Carlo Curti Gialdino

Schengen e il terzo pilastro: il controllo giurisdizionale secondo il trattato di Amsterdam

1. Considerazioni introduttive. 2. Schengen oggi, ovvero l’assenza del controllo giurisdizionale. 3. Il terzo pilastro oggi, ovvero il sindacato giurisdizionale, caso per caso, sulle convenzioni e l’actio finium regundorum. 4. I motivi del deficit giudiziario nel terzo pilastro e le sue conseguenze.5. Il controllo giurisdizionale nelle convenzioni del terzo pilastro, ovvero una coperta di Arlecchino. 6. Il ruolo della Corte di giustizia nel trattato di Amsterdam. 6.1. Il nuovo titolo III bis del trattato CE. 6.2. Il titolo VI modificato del TUE. 6.3. Il controllo giurisdizionale degli atti fondati sull’attuale titolo VI dopo l’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam. 6.4. L’integrazione dell’acquis Schengen nel quadro dell’Unione europea. 6.5. Il controllo giurisdizionale nelle cooperazioni rafforzate. 6.6. La tutela giurisdizionale dei diritti fondamentali. 6.7. Il protocollo sull’asilo per i cittadini degli stati membri.

1. Considerazioni introduttive

Occuparsi del controllo giurisdizionale nel sistema Schengen e nel terzo pilastro significa, da un lato, interrogarsi sull’attuale deficit giudiziario, spiegarne le ragioni e metterne in luce le contraddizioni e, dall’altro, esaminare le importanti innovazioni che in materia saranno determinate dall’entrata in vigore del trattato firmato ad Amsterdam il 2 ottobre 1997. Conseguentemente, questo lavoro risulta diviso in due parti, di ampiezza ineguale. La prima, più breve, è dedicata alla situazione odierna del controllo giurisdizionale, inesistente nel sistema Schengen o marginale nella cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni. La seconda, più ampia, cerca di offrire una prima interpretazione delle disposizioni contenute nel trattato di Amsterdam relativamente al ruolo della Corte, con particolare riguardo ai due settori in esame.

2. Schengen oggi, ovvero l’assenza del controllo giurisdizionale

La situazione odierna del controllo giurisdizionale nel sistema Schengen è senza ombra di dubbio caratterizzata da un marcato deficit giudiziario. Infatti, sia l’accordo del 14 giugno 1985, sia la Convenzione del 19 giugno 1990 non prevedono alcuna forma di intervento del giudice. L’articolo 131, par. 2, della Convenzione si limita a disporre che il Comitato esecutivo, nel quale sono rappresentate le parti contraenti e che decide all’unanimità, "ha il compito generale di vigilare sulla corretta applicazione" delle Convenzione stessa.

Questo deficit giudiziario è stato ripetutamente stigmatizzato 1, fra l’altro, nell’ordine del giorno approvato dal Senato il 19 novembre 1992, in sede di esame del disegno di legge di ratifica ed esecuzione degli accordi di Schengen 2, per cui non vale la pena ritornarci sopra.

È invece opportuno ricordare che nelle proposte volte ad assicurare il detto controllo giurisdizionale, accanto all’ipotesi di attribuire alla Corte di giustizia delle Comunità europee 3 la competenza di conoscere le controversie relative all’interpretazione ed all’applicazione della Convenzione, non sono mancati suggerimenti di istituire un organo giurisdizionale specifico diverso dalla Corte 4. E ciò nonostante i collegamenti formali e sostanziali fra gli accordi di Schengen ed il diritto comunitario. Il tempo, come vedremo, è stato galantuomo: il trattato di Amsterdam, infatti, prefigura l’incorporazione dell’acquis Schengen nell’ambito dell’Unione europea.

3. Il terzo pilastro oggi, ovvero il sindacato giurisdizionale, caso per caso, sulle convenzioni e l’actio finium regundorum

In materia di cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni (GAI) il ruolo della Corte è piuttosto marginale. Infatti l’articolo L del trattato sull’Unione europea (TUE) sottrae al sindacato giurisdizionale le disposizioni che disciplinano la GAI, salvo specifica attribuzione di competenza alla Corte, limitatamente alla interpretazione delle disposizioni delle convenzioni, elaborate dal Consiglio ed adottate dagli stati membri, nonché alla composizione delle controversie connesse con la loro applicazione, secondo modalità precisate dalle medesime convenzioni (art. K. 3, par. 2, lett. c), ultima frase TUE).

Su tali modalità mi soffermerò fra poco in sede di esame del ruolo assegnato alla Corte di giustizia nelle convenzioni del terzo pilastro. Qui mi pare opportuno spendere qualche parola sulla competenza della Corte a pronunciarsi su di una sorta di actio finium regundorum tra il pilastro comunitario ed il terzo pilastro.

Questa competenza è ricavabile dal combinato degli articolo L ed M del TUE. Infatti l’articolo L dispone che il sindacato della Corte si estende alle disposizioni finali del TUE, cioè agli articoli da L ad S 5. Ora l’articolo M precisa che "nessuna disposizione" del TUE "pregiudica i Trattati che istituiscono le Comunità europee" e gli accordi successivi che li hanno modificati o completati. Spetta alla Corte, dunque, in base all’articolo M, pronunciarsi su atti adottati in sede GAI al fine di verificare che le competenze comunitarie non siano state violate 6.

Si badi: quello illustrato non è davvero un caso di scuola. È attualmente pendente davanti alla Corte la causa C-170/96 7 in cui la Commissione europea chiede l’annullamento, per violazione del trattato e delle forme sostanziali, dell’azione comune, adottata con decisione del Consiglio n. 96/197/GAI del 4 marzo 1996, concernente il regime del transito aeroportuale 8, in quanto detta azione comune pregiudicherebbe le competenze che alle istituzioni comunitarie derivano dall’articolo 100 C trattato CE. Se la Corte — la cui pronuncia è imminente — rigettando l’eccezione di incompetenza avanzata dal Regno Unito dovesse seguire le conclusioni del suo Avvocato generale 9, essa verrebbe ad affermare la propria competenza a verificare che le disposizioni del terzo pilastro non pregiudichino le disposizioni del pilastro comunitario. In particolare la Corte potrebbe accertare che gli atti che il Consiglio pretende fondare sull’articolo K. 3, par. 2, TUE non incidono sulle competenze attribuite dal trattato CE alla Comunità. Per procedere a tale controllo, la Corte dovrebbe poter esaminare il contenuto dell’atto impugnato alla luce dell’articolo 100 C trattato CE, per valutare se la misura non sia suscettibile di invadere la competenza che tale norma riserva alla Comunità, e dovrebbe annullarla qualora la normativa impugnata avrebbe dovuto essere fondata sul detto articolo 100 C. E ciò a prescindere dalla soluzione di merito che potrebbe anche essere quella, pure suggerita dall’Avvocato generale, di ritenere la materia dell’atto impugnato non riconducibile all’articolo 100 C trattato CE, e, conseguentemente, di respingere il ricorso della Commissione 10.

4. I motivi del deficit giudiziario nel terzo pilastro e le sue conseguenze

La debolezza del ruolo della Corte nel terzo pilastro non è di certo il frutto di una dimenticanza da parte degli autori del trattato di Maastricht, ma è dipesa da una precisa scelta politica. È a tutti noto, infatti, che nel negoziato del terzo pilastro l’accento venne posto soprattutto sugli aspetti della sicurezza e, conseguentemente, del controllo dei flussi migratori alle frontiere esterne, piuttosto che sulla tematica della libera circolazione delle persone con i connessi profili di tutela dei diritti individuali. E ciò nonostante che l’articolo K. 1 TEU stabilisca un legame tra gli obiettivi dell’Unione e la libera circolazione delle persone.

Ne è scaturito un pilastro gracile sotto il profilo delle garanzie democratiche e della protezione giurisdizionale, in cui predomina la scarsa trasparenza e l’incertezza sulla portata giuridica di atti quali le azioni comuni, il tutto condito da un accentuato carattere intergovernativo che, sicuramente, non favorisce il controllo del giudice.

Non va dimenticato, infine, che la delegazione del Regno Unito ha sostenuto costantemente che l’assenza del sindacato giurisdizionale della Corte di giustizia rende di immediata evidenza la differenza del terzo pilastro da quello comunitario, ne preserva la natura intergovernativa ed evita il rischio che la Corte possa introdurvi, per contagio, i principi da essa affermati con riguardo alla integrazione comunitaria. L’opposizione britannica fu irriducibile, prima a Maastricht e poi nel negoziato relativo alle convenzioni del terzo pilastro. La delegazione britannica condivideva, inoltre, con quella danese la netta preferenza per l’intervento dei giudici nazionali. Questi ultimi sono pertanto, allo stato, i soli garanti della rule of law nel terzo pilastro, essendo ad essi devoluta l’interpretazione dei relativi atti 11, pur con tutte le difficoltà che incontra il giudice interno quando è confrontato con atti internazionali.

Ne risulta che la produzione normativa del terzo pilastro sfugge, per l’essenziale 12, al controllo della Corte di giustizia europea, ed il mancato intervento di quest’ultima impedisce di assicurare l’indispensabile applicazione uniforme delle disposizioni adottate.

La situazione appare paradossale tenuto conto che la GAI concerne questioni sensibili per le libertà individuali e che, proprio in questo settore, viene a mancare sostanzialmente la tutela giurisdizionale 13. E la stessa Corte di giustizia indicò al Gruppo di riflessione, incaricato dal Consiglio europeo di preparare i lavori della conferenza intergovernativa, che "la tutela giurisdizionale dei singoli rispetto alle (...) attività (...) della cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni andrebbe garantita e organizzata in modo tale che il diritto comunitario, da un lato, e le misure emanate nell’ambito di tale cooperazione dall’altro, siano interpretate e applicate coerentemente" 14. D’altra parte la posizione "dogmatica" del Regno Unito non regge ad una valutazione appena approfondita. È evidente, infatti, che l’affidare competenze alla Corte, per un verso, non muta in alcun modo la natura delle convenzioni dell’articolo K. 3, che non diventano diritto comunitario, ma restano strumenti regolati dal diritto internazionale pubblico. Per altro verso, nel suo quasi mezzo secolo di attività, la Corte ha dato più di una prova di saper utilizzare criteri interpretativi diversi per il diritto comunitario rispetto a quelli impiegati con riferimento agli accordi internazionali che creano soltanto diritti ed obblighi in capo alle parti contraenti 15. Infine, l’assenza di un controllo giudiziario nel terzo pilastro, scelta "d’une diplomatie à l’ancienne dépourvue de contraintes et de sanctions", è senz’altro incompatibile con le esigenze costituzionali interne e comunitarie 16.

5. Il controllo giurisdizionale nelle convenzioni del terzo pilastro, ovvero una coperta di Arlecchino

Quando iniziò il negoziato relativo alle convenzioni del terzo pilastro, per superare l’impasse determinata dalla opposizione britannica, furono, volta a volta, proposte ipotesi di compromesso consistenti nella previsione di una istanza arbitrale di natura esecutiva o politica, ovvero nel conferimento ad un comitato di esperti del compito di controllare l’applicazione dell’accordo. Ancora più complicate erano le ipotesi che prefiguravano una competenza pregiudiziale per l’interpretazione delle disposizioni convenzionali. Una prima opzione prevedeva un sistema fondato su organi giurisdizionali nazionali collegati tra di loro da un meccanismo comunitario di istruzione amministrativa. Una seconda opzione consisteva nella creazione di un organo giurisdizionale comunitario, diverso dalla Corte di giustizia, individuato nella Corte europea dei diritti dell’uomo ovvero in un tribunale internazionale ad hoc. Una terza opzione, infine, attribuiva la relativa competenza direttamente alla Corte di giustizia (oppure, come variante, al tribunale di primo grado o ad una sezione specializzata di quest’ultimo) ovvero ad un nuovo tribunale comunitario, le cui sentenze sarebbero state impugnabili, per i soli motivi di diritto, avanti alla Corte di giustizia europea.

Tutte queste soluzioni prestavano il fianco a critiche. Anzitutto, quelle consistenti nell’affidare il compito di controllare il rispetto della Convenzione all’organo esecutivo delle stesse confliggevano, all’evidenza, con i principi della separazione dei poteri e della tutela giurisdizionale dei singoli. In secondo luogo, quelle consistenti nella previsione di organi giurisdizionali ad hoc, inseriti o meno nel sistema giurisdizionale comunitario, rendevano il meccanismo dei rimedi giudiziari inutilmente complicato e suscettibile di non realizzare la necessaria certezza del diritto.

Ma c’è di più. La disposizione — contenuta all’articolo K. 3 TUE — che prefigura l’attribuzione alla Corte di giustizia di competenze in relazione alle convenzioni del terzo pilastro e, soprattutto, l’esigenza di utilizzare in tutti i settori di competenza dell’Unione un quadro istituzionale unico, conformemente all’articolo C TUE, militano per il conferimento alla Corte di giustizia della relativa competenza a conoscere delle controversie relative all’interpretazione ed all’applicazione delle dette convenzioni.

Invero, una tale attribuzione di competenza presenta numerosi vantaggi. In primo luogo evita il rischio di interpretazioni divergenti e, dunque, di conflitti interpretativi ed applicativi. In secondo luogo consente di scongiurare il rischio di eventuali conflitti di giudicati, inevitabile in presenza di una pluralità di giurisdizioni. In terzo luogo permette di devolvere ad un unico giudice la competenza non solo di conoscere delle controversie fra stati membri relative all’interpretazione ed all’applicazione delle convenzioni, ma anche di quelle fra di essi e le istituzioni comunitarie, in specie la Commissione, in tal modo rendendo responsabili le dette istituzioni. In quarto luogo, il consentire che la Corte si pronunci sulle questioni pregiudiziali poste dai giudici nazionali, accentra la relativa competenza e la attribuisce allo stesso organo giurisdizionale che, per un verso, è da quarant’anni il loro interlocutore e, per altro verso, come ho già detto, ha il compito di salvaguardare le competenze comunitarie del primo pilastro da invasioni di campo da parte di quelle intergovernative del terzo pilastro.

Si dovette attendere comunque il Consiglio europeo di Cannes del giugno 1995 per un via libera in tal senso, e ciò permise di sbloccare il negoziato sulle convenzioni del terzo pilastro 17.

Peraltro, le soluzioni che emergono, quanto al controllo giurisdizionale delle dette convenzioni, rassomigliano ad una "coperta di Arlecchino" 18, cioè ad un sistema à la carte.

Per cercare di sistematizzare le clausole relative alla competenza della Corte di giustizia è opportuno distinguere la giurisdizione in materia di controversie tra stati membri e tra questi ultimi e la Commissione, in ordine all’interpretazione ed all’applicazione delle convenzioni, dalla giurisdizione pregiudiziale su domanda del giudice nazionale.

Osservo, anzitutto, che la competenza a pronunciarsi sulle controversie fra stati membri, è, di regola, prevista all’interno delle convenzioni. Dico di regola perché ci sono rilevanti eccezioni come quella della Convenzione sull’estradizione semplificata fra gli stati membri 19. In particolare, la Convenzione sull’uso dell’informatica nel settore doganale (SID) 20 e la Convenzione relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità (PIF) 21 fanno esplicito riferimento alla Corte attribuendole una giurisdizione che è facoltativa, come si desume dalla formula "può essere adita da una delle parti" (artt. 27 SID ed art. 8 PIF). Diversamente, la Convenzione Europol non contiene alcuna menzione esplicita della Corte 22. L’articolo 40 prevede, infatti, una composizione amichevole entro sei mesi da parte del Consiglio; in caso di disaccordo fra gli stati membri parti della controversia essi stabiliscono "di comune accordo" le modalità in base alle quali perverranno alla soluzione delle controversie. È solo in una dichiarazione ex articolo 40, par. 2, che quattordici stati membri (cioè tutti, meno il Regno Unito) hanno affermato la volontà di adire sistematicamente la Corte di giustizia.

Per quanto riguarda, invece, le controversie tra gli stati membri e la Commissione, mentre la Convenzione Europol nulla prevede, le altre convenzioni prefigurano due diverse soluzioni, a seconda che la competenza della Corte si estenda a tutte 23 o soltanto ad alcune disposizioni della Convenzione 24, le restanti essendo considerate di natura intergovernativa.

Per quanto riguarda, invece, la competenza pregiudiziale, una soluzione, detta "orizzontale", perché applicabile anche alle altre convenzioni successivamente adottate (PIF e SID soprattutto), è stata messa a punto nel negoziato relativo al protocollo concernente l’interpretazione della Convenzione Europol 25. L’articolo 2 prefigura una sorta di opting-in, cioè la possibilità per gli stati membri di accettare, mediante una dichiarazione presentata all’atto della firma o in qualsiasi altro momento successivo, la giurisdizione della Corte, con la possibilità, inoltre, di restringere la facoltà di rinvio ai soli giudici di ultima istanza 26 ovvero di conferirla a tutti i giudici 27. Nella scelta della clausola di accettazione si percepisce una certa influenza di soluzioni mutuate da altri organi di giustizia internazionale, in particolare dall’articolo 36 dello Statuto della Corte internazionale di giustizia 28 o, per quanto riguarda la Corte europea dei diritti dell’uomo, dall’articolo 46 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, prima dell’entrata in vigore del suo undicesimo protocollo.

Va ricordato, inoltre, che gli organi giudiziari comunitari (Tribunale di primo grado e Corte di giustizia) sono competenti a pronunciarsi sui ricorsi proposti da qualsiasi persona fisica o giuridica contro le decisioni della Commissione prese nei suoi confronti o contro le decisioni che la riguardano direttamente o individualmente, in violazione dell’articolo 8 del secondo protocollo alla Convenzione relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee 29, a stregua del quale la Commissione assicura che nello scambio di informazioni venga osservato, in materia di trattamento dei dati personali, un livello di protezione equivalente a quello previsto alla direttiva 95/46/CEE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati 30.

Gli sviluppi successivi, prima di Amsterdam, sono ancora più deludenti. Nella Convenzione sull’estradizione fra gli stati membri 31 il controllo giudiziario è del tutto assente. La competenza della Corte è stata dimenticata con la complicità o nell’indifferenza degli stati che in altre occasioni si erano fatti paladini del controllo giurisdizionale. E ciò stupisce particolarmente, dato che ci troviamo in una materia in cui, per un verso, c’è la necessità di garantire i diritti fondamentali connessi alla libertà personale, e, per altro verso, più imperiosa appare la necessità di una interpretazione uniforme. A titolo consolatorio ricordo che, in allegato alla Convenzione, figura una dichiarazione del Consiglio alla cui stregua, un anno dopo l’entrata in vigore dell’accordo, esso esaminerà "l’eventuale attribuzione" di competenze alla Corte di giustizia.

Diversamente, nella Convenzione sulla corruzione dei funzionari, la disposizione relativa alla Corte non è consegnata ad un protocollo, come nel caso di Europol, SID e PIF, ma figura nella stessa Convenzione. Non è peraltro un passo avanti. Anzi, si può ben dire che stiamo di fronte ad un regresso nel controllo giurisdizionale. Se, infatti, nulla cambia quanto alla possibilità di sottoporre alla Corte, trascorso infruttuosamente il termine di sei mesi riservato alla composizione amichevole in seno al Consiglio, la controversia fra stati membri relativa all’interpretazione o applicazione della Convenzione (art. 12, par. 1), muta, invece, la facoltà di ricorrere alla Corte nel caso di controversia fra stati membri e Commissione, che è limitata non solo a determinate disposizioni 32, ma anche è fatta dipendere dalla esistenza di una controversia circa una questione di diritto comunitario o sugli interessi finanziari della Comunità o dal coinvolgimento di membri o funzionari delle istituzioni comunitarie o di organismi costituiti secondo i trattati comunitari (art. 12, par. 2).

Per quanto riguarda, invece, la competenza pregiudiziale, l’articolo 12, paragrafo 3, prevede che qualsiasi autorità giudiziaria di uno Stato membro che abbia accettato la giurisdizione della Corte possa chiedere ai giudici di Lussemburgo di pronunciarsi sull’interpretazione della Convenzione, ma solo limitatamente a determinati articoli e nel caso di giudizi in cui siano coinvolti membri o funzionari della Comunità o di organi costituiti in base ai trattati, che agiscano nell’esercizio delle loro funzioni. Inoltre, nel rendere la propria dichiarazione, lo Stato membro può restringere la facoltà di rinvio ai soli organi giurisdizionali avverso le cui decisioni non sia possibile proporre impugnazione (art. 12, par. 5).

Ancora diversa è la soluzione seguita nel caso della Convenzione sulla notificazione degli atti giurisdizionali ed extragiurisdizionali 33. Il relativo protocollo concernente l’interpretazione della Corte segue, infatti, i modelli dei protocolli di Bruxelles 1971 e di Roma 1988 che riguardano anch’essi convenzioni di diritto internazionale privato e processuale. Vengono indicate così le giurisdizioni abilitate ad interrogare la Corte (che sono, a stregua dell’art. 2, par. 1, lett. a), le più alte giurisdizioni nazionali, per le quali il ricorso è obbligatorio 34, e le giurisdizioni d’appello). A compensare la mancata sottoponibilità di questioni pregiudiziali da parte del giudice di primo grado ed al fine di assicurare l’uniforme interpretazione delle disposizioni della Convenzione è prevista, peraltro, la possibilità di un ricorso nell’interesse della legge da parte del procuratore generale presso la Corte di cassazione o di altra autorità competente, quando ci si avveda che una sentenza passata in giudicato risulti in contrasto con l’interpretazione della Convenzione fornita dalla Corte di giustizia o dalla giurisdizione di un altro Stato membro. In questa ipotesi si prevede che la pronuncia della Corte non produca effetto sulle decisioni che hanno dato luogo alla domanda di interpretazione.

6. Il ruolo della Corte di giustizia nel trattato di Amsterdam

È su queste soluzioni caso per caso e, quindi, non uniformi, che interviene il trattato di Amsterdam del 2 ottobre 1997.

Con riguardo al ruolo della Corte rispetto ai settori in esame il trattato: a) comunitarizza una parte dell’attuale terzo pilastro, introducendo nel trattato CE un nuovo titolo III bis, relativo ai visti, all’asilo ed alle altre politiche connesse alla libera circolazione delle persone, in cui figurano talune deroghe al sistema generale dei rimedi giurisdizionali; b) rimodella il vecchio terzo pilastro (nuovo titolo VI dedicato alla cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale) introducendovi un limitato sindacato giurisdizionale; c) disciplina le cosiddette cooperazioni rafforzate, il cui controllo giudiziario è diversificato a seconda che la materia oggetto della cooperazione rientri nel pilastro comunitario ovvero nel terzo pilastro; d) procede alla integrazione dell’acquis Schengen nell’Unione europea; e) rafforza la tutela giurisdizionale dei diritti fondamentali; f) disciplina l’asilo per i cittadini dell’Unione.

6.1. Il nuovo titolo III bis del trattato CE

Comincio dal nuovo titolo III bis rilevando che, come si deduce dall’articolo L, lett. a), il quale non prevede "condizioni" relativamente all’applicazione delle competenze della Corte rispetto alle nuove disposizioni (artt. da 73 I a 73 Q), le attribuzioni della Corte non appaiono realmente intaccate né sul piano tecnico, né su quello materiale. L’articolo 73 P, peraltro, introduce alcune eccezioni al sistema generale del contenzioso comunitario.

La norma contiene, infatti, una notevole limitazione del rinvio pregiudiziale cosicché, per la prima volta nel quadro dei trattati istitutivi delle Comunità, si registra una regressione del controllo giurisdizionale 35 che, per taluno, costituisce un vero e proprio vulnus della rule of law 36.

L’articolo 73 P, invero, circoscrive l’applicabilità del meccanismo pregiudiziale al titolo III bis "nelle seguenti circostanze ed alle seguenti condizioni". Secondo questa disposizione "quando è sollevata, in un giudizio pendente davanti ad una giurisdizione nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, una questione concernente l’interpretazione del presente titolo oppure la validità o l’interpretazione degli atti delle istituzioni della Comunità fondati sul presente titolo, tale giurisdizione, qualora reputi necessaria per emanare la sua sentenza una decisione su tale punto, domanda alla Corte di giustizia di pronunciarsi sulla questione".

La disposizione presenta taluni interessanti profili interpretativi.

In primo luogo, rispetto alla sfera di applicazione dell’articolo 73 P, va notato che la norma, se non si discosta dall’articolo 177 trattato CE, in quanto prevede il solo rinvio interpretativo per le norme del trattato ed il rinvio interpretativo o/e per l’accertamento di validità per gli atti delle istituzioni comunitarie fondati sul titolo III bis, introduce, tuttavia, una significativa limitazione del sindacato giurisdizionale. Infatti, ai sensi dell’articolo 73 P, paragra-
fo 2, la Corte "non è comunque competente a pronunciarsi sulle misure o decisioni adottate a norma dell’articolo 73 J, punto 1, in materia di mantenimento dell’ordine pubblico e salvaguardia della sicurezza interna". Le misure e le decisioni sottratte al controllo giurisdizionale sono quelle volte a garantire, in conformità all’articolo 7A trattato CE, base giuridica nella disciplina relativa all’instaurazione del mercato interno, che non vi siano controlli sulle persone, cittadini dell’Unione o di paesi terzi, all’atto dell’attraversamento delle frontiere esterne. L’eccezione, frutto a quanto pare di una proposta francese, impedirà alla Corte di applicare a queste misure la propria giurisprudenza in materia di ordine pubblico 37. Quanto alla portata materiale di questa eccezione, è pacifico che, trattandosi di valutare la portata dell’articolo 73P, paragrafo 2, spetterà alla Corte precisarne i contorni 38.

Quanto all’organo giurisdizionale legittimato a rinviare, l’articolo 73 P esclude le giurisdizioni rispetto alle decisioni delle quali possa proporsi ricorso giurisdizionale di diritto interno. In tal modo si allinea alla formula dell’articolo 177, terzo comma, trattato CE, abilitando i soli giudici di ultima istanza.

Rispetto a questi ultimi ci si è chiesti se l’articolo 73 P li facoltizzi soltanto, oppure li obblighi ad effettuare il rinvio alla Corte.

La maggior parte dei commentatori propende per il carattere facoltativo del rinvio, senza peraltro fornire alcuna motivazione 39, ovvero limitandosi a ricordare la preoccupazione degli stati membri di evitare una valanga di rinvii pregiudiziali in materia di asilo o di immigrazione. A sostegno di questa tesi si è posto l’accento sull’inciso "qualora reputi necessaria per emanare la sua sentenza una decisione su questo punto" e si è fatto rilevare, per un verso, che un identico inciso figura nell’articolo 177, secondo comma, trattato CE, cioè nella disposizione in cui si prevede la facoltà per le giurisdizioni non di ultima istanza di effettuare il rinvio alla Corte e, per altro verso, che a differenza dell’articolo 177, terzo comma, ove è previsto l’obbligo per la giurisdizione di ultima istanza, nell’articolo 73 P non è utilizzato il predicato verbale "è tenuta" ma è impiegato quello "domanda" 40.

Questa interpretazione non convince. In senso contrario, e cioè per l’obbligatorietà del rinvio 41, depone, anzitutto, la lettera dell’articolo 73 P, ove in italiano è impiegato il presente indicativo "domanda" e anche nelle altre lingue ricorrono formule che, pacificamente, nel linguaggio del legislatore indicano un obbligo. Il fatto che, nella versione italiana della norma, non sia stata impiegato il predicato verbale "è tenuta a domandare", sicuramente più preciso, non ha certo l’effetto di far regredire l’obbligo in facoltà, visto che rimane comunque fermo un rapporto di oggettiva consequenzialità tra il sorgere della questione ed il rinvio alla Cort, come indica la formula che recita: "quando è sollevata (...) una questione (...) [la] giurisdizione (...) domanda". Né la presenza dell’inciso, ai sensi del quale il rinvio si ha quando il giudice nazionale lo reputi necessario per la sua pronuncia, vale a cambiare questa conclusione. Ricordo che un identico inciso figura nell’articolo 3 del protocollo 3 giugno 1971 relativo all’interpretazione da parte della Corte di giustizia della Convenzione di Bruxelles del 1968, seppure insieme al predicato verbale "è tenuta a domandare" riferito alle giurisdizioni di ultima istanza. Ora nessuno ha mai ritenuto che la presenza del detto inciso abbia attenuato l’obbligo di deferimento alla Corte rispetto a quello previsto dall’articolo 177, terzo comma, trattato CE, ed abbia conferito un maggior margine di apprezzamento al giudice nazionale 42. La giurisprudenza della Corte, d’altra parte, da tempo ha escluso che il terzo comma dell’articolo 177 comporti il rinvio "automatico" alla Corte da parte dei giudici di ultima istanza delle questioni di interpretazione del diritto comunitario. Anche per essi, l’obbligo di adire la Corte è subordinato alla valutazione della rilevanza della questione di interpretazione ai fini del decidere ed alla esistenza di un dubbio sul significato della norma da applicare 43. Pertanto l’inciso in questione non fa che alludere al giudizio di rilevanza che ogni giudice, anche quello di ultima istanza, deve effettuare prima di effettuare il rinvio e, per quanto riguarda il rinvio interpretativo, alla possibilità di invocare la teoria dell’atto chiaro (in claris non fit interpretatio) 44.

Una conferma dell’interpretazione proposta discende, in secondo luogo, dal confronto del regime derogatorio dell’articolo 177 trattato CE, previsto nell’articolo 73 P per il titolo III bis trattato CE con quello che è stabilito nell’articolo K. 7, par. 3, con riguardo al nuovo titolo VI TUE. Anche in quest’ultima disposizione figura infatti l’inciso "qualora reputi necessaria..." con riguardo alle giurisdizioni di ultima istanza, ma gli autori del trattato, per segnalare il carattere facoltativo del rinvio, hanno avuto cura di utilizzare il predicato verbale "può chiedere", che corrisponde a quello impiegato nel secondo comma dell’articolo 177 trattato CE.

Osservo, in terzo luogo, che qualora gli Stati membri avessero inteso rendere facoltativo il rinvio dell’articolo 73 P, paragrafo 1, verosimilmente avrebbero senz’altro iscritto nell’atto finale della conferenza una dichiarazione di tenore analogo a quella che figura in relazione all’articolo K. 7, in cui si riservano il diritto di prevedere nelle loro legislazioni nazionali l’obbligo di adire la Corte per i giudici di ultima istanza.

Resta il fatto che l’aver eliminato la facoltà di rinvio per i giudici di primo grado nel pilastro comunitario comporta effettivamente un regresso dell’acquis comunitario, comportando il rischio di applicazione non uniforme del diritto comunitario, anche se non ritengo venga intaccato un principio fondamentale del sistema 45. La preoccupazione di evitare, per un verso, un numero eccessivo di rinvii pregiudiziali da parte dei giudici inferiori con riguardo alle nuove norme in materia di visti e di asilo, con una probabile paralisi dell’attività della Corte a meno di non semplificare la procedura 46 e, per altro verso, di escludere l’impiego della richiesta di rinvio pregiudiziale con il solo scopo di rallentare lo svolgimento del contenuto relativo ai provvedimenti di espulsione, non è stata di certo estranea alla decisione degli autori del trattato di Amsterdam. D’altronde è ben noto che tra le ipotesi formulate prima e durante i lavori della conferenza intergovernativa vi era stata anche quella, che, peraltro, non ha avuto alcun seguito, di escludere in via generale i giudici minori dal circuito pregiudiziale 47.

Il sistema prescelto, tuttavia, obbliga questi ultimi giudici ad interpretare autonomamente le disposizioni del titolo III bis e gli atti fondati su di esse, con la conseguenza della possibilità — beninteso, finché il giudizio non arrivi davanti ad un giudice di ultima istanza obbligato al rinvio — di decisioni contrastanti non solo nell’ambito di diversi stati membri dell’Unione ma anche all’interno di uno stesso ordinamento statale; inoltre questi giudici devono applicare gli atti adottati delle istituzioni, anche qualora nutrano dubbi sulla loro validità 48.

Gli autori del trattato, d’altra parte, hanno previsto la possibilità di ritoccare le competenze della Corte dopo un certo periodo di rodaggio. L’articolo 73 O, paragrafo 2, secondo trattino, trattato CE, infatti, prevede che, trascorso il periodo transitorio di cinque anni dall’entrata in vigore del trattato di Amsterdam, il Consiglio, deliberando all’unanimità, su proposta della Commissione, che esamina qualsiasi richiesta formulata da uno Stato membro al riguardo, e previa consultazione del Parlamento europeo, prende una decisione "di adattare le disposizioni relative alle competenze della Corte di giustizia". E con questo adattamento è ben possibile fare rientrare le giurisdizioni inferiori nel meccanismo pregiudiziale, uniformando il sistema sulla disposizione generale dell’articolo 177 trattato CE, una volta che la Corte abbia fornito l’interpretazione uniforme delle norme del nuovo titolo III bis 49. Va segnalato, peraltro, che per la prima volta una modifica semplificata del procedimento di revisione dei trattati riguardante la Corte è demandata al Consiglio senza iniziativa della Corte. Nonostante la previsione del voto all’unanimità e dell’iniziativa attribuita alla Commissione, il precedente appare pericoloso, in quanto l’adattamento può comportare non solo una estensione della tutela giurisdizionale, come ho auspicato, ma anche una diminuzione di intensità del controllo, quale si avrebbe, ad esempio, se fosse reso facoltativo il ricorso da parte dei giudici di ultima istanza.

In attesa di questa modifica e con la finalità di attenuare i rischi di interpretazioni divergenti, gli autori del trattato di Amsterdam hanno previsto all’articolo 73 P, par. 3, che il Consiglio, la Commissione o uno Stato membro possano chiedere alla Corte di pronunciarsi sull’interpretazione del titolo III bis o degli atti delle istituzioni comunitarie su di esso fondati 50. La decisione pronunciata dalla Corte in risposta a siffatta richiesta non si applica alle sentenze degli organi giurisdizionali degli stati membri passate in giudicato.

La competenza della Corte ai sensi di questa disposizione si traduce in una procedura non contenziosa di carattere astratto, che è del tutto indipendente dalla sussistenza di una controversia attuale. Si tratta di una combinazione 51 della procedura consultiva sulla costituzionalità degli accordi internazionali che la Comunità voglia concludere, prevista dall’articolo 228, par. 6, trattato CE 52, del ricorso nell’interesse della legge, previsto dall’articolo 4 del protocollo di Lussemburgo del 1971 relativo all’interpretazione da parte della Corte della Convenzione di Bruxelles del 1968 sulla competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale e ripreso nell’analogo protocollo di Bruxelles del 1988 per l’interpretazione da parte della Corte della Convenzione di Roma del 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, nonché del modello dell’articolo 177 trattato CE. Del primo condivide, infatti, i soggetti abilitati a richiedere l’interpretazione, mentre del secondo ripete la non incidenza della pronuncia sulle decisioni passate in giudicato 53, del terzo condivide il valore della decisione pronunciata ai sensi dell’articolo 73 P, paragrafo 3. Quest’ultima che, verosimilmente, prenderà la forma della sentenza 54, avrà un valore non diverso da quello delle pronunce interpretative ai sensi dell’articolo 177 trattato CE. Tali pronunce, com’è noto, trascendono la specifica controversia che le ha occasionate e non si limitano a vincolare il giudice nazionale richiedente 55, ma acquistano una incidenza più ampia, avendo un effetto sostanzialmente erga omnes ed imponendosi, pertanto, a tutti i soggetti dell’ordinamento interno 56 come di quello comunitario.

L’articolo 73 P introduce, inoltre, talune eccezioni al sistema generale dei rimedi giurisdizionali del pilastro comunitario. Ho già ricordato, con riferimento al rinvio pregiudiziale interpretativo, che ai sensi del paragrafo 2 dell’articolo 73 P la Corte non è competente a pronunciarsi sulle misure o decisioni adottate a norma dell’articolo 73 J, punto 1, in materia di mantenimento dell’ordine pubblico e salvaguardia della sicurezza interna. Aggiungo ora che questa eccezione — nonostante la sua collocazione nel paragrafo che segue quello sul rinvio pregiudiziale — non si riferisce solo a questo procedimento, ma può trovare applicazione altresì nel ricorso per annullamento e nell’eccezione di illegittimità.

Rispetto al ricorso per inadempimento va tenuto presente che, secondo l’articolo 73 L, par. 1, il titolo III bis "non osta all’esercizio delle responsabilità incombenti agli Stati membri per il mantenimento dell’ordine pubblico e la salvaguardia della sicurezza interna". Al riguardo rammento che una norma identica figura nell’attuale articolo K. 2, paragrafo 3, TUE. Tuttavia, in considerazione del limitato controllo giurisdizionale nel pilastro GAI, essa non assume la valenza che spiegherà in ambito comunitario una volta entrato in vigore il trattato di Amsterdam. La disposizione comporterà, infatti, una limitazione del campo di applicazione del ricorso per inadempimento, creando una zona di impunità o di immunità giurisdizionale che ricorda la teoria dell’acte de gouvernement 57. Spetterà ancora una volta alla Corte interpretare i concetti di "mantenimento dell’ordine pubblico e della sicurezza interna", ai fini di verificare la propria competenza ad accertare la violazione da parte degli stati membri degli obblighi comunitari discendenti dal titolo III bis e dalle misure adottate in base ad esso, nel caso in cui la detta eccezione sia stata fatta valere a sostegno dell’irricevibilità dell’eventuale ricorso promosso dalla Commissione.

Rispetto al ricorso per carenza va notata una particolarità contenuta nell’articolo 73 I che prevede l’obbligo del Consiglio di adottare, entro cinque anni dell’entrata in vigore del trattato di Amsterdam, fra l’altro, misure per prevenire e combattere la criminalità a norma dell’articolo K. 3, lett. c), TUE, nonché misure nel settore della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale dirette ad assicurare alle persone un elevato livello di sicurezza, mediante la prevenzione e la lotta contro la criminalità all’interno dell’Unione conformemente al TUE. Ora, l’obbligo posto in capo al Consiglio rende in astratto esperibile l’azione in carenza a norma del trattato CE nei confronti di questa istituzione per un’attività rientrante nel terzo pilastro 58.

Per completare l’esame degli aspetti giurisdizionali connessi con il titolo III bis ricordo che il Regno Unito e l’Irlanda, di regola, non partecipano all’adozione, da parte del Consiglio, delle misure proposte a stregua di tale titolo, salvo che non notifichino per iscritto al Presidente del Consiglio, entro tre mesi dalla presentazione, che essi desiderano partecipare all’adozione ed applicazione di una delle misure proposte (protocollo sulla posizione del Regno Unito e dell’Irlanda, articoli 1 e 3). Nel caso in cui i due stati membri restino estranei alle misure adottate, l’articolo 2 si cura di precisare che nessuna decisione della Corte di giustizia sull’interpretazione di tali misure o decisioni è vincolante o applicabile nel Regno Unito o in Irlanda 59. Nel caso invece in cui il Regno Unito o l’Irlanda abbiano partecipato o abbiano accettato e, dunque, siano vincolati da una misura ai sensi del titolo III bis, a tali stati si applicheranno le pertinenti disposizioni dei trattati, compreso l’articolo 73 P che deroga al regime generale del contenzioso comunitario (art. 6).

Ne risulta che Regno Unito e Irlanda potranno impugnare per annullamento o eccepire l’illegittimità degli atti di applicazione del titolo III, nonché potranno attivare la competenza interpretativa della Corte prevista dall’articolo 73 P, paragrafo 3, rispetto a tali atti, soltanto nella misura in cui essi siano dagli stessi vincolati. I giudici di ultima istanza di questi stati saranno tenuti al rinvio pregiudiziale solo relativamente alle questioni concernenti l’interpretazione delle norme del titolo III. Essi, infatti, dovranno chiedere alla Corte di accertare la validità o l’interpretazione di atti fondati sul detto titolo solo quando questi ultimi vincolino Regno Unito ed Irlanda. All’evidenza, inoltre, il ricorso per inadempimento non è proponibile nei confronti di questi stati relativamente al mancato rispetto di atti fondati sul titolo III bis, all’adozione dei quali essi non abbiano partecipato o che comunque essi non abbiano accettato.

6.2. Il titolo VI modificato del TUE

Passo ora all’esame delle disposizioni giurisdizionali relative al titolo VI del TUE, come modificato dal trattato di Amsterdam. Esse sono contenute nel nuovo articolo K. 7 che prevede: a) una competenza pregiudiziale specifica (par. 1); b) una limitazione del ricorso per inadempimento (par. 5); c) una limitazione del ricorso per annullamento (par. 6); d) una competenza a statuire sulle controversie tra stati membri o tra stati membri e Commissione relativamente a tutti o a taluni degli atti del titolo VI.

Inizio con la competenza pregiudiziale osservando, anzitutto, che l’articolo K. 7 non prevede che la Corte possa interpretare le norme del titolo VI (art. K. da 1 a K. 14). C’è da ritenere, comunque, che nel pronunciarsi, ai sensi dell’articolo K. 7, sulla validità o l’interpretazione delle decisioni-quadro e delle decisioni, nonché sull’interpretazione delle convenzioni 60 e sulla validità e l’interpretazione delle misure di applicazione delle stesse, non potrà esimersi dal valutare la norma che le attribuisce la relativa competenza. Sarà difficile inoltre esaminare un atto di diritto derivato senza procedere all’interpretazione del trattato che ne è la base 61.

È comunque esclusa la competenza pregiudiziale a pronunciarsi, anche incidentalmente, sulla validità e proporzionalità delle misure nazionali per il mantenimento dell’ordine pubblico e della sicurezza interna (art. K. 2, par. 5) 62. Questa riserva è il pendant di quella contenuta nell’articolo 73 P, paragrafo 2, trattato CE, ma appare formulata in termini più precisi 63.

A differenza di quanto è previsto nei Trattati istitutivi la competenza pregiudiziale della Corte rispetto al nuovo titolo VI non è automatica ma è subordinata alla preventiva accettazione da parte dello Stato membro. Nella relativa dichiarazione quest’ultimo precisa se la facoltà di chiedere alla Corte di pronunciarsi sia attribuita solo alle giurisdizioni di ultima istanza (art. K. 7, par. 3, lett. a) ovvero a tutte le giurisdizioni dello Stato membro (art. K. 7, par. 3, lett. b). Tale dichiarazione poteva essere effettuata all’atto della firma del trattato di Amsterdam 64, ovvero può essere resa successivamente, in qualsiasi momento.

Quale che sia l’opzione dello Stato membro, vuoi che non abbia accettato la competenza pregiudiziale, vuoi che abbia limitato il potere di rinvio alle sole giurisdizioni di ultima istanza, vuoi che lo abbia conferito a tutte le giurisdizioni, vuoi che abbia previsto nel proprio diritto interno, ai sensi della dichiarazione sull’articolo K. 7 allegata al trattato di Amsterdam, l’obbligo di rinvio per le giurisdizioni di ultima istanza, esso ha la facoltà di presentare alla Corte memorie od osservazioni scritte nei procedimenti ex articolo K. 7. Il paragrafo 4 dell’articolo K. 7 nulla dice quanto alla Commissione ed al Consiglio. È probabile, peraltro, che la Corte consenta loro di presentare osservazioni applicando analogicamente l’articolo 20 del proprio Statuto CE 65. Più difficile è immaginare che la facoltà di presentare osservazioni scritte sia accordata al Parlamento dal momento che nel sistema dell’articolo 177 trattato CE, l’istituzione parlamentare vi è abilitata solo quando l’atto di cui si discuta la validità sia stato adottato in codecisione e nel titolo VI, a norma dell’articolo
K. 11, paragrafo 1, il Parlamento è soltanto consultato. Non è dubbio, tuttavia, che la Corte seguirà la prassi sperimentata nel quadro della pregiudiziale comunitaria e darà al Parlamento la possibilità di far conoscere la propria posizione utilizzando il meccanismo della "richiesta di informazioni", previsto all’articolo 21 Statuto CE della Corte.

Nel delineare la specifica competenza pregiudiziale del titolo VI, gli autori del trattato di Amsterdam hanno mutuato la soluzione accolta, dopo un negoziato defatigante, per le convenzioni Europol, PIF e SID. Questa soluzione, peraltro, non appare conforme all’eguaglianza dei cittadini dell’Unione davanti al giudice ed inoltre sicuramente introduce un vulnus all’interpretazione uniforme del diritto dell’Unione, in quanto lo stesso atto è suscettibile di avere più interpretazioni differenti 66. È difficile credere, tuttavia, che le interpretazioni rese dalla Corte non siano suscettibili di influenzare i giudici appartenenti a stati membri che non abbiano accettato la competenza interpretativa nella decisione di controversie analoghe a quelle che abbiano dato oggetto al rinvio pregiudiziale 67. Ciò spiega anche la ratio della norma che consente agli stati membri out di presentare osservazioni nei relativi procedimenti.

Se è vero che, secondo l’interpretazione che ho prospettato dell’articolo L, i normali rimedi giurisdizionali comunitari trovano applicazione rispetto al titolo VI "alle condizioni" ivi previste, la Corte è competente anche a constatare il mancato adempimento da parte degli stati membri degli impegni contratti nel quadro di questo titolo VI 68. È sottratto all’accertamento della Corte, comunque, il riesame della validità e della proporzionalità di operazioni effettuata dalla polizia o da altri servizi incaricati dell’applicazione della legge di uno Stato membro o l’esercizio delle responsabilità incombenti agli stati membri per il mantenimento dell’ordine pubblico e la salvaguardia della sicurezza interna (art. K. 7,
par. 5) 69.

L’articolo K. 7, paragrafo 6, introduce nel titolo VI anche il ricorso per annullamento. Sono impugnabili le decisioni quadro e le decisioni (non dunque le convenzioni), ed il relativo giudizio può essere proposto da uno Stato membro o dalla Commissione nel termine di due mesi dalla pubblicazione dell’atto. La norma non menziona il Parlamento fra i soggetti legittimati ad agire in giudizio. Tuttavia l’istituzione parlamentare deve essere obbligatoriamente consultata dal Consiglio prima dell’adozione di qualsiasi decisione-quadro, decisione o Convenzione. Ora, considerato che la consultazione è una prerogativa del Parlamento, non è dubbio che la Corte, applicando la propria costante giurisprudenza, potrà riconoscere la legittimazione attiva del Parlamento 70. A sostegno del ricorso possono essere invocati gli stessi motivi di annullamento dell’articolo 173, trattato CE e cioè l’incompetenza, la violazione delle forme sostanziali, la violazione del trattato o di qualunque regola di diritto relativa alla sua applicazione (compresa la violazione dei diritti fondamentali proclamati all’art. F, par. 2 TUE), nonché lo sviamento di potere. La norma, invece, nulla prevede quanto agli effetti della pronuncia d’annullamento e quanto all’obbligo per l’istituzione da cui emana l’atto annullato di prendere i provvedimenti che l’esecuzione della sentenza comporta 71; al riguardo ritengo possibile una applicazione analogica dei principi generali del contenzioso d’annullamento di cui gli articoli 174 e 176 trattato CE non sono che l’esplicitazione nel sistema comunitario.

L’articolo K. 7, paragrafo 7, stabilisce, infine — sul modello di quanto previsto per alcune convenzioni ex articolo K. 3, TUE 72 — che la Corte sia competente a statuire: a) sulle controversie tra stati membri concernenti l’interpretazione o l’applicazione di atti adottati a norma dell’articolo K. 6, paragrafo 2 (decisioni-quadro, decisioni, convenzioni) quando una composizione amichevole non sia intervenuta in sede di Consiglio entro sei mesi dalla data in cui esso sia stato adito da uno dei suoi membri; b) sulle controversie tra stati membri e Commissione relative alle convenzioni del titolo VI 73.

In conclusione, il progresso dello Stato di diritto in questo settore è innegabile, come è dimostrato dalla sottoposizione, seppure parziale, del titolo VI al controllo giurisdizionale. La presenza della Corte, inoltre, tempera la dicotomia tra i pilastri e, in un certo senso, anticipa la riunificazione tra il diritto dell’Unione ed il diritto comunitario 74.

6.3. Il controllo giurisdizionale degli atti fondati sull’attuale titolo VI dopo l’entrata in vigore del trattato di Amsterdam

Nel procedere alla parziale comunitarizzazione delle materie attualmente rientranti nella CGAI diverse dalla cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale e nel consacrare il nuovo titolo VI a quest’ultimo settore, il trattato di Amsterdam non si preoccupa di disciplinare il regime giurisdizionale applicabile agli strumenti adottati sulla base dell’attuale terzo pilastro prima dell’entrata in vigore del nuovo trattato.

C’è, dunque, una lacuna che potrebbe essere superata in via interpretativa, anche se per le materie "comunitarizzate" non c’è una regola del tipo dell’articolo 2, protocollo sull’integrazione dell’acquis di Schengen nell’ambito dell’Unione europea. Secondo questo disposto il Consiglio procede alla scelta della base giuridica di ciascun atto da cui segue il regime giurisdizionale dello stesso, restando inteso che fintanto che questa scelta non sia stata effettuata il detto regime è quello degli atti del nuovo titolo VI.

Se, peraltro, un tale procedimento di incorporazione è giustificato dalla natura "internazionale" dell’acquis di Schengen, nel caso di atti adottati dal Consiglio ai sensi del titolo VI il loro transito nel pilastro comunitario è ben più facile. Il che potrebbe spiegare la mancata previsione dell’obbligo per il Consiglio di incorporare tali atti e milita, allo stesso tempo, per una applicazione automatica agli stessi, ratione materiae, del regime giurisdizionale di cui all’articolo 73 P trattato CE.

Per quanto riguarda, invece, gli atti dell’attuale titolo VI non comunitarizzati e, cioè, quelli rientranti nel settore della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, ritengo debba distinguersi tra le azioni comuni e le convenzioni. Per le prime l’assimilazione al regime delle decisioni-quadro del titolo VI modificato, quale risulta dall’articolo K. 7 TUE, mi pare possa essere prospettata considerato, per un verso, la natura sostanzialmente omogenea dei due tipi di atti e, per altro verso, la mancanza di tutela giurisdizionale rispetto agli atti dell’attuale terzo pilastro.

L’assimilazione è invece difficilmente proponibile con riguardo alle convenzioni adottate ex articolo K. 3 TUE 75. Questa norma, infatti, prevede la possibilità di un controllo giurisdizionale e le eventuali norme contenute nelle convenzioni o in protocolli ad esse relative vanno considerate, anche dopo l’entrata in vigore del trattato di Amsterdam, diritto speciale rispetto all’articolo K. 7 e, dunque, destinate a prevalere. Naturalmente le convenzioni adottate dopo l’entrata in vigore del trattato di Amsterdam saranno tutte assoggettate al regime dell’articolo K. 7 e pertanto non sarà necessario inserire norme sul controllo giurisdizionale nelle convenzioni o nei protocolli ad esse relative. Per quelle precedenti, pur in assenza di una previsione al riguardo che sarebbe stata assai opportuna 76, ritengo che gli stati membri non possano prevedere un controllo giudiziario dissimile da quello prefigurato dal trattato di Amsterdam. Al riguardo essi, infatti, restano vincolati dalla regola consuetudinaria di diritto internazionale che li obbliga a non privare un trattato del suo oggetto e del suo scopo nel periodo che intercorre tra la firma e l’entrata in vigore dell’accordo 77. La prassi successiva alla firma del trattato di Amsterdam sembra confermare questa interpretazione 78.

6.4. L’integrazione dell’acquis Schengen nel quadro dell’Unione europea

Un protocollo allegato al trattato di Amsterdam integra, sulla base di una proposta dei Paesi Bassi, l’acquis Schengen nell’ambito dell’Unione europea. Questo acquis comprende, secondo l’allegato al protocollo, l’accordo del 14 giugno 1985, la Convenzione del 19 giugno 1990, i protocolli e gli accordi di adesione relativi ai detti strumenti convenzionali, le decisioni e le dichiarazioni adottate dal Comitato esecutivo istituito dalla Convenzione, nonché gli atti per l’attuazione della Convenzione adottati dagli organi cui il Comitato esecutivo abbia conferito poteri decisionali. I tredici stati membri che fanno parte del sistema Schengen sono autorizzati a realizzare una cooperazione rafforzata nell’ambito istituzionale e giuridico dell’Unione europea e nel rispetto delle disposizioni del TUE e del trattato CE (art. 1). Si tratterà, a seconda dei casi, di una cooperazione rafforzata nel pilastro comunitario o nel terzo pilastro, la cui autorizzazione, ex articolo 5 A CE o K. 12 TUE si considera implicitamente concessa, avendo gli autori del protocollo verificato in via preventiva che i requisiti per tale cooperazione rafforzata si intendono soddisfatti. Con l’entrata in vigore del trattato di Amsterdam l’acquis si applica immediatamente ai detti stati, ed il Consiglio determina all’unanimità la base giuridica di ciascuna delle disposizioni o decisioni che fanno parte di esso, restando inteso che, fino all’adozione di tali misure, l’acquis Schengen è considerato fondato sul titolo VI (art. 2, II e IV comma) 79.

Una disposizione specifica precisa le competenze della Corte. Essa stabilisce che, a seconda delle basi giuridiche determinate, la Corte esercita le competenze conferitele dalle pertinenti disposizioni applicabili dei trattati. Ciò vuol dire che se la disposizione è nel pilastro comunitario troveranno applicazione le competenze tradizionali della Corte, se è nel titolo III bis, la competenza della Corte risulterà dall’articolo 73 P, se rientra nel terzo pilastro modificato, la competenza della Corte sarà invece quella prevista dall’art K. 7. E non c’è chi non veda che passo in avanti ci sia rispetto all’attuale assenza di controllo giurisdizionale. Quale che sia l’intensità dei poteri della Corte, l’articolo 2, terzo comma, ultima frase, esclude che, comunque, il giudice comunitario sia competente per quanto concerne "le misure e le decisioni relative al mantenimento dell’ordine pubblico e della sicurezza interna": si tratta di una eccezione "potenzialmente ampia" 80, che appare tuttavia in linea con quanto previsto dagli articoli. 73 P trattato CE e K. 7 TUE.

La scelta della base giuridica per gli atti dell’acquis Schengen è suscettibile di creare conflitti tra gli stati membri ed anche di provocare un impasse considerata l’esigenza del voto all’unanimità. Probabile è anche che possano sorgere controversie tra il Consiglio e la Commissione o tra il Consiglio ed il Parlamento. Al riguardo ci si è chiesti se la Corte sia o meno competente a dirimerli, eventualmente riformulando la base giuridica scelta dal Consiglio 81. La formulazione della norma secondo la quale la Corte esercita le proprie competenze "in base [alla] determinazione delle basi giuridiche" non mi pare possa essere interpretata come ostativa ad un tale controllo. Qui rientra in gioco l’articolo M. — come interpretato dalla Corte 82 — che consente a quest’ultima di esercitare il controllo di confine a salvaguardia delle competenze comunitarie.

Un altro aspetto rilevante riguarda il regime contenzioso della decisione con la quale il Consiglio procederà alla determinazione della base giuridica degli atti compresi nell’acquis Schengen. Questa decisione, infatti, fondata sul protocollo sull’incorporazione dell’acquis di Schengen che è allegato al trattato CE ed al TUE, concernerà sia il pilastro comunitario sia il terzo pilastro. Ora, trattandosi di una decisione che riguarda in modo simultaneo ed indivisibile i due trattati, ed operando il Consiglio, ai sensi del protocollo, come "quadro istituzionale unico" per le Comunità e per l’Unione 83, ne consegue che la competenza della Corte ed i mezzi d’impugnazione potranno ben essere quelli del trattato CE, ove il controllo giurisdizionale è più penetrante 84.

Infine, il fatto che la cooperazione Schengen sia a tredici non incide sul "quadro istituzionale unico". In assenza di disposizioni esplicite del trattato a questo riguardo, questa espressione va intesa nel senso che alle deliberazioni delle questioni collegate all’acquis Schengen possano partecipare anche i giudici e gli avvocati generali britannici ed irlandesi della Corte di giustizia, come d’altronde i parlamentari europei dei due paesi 85.

6.5 Il controllo giurisdizionale nelle "cooperazioni rafforzate"

Passo ora alla disciplina delle cooperazioni rafforzate ed agli aspetti del relativo controllo giurisdizionale.

Premetto che gli stati membri possono decidere di instaurare cooperazioni rafforzate sia nel quadro del pilastro comunitario sia nel terzo pilastro, come modificato ad Amsterdam. Il nuovo titolo VI bis TUE (artt. da K. 15 a K. 17) detta regole comuni orizzontali per i due tipi di cooperazione.

La presenza della Corte nelle cooperazioni rafforzate è il frutto, a quanto si sa, di una proposta belga 86. In base all’articolo L, lett. c) TUE la Corte è competente con riguardo alle disposizioni del titolo VI bis alle condizioni previste dall’articolo 5 A, trattato CE e K. 12 TUE. Ora, ai sensi dell’articolo K. 12, paragrafo 4, secondo comma, le disposizioni del trattato CE relative alla Corte di giustizia si applicano ai requisiti per la cooperazione rafforzata nel terzo pilastro, nonché al procedimento che porta il Consiglio ad autorizzare gli stati membri ad instaurare una tale cooperazione ovvero a parteciparvi successivamente. Ai sensi dell’articolo 5 A trattato CE, la Corte ha una competenza completa ed una disposizione che ne avesse precisato le competenze sarebbe stata inutile 87.

Nell’ambito di questo controllo, che si estende anche a tutti gli atti e le decisioni necessari per l’attuazione delle attività di cooperazione rafforzata (art. 5 A, par. 4) 88, la Corte sarà eventualmente chiamata a pronunciarsi sugli "importanti e specificati motivi di politica interna" — formula che richiama il compromesso di Lussemburgo del gennaio 1966 — che uno Stato membro può invocare per opporsi alla concessione di un’autorizzazione a maggioranza qualificata (art. 5 A, par. 2, II comma). In materia, però, il controllo giurisdizionale non potrà che essere marginale.

Nella cooperazione rafforzata del titolo VI si applicano invece, a norma dell’articolo K. 12, paragrafo 4, primo comma, le disposizioni degli articoli da K. 9 a K. 13, e pertanto, anche l’articolo K. 7, che precisa le competenze della Corte ai sensi di questo titolo VI 89. Al riguardo si è osservato che la tutela dell’acquis comunitario (condizione prevista per la cooperazione rafforzata dall’art. K. 15, par. 1, lett. c) pare adeguata dal momento che, in base all’articolo K. 7, paragrafo 6, la Corte ha una competenza di annullamento/invalidità 90; anche la tutela dei diritti, degli obblighi e degli interessi degli stati membri che non partecipano alla cooperazione pare assicurata (K. 15, paragrafo 1, lett. f). I detti stati membri sono legittimati davanti alla Corte anche se rispetto a questi profili il sindacato giurisdizionale è marginale, tenuto conto che si tratta di apprezzare concetti di chiara valenza politica 91.

A proposito del sindacato della Corte, ci si è chiesti se esso si estenda anche alle deliberazioni del Consiglio europeo che si pronuncia all’unanimità sull’autorizzazione a porre in essere la cooperazione rafforzata qualora un membro del Consiglio si opponga al voto a maggioranza qualificata. E si è prospettata, se pure in termini dubitativi, una risposta affermativa basata sul rilievo che l’articolo K. 12, paragrafo 4, secondo comma, sottopone l’intero procedimento alla competenza della Corte senza distinguere se l’autorizzazione sia rilasciata dal Consiglio o dal Consiglio europeo 92.

Questa lettura, peraltro, non convince. Osservo che gli autori del trattato, nel prevedere l’intervento dei massimi vertici degli stati membri, hanno sottilmente distinto tra le cooperazioni rafforzate del trattato CE e del terzo pilastro. Rispetto alle prime è previsto l’intervento del Consiglio, riunito nella composizione dei Capi di Stato o di Governo, cioè di una sua formazione particolarmente solenne (art. 5A, par. 2, I comma), mentre per le seconde è menzionato il Consiglio europeo 93. La scelta non pare casuale. Se essa, sotto il profilo istituzionale, può essere stata motivata dal tenere distinti il pilastro comunitario da quello intergovernativo, sotto il profilo del controllo giurisdizionale implica la non sindacabilità della deliberazione del Consiglio europeo. L’articolo K. 12, paragrafo 4, secondo comma, stabilisce infatti che "le disposizioni del trattato che istituisce la Comunità europea relative alle competenze della Corte di giustizia delle Comunità europee e all’esercizio di dette competenze" si applicano alla procedura di autorizzazione delle cooperazioni rafforzate. Ora, nel trattato CE, non si ritrova alcuna disposizione che consenta di impugnare un atto del Consiglio europeo 94; al contrario, l’articolo 173 trattato CE si riferisce soltanto agli atti delle istituzioni delle Comunità e, sul piano formale, il Consiglio europeo non ha tale natura neppure dopo i trattati di Maastricht e di Amsterdam che gli hanno affidato competenze specifiche anche nel quadro CE 95.

Per quanto riguarda, infine, la composizione del collegio giudicante nelle controversie relative a casi di cooperazione rafforzata va ritenuto che, in assenza di una norma analoga a quella prevista per le deliberazioni del Consiglio (art. K. 16, par. 1), possano farvi parte anche i membri della Corte cittadini di stati membri che non partecipano alla cooperazione. In tal senso milita anche l’esigenza del rispetto del "quadro istituzionale unico" (art. K. 15, par. 1, lett. b) 96.

6.6. La tutela giurisdizionale dei diritti fondamentali

Ho fatto riferimento, a più riprese, alla possibilità che i diritti fondamentali siano compressi nell’esercizio delle competenze attribuite alla Comunità ed all’Unione, rispettivamente, dalle norme in materia di libera circolazione e di cooperazione nel settore della giustizia e affari interni. Nel pilastro comunitario la Corte di giustizia, con una giurisprudenza risalente agli anni 1969 e 1970 97 ha assicurato il rispetto di tali diritti sia parte delle istituzioni comunitarie, sia da parte degli Stati membri quando la loro normativa rientri nell’ambito di applicazione del diritto comunitario 98.

Il trattato di Maastricht ha affermato, successivamente, all’articolo F, par. 2, che "l’Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’Unione, delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e quali risultano dalle tradizioni comuni degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitario".

Il trattato di Amsterdam pone un nuovo tassello in vista di questa tutela. Per un verso, infatti, sostituisce il paragrafo 1 dell’articolo F TUE sancendo che "l’Unione si fonda sui principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, e dello stato di diritto, principi che sono comuni agli Stati membri"; per l’altro, modifica l’articolo L TUE stabilendo, alla lett. d), che la Corte di giustizia è competente rispetto all’articolo F, paragrafo 2 "per quanto riguarda le attività delle istituzioni nella misura in cui la Corte sia competente a norma dei Trattati che istituiscono le Comunità europee e a norma del presente trattato".

Al riguardo vale la pena di rilevare, in primo luogo, che la non sottoponibilità a sindacato giurisdizionale dell’articolo F, paragrafo 1, non comporta inconvenienti almeno per quanto riguarda il principio dello Stato di diritto, se è vero, come è vero, che la Comunità e l’Unione sono fondate sulla rule of law e che, più in generale, i principi in questione sono sicuramente ricompresi nelle tradizioni costituzionali comuni di cui all’articolo F, paragrafo 2 99, norma, come ho ricordato, a cui il trattato di Amsterdam ha esteso il controllo giurisdizionale.

Con riguardo alla lett. d) dell’articolo L TUE, che assoggetta alla competenza della Corte il sindacato dei diritti fondamentali, osservo che essa ha una portata che non deve essere trascurata anche se l’ambito del sindacato giurisdizionale è diverso a seconda della diversa intensità del controllo giurisdizionale e se il rispetto dei diritti fondamentali, resta, comunque, un parametro di legittimità degli atti comunitari 100. Se nel pilastro comunitario essa non fa che costituzionalizzare il ruolo del giudice comunitario 101 ed il riferimento "all’attività delle istituzioni" non può essere considerato riduttivo rispetto alla giurisprudenza 102, per il terzo pilastro la tutela giurisdizionale dei diritti fondamentali è invece una novità, anche se le restrizioni apposte all’accesso alla Corte da parte dei privati, ai sensi degli articoli
K. 7 e K. 12 rendono l’estensione del sindacato
della Corte "rather illusory" 103; il secondo pilastro (PESC), infine, è sottratto al controllo del giudice comunitario 104.

Ricordo, inoltre, che il trattato di Amsterdam ha inserito un nuovo articolo F. 1 nel titolo I TUE fra le disposizioni comuni, in cui si stabilisce una specifica procedura per la constatazione da parte del Consiglio, riunito nella composizione dei Capi di Stato e di Governo, su parere conforme del Parlamento europeo, dell’esistenza di una violazione grave e persistente dei principi di libertà e democrazia, rispetto dei diritti dell’uomo e dello stato di diritto. In tal caso il Consiglio può decidere di sospendere alcuni dei diritti derivanti allo Stato membro dal TUE, compresi i diritti di voto in seno al Consiglio.

Una parallela modifica ai trattati istitutivi delle Comunità (artt. 236 trattato CE, 96 trattato CECA, 204 trattato Euratom) prevede che, quando sia stato deciso di sospendere i diritti di voto a norma dell’articolo F. 1, paragrafo 2, TUE i suddetti diritti di voto sono sospesi anche negli altri trattati (paragrafo 1). Inoltre, qualora sia stata constatata la violazione grave e persistente, il Consiglio può decidere di sospendere, anche alcuni dei diritti derivanti dall’applicazione dei presenti trattati comunitari.

Quanto al controllo giudiziario rilevo che l’articolo L non menziona le disposizioni comuni del TUE, fra le quali figura l’articolo F. 1. Quest’ultimo, pertanto, è sottratto al sindacato giurisdizionale. Anche se si tratta di una sanzione basata su di una valutazione squisitamente politica può apparire sorprendente l’assenza della Corte nel quadro di una Unione fondata sulla rule of law, il cui rispetto è espressamente sancito dall’articolo F, paragrafo 1 105 ed è discutibile che lo Stato membro interessato possa essere privato del diritto di ricorrere contro la decisione che accerta la violazione grave e persistente dei diritti fondamentali 106. In ogni caso il sindacato della Corte si sarebbe limitato al procedimento nonché ad un controllo assai marginale dell’errore manifesto di valutazione. Veniamo ai trattati comunitari. Qui ci sono due situazioni da tenere distinte: da un lato, la possibilità per il Consiglio di sospendere alcuni dei diritti derivanti dai detti trattati e, dall’altro, la sospensione dei diritti di voto. Mentre quest’ultima non è sindacabile in quanto discende come effetto automatico dalla eventuale decisione del Consiglio ai sensi dell’articolo F. 1, paragrafo 2, TUE, diversamente nel caso di sospensione di altri diritti derivanti dall’applicazione dei trattati comunitari, la decisione del Consiglio è impugnabile. In questo quadro la Corte potrebbe essere chiamata a valutare l’obbligo del Consiglio di tener conto delle conseguenze della sospensione "sui diritti e gli obblighi delle persone fisiche e giuridiche" 107. Questo controllo potrebbe essere attivato in relazione ai diritti derivanti allo Stato membro dal titolo III bis trattato CE, mentre non c’è alcun sindacato sulla eventuale sospensione dei diritti derivanti dal terzo pilastro.

6.7. Il protocollo sull’asilo per i cittadini degli stati membri

Un ultimo profilo meritevole di esame concerne il protocollo sull’asilo per i cittadini degli Stati membri. Questo protocollo ha alla sua base la vicenda dei baschi sospettati di terrorismo che avevano chiesto asilo in Belgio, e la conseguente proposta spagnola di vietare l’asilo per i cittadini dell’Unione. Il compromesso raggiunto considera gli stati membri come paesi di origine sicuri e prevede che essi prenderanno in esame o ammetteranno la richiesta di asilo di cittadini comunitari soltanto in tre casi collegati, in sostanza, alla violazione dei diritti fondamentali da parte dello Stato membro di appartenenza. Peraltro, il carattere compromissorio del protocollo è reso evidente dalla disposizione secondo cui, in casi diversi dalla violazione dei diritti fondamentali, lo Stato membro può sempre unilateralmente decidere di accogliere una domanda di asilo 108.

Il protocollo, nel suo preambolo, menziona la Corte di giustizia per ricordare che essa è competente ad assicurare il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dell’articolo F, paragrafo 2 TUE da parte della Comunità europea. Il riferimento, peraltro, non ci aiuta molto a definire l’ambito dei poteri del giudice comunitario. Se a venire in rilievo sono di sicuro le disposizioni giurisdizionali figuranti nel trattato CE, cui il protocollo è allegato, non è chiaro, a prima vista, se trovi applicazione il regime generale ovvero quello speciale dell’articolo 73 P relativo al nuovo titolo III bis, dedicato ai visti, asilo, immigrazione ed altre politiche connesse con la libera circolazione delle persone.

In proposito, peraltro, non credo debba trarre in inganno la materia disciplinata dal protocollo. Infatti, l’asilo di cui esso si occupa riguarda i cittadini dell’Unione, mentre il titolo III bis concerne piuttosto i cittadini dei paesi terzi. Conforta questa interpretazione l’esplicito riferimento, che figura nel preambolo del protocollo, alla cittadinanza dell’Unione la quale garantisce al suo titolare uno status ed una tutela speciale. Inoltre l’articolo 73 P, come qualsiasi disposizione derogatoria, è di stretta interpretazione. Ne consegue la piena applicazione del regime generale del trattato CE, specie per quanto riguarda il rinvio pregiudiziale 109.

Note

(*) Referendario della Corte di giustizia delle Comunità europee.

1 V., in particolare, i pareri del Consiglio di Stato dei Paesi Bassi e del Consiglio di Stato belga in occasione della ratifica della Convenzione di applicazione. In sede parlamentare l’assenza del controllo giudiziario del terzo pilastro è stata denunziata, fra l’altro, dal Senato belga, dal Parlamento dei Paesi Bassi, dai gruppi parlamentari CDU e CSU al Bundestag tedesco; le critiche del Parlamento europeo sono consegnate, soprattutto, nelle risoluzioni 19 novembre 1992 (GUCE 1992, C 337, p. 214) e 6 novembre 1995 (GUCE 1995, C 109, p. 169).

2 L’odg è riportato nel volume Da Schengen a Maastricht, Apertura delle frontiere, cooperazione giudiziaria e di polizia, a cura di B. Nascimbene, Milano, 1995, p. 264.

3 Un comitato speciale di giuristi, istituito dagli stati membri della Convenzione di Schengen con la finalità di studiare gli aspetti del controllo giurisdizionale, avanzò al riguardo due diverse soluzioni. Propose, da un lato, di attribuire alla Corte la relativa competenza sulla base di protocolli analoghi a quelli del 3 giugno 1971 e del 19 dicembre 1988, rispettivamente, relativi alle convenzioni di Bruxelles del 27 settembre 1968, concernente la competenza giurisdizionale e l’esenzione delle decisioni in materia civile e commerciale, e di Roma del 19 giugno 1980, concernente la legge applicabile alle obbligazioni contrattuali. Suggerì, dall’altro, di utilizzare la possibilità prevista dall’articolo 182 trattato CE e consistente nel deferire alla Corte di giustizia, mediante compromesso, la competenza a risolvere le controversie tra stati membri connesse con l’oggetto del trattato di Roma: invero gli accordi di Schengen (v. il preambolo dell’Accordo del 1985 e gli artt. 134 e 142 della Convenzione del 1990) possono ben essere considerati un sottosistema sussidiario rispetto a quello comunitario o, come oggi si direbbe con la terminologia del trattato di Amsterdam, una "cooperazione rafforzata" già esistente e predeterminata. Ricordo, inoltre, che il Governo olandese avanzò formalmente la proposta di attribuire la competenza alla Corte mediante protocollo. Rammento, ancora, che anche il Parlamento europeo (risoluzione 6 aprile 1995, GUCE 1995, C 109, p. 169) chiese di istituire "un efficace controllo giuridico sull’applicazione della Convenzione di Schengen, indispensabile per ridurre i rischi di interpretazioni discordanti a livello nazionale" e ritenne che la Corte di giustizia fosse l’organismo idoneo a svolgere tale controllo giurisdizionale (punto 4).

4 Cfr., soprattutto, D. O’keeffe, "The Schengen Convention: A Suitable Model for "European Integration"", in Y. Eur. L., 1991, pp. 185-219, spec. pp. 212-213; Idem, "European Immigration Law and Policy: the Schengen Conventions and European Community Law", in Les accords de Schengen: abolition des frontières intérieures ou menace pour les libertés publiques? Actes du colloque tenu à Luxembourg les 18 et 19 juin 1992, a cura di A. Pauly, Maastricht, 1993, pp. 171-183, spec. pp. 174-175.

5 La Corte ha fatto riferimento all’articolo L TUE come limite alla propria competenza nelle ordinanze 13 gennaio 1995, Roujanski, Bonnamy, C-253/94, C-264/94, (Racc. p. I-7), e 7 aprile 1995 Grau Gomis, C-167/94, (Racc. p. I-1023).

6 Al riguardo si è detto, con una immagine ben scelta, che la Corte nel decidere sull’actio finium regundorum ha il ruolo di "frontier guard of the Community Pillar, rather that of policeman of the Third" (A. Whelan, "Fundamental Rights, Democracy and the Rule of Law in the Third Pillar", in Justice Cooperation in the European Union. The Creation of a European Legal Space. Reflections on the Growing role of the European Union in Cooperation on Justice and Home Affairs, a cura di G. Barret, Dublin 1997, p. 205-221, spec. p. 212).

7 V., per una prima valutazione della vicenda, A. Lang, "Terzo pilastro e competenza della Corte di giustizia: una prima occasione di verifica", in Dir. Un. eur. 1996, pp. 887-889.

8 GUCE 1996, L 63, p. 8.

9 Conclusioni dell’Avvocato generale Fennelly, presentate il 5 febbraio 1998, non ancora pubblicate nella Racc., parr. 7-18.

10 La Corte ha effettivamente seguito questa impostazione nella sentenza 12 maggio 1998, non ancora pubblicata nella Racc. (v., soprattutto, i punti 12-18 sulla competenza e i punti 21-33 quanto al merito).

11 In questo senso v. la risposta della Commissione del 9 novembre 1995 all’interrogazione scritta n. E-2971/95 dell’onorevole Roth (GUCE 1996, C 161, p. 5).

12 Anche rispetto al limitato ruolo della Corte di giustizia riguardo alle convenzioni fondate nell’articolo K. 3 va sottolineato che esso non si estende, secondo il trattato di Maastricht, alle misure di applicazione delle medesime.

13 Questa analisi è largamente condivisa in dottrina. V. fra gli altri, C.A. Gronendijk, "The Competence of the EC Court of Justice", in A new Immigration Law for Europe? The 1992 London and 1993 Copenhagen Rules on Immigration, Utrecht, 1993, pp. 50-51;
N. Neuwahl, "Judicial Control in Matters of Justice and Home Affairs: What Role for the Court of Justice?", in Justice and Home Affairs in the European Union. The Development of the Third Pillar, Brussels, 1995, pp. 301-320; D.M. Curtin e J.F.M. Pouw, "La coopération dans le domaine de la justice et des affaires intérieures au
sein de l’Union européenne: une nostalgie d’avant Maastricht?", in Rev. Marché Un. eur., 1995, pp. 13-34, spec. pp. 22-27; M. Lepoivre, "Le domaine de la justice et des affaires intérieures dans la perspective de la CIG", in Cah. dr. eur., 1995, pp. 323-349, spec. p. 337; D. O’keeffe, "Recasting the Third Pillar", in Comm. Mark. L. Rev., 1995, pp. 893-920, spec. pp. 908-911; M. Fierstra, "Role of the Court of Justice with Regard to Cooperation in the Fields of Justice and Home Affairs", in Contemporary International Law Issues: Conflicts and Convergence, Proceedings of the Third Joint Conference organised by the American Society of International Law and Nederlandse Vereniging voor International Recht, The Hague, 13-15 luglio 1995, T.M.C. Asser Institut, The Hague, 1996, pp. 218-224; N. Neuwahl, "Problems with Judicial Control in the Third Pillar: the Example of the Europol Convention", in Justice et Affaires intérieures. L’Union européenne et la Suisse, a cura di R. Bieber, A.C. Lyon e J. Monar, Berne, 1997,
pp. 35-46; J. Rossetto, "Le contrôle judiciaire dans la Convention de Schengen et dans le troisième pilier", in The Implementation of Schengen: First the Widening, Now the Deepening, a cura di M. den Boer, Maastricht 1997, pp. 27-40.

14 Corte di giustizia, "Relazione su taluni aspetti dell’applicazione del trattato sull’Unione europea, Lussemburgo, maggio 1995", in Riv. dir. eur. 1996, p. 336. Su questa relazione (nonché sul "Contributo in vista della conferenza intergovernativa del 1996 del Tribunale di primo grado", in Riv. dir. eur. 1996, pp. 349-353) v. A. Arnull, "The Community Judicature and the 1996 IGC", in Eur. L. Rev., 1995, pp. 599-611; G. Dellis, "L’avenir de la Cour de justice et du Tribunal de première instance des Communautés européennes dans la perspective de la Conférence intergouvernementale de 1996", in Eipascope, 1995, n. 3, pp. 16-18; "The IGC 1996 and the Court of Justice (editorial comments)", in Comm. Mark. L. Rev., 1995,
pp. 883-892; P.P. Craig, "The Road to the 1996 Intergovernmental Conference. The Contribution of the European Court of Justice and the Court of First Instance", in Public Law, 1996, pp. 13-17; J.L. Da Cruz Vilaça, "La nouvelle architecture judiciaire européenne et la conférence intergouvernementale", in Cah. dr. eur., 1996, pp. 3-8; G.F. Mancini, "Le rapport de la Cour de justice des Communautés européennes", in La conférence intergouvernementale sur l’Union européenne, cit., pp. 101-104; O. Due, "The Judicial System of European Union in the Perspective of the 1996 Intergovernmental Conference", in Modern Issues in European Law. Nordic Perspectives. Essays in Honour of Lennart Pålsson, Stockholm, 1997, pp. 17-32.

15 Questa è, tra l’altro, l’opinione del Select Committee on the European Communities della House of Lords, a giudizio del quale "the European Court is perfectly capable of applying this Convention [Europol] as an inter-State Agreement outside the Community pillar" (Report on Europol, session 1994-1995, 10th Report, HL Paper 51, paragrafo 123).

16 In questi termini H. Labayle, "La coopération dans les domaines de la justice et des affaires intérieures", in La révision du Traité sur l’Union européenne. Perspectives et réalités. Rapporto del Groupe français d’études pour la Conférence intergouvernementale 1996, diretto da Ph. Manin, Paris 1996, pp. 123-138, spec. pp. 137-138.

17 Nessun controllo giudiziario è previsto, nella Convenzione firmata a Dublino il 15 giugno 1990 (GUCE 1997, C 254, p. 1), sulla determinazione dello Stato competente per l’esame di una domanda di asilo presentata in uno degli stati membri delle Comunità europee. L’accordo, infatti, si limita a prevedere che il comitato da esso istituito e composto dal rappresentante del Governo di ogni Stato membro, "esamina, su richiesta di uno o più stati membri, qualsiasi problema di carattere generale relativo all’applicazione o all’interpretazione della Convenzione" (art. 18, paragrafo 2, primo comma).

18 L’espressione è di L. Salazar, "Il controverso ruolo della Corte di giustizia nel "terzo pilastro": prime applicazioni dell’articolo K. 3 del trattato sull’Unione europea", in Studi in onore di G.F. Mancini, vol. II, Diritto dell’Unione europea, Milano 1998, p. 926, con ampie indicazioni circa i lavori preparatori delle convenzioni. V., anche,
M. Condinanzi, "La (fantomatica) competenza della Corte di giustizia delle Comunità europee nelle convenzioni concluse dagli Stati membri ai sensi dell’articolo K. 3, lett. c) del trattato sull’Unione", in Dir. Un. eur. 1996, pp. 579-582; P. Fimiani, La tutela penale delle finanze comunitarie, Pescara 1998, spec. pp. 197-204.

19 Adottata il 10 maggio 1995 (GUCE 1995, C 78, p. 1).

20 Adottata il 26 luglio 1995 (GUCE 1995, C 316, p. 33).

21 Adottata il 26 luglio 1995 (GUCE 1995, C 316, p. 48).

22 Noto, al riguardo, che l’articolo 39 della Convenzione stabilisce che la competenza relativa alla responsabilità extracontrattuale di Europol è devoluta ai giudici nazionali individuati ai sensi dei criteri di competenza previsti dalla Convenzione di Bruxelles del 1968 sul riconoscimento delle sentenze e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale. Il protocollo relativo ai privilegi e alle immunità di Europol e dei membri dei suoi organi, dei suoi vicedirettori e agenti, adottato il 1° giugno 1997, all’articolo 13 prevede che le controversie concernenti il rifiuto di sospendere un’immunità di Europol o di una persona che, a causa della sua posizione ufficiale, goda dell’immunità a norma dell’articolo 8, paragrafo 1, sono discusse dal Consiglio per giungere ad una soluzione e, qualora non sono risolte, il Consiglio decide all’unanimità in merito alle modalità per la loro risoluzione (GUCE 1997, C 221, p. 1).

23 V., ad esempio, l’articolo 27, paragrafo 2 della Convenzione SID.

24 V., ad esempio, l’articolo 8, paragrafo 2 della Convenzione PIF che limita la competenza della Corte alla disposizione relativa alla definizione della frode agli interessi finanziari della Comunità (art. 1) ed a quella che contiene l’obbligo per gli stati membri di comunicare alla Commissione le disposizioni di trasposizione in diritto interno degli obblighi derivanti dalla Convenzione e delle altre informazioni il cui scambio potrà essere deciso ai fini del rispetto della Convenzione stessa (art. 10). V. anche il protocollo concernente l’interpretazione in via pregiudiziale da parte della Corte di giustizia della Convenzione PIF e quello relativo alla Convenzione SID, adottati il 29 novembre 1996 (GUCE 1997, C 151, p. 1 e p. 15).

25 Adottato il 23 luglio 1996 (GUCE 1996, C 299, p. 1). Per cenni al negoziato v. L. Salazar, op. cit., pp. 914-917.

26 Hanno limitato l’accettazione ai giudici di ultima istanza: Francia e Irlanda (per la Convenzione Europol), Francia, Irlanda e Portogallo (per la Convenzione PIF), Irlanda e Portogallo (per la Convenzione SID).

27 Hanno esteso l’accettazione a tutti i giudici: Austria, Belgio, Finlandia, Germania, Grecia, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo e Svezia (per quanto riguarda la Convenzione Europol, riservandosi, ad eccezione della Finlandia e della Svezia, di prevedere l’obbligo di adire la Corte per i giudici di ultima istanza; v. GUCE 1996, C 299, p. 1 1997, C 100, p. 1). Austria, Germania, Finlandia, Grecia, Paesi Bassi e Svezia (per la Convenzione PIF, riservandosi, ad eccezione della Finlandia e della Svezia, di prevedere l’obbligo per i giudici di ultima istanza; v. GUCE 1997, C 151, p. 1). Austria, Finlandia, Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi e Svezia (per la Convenzione SID, prevedendo, ad eccezione della Finlandia e della Svezia, l’obbligo di adire la Corte per i giudici di ultima istanza; v. GUCE 1997, C 151, p. 15).

28 C. Blumann, "Aspects institutionnels", in Rev. trim. dr. eur., 1997, p. 747, nota 72, peraltro, osserva che, diversamente dalla clausola facoltativa di giurisdizione obbligatoria della Corte internazionale di giustizia, nel sistema delle convenzioni ai sensi dell’articolo K. 3 TUE (come pure rispetto all’art. K. 7 TUE, modificato dal trattato di Amsterdam) non pare ammissibile la revoca dell’accettazione.

29 Adottato il 19 giugno 1997 (GUCE 1997, C 221, p. 11). Gli organi giurisdizionali comunitari sono altresì competenti in materia di responsabilità extracontrattuale della Comunità.

30 GUCE 1995, L 281, p. 31.

31 Adottata il 27 settembre 1996 (GUCE 1996, C 313, p. 13).

32 Precisamente all’articolo 1 (contenente le definizioni di funzionario nazionale e funzionario comunitario, con specifica eccezione della lett. c) in cui si precisa la definizione di funzionario nazionale), agli artt. 2 e 3 (corruzione passiva ed attiva) ed all’articolo 4 (assimilazione degli illeciti commessi da membri della Commissione, del Parlamento, della Corte di giustizia o della Corte dei conti europea a quelli commessi da parlamentari, ministri e componenti delle giurisdizioni superiori o delle Corti dei conti nazionali).

33 Adottata il 26 maggio 1997 (GUCE 1997, C 261, p. 17).

34 Peraltro, a differenza di quanto previsto dal protocollo del 1971, l’elenco di cui alla lett. a) può essere modificato su richiesta dello Stato membro interessato, ad es. in caso di modifiche dell’organizzazione giudiziaria. La relativa procedura è semplificata rispetto a quella prevista per le modifiche della Convenzione: la variazione dell’elenco, infatti, è decisa dal Consiglio ed entra in vigore senza che gli stati membri debbano adottarla secondo le rispettive norme costituzionali.

35 H. Labayle, "Un espace de liberté, de sécurité et de justice", in Rev. trim. dr. eur. 1997, p. 154. Si precisa che i riferimenti agli articoli e ai titoli del TUE e del trattato CE, quali modificati dal trattato di Amsterdam, non tengono conto della nuova numerazione stabilita dall’articolo 12 di quest’ultimo trattato che, comunque, potrà essere ricavata dalla tabella di corrispondenza allegata al trattato di Amsterdam.

36 Così K. Hailbronner, "The New Title on Free Movement of Persons Asylum and Immigration in the TEC", in Schengen, judicial cooperation and policy coordination, a cura di M. den Boer, Maastricht, 1997, p. 210.

37 In questo senso H. Labayle, op. cit., p. 138.

38 Questo è il parere anche di K. Hailbronner, op. cit., p. 210, che collega la competenza interpretativa della Corte alla nozione di "Comunità di diritto".

39 V., fra gli altri, C. Blumann, op. cit., p. 38; H. Labayle, op. cit., p. 863; S. Langrisch, "The Treaty of Amsterdam, Selected Highlights", in Eur. L. Rev. 1998, p. 8; A. Duff, The Treaty of Amsterdam, Text and Commentary, London, 1997, p. 21; K. Hailbronner, op. cit., p. 202; P. Wachsmann, "Les droits de l’homme", in Rev. trim. dr. eur., 1997, p. 890; "Legal Analysis", in Making Sense of the Amsterdam Treaty, a cura di European Policy Centre, Brussels 1997, p. 120, paragrafo 211; K. Lenaerts, E. De Smijter, "Le Traité d’Amsterdam", in J. Trib. Dr. Eur., 1998, p. 30; G. Strozzi, Diritto istituzionale dell’Unione europea. Dal trattato di Roma al trattato di Amsterdam, Torino, 1998, p. 111. Ricordo che in una versione precedente dell’articolo 73 P, al tempo denominato articolo H, predisposta dalla Presidenza olandese in vista del Consiglio europeo di Nordwijk (non-paper SN/2555/97, Compilation of texts under discussion), il rinvio pregiudiziale da parte dei giudici di ultima istanza non solo era facoltativo ma non riguardava neppure la validità degli atti di diritto derivato.

40 In questo senso J.M. Favret, "Le Traité d’Amsterdam: une révision à minima de la "Charte constitutionnelle" de l’Union européenne. De l’intégration à l’incantation", in Cah. dr. eur., 1997, pp. 566-567; F. Dehousse, "Le Traité d’Amsterdam: un mélange de modestie et de complexité", in J. Trib., 1997, p. 724; J.L. Sauron, "Le Traité d’Amsterdam: une réforme inachevée?", in Rec. Dalloz, 1998, p. 74.

41 Per l’obbligatorietà, senza motivare, si pronunciano R. Barents, "Some Observations on the Treaty of Amsterdam", in Maastricht J. Eur. Comp. L., 1997, p. 342, J. De Miguel Zaragoza, "La cooperación judicial en el titulo VI del Tratado de Amsterdam", in Bol. inform., 1997, n. 1807, pp. 5-39 a p. 12; S. Van Raepenbusch, "La Cour et le Traité d’Amsterdam", in Bull. Cour., 1997, n. 51, p. 25; Idem, "Le résultats du Conseil européen d’Amsterdam (les 16 et 17 juin 1997). Présentation générale du Traité d’Amsterdam", in Actualités de droit, 1998, pp. 7-67, spec. p. 38, nota 60; M. Petite, "Le Traité d’Amsterdam: ambitions et réalisme", in Rev. Marché Un. eur., 1997, p. 47; O. Due, The Amsterdam Treaty and the Court of Justice, Danish Institute of International Affairs, Working Papers 1998/6, p. 16.

42 V., anche, P. Jenard, "Relazione sui protocolli relativi all’interpretazione da parte della Corte di giustizia della Convenzione del 29 febbraio 1968 sul reciproco riconoscimento delle società e persone giuridiche e della Convenzione del 27 settembre 1968 concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, del 3 giugno 1971", in GUCE 1979, C 59, p. 69.

43 V., in particolare, la sentenza 6 ottobre 1982, Cilfit, 283/81, Racc. p. 3415. Ricordo che questa pronuncia è stata richiamata, ai fini dell’applicazione del protocollo del 1971, dalla Corte di cassazione italiana nella sentenza 11 aprile 1983, n. 2549, Capezzone c. Devrull, in Riv. dir. int. priv. proc., 1984, p. 366.

44 In questo senso v. PE, Relazione sul trattato di Amsterdam, degli onn. Mendez de Vigo e Tsatsos, doc. PE 223.314 def. del 5 novembre 1997, p. 95; contra, J.M. Favret, op. cit., p. 567.

45 V. sul tema C. Curti Gialdino, "Acquis communautaire", in Dir. Un. eur., 1996, pp. 643-668.

46 È questo il suggerimento avanzato da O. Due, op. cit., p. 17, basato sulla sua esperienza di Presidente della Corte di giustizia dal 1988 al 1994.

47 Soprattutto in Germania la giurisprudenza sociale della Corte è stata oggetto di vivaci critiche: si vedano le prese di posizione del Ministro del lavoro Blum ("Die leise Übermacht", in Der Spiegel 1992, n. 49, p. 102) e del Cancelliere Kohl (Der Bundeskanzler, Presse und Informationsdienst der Bundesregierung, 5 ottobre 1992, n. 460-92). Inoltre v. J.H.H. Weiler, "Journey to an Unknown Destination: A Retrospective and Prospective of the European Court of Justice in the Arena of Political Integration", in J. Comm. Mark. Stud., 1993, pp. 417-446, a p. 444, ricorda che uno Stato membro [la Germania] avanzò, nel corso del Consiglio europeo di Edinburgo del 1992 l’idea di limitare il rinvio pregiudiziale alle sole giurisdizioni supreme.

48 Osserva al riguardo O. Due, op. cit., p. 17 che "this will result in legal uncertainty and in practice considerably reduce the role as safeguard of individual rights in the Community law which preliminary references plays in other areas". L.S. Rossi, "Verso una parziale "comunitarizzazione" del terzo pilastro", in Dir. Un. eur., pp. 248-251, spec. pp. 249-250, osserva, giustamente, che la norma crea "discriminazioni, sotto il profilo della tutela giurisdizionale dei diritti fra cittadini comunitari, che potrebbero chiedere il rinvio alla Corte a tutti i giudici, ed extracomunitari, i quali avrebbero tale possibilità solo nei giudizi di ultimo grado. L’introduzione di un diverso standard di tutela giurisdizionale per gli stranieri e per i cittadini comunitari solleva il problema dell’osservanza dei diritti fondamentali della persona da parte dell’ordinamento comunitario".

49 In questo senso v. C. Blumann, op. cit., p. 38.

50 V. PE, Relazione sul trattato di Amsterdam, cit., p. 55, "per compensare il diritto [rectius la facoltà] delle giurisdizioni subordinate a chiedere una pronuncia pregiudiziale, abolito nel presente titolo, si introduce un diritto oggettivo in materia (...) Tale novità ha il vantaggio, qualora nella prassi amministrativa, una questione giuridica diventi controversa con riguardo ad un caso specifico, di consentire la pronuncia di una giurisdizione principale già anteriormente alla prima decisione amministrativa. In tal modo è possibile evitare di oberare gli organi giurisdizionali di migliaia di ricorsi grazie ad un unico processo e gli interessati hanno inoltre il vantaggio di non essere più pregiudicati da una decisione eventualmente sfavorevole contro la quale devono presentare ricorso".

51 In questo senso v. B. Nascimbene "Tutela dei diritti fondamentali e competenza della Corte di giustizia nel trattato di Amsterdam", in Studi in onore di G.F. Mancini, cit. p. 691.

52 K. Hailbronner, op. cit., p. 202, ritiene trattarsi di una "special advisory procedure".

53 Dai protocolli del 1971 e del 1988 la norma peraltro si distacca non solo con riguardo ai soggetti abilitati ad attivare la Corte che in quel caso sono, in via normale, i procuratori generali presso le corti di cassazione e, comunque, a ogni altra autorità designata a tal fine, ma anche con riferimento ai presupposti del rinvio. Nei due protocolli la relativa competenza presuppone, infatti, l’esistenza di una o più decisioni "passate in giudicato" emanate da giurisdizioni dell’ordinamento dell’autorità che attiva la competenza interpretativa della Corte, "in contrasto con l’interpretazione data o dalla Corte di giustizia o da una delle giurisdizioni di un altro Stato contraente" delle convenzioni di Bruxelles e di Roma.

54 Nella versione francese della norma è utilizzato il termine "arrêt".

55 Fatta salva la possibilità per esso di interrogare nuovamente la Corte.

56 V., al riguardo, la giurisprudenza della Corte costituzionale italiana che ha affermato la immediata applicabilità anche delle statuizioni delle sentenze interpretative della Corte di giustizia pronunciate in via pregiudiziale ai sensi dell’articolo 177 del trattato di Roma, non solo da parte del giudice nazionale nell’esercizio della sua giurisdizione, ma anche della stessa pubblica amministrazione nello svolgimento della sua attività amministrativa (sentenze n. 113 del 1985 e n. 168 del 1991).

57 In questo senso C. Blumann, op. cit., p. 746; R. Barents, op. cit., p. 342.

58 V. PE, "Relazione sul trattato di Amsterdam", cit. p. 5.

59 Una disposizione identica figura all’articolo 2 del protocollo sulla posizione della Danimarca.

60 S. Van Raepenbusch, "La Cour et le Traité d’Amsterdam", cit., p. 27; Idem, "Les résultats", cit., p. 47, trova "curioso" che la Corte non si possa pronunciare sull’invalidità delle convenzioni, ma la soluzione mi pare coerente tenuto conto della loro natura di accordi tra gli stati membri e non di atti delle istituzioni.

61 Per quest’ultimo rilievo v. anche F. Dehousse, op. cit., p. 725. Al riguardo S. Van Raepenbusch, "Les résultats", cit., p. 48, rileva che il potere d’interpretare il trattato può ritenersi implicito qualora la Corte debba interpretare il diritto derivato; più discutibile, peraltro, è la possibilità per le giurisdizioni nazionali di chiedere espressamente alla Corte l’interpretazione del trattato.

62 L. Salazar, op. cit., p. 928, ricorda, a questo riguardo, che "è stato necessario pagare un tributo alla preoccupazione degli Stati che, attraverso il conferimento della competenza pregiudiziale (...) potesse darsi ingresso ad impugnative rivolte, nella sostanza, a sindacare il concreto esercizio statale dell’attività di polizia".

63 Così H. Labayle, op. cit., p. 876.

64 All’atto della firma del trattato di Amsterdam, Austria, Belgio, Germania, Grecia e Lussemburgo hanno optato per la facoltà a favore di tutte le giurisdizioni. I suddetti stati membri, ad eccezione della Grecia — conformemente alla dichiarazione sull’articolo K. 7 adottata dalla conferenza ed allegata all’atto finale della conferenza dei rappresentanti dei governi degli stati membri riunita ad Amsterdam il 2 ottobre 1997 — si sono riservati il diritto di prevedere nelle loro legislazioni nazionali l’obbligo di rinvio per le giurisdizioni di ultima istanza. I Paesi Bassi hanno dichiarato, invece, di accettare la competenza della Corte, e di stare ancora esaminando se la facoltà di adire la Corte possa essere conferita anche a giurisdizioni non di ultima istanza.

65 In questo senso S. Van Raepenbusch, "La Cour et le Traité d’Amsterdam", cit., p. 27, nota 8; Idem, "Les résultats", cit., p. 48, nota 75; H. Labayle, op. cit., p. 875.

66 In questo senso M. Ligot, La révision des Traités européens après Amsterdam, Rapport d’information pour la Délégation pour l’Union européenne de l’Assemblée nationale, n. 39, Paris 1997, p. 48.

67 Il rilievo è avanzato anche da H. Labayle, op. cit., p. 875. Nella Relazione sul trattato di Amsterdam, cit., p. 57, si osserva che "finché lo Stato non abbia effettuato la dichiarazione" le sue giurisdizioni non sono tenute (benché autorizzate) a rispettare l’interpretazione della Corte di giustizia in sentenze pronunciate su domanda di giurisdizioni di altri stati membri.

68 Contra H. Labayle, op. cit., p. 878 per il quale il terzo pilastro registra l’assenza del contenzioso per l’inadempimento e di quello per carenza e ritiene che l’efficacia del nuovo dispositivo risulta gravemente minacciata.

69 Al riguardo si è osservato che questa limitazione al ricorso per inadempimento è meno sorprendente di quella prevista nel titolo III bis (art. 73 L, paragrafo 1) in quanto il terzo pilastro risente ancora molto dell’originario impianto intergovernativo (C. Blumann, op. cit., p. 749). Diversamente per P. Femiani, op. cit., p. 206, "la precisazione contenuta nel paragrafo 5 dell’articolo K. 7 appare quanto mai opportuna" per evitare il rischio di arrivare a sindacare le misure e/o i controlli posti in essere per combattere, ad es., le frodi ritenendole "insufficienti quanto allo scopo da raggiungere".

70 Non si comprende, pertanto, perché taluno abbia ritenuto che la legittimazione del Parlamento "sera une oeuvre de longue haleine" (H. Labayle, op. cit., p. 875) e altri abbiano recisamente escluso la possibilità per il Parlamento di ricorrere tenuto conto della natura degli atti impugnabili (C. Blumann, op. cit., p. 742; P. Wachsmann, op. cit., p. 891).

71 Lo rileva anche S. Van Raepenbusch, "Les résultats", cit., p. 48, senza prospettare, peraltro, alcuna soluzione.

72 Per F. Dehousse, op. cit., pp. 724-725, si tratta di una deviazione del ricorso di inadempimento.

73 La limitazione alle sole convenzioni restringe la possibilità della Commissione di incidere sul corretto funzionamento del titolo VI anche quando la materia (com’è il caso per la tutela degli interessi finanziari) coinvolge direttamente le sue competenze (L. Salazar, op. cit., p. 877).

74 Per questo rilievo v. C. Blumann, op. cit., p. 748.

75 L. Salazar, op. cit., p. 931, propone, tuttavia, al fine di omogeneizzare il controllo giurisdizionale, di leggere l’articolo K. 7, paragrafo 1, ove è detto che la Corte è competente ad interpretare "le convenzioni stabilite ai sensi del presente titolo", come applicabile anche alle convenzioni ex articolo K. 3 e suggerisce che questa estensione possa essere formulata nella dichiarazione di accettazione della competenza della Corte. S. Van Raepenbusch, "Les résultats", cit.,
p. 49, si domanda, invece, se i protocolli diverranno "lettera morta".

76 Ricordo, peraltro, la dichiarazione n. 7 inserita nell’atto finale, secondo la quale l’azione nel settore della cooperazione di polizia di cui all’articolo K. 2, comprese le attività di Europol, è sottoposta ad un appropriato sindacato da parte delle autorità competenti in base alle norme applicabili in ciascuno Stato membro. La dichiarazione, tuttavia, non ha carattere obbligatorio e, come non si è mancato di osservare (F. Dehousse, op. cit., p. 724), è troppo vaga ed a termine comporterà differenze di trattamento importanti secondo gli stati membri.

77 Sul principio di buona fede v. la sentenza della Corte permanente di giustizia internazionale 25 maggio 1926, "Intérêts allemands en Haute-Silésie polonaise" (C.P.J.I. serie A, n. 7, pp. 30 e 39). Il principio è stato codificato dall’articolo 18 della Convenzione di Vienna del 23 maggio 1969 sul diritto dei trattati (UNTS vol. 788, p. 354). Per un’applicazione nel sistema comunitario v. TPG, sentenza 22 gennaio 1997, Opel Austria c. Consiglio, causa T-115/94, Racc. p. II-39, punti 89-91.

78 Infatti la Convenzione relativa alla mutua assistenza ed alla cooperazione tra amministrazioni doganali, (cd. Napoli II), adottata il 18 dicembre 1997, disciplina all’articolo 26 la competenza della Corte di giustizia ad interpretare le sue disposizioni secondo modalità praticamente identiche a quelle previste all’articolo K. 7 TUE, come modificato dal trattato di Amsterdam.

79 K. Hailbronner, op. cit., p. 211, si chiede se la scelta della base giuridica determina anche la natura dell’atto o se ci sarà una nuova categoria di atti (ex acquis Schengen). Il precedente dell’accordo sulla politica sociale milita per l’utilizzazione della nomenclatura del trattato CE.

80 J. Monar, "Schengen and Flexibility in the Treaty of Amsterdam: Opportunities and Risks of Differentiated Integration in the EU Justice and Home Affairs", in Schengen, judicial cooperation and policy coordination, cit., p. 20.

81 Dubitativamente, P. Masson, Rapport d’information sur l’intégration de Schengen dans l’Union européenne, fait au nom de la délégation du Sénat pour l’Union européenne, Sénat, sess. ord. 1997-1998, n. 53, p. 10.

82 Sentenza 12 maggio 1998, Commissione c. Consiglio, causa C-170/96, non ancora pubblicata nella Racc., punti 12 a 18.

83 V. articoli C ed E Tue.

84 V. sentenza 10 febbraio 1983, Lussemburgo c. Parlamento, causa 230/81, Racc. p. 255, punto 19.

85 È la stessa soluzione applicata nel caso del protocollo e dell’accordo sulla politica sociale, che il trattato di Amsterdam abroga.

86 H. Labayle, op. cit., p. 880, nota 160.

87 C.-D. Ehlermann, "Différenciation, flexibilité, coopération renforcée: les nouvelles dispositions du Traité d’Amsterdam", in Rev. Marché Un. eur., 1997, p. 84. In questo senso anche L. Salazar, op. cit., p. 929.

88 V. Constantinesco, "Les clauses de "coopération renforcée": le protocole sur l’application des principes de subsidiarité et de proportionnalité", in Rev. trim. dr. eur., 1997, p. 757, ritiene che, secondo il precedente dell’accordo sulla politica sociale, tali atti saranno quelli della nomenclatura CE.

89 Per S. Van Raepenbusch, "Les résultats", cit., p. 50, dal tenore dell’articolo K. 7, paragrafo 4 si deduce che trovano applicazione le vie di ricorso di diritto comune del sistema comunitario.

90 J. Monar, op. cit., p. 23.

91 J. Monar, op. cit., pp. 24-26. Per A. Duff, op. cit., p. 195, si tratterà, invece, di un controllo politico, sottratto alla valutazione giurisdizionale.

92 Per questa tesi v. G. Strozzi, op. cit., p. 110.

93 Per la distinzione v. C. Curti Gialdino, Il trattato di Maastricht sull’Unione europa. Genesi-Struttura — Contenuto — Processo di ratifica, Roma 1993, p. 42.

94 Cfr., in termini, le ordinanze del Tribunale di primo grado 14 luglio 1994, causa T-584/93 Roujanski c. Consiglio (Racc. p. II-585), e Bonnamy c. Consiglio, causa T-179/94, (non pubblicata in Racc.) confermate dalla Corte con ordinanza 13 gennaio 1995, cit., sulle quali v. il commento di R. AD.[AM], "Roujanski e Bonnamy c. Consiglio, ovvero il ruggito del topo", in Dir. Un. eur., 1996, pp. 307-309.

95 Vedi, in specie, l’articolo 103, paragrafo 2, come modificato dal trattato di Maastricht, nonché il nuovo articolo 128 quale risulta dal trattato di Amsterdam.

96 In questo senso anche V. Constantinesco, op. cit., p. 758.

97 V. sentenze 12 novembre 1969, Stauder, 29/69, Racc. p. 419; 17 dicembre 1970, Internationale Handelsgesellschaft, 11/70, Racc.
p. 1125, 29 maggio 1997, Kremzov, C-299/95, Racc. p. I-2629.

98 Sentenza 18 giugno 1991, ERT, C-260/89, Racc. p. I-2925, punto 42.

99 In questo senso PE, Relazione sul trattato di Amsterdam, cit., p. 56.

100 Non si tratta, infatti, di una disposizione che "paraît (...) relever de l’illusionisme", come ritiene P. Wachsmann, op. cit., p. 898). Di diverso avviso è R. Barents, op. cit., p. 334-335 a giudizio del quale risulterebbe dal combinato dell’articolo L e dell’articolo F. 2. lett. d) che sono sottoposti a controllo giurisdizionale solo gli atti basati sui trattati CE, CECA ed Euratom con la conseguenza che gli atti del secondo e terzo pilastro e quelli degli stati membri nel campo di applicazione dei trattati istitutivi sarebbero sottratti al sindacato. Ci sarebbe, dunque, addirittura un regresso nella tutela giurisdizionale, il che mi pare contrario alle reiterate affermazioni tendenti alla salvaguardia dell’acquis. Per questo autore la lett. d) dell’articolo L, invece, potrebbe comportare sviluppi sostanziali sulla tutela giurisdizionale potendo condurre ad una più generosa interpretazione dei requisiti di ricevibilità dei ricorsi dei privati nel caso in cui venga invocata la violazione dei diritti fondamentali.

101 Circa la sottoponibilità a sindacato giurisdizionale dell’articolo F, paragrafo 2, TUE prima della modifica dell’articolo L da parte del trattato di Amsterdam v. E. García De Eenterría, I diritti fondamentali nel trattato di Maastricht, Bologna 1992, p. 19; Idem, "Los derechos fundamentales europeos según el tratado de Maastricht sobre la Unión europea", in Derechos y Libertades 1993, pp. 473-480, spec. pp. 478-480; C. Curti Gialdino, "Il trattato di Maastricht", cit. p. 46; G. Gaja, "The Protection of Human Rights under the Maastricht Treaty", in Institutional Dynamics of European Integration. Essays in Honour of Henry G. Schermers, Dordrecht e a. 1994, vol. II, pp. 549-560, spec. pp. 552-553.

102 Secondo la giurisprudenza, infatti, la Corte è competente a verificare la compatibilità della legislazione degli stati membri con i diritti fondamentali quando essa provvede all’attuazione delle regole comunitarie (sentenza 13 luglio 1989, Wachauf, causa 5/88, Racc.
p. 2609, punto 19) ovvero quando la legislazione nazionale che pone ostacoli alla libera circolazione è difesa dallo Stato membro che fa leva su di una eccezione prevista dal trattato CE (sentenza 18 giugno 1991, ERT, causa C-260/89, Racc. p. I-2935, punto 43) o dalla stessa giurisprudenza comunitaria (sentenza 26 luglio 1997, Familiapress, causa C-368/95, Racc. p. I-3689, punti 24-25).

103 L’osservazione è di O. Due, op. cit., p. 21.

104 Cfr. S. Van Raepenbusch, "Les résultats", cit., p. 21.

105 In tal senso S. Van Raepenbusch, "Les résultats", cit., p. 26.

106 Per B. Nascimbene, op. cit., p. 690, la competenza della Corte ex trattato CE a pronunciarsi circa l’articolo F. 1, paragrafo 2, TUE può essere desunta dal richiamo che l’articolo 236 trattato CE fa a questa disposizione.

107 Nello stesso senso R. Barents, op. cit., p. 396; S. Van Raepenbusch, "Les résultats", cit., p. 27.

108 Il potere decisionale dello Stato membro, infatti, non è intaccato né dal protocollo, né dall’informazione che è tenuto a dare al Consiglio. In tal senso depongono anche le due dichiarazioni adottate dalla Conferenza, in particolare quella sulla lettera d) dell’articolo unico, nonché la dichiarazione del Belgio in cui tale Stato richiama gli obblighi che gli incombono, in forza della Convenzione di Ginevra del 1951 e del protocollo di New York del 1967, di esaminare individualmente ogni domanda d’asilo presentata da un cittadino di un altro Stato membro.

109 H. Labayle, op. cit., pp. 854-855, osserva che il giudice comunitario, in particolare, potrà essere chiamato a valutare il comportamento dello Stato membro rispetto alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, con riguardo, soprattutto, alle misure derogatorie di cui all’articolo 15 della stessa.