Mario Monti

Ringrazio per l’invito a formulare qualche considerazione su questo tema, cosa che faccio in quanto membro della Commissione europea incaricato di rappresentare la Commissione stessa nel Comitato esecutivo di Schengen. Siamo invitati a riflettere sull’oltre Schengen. L’oltre Schengen non sarà certo privo di problemi proprio come l’oltre Euro non sarà privo di problemi, ma è comunque, credo, motivo di grande soddisfazione per l’Europa e per l’Italia che ci troviamo a questo punto. Per L’Europa il fatto che Schengen sia una realtà concreta, sperimentata, con alcuni suoi limiti ma con una notevole funzionalità e che l’Euro si prospetti come una realizzazione certa ed imminente. E naturalmente è motivo di soddisfazione che in questi giorni l’Italia abbia visto, il 25 marzo, da parte della Commissione europea e dell’Istituto monetario europeo, riconosciuto il suo notevolissimo cammino di convergenza, e a fine marzo abbia visto la propria completa integrazione nell’Accordo di Schengen. In fondo poco tempo fa, io ricordo all’inizio del ’95, all’inizio del mio mandato nella Commissione europea, l’Italia si trovava fuori da entrambi questi aspetti dell’Europa intensa e non sembrava neppure molto cosciente della gravità del fatto. Enormi progressi sono stati realizzati prima di tutto in questa consapevolezza e poi nell’adempimento delle condizioni per l’ingresso in questi due gironi, in fondo legati, dell’Europa intensa. Sento di dovermi rallegrare con il Governo italiano, in particolare con il ministro Napolitano per quanto riguarda l’ingresso in Schengen e anche con il Parlamento, con questo Comitato parlamentare di controllo sull’attuazione e il funzionamento della Convenzione di Schengen.
Oltre Schengen prima di tutto c’è Amsterdam, lo sappiamo. Il trattato di Amsterdam apporta innovazioni importanti in questa materia. La comunitarizzazione di sette dei nove settori del terzo pilastro. L’introduzione di meccanismi più efficienti per quei due ambiti che restano nel terzo pilastro: la cooperazione di polizia e la cooperazione giudiziaria in materia penale. Protocolli che riconoscono la situazione specifica del Regno Unito, dell’Irlanda e della Danimarca e il Protocollo che integra l’acquis di Schengen nell’ambito dell’Unione europea. Su questo aspetto la Commissione sta prestando la propria collaborazione alla Presidenza del Consiglio dell’Unione europea, alla Presidenza di Schengen e ai rispettivi Segretariati generali.
Il Protocollo Schengen del trattato di Amsterdam enuncia il principio dell’integrazione dell’acquis di Schengen nell’ambito dell’Unione europea. Questa è l’indicazione di un cammino perché il Consiglio dell’Unione europea dovrà ancora adottare un certo numero di misure per realizzare questa integrazione. In particolare suddividere l’acquis di Schengen tra primo e terzo pilastro, concludere un accordo con Norvegia e Islanda per poter mantenere la cooperazione tra Schengen e questi due paesi. Deliberare a proposito di una eventuale richiesta del Regno Unito e/o dell’Irlanda di partecipare all’insieme o a una parte dell’acquis di Schengen, oltre a definire le modalità dell’integrazione del Segretariato generale di Schengen in quello del Consiglio e adottare altre misure.
Per quanto riguarda la suddivisione dell’acquis di Schengen, secondo il Protocollo, il consiglio a quindici dovrà determinare la base giuridica nel trattato per ciascuno degli aspetti dell’acquis di Schengen. In altri termini dovrà essere fatta questa suddivisione, questa ventilazione, come spesso si dice, tra primo e terzo pilastro. E il consiglio a tredici, cioè gli stati Schengen, avrà il compito di definire l’acquis di Schengen da integrare nell’ambito dell’Unione europea, che sarà oggetto di una cosmesi per così dire, al momento della sua integrazione, in quanto bisognerà integrare solamente quegli aspetti che producono ancora effetti giuridici, sopprimendo le disposizioni obsolete. E la Commissione veglierà affinché queste disposizioni di Schengen non siano ripetizioni di strumenti già esistenti nei trattati. Il lavoro nell’ambito del Consiglio per questa suddivisione dell’acquis ha già realizzato progressi considerevoli. Un problema più acuto al quale voglio accennare si ha in relazione alla suddivisione delle disposizioni concernenti il sistema informativo Schengen. Secondo la Commissione non c’è dubbio che uno schedario presente nel SIS, nel sistema informativo, quello degli stranieri non ammissibili — articolo 69 della Convenzione — ai quali l’accesso al territorio deve essere rifiutato da parte di tutti gli stati Schengen rientri nel primo pilastro. Gli altri schedari, nella fattispecie le segnalazioni ai fini dell’estradizione, rientrano nel terzo pilastro. Secondo la Commissione ne risulta che tutte le disposizioni che sono comuni agli schedari del primo e del terzo pilastro, ad esempio le disposizioni relative alla creazione del SIS e al suo funzionamento, così come alla protezione dei dati, rientrano allo stesso tempo nel primo e nel terzo pilastro, hanno quindi una doppia base giuridica. Malgrado il fatto che la maggior parte degli stati membri accettino che vi siano degli elementi del SIS rientranti nel primo pilastro, rifiutano di arrivare a deduzioni logiche, a nostro parere. Desiderano fondare le disposizioni concernenti il SIS sul terzo pilastro perché temono che la determinazione di una doppia base giuridica possa rendere impossibile la gestione del SIS e pregiudicare in tal modo il carattere operativo di questo sistema che è chiave
di volta di Schengen. È ovvio che la Commissione condivide la preoccupazione che il SIS debba restare operativo al momento della sua integrazione nell’Unione europea, perché un’interpretazione contraria sancirebbe la fine di Schengen. Le discussioni su questo tema importante e delicato devono essere portate avanti, così come quelle sugli aspetti istituzionali dell’integrazione del SIS, in particolare la questione riguardante la Francia, se continuerà ad assumere la responsabilità per la centrale del SIS a Strasburgo o se sia necessario costituire un’agenzia europea. Quanto agli effetti generali della suddivisione, vi è un doppio effetto, sulla gestione dell’acquis di Schengen e sul suo sviluppo. La suddivisione dell’acquis di Schengen determinerà quindi il ruolo che avrà ciascuna delle istituzioni dell’Unione europea in relazione ai differenti aspetti di questo acquis, e per ciò che ne concerne lo sviluppo futuro, la base giuridica presa in considerazione al momento della suddivisione per ogni particolare disposizione dell’acquis costituirà la base giuridica per eventuali modifiche. Ricordo poi quell’altro aspetto che consiste nell’accordo da concludersi tra il Consiglio e la Norvegia e l’Islanda solo per sottolineare l’importanza riconosciuta da tutti affinché l’integrazione di Schengen nell’ambito dell’Unione europea non debba mettere fine alla cooperazione nordica che, tra l’altro, come sappiamo, è più antica di quella non nordica in Europa in materia di unione di passaporti e di libero movimento delle persone. Quanto all’eventuale partecipazione del Regno Unito e dell’Irlanda, secondo il Protocollo Schengen del trattato di Amsterdam, Regno Unito e Irlanda possono richiedere in qualsiasi momento di partecipare a tutto o parte delle disposizioni dell’acquis. Si è detto, ed è vero, Schengen à la carte. È escluso che il Regno Unito e l’Irlanda richiedano la partecipazione all’insieme delle disposizioni dell’acquis di Schengen. In effetti il Protocollo li esclude dall’area senza frontiere, ed essi ancora non hanno introdotto tale richiesta. Ci si può aspettare che Regno Unito ed Irlanda richiedano di partecipare ad alcuni elementi dell’acquis di Schengen che non sono legati in maniera indissolubile con l’apertura delle frontiere Schengen, per esempio il dispositivo Schengen in materia di estradizione. Il Consiglio deciderà all’unanimità degli stati Schengen più lo Stato membro che avrà fatto richiesta di partecipare. E conformemente ad una dichiarazione allegata al Protocollo Schengen la Commissione sarà chiamata ad esprimersi sulla richiesta di partecipazione di Regno Unito e Irlanda.
Ho voluto dare qualche indicazione di questo percorso che certamente parrà tecnico e arido e che è tuttavia abbastanza gravido di implicazioni politiche. Una parola vorrei dire su un aspetto che secondo me diventerà sempre più cruciale nei prossimi anni: Schengen e i paesi candidati alla adesione all’Unione europea. Il Protocollo Schengen dispone che ai fini dei negoziati in vista della adesione all’Unione europea, l’acquis di Schengen sia considerato come da accettare integralmente da tutti gli stati candidati al momento dell’adesione. E del resto tutti hanno già espresso il desiderio di aderire a Schengen. Ecco, è chiaro che tra questa adesione d’intento e l’assicurazione nel concreto delle condizioni affinché l’intento sia realistico, c’è molto cammino. Ma voglio sottolineare quanto nella politica di preadesione nei confronti degli stati candidati, gli stati membri dell’Unione europea e la Commissione stiano accentuando molto intensamente le azioni di preparazione relative al terzo pilastro, relative alle questioni doganali, relative alle questioni dei controlli alle frontiere. E cominciano ad esserci segni molto concreti della perfetta comprensione da parte dei paesi candidati dell’importanza di questo aspetto. Vorrei citare per esempio il caso della Polonia la quale, sensibilizzata dai nostri stati membri, certamente anche dalla Commissione europea circa l’importanza della questione controllo alle frontiere, ha preso nei mesi di gennaio e febbraio, delle decisioni molto costose economicamente e politicamente per la Polonia; ha deciso il rafforzamento, con modifiche legislative e con il rafforzamento di dispositivi amministrativi, del controllo sulle persone alle proprie frontiere orientali. Costo politico perché immediatamente la stampa russa ha fortemente obiettato. Costo economico perché secondo diverse fonti il piccolo commercio nelle zone orientali della Polonia alimentato da ingressi facili e poco controllati dai confini orientali assommerebbe dai 5 ai 7 miliardi di dollari all’anno. Quindi, ecco un paese che sta prendendo, ha preso provvedimenti costosi per la propria economia, costosi per alcuni suoi cruciali rapporti di politica internazionale, nella consapevolezza del fatto che certamente al momento delle decisioni, quindi delle ratifiche dei trattati di adesione negli stati membri dell’Unione europea, un aspetto che largamente determinerà l’atteggiamento dell’opinione pubblica occidentale sarà quello se l’ingresso dei nuovi paesi pregiudicherà o no le condizioni di sicurezza dei cittadini nell’Unione europea.
L’osservazione con la quale vorrei concludere è che tutta questa tematica della libertà, della sicurezza, impone evidentemente un ulteriore avanzamento in tema di riforma istituzionale. È stato qui discusso l’avanzamento realizzato, almeno sotto questo profilo, dal trattato di Amsterdam, però è chiaro che una Unione europea con un’ambizione di realizzare una libertà di movimento al proprio interno in condizioni di sicurezza deve spostare il confine della propria attenzione verso la politica estera — pensiamo al Mediterraneo — politica estera nel senso di politica internazionale in senso stretto e politica della cooperazione economica nei confronti delle zone fonte dei movimenti migratori e anche deve fare chiaramente passi avanti dal punto di vista dei diversi aspetti di una politica comune dell’immigrazione. Se guardiamo ad alcuni aspetti della politica internazionale dell’Unione europea, constatiamo che là dove il trattato dà modo all’Unione europea di parlare con una voce sola — penso alla politica estera commerciale — l’Unione europea sa essere protagonista nella scena internazionale e quindi sembra sempre più chiaro che per assicurare anche soltanto obiettivi interni come quello della libertà di movimento nella sicurezza all’interno dell’Unione europea e non solo per assicurare una presenza prestigiosa dell’Europa nel mondo, diventa strettamente essenziale che ci siano quegli avanzamenti nella riforma delle istituzioni che possano consentire all’Unione europea di condurre con efficacia questa politica esterna e, personalmente, ma questa è anche la posizione dell’Unione europea, vediamo con molto favore l’impazienza manifestata in particolare da tre paesi, l’Italia, la Francia e il Belgio, dopo la conclusione del trattato di Amsterdam in una dichiarazione comune, l’impazienza e l’intento di accelerare i tempi di una riforma dei meccanismi di funzionamento delle istituzioni europee.