con i quali ha trattato il commercio di materiale bellico.
L'inquinamento delle indagini si intensificò quando, il 6 ottobre 1972, durante un tentativo di dirottamento aereo a Ronchi dei Legionari restò ucciso Ivano Boccaccio, componente dello stesso gruppo. Quest'ultimo aveva prestato servizio militare nell'ambito della brigata paracadutisti Folgore. E risultato che, nell'ambito del programma di addestramento, egli era stato, tra l'altro, istruito a collocare congegni esplosivi su autovetture (cosiddetto trappolamento) nello stesso modo usato per l'autovettura di Peteano. In proposito è da rilevare che il congegno utilizzato per la strage, secondo le dichiarazioni di Vinciguerra, era azionato da un accenditore a strappo. Un certo numero di accenditori a strappo era compreso tra i materiali risultati mancanti dal Nasco di Aurisina. In relazione al tentativo di dirottamento che ebbe per protagonista il Boccaccio, scattarono subito attività di depistaggio volte ad alterare elementi di prove (il bossolo della cartuccia esplosa dal Boccaccio nel conflitto a fuoco con la polizia dell'aeroporto di Ronchi e i bossoli ritrovati sul luogo della strage erano identici). I bossoli repertati a Peteano scomparvero e i verbali di sopralluogo furono sostituiti, perché la sottrazione non venisse scoperta. Ma vi fu inoltre un'attiva protezione a favore dei terroristi. Il Vinciguerra ha dichiarato che nell'ottobre 1972 le coperture nei suoi confronti e nei confronti degli altri ordinovisti friulani in relazione alla strage scattarono automaticamente ed autonomamente
(41).I depistatori operarono perché non fosse ipotizzabile una matrice di estrema destra nell'attentato. Risulta che il Servizio segreto militare ricercò, proprio nell'autunno 1972, attraverso il capitano Antonio La Bruna ed attraverso Guido Giannettini, contatti con l'ambiente ordinovista padovano, che avevano come scopo un interessamento alle vicende connesse a Peteano
(42).Ancora, fra la fine del 1978 e gli inizi del 1979, il generale Giuseppe Santovito, direttore del SISMI, essendo venuto in possesso di informative concernenti la strage e gli estremisti di destra che ne erano responsabili, sostenne, all'interno del Servizio, la opportunità di inviare le informazioni in questione, prima che alla magistratura, ai carabinieri, perché fossero comunque loro a svolgere le indagini
(43).37. La vicenda di Augusto Cauchi
Il giudice istruttore presso il Tribunale di Firenze, dottor Rosario Minna, che indagava su diversi attentati a treni e linee ferroviarie, avvenuti in Toscana tra il 1974 e il 1983, l'8 novembre 1984 chiese al Direttore del SISMI di fornire notizie in ordine a persone, organizzazioni ed attentati terroristici.
Dopo varie risposte interlocutorie, nel gennaio 1985 il SISMI oppose il segreto di Stato e il 28 marzo delle stesso anno il Presidente del Consiglio lo confermò.
In epoca successiva fu possibile acquisire agli atti del processo per le stragi dell'ltalicus e della stazione di Bologna, un documento relativo ad un rapporto del Centro SISMI di Firenze del 20 dicembre 1977, dal quale risulta che, fin dalla primavera del 1974, Augusto Cauchi era diventato collaboratore del locale Centro SID.
Il Servizio non risulta perciò in possesso di documentazione contemporanea all'epoca in cui si verificò la collaborazione, ma solo successiva.
Nella recente sentenza istruttoria del giudice istruttore di Bologna Grassi, i rapporti tra Cauchi e il capo del Centro SID e poi SISMI di Firenze, Federigo Mannucci Benincasa (di cui va segnalata la lunghissima permanenza come capocentro e che ora non appartiene più al Servizio), sono ampiamente documentati, così come il legame dello stesso Cauchi con Gelli e con l'entourage piduista.
Cauchi, inserito nella struttura stragista operante negli anni 73-74 in Toscana, aveva ricevuto finanziamenti da Licio Gelli e disponeva di esplosivo in epoca immediatamente precedente la strage compiuta sul treno Italicus: alcuni testimoni lo hanno indicato come autore della stessa.
E stato arrestato nel 1993 in Argentina, ma quel paese, fino ad oggi, non ne ha ancora concesso l'estradizione
(44) Cauchi doveva essere un personaggio rilevante per il Servizio se sulle attività informative di cui era partecipe è stato posto il segreto di Stato. Il mancato reperimento della documentazione su di lui si deve, ancora una volta, al fatto che gli archivi sono al di fuori di qualsiasi controllo.38. La vicenda di Federigo Mannucci Benincasa
Inquietante ed a suo modo emblematica appare la vicenda del colonnello Federigo Mannucci Benincasa, responsabile del Centro di controspionaggio di Firenze dal 29 gennaio 1971 al 28 febbraio 1991.
E vicenda singolare per l'inamovibilità di questo funzionario, nonostante gli interrogativi che hanno contrassegnato il suo incarico di alta responsabilità: per un ventennio egli è stato capocentro in una città che è delicato e primario punto geografico di incontro di notevolissimi interessi e di interscambi a raggio internazionale, entro un'area tradizionalmente ad altissima densità massonica.
Si è accertato che il colonnello Federigo Mannucci Benincasa è stato, di concerto con un ufficiale del Servizio informativo dell'aeronautica, il colonnello Umberto Nobili, l'autore di una lettera anonima al Procuratore della Repubblica di Roma (preceduta da una telefonata ugualmente anonima risultata del Nobili), con la quale si indicava Licio Gelli quale mandante dell'omicidio del giornalista Mino Pecorelli.
Sempre in collaborazione con il colonnello Nobili egli fece pervenire un'altra lettera anonima al giudice istruttore Gentile, titolare dell'inchiesta sulla strage alla stazione di Bologna, segnalando il coinvolgimento di Gelli nella strage compiuta sul treno Italicus e in quella del 2 agosto 1980.
Mannucci Benincasa risulta essersi inserito in varie maniere nel processo relativo a quest'ultima strage, trovandosi a Bologna nei momenti cruciali delle indagini, violando il segreto circa gli accertamenti sugli esplosivi e stabilendo un rapporto diretto con gli inquirenti, al fine di orientarne l'attività.
Deve essere inoltre ricordato il modo del tutto anomalo con cui ha gestito il patrimonio informativo su Licio Gelli agli atti del suo Centro di controspionaggio (del quale Gelli è peraltro sospettato di essere un informatore), garantendo una sorta di cordone sanitario intorno alla figura del maestro venerabile della loggia P2. Il Mannucci Benincasa non trasmetteva le informazioni in suo possesso agli altri organi di intelligence o investigativi richiedenti (pregiudicando gravemente, negli anni 70, i tentativi di far luce sull'identità e sulle attività svolte dal capo della loggia P2), ma preferiva farne un uso del tutto personale.
La sentenza istruttoria del dottor Grassi evidenzia i rapporti del colonnello Mannucci con le vicende gelliane e il gruppo di potere che ha operato dal 1970 al 1981 all'interno del Servizio segreto militare.
La ricordata sentenza ordinanza del dottor Grassi ha disposto la trasmissione del provvedimento, nonché degli atti più rilevanti, alla Procura della Repubblica di Roma, affinché proceda nei confronti di Mannucci Benincasa e di altri (trattasi di Maletti, La Bruna, D'Ovidio, Nobili, Musumeci, Belmonte e Gelli) per i delitti di cui agli articoli 283 e 305 c.p.
(45)Si deve inoltre ricordare che, nell'istruttoria relativa alla strage di Ustica, il Mannucci Benincasa ha ricevuto comunicazione giudiziaria per i delitti di cui all'articolo 476 c.p., in relazione agli articoli 490 e 351 c.p.
(46). Attorno al colonnello è infine in corso un'investigazione per accertare l'eventuale suo coinvolgimento nella organizzazione e custodia di un deposito d'armi e munizioni da guerra fortuitamente ritrovato nel marzo 1993 in un locale che, a detta del proprietario, è stato per anni nella disponibilità appunto del responsabile del Centro SISMI di Firenze.Concludendo, c'è da chiedersi quali protezioni abbiano consentito, nel lungo arco di venti anni, la permanenza, in un incarico cosi delicato, di un soggetto che ha operato in modo tanto anomalo e con una visione così personale degli interessi del Servizio.
(47)39. I rapporti di Pecorelli con i Servizi
Il 20 marzo 1979 venne ucciso a Roma il giornalista Carmine Pecorelli, proprietario e direttore della rivista e dell'agenzia Osservatore politico (OP).
Dopo la sua morte, l'Autorità giudiziaria provvide a sequestrare presso i suo uffici e la sua abitazione una copiosa documentazione riservata, che il giornalista utilizzava in un giro vorticoso di contatti personali, di rapporti con il mondo politico e con gruppi massonici, di articoli polemici o allusivi e ricattatori pubblicati nella sua rivista ed aventi ad oggetto i retroscena delle vicende politiche, le attività eversive degli ultimi quindici anni e l'inquinamento degli apparati dello Stato.
Numerosi materiali ritrovati allora provenivano dai Servizi di informazione e di sicurezza. Tra questi vi erano anzitutto alcuni documenti originati dal SID riguardanti il complesso degli eventi noti con la definizione corrente di "golpe Borghese": un tentativo di eversione violenta dell'ordine costituzionale che sarebbe stato avviato nel 1970 da Junio Valerio Borghese, già esponente della X Mas durante il periodo della Repubblica sociale italiana, ma la cui realizzazione sarebbe stata bloccata da un non precisato contrordine proveniente dall'alto. Questi documenti si riferivano anche a una nutrita schiera di personaggi coinvolti a vario titolo nei fatti
(48).Fu inoltre trovata, fra le carte del giornalista ucciso, la cosiddetta informativa Cominform. Si trattava di un rapporto trasmesso il 29 settembre 1950 dal Centro CS di Firenze all'Ufficio D del Servizio segreto militare (all'epoca il SIFAR), riguardante Licio Gelli, con particolare riferimento alle attività di questi a Pistola ed in Toscana, durante il periodo dell'occupazione nazifascista e negli anni immediatamente successivi.
Il rapporto non era in originale e risultava trasmesso in copia il 9 giugno 1972 al generale Gianadelio Maletti, all'epoca Capo del reparto D, dal capitano Federigo Mannucci Benincasa, in quel momento appartenente al Centro CS di Firenze
(49).In due articoli comparsi sul settimanale OP il 2 gennaio e il 20 febbraio 1979 dal titolo, rispettivamente, "Due volte partigiano" e "Il professore e la balaustra", Pecorelli aveva lasciato chiaramente intendere di essere a conoscenza dell'esistenza e del contenuto del rapporto riguardante Gelli
(50).Vi era poi un'ulteriore documentazione, sempre proveniente dal Servizio di informazioni militare ed egualmente relativa a Gelli, costituita da una lettera del Centro CS di Cagliari in data 9 luglio 1945, con un allegato comprendente una serie di nominativi, ed una nota in data 22 agosto 1960, probabilmente anch'essa compilata da un organo del Servizio segreto militare.
L'elenco nominativo allegato alla lettera del Centro CS di Cagliati riguarda un gruppo di una cinquantina di fascisti del pistoiese, indicati da Gelli come collaborazionisti dei tedeschi nel periodo della guerra di liberazione. Questo elenco è sicuramente da individuare nel "lungo elenco di nomi che qualcuno un giorno ha tradito" di cui Pecorelli parla nel suo servizio su OP dal titolo "Il professore e la balaustra", citato in precedenza
(51).Infine, fu rinvenuto in quella occasione il cosiddetto fascicolo M.Fo.Biali. Questo documento (la spiegazione della sigla di denominazione è probabilmente Mario Foligni-Libia) è stato compilato dal reparto D del SID (quando ne era responsabile il generale Maletti), tra l'aprile e l ottobre 1975, in seguito ad indagini sul Nuovo partito popolare, fondato e diretto dal Foligni, su traffici di petrolio con la Libia e su attività illecite della Guardia di finanza
(52).Si è verificata quindi una situazione del tutto abnorme: una ingente mole di documenti contenenti notizie di speciale delicatezza, che avrebbe dovuto essere rigorosamente custodita negli archivi del Servizio segreto militare, ne è stata viceversa sottratta ed è stata posta nella disponibilità di Pecorelli.
Il direttore di OP non aveva scrupoli ad usare pesantemente le notizie, i materiali e i documenti di cui veniva in possesso per condurre campagne di intimidazione o di ricatto contro personaggi eminenti delle istituzioni. I rapporti tra il giornalista e Licio Gelli non erano mai stati semplici. Egli conservava documenti relativi al passato del "venerabile", che aveva ottenuto da uomini del Servizio. Appartenente alla loggia P2, Pecorelli aveva partecipato ai contrasti interni alla loggia, e ciò appare nei suoi scritti, In questo quadro, nel 1975 il generale Maletti (allora Capo dell'ufficio D del SID) aveva accusato il generale Vito Miceli (Direttore del SID) di avere finanziato OP, a sostegno di specifiche campagne diffamatorie.
Vi è la prova che Pecorelli ha largamente attinto alle carte provenienti dal Servizio di informazioni militare, per condurre azioni di questo genere. Oltre ai già citati articoli "Due volte partigiano", e "Il professore e la balaustra", la rivista OP ha pubblicato, tra il novembre e il dicembre 1978, uno scritto in sette puntate sotto lo stesso titolo: "Petrolio e manette". Gli elementi di conoscenza impiegati sono tutti tratti dal fascicolo M.Fo.Biali
(53).L'inchiesta amministrativo-disciplinare disposta a suo tempo dalle autorità di governo e le indagini dell'Autorità giudiziaria non hanno consentito di stabilire l'identità del responsabile della trasmissione dei documenti nè, tantomeno, i motivi e gli scopi che lo avevano indotto a ciò.
Ma è evidente che quanto accaduto non è da addebitare a un funzionario infedele della seconda o terza fila del Servizio, nè ad una singola mela marcia, bensì a settori di vertice dell'organismo, poiché almeno uno di questi documenti, e precisamente il fascicolo M.Fo.Biali, era sempre rimasto nella esclusiva disponibilità del gruppo dirigente dell'ufficio D del SID. Quei documenti, d'altra parte, riguardavano per vie diverse il sistema di potere della loggia P2, il ruolo di Licio Gelli, le compromissioni di settori degli apparati nella vicenda del golpe Borghese del 1970 (in cui erano intervenuti vari gruppi che si ritroveranno nella loggia P2 e tra questi l'allora capo del SID, generale Vito Miceli), i rapporti della loggia P2 con la politica, i conflitti interni a quell'ambiente massonico. E non va dimenticato che ufficiali i quali disponevano di quei documenti, come il generale Gianadelio Maletti, il colonnello Antonio Viezzer e il capitano Antonio La Bruna facevano tutti parte della loggia P2.
In merito ai rapporti di Pecorelli con i Servizi di informazione e di sicurezza, occorre poi ricordare che, dall'esame delle sue agende, sequestrate dall'Autorità giudiziaria dopo la morte, emerge una serie di significativi e frequenti contatti con persone interne od organicamente legate a quel mondo. Nell'ultimo anno della sua vita, Pecorelli ha avuto contatti telefonici o personali (in tal senso sono esplicite le relative annotazioni nelle agende stesse) con il prefetto Umberto Federico D'Amato (106 annotazioni, con tale "Tonino" (probabilmente da identificare con Antonio La Bruna: 70 annotazioni), con il generale Vito Miceli (56 annotazioni), con il colonnello Nicola Falde (22 annotazioni), con Licio Gelli (46 annotazioni). Nell'ultimo mese figurano anche il colonnello Musumeci (2 annotazioni) e il capitano Giancarlo D'Ovidio (3 annotazioni)
(54).40. I depistaggi delle indagini sulla strage di Bologna
Esponenti dei Servizi di informazione e di sicurezza sono intervenuti a più riprese per depistare le indagini sulla strage avvenuta alla stazione di Bologna il 2 agosto 1980. Basta ricordare che il 10 gennaio 1981 il SISMI fece pervenire al Comando generale dell'Arma dei carabinieri e all'UCIGOS notizie riguardanti un presunto piano eversivo, che prevedeva attentati dinamitardi su importanti tronchi ferroviari, che sarebbe stato progettato da Freda, Ventura, Delle Chiaie e cittadini stranieri di estrema destra, insieme con il gruppo tedesco Hoffmann.
Nei giorni successivi il Servizio affermò di aver ricevuto ulteriori informazioni che precisavano l'ora e il luogo della consegna dell'esplosivo. Questo - si affermava - era contenuto in una valigia depositata su un treno proveniente dalla Puglia e diretto a nord.
Dopo una prima perquisizione ad Ancona, la valigia fu effettivamente scoperta alla stazione di Bologna. Oltre ad un mitra e a vari elementi tendenti a indirizzare le indagini in Francia e Germania, vi erano circa cinque chili di esplosivo.
Trasmesse ai giudici, queste notizie fecero perdere mesi preziosi.
Si scoprì poi la totale falsità di tutte le informazioni, anche grazie alla testimonianza di un maresciallo dei carabinieri, Francesco Sanapo, che fece correttamente il proprio dovere. Il finto attentato fu messo in scena da ufficiali appartenenti al gruppo di potere che era allora al vertice del SISMI
(55).In concomitanza con l'episodio della valigia sul treno Taranto-Milano, il generale Musumeci redasse un appunto depistante per i giudici di Bologna, che faceva seguito ad analoghe notizie, fornite ai carabinieri nel novembre 1980, che si riferivano ad incontri di tali Paul Durand e Maurizio Bragaglia con Stefano Delle Chiaie, tirando in ballo una organizzazione dalla non chiara denominazione, "Squadre popolari rivoluzionarie", ed ancora il gruppo tedesco Hoffmann, con altre notizie inventate.
Va sottolineato che Paul Durand è persona realmente esistente, che è stato funzionano dei Reinseignemeints gènèreaux, cioè del corrispondente francese dell'Ufficio affari riservati del Ministero dell'interno, ed è realmente esponente di organizzazioni neonaziste. L'appunto era quindi particolarmente insidioso perché, come già abbiamo visto avvenire in altri depistaggi, intrecciava elementi veri con elementi falsi
(56).Anche la pista indicata da Elio Ciolini sembra ascrivibile allo stesso quadro dei depistaggi di impronta piduista operati dai Servizi segreti. Ciolini fornì indicazioni che portarono per qualche tempo i magistrati a coltivare l'ipotesi che autore della strage fosse un gruppo internazionale composto da estremisti di destra francesi, tedeschi ed italiani, fra i quali Stefano Delle Chiare. Ciolini, del resto, viene indicato dai giudici di Bologna come probabilmente legato sia ai Servizi francesi che a quelli italiani.
Secondo il giudice istruttore di Bologna, la sua iniziativa non era dettata da motivazioni individuali. Essa "anzi, ha rappresentato il momento terminale di un ben coordinato disegno di sviamento delle indagini, ordito certamente da persone interne a quel gruppo individuato come 'Supersismi'"
(57). Ed il generale Lugaresi, direttore del SISMI dopo Santovito e dopo l'allontanamento del gruppo piduista, ha definito Ciolini come esecutore di ordini altrui e uomo legato a Gelli(58).D'altro canto, già all'indomani della strage del 2 agosto, il funzionario del SISDE Elio Cioppa (risultato successivamente iscritto alla loggia P2) si recò a colloquio con Gelli al fine di acquisire notizie in ordine a quella impresa terroristica
(59).La circostanza sembrerebbe, per se stessa, incomprensibile. Non si ravvisa a quale titolo Gelli avrebbe dovuto essere considerato dal Servizio segreto interno un soggetto in grado di fornire informazioni sulla strage. Ma poiché stiamo parlando di un Servizio segreto diretto da un iscritto alla loggia P2, frequentatore di Gelli, come il generale Giulio Grassini, l'episodio diventa più chiaro.
Apprendiamo infatti dallo stesso Cioppa che egli, al momento di entrare nel SISDE, nel settembre 1978, era stato informato che il Gelli ne era una fonte. Quest'ultimo suggerì al dottor Cioppa di imboccare la pista internazionale. Le varie azioni di sviamento delle indagini erano dunque convergenti: da un lato il generale Musumeci ed il gruppo di comando del SISMI, dall'altro Ciolini, dall'altro ancora direttamente Gelli. La loggia P2 mosse contemporaneamente diverse pedine nell'ambito dei Servizi segreti.
Il 7 gennaio 1977, un articolo pubblicato dal quotidiano l'Unità segnalava il reclutamento recente di 400 ufficiali nelle file della massoneria. I nominativi di questi ufficiali, secondo l'articolo, sarebbero stati inclusi in un elenco inviato a Licio Gelli dal gran maestro Giordano Gamberini
(60).Dal Ministero della difesa (Gabinetto del Ministro) furono richieste al SID (diretto allora dall'ammiraglio Mario Casardi) notizie circa quanto rivelato da l'Unità.
Fu inviato al Ministro un appunto nel quale si forniva anzitutto una risposta negativa circa l'esito degli accertamenti svolti. Subito dopo si affermava che l'articolo avrebbe avuto uno scopo puramente strumentale. Per spiegare quale fosse l'intento perseguito attraverso le false informazioni, la nota del Servizio così proseguiva: "risulta che la direzione del PCI ha recentemente deciso di ridimensionare la forza e l'influenza delle logge massoniche italiane, ritenute 'centri di potere' capaci di intralciare le attività politiche ed economiche del partito". A tal fine il partito aveva quindi intrapreso "una campagna di stampa che, accusando la massoneria di inquinamento fascista, tende a screditarla e a indurre a defezione i numerosi affiliati non attestati su posizioni di destra".
A chiusura dell'appunto il SISMI assumeva l'impegno "vista l'attualità della questione" di trasmettere uno "studio sulla massoneria" che era "in corso di compilazione"
(61).La trasmissione dello "studio" avvenne il 15 maggio 1978. Nel frattempo era stata presentata, il 21 luglio 1977, una interrogazione parlamentare da parte dei deputati Natta, D'Alessio e Pochetti circa l'asserita "appartenenza di alti ufficiali ad associazioni segrete, la cui presenza ed attività profondamente contrastano con la Costituzione"
(62).Perciò il Servizio di informazioni militare (ora divenuto SISMI e la cui direzione era stata assunta dal generale Giuseppe Santovito) inviò, oltre allo studio, anche un secondo breve appunto sul tema. Ripetendo in sostanza gli elementi già esposti nell'analoga nota dell'anno precedente, il SISMI assicurava: "circa l'appartenenza di alti ufficiali ad associazioni segrete, contrastante con il dettato costituzionale, nulla risulta a conferma dell'assunto". Inoltre, perentoriamente affermava: "qualora gli interroganti si riferiscano a notizie stampa sull'argomento e in particolare a quelle apparse sul quotidiano l'Unità del 7 e 16 gennaio 1977, è da rilevare che gli articoli in questione non riportano alcunché di nuovo rispetto alle notizie già altre volte pubblicate in senso generico e presuntivo e per lo più a soli fini diffamatori"
(63).Vale la pena di osservare quanto paradossali fossero queste enunciazioni rassicuranti. Il generale Santovito era saldamente inserito nella loggia P2, come alcuni dei suoi più stretti collaboratori. Tuttavia definiva diffamatorie le segnalazioni circa la presenza di ufficiali superiori nella massoneria.
Lo studio prodotto dal Servizio, con il titolo "La massoneria in Italia", aveva un contenuto diseguale. Procedeva inizialmente ad una interessante disamina di carattere storico e poi alla illustrazione di situazioni recenti. In più punti riferiva elementi veri e comprovati, mentre, per altri aspetti, più attuali, finiva con lessere fuorviante
(64).Ciò vale in particolare per la parte finale dove, dopo aver ripetuto alcuni concetti già riportati nei precedenti "appunti", con un taglio chiaramente diretto a sminuire l'incidenza e il potere di condizionamento della massoneria, si riprendeva con decisione l'ipotesi di una provocazione strumentale da parte del PCI.
Va inoltre ricordato che nell'estate del 1977 l'ammiraglio Casardi, capo del SID, rispondendo ad una richiesta di informazioni inviatagli dall'Autorità giudiziaria, con riferimento alle indagini sulla strage dell'Italicus, aveva affermato: "Il SID non dispone di notizie particolari sulla loggia P2 della massoneria di Palazzo Giustiniani. Infine non si dispone di notizie sul conto di Licio Gelli per quanto concerne la sua appartenenza alla loggia P2"
(65). La lettera era di pochi mesi successiva alla ricostituzione della loggia, con dimensioni più ampie e con la presenza al suo interno di molti dirigenti del SID. Inoltre, secondo quanto contenuto nella Relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sulla loggia massonica P2, il Gelli avrebbe affermato in data antecedente al giugno 1971, di essere un agente del SID con il nome di copertura di Filippo(66).Dopo la scoperta delle liste della loggia P2, uscirono dagli archivi del SISMI alcuni documenti su Gelli, che in precedenza non erano stati prodotti, ma continuò ad esservi all'interno del Servizio un atteggiamento contraddittorio riguardo a tali notizie.
E emblematica la comunicazione trasmessa alla I Divisione del SISMI il l° settembre 1981 dal Raggruppamento centri CS di Roma. Si avvertiva che "nel corso di una più approfondita ricerca in archivio è stato rintracciato l'unito appunto, compendio di accertamenti sul conto del noto Licio Gelli, espletati nel marzo 1974 da ufficiali di questo reparto, su incarico dell'allora Comandante del Raggruppamento centri ".
E da rilevare che, all'epoca della lettera, la vicenda della loggia P2 era già da alcuni mesi al centro dell'attenzione e delle ricerche, tanto che la lettera medesima faceva riferimento ad un foglio della I Divisione dell8 giugno 1981, con il quale si chiedeva agli "organi in indirizzo" di sviluppare "al massimo l'attività di interesse".
Perciò è inverosimile che l'appunto sia emerso nel corso di più approfondite ricerche di archivio. Il disordine degli archivi, che in questo caso avrebbe dovuto essere davvero straordinario, è in realtà un alibi di cui i Servizi, o settori di essi, si sono serviti, nelle situazioni in cui vi erano stati comportamenti devianti o vi erano motivi di reticenza, per non rispondere o per rispondere in modo elusivo alle richieste di informazioni provenienti da altre autorità. Qui la reticenza era propria del Raggruppamento centri di Roma che rispondeva tardi e lacunosamente alla I Divisione del Servizio. Era questa la fase in cui si stava tentando una bonifica, dopo le degenerazioni del cosiddetto Supersismi. Quanto sopra costituisce la riprova della continuazione, malgrado tutto, delle attività già in passato attuate dai Servizi per assicurare ogni possibile copertura alla persona e alle iniziative di Licio Gelli.
42. L'archivio Uruguaiano di Licio Gelli
I rapporti intercorsi tra la loggia massonica P2 ed i Servizi d'informazione e di sicurezza sono documentati da un altro significativo episodio.
Nella seconda metà del 1981, pervenne al SISMI, da un Servizio collegato, la notizia della esistenza a Montevideo di un archivio privato che era nella disponibilità di Licio Gelli. Si apprese allora che il 4 giugno dello stesso anno. l'intero carteggio era stato sequestrato e fotocopiato dalla polizia uruguaiana. Questa aveva provveduto successivamente a restituire gli originali allo stesso Gelli.
La documentazione, assai vasta, comprendeva i fascicoli intestati ai presunti iscritti alla loggia P2 (contenenti documentazione massonica) ed un'altra serie di fascicoli, intestati a personalità politiche, esponenti del mondo finanziario ed imprenditoriale, enti ed associazioni varie (sono più di 500), che trovano riscontro nella titolazione, in un elenco-indice rinvenuto a Castiglion Fibocchi (vedi reperto 8\C del sequestro).
Il materiale fu, per una parte piuttosto limitata, acquisito dal SISMI che provvide poi ad inviarne copia alla Commissione parlamentare sulla loggia P2. In prosieguo di tempo, anche per la mancata disponibilità del Governo uruguaiano, l'acquisizione dell'archivio da parte del SISMI fu interrotta.
Funzionari del SISMI sottoposero ad attento esame i documenti pervenuti, al fine di valutarne le provenienze e, al termine delle ricerche, essi conclusero che una parte era sicuramente da identificare con copie di documenti SID presenti negli archivi del SISMI. Altri documenti furono ritenuti, per tecnica espositiva, contenuto e data, di possibile provenienza dai fascicoli del SIFAR distrutti nell'agosto del 1974, poiché ritenuti dalla Commissione parlamentare sugli eventi del giugno-luglio 1964 frutto di attività informativa illegittima. Non fu possibile raggiungere la certezza, proprio perché i fascicoli corrispondenti negli archivi del Servizio erano stati bruciati nell'agosto 1974.
Una rimanente parte dell'archivio fu ritenuta, dagli analisti del SISMI, di produzione diretta di Gelli.
Proprio la accertata provenienza di alcuni fascicoli dal materiale illegittimamente raccolto dal SIFAR spinse la Commissione parlamentare sulla loggia P2 a non pubblicare parte della documentazione, poiché altrimenti sarebbe stata disattesa una precisa delibera parlamentare
(67).Questa vicenda conferma lo stretto legame tra Gelli e i Servizi segreti militari. Appare credibile quanto affermato a suo tempo dall'ingegnere Francesco Siniscalchi e dai dottori Ermenegildo Benedetti e Giovanni Bricchi circa una possibile donazione di fascicoli che l'ex capo del SIFAR Giovanni Allavena avrebbe effettuato a Gelli al momento di aderire alla loggia P2 nel 1967
(68).Negli anni successivi, inoltre, l'adesione alla loggia di pressoché tutti i principali dirigenti del SID rende più che plausibile un travaso informativo da questi ultimi a Gelli.
Al di là dei problemi che solleva la sicura provenienza SID di una parte del materiale, va rilevato come ancora oggi Licio Gelli abbia la disponibilità dell'intero archivio. E da credere che in esso siano comprese informazioni tuttora utilizzabili per esercitare un potere di condizionamento o di ricatto su esponenti della vita pubblica, con tutte le conseguenze politiche che ciò comporta
(69).43. Il Supersismi e l'attività di Francesco Pazienza
Con la legge n. 801 del 1977 sono stati creati due distinti Servizi segreti.
La riforma avrebbe dovuto garantire quella limpidezza di comportamento che era mancata nei decenni precedenti.
Al contrario, si scoprì più tardi che ai vertici del Servizio segreto militare si era costituito un centro di potere anomalo che faceva capo allo stesso direttore del Servizio, generale Giuseppe Santovito, e che aveva come principali componenti il capo dell'Ufficio controllo e sicurezza, generale Pietro Musumeci, e il suo stretto collaboratore, colonnello Giuseppe Belmonte.
Oltre a questi personaggi, un privato cittadino, il faccendiere Francesco Pazienza, aveva acquisito un potere tale da condizionare il comportamento dello stesso direttore Santovito. Ciò mal si accordava con la veste di "collaboratore" che formalmente era propria di Pazienza.
E da notare che alcuni componenti del gruppo risultarono poi compresi negli elenchi degli iscritti alla loggia P2 sequestrati a Castiglion Fibocchi, mentre Belmonte e Pazienza risultarono essere affiliati coperti del Grande Oriente d'Italia.
Musumeci e Belmonte orchestrarono, come già si è detto, una grave forma di depistaggio ai danni dei giudici che indagavano sulla strage di Bologna, facendo trovare esplosivo e altro materiale in una valigia sul treno Taranto-Milano.
Il gruppo gestì inoltre le trattative per il sequestro Cirillo, entrando in contatto con i clan camorristici e procurando un cospicuo finanziamento all'ala militarista delle Brigate rosse
(70).Organizzò un'operazione volta a danneggiare il Presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter, all'epoca impegnato nella campagna elettorale per la rielezione, mediante la rivelazione pubblica dei rapporti che il fratello del Presidente, Billy, intratteneva con uomini d'affari ed esponenti libici. L'operazione, che si configurò come una illecita interferenza negli affari interni di uno Stato amico, contribuì alla mancata rielezione di Jimmy Carter.
Il gruppo di potere aveva inoltre stabilito illeciti rapporti con ambienti finanziari non limpidi e con il mondo della malavita e dell'estremismo di destra.
Si era giunti, ad esempio, a consentire l'uso degli aerei del Servizio al pregiudicato Domenico Balducci che fu anche "assistito da agenti del SISMI in occasione del transito attraverso gli uffici di frontiera degli aeroporti di Roma"
(71).Francesco Pazienza era tra l'altro legato alle famiglie mafiose italoamericane ed in particolare a John Gambino
(72).Era in contatto con il noto esponente della mafia Pippo Calò e intermediario fra i due era stato il costruttore siciliano Luigi Faldetta, anch'egli uomo di Cosa nostra, legato alla banda della Magliana di Roma
(73).Francesco Pazienza era inoltre direttamente interessato ad un giro di attività imprenditoriali e di speculazioni cui partecipavano l'affarista Flavio Carboni ed elementi della banda della Magliana
(74).I rapporti citati sono solo alcuni degli esempi di commistione tra gli uomini del cosiddetto Super-sismi, ambienti finanziari a rischio ed alta criminalità.
Ne, d'altro canto, i rapporti con ambienti criminali e con spregiudicati finanzieri esauriscono la gamma di attività devianti del gruppo di potere. Si possono citare, ad esempio, attività poste in essere al fine di danneggiare elementi del Servizio che avevano tentato di contrastare lo strapotere del gruppo
(75).In conclusione, il ruolo svolto dal gruppo di potere. costituitosi all'interno del SISMI tra il 1978 e il 1981 si differenzia da altri precedenti episodi di deviazione per la molteplicità delle attività esplicate, tutte in palese contrasto con i compiti d'istituto e direttamente o indirettamente finalizzate ad intervenire sulla sfera politica
Una distorsione così profonda dell'attività del Servizio, che è da riconnettersi ad un complesso di iniziative dei gruppi piduisti, avrebbe potuto essere individuata e bloccata se vi fosse stato un vero controllo parlamentare. Dunque, se la legge riconoscesse al Comitato il diritto di prendere in esame costi e risultati delle singoli operazioni compiute dai Servizi in epoca successiva alla loro conclusione, ciò costituirebbe un antidoto ed un serio sbarramento alle attività illegittime.
Riguardo ad aspetti di attività sulla organizzazione interna della Gladio, sono emersi vari elementi tali da legittimare sospetti di manipolazioni od altre iniziative, comunque diretti a mascherare o ad occultare la verità.
Indicativi, al riguardo, soprattutto due documenti costituiti da una perizia eseguita per conto del giudice istruttore di Bologna Grassi e da un elaborato compilato dai giudici Benedetto Roberti e Sergio Dini, rispettivamente Procuratore militare in sede vacante e Sostituto procuratore militare della Procura militare della Repubblica presso il Tribunale militare di Padova.
Nella perizia si evidenzia che la documentazione di Gladio resa disponibile si presenta in estremo disordine, precisando che esiste una alternazione di documenti segretissimi con documenti senza alcuna classifica, relazioni che si riferiscono ad attività molto recenti (1990) con altre risalenti agli anni 50 e così via. Il perito puntualizza a questo proposito: "Si può affermare che eventi esterni sono intervenuti, casualmente o dolosamente, per mettere in accurato disordine i documenti"
(76).Il perito, inoltre, ha avuto modo di rilevare che nel periodo compreso tra il 29 luglio e l'8 agosto 1990, e cioè subito dopo l'accesso all'archivio della Gladio da parte del giudice istruttore di Venezia Casson e pressoché in concomitanza con le note dichiarazioni in Parlamento del Presidente del Consiglio Andreotti sulla struttura, una notevole quantità di documenti, come risulta dalle annotazioni apposte nei registri di protocollo, è stata distrutta.
Vi è da chiedersi quale sia stato il motivo della situazione riscontrata. Secondo logica, si prospettano solo due alternative: o l'esistenza di una condizione di disordine, per così dire congenita e stratificata, dovuta all'incuria, all'insipienza e alla sciatteria del personale addetto, oppure una ben determinata volontà di creare lo stato di confusione per nascondere, annebbiare, depistare. Pur in un doveroso spirito garantista, occorre convenire che la seconda ipotesi appare la più fondata, anche per i motivi che saranno in seguito meglio specificati.
Numerosi altri risvolti sono stati poi evidenziati dal perito. Limitando l'elencazione ad alcuni episodi significativi, sarà sufficiente ricordare il "saccheggio" della documentazione contenuta nel fascicolo del noto estremista di destra Enzo Dantini che, a dire del SISMI, sarebbe stato solo preso in considerazione per l'inserimento nella struttura ma non reclutato per i suoi accertati precedenti. Vi è poi la vicenda del fascicolo intestato a Gianfranco Bertoli, sul quale vengono richieste informazioni nel 1965, che risultano favorevoli, ma il soggetto non risulta avvicinato perché "non conosciuto personalmente dal segnalatore"
(77). Il perito evidenzia questa incongruenza, anche perché l'annotazione, apposta a mano, reca la data del 20 gennaio 1971; il Bertoli sarebbe dunque rimasto in sospeso per ben sei anni.La vicenda è resa ancora più inquietante alla luce del pesante sospetto che la persona possa identificarsi nell'autore della strage dinanzi alla Questura di Milano del 17 maggio 1971 e non, come affermato dal SISMI, di un uomo di tal nome nato a Portogruaro, il quale ha negato di aver mai fatto pane della struttura.
Sempre per quanto riguarda la vicenda Bertoli, il giudice istruttore di Padova Felice Casson, dopo aver anch'egli sottolineato l'incongruità di una annotazione posta dopo sei anni, rileva che presso il SISMI è stato trovato un numero di telefono, successivo al settembre 1984, relativo al Bertoli di Portogruaro, persona con cui il Servizio - secondo le stesse dichiarazioni dei suoi dirigenti - avrebbe interrotto ogni contatto fin dal 1971. "Unica spiegazione - annota il giudice - è quella che "qualcuno" in epoca recente abbia avuto bisogno di trovare i dati del Bertoli di Portogruaro o di contattarlo"
(78).Sempre riguardo a quanto accertato dai magistrati padovani, è da rilevare che essi hanno posto in evidenza una abbastanza nutrita serie di incongruenze e contraddizioni alcune delle quali, per semplicità e brevità di esposizione, sono di seguito menzionate.
Esiste un documento, datato 14 marzo 1967, costituito da una informativa redatta dall'allora capo dell'Ufficio R, colonnello Pasquale De Marco, per il capo del Servizio Eugenio Henke, concernente una esercitazione denominata LAZIO 1\67, svolta da alcuni elementi esterni della struttura. Secondo quanto riferito nell'informativa, all'esercitazione presero parte sette soggetti, "tutti di Roma, che da tempo sono nell'organizzazione". I nomi di questi elementi sono indicati come "Armando", "Sandro", "Maurizio", "Filippo", "Vincenzo", "Gianni". "Giulio". Di fianco a ciascun nominativo è indicata l'attività lavorativa svolta dagli stessi. Peraltro, dall'esame dei nominativi della cosiddetta lista dei 622, che è stata ripetutamente definita dai responsabili della struttura come sicura ed immune da manipolazioni, risultano venticinque "gladiatori" laziali, nessuno dei quali si chiama Maurizio e Sandro, ed egualmente non risultano le professioni attribuite a questi. Gli altri elementi partecipanti all'esercitazione sono stati invece positivamente identificati
(79).Nel tabulato denominato stampa matricolare generale, fornito dal SISMI con i nominativi di tutti i soggetti reclutati nell'organizzazione o anche solo segnalati a tal fine, mancano le indicazioni nominative relative ai soggetti contrassegnati dalle seguenti sigle numeriche: 0550; 0551; 0553; 0554; 0556; 0557; 0591; 0596; 0755; 0895; 1046 e 1314. Nell'elenco fornito dal SISMI mancano quindi almeno dodici nominativi. Una ricerca diretta effettuata negli archivi ha permesso di constatare la mancanza dei fascicoli personali contrassegnati dalle relative sigle numeriche.
Non sono peraltro ipotizzabili sviste o fortuite omissioni, poiché esiste la prova che alle sigle numeriche corrispondono soggetti in carne ed ossa. Esiste infatti un documento che riporta l'indicazione delle sigle numeriche di sei "gladiatori" che dal 10 al 22 luglio 1972 effettuarono un corso al Centro di Alghero. Tra essi vi erano il "gladiatore" 0553 e quello 0556. Da altro documento emerge che esisteva in Friuli Venezia Giulia un "settore di esfiltrazione" i cui addetti erano, tra gli altri, i "gladiatori" 0554, 0553, 0550, 0557, 0591
(80).Da un esame incrociato dei diversi elenchi di personale segnalato per l'arruolamento, nonché dal riscontro del contenuto dei fascicoli personali, è stato poi possibile accertare che almeno dieci persone sono state inserite, nel corso degli anni, in Gladio, pur non risultando nell'elenco dei 622 "gladiatori" ufficiali. Più precisamente, sono stati individuati sedici soggetti, tutti sentiti a verbale sul punto. Dieci di essi hanno confermato la loro appartenenza all'organizzazione, mentre i rimanenti sei hanno negato di essere stati reclutati.
I magistrati della Procura militare di Padova hanno sentito, in qualità di testimoni, un centinaio degli appartenenti a Gladio, i cui nominativi erano compresi nell'elenco dei 622. Di questi, circa il dieci per cento ha negato di aver mai fatto parte dell'organizzazione e alcuni di loro hanno fornito spiegazioni convincenti, come, ad esempio, il mancato ricevimento della "lettera di congedo e ringraziamento" inviata a tutti gli appartenenti al momento dello scioglimento di Gladio.
Nell'elenco dei 622 componenti di Gladio figurano 45 elementi in realtà deceduti da tempo, come annotato sul registro e sui fascicoli relativi. I giudici, peraltro, hanno accertato che altri 25 soggetti erano deceduti senza che di ciò figurasse alcuna annotazione o memorizzazione sulla documentazione, di modo che in buona sostanza, secondo il SISMI, essi erano in vita e pronti ad essere utilizzati.
Può quindi essere ritenuto pacifico il verificarsi di un'attività, probabilmente anche assai complessa ed articolata, mirata a sottrarre alla conoscenza dellAutorità giudiziaria e degli organismi parlamentari di inchiesta e di controllo, dati, notizie o altri elementi che evidentemente non potevano essere rivelati.
Ciò costituisce un aspetto inquietante. Non vi è stata da parte dei dirigenti del SISMI la collaborazione che ci si sarebbe dovuti attendere.
Recentemente, in data 11 febbraio 1995, l'Autorità giudiziaria di Roma, nell'ambito dei procedimenti penali a carico di Invernizzi Gianantonio ed altri, per delitti relativi a soppressione continuata di documenti attinenti alla sicurezza dello Stato, e a carico di Inzerilli Paolo e altri per i delitti di cospirazione politica mediante associazione, banda armata e altro, tutti fatti connessi con la vicenda Gladio, ha disposto gli arresti domiciliari nei confronti dell'ex direttore della I Divisione del SISMI, colonnello Bartolomeo Lombardo, attualmente in servizio presso lo stesso organismo.
A quanto è dato finora sapere (le indagini sono attualmente in corso e l'Autorità giudiziaria procedente ha fatto riserva di comunicare eventuali informazioni utili) il colonnello Lombardo era stato sentito dall'Autorità giudiziaria in qualità di "persona informata sui fatti". L'esame concerneva la corrispondenza intercorsa tra la I e la VII Divisione del SISMI nel novembre 1990 circa le informazioni sulla struttura Stay behind Gladio da trasmettersi al CESIS e quindi alla Presidenza del Consiglio. Come ha segnalato al Comitato la Procura della Repubblica di Roma, "Poiché dall'esame emergevano contrasti con fatti accertati, in un quadro di generale reticenza, si chiedeva la misura cautelare; lo stesso giorno il giudice per le indagini preliminari disponeva gli arresti domiciliari del Lombardo, con divieto assoluto di comunicare con persone non conviventi".
Il provvedimento è da porre in relazione ad un insieme di accertamenti condotti dal magistrato su atti richiesti in esibizione al SISMI e riguardanti la soppressione, avvenuta alla fine del luglio 1990, di documenti concernenti l'addestramento ricevuto da personale civile e militare nella base di Gladio di Alghero, nonché di altri atti inerenti ad interrogazioni, effettuate dal SISMI, sul CED del Ministero dell'interno relative a nominativi collegati alla struttura Gladio ma non indicati nell'elenco comunicato al CESIS, alla Presidenza del Consiglio e all'Autorità giudiziaria.
Il 21 febbraio scorso il Direttore del SISMI ha riferito, in esito a specifica richiesta del Comitato, che nei confronti del colonnello Lombardo è stata adottata la "sospensione cautelare obbligatoria dal servizio", ai sensi delle disposizioni vigenti.
Quest'ultimo episodio fornisce anche ulteriori elementi a sostegno dell'ipotesi che i nomi dei "gladiatori" ufficialmente comunicati siano solo una parte, e presumibilmente la meno importante e significativa, dell'aliquota del personale inserito nella struttura Gladio.
Inoltre, esso solleva interrogativi seri, perché mostra ancora oggi una continuità di atteggiamenti e, all'interno del SISMI, tuttora uno scarso impegno a favorire l'accertamento della verità.
Nel luglio 1991, l'ambasciatore Francesco Paolo Fulci, Segretario generale del CESIS ed Autorità nazionale per la sicurezza (in base alla delega del Presidente del Consiglio Andreotti) venne a conoscenza di una situazione irregolare, relativa a due funzionari del SISDE, Michele Finocchi e Gerardo Di Pasquale. Il primo era Capo di gabinetto del Servizio, il secondo era dirigente dell'Ufficio logistico. Risultò che essi rivestivano la carica di soci in una società di viaggi, la Miura Travel, dal marzo 1988, svolgendo così un'attività commerciale
(81). Non si trattava di una società di copertura del Servizio. Molto semplicemente, l'attività dei due funzionari era privata ed aveva scopi di lucro. Ma la Miura Travel era l'agenzia presso la quale venivano acquistati tutti i biglietti di viaggio e prenotati i soggiorni fuori sede dei dipendenti, per una disposizione interna che era stata impartita già il 5 maggio 1987 dal direttore del SISDE, prefetto Riccardo Malpica. Tale direttiva era in contrasto con un elementare criterio di riservatezza, poiché i viaggi dei dipendenti del SISDE divenivano così assai più facilmente individuabili. I biglietti venivano acquistati tutti a prezzo intero. Contemporaneamente, l'agenzia utilizzava attrezzature e personale del Servizio. Assumeva personale, che veniva poi dirottato nel SISDE, come il figlio di Gerardo Di Pasquale o il figlio di Matilde Martucci, segretaria del prefetto Malpica.Questa situazione offrì lo spunto all'ambasciatore Fulci per aprire un'indagine più ampia. Egli aveva comunicato prima al presidente del Consiglio Andreotti, poi al suo successore Amato ed al direttore del SISDE, prefetto Alessandro Voci, le informazioni dalle quali scaturiva una necessità di approfondimento. Si trattava di informazioni fondamentalmente rispondenti al vero, come si sarebbe visto più avanti, le quali delineavano un quadro impressionante di clientelismo, di favori personali e di inefficienza nella gestione del SISDE.
A parte la vicenda dell'agenzia di viaggi, vi erano altri aspetti preoccupanti. Anzitutto, le assunzioni nel SISDE avvenivano al di fuori di qualsiasi criterio oggettivo, sulla base di segnalazioni da settori politici o dall'interno della pubblica amministrazione. In secondo luogo, per favorire la carriera di alcuni funzionari del Servizio, si ricorreva ad un sistema ingegnoso: essi venivano restituiti all'amministrazione di appartenenza, al solo scopo di essere promossi, ed immediatamente dopo ritornavano nel SISDE, ove percepivano, quasi senza soluzione di continuità, retribuzioni fortemente maggiorate (il sistema veniva denominato navetta)
(82). Era infine facilmente visibile, almeno per chi operasse all'interno degli apparati di sicurezza, l'uso distorto di auto ed autisti del SISDE, in relazione ad esigenze non istituzionali.Le informazioni da cui muoveva l'ambasciatore Fulci avevano natura riservata. Nascevano cioè dall'ambiente dei Servizi. Egli ha tra l'altro dichiarato all'Autorità giudiziaria di avere ricevuto notizie, da fonte interna, in merito a manovre intimidatorie poste in essere nei suoi confronti.
Del resto, ancor prima che Fulci assumesse l'incarico di Segretario generale del CESIS, nel pieno del periodo di direzione del prefetto Malpica, vi erano già voci di una certa consistenza circa una gestione disinvolta del SISDE. Ciò risulta indirettamente dal processo verbale di una riunione del Comitato parlamentare del 3 agosto 1989, dedicata all'audizione del ministro dell'interno Antonio Gava. Nella fase conclusiva della riunione era intervenuto il presidente Mario Segni per informare il Ministro del fatto che gli erano pervenute da parte di alcuni componenti del Comitato "voci su una presunta gestione scorretta di taluni fondi riservati del SISDE". La formulazione era premonitrice. Ed era chiarissimo il riferimento ad una categoria peculiare di fondi e di spese che hanno una funzione rilevante nell'attività del Servizio. Essi sono infatti separati dai fondi ordinati, e dai normali rendiconti, in quanto destinati a finanziare operazioni coperte dal segreto. Non per questa ragione si può tuttavia accettare che siano sottratti a qualsiasi controllo.
Il verbale reca traccia della risposta fornita dal rappresentante del Governo: "Il Ministro assicura che si interesserà anche di questo problema". Ma la sollecitazione era destinata a cadere nel vuoto.
Il ministro Gava non diede alcun seguito all'impegno preso. L'uso scorretto dei fondi riservati continuò.
46. Le segnalazioni dell'ambasciatore Fulci
Nel giugno 1991, appena assunta la Segreteria generale del CESIS, lambasciatore Fulci operò per abolire il sistema della navetta, nonostante le pressioni del prefetto Malpica. Una circolare del Presidente del Consiglio dei Ministri, emanata il 13 luglio 1991, intervenne ad impedire quel meccanismo
(83).Successivamente, Fulci promosse una indagine sull'affidabilità dei funzionari del SISDE e per ciò dispose nel 1992 la creazione di un nucleo composto da elementi dell'UCSI e del CESIS (perché all'UCSI il personale non era sufficiente), con il compito di svolgere accertamenti patrimoniali sul personale. "Vennero fuori cose incredibili: e cioè che Finocchi, Di Pasquale, Martucci e Broccoletti erano riusciti a procurarsi cospicui ed improvvisi arricchimenti"
(84).Occorre ricordare che Michele Finocchi e Gerardo Di Pasquale, essendo stata accertata la loro partecipazione alla Miura Travel, come soci di maggioranza, furono allontanati alla fine del 1992 dalle funzioni di Capo di gabinetto e Capo del servizio logistico, che avevano ricoperto durante la direzione di Malpica. E difficile credere che nell'allontanamento vi sia stata una sanzione. Essi infatti rimasero inquadrati nel SISDE, con le indennità che ciò comportava e con compiti rilevanti: il primo con funzioni di collegamento tra il Servizio e la Direzione generale dei servizi civili del Ministero dell'interno, il secondo come responsabile del collegamento tra il Servizio e la Direzione generale della polizia criminale del Ministero dell'interno. Anche Maurizio Broccoletti, avendo cessato di far parte del SISDE nel giugno 1991, era rimasto nel Servizio con una imprecisata posizione di "funzionario di fatto" ed aveva continuato ad amministrare la società di copertura del Servizio. Tali circostanze sono già state segnalate con un giudizio fortemente critico dal Comitato parlamentare, durante la scorsa legislatura
(85).Fulci aveva inviato, l'8 giugno 1992, una lettera al prefetto Alessandro Voci, direttore del SISDE, con la quale si denunciavano "specifiche responsabilità disciplinari e penali". Dopo un'indagine interna, il prefetto Voci concluse, nello stesso mese di giugno, con un provvedimento di archiviazione. Non era emersa alcuna responsabilità.
D'altro canto, risulta che nel luglio 1992, mentre continuavano a girare le dicerie circa la spregiudicatezza e gli arricchimenti illeciti di quei funzionari, giunse al presidente del Consiglio dei Ministri, onorevole Giuliano Amato, dalla Segreteria nazionale del PSI, la sollecitazione a designare Finocchi per un alto incarico nell'ambito del Servizio (Direttore o Vicedirettore). La cattiva fama di questi, l'iniziativa dell'ambasciatore Fulci e il dissenso espresso dal nuovo ministro dell'interno Nicola Mancino, in un colloquio con il presidente Amato
(86), valsero evidentemente a bloccare la nomina. Tuttavia le autorità politiche di governo non assunsero alcun serio impegno per fare luce sui fatti. Il Segretario generale del CESIS non riuscì mai a comunicare personalmente i risultati della indagine al presidente del Consiglio Amato. Né i suoi messaggi scritti, inviati al Segretario generale di Palazzo Chigi, ebbero risposta.Il Comitato osserva che un sollecito e rigoroso intervento della Presidenza del Consiglio (nel 1991 con Andreotti o nel 1992 con Amato) avrebbe potuto mettere in moto l'opera di bonifica che era necessaria, facendo risparmiare tempo ed energie. Lo stesso sarebbe avvenuto se l'ambasciatore Fulci (che aveva ravvisato ipotesi di responsabilità non solo disciplinare, ma anche penale, nei comportamenti dei funzionari del SISDE) si fosse prontamente rivolto allAutorità giudiziaria.
47. Gli accertamenti giudiziari
La magistratura cominciò ad occuparsi del SISDE pochi mesi dopo.
Il 19 dicembre 1992 il prefetto Angelo Finocchiaro, Direttore del Servizio, fu convocato dal sostituto procuratore Vinci della Procura di Roma, che indagava sulla vendita di immobili a prezzi maggiorati, destinati a ministeri ed enti pubblici (con relative tangenti). Nel corso di una indagine presso la Banca Carimonte, il dottor Vinci si era imbattuto in conti bancari, intestati a funzionari del SISDE (Broccoletti, Di Pasquale, Finocchi, Galati e Sorrentino), per un valore di 14 miliardi di lire. I funzionari, interrogati dal magistrato nei giorni successivi, dichiararono di detenere quelle somme in nome e per conto del Servizio, a titolo fiduciario, per scopi istituzionali, e l'indagine si concluse con la restituzione dei fondi al prefetto Finocchiaro.
Nel febbraio 1993 ebbe inizio una nuova indagine, sulla bancarotta fraudolenta relativa al fallimento della società Miura Travel, affidata al sostituto procuratore Frisani. Questi scoprì altri conti bancari, intestati agli stessi funzionari del SISDE, presso l'istituto di credito di San Marino, per un valore di 38 miliardi di lire. Ma gli ulteriori accertamenti dovevano rivelare la disponibilità da parte di costoro di somme ancora superiori.
Il procedimento penale, che vedrà, a partire dal maggio 1993, una serie di richieste di provvedimenti di custodia cautelare da parte del dottor Frisani e poi vari arresti, ha riguardato Broccoletti, Di Pasquale, Finocchi, Galati, Malpica, Martucci e Sorrentino. Secondo l'accusa, essi si sarebbero appropriati in più circostanze di ingenti somme di denaro assegnate al Direttore del SISDE per finalità istituzionali, sotto il titolo "fondi riservati". In particolare, Malpica avrebbe consentito che tali somme fossero nella disponibilità degli altri funzionari che, d'accordo con lui, se ne erano appropriati. Egli avrebbe omesso di segnalare la giacenza all'atto del passaggio delle consegne al prefetto Voci (subentrato alla direzione del SISDE) ed avrebbe attestato falsamente di aver autorizzato la devoluzione di quei fondi agli stessi funzionati per pretese ragioni di copertura. Inoltre, Finocchi e Di Pasquale, contribuendo a garantire alla Miura Travel di cui erano soci una esclusiva per tutte le esigenze del SISDE ed un incasso a tariffa piena, avrebbero commesso il reato di abuso d'ufficio.
Il 2 febbraio 1994 sono stati disposti i rinvii a giudizio. Il 20 dicembre 1994 il Tribunale di Roma ha pronunciato la sentenza, con le seguenti condanne: Broccoletti, 9 anni, Di Pasquale, 9 anni; Finocchi, 8 anni e 6 mesi; Galati, 6 anni e 6 mesi; Malpica, 3 anni e 3 mesi, Martucci, 2 anni e 2 mesi; Sorrentino, 2 anni e 10 mesi.
48. La prassi degli assestamenti di bilancio
Il prefetto Malpica e gli altri funzionari avevano fornito al dottor Vinci, dopo la scoperta dei depositi bancari presso la Carimonte, una falsa versione dei fatti. Quelle somme in realtà non erano detenute a titolo fiduciario, in nome e per conto del SISDE. Esse derivavano da una serie di illecite appropriazioni di quote dei fondi riservati del Servizio.
La falsa versione fu concordata nel dicembre 1992 con il nuovo Direttore del Servizio, come è emerso in sede giudiziaria. Di essa non risulta essere stato al corrente il ministro dell'interno Mancino
(87).Ma quando è emerso che i patrimoni accumulati da quei funzionari andavano ben al di là dei primi quattordici miliardi e quando si è ricostruito il meccanismo istituzionale su cui si fondava l'arricchimento illecito, la falsa versione originaria è franata del tutto. Sommando i patrimoni che essi avevano in pochi anni acquisito, attraverso prelievi sui fondi riservati del SISDE, l'Autorità giudiziaria requirente ha calcolato un ammontare complessivo di circa 58 miliardi
(88).Le responsabilità dei funzionari che parteciparono all'accordo fraudolento, volto a nascondere al dottor Vinci l'esistenza di gravi scorrettezze, sono ancora oggetto di accertamenti giudiziari. E sui reati commessi attraverso l'uso dei fondi riservati, sebbene vi sia stata una serie di significative condanne in primo grado, occorrerà ancora aspettare per giungere ad una sentenza definitiva.
Nel frattempo, è compito del Comitato parlamentare stabilire, in primo luogo, attraverso quali meccanismi istituzionali sia possibile un arricchimento illecito come quello per cui i funzionati SISDE sono già stati condannati; in secondo luogo, a chi vada attribuita l'eventuale responsabilità politica per una omessa vigilanza; in terzo luogo, quali misure regolamentari siano più idonee a garantire il Servizio contro il rischio di simili deviazioni.
49. L'accantonamento dei fondi riservati
E certo che le scorrettezze, per cui un ristretto gruppo di dirigenti amministrativi del SISDE è giunto a percepire decine di miliardi, si sono verificate con la direzione del prefetto Malpica che durò dal 2 febbraio 1987 al l° settembre 1991.
Sotto la direzione del prefetto Malpica fu accumulata una riserva di danaro senza precedenti, attraverso accantonamenti di somme erogate al Servizio, destinate ai fondi riservati e non spese
(89). A tali accantonamenti si riferì lo stesso Malpica nell'audizione davanti al Comitato parlamentare, il 7 luglio 1993. Allora giustificò questa scelta di gestione con lo scopo di evitare che a fine anno le somme non spese andassero in economia. I fondi riservati potevano essere accantonati e conservati per l'anno successivo. Ciò appare in contrasto con le norme della contabilità dello Stato le quali prevedono comunque che i fondi non spesi siano recuperati; ma per i fondi riservati, non essendovi un obbligo di rendicontazione, la norma veniva tranquillamente elusa.Concentrando le erogazioni sui fondi riservati, veniva alimentato il fondo delle società di copertura del Servizio (di cui Broccoletti, direttore amministrativo fino al 1991, era anche amministratore), ma soprattutto si distoglievano per usi non istituzionali le somme stanziate in bilancio. Qualsiasi possibilità di verifica contabile veniva meno, per effetto dello spostamento di capitoli di spesa dai fondi ordinari ai fondi riservati.
Il meccanismo ha dato al prefetto Malpica un notevole potere, anche se non risulta un suo personale arricchimento. Stando alle sue stesse dichiarazioni, egli sembrava piuttosto interessato a costituirsi una propria rete di collegamenti: un gruppo di stretta fiducia all'interno del Servizio (composto da persone alle quali rendeva cospicui favori) ed un sistema più vasto di amicizie e di riferimenti in vari uffici della pubblica amministrazione.
50. Comportamenti in contrasto con la legge
Il Comitato parlamentare segnala nella prassi del SISDE, quale è stata ricostruita nell'ambito del processo penale, altri comportamenti in contrasto con le norme di legge.
E significativo il quadro di rapporti riservati che il prefetto Malpica, davanti all'Autorità giudiziaria, ha dichiarato di aver intrattenuto con funzionari pubblici. "Come Direttore del Servizio - ha affermato tra l'altro - avevo necessità di essere informato su tutto e avere centinaia di occhi, visto che i miei non erano sufficienti, avevo quindi necessità di avere... delle persone che potessero all'occorrenza consentirmi di contattare altre persone che io non avevo materiale possibilità di annoverare fra i miei amici. Le porto un esempio: se io avevo bisogno di un'informazione riguardante un'ambasciata, certo non potevo telefonare e farmi ricevere, però c'era... un ambasciatore addetto all'ufficio stampa del Ministero degli esteri, il quale invece ben poteva, per ragioni del suo ufficio, farmi la cortesia di fare questo accertamento". Lo stesso avveniva per un prefetto, collegato al SISDE, il quale prestava servizio presso il Quirinale e che "non andava certo lì a collaborare facendo la spia al presidente Cossiga; aveva invece il compito di mettere, se necessario, a mia disposizione la rete di conoscenze e facilitarmi i contatti"
(90).Si tratta evidentemente di comportamenti anomali, tanto più se vi è stata la elargizione di somme di denaro. Il personale che già dipende dalla pubblica amministrazione può essere trasferito alle esclusive dipendenze dei Servizi, in base all'articolo 7 della legge n. 801 del 1977, ma non può prestare collaborazione a tempo parziale; ne tanto meno sembra consentita l'assunzione di funzionari pubblici come informatori.
L'articolo 7 indica tassativamente il tipo di rapporto che i Servizi possono stabilire con dipendenti civili e militari dello Stato, così come indica in forma ugualmente tassativa, quali sono le categorie di persone che i Servizi non possono avere alle loro dipendenze, in modo organico o saltuario: membri del Parlamento, consiglieri regionali, provinciali, comunali, magistrati, ministri di culto e giornalisti professionisti
(91).A giudizio del Comitato così va interpretato l'articolo 7. I Servizi possono stabilire con altri uffici della pubblica amministrazione e segnatamente con quelli addetti a funzioni di sicurezza rapporti di cooperazione istituzionale, ma non possono reclutare l'uno o l'altro funzionario per indefinite attività di collaborazione. Nè possono servirsi di giornalisti o di parlamentari come informatori, in cambio di danaro o di favori.
E da ritenere che molti abusi, nell'ambito del sistema dinformazione e sicurezza ed in particolare nel SISDE, siano nati dalla disapplicazione o dall'applicazione non corretta di queste previsioni normative.
51. Le ragioni istituzionali degli abusi
E emerso in sede giudiziaria che le scorrettezze dei funzionari relative all'uso dei fondi riservati sono incominciate con l'assestamento di bilancio del 1987. Era una somma che ancora non raggiungeva i livelli degli anni successivi: 6 miliardi e 780 milioni, prelevati dalla Tesoreria centrale il 3 dicembre 1987. Nello stesso giorno è documentato un versamento di 100 milioni da parte di Finocchi, presso il già citato istituto di credito di San Marino. Ciò sembra dimostrare che la spartizione dei fondi riservati era iniziata.
L'assestamento negli anni successivi è cresciuto vertiginosamente. Nel 1988 è stato di 35 miliardi; nel 1989 di 34 miliardi; nel 1990 di 42 miliardi. Alla fine del 1991, essendo stato già nominato un nuovo direttore, l'assestamento è stato nullo. Una svolta così netta conferma che la prassi degli anni precedenti non era dettata da inderogabili necessità istituzionali, come pure si era sostenuto.
In realtà, il prefetto Malpica usava richiedere che in sede di assestamento tutta la somma venisse erogata sul capitolo n. 1117, vale a dire sui fondi riservati. Il Pubblico ministero nel processo contro i funzionari SISDE ha esibito una lettera del 17 settembre 1990, nella quale il Direttore chiedeva, come aveva fatto negli anni precedenti, che l'assestamento andasse per intero nei fondi riservati. E si trattava, nel 1990, di una erogazione di 42 miliardi. A ciò deve aggiungersi l'abitudine di spostare durante l'anno forti somme di danaro dai fondi ordinari a quelli riservati
(92).Già nella scorsa legislatura il Comitato parlamentare ha svolto un'approfondita indagine per mettere a fuoco le modalità di impiego dei fondi riservati e chiarire i rischi di abusi che ne derivano. Sono state dedicate a questo tema dodici audizioni. Anche durante l'attuale legislatura il tema è stato nuovamente affrontato nel corso delle audizioni e sulla questione sono stati complessivamente acquisiti venti documenti.
Si può richiamare al riguardo un'affermazione del ministro dellinterno Maroni, che denota quanta preoccupazione vi sia ancora circa la possibilità che i comportamenti illeciti si riproducano. "Sull'esistenza di fondi neri in altre parti del mondo, devo esprimere l'augurio che non ci siano. Tuttavia, proprio perché si tratta di fondi neri e quindi non registrati nella contabilità, non possiamo saperlo con certezza. Mi auguro che non ci siano, ma non sono in grado di escluderlo".
Le conclusioni a cui giunse il Comitato nella Relazione del 14 febbraio 1994 restano tuttora valide. Tra queste si deve ricordare la denuncia di una diffusa negligenza nell'amministrazione, con una lunga consuetudine di assunzioni clientelari di personale, poi rivelatosi inadeguato ed inaffidabile.
Inoltre, il fatto che tra una Direzione e l'altra del Servizio si creassero vere e proprie soluzioni di continuità, con passaggi di consegne assai approssimativi, ha contribuito alla cattiva amministrazione. In realtà, coloro che controllavano davvero la gestione complessiva delle spese riservate, e dunque anche dei fondi distratti dal Servizio, erano il fiduciario del Direttore (prima Ugo Timpano, dal 1987 fino a tutto il 1989; poi Antonio Galati, dal gennaio 1990 in poi) e il direttore amministrativo Maurizio Broccoletti che gestiva i fondi ordinari.
Tra la fine del 1987 ed il 1991 si è fatto metodicamente ricorso ad anticipazioni dai fondi ordinari ai fondi riservati. Le somme venivano destinate a spese sulle quali non vi era controllo. A: fine anno, a seguito dell'assestamento, le somme anticipate venivano restituite ai fondi ordinari o mediante la consegna di contanti ovvero provvedendo a pagare sui fondi riservati spese di pertinenza di quelli ordinari. In tal modo, venivano indebitamente assunte sui fondi riservati spese che avrebbero dovuto essere a carico di quelli ordinari e per esse veniva meno la possibilità di una verifica contabile, pur non essendovi alcuna ragione di segretezza
(93).Ancora, l'esclusione dell'autorità politica e del Comitato parlamentare di controllo dalla vigilanza sulla gestione dei fondi riservati, la rendicontazione lacunosa ed irregolare e la distruzione a scadenze ravvicinate della documentazione riguardante spese di natura delicata o confidenziale, secondo la circolare emanata dal Presidente del Consiglio dei Ministri nel 1986, sono stati altrettanti elementi che hanno consentito la deviazione
(94).52. Il mancato controllo dell'autorità politica
Il controllo dell'autorità politica sull'uso dei fondi riservati è stato gravemente carente. Il rapporto fiduciario che si stabilisce tra i responsabili politici ed il capo del Servizio non può intendersi nel senso che il Ministro competente ed il Presidente del Consiglio rinuncino ad un esame delle principali attività del Servizio medesimo e ad una valutazione circa la congruità tra le spese erogate (anche quelle riservate) e le operazioni compiute. Proprio questo invece è avvenuto: un pericoloso fraintendimento del rapporto fiduciario. Gli effetti negativi di un mandato così ampio e privo di reali verifiche sono stati anche riconosciuti dal ministro dell'interno Nicola Mancino, in un audizione davanti al Comitato, il 1° luglio 1993.
Si è determinata, alla fine degli anni 80, una situazione nella quale gli abusi erano favoriti. D'altra parte, nel sistema dei fondi riservati - quando mancano la rendicontazione e i controlli, quando non si conserva la memoria delle operazioni e delle spese - non sono soltanto più facili gli abusi. E anche più difficile individuare e distinguere le responsabilità. A maggior ragione lo è in un quadro attraversato da accuse che vanno in tutte le direzioni, talvolta poi ritrattate (come alcune accuse di Malpica). Per azzerare o sminuire le responsabilità specifiche di chi ha amministrato scorrettamente i fondi del SISDE, si è cercato di gettare sospetti, anche privi di qualsiasi riscontro, su ogni spesa riservata effettuata da parecchi anni a questa parte nell'ambito del Ministero dellinterno. Erano tra queste, ad esempio, fino al 1992, tutte le spese relative ai collaboratori di giustizia.
Ciò rende particolarmente delicato ed impegnativo il lavoro dell'Autorità giudiziaria che è su tutti questi casi in pieno svolgimento. Va ricordato in proposito che nella Relazione per l'inaugurazione dell'anno giudiziario tenuta a Roma il 14 gennaio 1995 dall'Avvocato generale presso la Corte d'appello sono stati menzionati con speciale rilievo i procedimenti aventi ad oggetto le deviazioni dei Servizi segreti.
In un campo d'indagine così arduo da delimitare sono possibili versioni artefatte della realtà ed accuse calunniose. E incerta o inesistente la documentazione e non è affatto semplice sceverare e valutare i singoli fatti.
Questo naturalmente non può essere il compito di un organo parlamentare. Il Comitato può e deve valutare difetti istituzionali e responsabilità politiche, anche muovendo dalla considerazione di fatti che appaiono già accertati in sede giudiziaria. Spetta invece ai magistrati, in piena indipendenza ed autonomia, individuare tutte le responsabilità penalmente rilevanti. Ed occorre evitare ogni interferenza.
Vi è stato, nella vicenda dei fondi riservati, un fattore scatenante: il loro fortissimo aumento, a partire dal 1988, realizzato attraverso gli assestamenti. Si è trattato di un fattore decisivo, perché, su grandi quantità di danaro, i tradizionali controlli dell'autorità politica, assai limitati come si è detto, sono divenuti clamorosamente insufficienti.
Secondo il Pubblico ministero nel processo contro i funzionari SISDE, gli abusi avrebbero cominciato ad attuarsi già alla fine del 1987, sia pure in misura modesta. Era precisamente il 3 dicembre 1987 ed era allora ministro dell'interno il senatore Amintore Fanfani, subentrato all'onorevole Oscar Luigi Scalfaro da cinque mesi.
Non si può parlare di una omissione di vigilanza da parte del senatore Fanfani. Non vi erano ragioni specifiche di sospetto. L'incremento dei fondi riservati era ancora contenuto né vi erano elementi per ritenere che il Direttore del Servizio venisse meno al proprio dovere di lealtà.
Diversa è stata invece la situazione nei tre anni successivi, in cui il SISDE è stato ancora diretto da Malpica, fino al l° settembre 1991. In questo periodo sono stati ministri dell'interno l'onorevole Antonio Gava (dal 13 aprile 1988, per circa due anni e mezzo) e l'onorevole Vincenzo Scotti (dal 16 ottobre 1990).
Gli assestamenti e i fondi riservati sono stati sei e sette volte superiori a quello del 1987. I due Ministri non sembrano avere avuto dubbi sul corretto funzionamento del Servizio, nè hanno svolto accertamenti di alcun genere in ordine alla destinazione dei fondi riservati. Ciò è tanto più da deplorare, se si tiene conto della richiesta di informazioni sulla gestione di quei fondi, già rivolta al ministro Gava dal Presidente del Comitato parlamentare, il 3 agosto 1989.
53. Misure regolamentari rivolte ad evitare l'uso scorretto dei fondi riservati
Rendere più puntuali e costanti le notizie circa le operazioni e le spese riservate che dal Servizio giungono al Ministro competente: questo è il primo passo per rafforzare il controllo.
Si può inoltre proporre che in merito alla gestione dei fondi riservati vi sia una contemporanea responsabilizzazione del Ministro e del Presidente del Consiglio.
Nella scorsa legislatura, il Comitato ha sottoposto ad attento esame la circolare emanata dal Presidente del Consiglio il 10 gennaio 1986. Dei rilievi che erano stati avanzati in sede parlamentare ha poi tenuto conto la nuova circolare del Presidente del Consiglio, dell'8 novembre 1993.
Si deve sottolineare, nelle norme regolamentari del 1986, un aspetto discutibile e rischioso. Esso consisteva nell'aver previsto una distruzione annuale dei documenti di spesa e comunque una distruzione all'atto del cambio del Direttore del Servizio o del Ministro competente. D'altro canto, la previsione relativa al rendiconto era ancora generica.
La circolare dell'8 novembre 1993 intende ovviare a tali limiti, prevedendo "esaurienti consuntivi", che devono essere approvati dall'autorità politica con cadenza trimestrale. Inoltre essa stabilisce che alla fine di ciascun esercizio finanziario, ovvero quando cambia il Direttore del Servizio o il Ministro, i documenti di spesa siano chiusi in busta sigillata e conservati per dieci anni. Si tratta di innovazioni positive.
A questo proposito, pur nell'ambito dell'attuale legislazione che traccia confini angusti al controllo parlamentare, e in attesa che a questo sia riconosciuta normativamente una più ampia portata, sarebbe opportuno che le autorità di governo, relativamente ai fondi riservati, dessero sempre tempestiva comunicazione al Comitato dellavventura e regolare approvazione periodica del consuntivo e, alle scadenze previste, delle operazioni di raccolta e conservazione dei documenti di spesa.
Occorre inoltre che sia espressamente vietata la possibilità di ricorrere ad anticipazioni dai fondi ordinari ai fondi riservati, come ogni altro meccanismo tale da consentire che vi siano spese riservate, con controllo attenuato, per attività che nulla hanno a che vedere con le esigenze di segretezza del Servizio.
VI. I RAPPORTI TRA I SERVIZI DI INFORMAZIONE E DI SICUREZZA E LA CORTE DEI CONTI
54. Una indennità che viola la legge
Il Comitato parlamentare ha rilevato l'esistenza di una singolare e grave anomalia nei rapporti che, sulla base di norme regolamentari, si sono stabiliti tra i Servizi d'informazione e di sicurezza e la Corte dei conti. L'anomalia si ricollega ad un uso illegittimo dei fondi riservati.
Il Presidente del Senato, il 13 febbraio 1995, ha inviato al Comitato una nota del SECIT (Servizio centrale degli ispettori tributari), concernente un'indagine relativa al SISDE. La nota ha una particolare rilevanza istituzionale, poiché in essa "sono rappresentate plurime ipotesi di irregolarità di governo, amministrative e di controllo da parte della Corte dei conti, oltreché di veri e propri reati a carico di funzionari pubblici non nominativamente indicati". Il Presidente del Senato è stato investito della questione, insieme a una serie di altri uffici, destinatari della lettera, dal momento che la richiesta al SISDE di documenti necessari ad accertare i fatti oggetto di indagine era rimasta senza risposta.
La nota del SECIT ricorda che la legge n. 801 del 1977 prevede, all'articolo 7, che i magistrati non possano essere dipendenti dai Servizi d'informazione e di sicurezza. Di conseguenza, non possono percepire alcuna indennità dal SISDE, come dal SISMI.
Risulta invece - così prosegue la nota - che un regolamento emanato nel 1989 (classificato come segreto) riconosce una indennità a favore dei magistrati della Corte dei conti addetti al controllo di atti del Ministero dell'interno, ed in particolare addetti al controllo degli atti del SISDE.
E il SISDE a corrispondere tale indennità. Ne ha dato conferma il dottor Gaetano Pellegrino, magistrato delegato al controllo consuntivo sui rendiconti, la contabilità e la gestione del Ministero dell'interno, dichiarando di aver rifiutato "somme di denaro offerte in nero dal dottor Broccoletti del SISDE", pur essendo tali erogazioni previste dal citato regolamento del 1989. Egli considerava quel denaro "offerto in modo illegale e quindi senza la possibilità di adempiere regolarmente agli obblighi fiscali". Precisava di non escludere che altri magistrati avessero percepito somme allo stesso titolo.
Avendo richiesto al SISDE la documentazione necessaria ad accertare i fatti, il SECIT ottenne una risposta interlocutoria dal Direttore del Servizio, il 15 febbraio 1994. Il prefetto Domenico Salazar si riservò di trasmettere quei documenti, dopo aver ottenuto l'assenso del Procuratore della Repubblica di Roma. I fatti erano oggetto di un procedimento penale e una parte dei documenti erano stati già acquisiti dall'Autorità giudiziaria. La documentazione richiesta, a cominciare dal regolamento del 1989, non è mai stata trasmessa al SECIT, che pure la giudicava fondamentale.
Il Comitato ha provveduto a verificare l'esattezza di quanto affermato nella nota ed ha ottenuto dal SISDE la trasmissione di alcuni documenti che il SECIT non era riuscito ad avere.
Si è così riscontrata l'esistenza di una ulteriore situazione abnorme nell'amministrazione del SISDE. L'articolo 27, comma 1, del regolamento emanato dal Ministro dell'interno il 13 marzo 1989 dispone: "Per l'esercizio del controllo da parte dei magistrati della Corte dei conti e del Direttore della Ragioneria centrale del Ministero dell'interno, che viene svolto in via successiva, sono posti a disposizione appositi locali presso la sede del SISDE, con modalità idonee ad assicurare la sicurezza e la segretezza dei documenti". Si vuole circondare l'attività di controllo di speciali cautele, impedendo che i documenti materialmente si spostino dai locali del Servizio. Ma subito dopo, al secondo comma, troviamo una previsione che non ha nulla a che fare con le esigenze di sicurezza: "A detto personale compete, per la durata dell'incarico, l'indennità di cui all'articolo 33 del DPCM n. 7 del 21.11.1980". Il rinvio al citato articolo 33 implica che l'indennità sia determinata con decreto del Presidente del Consiglio.
Si tratta di una retribuzione aggiuntiva a favore di quei magistrati, per l'assolvimento di un compito istituzionale che è già retribuito con lo stipendio.
La norma regolamentare è evidentemente illegittima. Essa comporta che somme di denaro vengano corrisposte ai magistrati della Corte dei conti incaricati del controllo degli atti del SISDE, in violazione dell'articolo 7 della legge n. 801 del 1977.
Ma il regolamento del 1989 ricalca una norma anteriore, ugualmente illegittima. L'articolo 33 del DPCM n. 7 del 21.11.1980 (citato dal regolamento del 13 marzo 1989) già indica quali siano i destinatari della indennità da determinarsi con decreto del Presidente del Consiglio. Prevede infatti che essa sia erogata "al personale che presta servizio presso gli uffici indicati nel precedente articolo 31".
Quest'ultima norma non si riferisce, come pure ci si aspetterebbe, a personale del Servizio, ma a personale che esercita "il controllo sugli atti concernenti lo stato giuridico e il trattamento economico di attività e di quiescenza del personale degli organismi di informazione e di sicurezza, nonché sulle spese imputate al capitolo di organizzazione e funzionamento iscritto nello stato di previsione della spesa della Presidenza del Consiglio dei Ministri". Tale controllo, specifica ancora l'articolo 31, "è esercitato dalla Corte dei conti e dalla Ragioneria generale dello Stato presso la sede della Segreteria generale del CESIS" e la relativa "assegnazione del personale è disposta rispettivamente dal Presidente della Corte dei conti e dal Ragioniere generale dello Stato".
Appare chiaro che la corresponsione dell'indennità, così disciplinata, si applica alle attività di controllo sull'insieme dei Servizi. Le somme devono essere erogate attingendo ai fondi riservati. L'articolo 18 del DPCM n. 8 del 21 novembre 1980 dispone infatti: "Ferme restando le misure nette attualmente stabilite con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, le indennità (... ) sono assoggettate a ritenuta, a titolo di imposta, nella misura del 25 per cento, sulla parte eccedente il 60 per cento del loro ammontare. La spesa inerente a dette attività grava sui fondi del capitolo riguardante spese riservate".
Non si comprende quale sia il senso di una simile scelta. Nè sembra che vi siano, in questo caso, ragioni di sicurezza le quali impediscano di attingere ai fondi ordinari. C'è forse qualche motivo per mantenere segreto l'esercizio di questa specifica attività di controllo? In base a criteri di normale ragionevolezza, la risposta non può che essere negativa.
Resta dunque un dato innegabile. Le norme regolamentari esaminate prevedono che i magistrati della Corte dei conti percepiscano indennità aggiuntive dalle strutture amministrative che sono oggetto del loro controllo. E una retribuzione che l'ente controllato eroga a favore dei controllori in netto contrasto con l'indipendenza (costituzionalmente garantita) della magistratura contabile. Per di più, in questo caso - trattandosi dei Servizi di informazione e di sicurezza - siamo di fronte a una violazione palese della legge che vieta ai magistrati di stabilire rapporti di dipendenza, anche in modo saltuario, con questi organismi.
Il Comitato richiama l'attenzione del Parlamento e del Governo sulla illegittimità di tali disposizioni e dei compensi che da esse hanno avuto origine.
VII. LA MEMORIA DELLE OPERAZIONI E LA TENUTA DEGLI ARCHIVI
Il Consiglio di Stato, con parere della prima sezione (n. 1876\86-del 14 novembre 1986) ha riconosciuto che tra i poteri attribuiti al Presidente del Consiglio dall'articolo 1 della legge n. 801 del 1977 rientra l'emanazione di disposizioni intese a dettare una disciplina ad hoc nel settore degli archivi dei Servizi.
A seguito di tale pronuncia è stata emanata la direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 16 febbraio 1988 che fissa i principi generali in materia di organizzazione degli archivi dei Servizi di sicurezza, poi resi esecutivi, rispettivamente, dal SISMI il 28 aprile 1988 e dal SISDE il 29 aprile 1988, ferme restando le disposizioni di cui alla direttiva n.4012\1 del 10 gennaio 1986, in materia di gestione delle spese.
Sono acquisibili agli archivi dei Servizi gli atti di origine esterna comunque pertinenti ai fini dello svolgimento delle attività istituzionali e di qualsiasi origine.
Gli atti interni sono prodotti in esclusiva funzione dell'attività di istituto. Esaurito il procedimento di formazione sono trasferiti negli archivi ove è conservata la documentazione relativa a tutta l'attività svolta. Gli atti interni devono risultare coerenti con i compiti istituzionali, avuto riguardo alle situazioni del tempo in cui vengono prodotti.
Gli archivi sono distinti, secondo il criterio adottato nelle pubbliche amministrazioni, tra archivi correnti e archivi di deposito. Nell'ambito di ogni Servizio può essere istituito un archivio storico.
Più in particolare, il regolamento del SISMI specifica che gli archivi correnti sono quelli che conservano la documentazione di immediata necessità, mentre gli archivi di deposito custodiscono la documentazione afferente affari già espletati, ma richiamabili anche in successivi e diversi contesti. Il regolamento del SISMI dispone la costituzione dell'archivio storico del Servizio.
Il regolamento del SISDE accenna alla costituzione di un archivio di documentazione storica come obiettivo "da porsi".
I Servizi non sono tenuti al versamento agli archivi di Stato dei documenti relativi agli affari esauriti. Sono versati all'archivio di Stato qualora gli atti si riferiscano ad affari esauriti da oltre 40 anni, siano di rilevante interesse storico e non sussistano i presupposti di tutela del segreto.
Le strutture periferiche devono detenere la documentazione relativa alle operazioni in corso e alle questioni che si ritengono non esaurite nonché la documentazione essenziale riguardante la gestione del personale e dei mezzi.
I Direttori possono stabilire le modalità di registrazione della corrispondenza, della tenuta dei registri di protocollo, della circolazione interna, dell'archiviazione, della conservazione e dello scarto o della riproduzione della documentazione.
I regolamenti del SISMI e del SISDE dettano entrambi la normativa di esecuzione di tale principio fissato dalla direttiva.
Sono nominate dai Direttori commissioni interne per gli archivi con il compito di disporre le operazioni di scarto in vista dei versamenti negli archivi di deposito o nell'archivio storico, nonché di indicare i documenti da distruggere in quanto ne sia venuta meno lutilizzabilità ai fini istituzionali.
Il regolamento del SISDE istituisce una commissione interna costituita dal Capo di gabinetto, dal Capo del reparto logistico, dal Capo del II reparto e da un funzionario del servizio ispettivo con il compito di disporre le operazioni di scarto in vista della preparazione dei versamenti dall'archivio di deposito a quello storico (da costituire) e tali operazioni, da svolgersi periodicamente, dovranno anche indicare i documenti riservati da distruggere in quanto ne sia venuta meno l'utilizzabilità ai fini istituzionali; di dare parere su tutte le questioni ad essa sottoposte in materia di organizzazione, ordinamento, funzionamento e tenuta dell'archivio.
Il regolamento del SISMI prevede che ogni articolazione del Servizio, provvista di archivi propri, deve costituire un'apposita commissione, composta da almeno tre membri, con il compito di individuare i documenti da mantenere negli archivi correnti e di depositi in quanto di attuale e permanente interesse ai fini istituzionali e per lo svolgimento delle attività di competenza; di raccogliere gli atti di valore storico-istituzionale che devono essere consegnati all'archivio storico; di proporre la distruzione degli atti ritenuti non più necessari né di interesse o esuberanti. E la distruzione deve essere specificamente autorizzata dal Direttore del Servizio.
E consentita l'utilizzazione di strumenti tecnologici (informatica, microfilmatura), disciplinata da speciali regolamenti emanati dai Direttori e i regolamenti del SISMI e del SISDE dettano entrambi, al riguardo, una normativa di dettaglio.
Fin qui si sono esaminate le regole di funzionamento attuali. E centrale in esse - per entrambi i Servizi - la distribuzione tra archivio corrente ed archivio storico. Nel passaggio dall'uno all'altro vi sono le operazioni di "scarto", affidate ad una valutazione del tutto discrezionale. Così, una parte della memoria va perduta.
A giudizio del Comitato, la distruzione di documenti originati dall'attività del Servizio andrebbe invece evitata.
I problemi più rilevanti riguardano comunque la formazione dei documenti, le modalità della loro conservazione, la loro reperibilitá e quindi l'accesso agli archivi.
La relazione ha già preso in esame episodi nei quali i documenti sono stati formati illegittimamente (per esempio i fascicoli del SIFAR negli anni 60) o sono stati fin dalla loro origine manipolati (l'informativa Tanzilli); o sono scomparsi, pur essendo inclusi negli archivi, per poi riemergere successivamente (informativa, su Gelli; documenti sottratti ai Servizi ed in possesso di Pecorelli; documenti SISMI solo recentemente acquisiti e menzionati nella nota del giudice Salvini).
In qualche caso, risulta singolare la totale assenza di documentazione (si pensi alla clamorosa reticenza del SISMI di Santovito sul rapporto Servizi-massoneria).
Su tutta la vicenda relativa alla strage di Ustica, l'Autorità giudiziaria non ha potuto ricevere dagli archivi del SISMI null'altro se non pochi ritagli di stampa. Si può ritenere che quel fatto sia stato considerato una semplice sciagura o che, in presenza di indagini dell'Autorità giudiziaria e per non interferire con esse, non vi sia stata alcuna attività informativa.
Ma certamente non costituisce una prova di efficienza per il Servizio l'essere rimasto inerte e non avere avuto nulla da segnalare.
In altri casi, all'atto dell'acquisizione di documenti da parte dell'Autorità giudiziaria, appare evidente il disordine, determinato dal fatto che documenti di epoche diverse si mescolano e si sovrappongono e che la conservazione appare del tutto approssimativa.
Così è nella documentazione del SIOS Aeronautica sempre a proposito della strage di Ustica, acquisita di recente dal giudice istruttore Rosario Priore. Insieme a documenti prima mai trasmessi, in più contenitori appaiono - a quanto ha segnalato al Comitato il dottor Priore - "comunicazioni ed atti interni e preliminari all'invio all'Autorità giudiziaria della documentazione richiesta" nonché "disposizioni sul comportamento da tenere negli interrogatori davanti all'Autorità giudiziaria".
Inquietanti elementi di fatto - già indicati nella presente relazione - suggeriscono inoltre l'ipotesi di una manipolazione dei documenti, relativi alla VII Divisione ed alla struttura Gladio, che sono stati trasmessi all'Autorità giudiziaria.
La funzione di un archivio dovrebbe essere proprio quella di evitare tali inconvenienti. Dovrebbe essere quella di raccogliere puntualmente tutti i documenti prodotti, in base a criteri e con modalità tali da consentine il reperimento.
Il fatto che ciò non avvenga per l'attività dei Servizi di informazione e di sicurezza è un aspetto di quel cattivo uso della discrezionalità che è più volte emerso nella storia di questi apparati.
Agire sulle forme di raccolta e di conservazione per nascondere documenti e renderli inconsultabili è infatti una deviazione. E importante definire in modo certo le modalità di formazione dell'archivio e le modalità di accesso. Occorre assolutamente evitare che vi siano criteri di sistemazione dei documenti diversi da quelli apparenti e noti soltanto ad alcuni soggetti e che così si realizzi un archivio con settori occulti. Ciò avviene quando informazioni gravi o comunque significative vengono incluse in altri documenti o in fascicoli di argomento estraneo, o nei quali comunque chi consulta l'archivio non andrebbe a cercarli.
Il ministro Maroni ha segnalato come questo sistema sia stato largamente in uso nel SISDE. Egli ha parlato in proposito di "galleggiamento delle informazioni o dei fascicoli, con spostamento a seconda delle opportunità del momento da un fascicolo all'altro". Il Ministro ha citato il caso limite di una informativa illegittimamente acquisita all'epoca della direzione Salazar e contro le direttive di questi. Si trattava di un'informativa senza contenuto, una "non notizia", relativa al senatore Francesco Cossiga. L'esistenza di questo documento suscitò giustificate censure, ma il dato più rilevante - oltre l'illegittimità e l'assenza di contenuti informativi - era, secondo quanto ha dichiarato il Ministro, che esso fosse incluso in un fascicolo intestato alla forza politica di Rifondazione comunista, divenendo perciò, a causa di questa inclusione, irreperibile, salvo che per alcuni soggetti.
Si comprende facilmente a quali abusi può dare luogo una simile prassi.
Per realizzarsi comunque essa richiede il concorso di più operatori e non può essere il frutto di una iniziativa individuale.
VIII. LE PROSPETTIVE DI CAMBIAMENTO
Per entrambi i Servizi, è possibile identificare in sintesi le fondamentali ragioni politiche delle deviazioni. Esse non coincidono, anche se fanno parte di un medesimo contesto storico ed istituzionale.
Un filo comune lega e rende spiegabili le deviazioni del Servizio segreto militare, nelle vicende che prima, a titolo di esempio, si sono descritte. Ciascuno di quei comportamenti, anche il più lontano dalla legalità, aveva come sfondo ed usava come giustificazione il quadro internazionale della guerra fredda.
I cattivi usi della discrezionalità, la strumentalizzazione dell'attività informativa a fini di parte, il depistaggio di indagini giudiziarie sulle stragi sono comportamenti tutti riconducibili ad un intendimento politico: agire sempre per la stabilizzazione dei rapporti di forza, per la continuità del ceto di governo e contemporaneamente per protrarre oltre ogni limite ragionevole la logica della guerra fredda.
Le deviazioni del Servizio segreto interno erano invece direttamente connesse ad un quadro istituzionale e politico di estrema debolezza dei controlli. La inamovibilità di quel sistema era una condizione da mantenere. Gli abusi nel SISDE si sono determinati perché una parte del gruppo dirigente ha approfittato della debolezza dei controlli, allo scopo di acquisire illegittimamente e conservare potere e denaro.
La trasformazione del quadro internazionale
(95) e i cambiamenti nello scenario politico italiano possono diventare l'occasione perché mutino radicalmente, perché siano ricondotte alle regole costituzionali e ad un rigoroso controllo da parte dell'autorità politica e del Parlamento le finalità e la prassi dell'intero sistema di informazione e di sicurezza.Questa è la prospettiva che il Comitato indica al Parlamento e al Governo. Per realizzarla appare indispensabile procedere ad una verifica della lealtà, della preparazione e delle attitudini del personale, anche prevedendo una selettività più rigorosa nel reclutamento ed un limite temporale di permanenza nel Servizio. Occorre inoltre al più presto fissare nuove regole che disciplinino organicamente l'intera materia del segreto di Stato, che introducano garanzie certe su alcuni punti essenziali: la memoria di tutte le operazioni dei Servizi di informazione e di sicurezza, la temporaneità del segreto, la responsabilità dell'autorità politica di governo e l'efficacia del controllo parlamentare.
IX. NUOVE REGOLE PER LA RIFORMA DEI SERVIZI. VENTI PROPOSTE
58. Rinnovamento e status del personale
Il primo ed essenziale passo per la riforma dei Servizi di informazione e di sicurezza consiste nel rinnovare la composizione, nell'adottare una nuova disciplina relativa al reclutamento.
Occorre fissare anzitutto due principi generali: un termine massimo di appartenenza per coloro che provengono dalle amministrazioni statali ed una assunzione selettiva (attraverso un vero e proprio esame di concorso ed in base al giudizio di una commissione) di quelli che non sono già stati precedentemente assunti da un'altra amministrazione pubblica.
Nel campo del reclutamento e dello status del personale regna la confusione più autentica. Non sono stati chiariti i criteri che hanno portato all'allontanamento, percentualmente rilevante, di personale, effettuato nel 1994.
Gli elementi provenienti dalle amministrazioni civili e militari dello Stato vengono, quasi sempre, "chiamati" su indicazione nominativa espressa dall'interno, cioè da parte di componenti dei Servizi, oppure su "segnalazione" di esponenti politici o di altri personaggi di rilievo.
E facile comprendere come i meriti, le capacità e le specifiche attitudini in più occasioni non vengano minimamente considerati e come, invece, possa verificarsi un complesso fortemente negativo di favoritismi e di condizionamenti preventivi.
Circa, poi, il personale reclutato direttamente, sono fin. troppo note le polemiche sul clientelismo delle assunzioni. Appare indispensabile ed urgente provvedere a un radicale cambiamento di regole: il personale proveniente dalle varie amministrazioni statali dev'essere richiesto non nominativamente ma quantitativamente, sulla base di ben definiti profili professionali; le stesse amministrazioni destinate a fornire il personale dovrebbero scegliere in base a fattori tecnici e professionali; le amministrazioni potrebbero fornire un elenco comprendente la totalità dei soggetti in possesso dei requisiti richiesti e delle caratteristiche professionali ritenute necessarie e su questo elenco il Presidente del Consiglio dei Ministri per il CESIS, il Ministro della difesa per il SISMI e il Ministro dell'interno per il SISDE, dovrebbero operare la scelta sotto la propria esclusiva responsabilità; gli elementi da reclutare direttamente dovrebbero essere selezionati con procedure e modalità tali da offrire la massima garanzia contro qualsiasi forma di favoritismo o discriminazione. Le commissioni di esame, ad esempio, non dovrebbero comprendere, o per lo meno non dovrebbero comprendere in modo esclusivo, funzionari dei Servizi. Occorrerebbe assicurare in esse la presenza determinante di persone di chiara rettitudine e di provate capacità, nominate sotto la propria responsabilità, dal Presidente del Consiglio dei Ministri. Anche in questo caso potrebbe essere ideato un controllo del Comitato parlamentare; si potrebbe anzitutto prevedere un obbligo di consegnare i verbali delle commissioni d'esame al Comitato; il personale chiamato a far parte dei Servizi non dovrebbe, almeno in linea di massima, permanere nei medesimi oltre un limite di tempo troppo prolungato.
Per quanto riguarda i soggetti provenienti da altre amministrazioni dello Stato, la questione può essere convenientemente risolta con la fissazione di un limite di tempo, graduato secondo l'importanza degli incarichi ricoperti, da considerare improrogabile, stabilendo che in nessun caso, anche a distanza di un lungo periodo, possano aver luogo dei "rientri" negli organici.
Per chi è reclutato direttamente mediante concorso, si può prevedere il passaggio dei soggetti, dopo una certa permanenza, ad altre amministrazioni dello Stato.
Uno degli aspetti più negativi della politica del personale nell'ambito dei Servizi è costituito dalla circostanza che una certa parte dei componenti collocati a riposo per limiti di età continua ad "orbitare" nel giro dei Servizi stessi. Due, fondamentalmente, i sistemi adottati: o il soggetto viene assunto come "consulente", oppure viene reclutato come "fonte". E evidente la necessità di definire norme dirette ad interrompere questo fenomeno e che non permettano sotterfugi. Occorrerebbe che sul problema venissero impegnati i dirigenti responsabili e in primo luogo i Direttori dei Servizi.
Altre norme volte al rinnovamento dovrebbero prescrivere:
a) la cessazione immediata dalla carica e dall'appartenenza ai Servizi di tutti coloro che ricoprono o hanno ricoperto, anche non continuativamente e con funzioni diverse, incarichi direttivi per un periodo di tempo da ritenere sicuramente troppo lungo, da fissare, ad esempio, a dieci anni;
b) l'adozione dello stesso provvedimento nei riguardi di coloro che, pur non ricoprendo incarichi direttivi, hanno periodi di permanenza particolarmente protratti, ad esempio da quindici anni;
c)la fissazione a regime di limiti di permanenza massima (distinguendo gli incarichi direttivi e gli altri: potrebbero essere rispettivamente cinque e dieci anni) per il periodo a venire, con carattere di assoluta obbligatorietà e senza eccezione alcuna.
59. Sistema binario a forte coordinamento
La scelta prevalente dei maggiori paesi e la specifica esperienza italiana, verificata negli anni, inducono il Comitato a confermare la validità del sistema binario, articolato su due Servizi, secondo la divisione di compiti stabilita dalla legge n. 801 del 1977.
Vanno eliminate le sovrapposizioni e le interferenze. Il Comitato non ritiene utile la creazione di Centri SISDE all'estero. Questo Servizio deve assumere il ruolo di intelligence interna, con la capacità di stabilire rapporti di collaborazione con Servizi di altri paesi, soprattutto per seguire gli itinerari ed i collegamenti delle grandi organizzazioni criminali. Va ricordato che una intelligence anticriminalità sul versante estero spetta anche al SISMI. Si pone un problema di coordinamento.
Il Comitato non ignora le ragioni di chi sostiene la unificazione del sistema di informazione e di sicurezza, proprio allo scopo di eliminare disarmonie operative e concorrenza tra le due attuali strutture. Si ritiene tuttavia che la bipartizione offra maggiori garanzie, anche per una distribuzione di poteri in questo delicato settore.
Il Comitato sottolinea l'esigenza di una integrazione delle strategie di intelligence e di una elaborazione unitaria di situazioni e previsioni. Deve esserci un responsabile tecnico che organizza per il Presidente del Consiglio la elaborazione dei dati provenienti dalle due strutture operative, ma anche di dati che vengono richiesti ad altri organi di indagine preventiva (per esempio la DIA).
60. Il Sottosegretario di Stato per la sicurezza
L'autorità politica di governo deve assumere la piena responsabilità degli atti di indirizzo e di controllo sul sistema della sicurezza. Al tempo stesso occorre che tutte le funzioni relative alla determinazione ed alla tutela del segreto di Stato vengano direttamente ricondotta ad un responsabile politico. Non può essere un Ministro tra gli altri. Non certo mio dei due già responsabili delle strutture operative, ne tanto meno un terzo.
E bene che la titolarità delle funzioni indicate resti del Presidente del Consiglio. Ma il Comitato ritiene che debba essere istituzionalizzata la delega di tali funzioni ad un Sottosegretario di Stato.
Finora, in base all'articolo 3, comma 3, della legge n. 801 del 1977, vi è stata per alcuni anni una delega a presiedere il CESIS e quindi ad esercitare compiti di coordinamento non meglio definiti. Occasionale e parziale, quella delega politica non ha dato buona prova. Ha allontanato ancora di più il Presidente del Consiglio da una effettiva responsabilizzazione. Nè i Sottosegretari delegati avevano un potere reale di guida e di controllo.
La delega può funzionare se, accanto alla responsabilità della politica informativa ed al compito di presiedere il CESIS, vengono assegnate al Sottosegretario anche le funzioni di Autorità nazionale per la sicurezza.
Il Sottosegretario di Stato, con questa fisionomia istituzionale, assicurerebbe al Comitato parlamentare, munito di poteri più vasti e penetranti rispetto a quelli attuali, una continuità di rapporti con l'Esecutivo, oggi molto difficile da realizzare. In relazione all'insieme dei poteri spettanti in questo campo alla Presidenza del Consiglio, da quelli relativi al segreto fino alla procedura di rilascio dei NOS, che va debitamente regolata in sede legislativa, il Segretario generale del CESIS andrebbe ricondotto al ruolo di responsabile tecnico, sotto la guida ed il controllo di un'autorità politica specificamente competente.
61. Il Segretario generale del CESIS
Il Segretario generale del CESIS deve svolgere funzioni di coordinamento operativo tra i Servizi, di integrazione delle strategie e dei dati informativi che provengono da essi. Nella legge attuale questo ruolo non è riconosciuto.
Il Comitato ritiene che il centro unitario delle attività di intelligence, capace di analizzare gli elementi comunicati dai Servizi e di elaborare le relative situazioni, da sottoporre all'autorità politica per la definizione degli obiettivi strategici e per l'assunzione di direttive conseguenti, debba individuarsi in un responsabile tecnico, con un alto livello di competenza e di capacità professionale. Esso deve essere affiancato da un personale ristretto, adeguatamente specializzato nell'elaborazione dei dati informativi. Le valutazioni dinsieme sui dati elaborati e le conseguenti scelte di indirizzo che i due Servizi tradurranno sul piano operativo vengono discusse e definite all'interno di una struttura collegiale snella. Presieduto dal Sottosegretario competente, titolare - secondo quanto si è appena proposto - delle funzioni di Autorità nazionale per la sicurezza, il CESIS comprenderà, oltre al Segretario generale, i due Direttori dei Servizi. Altre autorità possono, di volta in volta, partecipare alle riunioni su singoli temi, per i quali sia necessaria una consultazione o un'intesa.
Istituito come contrappeso collegiale del potere monocratico del Presidente del Consiglio, il CIIS (Comitato interministeriale per le informazioni e la sicurezza) ha dimostrato scarsa utilità, essendo privo di significative competenze, ridotto a funzioni di consulenza e proposta in un'area di attività esclusiva del Presidente del Consiglio. La specificità degli apporti di conoscenza, il contributo dell'uno o dell'altro Ministro e la possibilità di un raccordo esecutivo sono meglio realizzabili senza un organo stabile, ma anzi puntando su forme più flessibili di concertazione, attraverso conferenze interministeriali di volta in volta promosse in relazione alle tematiche da affrontare.
La conservazione del CIIS non è giustificata neppure dall'adozione di specifici atti riguardanti l'ordinamento dei Servizi. Il Consiglio dei Ministri (ad esempio per la nomina dei Direttori) o i singoli Ministri (per la determinazione degli organici, per il trattamento giuridico ed economico del personale) possono adeguatamente provvedere senza il superfluo appesantimento del parere del CIIS.
63. La disciplina legislativa dell'UCSI
Le competenze dell'UCSI devono essere ridimensionate e definite per legge, come l'intera materia del segreto.
L'UCSI deve diventare l'Ufficio che cura l'applicazione delle norme sulla segretezza, sulla classificazione e declassificazione, sulla temporaneità del segreto, relativamente ad atti, documenti e materiali rilevanti per la sicurezza dello Stato.
Occorre fissare regole certe sul rilascio del Nulla osta di segretezza. il Presidente del Consiglio dovrebbe comunicare al Parlamento i criteri per la concessione del NOS individuale e per l'abilitazione delle imprese, nonché gli eventuali accordi internazionali a cui i criteri si riconducono.
Con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio, si dovrebbero indicare gli organi amministrativi centrali e periferici che rilasciano le abilitazioni, in rapporto ai lavori da svolgere ed ai livelli di segretezza ai quali accedere. Va evitata la concentrazione in un solo ufficio di tutte le decisioni. Le informazioni, raccolte presso l'amministrazione di provenienza e presso gli organi di polizia, devono escludere ogni considerazione delle opinioni o dell'appartenenza politica dei candidati.
All'interessato va riconosciuto il diritto di ottenere, previa richiesta, una comunicazione del provvedimento. Egli, entro un termine dalla data di comunicazione, dovrebbe avere il diritto di chiederne la revisione al Presidente del Consiglio. Copia della istanza dovrebbe essere inviata al Comitato parlamentare. Ugualmente, il Presidente del Consiglio dovrebbe dare comunicazione all'interessato ed al Comitato parlamentare della decisione finale assunta.
64. L'oggetto del controllo parlamentare
Al Comitato parlamentare dev'essere riconosciuto un potere di controllo sia sulla responsabilità politica dell'Esecutivo, nelle sue diverse articolazioni (il Presidente del Consiglio, il Sottosegretario ai Servizi, i Ministri della difesa e dellinterno) sia sulla gestione tecnica dei Servizi.
Al controllo sull'applicazione dei principi stabiliti dalla legge, quale è previsto dalla normativa vigente, deve sostituirsi un controllo sulle attività dei Servizi e sull'esercizio delle funzioni dellAutorità nazionale per la sicurezza relative al segreto, nonché sulle procedure di rilascio dei NOS. Al Comitato dev'essere riconosciuto il potere di acquisire direttamente atti e documenti dei Servizi relativi ad operazioni già compiute, ferma restando la salvaguardia delle fonti informative.
All'ampliamento del controllo parlamentare deve corrispondere l'obbligo dei responsabili dell'Esecutivo e dei Servizi di fornire tempestivamente al Comitato informazioni sugli obiettivi che si perseguono, sui risultati raggiunti e su ogni fatto rilevante (concretizzarsi di nuovi rischi, mutamento degli indirizzi relativi alla gestione del Servizio, inchieste amministrative, provvedimenti disciplinari nei confronti di funzionari). L'ambito della opponibilità del segreto di Stato al Comitato parlamentare deve essere rigorosamente circoscritto alle operazioni in corso ed alle fonti informative da salvaguardare.
Va inoltre previsto l'obbligo del Comitato di presentare almeno una relazione annuale al Parlamento sulle attività di controllo svolte.
65. Gli interlocutori del Comitato
Nel sistema della legge n. 801 del 1977, interlocutori del Comitato sono soltanto)il Presidente del Consiglio ed i Ministri competenti. Nella prassi, numerosi altri soggetti sono stati chiamati a dare il loro apporto di conoscenze all'organo parlamentare e a fornire specifiche informazioni: responsabili ed ex responsabili dei Servizi, ex esponenti del Governo e perfino soggetti estranei all'amministrazione.
Occorre che la legge riconosca il diritto del Comitato di ottenere informazioni direttamente dai funzionari dei Servizi e di altri apparati di sicurezza, ai vari livelli, nonché da soggetti estranei.
66. La conservazione dei documenti dei Servizi
Il legislatore deve intervenire in materia di conservazione dei documenti e di accesso del Comitato parlamentare.
La circolare del Presidente del Consiglio dell'8 novembre 1993 dispone la conservazione dei documenti relativi alle spese riservate, a chiusura di ogni esercizio, in busta sigillata per dieci anni. Poi è prevista la distruzione.
Analogamente, nei regolamenti adottati dal SISMI e dal SISDE in materia di archivi, si prevede la nomina, da parte dei Direttori, di commissioni interne, con il compito, tra l'altro, di indicare i documenti da distruggere, in quanto ne sia venuta meno la utilizzabilità ai fini istituzionali.
L'unica struttura, nel sistema di informazione e di sicurezza, che non ha mai distrutto documenti raccolti nell'attività informativa è il II Reparto della Guardia di finanza.
Una riforma legislativa volta a garantire il controllo deve prevedere l'obbligo dei Servizi di conservare la documentazione di ogni operazione, compresa la registrazione puntuale delle spese riservate.
67. Controllo del Comitato sulle attività e sulle spese
Al Comitato parlamentare deve riconoscersi il diritto di accedere direttamente ai documenti conservati e quindi alla conoscenza di operazioni già concluse (ferma restando l'esigenza di copertura delle fonti informative).
Si renderebbe così possibile una valutazione - da compiere ex post, evitando rischi di cogestione - circa l'attuazione degli indirizzi di politica dell'informazione e della sicurezza nonché circa il rapporto tra costi sostenuti e risultati conseguiti
(96). Ciò consentirebbe di eliminare ogni ombra in relazione alle spese sostenute nell'attività informativa, non trascurando le operazioni svolte in occasione dei sequestri di persona.Ordinamenti di numerosi paesi - Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania - affidano al Parlamento, secondo diverse procedure, il controllo sulla formazione e sulla gestione del bilancio dei Servizi, ma soprattutto un controllo successivo sulla gestione.
Questa funzione può essere assegnata al Comitato, purché esso disponga di adeguati strumenti conoscitivi, che gli permettano di esprimere un circostanziato parere alle Commissioni bilancio del Senato e della Camera.
Va in ogni caso salvaguardato il principio per cui la rendicontazione è obbligatoria. Per le spese riservate è necessaria una precisa assunzione di responsabilità dell'autorità di governo, con responsabilità duplice del Ministro competente e del Presidente del Consiglio. E vi è poi la successiva verifica, ad opera del Comitato parlamentare, sulla conformità agli indirizzi politici e sulla congruità del costo al risultato.
69. La tutela del segreto dei lavori del Comitato
Se il controllo parlamentare dev'essere potenziato, sono necessarie nuove disposizioni che, a tutela del segreto, garantiscano ulteriormente i responsabili politici e tecnici del sistema di informazione e di sicurezza, quando forniscono al Comitato notizie relative all'attività di intelligence ed alla sua organizzazione.
E necessario che il dovere di mantenere il segreto sui lavori del Comitato venga tutelato attraverso la previsione di sanzioni.
Si prospetta, al riguardo, l'adozione di nuove norme dei Regolamenti delle Camere che dispongano la decadenza dal Comitato, la esclusioni da determinati collegi parlamentari, quali le Commissioni di inchiesta, e la sospensione per lunghi periodi dai lavori parlamentari.
L'organizzazione degli archivi dei Servizi non è soltanto inadeguata sotto il profilo della efficienza o carente ai fini del controllo. Essa è stata, in occasione di numerosi procedimenti penali che avevano ad oggetto l'attività dei Servizi e le loro deviazioni, un impedimento alla ricerca della verità. La confusione, la difficoltà di trovare documenti su determinate vicende, l'assenza di risposte dagli archivi hanno costituito un vero e proprio depistaggio passivo di quelle indagini giudiziarie.
E necessaria una riorganizzazione complessiva che muova da un principio. Per ogni nome di persona e per ogni fatto deve esservi una unità informativa - fascicolo o scheda informatizzata - che risulti autonomamente reperibile.
Per le modalità di archiviazione vanno stabiliti criteri tassativi può esservi al riguardo una delega mediante legge al Governo, con la definizione dei principi cui le norme delegate dovranno attenersi e con la previsione di un parere obbligatorio da parte del Comitato parlamentare.
E opportuno creare un'agenzia autonoma che, trascorso un certo numero di anni, acquisisca e conservi tutta la documentazione dei Servizi e degli altri apparati di sicurezza, con criteri certi di archiviazione.
71. Classificazione del segreto e temporaneità
Il Comitato ritiene necessario giungere all'adozione di una normativa che definisca compiutamente le condizioni per la determinazione della segretezza di atti, documenti e materiali: i soggetti che hanno il potere di segretazione ed i criteri del suo esercizio. La disciplina del Regio decreto legislativo n. 1161 dell'11 luglio 1941 va sostituita da una organica regolamentazione del segreto di Stato.
Le norme che delineano il sistema di classificazione devono essere seguite da precise disposizioni sulle procedure di declassificazione. La declassificazione deve articolarsi in procedure sia automatiche sia a discrezionalità vincolata.
Devono essere graduati i livelli di segretezza che andrebbero limitati a due soltanto invece dei quattro attuali.
La durata temporale va fissata in rapporto ai livelli. Il principio base è che nessun atto, documento o materiale può rimanere segreto oltre un limite massimo di tempo.
72. Inopponibilità del segreto di Stato
Qualora il Presidente del Consiglio dovesse opporre al magistrato richiedente gli atti il segreto di Stato, il Comitato dovrebbe essere posto nelle condizioni di compiere una valutazione completa e approfondita, accedendo direttamente agli atti medesimi. Occorre dunque prevedere l'inopponibilità del segreto di Stato al Comitato parlamentare. Questo, se ravvisasse, a maggioranza assoluta dei componenti, l'infondatezza dell'apposizione del segreto di Stato da parte del Presidente del Consiglio, ne dovrebbe riferire alle Camere, avendo cognizione analitica degli atti, non più limitata alla "sintetica motivazione" di cui all'articolo 16 della legge n. 801 del 1977. Restando intatta la facoltà del potere giudiziario di sollevare conflitto di attribuzione davanti alla Corte costituzionale, al Comitato sarebbe riservato un circostanziato giudizio politico sull'operato del Presidente del Consiglio, da sottoporre al Parlamento.
73. Inopponibilità del segreto istruttorio
E assai frequente che si stabilisca un collegamento fra l'attività giudiziaria e la funzione di controllo del Comitato. Esse si sviluppano spesso sui medesimi fatti. Allo scopo di rendere più efficace l'esercizio della funzione di vigilanza del Comitato, è necessario che si preveda la non opponibilità del segreto istruttorio in riferimento agli atti che dovessero essere richiesti dall'organismo parlamentare alla magistratura.
Non è possibile prevedere al riguardo un principio di reciprocità. Le risultanze dell'attività giudiziaria, finalizzata ad accertare fatti e responsabilità penalmente rilevanti, possono infatti contribuire all'esercizio del controllo parlamentare mentre, a tutela delle finalità e delle attività del Comitato, non può che essere previsto un segreto funzionale opponibile a qualunque soggetto dell'ordinamento, compreso il giudice penale. Gli atti formati dal Comitato - in primo luogo le audizioni, costituite da dichiarazioni rese liberamente ad un organo politico, senza l'assistenza del difensore e nel presupposto del segreto, per estendere la latitudine delle acquisizioni conoscitive - non possono evidentemente essere utilizzati ai fini di un procedimento penale.
74. Denuncia di atti illegittimi
Il Comitato, nell'adempimento dei propri compiti istituzionali, può accertare una prassi amministrativa illegittima o addirittura conoscere notizie di atti qualificabili come reato. Senza rinunciare al vincolo del segreto sui lavori e sulle informazioni raccolte, che è funzionale all'esercizio dellattività di controllo, al Comitato dovrebbe essere, riconosciuta la facoltà di denunciare irregolarità o reati al Presidente del Consiglio. La decisione di intervenire sul piano amministrativo, con riferimento a specifiche irregolarità commesse dagli apparati dei Servizi, o di investire l'Autorità giudiziaria, sarebbe rimessa alla responsabilità del Presidente del Consiglio.
Deve essere obiettivo del legislatore assicurare agli agenti dei Servizi, che nell'attività di informazione e sicurezza sono spesso costretti a violare disposizioni di legge, un meccanismo finalizzato alla non punibilità. E una sorta di "ombrello protettivo", inteso ad armonizzare le esigenze di legalità, di garanzia e di efficienza. D'altra parte, quando non esiste alcuna giustificazione per modeste violazioni di legge, l'agente dei Servizi entra facilmente in un'area di attività qualificabili come illecite. Ciò può far cadere le remore a commettere illeciti ulteriori.
I Direttori dei Servizi dovrebbero essere autorizzati a prospettare all'autorità politica responsabile - il Presidente del Consiglio - i comportamenti non leciti, ma proporzionati agli obiettivi da perseguire per i quali chiedere una specie di autorizzazione. Il Presidente del Consiglio, con sua direttiva, dovrebbe individuare una serie di atti illeciti. normalmente da compiere per l'effettuazione delle operazioni alle quali sono chiamati i Servizi. Tale indicazione, a carattere generale, è esaminata da un collegio giurisdizionale - è ipotizzabile anche il Tribunale dei ministri - in camera di consiglio. Esso convalida l'atto autorizzatorio del Presidente del Consiglio. Per gli ulteriori, specifici comportamenti illeciti che ogni singola operazione può comportare ed eccedenti l'indicazione "di routine", si seguirà la medesima procedura. Il magistrato procedente che dovesse accertare una fattispecie concreta illecita, dì cui è responsabile un operatore dei Servizi, dovrà limitarsi a verificare se tale fattispecie sia prevista dall'atto autorizzatorio e abbia ricevuto la convalida: accertati tali requisiti si determina la non punibilità degli operatori del Servizio.
76. Il controllo sul Centro elaborazione dati del Ministero dell'interno
La relazione ha già denunciato le irregolarità accertate nella gestione del CED del Ministero dell'interno. Il Comitato ribadisce che un soddisfacente controllo parlamentare su tale struttura può realizzarsi oggi con un accesso diretto ai dati memorizzati pur "senza riferimenti nominativi". Al Comitato deve essere garantito il diritto di accedere, tramite un proprio terminale, ad ogni livello delle informazioni contenute dall'archivio del CED del Ministero dell'interno.
Il Comitato ravvisa l'esigenza che anche gli archivi dei SIOS di forza armata, strutture integranti del sistema della sicurezza, siano considerati dalla nuova normativa in tema di archivi dei Servizi, posto che si producono e si conservano, presso i SIOS, informazioni sul conto di cittadini, civili e militari, e di aziende.
Il Comitato prospetta altresì l'opportunità di giungere, pur con la necessaria gradualità, alla realizzazione di un organismo unificato di intelligence militare, evidentemente articolato sulle specializzazioni tecniche delle diverse forze armate, ma in grado di coordinare, con maggiore efficacia, l'attività di intelligence degli attuali SIOS.
78. Ciò che emerge dalla ricognizione
Il Comitato segnala al Parlamento l'urgenza di una riforma del sistema di informazione e di sicurezza.
In base alla ricognizione condotta sui diversi apparati e sulle loro deviazioni, precedenti e successive alla legge del 1977, il Comitato indica come obiettivi prioritari:
un complessivo ricambio del personale e, per il futuro, una selezione più rigorosa. Il principio base deve essere quello della temporaneità dell'impiego all'interno dei Servizi. Dopo un ragionevole periodo i funzionari di questi apparati devono essere sostituiti e passare ad altre amministrazioni;
la informatizzazione degli archivi;
la conservazione della memoria di tutte le operazioni, la temporaneità del segreto;
una nuova disciplina legislativa dei Nulla osta di segretezza, della struttura e della funzione dell'Ufficio centrale per la sicurezza;
una più precisa responsabilizzazione dell'autorità politica di governo (anche attraverso l'istituzione di un Sottosegretario che assuma su di sè per delega del Presidente del Consiglio - le funzioni di Autorità nazionale per la sicurezza);
una previsione di garanzie funzionali per l'attività dei Servizi, che consentano l'autorizzazione di determinate deroghe alla legge, con rigorosi controlli e per la realizzazione di legittime finalità istituzionali;
una estensione del controllo parlamentare che giunga fino ad una verifica delle operazioni compiute e del rapporto fra i costi e risultati.
79. La vicenda SISDE e l'urgenza di un rinnovamento radicale
Approfondendo una indagine già avviata nella passata legislatura, il Comitato ha esaminato modalità e motivi della deviazione del SISDE, così come è venuta emergendo nelle indagini giudiziarie dal 1993 ad oggi.
La vicenda della gestione dei fondi riservati - con le violazioni della legge che l'hanno accompagnata e con le responsabilità politiche che si sono individuate - è emblematica delle degenerazioni che l'attuale struttura e la carenza di controllo hanno determinato in questo Servizio, pur chiamato a svolgere delicate e importanti funzioni di intelligence a difesa dello Stato democratico, contro l'eversione e contro la criminalità mafiosa.
Il Comitato osserva che le carenze già presenti all'atto della formazione del SISDE, i gravi difetti nel reclutamento del personale, condizionato fino ad epoca recente da clientelismi e fedeltà di parte, hanno continuato per anni a pesare negativamente. Sono cresciute in questo quadro la cattiva amministrazione e la corruzione.
La bonifica avviata negli ultimi due anni si svolge fra difficoltà e disagi.
Tutto ciò richiede non interventi parziali, ma misure di radicale rinnovamento della struttura.
Il Comitato si impegna a proseguire nell'accertamento dei fatti, nella individuazione delle responsabilità, nella elaborazione di proposte di riforma. Particolare attenzione esso dedicherà alla vicenda dei fondi riservati ed alle attività illegittime denunciate dal Ministro dell'interno nel luglio del 1994, di cui ancora non si è potuta accertare la gravità, ne si sono individuati e colpiti i responsabili.
Con questo impegno il Comitato svilupperà la propria attività istituzionale di controllo.
A. C. JEMOLO, Diritto d'informazione dello Stato (a proposito di una recente polemica), in Giurisprudenza costituzionale, 1967, p. 875 ss. Il 31 gennaio 1967 le vicende del SIFAR e le notizie di deviazioni, diffuse dalla stampa, erano state per la prima volta oggetto di un dibattito parlamentare al Senato. Cfr. G. COCCO, I servizi di informazione e di sicurezza nell'ordinamento italiano - vol. I, Padova 1980, p. 42 ss. Cfr. l'articolo 9 della legge 24 ottobre 1977, n. 801 e in analoga prospettiva le proposte relative alle cosiddette garanzie funzionali, più avanti, al paragrafo 75. Su questa nozione cfr. F. DE FELICE, Doppia lealtà e doppio stato, in Studi storici, 30, 1989, p. 493 ss. All'ordinamento dell'UCSI, alle sue attività ed ai problemi connessi sono dedicati i paragrafi 22-26 della presente relazione. Sul significato delle sigle e sulle rispettive funzioni di SISMI, SISDE, CESIS e SIOS, si vedano i paragrafi 14, 17 e 18 della presente relazione. A proposito di questo dovere di controllo, a cui il Comitato non ha mai adempiuto, anche a causa di ostacoli istituzionali, si vedano più avanti i paragrafi 64, 65, 67, 68 e 69. La genesi di questo articolo 12 è da ricercare tra le proposte per una nuova disciplina in materia di tutela del segreto, avanzate nell'ambito della Relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sugli eventi del giugno-luglio 1964, Doc. XXIII, n. 1, 15 dicembre 1970, p. 1327. Per la individuazione del segreto di Stato - si affermava - "è necessario individuare gli interessi che meritano una intensa e penetrante tutela ... ". Interessi fondamentali, che "concernono l'integrità dello Stato, la difesa delle istituzioni democratiche liberamente scelte dal popolo, la posizione ed il libero esercizio delle funzioni degli organi pubblici secondo le attribuzioni costituzionali, l'indipendenza dello Stato rispetto agli altri Stati e le relazioni con essi". Vedi da ultimo U. ROSSI MERIGHI, Segreto di Stato tra politica e amministrazione, Napoli 1994. Cfr. G. FERRARI, L'avventura del "segreto" nellItalia repubblicana negli anni tra il '60 e l'80, in AA.VV. Il segreto nella realtà giuridica italiana, Padova 1983. p. 23 ss. spec. p. 60: "... Si deve a questa tendenza alla commistione, a questa rinuncia alla selezione, che è poi rinuncia alla utilizzazione dell'esperienza e, quindi, alla compiutezza delle previsioni, se nel detto articolo 12 non si rintraccia per esempio - ed in ogni caso non può presumersi che vi sia compreso - il 'segreto finanziario' intendendo per esso quei provvedimenti d'urgenza relativi alla variazione del tasso degli interessi del debito pubblico, ovvero in materia fiscale ovvero ancora in tema di cambi valutari. Eppure si tratta di provvedimenti che possono, se divulgati anzitempo, favorire speculazioni paurose e procurare danni incalcolabili alla politica economica e monetaria". Cfr. G. MOTZO, Regime giuridico delle basi militari NATO e di altri Stati nel territorio nazionale alla luce delle vigenti disposizioni costituzionali e degli accordi internazionali conclusi dallItalia, in Le basi militari della NATO e di paesi esteri in Italia, Camera dei Deputati, Roma 1990, p. 37. Cfr. l'articolo 11 del Basic principles and Minimum Standards of Security: "Le persone che sono considerate a rischio per la sicurezza, come coloro che sono membri di organizzazioni sovversive, o coloro sulla cui lealtà ed affidabilità vi sia un ragionevole dubbio, devono essere escluse o rimosse da posizioni nelle quali potrebbero rappresentare un pericolo per la sicurezza della nazione". Cfr. C. MOSCA, Servizi di informazione e di sicurezza, in Novissimo Digesto Italiano, App. vol. VII, Torino 1987, p. 156 ss. Sulla vicenda istituzionale dei Servizi, una limpida ricostruzione è in A. MASSERA, Servizi di informazione e di sicurezza, in Enciclopedia del diritto, vol. XLII, 1990 Milano, p. 393 ss. Così nell'audizione del 20 ottobre 1994. Così nell'audizione dell'11 ottobre 1994. E un impegno difficile nell'ambito degli attuali poteri del Comitato. A proposito della necessità che l'organo parlamentare sia dotato di poteri più ampi e penetranti, per adempiere ad un effettivo compito di controllo, si veda il paragrafo 64 della presente relazione. Così nell'audizione del 10 febbraio 1995. Ibidem. Si veda il paragrafo 75. Resta aperto un problema: quale destino abbiano avuto gli archivi della VII Divisione e i documenti inerenti alla sua attività. Su questo punto si veda più avanti il paragrafo 44. Cfr. in proposito G. COCCO, I servizi di informazione e di sicurezza nell'ordinamento italiano, cit. p. 159 ss. G. COCCO, op. cit., p. 160; e cfr. A. C. JEMOLO, Diritto d'informazione dello Stato, cit. p. 892 e p. 895: "... Non solo il Governo, ma comandi militari italiani dovrebbero rifiutare qualsiasi richiesta Nato che chiedesse esclusioni da impieghi civili o militari per chi appartenesse a date confessioni o partiti, o sottoposizione ad indagine di soggetti per cui la richiesta non fosse giustificata da loro atteggiamenti positivi... Il consenso dato ad organi Nato d'impartire istruzioni o comandi ad organi militari italiani deve ritenersi sottoposto al limite: purché quelle istruzioni non cozzino contro l'ordine pubblico italiano, e così con la Costituzione". Per i gradi inferiori, come si è visto, sono competenti i SIOS di forza armata. Su tutto ciò si soffermano più avanti i paragrafi 45 e segg. L'espressione è in F. COSSIGA, I Servizi e le attività di informazione e di controinformazione, s.n.t. Si veda al riguardo G. DE LUTIIS, Storia dei Servizi segreti in Italia, cit., p. 54 ss. Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi. Relazione sulla documentazione concernente gli omissis dell'inchiesta SIFAR, fatta pervenire dal Presidente del Consiglio dei Ministri il 28 dicembre 1990 ai Presidenti delle due Camere. Doc. XXIII n. 25, Relazione della Commissione parlamentare dinchiesta sugli eventi del giugno-luglio 1964 (Commissione Beolchini), vol. II, pp. 26-27-28. Presso la Questura di Roma esisteva, fin dalla metà degli anni 60, una scheda a nome di quest'ultimo, nella quale erano menzionati i tratti essenziali della sua biografia fin dai tempi in cui militava nelle SS, con la Repubblica di Vichy. Ma tutto ciò fu ignorato. Cfr. G. DE LUTIIS, Storia dei Servizi segreti in Italia, cit., p. 217. Questa latitanza è durata dal 1970 al 1987 e dopo di essa egli è stato via via assolto dalle gravi imputazioni elevate a suo carico, in relazione a numerosi episodi eversivi. Suoi rapporti con i Servizi italiani e stranieri sono stati più volte segnalati (cfr. sentenza ordinanza G.I. Grassi). Essa aveva con la Pide, la polizia segreta del regime, un rapporto di collaborazione. Negli archivi dell'agenzia, all'indomani della caduta del regime, verrà trovato il testo di un vero e proprio contratto. Cfr. G. DE LUTIIS, cit., p. 219. Ibidem. Tribunale di Milano, Ufficio Istruzione, Sezione 20, nota n. 721\88F, Milano, 8 febbraio 1995. Il 10 novembre 1972 in un arsenale a Svolte di Fiungo, nei pressi di Camerino, venne scoperto un notevole quantitativo di armi ed esplosivo. Furono processati quattro giovani di sinistra (Loris Campetti, Carlo Guazzaroni, Atanasios Tsoukas. Paolo Fabbrini) con l'accusa di associazione sovversiva e detenzione di armi. Prosciolti in fase istruttoria dal G.I., i quattro giovani furono rinviati a giudizio dalla Sezione istruttoria su ricorso della Procura e poi definitivamente prosciolti dalla Corte di assise di Macerata il 7 dicembre 1977. Le indagini in loco erano state condotte dal capitano dei carabinieri Giancarlo D'Ovidio che successivamente sarebbe entrato nel SID e che è risultato essere coinvolto nella predisposizione della provocazione. Cfr. AA.VV: Venti anni di violenza politica in Italia, ricerca dell'ISODARCO, Roma 1992. p.385. Sentenza del G.I. di Venezia Casson. nel p.p. n. 1\89 A G.I., in data 29 gennaio 1993, pp. 22-26. Cfr. la Relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi del 22 aprile 1992 relativa all'inchiesta condotta sulle vicende connesse all'operazione Gladio, Doc. XXIII, n. 51, p. 23. Sentenza del G.I. di Venezia Casson, nel p.p. n. 1\89 A G.I., in data 29 gennaio 1993, p. 27. Si vedano i documenti citati nella Relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, cit., p. 22 ss. Sentenza di primo grado della Corte di assise di Venezia del 25 luglio 1987, pp. 324-359. Sentenza cit., pp. 324-330. Sentenza, pp. 662.-686, cfr. La strategia delle stragi - dalla sentenza della Corte d'assise di Venezia per la strage di Peteano, con un saggio introduttivo di G. Salvi, Roma 1989, p. 331. Sentenza cit., pp. 748-788, cfr. La strategia delle stragi, cit., p.230 ss. Sentenza cit., pp. 510-520, cfr. La strategia delle stragi, cit., p.119 ss. Notizie sulla vicenda in: Avvocatura dello Stato, Motivi di impugnazione avverso la sentenza 18 luglio 1990 per la strage del 2 agosto 1980; ricorso del G.I. di Firenze Minna in data 24 ottobre 1985, pubblicato in appendice a: V. BORRACCETTI, Eversione di destra, terrorismo, stragi, F. Angeli, Roma 1986; Tribunale di Bologna. sentenza ordinanza G.I. Grassi del 3 agosto 1994, pp. 254-256 e 305-321. Art. 283 c.p.: Attentato contro la Costituzione dello Stato, art. 305 c.p.: Cospirazione politica mediante associazione. Art. 476 c.p.: Falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici; art. 490 c.p.: Soppressione, distruzione e occultamento di atti veri; art. 351 c.p.: Violazione della pubblica custodia di cose. Cfr. Tribunale di Bologna, sentenza ordinanza del G.I. Grassi, nel p.p. n. 1329\1\84 RGGI del 3 agosto 1994, pp. 252-304. Atti pubblicati dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sulla loggia massonica P2, Serie II: Documentazione raccolta dalla Commissione, vol. VII, tomo XVI, pp. 149-329. Ibidem, pp. 349-386. Ibidem, pp. 387-389. Ibidem, pp. 391-403. Atti pubblicati dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sulla loggia massonica P2, Allegati alla relazione, Serie II: Documentazione raccolta dalla Commissione, vol. III, tomo XXIV, pp. 1-404. Atti pubblicati dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sulla loggia massonica P2: Serie II: Documentazione raccolta dalla Commissione, vol. VII, tomo XIV, pp. 137-150. Atti pubblicati dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sulla loggia massonica P2, Serie II: Documentazione raccolta dalla Commissione, vol. VII, tomo XV, pp. 147-1031. Requisitoria del P.M. di Bologna Mancuso del 14 maggio 1986, p. 823 ss. Sentenza istruttoria Zincani, pp. 848-853. Requisitoria P.M. D'Ambrosio, processo cosiddetto Supersismi. Atti istruttori dr. Zincani cit., appunti Servizi, vol. VIII, A cart. 355. Sentenza ordinanza del G. I. di Bologna Grassi, del 3 agosto 1994, p. 251. Interrogatorio di Ninetto Lugaresi al G.I. di Bologna del 6 dicembre 1985, in sentenza istruttoria dei G.I. Zincani e Castaldo del 14 giugno 1986, pp. 780-924, cfr. La strage - l'atto d'accusa dei giudici di Bologna, a cura di G. DE LUTIIS, Roma 1986, p. 226. Tribunale di Roma, deposizione di Elio Cioppa ai giudici Cudillo e Sica del 13 ottobre 1981; atti della Commissione parlamentare d'inchiesta sulla loggia massonica P2, volume II, tomo VI, p. 522 ss. Atti della Commissione parlamentare d'inchiesta sulla loggia massonica P2, vol. III, tomo II, p. 354. Atti della Commissione parlamentare d'inchiesta sulla loggia massonica P2, ol. cit., tomo cit.. pp. 355-356. Atti della Commissione parlamentare d'inchiesta sulla loggia massonica P2, vol. cit., tomo cit., pp. 357-358. Atti della Commissione parlamentare d'inchiesta sulla loggia massonica P2, vol. cit., tomo cit., pp. 359-360. Atti della Commissione parlamentare d'inchiesta sulla loggia massonica P2, vol. cit., tomo cit., pp. 361-369. Atti della Commissione parlamentare d'inchiesta sulla loggia massonica P2, vol. cit., tomo cit., pp. 334-335. Atti della Commissione parlamentare d'inchiesta sulla loggia massonica P2, vol. cit., tomo cit., pp. 63-64. Cfr. il verbale della seduta conclusiva della Commissione: Doc. XXIII, n. 2-ter-\16 vol. XVI, seduta del 10 luglio 1984, p. 47. Atti della Commissione parlamentare d'inchiesta sulla loggia rnassonica P2, vol. I, Resoconti stenografici delle sedute, pp.461-462; 500-506; 528-529. Notizie su questa vicenda si trovano in: Commissione parlamentare d'inchiesta sulla loggia massonica P2.Allegati alla Relazione Doc. XXIII, n. 2-quater\7\II, pp. 38-49; 77-82; 153-205; 515; 611-613. Si veda anche l'audizione Bricchi dinanzi alla Commissione parlamentare d'inchiesta sulla loggia P2 del 19 gennaio 1982 (vi è un riferimento nella Requisitoria del PM di Bologna Mancuso. del maggio 1986 nel procedimento penale relativo alla strage del 2 agosto 1980).