Gli incontri cominciano alle 12.10.

Incontro con il Prefetto ed il procuratore antimafia di Firenze.

PRESIDENTE. Desidero anzitutto ringraziare il prefetto che ci ospita in un palazzo tanto bello, anche per le attenzioni avute in seguito ai piccoli inconvenienti che si sono verificati.

I compiti istituzionali di questa Commissione sono noti. Vorremmo avere dal prefetto e dal procuratore notizie sull’assetto generale del ciclo dei rifiuti nella regione Toscana, in particolare nella provincia di Firenze, per capire se non vi siano atteggiamenti illeciti di qualche gravità o addirittura eventuali penetrazioni da parte della criminalità organizzata nel settore dei rifiuti, come talvolta ci è capitato di vedere.

Vorremmo anche verificare se nel sistema imprese-amministrazione stia maturando un livello di comportamenti più trasparente, perché, al di là dei fatti illeciti, spesso registriamo comportamenti ai margini del lecito con interventi della magistratura – sequestri e provvedimenti vari - perché una certa deontologia da parte delle imprese e delle amministrazioni si configura con ritardo in tutto il paese rispetto al far west dei rifiuti verificatosi fino a non troppi anni fa. Esiste ora un insieme di norme; sembra anzi che vi sia un tentativo di andare avanti, sia pure con diversificazioni tra le varie regioni italiane.

ACHILLE SERRA, Prefetto di Firenze. Ho scritto dei brevi appunti che mi permetterei di consegnare alla Commissione, se lo ritenesse opportuno.

In Toscana, come d’altra parte in altre regioni italiane, esiste uno scarto tra la produzione di rifiuti, in particolare quelli speciali, e le strutture impiantistiche per lo smaltimento degli stessi. Anche in Toscana esiste questo problema ed è serio.

Questa carenza è da attribuire alle resistenze dei cittadini, della popolazione che risiede laddove la discarica viene collocata. Essendomi confrontato con i colleghi delle altre province toscane, ho saputo, per esempio, che nella provincia di Pisa il comune di Chianni fu sciolto proprio a seguito di queste manifestazioni da parte della popolazione.

L’assenza di un numero adeguato di impianti di smaltimento può generare due tipi di risposte, come è ovvio, da parte degli imprenditori: può sorgere la tentazione di rivolgersi alla criminalità organizzata oppure può sviluppare la tendenza a reiterare violazioni della normativa in materia, con il ricorso ad un’illegalità ambientale diffusa.

L’ipotesi di interessi della criminalità organizzata nel settore dello smaltimento dei rifiuti in Toscana è da tempo sotto controllo da parte della magistratura, delle forze dell’ordine, devo dire anche degli enti locali.

Non vi è la sensazione, né vi sono elementi tali da far ritenere che oggi in Toscana la criminalità organizzata abbia messo mano su questo fenomeno. Come è noto, l’ultima indagine, risalente al 1993, fu svolta dalla procura di Napoli, dopo uno spostamento di competenze; vi fu l’individuazione di un’organizzazione camorristica che lambiva la Toscana, nel senso che molti imprenditori, attraverso la corruzione, erano riusciti ad assicurarsi degli appalti per il trasporto dei rifiuti al sud. Vi è stata un’indagine importante da parte della magistratura.

Mi pare che quest’audizione sia secretata …

PRESIDENTE. Poiché vengono redatti dei verbali stenografici, ove ritenesse di dare informazioni ancora coperte dal segreto istruttorio o di delicatezza particolare, dovrebbe segnalarlo in modo da procedere in seduta segreta.

ACHILLE SERRA, Prefetto di Firenze. Vorrei che si procedesse in regime di segretezza.

PRESIDENTE. D’accordo, proseguiamo in seduta segreta.

(Gli incontri proseguono in regime di segretezza)

PRESIDENTE. Riprendiamo la seduta pubblica.

ACHILLE SERRA, Prefetto di Firenze. L’arricchimento con lo smaltimento illecito in stretta correlazione con i clan camorristici è però avvenuto in Campania. E’ questa una sottolineatura che vorrei fare ulteriormente per dire che qui il territorio è stato semplicemente lambito, non è stato espropriato da parte della camorra. Vi è stato il segnale di qualche investimento di denaro proveniente da illeciti, soprattutto sull’area di Montecatini.

La camorra, invece, appare maggiormente dedita al riciclaggio, come dicevo prima, nello smaltimento dei rifiuti. Il fatto che non vi sia la mano dell’organizzazione criminale sulla Toscana paradossalmente spinge gli imprenditori a commettere illeciti, a portare i rifiuti fuori. Abbiamo anche riscontrato rifiuti provenienti da altre regioni, soprattutto dal Veneto, in particolare nella zona di Campi Bisenzio.

Le forze dell’ordine hanno avviato una serie di iniziative volte a monitorare il ciclo dei rifiuti e ad acquisire, attraverso una stretta collaborazione con tutti i soggetti interessati, segnalazioni e informazioni qualificate suscettibili di sviluppi investigativi.

Si è verificato anche il caso opposto. Come dicevo, molti rifiuti provengono non solo dal Veneto ma anche, se non vado errato, dal Piemonte e dalla Lombardia.

Tuttavia, appare evidente che, accanto all’attività info-investigativa, è fondamentale individuare strategie di intervento idonee a rimuovere le cause del fenomeno. In particolare, la carenza di impianti potrebbe essere superata realizzando dei "cicli di produzione compiuti" nell’ambito di aree industriali omogenee, di guisa da ricomprendere nello stesso distretto che beneficia delle attività produttive anche l’onere dello smaltimento dei rifiuti. Per altro verso, si può puntare all’obiettivo della creazione di "economie a ciclo chiuso", tramite la definizione di reti di imprese in cui i rifiuti di una produzione vengono utilizzati da un’altra come materia prima. Andrebbero ridotti i costi – questo segnale mi giunge da più parti – e semplificate al massimo le operazioni delle attività di smaltimento, in modo da creare per gli imprenditori un sistema di "ponti d’oro" verso la legalità in materia ambientale.

Nell’appunto che vorrei consegnare sono riportati brevi spunti provenienti dai prefetti di Arezzo, Pisa, Lucca e via dicendo riguardanti soprattutto le persone individuate a commettere illeciti. Sul tema dell’illegalità ambientale la Toscana si colloca al quarto posto dopo la Sicilia, la Calabria e la Campania. Su questo aspetto - sono state accertate 113 infrazioni - bisogna prestare e viene dedicata massima attenzione da parte di tutti.

Sarebbe mia intenzione riunire al più presto il comitato per la sicurezza e l’ordine pubblico, invitando anche personale del NOE, proprio per puntare sull’illegalità prima ancora che sulla criminalità organizzata, in ordine alla quale, secondo quanto mi risulta, non sussistono elementi tali da far ritenere che sia presente sul nostro territorio.

PRESIDENTE. Rispetto allo schema che lei configurava sulle diverse possibilità che esistono in carenza di impianti, vorrei dire che tale carenza riguarda purtroppo tutta l’Italia, sia pure con differenze significative perché poi ci portiamo dietro ritardi storici.

E’ importante segnalare per la Toscana un caso che spero sia particolare, giunto a nostra conoscenza nel corso di un’audizione svolta qualche mese fa del responsabile dell’Agenzia regionale recupero risorse, che credo sentiremo anche oggi. Un’indagine di campo svolta in modo attendibile dava luogo ad una discordanza non tanto tra rifiuti prodotti e carenza di impianti, quanto tra rifiuti speciali stimati - per intendersi, quelli che provengono eminentemente dall’industria – e il dato, molto più accurato, risultante da quest’indagine di campo: tra lo stimato – circa 2 milioni e mezzo di tonnellate di rifiuti speciali in un anno – e il dato risultante da quest’indagine di campo – circa 6 milioni di tonnellate – risultava un fattore superiore a 2, che spero non debba essere esteso in modo omogeneo a tutta l’Italia e tuttavia segnala per la Toscana una produzione di rifiuti speciali molto superiore rispetto alle valutazioni fatte dal Ministero dell’ambiente solo tre anni prima. In carenza di impianti purtroppo gran parte di questi rifiuti speciali verranno smaltiti – è un sospetto fondato – in maniera illecita, con danno all’ambiente e soprattutto alla salute dei cittadini.

L’altro aspetto è che la Toscana e l’Umbria sono tradizionalmente terre di passaggio (lo sono state per anni) di un colossale flusso di rifiuti. Oggi una particolare attenzione – non pretendiamo di avere una visione globale di tutti gli aspetti – deve essere rivolta ai centri di stoccaggio, nei quali si raccolgono i rifiuti separati, e agli impianti nuovi destinati al loro recupero.

Abbiamo visitato centri di stoccaggio, di selezione, di preselezione e di trattamento per il riavvio al recupero dei rifiuti che funzionano abbastanza bene; su altri invece, presenti non solo in Toscana ma un po’ ovunque, occorre concentrare la nostra attenzione perché se gli aspetti tecnologici non producono i risultati sperati, nonostante la semplificazione delle procedure, è in questi che si possono verificare situazioni illecite.

Ecco perché, suo tramite, ci permettiamo di segnalare anche alle altre prefetture la necessità di tenere sotto controllo non solo la grande produzione dei rifiuti speciali, tra i quali ve ne sono alcuni pericolosi (produzione che va seguita con molta attenzione in virtù del forte scarto che esiste tra le stime ufficiali e i risultati delle indagini di campo), ma anche i nuovi centri di stoccaggio.

ACHILLE SERRA, Prefetto di Firenze. Presidente, sul primo punto sono perfettamente d’accordo con la persona che ha riferito queste cose (probabilmente il direttore dell’ARPAT)…

PRESIDENTE. L’agenzia regionale recupero risorse, i cui rappresentanti ascolteremo più tardi.

ACHILLE SERRA, Prefetto di Firenze. Per quanto riguarda il secondo punto, interesserò immediatamente gli altri colleghi. Prendo atto dei suoi suggerimenti e mi farò carico di coinvolgere tutte le altre prefetture della Toscana.

PRESIDENTE. Do ora la parola al procuratore distrettuale antimafia di Firenze.

ANTONINO GUTTADAURO, Procuratore distrettuale antimafia di Firenze. Vorrei riferire su due questioni in particolare. La prima è relativa alle indagini in corso sull’illecito smaltimento dei rifiuti (ho qui con me una serie di dati fornitimi dal sostituto procuratore che in particolare si occupa di questo aspetto); la seconda è quella dell’eventuale incidenza di organizzazioni mafiose o camorristiche.

Per esempio, per quanto riguarda i cantieri dell’alta velocità sono in corso indagini in ordine alle modalità di smaltimento dei rifiuti provenienti dalle gallerie di scavo, in particolare dei fanghi contaminati da oli e cemento, che vengono smaltiti dalla società Cavet (consorzio di imprese che sta realizzando l’opera). Al riguardo sono state avanzate diverse ipotesi di reato, quali un’attività di smaltimento non autorizzata mediante abbandono dei fanghi in discariche autorizzate solo per materiali inerti o mediante tombamento dei fanghi stessi in cave aperte all’uopo per la realizzazione dei cantieri. Vi è poi una non corretta gestione del rifiuto nella forma del recupero presso un cementificio della zona del Mugello, denominato Calce Paterno, in quanto parrebbe trattarsi di rifiuto non compatibile con le modalità di recupero previste dal decreto ministeriale del 5 febbraio 1998.

Altre indagini riguardano poi la ditta Ecos di Barberino Val D’Elsa, una società di trasporto, intermediazione e raccolta dei rifiuti. Tale società è stata in diverse occasioni sorpresa a trattare i rifiuti raccolti dai vari produttori in modo illecito, mediante una miscelazione non consentita di rifiuti pericolosi, anche ospedalieri, con rifiuti non pericolosi.

Non mi dilungherò nell’elenco delle indagini avviate, riservandomi di consegnare alla Commissione la sintesi di queste, che mi è stata preparata dal sostituto procuratore della Repubblica. In questo appunto sono sette – ma ve ne sono sicuramente altre in corso – le indagini sulla liceità dello smaltimento dei rifiuti.

Ovviamente non posso pronunciarmi sulle cause e cioè se si tratti di illiceità dovuta ad un difetto nel rapporto tra quantità di rifiuti e discariche, né posso suggerire i provvedimenti necessari. Certo è che vi è una ricerca continua da parte degli speculatori dei rifiuti dei campi nei quali creare discariche abusive: è un dato che risulta, sia pure marginalmente, in diverse indagini che sono in corso o che si sono appena concluse.

Presidente, chiederei di proseguire in seduta segreta.

PRESIDENTE. D’accordo, proseguiamo in seduta segreta.

(Gli incontri proseguono in regime di segretezza).

PRESIDENTE. Riprendiamo la seduta pubblica.

Noi speriamo che le indagini non diano risultanze positive nel senso da lei indicato; già basta l’attività illecita ordinaria, senza che si debba connotare di tratti mafiosi!

In ogni caso i documenti che ci consegnerà e le cose che ci ha detto configurano un quadro informativo che in parte si raccorda in larga misura ad elementi già noti alla Commissione. Lei faceva riferimento ad inchieste precedenti che conosciamo molto bene.

Mi permetto di sottolineare questo aspetto: per quanto riguarda l’attività di indagine che è stata svolta a proposito della tratta di alta capacità Firenze-Bologna, abbiamo avuto occasione di fare un sopralluogo e di ascoltare direttamente il sostituto procuratore incaricato Deidda …

ANTONINO GUTTADAURO, Procuratore distrettuale antimafia di Firenze. … di Prato; però abbiamo anche noi qui a Firenze…

PRESIDENTE. Lì, patentemente sotto i nostri occhi si capiva che proprio da un punto di vista tecnico il lavoro di trattamento dei fluidi che venivano dagli scavi avveniva attraverso macchinari di capacità del tutto insufficiente, cosa che aveva determinato la quasi "uccisione" del fiume sottostante, di cui in questo momento non ricordo il nome. Questi aspetti che potrebbero sembrare in qualche modo avulsi riguardano il corretto operare perché, se ci sono grandi opere ed infrastrutture da realizzare, è bene che vengano attuate senza danneggiare corsi d’acqua e vallate, cosa che ovviamente è possibile fare, spendendo un po’ più di soldi ed usando dispositivi più adeguati. Mi fa quindi piacere sapere che vi è un’attenzione da parte della procura di Firenze su opere che hanno questo aspetto molto delicato perché oltre tutto vengono realizzate in un contesto geografico molto complesso; mi rendo conto che non è facilissimo predisporre dispositivi per l’abbattimento degli inquinanti, ma è opportuno farlo perché altrimenti si va incontro ad episodi come quelli che furono all’origine dell’attenzione da parte della Commissione.

ANTONINO GUTTADAURO, Procuratore distrettuale antimafia di Firenze. Mi metterò in contatto con il procuratore di Prato per verificare quali elementi egli abbia acquisito e coordinarci in questo senso.

PRESIDENTE. Il problema è che ci sono vari cantieri (sto parlando di episodi di due anni fa); noi esaminammo il T14 e il T13 o 15. Francamente, in questo momento non ricordo ma in ogni caso potrò metterla in contatto con i magistrati consulenti della Commissione; può essere che l’indagine che il sostituto procuratore ha disposto si riferisca ad altri cantieri. Anche per un’utilità di confronto, farò in modo che venga informato.

ANTONINO GUTTADAURO, Procuratore distrettuale antimafia di Firenze. Sono in corso altre indagini che speriamo abbiano uno sviluppo positivo. Ho voluto indicare queste due perché non mi pareva avessero un carattere particolare di riservatezza, essendo stati emessi provvedimenti, essendo state fatte perquisizioni ed ispezioni. Che vi sia in Toscana un fenomeno di illiceità nello smaltimento dei rifiuti, non v’è dubbio. Ve ne sono molti; io mi sono fatto indicare quelli che il sostituto riteneva di maggiore interesse (vi sono poi piccoli episodi). Qual è la causa? Secondo me vi è un istinto innato di speculazione, perché gli affari in questa materia sono importanti. Vengono scoperte discariche abusive in ogni posto, anche i rifiuti speciali. Del resto, noi operiamo in base alle segnalazioni effettuate dalle forze dell’ordine, dagli ambientalisti.

PRESIDENTE. Vi ringraziamo per il vostro contributo.

Gli incontri, sospesi alle 12,55, riprendono alle 14,25.

Audizione dell’assessore all’ambiente della regione Toscana, Tommaso Franci, del presidente dell’Agenzia regionale recupero risorse, Valerio Caramassi, e del direttore generale dell’ARPAT, Alessandro Lippi.

PRESIDENTE. Sono noti a tutti i compiti istituzionali della Commissione rifiuti. Dai nostri ospiti vorremmo avere un quadro sintetico dell’assetto regionale dal punto di vista dello smaltimento dei rifiuti, dei programmi ad esso collegati e vorremmo sapere soprattutto qual è lo stato dell’arte sul piano impiantistico, in che modo sta andando avanti lo smaltimento dei rifiuti, con quali programmi e con quali risultati. Inoltre – ma su questo punto si è già espresso il procuratore di Firenze, Serra – vorremmo sapere se nel ciclo dei rifiuti vi risultino situazioni illecite o addirittura se si riscontri la presenza della criminalità organizzata.

TOMMASO FRANCI, Assessore all’ambiente della regione Toscana. Ringrazio la Commissione per l’opportunità che ci ha offerto. E’ presente qui con me l’ingegner Giovanni Barca, che è il responsabile del servizio rifiuti e bonifiche della regione Toscana, e Valerio Caramassi, che è il presidente dell’Agenzia regionale recupero risorse, una società per azioni a maggioranza assoluta di proprietà dell’amministrazione regionale e che rappresenta un braccio operativo finalizzato allo sviluppo delle politiche dei rifiuti per quel che riguardo il riciclo e il recupero degli stessi.

Si sente sempre più il bisogno di verificare l’efficacia e l’efficienza dell’intervento pubblico in diversi settori, nel nostro caso nella politica dello smaltimento dei rifiuti: sicuramente, l’incontro di oggi rappresenta un’occasione che ci può aiutare a sviluppare sempre più questo metodo di verifica rispetto agli obiettivi che vengono prefissati.

Lascerò alla Commissione tutto il materiale che abbiamo preparato, che spero possa servire ai suoi lavori. Nel 1998, attraverso una nostra legge regionale, abbiamo recepito la normativa contenuta nel decreto Ronchi; da quel momento in poi (entro la fine della passata legislatura) l'amministrazione regionale si è dotata di tre piani complessivi che riguardano la gestione dei rifiuti urbani, la gestione dei rifiuti speciali e le bonifiche. Inoltre, contiamo molto su questo strumento di carattere costitutivo, che è l’Agenzia regionale recupero risorse, la quale consente un raccordo con tutta una serie di soggetti che vanno dal mondo imprenditoriale al mondo delle municipalizzate e ad altri soggetti che operano nel settore dei rifiuti; l’Agenzia, grazie soprattutto al tipo di struttura di società per azioni, può compiere alcune attività, in qualche forma di intesa anche con il mondo che è rappresentato dalla compagine societaria, per mettere a punto metodi e progetti che riguardano proprio lo sviluppo delle politiche della gestione dei rifiuti, oltre a svolgere funzioni importanti come la certificazione della produzione dei rifiuti, della raccolta differenziata nei singoli comuni (presupposto per tutta una serie di ulteriori provvedimenti, forme di incentivazione e di disincentivazione che in proprio l’amministrazione regionale della Toscana ha messo a punto in relazione all’accesso alle discariche.

Mi sento di dire che l’amministrazione regionale si è dotata in modo abbastanza soddisfacente di strumenti normativi, legislativi, regolamentari, pianificatori ed anche operativi; la vera sfida di fronte alla quale ci troviamo sta nel mettere in evidenza gli obiettivi che ci siamo prefissati, nel raggiungimento dei quali concorre senz’altro lo strumento legislativo, quello regolamentare o distributivo. Consideriamo tale strumentazione abbastanza matura e completa, nel senso che non abbiamo la necessità di strumenti ad hoc che ci forniscano servizi particolari per supportare l’attuazione delle politiche: certo, i soldi non sono mai sufficienti, ma utilizziamo con un certo criterio le risorse a disposizione. Penso per esempio all’obiettivo 2 dei nuovi fondi strutturali per le zone che sono state individuate dalla nostra regione, come è successo anche in passato: questo volume di investimento è gestito con criteri omogenei, finalizzati al raggiungimento di alcune priorità tra cui la realizzazione degli impianti e dei sistemi di gestione dei rifiuti.

Comunque, indipendentemente dalla completezza o meno di questa dotazione di strumenti, credo che il problema riguardi un po’ tutta la pubblica amministrazione; la legge diventa un obiettivo in se stesso; fare un piano diventa un obiettivo in se stesso. Credo che si debba spostare l’attenzione sulla verifica dell’attuazione degli obiettivi, sulla loro efficienza ed efficacia; e quando si è lontani dal loro raggiungimento, occorre capirne i motivi, al fine di trovare le soluzioni necessarie.

Ho la sensazione – magari poi domani dovremo cambiare la nostra legge regionale o i nostri piani – che il raggiungimento degli obiettivi non dipenda solo dall’aver messo in piedi questi strumenti come pubblica amministrazione, ma dal riuscire a mettere in moto una condivisione degli stessi da parte dei soggetti che realmente si occupano del recupero rifiuti.

Abbiamo messo a punto una specie di quadro direzionale molto sommario per quanto riguarda le nostre politiche di gestione dei rifiuti urbani a livello regionale e in esso abbiamo individuato una serie di variabili che vi elenco: la quantità totale dei rifiuti prodotti e l’andamento di questo dato (cioè se aumenta o diminuisce la produzione dei rifiuti); il livello di raccolta differenziata; la capacità di smaltimento all’interno degli ATO; la destinazione primaria dei vari flussi di rifiuti (selezione, trattamento, incenerimento e discarica); lo stato di attuazione dei piani provinciali; costituzione degli ATO; percentuale di rifiuti in discarica entro luglio 2001 (secondo le scadenze fissate dalle normative). Non pretendiamo che questo set di indicatori di variabili sia esaustivo, ma per noi è stato un modo per iniziare a lavorare in questa direzione. Pertanto, siamo perfettamente consapevoli che sarà un set di indicatori probabilmente carente per certi aspetti e dunque da aggiornare.

A livello regionale, per il 1999 – sono dati certificati dall’Agenzia regionale recupero risorse – abbiamo raggiunto l’obiettivo del 15 per cento previsto per il marzo dello scorso anno (si parla di quasi il 18 per cento di raccolta differenziata a livello regionale): abbiamo delle punte di eccellenza, come la provincia di Lucca, arrivata al 27 per cento; vi sono invece tre province che sono ancora al di sotto: Grosseto (6,3 per cento), Arezzo (12 per cento) e Livorno (13 per cento).

Vi è poi il dato di crescita della produzione dei rifiuti, che è invece molto preoccupante: in questo caso, rispetto agli obiettivi di stabilizzazione e di riduzione della crescita dei rifiuti previsti dal decreto Ronchi, confermati e rafforzati anche dalla nostra pianificazione regionale, dobbiamo registrare quasi un 8 per cento di crescita dei rifiuti tra il 1998 e il 1999. Già nel 1997-1998 eravamo intorno al 5,…

PRESIDENTE. Stiamo parlando di rifiuti solidi urbani?

TOMMASO FRANCI, Assessore all’ambiente della regione Toscana. Abbiamo sviluppato questo ragionamento in particolare per la gestione dei rifiuti urbani. Il dato è preoccupante; già si era visto un rallentamento della crescita in un momento di stagnazione economica, ma è chiaro che – consideriamo l’aumento di due punti percentuali del PIL del 1999 - se si volesse stabilire una correlazione, si potrebbe dedurre che ad un punto di crescita percentuale del PIL corrisponde un 4 per cento di aumento dei rifiuti. Certamente non vi sfuggirà questo aspetto. Se organizziamo o non organizziamo la raccolta differenziata, questa è una responsabilità nostra o delle singole province, ma questo dato, se certamente vede un nostro coinvolgimento che ci induce a lavorare con lo spirito di cui parlavamo prima con il mondo economico e della produzione, configura un problema complessivo che probabilmente non è neppure confinato all’interno del quadro istituzionale del nostro paese. Non ho una conoscenza precisa dell’andamento negli altri paesi europei, ma questo elemento deve essere preso in considerazione.

Abbiamo cinque province che smaltiscono al 100 per cento all’interno del proprio territorio e altre che hanno percentuali oscillanti tra il 5 e il 65 per cento; smaltiscono sostanzialmente nelle discariche regionali, il cui accesso è condizionato da un incentivo e un disincentivo rispetto al raggiungimento degli obiettivi della raccolta differenziata, in quanto chi non raggiunge tali obiettivi ha una penalizzazione nell’accesso alle stesse. Abbiamo qualche limitatissimo flusso tra le regioni legato a situazioni marginali: i comuni oltre il crinale appenninico della provincia di Firenze sono correlati al sistema emiliano per un discorso di funzionalità, secondo quanto previsto dal decreto Ronchi.

Complessivamente un 23 per cento della produzione totale di rifiuti, al netto della raccolta differenziata, afferisce ad impianti di selezione e trattamento, un 10 per cento va tal quale all’incenerimento e un 66,7 per cento va tal quale alla discarica.

4 province su 10 sono dotate del piano provinciale; gli organi sono insediati in 3 ATO su 9; rispetto all’obiettivo fissato al luglio del 2001 per la cessazione del conferimento dei rifiuti tal quali in discarica, prevediamo che a quella data potremmo essere al 54 per cento (abbiamo al riguardo una casistica articolata provincia per provincia, si va dal 95 allo 0 per cento).

Mi scuso se ho impiegato un po’ di tempo nell’illustrazione di questi numeri, ma ci interessava confrontarci, illustrare, far conoscere questo tipo di approccio, perché siamo nella fase iniziale. Qui si può aprire tutta una serie di riflessioni sui punti critici rispetto al raggiungimento di questi obiettivi, che sono legati in gran parte alla difficoltà nel localizzare e realizzare alcuni impianti strategici per il completamento del sistema.

Vi è in proposito un punto molto delicato e poco sviluppato al di fuori delle sedi specialistiche; penso ai problemi della comunicazione, ai criteri con i quali effettuarla. E’ evidente che vi è nell’opinione pubblica una grande sensibilità; non è un problema di trasparenza, anche se culturalmente vi può essere ancora l’idea che queste cose si decidono più o meno "alla zitta"; la nostra legge regionale codifica forme di partecipazione e di informazione. Devo però dire che dal punto di vista dell’efficacia di un’azione comunicativa e informativa, tra il dire e il fare vi è probabilmente un salto di qualità di sistema, di cultura della pubblica amministrazione; è un problema delicatissimo in una serie di competenze in materia ambientale, ma generalmente presente.

Se dovessi individuare il punto più delicato o l’aspetto su cui è possibile lavorare – tutti gli impianti di compostaggio che non siamo riusciti a far partire, la localizzazione degli scarichi e degli impianti di incenerimento – indicherei questo come un aspetto particolarmente critico all’interno di una riflessione che probabilmente non è stata condotta in modo sistematico sul motivo per cui questi processi decisionali si fermano. Non tutto può essere spiegato con il fatto che vi è una reazione popolare, uno scontento che inibisce le capacità decisionali di chi periodicamente è soggetto a ricercare il consenso in base alle regole democratiche. Credo si debba riuscire a dire e a fare qualcosa di più; mi pare che il punto chiave sia legato a quel sistema della comunicazione e dell’informazione.

In merito alla riduzione dei rifiuti, al di là della necessità di riferirsi ad uno scenario istituzionale, a responsabilità politiche che non possono essere confinate in un ambito regionale, il nodo è dato dall’intreccio tra politiche ambientali e politiche economiche. Di questo si tratta, quando si parla di strumenti di adesione volontaria per cui il mondo delle imprese deve condividere obiettivi strategici complessi ed esserne protagonista. Altrimenti mi sembra difficile poter realisticamente incidere con strumenti regolativi; tra l’altro questo deve necessariamente avvenire nel contesto dell’Unione perché si mettono in gioco le regole del mercato e della produzione in un modo profondo.

Su questo terreno una cosa che dobbiamo ancora fare è il piano dell’imballaggio, cui stiamo lavorando. Ci sono strumenti incisivi, ma la distanza è tale rispetto agli obiettivi che la cosa deve essere ripensata a fondo.

In questi casi vi è sempre un intreccio tra politiche ambientali e politiche dei servizi pubblici; penso all’insediamento degli ATO, all’affidamento dei servizi. Vi sono difficoltà che si incontrano con quelle di localizzazione degli impianti. E’ vero che da molti anni vigono il decreto Ronchi, la legge Galli, un certo schema di riordino dal punto di vista dei servizi pubblici e di altri servizi con valenza ambientale, ma ancora una volta tra il dire e il fare… Gli stessi consigli comunali sono perfettamente a conoscenza della logica, dell’architettura, del funzionamento e dell’organizzazione di questi servizi pubblici, ma quando si arriva al punto di fare la gara sorgono le difficoltà. Il processo però in qualche modo sta andando avanti; piano piano tutte le municipalizzate si trasformano in società per azioni. Comunque, non è così fluido come ci si sarebbe potuti aspettare a fronte di un quadro molto preciso. Si dovrà cercare di accompagnare alcune scelte; vi sono poi alcune cose "in ballo" riguardanti la normativa all’esame del Parlamento sull’affidamento ai servizi pubblici che condizionano tutto questo mercato dal punto di vista delle regole.

In merito ai rifiuti speciali, questo piano costituisce per noi un punto importante. Non sono ancora in grado di fare un ragionamento compiuto come quello fatto sulla gestione dei rifiuti urbani, anche se abbiamo un quadro informativo particolarmente ricco e dettagliato, grazie anche al lavoro svolto dall’Agenzia regionale recupero risorse. Qui più che mai si ripropongono i temi di cui si parlava circa le possibilità di recupero, di riduzione; l’orizzonte è sicuramente quello (qualche dato più dettagliato potrà essere dato dall’ingegner Barca).

Abbiamo un’attività che riguarda le bonifiche, su cui viene svolto un lavoro impostato, a nostro avviso, in modo molto soddisfacente. Il rinvio della scadenza fissata dall’articolo 17 del decreto Ronchi ha costituito per noi un "intoppo" perché avevamo predisposto ogni cosa addirittura con anticipo rispetto alla data fissata; abbiamo un piano che individua i diversi siti con differenti gradi di priorità. Sappiamo che i processi sono abbastanza complessi, conosciamo i problemi che probabilmente hanno prodotto la decisione di far slittare quella scadenza, ma tale decisione probabilmente crea degli spazi rispetto alle pressioni che abbiamo esercitato nei confronti dei proprietari di questi siti. E’ bene che la questione venga risolta nel modo migliore per consentire un’attività di bonifica compatibile con la gestione economica delle imprese coinvolte. La preoccupazione è che si arrivi però ad un’altra proroga e che si diffondano certe aspettative che non corrispondono alla realtà. Mi sento di dover far presente questi aspetti anche per il tipo di lavoro che finora è stato fatto a monte.

Segnalo infine che nel 1998, se non sbaglio, l’amministrazione regionale ha affidato all’ARPAT una campagna straordinaria di controllo su tutti gli impianti di smaltimento dei rifiuti della regione, anche di quelli speciali. Si è trattato di una campagna che doveva consentire di avere un quadro della situazione tale da far emergere anche eventuali elementi critici; in alcuni casi ci sono stati anche dei passi conseguenti. L’ARPAT ha compiuto uno sforzo non indifferente, al di là dell’attività che ordinariamente esercita, su iniziativa della giunta che ha ulteriormente consentito di avere un quadro di maggiore certezza nei confronti di tutto il sistema.

VALERIO CARAMASSI, Presidente dell’Agenzia regionale recupero risorse. Dal nostro punto di osservazione, per quanto riguarda la regione, credo di poter dire che con il decreto Ronchi si è aperto un processo culturale positivo nel governo dei rifiuti, che ancora però non è maturato a livello politico-gestionale: ci sono enormi contraddizioni (alcune le ha elencate l’assessore), ma comunque credo che si tratti di un dato di fatto di cui dobbiamo tener conto.

L’assessore Franci ha fatto riferimento al nodo comunicazione-informazione: credo che faccia parte di questo nodo anche il tentativo di mettere in evidenza i passi in avanti che si sono compiuti e quindi la possibilità di compierne altri. Rispetto ai punti critici, ricalcando l’esposizione dell’assessore, sui quali noi abbiamo compiuto analisi e aperto discussioni all’interno dei nostri gruppi, credo valga la pena sottolineare che il problema delle raccolte differenziate, oltre ad essere una questione quantitativa di raggiungimento degli obiettivi (sui quali abbiamo compiuto notevolissimi passi in avanti negli ultimi due o tre anni grazie al decreto Ronchi), è anche una questione di sbocchi di mercato. Nella nostra regione questo problema ha aspetti contraddittori, perché per alcune filiere, ad esempio carta e vetro, le nostre imprese – le cartiere e le vetrerie – riciclano molto di più di quanto non si riesca a raccogliere. Ciò vuol dire che da una parte vi sono spazi quantitativi per incrementare ulteriormente le raccolte differenziate e dall’altra che il problema degli sbocchi di mercato è essenzialmente di qualità dei materiali che si raccolgono. Questo è un aspetto controverso della politica delle raccolte differenziate che dovremo mettere a fuoco dal punto di vista dell’analisi (su questo vi è un programma dell’Agenzia regionale recupero risorse che svilupperà uno studio a partire dalla domanda di questi materiali, cioè dalle imprese finali possibili riutilizzatrici di questi materiali e non a partire dall’offerta, cioè dalle imprese che li raccolgono).

Un’altra osservazione è che se aumentano le raccolte differenziate aumentano anche i rifiuti. L’Agenzia europea per l’ambiente prevede entro il 2010 ulteriori aumenti di rifiuti, perché non esiste paese d’Europa o del mondo che preveda la diminuzione del prodotto interno lordo; ognuno ne programma la crescita ed ovviamente ciò comporta un aumento dei prelievi, un aumento della produzione, un aumento dei consumi (anzi, si cerca di stimolare i consumi per aumentare la crescita economica) e di conseguenza questo meccanismo comporta un aumento della produzione dei rifiuti.

E’ vero che questo legame strettissimo, se è evidente, come dice l’ANPA nel suo primo rapporto del 1999 sui rifiuti speciali, per i rifiuti urbani, è meno evidente o più contraddittorio per i rifiuti speciali. Tuttavia dobbiamo tener presente che, per quanto attiene ai rifiuti speciali – aspetto per la verità poco indagato anche a livello nazionale, tant’è che il primo rapporto è proprio del 1999 - un’attenzione nei confronti dei rifiuti di processo ci porterebbe, vista la nostra esperienza, a scoprire quantità enormemente più elevate di quei materiali rispetto a quanto possiamo immaginare. Ecco allora che bisognerebbe ricorrere ulteriormente alla politica economica per ottenere un aiuto, perché gran parte di questi rifiuti sono perfettamente riutilizzabili, a volte con piccoli accorgimenti, ma purtroppo non rientrano né nelle politiche economiche né in quelle gestionali.

A tale proposito sottolineo l’aspetto importante del rapporto fra comunicazione e informazione, per cui si registra uno sbilanciamento sproporzionato di attenzione sui rifiuti urbani ed una sostanziale ignoranza o rimozione psicologica sul tema dei rifiuti industriali speciali e pericolosi. E’ un aspetto che la regione Toscana ha cercato di affrontare, ma che richiama la necessità di una gestione complessiva di tutte le tipologie dei rifiuti; infatti, sarebbe davvero privo di senso pensare in modo separato alla gestione di queste tipologie.

Ebbene, l’esplosione dei dati ai quali ha fatto riferimento l’assessore (l’aumento del prodotto interno lordo in Toscana nel 1999 è stato di 1,7 punti), secondo il nostro punto di vista e secondo le nostre analisi, si ritrova andando a guardare l’aumento delle raccolte differenziate. Intendo dire che le raccolte differenziate sono in buona parte aggiuntive e comunque danno un contributo all’aumento complessivo della produzione dei rifiuti. Nel momento in cui sono partite le raccolte differenziate si è andati ad intercettare tipologie di rifiuti che prima non erano considerate tali. Per esempio, fino a poco tempo fa le potature venivano lasciate dov’erano e lì si compostavano o si bruciavano; successivamente si è andato compiendo uno sforzo encomiabile di intercettazione di tipologie che potevano essere a buona ragione contabilizzate. In verità, nelle nostre certificazioni abbiamo cercato di tener conto di questa variabile, per cui oltre ad una percentuale del 25 per cento queste tipologie non vengono contabilizzate come raccolte differenziate. Se al differenziale di aumento complessivo dei consumi negli anni 1996-1998-2000 si aggiunge l’aumento delle raccolte differenziate, o parte di queste, si può constatare come un contributo all’aumento complessivo dei rifiuti sia dato proprio dal fatto che per ora – e questo non significa che le raccolte differenziate non siano cosa buona – queste sono in parte aggiuntive e vanno a concorrere a quell’aumento di rifiuti al quale l’assessore faceva riferimento.

Per quanto riguarda la Toscana vi è poi un secondo elemento che concorre ad un aumento più significativo (anche perché più indagato e certificato) dei rifiuti: mi riferisco alla fascia dell’assimilazione, cioè ai rifiuti industriali assimilati agli urbani. Sapete che la tipologia dell’apparato industriale della Toscana è in alcuni distretti iperpolverizzata ed è accertato che scarti e residui di piccolissime imprese finiscono nei cassonetti in maniera perfettamente legittima perché sono assimilati agli urbani e perché in questo modo l’offerta dei servizi risponde comunque ad una domanda di servizi che esiste e che però viene contabilizzata sul fronte dei rifiuti urbani; è così che si registrano aumenti di questi ultimi, senza tener conto del fatto che tali rifiuti altrimenti andrebbero nei flussi degli industriali.

Questi due aspetti (intercettazione di tipologie di rifiuti urbani, che prima in qualche modo non venivano così esasperatamente ricercate per farle rientrare nel ciclo di gestione, per poter raggiungere gli obiettivi del decreto Ronchi, e politica di assimilazione di parte dei rifiuti industriali che vanno nel circuito degli urbani) danno una parziale ma consistente risposta al quesito sull’aumento dei rifiuti, fermo restando che esso si registra qui e fuori di qui: ovunque le economie programmano un aumento del prodotto interno lordo, un aumento dei consumi e un aumento delle produzioni. Naturalmente, salvo qualche tipologia che può in modo transitorio decrescere, è chiaro che se globalmente l’economia cresce, non possiamo che aspettarci alla fine che crescano anche i rifiuti.

Caso mai è da sottolineare – lo faccio volentieri e poi mi azzittisco – che grandissime quantità – le potrei anche elencare per quanto riguarda la nostra regione: dalle scorie d’alto forno, ai fanghi trattati (botte da 500 mila tonnellate l’anno), alla marmettola, ai fanghi del settore conciario, ai cascami del tessile – potrebbero tutte entrare nel ciclo economico. In verità, la regione Toscana l’ha capito così bene che, per esempio, il piano per le attività estrattive non a caso si chiama piano per le attività estrattive e il riutilizzo dei residui. Inoltre la regione Toscana ha prodotto una normativa copiosa che purtroppo stenta a diventare processo politico gestionale.

Concludo dicendo che forse uno dei problemi per cui non è ancora sufficientemente matura la fase politica e gestionale sta nel fatto che le province, non solo in questa regione ma anche in questa regione, hanno ricevuto dalla normativa nazionale e regionale poteri consistenti che sicuramente esuberano le loro risorse umane e finanziarie. Non a caso registriamo un ritardo nella formulazione dei piani dei rifiuti urbani, figuriamoci per quelli dei rifiuti speciali e delle bonifiche!

Forse il punto critico nel prevalere di una prassi che sia in linea con la legislazione regionale sta proprio lì. Non so quanto sia un problema di buona o cattiva volontà da parte delle province e quanto sia un problema di risorse effettive, sedimentate nel tempo, che forse sono insufficienti rispetto a queste necessità.

PRESIDENTE. Siamo interessati ad avere – credo che ci sia questa documentazione – i progetti riguardanti il recupero dei materiali cui accennava il presidente dell’agenzia regionale. Abbiamo visto in un impianto che le montagne continuano ad essere "affettate", tra l’altro creando anche un ciclo diseconomico perché per una serie di realizzazioni come le infrastrutture o come le opere di edificazione potrebbero tranquillamente essere utilizzati materiali di minor pregio come quelli risultanti dal recupero degli inerti. Se aveste studi, valutazioni, ipotesi e progetti su questo, sarebbe per noi molto utile averli.

Personalmente sono un po’ meno pessimista sulla correlazione crescita del PIL-crescita dei consumi. Traggo analogie non del tutto improprie dal settore energetico: senza dubbio l’incredibile esplosione negli ultimi venticinque anni, ma che sta ancora continuando, del settore dell’informatica, della telematica e via dicendo – si è parlato di dematerializzazione delle produzioni – mi rende meno pessimista su questa valutazione. Sia pure con molto ritardo, l’idea di ridurre a priori, ossia già nella progettazione delle merci, la quantità che poi diventerà rifiuto non recuperabile è qualcosa che sta facendo passi in avanti non solo in Italia ma anche in Europa.

Vorrei porre alcune domande cui spero vorrete dare risposte brevissime, vista l’esiguità del tempo a disposizione. Vorrei sapere se abbiate il dato o la stima su quanto del valore indicato del 17,83 per cento di raccolta differenziata vada – ahimè - a finire in discarica. La seconda domanda, che credo sia di pertinenza dell’assessore, verte su due questioni "calde", quella di Scarlino e di Marina di Pietrasanta, dal punto di vista della costituzione di comitati di cittadini e della difformità di vedute tra gli organi istituzionali (la provincia di Grosseto nel caso di Scarlino) e le imprese. Vorrei capire quale sia lo stato "autorizzativo" sia per Scarlino sia per Marina di Pietrasanta, che tipo di autorizzazione la regione abbia rilasciato e come ritenga che queste autorizzazioni operino nei due casi.

VALERIO CARAMASSI, Presidente dell’Agenzia regionale recupero risorse. Secondo noi del 17,83 per cento che abbiamo classificato come raccolta differenziata nulla va in discarica. La nostra certificazione è basata su questionari, su verifiche dei dati che non tornano; è certo che quello che certifichiamo va tutto al riciclo; forse siamo un po’ sotto rispetto al Veneto e alla Lombardia anche per questo. Il dato è questo anche perché – è il caso di dire – abbiamo potato il 75 per cento degli sfalci e delle potature; non le contabilizziamo tutte, ne contabilizziamo solo il 25 per cento. Abbiamo inviato i questionari, verificato le risposte, ci siamo recati sul luogo nel caso in cui i dati non ritornavano; certifichiamo che questo va tutto al riciclo, non con verifiche da UPG, ma con pezze d’appoggio da parte di chi fa le dichiarazioni.

PRESIDENTE. Che cosa mi dite delle autorizzazioni?

TOMMASO FRANCI, Assessore all’ambiente della regione Toscana. L’impianto di Scarlino gode di un’autorizzazione in fase sperimentale; l’impianto non fa parte né della precedente…

PRESIDENTE. Stiamo parlando dei forni ristrutturati…

TOMMASO FRANCI, Assessore all’ambiente della regione Toscana. L’impianto non fa parte della precedente pianificazione provinciale dei rifiuti; dico precedente perché la provincia di Grosseto è una di quelle che ancora non hanno redatto il nuovo piano, per cui, ad esclusione delle emissioni in atmosfera, non vi è alcun altro ruolo autorizzativo che coinvolge l’amministrazione regionale, anche se questa ha condotto una valutazione di impatto ambientale – ovviamente conclusasi con l’espressione di un orientamento positivo – che pure non era dovuta in base alla normativa allora in vigore (possiamo fornire la documentazione riguardante sia le autorizzazioni per l’atmosfera sia questa valutazione sull’impianto). Dal punto di vista politico-istituzionale la nostra architettura istituzionale affida ai piani provinciali la localizzazione degli impianti per il mantenimento del sistema di gestione dei rifiuti urbani. Si tratta di una scelta che dovrà essere fatta esclusivamente dell’amministrazione provinciale di Grosseto; si dovrà decidere se questo sistema potrà essere o meno inserito nella pianificazione e successivamente questo dovrà essere autorizzato da chi di competenza. Credo che quest’autorizzazione sperimentale del ministero scada a fine anno; vi è stata un’interruzione dell’attività, ma per questa parte mi manca qualche elemento …

PRESIDENTE. Questa parte è già a nostra conoscenza.

TOMMASO FRANCI, Assessore all’ambiente della regione Toscana. Per quanto riguarda l’impianto presso il comune di Pietrasanta in corso di realizzazione, dal punto di vista della pianificazione provinciale ai sensi del nuovo quadro normativo e pianificatorio esiste un "contenzioso", nel senso che la provincia di Lucca ha predisposto un piano che esclude questo impianto dalla propria pianificazione, mentre il nostro piano regionale prevede che gli impianti esistenti, comprendendo anche quelli in corso di realizzazione da parte del sistema pubblico, devono essere considerati come un vincolo, dovendo essere inclusi. Quindi, il titolare, quanto l’impianto verrà completato, si dovrà muovere nei confronti delle autorità competenti per l’autorizzazione.

In merito alla legge regionale n. 78 del 1998, il testo unico in materia di attività estrattive, la pianificazione è improntata alla preventiva verifica dei flussi di recupero di materiale assimilabile a quello proveniente da attività estrattive. Si tratta di un principio molto innovativo trattandosi di materie prime non rinnovabili anche se di pregio relativo (sapete bene quale sia il problema dell’impatto ambientale e paesaggistico legato allo sviluppo dell’attività estrattiva). Vi sono questioni molto rilevanti riguardanti la realizzazione di alcune grandi opere (gallerie, alta capacità, varianti e variantine di valico) qualcosa è già stato fatto, speriamo si possa dare una spinta definitiva perché soprattutto in relazione a queste grosse opere esclusivamente dell’amministrazione provinciale di Grosseto vi sono opportunità molto rilevanti.

Speriamo che poi si possa arrivare a questo nuovo piano. Questa è un’altra sfida rilevante sulla carta. Esiste la legge e in più vi è una delibera che incentiva l’uso di questo materiale nelle opere pubbliche. Vedremo che cosa accadrà in seguito di questi strumenti che consideriamo particolarmente importanti.

PRESIDENTE. Do ora la parola al direttore generale dell’ARPAT, al quale chiedo innanzitutto un quadro di riferimento per quanto riguarda l’efficienza e l’efficacia dei controlli: dovremmo ormai essere a pieno regime. Vi sono poi altri aspetti particolari ancora da verificare. Il primo è quello della discarica connessa alle grandi gallerie per la realizzazione di opere infrastrutturali (penso all’alta velocità Roma-Firenze). La Commissione ha avuto modo di interessarsi direttamente della situazione di alcuni cantieri nei quali abbiamo verificato che la gestione dei fluidi residuati dallo scavo, cioè i fluidi di lavaggio dello scavo, veniva amministrata in maniera tutt’altro che adeguata e ciò ha portato sostanzialmente alla chimizzazione del fiume limitrofo. Ad un anno di distanza da questi episodi di grave danno ambientale, abbiamo potuto constatare che i dispositivi presenti per trattare questi fluidi sono largamente inadeguati in termini di tecnologia (possiamo dire banalmente che è una questione di soldi).

Pertanto, vorrei sapere da voi com’è proseguita quella vicenda e vorrei anche conoscere l’attuale situazione delle bonifiche, con particolare riguardo a quella che mi sembra sia tra le più tormentate per il tipo di attività: mi riferisco all’area dell’Amiata, caratterizzata dalle estrazioni anomale dell’arsenico o di altri inquinanti. Sappiamo che l’ARPAT si è data da fare, ma vorremmo sapere adesso come sta procedendo la vicenda delle bonifiche, con particolare riguardo – lo ripeto – ai numerosi inquinanti e alla situazione complessa che si verifica alle falde dell’Amiata.

ALESSANDRO LIPPI, Direttore generale dell’ARPAT. Abbiamo preparato una documentazione che lasceremo agli atti della Commissione relativa all’esperienza e ai nodi critici del lavoro che abbiamo svolto e di quello tuttora in corso. Lo schema della relazione – salvo rispondere più puntualmente alle domande del presidente – riguarda l’attività di controllo in senso lato, i problemi del sistema informativo e del catasto (per noi non marginali, in quanto siamo attuatori e responsabili in prima persona: l’ARPAT è stata una delle poche agenzie alle quali la legge regionale ha attribuito l’esame del sistema informativo regionale ambientale nella sua globalità), le bonifiche e il supporto agli atti normativi.

Mi permetto di dire che siamo la prima agenzia istituita, operativa nel 1996; i dati che voi troverete, per quanto riguarda il sistema dei controlli, sono tuttavia relativi agli anni 1997, 1998, 1999 e al primo semestre 2000, per una questione molto semplice, anche se delicata: dal 1993 al 1996 non vi è stato praticamente alcun rilevamento nella fase prereferendaria e post-referendaria del passaggio dal servizio multizonale alla costituzione dell’Agenzia. Non abbiamo ritenuto validi i dati del 1996 perché contraddittori e incompleti. Dal 1997 vi è una sede storica puntuale che è qui rappresentata, dipartimento per dipartimento, cioè le dieci province toscane e poi due aree, il circondario empolese (che è un servizio subprovinciale) e un'area superprovinciale compresa tra Piombino e Isola d’Elba, che ha storicamente una propria configurazione ed autonomia, perché un tempo era un servizio multizonale autonomo.

Devo tuttavia sottolineare l’esistenza di una forte disomogeneità a livello non solo dei servizi che ci hanno preceduto nel magma del pianeta sanità ma anche delle amministrazioni locali rispetto alla gestione della vecchia normativa.

Le competenze in materia di autorizzazione e controlli sul ciclo dei rifiuti sono state complessivamente gestite, ma si sono verificate diverse situazioni di compulsioni, di interpretazione delle norme ed anche di ritardi. Il panorama nel 1996 era tutt’altro che omogeneo: si va da situazioni non dico di eccellenza ma comunque caratterizzate da approcci di grande dettaglio degli aspetti tecnici, normativi e gestionali, a situazioni in cui negli atti autorizzatori si registra un approccio schematico e talora approssimativo. L’indagine straordinaria avviata dalla regione è uno degli esempi rispetto all’impiantistica.

Pertanto, in alcune aree ci siamo trovati da soli, in termini quasi esclusivi, ed in altre in buona compagnia con indirizzi e rapporti con strutture provinciali in consolidamento (penso per esempio alla polizia provinciale).

La prima operazione strategica dell’Agenzia su iniziativa regionale è stata quella di omogeneizzare nel campo della gestione dei rifiuti e nell’impulso alla progettazione e al controllo di rifiuti come delle bonifiche una situazione di livello regionale. Fortunatamente, tutta la fase di attività ha coinciso con la fase di avvio del decreto Ronchi; pertanto, mentre ci facevamo le ossa e i muscoli sul piano più generale delle problematiche di matrice ambientale, abbiamo consolidato e avviato questo processo secondo la nuova normativa. Ciò è stato importantissimo, ma al tempo stesso ha aumentato contraddizioni e difficoltà, problemi interpretativi, attesa della normativa attuativa, cambiamento dei codici di classificazione ed altro.

Nell’ambito di questo progetto e programma straordinario dell’impiantistica si contano 80 infrastrutture: 74 oggi sono attive, mentre le discariche dismesse sono 6. Le discariche indagate sono 63, gli impianti di selezione di trattamento 4, gli impianti di incenerimento 13. Nel corso dell’operazione straordinaria sono state attivate 22 notizie di reato per diverse motivazioni. Gli impianti per rifiuti solidi urbani o assimilabili sono circa 34, quelli per rifiuti urbani speciali, quindi con discariche miste, sono 10 e quelli per i rifiuti speciali sono circa 22. Ebbene, ai fini della pianificazione abbiamo riscontrato tutte le anomalie e le difformità che oggi servono proprio per omogeneizzare comportamenti e direttive sul controllo agli impianti. Ovviamente, questa documentazione storica prima non esistente ha permesso anche di convincere, accompagnare e imporre la chiusura di quegli impianti non più a norma, sempre in sinergia con il dipartimento regionale e con le amministrazioni locali. Appena entrata in vigore la normativa contenuta nel decreto Ronchi, siamo stati in grado di verificare i piani in tempo reale (penso per esempio ai nuovi standard della termocombustione).

Per quanto riguarda le discariche possiamo dire che anche nel breve periodo di esperienza si è registrato un miglioramento – su impulso normativo e gestionale-industriale – nella qualità degli impianti. Problematiche di vecchia sofferenza, tipo contaminazione delle falde delle acque superficiali, risultano quasi superate anche in impianti vecchi, o in corso di superamento con appropriata progettazione. Questo è stato il frutto della novità normativa.

Vi è però un problema nuovo di grande interesse, anche se può sembrare marginale, nell’impatto con la popolazione e con le tensioni sociali che il ciclo comporta: mi riferisco alle maleodoranze. Si tratta di una tipologia prima non riscontrabile che invece oggi ha una maggiore rilevanza nel caso degli impianti di compostaggio. Occorre una attenta vigilanza e a volte si rende necessaria se non la chiusura comunque il depauperamento di impianti che tecnologicamente potrebbero essere a norma, ma che invece creano disagi a causa della loro ubicazione.

PRESIDENTE. Mi tolga una curiosità: in alcune situazioni abbiamo visto che l’installazione di biofiltri di grandi dimensioni in alcuni impianti genera risultati positivi. Penso ad esempio all’impianto di Col Felice, che è stato all’origine di scontri durati anni, la cui maleodoranza ha tenuto l’impianto bloccato per oltre un decennio: l’installazione dei biofiltri ha vinto un certo tipo di resistenze.

ALESSANDRO LIPPI, Direttore generale dell’ARPAT. Nel nostro caso l’elemento olfattivo è il primo elemento di reazione: a volte è strumentale, a volte è reale, ma comunque mette in difficoltà la gestione impiantistica. Inoltre, non essendoci normative – salvo una convenistica recente promossa proprio dall’ARPAT – si creano ulteriori tensioni sociali.

Vi è poi un problema di carenza conoscitiva rispetto alla rete di impianto di stoccaggio in conto terzi in Toscana; per la tradizione del suo sistema imprenditoriale, si registra un forte stimolo alla legalità nella gestione dei rifiuti per i piccoli produttori. Tuttavia, se i produttori hanno la possibilità di rispettare le norme ambientali, così come è stato evidenziato dalla Commissione per altre regioni, agli impianti di stoccaggio non si accompagnano adeguati impianti di smaltimento. Ciò rischia di creare fenomeni di flussi verso l’esterno e comunque rispetto alla prima fase del ciclo, positiva e corretta dal punto di vista ambientale, seguono fasi di dispersione, non dico di illegalità ma quanto meno caratterizzate da anomalie e approssimazione.

Non abbiamo avuto rilevanti fenomeni di sversamenti e smaltimenti abusivi.

E’ stata svolta un’indagine con l’Arma dei carabinieri, il NOE, che ha avuto valenza nazionale perché molto spesso nel sistema del nastro autostradale che ci accompagna da nord verso il meridione, siamo punto di deposito - è il caso di Calenzano, di Siena-Bettolle – con problematiche molto complesse. Tuttavia, il controllo ARPAT e il controllo NOE in piena sinergia, attraverso indizi ed indagini durate anche mesi insieme all’attività del magistrato hanno consentito di individuare l’origine, per cui vi sono alcune imputazioni per associazione criminosa di impiantistiche di questo tipo collocate a Venezia e dintorni e in altre parti del nord. Non abbiamo, o almeno, non riusciamo ad individuare fenomenologie interne.

Il tema delle piattaforme e dello stoccaggio, per la complessità che riveste, è in questo momento all’attenzione sia in termini di direttive, sia in termini di informazione e di formazione dell’intero quadro operativo e quindi di interventi mirati, perché vi è un proliferare e soluzioni non sempre sotto controllo; anche nel sistema autorizzatorio provinciale forse si agisce in modo troppo approssimativo o schematico.

Vi è poi il problema delle procedure semplificate, anche se dal riscontro fatto non vi sono irregolarità sostanziali, nel senso che, pur essendo tante quelle irregolari, si tratta di attività caratterizzate da rischiosità ambientali abbastanza basse.

Un fenomeno positivo recente riguarda tutta l’attività impiantistica per l’attività di autodemolizione. Assistiamo non solo a progetti ma anche a investimenti per processi di rottamazione che un tempo erano elementi di disordine e di impatto ambientale; si tratta di un fatto industriale in crescita con recupero ed utilizzo di tutte le componenti degli autoveicoli.

Cogliendo ancora spunti positivi della risoluzione approvata dalla Commissione nel gennaio scorso, abbiamo nell’area toscana una situazione di conoscenza relativa differenziata dei cicli produttivi. Voglio informarvi di un progetto di ciclo chiuso che ha avuto il finanziamento come primo progetto nella Comunità europea; tale progetto interessa il sistema industriale tessile, (l’hinterland pratese), della carta (l’hinterland lucchese) e floro-vivaistico (l’hinterland pistoiese). L’obiettivo è non solo la riduzione del sistema di smaltimento ma anche la massimizzazione delle performance dell’intero ciclo di rifiuti e anche delle altre risorse. Dico questo perché anche voi ci suggerite – questo ci ha fatto piacere – l’analisi del ciclo di vita, metodologie più appropriate in termini di distretto industriale e quindi di circuito, in cui la problematica dello smaltimento va accolta in tutte le sue componenti.

Su questo, che era un programma a largo raggio, per ora lavoriamo su questi distretti; nulla vieta di estendere la metodologia e la conoscenza allo stesso settore conciario o altri tipici del nostro sistema. Intanto diamo questo materiale che è la prima parte del convegno nazionale di disseminazione, che si concluderà a livello europeo in una attività di convegno spagnola; abbiamo il compito di farne una promozione che sia la più ampia possibile.

Per quello che riguarda il sistema informativo, stiamo cercando di implementare gli approcci conoscitivi e la loro informatizzazione, di creare un bagaglio-archivio – e non soltanto – per avere in rapporto al territorio, allo stabilimento, al sistema delle imprese o alla singola impresa il bagaglio di ispezioni, di analisi, di atti, la natura dei provvedimenti, Si tratta di fare, così come è avvenuto per i grandi impianti, analisi di settore e di territorio, da aggiornare in tempo reale con gli strumenti forniti dalle nuove tecnologie. E’ un’impresa improba, ma altrimenti perderemmo la serie storica, il lavoro, a volte difficile, a volte buono, a volte insufficiente, "a macchia di leopardo" che la struttura dell’agenzia ad oggi permette.

Per esempio, in questa casistica troverete – ne meniamo un po’ di vanto – secondo un modello partito come omogeneo e nazionale (stiamo poi articolando e implementando), il numero dei pareri, delle ispezioni, i campioni prelevati, i controlli; provincia per provincia, punto per punto siamo in grado di implementare ogni anno l’informazione sullo stato del controllo, la sua efficienza o deficienza. Quando si arriva a serie storiche di questo tipo i comportamenti dei singoli dipartimenti e degli operatori vengono in evidenza; non si può avere l’alibi della carenza di personale o di strumentazione tecnologica che pure esiste, rispetto alla quale comunque l’agenzia ha fatto passi da gigante.

Effettivamente siamo in carenza di organico rispetto alle varie tematiche; per il resto, in alcune province possiamo dire di essere su uno standard di buona sufficienza.

PRESIDENTE. Quante persone lavorano nell’agenzia?

ALESSANDRO LIPPI, Presidente dell’ARPAT. Inizialmente eravamo 452, oggi siamo 600. Nel sistema dei rifiuti alcune province sono su standard normali – la valutazione dei carichi di lavoro è in corso – in altre vi è una povertà assoluta. Nella documentazione consegnata vi è uno schema dipartimento per dipartimento, struttura per struttura; alcune sono tali da avere una dirigenza, un’unità operativa, un’autonomia, una gestionalità, altre sono quasi a livello di volontariato. Qualche provincia richiederebbe un’attenzione particolare: penso alla conformazione del territorio aretino o alle problematiche della zona del grossetano che ben conoscete in cui il numero potrebbe essere sufficiente in una situazione normale, mentre dal 1996 ad oggi la situazione è tutt’altro che normalizzata non solo per i fenomeni di cui parlava il presidente ma anche per altri che tutti noi conosciamo.

Un altro elemento strumentale avanzato, questo di dimensioni nazionali, è l’avvio del catasto, previsto dal decreto Ronchi (le sezioni regionali siamo noi), su cui si faticando; penso a tutto il sistema di interrelazioni, alle sollecitazioni già fatte dal Parlamento che non trovano riscontro né normativo né strumentale, per esempio, per quanto riguarda l’albo smaltitori, le comunicazioni e i trasferimenti in tempo reale, i data base, ossia tutto il fenomeno conoscitivo. E’ tutta la grande discussione su cui attendiamo i risultati – ci sono anche le memorie – e ci prendiamo alcune responsabilità come operatori rispetto al MUD, alla sua semplificazione, al dibattito sul Ronchi-quater e tutte le relative connessioni. O si ha la base conoscitiva, l’analisi del settore e del territorio, l’origine e la destinazione dei flussi o l’efficienza del controllo diventa solo un fatto di petizione; o tutte queste componenti vengono integrate o si rischia di ripetere – ho vissuto la vicenda come coordinatore insieme all’ingegner Barca – quanto avvenne intorno al 1993, quando eravamo uno degli osservatori funzionanti, ma fummo costretti a buttar via tutto quello che si era costruito negli approcci di catasto di quegli anni.

Sono stati attivati diversi strumenti, in piena sinergia con ARR. Per esempio sulle bonifiche – mi spiace di dissentire con il presidente - il lavoro è avviato è un record per la Toscana, siamo al secondo piano di generazione. Ovviamente gli atti sono della regione e del servizio (tutta l’attività conoscitiva, scheda per scheda, punto per punto, con documentazione fotografica). Sono stati indagati dopo il 1991 per una seconda volta 500 siti da bonificare, per cui siamo in tempo reale e abbiamo sotto controllo Amiata e dintorni, come la vecchia e annosa questione di Badia San Salvatore – colgo l’occasione per dirlo – che si sta concludendo nella lunga fase del passaggio del gruppo ENI e, da ultimo, AGIP nei rapporti con l’amministrazione; nella conferenza di servizi abbiamo approvato il progetto definitivo nell’aprile scorso. Si tratta ora per un comune così delicato nella sua collocazione montana di dare tutta la strumentazione ed il supporto; lavoriamo sia con il dipartimento di Siena sia con la direzione centrale in questo senso. Per il resto, se avete bisogno di dettagli abbiamo in tempo reale tutte le informazioni sia nella scheda sia nel servizio.

Dico questo con vanto perché il primo programma di gestione "Orfeo" è stato predisposto da ARR per la regione, quando ancora non esisteva l’agenzia; la regione poi lo ha donato a noi ed oggi lo stiamo rivedendo completamente. Ogni atto di bonifica viene monitorato ogni giorno; sia che avvenga a Grosseto, sia che avvenga a Massa Carrara, la sede centrale di ogni dipartimento ha l’aggiornamento costante di qualsiasi documento del processo.

PRESIDENTE. Attingeremo anche noi nel rapporto con l’ARPAT e il servizio che segue le bonifiche a questi dati perché nella relazione che dovremo redigere dovremo tener conto anche di questi aspetti. Poiché tuttavia abbiamo problemi di tempo, la pregherei, visto che poi consegnerà alla Commissione una documentazione di collegarsi alla vicenda di cui dicevo…

ALESSANDRO LIPPI, Direttore generale dell’ARPAT. Stavo arrivando al punto. Sui fenomeni più recenti, presidente, troverà un promemoria per ogni cantiere, perché ci siamo ricordati di essere già stati ascoltati tre anni fa nel corso di un’audizione dalla Commissione, proprio quando questa fenomenologia creava tutti quegli elementi di disturbo. La situazione è profondamente cambiata per due fattori. Qualche giorno fa abbiamo consegnato al procuratore, essendo PG delegati tutta l’indagine apertasi nel settembre scorso e chiusasi venerdì scorso; è durata un anno.

PRESIDENTE. Poiché se ne era interessato il sostituto procuratore Deidda e il procuratore di Firenze ci diceva di aver anch’esso aperto un’altra indagine, a quale si sta riferendo?

ALESSANDRO LIPPI, Direttore generale dell’ARPAT. Mi sto riferendo ad un’altra indagine del procuratore di Firenze avviata l’anno scorso, proprio in connessione con il nuovo testo unico sulla problematica delle cave e delle torbiere, con i ruoli degli enti locali, con una maggiore attività ed efficienza di controllo. Questa non era esistita prima della scelta di fare delle due ARPA il braccio intelligente ed armato del controllo dell’Osservatorio ambientale nazionale; da quando alla fine del 1998 abbiamo iniziato con strumenti, personale, una presenza plurale (non un singolo operatore di vigilanza ogni tanto) la situazione si è mossa ed ora sta andando a norma; a questo si è aggiunto l’impulso del magistrato, una vigilanza sempre più precisa ed una conoscenza più diretta del fenomeno.

Non siamo ancora tranquilli, ma ogni attività è sotto controllo; esercitiamo anzi un duplice controllo perché siamo chiamati come ufficiali di polizia giudiziaria a ricostruire e a controllare per conto della magistratura e al tempo stesso per svolgere l’attività di monitoraggio. Quindi, per ogni cantiere significativo, vi presentiamo un promemoria, esclusi fatti coperti da segreto istruttorio (che in realtà questa Commissione avrebbe facoltà di conoscere), un’analisi puntuale ed aggiornata. Comunque negli ultimi due anni ARPAT purtroppo, per le tensioni che si stanno creando, si è fatta le ossa anche in questi termini, dovendo affrontare le stesse problematiche per la "variantina" di valico e per la terza corsia; c’è un problema di scarsità di risorse, di strumentazione. Se poi si pensa al caso di Firenze, quest’opera di dimensioni nazionali, in termini di governo e di controllo, cambia un po’ il volto della situazione fiorentina. Saremo comunque molto attenti e cercheremo di mantenere lo stesso ritmo tenuto fino ad oggi.

L’ultima questione riguarda il dibattito sul cosiddetto MUD e sulla semplificazione. Il 26 prossimo si terrà un grande convegno dell’Unioncamere sulla riflessione e sul ripensamento della legge n. 70 di Chicco Testa e sul ruolo delle camere di commercio e dell’Unioncamere in questi momenti conoscitivi, cioè dai dati degli smaltitori fino ai dati del MUD.

Se si continua così, l’esperienza di quattro anni non sarà servita a niente.

PRESIDENTE. Credo che con le vostre esposizioni e con la documentazione che lascerete agli atti della Commissione si potrà creare un quadro ampio e rilevante dell’attività istituzionale della regione, di quella politico-amministrativa, di controllo e imprenditoriale.

Sospendo brevemente la seduta.

Gli incontri, sospesi alle 15.55, riprendono alle 16.05.

Audizione di rappresentanti dell’Associazione industriali di Firenze e delle associazioni ambientaliste.

PRESIDENTE. Ricordo che la tematica al nostro esame è quella relativa al ciclo dei rifiuti. La Commissione è interessata a capire, dalle espressioni dirette dell’associazionismo dei cittadini, qual è lo stato dell’arte nel settore dei rifiuti, se vi sono aspetti illeciti, se il sistema sta cominciando a decollare e se vi sono problemi particolari.

PIETRO BARTOLINI, Rappresentante dell’Associazione industriali di Firenze. Sono il responsabile dell’area ambiente, sicurezza, energia e qualità dell’Associazione industriali di Firenze e quindi rappresento, insieme alla dottoressa Fanelli qui con me, il sistema confindustriale della Toscana.

Abbiamo accolto con favore l’invito che ci è stato rivolto dalla Commissione a partecipare a questo incontro che ci consente di vederci uniti con le altre parti sociali per parlare di un tema importante e significativo qual è quello della gestione dei rifiuti in particolare e della tutela dell’ambiente più in generale.

La nostra associazione ritiene sicuramente fondamentale la ricerca dei principi di sicurezza e di chiarezza nello smaltimento dei rifiuti. Per quanto riguarda il nostro operato, è fondamentale individuare il corretto canale di smaltimento, secondo i principi della loculazione, del trattamento o del recupero dei rifiuti. Si tratta di un tema importante che per noi rappresenta il fulcro dello sviluppo di una società civile e moderna.

La produzione normativa che si è susseguita dal decreto Ronchi in poi (mi riferisco ai successivi decreti di attuazione dello stesso) di fatto ha portato ad una complessità legislativa che è estremamente pesante; il nostro ruolo è quello fondamentale di atto di indirizzo e di chiarezza, nonché di confronto su questi temi, perché non sempre la normativa appare di facile lettura.

Legiferare e basta è relativamente significativo in questo campo, se poi non c’è una sufficiente capacità di rendere pratica l’applicazione della normativa; cosa che diventa sempre più difficile in un settore come quello dei rifiuti dove gli aspetti di carattere tecnico e legale si intersecano in maniera talmente complessa che a volte risulta difficile una chiara lettura del migliore canale di indirizzo per il rifiuto. In questo senso è auspicabile una semplificazione normativa e come Confindustria, anche a livello centrale, abbiamo rappresentato la necessità di passare, dopo la prima fase attuativa del decreto Ronchi, ad una revisione della gestione di quei materiali che da sempre nella cultura italiana sono stati frutto anche di imprenditoria.

Abbiamo anche sentito nelle discussioni pubbliche di quanto sia encomiabile il ciclo virtuoso del recupero industriale e sembra questa una novità introdotta dalla recente normativa. In un paese completamente privo di materie prime che si trova a dover competere in maniera moderna su tutti i mercati, il recupero dei residui industriali è sempre stato un patrimonio dell’imprenditoria nazionale. Il recupero della carta, il recupero del tessile, il recupero del ferro e del legname in Italia era un dato di fatto che, seppure non regolamentato secondo le tradizioni mitteleuropee, consentiva, bene o male, all’imprenditoria di recuperare questi materiali con flussi corretti ed omogenei.

Questa semplificazione in particolare per le cosiddette materie prime e secondarie sarebbe essenziale ad un processo di sburocratizzazione che oggi di fatto appesantisce il regime di gestione dei rifiuti, tanto che molto spesso, laddove siamo chiamati a confrontarci sui verbali di polizia giudiziaria in merito, verifichiamo come le mancanze, le inadempienze siano generalmente di tipo formale: l’azienda in qualche maniera ha trascurato di riportare correttamente alcuni parametri della gestione, ma nella sostanza lo smaltimento avviene secondo il rispetto normativo e i canali di smaltimento sono regolari.

Da questo concetto del recupero industriale riteniamo si debba partire quando si parla di una riconversione del concetto di rifiuto a livello imprenditoriale e di pubblica amministrazione in particolare in Toscana. Dobbiamo riuscire a perseverare nel ruolo dell’innovazione tecnologica per il recupero dei materiali, perché oggi ci troviamo in grossa difficoltà per tutta una serie di sbocchi di smaltimento, anche nell’ipotesi banale dei rifiuti urbani. Una città come Firenze non possiede un inceneritore; il comprensorio della provincia è costretto a far trasferire masse di rifiuti oltre il proprio ambito territoriale. E’ questa una banale esemplificazione delle difficoltà che la pubblica amministrazione e le società - miste pubbliche-private, partecipate, pubbliche – hanno nella banale gestione del rifiuto.

La stessa cosa dovrebbe avvenire per quanto riguarda la realizzazione di impianti che trattano rifiuti pericolosi o speciali di origine industriale, per evitare il trasferimento di importanti masse di rifiuti e nello stesso tempo per ridurre i costi di gestione per le imprese. Questo non è tanto semplice perché dal panorama dei confronti che avvengono quotidianamente sul territorio emerge una grossissima diffidenza delle popolazioni ad accettare in maniera matura impianti ormai sicuri, riconosciuti a livello europeo e che trovano applicazione in tutte le parti non solo d’Europa ma anche del resto del mondo.

Questo fatto determina l’aumento dei costi e delle difficoltà. Si può dire che anche in questo caso la legge Ronchi si interseca con le leggi di igiene e sanitarie (gli articoli 216 e217 del vecchio testo unico del 1934), che piacerebbe a tutti, anche alla pubblica amministrazione, emendare definitivamente perché anacronistiche in un parametro legislativo di stampo europeo. In sostanza, le aziende si trovano a dover richiedere cinque autorizzazioni negli stessi termini, avanzandone richiesta una volta alla provincia, una volta al comune, talvolta con il parere dell’ARPAT, tal altra col parere della provincia, tal altra con il parere della ASL; molto spesso in un regolamento qualche previsione è difforme per cui l’istituto della deroga è banalmente necessario.

Tutto questo non fa chiarezza nei confronti della popolazione perché un tranquillo ingegnere come io sono che non opera all’interno delle problematiche ambientali potrebbe pensare che si vuole mestare nel torbido, si vuol fare confusione.

Molte delle difficoltà che oggi rileviamo anche nell’approccio agli impianti che trattano i rifiuti a livello locale derivano da una farraginosità normativa che non aiuta ad evidenziare un corretto comportamento ed induce il sospetto che, laddove si richiedano troppe autorizzazioni, il pericolo sia imminente. Questo accade mentre i nostri amici danesi utilizzano tranquillamente campi di paglia insieme ai rifiuti per produrre energia ed evitare l’utilizzo del petrolio. Se siete andati in direzione del mare, avete visto le nostre nuove colline - il prossimo passaggio sarà quello di provvedere l’inverno ad innevarle con i cannoni – le quali rappresentano nella provincia di Firenze l’unica possibilità di smaltire rifiuti che invece in qualche maniera potrebbero essere riutilizzati.

E’ nostra intenzione portare in questa riunione un messaggio di estrema apertura e collaborazione da parte del mondo delle imprese. Su questi temi sono stati aperti da tempo con le persone che ci hanno preceduto – ho visto il professor Lippi, l’assessore all’ambiente e l’ingegner Barca – tavoli di confronto per arrivare in qualche maniera alla soluzione di certi aspetti ambientali. Non si intende alzare il tappeto per nascondere la polvere, ma arrivare in tempi brevi e certi a rendere operativi impianti che richiedono grossissimi investimenti, di cui l’amministrazione da sola non è in grado di sostenere il peso; vi potrebbero essere soluzioni come il project financing che consentirebbero di arrivare in tempi brevi alla realizzazione di questi impianti.

Come è noto, è stato istituito a livello nazionale un gruppo di lavoro AMPA-Confindustria per la realizzazione di una serie di punti nodali di informazione ambientale, sui quali abbiamo avviato anche dei progetti di miglioramento e di certificazione ambientale. Sono questi modi per aumentare il grado di visibilità delle imprese sul comprensorio, per cercare di rendere meno preoccupanti alcune lavorazioni che comunque insistono sul territorio di tante nazioni e che auspichiamo di poter continuare ad effettuare, con tutte le certezze e le sicurezze. I controlli ci sono, le aziende molto spesso rispondono alle verifiche in maniera più che positiva. Speriamo che da questo dialogo possa derivare una consapevolezza maggiore da parte di tutti sull’esistenza di questi problemi ma anche di una soluzione agli stessi.

LIVIO GIANNOTTI, Direttore generale della Confederazione nazionale dell’artigianato e delle piccole e medie imprese di Firenze. Sarò rapidissimo perché le considerazioni di carattere generale – la complessità della normativa, la necessità di una semplificazione – introdotte dal collega della Confindustria sono a mio avviso condivisibili. Farò soltanto alcune brevissime segnalazioni, frutto di un’esperienza associativa che riguarda 12 mila piccole imprese associate, 6 mila delle quali sono anche nostre clienti nei servizi, tra cui tutti quelli riguardanti la gestione del ciclo dei rifiuti e i problemi ambientali che hanno rilevanza sulle tematiche dell’inquinamento.

Siamo inoltre soci importanti di una società pubblico-privata che nella provincia di Firenze gestisce la raccolta e lo smaltimento di sostanze tossiche e nocive assimilabili attraverso la gestione di una piattaforma di stoccaggio, che poi destina questi materiali agli impianti autorizzati in Toscana e fuori della Toscana.

PRESIDENTE. Qual è il nome della società?

LIVIO GIANNOTTI, Direttore generale della Confederazione nazionale dell’artigianato e delle piccole e medie imprese di Firenze. Si chiama Produrre pulito Spa.

PRESIDENTE. Dove è localizzata?

LIVIO GIANNOTTI, Direttore generale della Confederazione nazionale dell’artigianato e delle piccole e medie imprese di Firenze. A Sesto Fiorentino; il socio pubblico è il comune di Sesto Fiorentino.

Questa società gestisce una discarica in un sito importante che viene utilizzato anche per sviluppare una cultura su questa attività: è frequentato dalle scuole, vi è un comitato di cittadini per la sorveglianza; è un luogo aperto, un’esperienza che ormai portiamo avanti da dieci anni e che non ci ha dato nessun problema di impatto con la comunità locale per questo meccanismo che consideriamo di un certo rilievo.

Sulla base del complesso di questa esperienza, vorremmo fare alcune segnalazioni in relazione a modificazioni anche recenti.

Siamo ovviamente portatori di una domanda di semplificazione, di un interesse specifico alla riduzione del costo dello smaltimento a carico delle piccole imprese (spesso vi è un problema di piccole quantità). Dobbiamo anche dire che la recente normativa sul riutilizzo non risulta chiara; molti rifiuti tossici e nocivi sono spariti – lo constatiamo sulla base di questo tipo di servizio che svolgiamo – in mancanza di un dato di carattere tecnico, chimico di riferimento in particolare per quanto riguarda la miscelazione dei rifiuti. Riteniamo che in merito a questa problematica sia necessario introdurre una specializzazione e alcuni correttivi.

Non abbiamo da segnalare particolari fatti delittuosi, che ovviamente avremmo segnalato immediatamente alle autorità competenti. Dobbiamo invece dire che questa situazione ha determinato, spesso anche nell’immaginario, una presenza di numerose imprese che cercano di entrare nel mercato di queste attività praticando prezzi che, sulla base della gestione che svolgiamo direttamente, riteniamo non consoni ad un’attività imprenditoriale in equilibrio. Si dovrebbe quindi richiedere una maggiore specializzazione dell’impresa che vuole svolgere un’attività di questo tipo attraverso un monitoraggio ed un controllo più attenti.

Vi è infine un problema che viene spesso sollevato dai nostri associati e che genera non di rado situazioni di conflittualità: si tratta dei costi che l’impresa sostiene per gli smaltimenti obbligatori (mi riferisco soprattutto alle imprese di autoriparazione) e del fatto che nei supermercati e negli ipermercati chiunque può acquistare oli che spesso vengono riversati nelle fognature e batterie che vanno a finire nei cassonetti. Conosco un elettrauto che ogni tanto mi telefona per dirmi che spesso il NOE lo accusa di aver messo la batteria nel cassonetto di fronte alla sua officina! Sono situazioni che richiederebbero una normativa specifica (non so suggerire quale) poiché alla libera vendita bisognerebbe anche affiancare qualche obbligo di recupero.

PAOLO BALETTI, Rappresentante di Legambiente Toscana. Il mio intervento sarà di carattere generale, non intendendo rappresentare temi specifici che di fatto, nel corso di questi anni, abbiamo evidenziato direttamente all’attenzione della Commissione e del Parlamento. Parto dunque da una considerazione generale relativa alla positività dell’attività svolta finora dalla Commissione, che ha messo in luce aspetti ambientalmente problematici connessi ad aspetti di legalità per quanto riguarda la gestione del ciclo dei rifiuti: dall’attività della Commissione sono giunti in alcuni casi interventi significativi anche nella nostra regione che hanno portato a risultati positivi.

Va poi tenuto presente che, per quanto riguarda la Toscana, rispetto alla situazione della produzione dei rifiuti, si registra ancora un deficit strutturale di impiantistica. Vi è una diversificazione, che credo sia oggettiva e che vada specificata: una cosa è la questione dei rifiuti urbani, altra cosa è la questione dei rifiuti industriali e pericolosi. Ebbene, io penso che – e lo ripeto -, rispetto alla questione dello smaltimento della produzione dei rifiuti, debba essere messa in luce una situazione di deficit di impianti. Nel caso dei rifiuti solidi urbani, vi è ancora in Toscana una prevalenza eccessiva dello smaltimento in discarica, pur se regolarmente distribuito sul territorio, caratterizzato da ritardi rispetto ad una logica di recupero che è proposta invece dal decreto Ronchi. Si registrano – e lo sottolineo – ritardi significativi in impianti di recupero di materia (come potrebbero essere impianti di selezione ed anche di trattamento della materia organica per il compostaggio). Credo che il dimissionamento complessivo, in ragione di questo sistema di smaltimento dei rifiuti, sia inferiore alle necessità esistenti. In questi anni, l’unico vero aspetto positivo è stato quello della crescita delle raccolte differenziate: da questo punto di vista, pur non essendo una regione al top della classifica nazionale, credo che la Toscana si sia mossa ottenendo buoni risultati.

Ritengo poi che manchino – lo devo dire – anche impianti per il recupero di energia; peraltro, in una situazione in cui il prezzo del petrolio continua a salire, non sarebbe male pensare a una simile soluzione. Nel campo dei rifiuti solidi urbani manca poi la capacità del sistema pubblico di essere azienda con impianti significativi; continuando così ci scontreremo anche con problemi nello smaltimento delle raccolte differenziate (pur se, al momento, la situazione è sotto controllo).

PRESIDENTE. Ci hanno confermato adesso che quel 17,83 per cento di raccolta differenziata è tutto avviato al recupero e non va nelle discariche.

PAOLO BALETTI, Rappresentante di Legambiente Toscana. Infatti al momento ciò non rappresenta una questione. Ciò che invece è problematico è lo smaltimento di rifiuti industriali. In questo campo non tutto lo smaltimento è chiaro ed evidente, anzi, probabilmente, vi sono forme di smaltimento improprie. Credo di dover osservare che, seppure elementi positivi di innovazione si riscontrano, dal punto di vista del sistema industriale non si è ancora realizzato ciò su cui ha molto insistito il decreto Ronchi: un sistema industriale in grado di fare innovazione, attraverso la smaterializzazione della produzione dei rifiuti, e innovazione di processi nei settori nei quali si producono tanti rifiuti e tanti scarti, in modo da produrre di meno. Da questo punto di vista si sono registrati molti ritardi; tuttavia, rispetto alla fine degli anni ottanta, oggi possiamo dire di avere un quadro conoscitivo della produzione dei rifiuti sia urbani che industriali appropriato, nel senso che sappiamo dove e come questi vengono prodotti. In tal modo vi è la possibilità di fare programmazione e governo del ciclo dei rifiuti all’altezza della situazione.

Sempre da un punto di vista generale, mi pare che qualche segnale venga anche da alcuni settori dei privati. In Toscana vi sono impianti di smaltimento dei rifiuti industriali interessanti ed innovativi, i quali però, in presenza di una carenza generale del sistema, non riescono a lavorare a pieno regime. Attività centrale di trattamento dei rifiuti significa trasporto e cioè smaltimento improprio dal punto di vista legale e soprattutto dal punto di vista ambientale. L’industria dei trasporti nella nostra regione è un punto centrale nel trattamento dei rifiuti che deve essere affrontato. Ricordo un caso specifico su cui mi soffermo: dopo la fine delle discariche di emergenza per la zona del cuoio, i rifiuti di quei siti hanno ripreso la strada dell’esportazione nelle regioni meridionali. Vi è stata una "finestra" attraverso la quale potevano essere introdotti innovazioni tecnologiche e finanziamenti regionali e comunitari; in realtà, oggi si riprende la strada dell’esportazione fuori regione, con problemi rispetto agli impegni assunti anche relativi al sito in cui tali rifiuti vanno a finire una volta fuori regione.

Si registra poi un ritardo nei tempi di realizzazione delle bonifiche e soprattutto i casi di intervento sulle stesse non sempre sono così lineari e chiari. E’ questo un dato preoccupante.

Infine, mi pare che occorra avviare una nuova logica di controllo del ciclo dei rifiuti. Noi osserviamo che tale controllo non si fa verificando solo e soltanto se il singolo impianto funziona bene ma monitorando anche il ciclo del processo perché questo sia fatto conformemente alla legge.

PRESIDENTE. A questo proposito spero che la relazione che la Commissione di inchiesta preparerà colga alcuni gap per quanto riguarda il network informativo sul ciclo dei rifiuti che l’ARPAT sta realizzando, nonché il problema delle bonifiche che sempre l’ARPAT, in accordo con altre istituzioni regionali, sta predisponendo.

RAFFAELLA LASAGNI, Rappresentante dell’Associazione Ambiente e/è Vita. Signor presidente, ci preme innanzitutto sottolineare alcuni aspetti significativi relativi al piano di gestione dei rifiuti della provincia di Firenze e al progettato – e sottolineo progettato – piano di interambito provinciale tra Prato, Pistoia, Empoli e la Val d’Elsa.

Per quanto riguarda il piano provinciale, devo dire che non c’è sembrato innovativo: al di là del recepimento formale del decreto Ronchi nel piano regionale, ci ha dato l’impressione di essere piuttosto una raccolta di buoni intenti, che però lasciano le cose all’attuale livello qualitativo. Non ci sono, ad esempio, indicazioni tecniche sugli impianti da realizzare e a volte, come nel caso delle due linee di termovalorizzazione, non sono indicati i siti relativi. Tale piano non fornisce inoltre informazioni utili sui rifiuti industriali: in buona sostanza, non si capisce, a nostro parere, chi dovrà trattare e se dovrà trattare i rifiuti industriali. Alcune tipologie di rifiuti (gli oli di motore usati) si considerano come tipologie da raccogliere a cura dei comuni e da conferire al consorzio obbligatorio degli oli usati. Facciamo notare che non è consigliabile incentivare nel piano un "fai da te" dei cambi dell’olio; anzi, occorrerebbe proibirlo, in quanto per la gran parte tali oli vanno a finire nelle fognature. Inoltre, non si sa se il comune ha stipulato una convenzione con il consorzio degli oli usati. Non ci sono indicazioni di smaltimento finale di pile esauste, di medicinali scaduti, di rifiuti etichettati T ed F, siringhe e lampade a fluorescenza. Non vi sono riferimenti su localizzazioni di impianti nuovi da installare e si avanzano semplicemente alcune ipotesi che a nostro avviso potrebbero determinare reazioni dell’opinione pubblica nel caso di scelte difficilmente accettabili.

Inoltre le stime relative alla realizzazione delle nuove linee di termoutilizzazione sono troppo larghe, lasciando così supporre che non vi siano idee chiare su ciò che si dovrà realizzare. Vi sono, per esempio, intervalli di spesa al che vanno da 190 a 270 miliardi per la stessa opera.

Non vi sono previsioni per la realizzazione di impianti CDR, anche se si riferisce è che il CDR verrà utilizzato presso il cementificio SACCI. Facciamo notare che un impianto di CDR opera a valle dei sistemi di raccolta e selezione delle frazioni umida (che va al compostaggio) e secca (che deve essere ulteriormente trattata per ottenere il CDR).

La scelta della discarica di Troiano non è proponibile, dati i vincoli idrogeologici.

A giudicare dalla previsione delle quantità di rifiuti che saranno prodotti fino al 2003, non sembra che vi siano, d’accordo con il piano regionale, programmi seri e mirati (compresi quelli di educazione dei cittadini) in grado di garantire un effettivo ed efficace sistema virtuoso che porterà a disinnescare il sistema.

Vi è una carenza di programmi di educazione dei cittadini relativamente agli impianti di compostaggio, mancano informazioni sui sistemi di abbattimento degli odori (biofiltri) che sono la condizione fondamentale per farli accettare alle popolazioni circostanti.

Dobbiamo infine rilevare che tutte le osservazioni pervenute sul piano provinciale non sono a nostra conoscenza in quanto abbiamo trovato una sorta di porta blindata agli uffici tecnici.

Passerei a parlare dell’impianto di gassificazione RDF di Greve in Chianti, che abbiamo avuto modo di visitare. Ci risulta che le ceneri prodotte dal gassificatore della frazione secca prodotta dall’impianto di separazione secco-umido di Firenze (Case Passerini) non siano idonee per essere riciclate nel cementificio e che la sperimentazione non abbia dato fino ad ora esiti positivi. L’integrazione tra cementificio e gassificatore è problematica, in quanto quando il forno del gassificatore, per motivi imprevisti o per manutenzione viene fermato il cementificio può avere seri problemi operativi anche legati alla sicurezza. I problemi di manutenzione e fermata del forno e del sistema di depolverazione sono la causa dei bassi rendimenti operativi. Inoltre, non vi sono informazioni circa il destino delle ceneri e dei sistemi di integrazione con il cementificio.

Per quanto riguarda l’impianto di separazione secco-umido di Sesto fiorentino (il Case Passerini che ho già citato), gli investimenti previsti per migliorare l’impianto non appaiono soddisfacenti in quanto l’impianto è vecchio, nel senso che è stato concepito nel momento in cui era vigente la normativa precedente al decreto Ronchi. E’ ormai dimostrato dai fatti che la separazione secco-umido da rifiuti urbani tal quali comporta una produzione di compost di scarsa qualità, che non serve in agricoltura e tutt’al più viene utilizzata per ricoprire vecchie discariche o cave. La frazione secca inoltre per diventare CDR deve essere ulteriormente lavorata. Tale frazione contiene, in considerazione delle tecnologie adottate, una frazione organica putrescibile, con i conseguenti problemi di odori.

In merito all’impianto di compostaggio di Ponterotto in San Casciano Val di Pesa, vorrei dire brevemente che tale impianto, costruendo, è stato finanziato anche con fondi della Comunità europea in una zona adibita a vigneto. L’area, a vocazione agricola, non è idonea ad ospitare un impianto di compostaggio, soprattutto di frazione umida. Sicuramente ne risentirà la popolazione esposta che risiede a poca distanza dal costruendo impianto e che giustamente creerà molti problemi.

Questo per quanto riguarda il piano della provincia di Firenze.

Per quanto invece riguarda il piano rifiuti dell’interambito provinciale Prato/Pistoia/Empoli-Val d’Elsa, sembrerà lapalissiano, ma il problema principale è che a tuttora il piano non esiste, o meglio non è ancora operativo. Infatti, se la provincia di Pistoia ha già deliberato in merito, la provincia di Prato non ci risulta aver fatto altrettanto, mentre per quanto riguarda Empoli, non essendo ancora provincia autonoma dipende in prima istanza dalla provincia di Firenze e poi dall’assemblea di circondario, quindi sicuramente non ha deliberato in proposito.

Si registra quindi un gravissimo ritardo di almeno un anno dovuto alla mancanza di una programmazione politica efficiente.

Per quanto riguarda questa vasta area, segnaliamo essenzialmente due problemi connessi a due impianti. Il primo, che dovrebbe essere attivo in brevissimo tempo, è l’impianto di compostaggio di Montespertoli sito nel circondario empolese-Val d’Elsa, che tecnologicamente sembra essere ben concepito. Tuttavia, al di là di una valutazione tecnica che si renderà necessaria quando l’impianto entrerà in esercizio, riteniamo che il sistema proposto di rivoltare i cumuli nelle baie di compostaggio sia ormai superato da nuove tecnologie. Infatti, tale sistema in via di realizzazione potrà comportare problemi igienico-sanitari per gli operatori. Sarebbe stato meglio se i cumuli fossero stati stesi in singole platee sotto il capannone e rivoltati lungo i bordi perimetrali con macchine rivoltacumuli, senza operatori. Una progettazione più moderna avrebbe inoltre accorciato i tempi di maturazione del compost.

Tuttavia il problema più grave che si profila all’orizzonte e sul quale vogliamo richiamare fortemente l’attenzione della Commissione, secondo la nostra associazione, è quello della progettata e prevista discarica di Gambassi Terme. E’ un caso assai emblematico che vorrei sintetizzare anzitutto localizzando Gambassi Terme, che si trova in Val d’Elsa e rappresenta in qualche modo il "cuore" della Toscana da cartolina, quella dove si registra un flusso turistico sempre in aumento, da quello culturale a quello verde, legato alle attività di agriturismo, che rappresentano uno degli introiti maggiori dell’economia della zona. Su questo argomento passerei la parola alla collega Francesca Pescatori.

FRANCESCA PESCATORI, Rappresentante dell’Associazione Ambiente e/è Vita della regione Toscana. Il mio intervento sarà molto meno tecnico di quello della mia amica, forse più sentimentale.

Premettendo che nessuno vuole rifiuti di qualsiasi genere alle porte di casa propria, vorremmo attirare l’attenzione soprattutto su questo problema di Rio Torto. Quello di Rio Torto è il primo di undici siti individuati nei comuni Montaione e Gambassi, per cui il problema riguarda soprattutto l’identificazione, poi, come altri colleghi hanno sottolineato, la realizzazione di impianti più o meno avanzati tecnologicamente.

In questo caso l’identificazione ha portato ad individuare comuni prettamente turistici dove il piccolo imprenditore agricolo si è ingegnato per far sì che il suo pezzettino di terra, la sua casupola riuscisse a rendere qualcosa dal punto di vista turistico (sappiamo benissimo che la resa dell’attività agricola non è altissima). Gli undici siti individuati andrebbero a scontrarsi anche con la gestione dei comuni che stanno facendo investimenti sul discorso turistico.

Accanto a questo aspetto "sentimentale", ve ne è uno tecnico e pratico legato al fatto che in questi siti, come sottolineano tante relazioni a livello idrogeologico, morfologico, vi sono molte falde acquifere che peraltro vanno a confluire nel fiume Era, il quale assicura, per esempio, l’approvvigionamento idrico ad un comune come Peccioli.

Non si tratta solo di distruggere il paesaggio allontanando il turista che assicurava una fonte di reddito; vi sono aspetti forse più importanti riguardanti l’inquinamento che ci risulta siano stati del tutto tralasciati – non voglio dire occultati, la parola sarebbe troppo grossa - nell’identificazione di questi siti.

Chiediamo quindi un’attenzione forte, anche perché la popolazione di questi comuni è fortemente coalizzata e sta organizzando azioni di disturbo per scongiurare la fine di questi comuni.

PRESIDENTE. La Commissione ha dei limiti di interferenza nei procedimenti amministrativi, anche se sicuramente nello stendere la relazione che invieremo alle Camere e al Governo terremo conto dei rilievi critici che sono stati avanzati.

DANIELA PERTOLUCCI, Rappresentante dell’Associazione per la tutela ambientale della Versilia. Insieme al dottor Mariano Pusseddu, che ci ha affiancato nella nostra attività, vorrei denunciare quello che sta accadendo in Versilia, non in una zona sperduta. Sarei portata ad invitare quanti sono intervenuti prima di me a venire in Versilia; hanno paura che venga realizzato il piano, ma da noi è già stato messo in pratica! I loro dubbi, le loro perplessità nel nostro caso sono evidenti a tutti.

Un mese fa ha visitato il costruendo impianto l’onorevole Ripa di Meana, il quale ha detto che quello che sta facendo la regione Toscana in Versilia è allucinante: l’impianto si trova a due passi, 800 metri da un ospedale su cui graviteranno 3 mila persone, a due chilometri dalla battigia, a un chilometro e mezzo a Forte dei Marmi e da Viareggio. Come sapete, in Versilia non abbiamo industrie, si vive sul turismo.

Cercherò di essere il più breve possibile ma mi dovrete scusare, perché per la prima volta, dopo tre anni di battaglie, una Commissione ci ascolta; abbiamo inviato ricorsi al Ministero, al TAR, vi sono stati esposti, diffide, denunce.

Non andiamo a sindacare sul modo in cui devono essere smaltiti i rifiuti, non vogliamo entrare sul discorso degli inceneritori. Il decreto Ronchi mi potrebbe anche stare bene ma questo inceneritore è stato approvato sulla base della precedente normativa, anche se il contratto è stato firmato nel momento in cui quel decreto era già in vigore. Le bonifiche, non ancora ultimate, sono state effettuate sulla base dei parametri della vecchia legge. L’impianto doveva essere finito per il 1° ottobre 1999, ma non è ancora stato portato a compimento.

Siamo in mano a questi amministratori. Si parlava della diffidenza da parte delle popolazioni, ma quando i nostri amministratori ci mettono in queste condizioni non si può avere fiducia!

Su questo sito dichiarato dal comune di Pietrasanta zona ad alto valore ambientale 27 mila metri – non 50 mila come prevede il decreto Ronchi – sono stati dichiarati terreno industriale; di questi, 17 mila sono inutilizzabili perché vi insiste a una vecchia discarica del precedente inceneritore, messa in sicurezza, ma non completamente bonificata.

L’impianto insiste solamente su 7 mila metri: la cosa più grave è che esso è stato costruito fra due fiumi, ma non a distanza di 30 metri uno dall’altro… Vorrei farvi vedere… Ho portato le fotografie, perché addirittura la parte destra dell’inceneritore è sull’argine del fiume che è stato sbancato, altrimenti non era possibile far venire la paratia. Dall’altra parte vi è uno spazio di 3 metri, sufficiente appena per far entrare i camion. Un maresciallo del NOE, venuto a fare un sopralluogo, ha detto: "Ma se scoppia un incendio, come fanno ad entrare i vigili del fuoco?". Entrano dall’alto con gli elicotteri, come se fosse un incendio in un bosco? E non è tutto! Addirittura nel progetto c’è scritto che i camion, per conferire la spazzatura, devono entrare a marcia indietro, perché non c’è viabilità!

Ho già fatto pervenire alla Commissione tutti i documenti e mi sono permessa di farlo perché, sentendo alla televisione ciò che è successo a Pitelli, ho saputo che chi gestirà per diciannove anni questo impianto fa parte di un raggruppamento di imprese che gestisce la discarica di Pitelli, insieme ad un personaggio che è stato in galera nove mesi. Ecco perché diciamo che non ci possiamo sentire tranquilli. Non voglio accusare nessuno, ma è così.

Noi abbiamo bussato a tutte le porte e ora ci affidiamo a questa Commissione.

L’impianto – riprendo il discorso – è stato appaltato il 31 luglio 1997 quando il decreto Ronchi era già in vigore dal 5 febbraio dello stesso anno. Abbiamo una relazione dell’ENEA, che ho qui con me, nella quale si sostiene che in Versilia non esiste un luogo adatto per poter fare un inceneritore, vista la viabilità, vista la configurazione del litorale, vista l’orografia e la portata dei fiumi (non dimentichiamo che si tratta di una zona paludosa). La provincia di Lucca aveva dato mandato all’ENEA di procedere a questo studio, dal quale appunto è emerso che non solo non è possibile installare un inceneritore, ma addirittura non è possibile trovare in Versilia una discarica di ceneri. L’impianto partirà ma noi ancora non sappiamo dove mettere le ceneri!

E allora, il commissario– che guarda caso è lo stesso della vicenda dell’Elba – che ha siglato la realizzazione di questo impianto sapeva già dell’esistenza dello studio dell’ENEA, datato 18 maggio 1997, e dell’esistenza del decreto Ronchi; ciò nonostante ha siglato la realizzazione di un impianto approvata prima del 1995 sulla base di una normativa assolutamente non idonea. Si tratta di un impianto con un investimento di capitale basso (38 miliardi per un impianto che deve produrre 110 mila tonnellate sono pochi), con una tecnologia che non è all’avanguardia, perché questo stabilimento brucerà plastica a 900 gradi. Non solo, ma il progetto stabilisce che tale impianto produrrà 22 milioni di kilowatt di energia, quando invece nella tariffa c’è scritto che ne vende 29 milioni all’ENEL. E’ un aspetto che mi lascia perplessa e che ovviamente mi fa dire: come possiamo avere fiducia degli attuali amministratori?

Ciò che però ci fa ancora di più paura è la localizzazione del sito: ben 27 mila metri di terra sono stati dichiarati terreno industriale, per cui la bonifica è stata ad esso equiparata, con tutti i parametri conseguenti. Ebbene, questo impianto sorge dove prima esisteva un vecchio inceneritore caratterizzato da vecchia tecnologia. Per ignoranza (non voglio dire per altro), chi ha gestito quell’impianto per diciotto anni ha ammonticchiato le ceneri ad un metro di distanza. Vi è una collina, che è chiamata "la collina del disonore", che è composta interamente da ceneri. Pertanto, quando il commissario Daviddi si è trovato a gestire la situazione, obiettivamente si è reso conto della necessità di bonificare il luogo. Premetto che il vecchio inceneritore è stato chiuso a furor di popolo nel 1988, perché non vi dico quello che andava sprigionando. Abbiamo compiuto una ricerca personale – abbiamo interessato anche l’ASL, ma nonostante ci siano morti accertate, questa si è rifiutata di fare verifiche - dalla quale è emerso che il 61 per cento delle morti di età compresa tra i 40 e i 60 anni è dovuto a tumori. Se questo non è un dato che fa spavento…!

Ebbene, quell’inceneritore fu chiuso a furor di popolo. Il pretore Carletti diede incarico ad un ingegnere di Varese di fare una perizia sul luogo. Ho qui i risultati di quella perizia del 1989 dell’ingegner Bonaventura, nella quale si sostiene che la discarica è un concentrato tale di rifiuti tossici da dover essere considerata discarica speciale. Quando il Daviddi si è reso conto della necessità quanto meno di bonificare il terreno, ha predisposto un progetto di bonifica di questo luogo. Tuttavia, la collina non è stata bonificata, perché portare via tutti quei metri cubi di terra sarebbe stata una cosa paurosa. Allora si è deciso di metterla in sicurezza.

Quindi, la conferenza dei servizi ha approvato la messa in sicurezza della discarica, sottolineando che anche il piazzale su cui insisteva il vecchio inceneritore e addirittura un argine del fiume limitrofo sono completamente composti da ceneri, per cui bisogna bonificare sia il piazzale sia il fiume. Ebbene, in questo progetto di bonifica approvato nel 1994, con i parametri e con la normativa esistente nel 1994, c’è scritto che anche il piazzale antistante va bonificato, ma a ciò si procederà in una seconda fase e cioè al momento della costruzione dell’inceneritore. E questo ci preoccupa. Si legge ancora nel progetto: andranno poi fatte delle analisi periodiche dei due fiumi, dei pozzi a monte e a valle per vedere se la collina tiene. Del resto il processo di messa in sicurezza era rappresentato soltanto da un muro di bentonite dei pozzi per la raccolta delle acque; ci doveva essere una vasca di raccolta delle acque e un depuratore. Stranamente, pur essendo stata collaudata la messa in sicurezza della collina e liquidato il dovuto a chi aveva costruito l’impianto, non vi è – venitelo a vedere – né la vasca di raccolta delle acque né l’impianto di depurazione. Però, sono tre anni che un tubo scarica acqua nel fiume Baccatoio.

E allora, come possiamo avere fiducia? Io non ce l’ho!

Abbiamo chiesto alle autorità competenti se erano state compiute con la cadenza periodica richiesta le analisi necessarie; abbiamo scritto ai quattro enti responsabili di queste analisi… Non vi sto a dire che cosa mi hanno risposto! Sta di fatto che queste analisi non sono state fatte!

Infine, la zona nella quale l’impianto è stato costruito è stata dichiarata dalla regione Toscana di rischio idraulico 4. Non credo che sia poco! Pertanto, bisogna dire che questo impianto, che dovrebbe entrare il funzione il 29 ottobre, ancora non ha il certificato globale di avvenuta bonifica, perché la provincia di Lucca ha rilasciato soltanto certificati parziali di avvenuta bonifica del luogo; inoltre non ha – ed è cosa ancora più grave – la valutazione di impatto ambientale.

In conclusione, vorrei che voi veniste a vedere l’impianto, che verificaste tutti i documenti che vi ho inviato (e quelli che continuerò a mandarvi) e che prendeste atto della nostra denuncia, perché a questo punto si tratta di una vera e propria denuncia, dal momento che noi non ci sentiamo tutelati dai nostri amministratori e da chi poi dovrà gestire l’impianto.

PRESIDENTE. Se dovessimo vedere tutti gli impianti italiani…! Comunque, sulla base dell’esposto che avete presentato, sulla base delle affermazioni che lei ha fatto quest’oggi, disporremo sicuramente di una serie di verifiche che attengono a tutte le sue denunce, compresa quella nei confronti del gruppo industriale che sarebbe rappresentato, in parte o del tutto…

DANIELA BERTOLUCCI, Rappresentante dell’Associazione per la tutela ambientale della Versilia. Io non ho nulla contro il centro industriale!

PRESIDENTE. Qui il problema non è tanto il centro industriale ma riguarda una persona che ha fatto andare in avvisi di garanzia metà La Spezia, che è stata perseguita e che è stata oggetto di un documento stilato appositamente su Pitelli da parte di questa Commissione. La nostra sensibilità su tutti gli aspetti evidenziati è massima. Ribadisco che disporremo tutte le verifiche necessarie e di queste vi daremo un riscontro.

DANIELA BERTOLUCCI, Rappresentante dell’Associazione per la tutela ambientale della Versilia. Il problema è che vogliono aprire l’impianto il 29 ottobre senza che il sistema di compostaggio sia pronto!

MASSIMILIANO VARIALE, Responsabile del WWF Toscana. Tutti sappiamo che il problema dei rifiuti è gravissimo e che è diventato ancora più grave la scorsa primavera con il discorso del Cip6. Siamo stati già ospiti della Commissione rifiuti durante la vicenda di Scarlino, su cui ritornerò successivamente.

Il WWF è contrario al discorso dell’incenerimento dei rifiuti perché ha individuato, anche in un protocollo d’intesa con l’ANPA di quest’anno, una serie di soluzioni che mirano alla riduzione del rifiuto. Pertanto, a nostro avviso, il problema va risolto a monte, anche perché chi sostiene l’opportunità di bruciare e di incenerire per recuperare energie si dimentica di dire che un 30 per cento dei rifiuti non viene bruciato ma diventa rifiuto speciale; sono ceneri con cui non si può fare assolutamente nulla. Questo mi sembra un dato non di poco conto, perché il 30 per cento di migliaia di tonnellate costituisce una bella mole di materiale di cui non si sa cosa fare.

Pertanto, la prevenzione è sicuramente importante.

Inoltre, se si porta avanti la politica dell’incenerimento, perché si dovrebbe essere poi motivati ad attuare una prevenzione, a ridurre, a riciclare, a riutilizzare? Perché dovremmo combattere gli imballaggi? Perché dovremmo combattere l’usa e getta? E’ questo il problema importante. In una visione pragmatica ci sono realtà del Mezzogiorno dove montagne di spazzatura da smaltire vengono gestite dall’ecomafia: lì riparliamo eventualmente degli inceneritori! Qui invece è successa una cosa molto particolare (ritorniamo al discorso del Cip6).

Ho seguito in prima persona la vicenda condotta nella zona di Rapolano-Asciano: un termovalorizzatore, un impianto che brucia CDR e biomasse in barba, tra l’altro, al protocollo di Kyoto, il quale mi sembra dica chiaramente che bruciare le biomasse è una bestemmia. Mi sembra che si vada molto fuori strada.

Il caso di Rapolano è emblematico perché la provincia di Siena ha il suo piano di rifiuti che prevede già l'inceneritore di Colle, ampiamente sufficiente – tra l’altro si intende potenziarlo – per i bisogni della provincia.

Nei piani di rifiuti si pone l’obiettivo di arrivare al "saldo zero" per ogni provincia, che dovrà smaltire quanto produce. Arriva il gruppo Marcegaglia, che tra l’altro ha presentato progetti in tutto il Mezzogiorno e non solo in occasione di questo Cip6. L’onorevole Gerardini, autore dell’articolo 8-ter all’interno della Ronchi-quater, aveva cercato di far passare una disposizione da noi non condivisa (ne avevamo parlato con il presidente Scalia) perché introduceva un’eccessiva semplificazione: addirittura sarebbe stato sufficiente essere iscritti all’albo degli smaltitori dei rifiuti, avere la disponibilità di un terreno, industriale e non, per realizzare un impianto di incenerimento; se dovesse passare questa proposta – speriamo che questa eventualità non si verifichi, il provvedimento è ancora all’esame di un Comitato ristretto – salterebbe completamente la pianificazione regionale e provinciale. Il gruppo Mercegaglia manda avanti delle società fantoccio, su cui però stiamo lavorando per cui potrebbe emergere qualcosa di interessante, mentre la magistratura sta già indagando.

Tra l’altro come comitato che si muove contro questi inceneritori abbiamo ottenuto la presentazione di un’interrogazione parlamentare firmata dagli onorevoli Bindi, Vigni, Malentacchi e De Cesaris, che abbiamo incontrato qualche tempo fa.

Questi impianti sono totalmente svincolati dalla programmazione; la provincia e la regione si sono espressi contro. Di fatto si dispone solo di un mezzo permesso da parte del Ministero dell’industria, rilasciato in una conferenza dei servizi fatta al di fuori dei termini previsti, cui non erano stati chiamati a partecipare né la provincia né la regione che avrebbero dovuto dire la loro. L’argomento è complesso; sono stati già presentati due o tre ricorsi al TAR, due o tre denunce alla magistratura.

Si ritorna al discorso del Cip6 che, come ben sapete, ha fatto proliferare la nascita di questi impianti e che come WWF stiamo osteggiando in ogni modo.

Gli amici del comitato di Scarlino avrebbero avuto piacere, presidente, di incontrarla sul posto, ma non erano stati avvisati della sua venuta; del resto, io stesso ho avuto questa notizia due-tre giorni fa. Comunque, sono lieto che le persone intervenute in precedenza nei loro interventi hanno fotografato una serie di realtà locali toscane, perché la situazione presenta punti di enorme valore – penso alla raccolta differenziata che è ad un ottimo livello – e una marea di realtà che devono essere viste più da vicino.

Mi sembra che il TAR avesse condannato l’ENI a chiudere i battenti, ma si è continuato a bruciare materiale proveniente non dalla provincia di Grosseto, ma dal settentrione d’Italia, credo dal Veneto. La formula utilizzata, come spesso accade, è quella della sperimentazione; speriamo che questa sperimentazione non duri trent’anni, così come è avvenuto per un inceneritore del settentrione (non dirò quale)! La sperimentazione a Scarlino sta andando avanti, se non sbaglio, da quasi 18 mesi.

Vorremmo avere come WWF, come comitati, come cittadini una risposta. E’ mai possibile che di fronte ad una sentenza del tribunale che stabilisce di chiudere si continui ad andare avanti? Questo senza considerare la situazione di inquinamento del sito di Scarlino; credo sia una delle peggiori in assoluto.

PRESIDENTE. Vorrei ricordare che la Commissione ha ricevuto in modo informale più di una volta gli esponenti del comitato di Scarlino, gli amministratori, ha svolto due audizioni su questo problema. Quando verrà stesa la relazione, esprimeremo la valutazione sull’intera vicenda, sulla quale occorre essere un po’ più precisi, bisogna avere tutta la documentazione.

LEONARDO ROMBAI, Presidente della sezione fiorentina di Italia nostra. Abbiamo predisposto un elenco di casi esemplari di impianti- discariche, inceneritori, gassificatori, l’ultima generazione degli impianti di compostaggio - realizzati in Toscana dal 1980 fino al 2000, ormai nell’ambito dei piani provinciali.

A parte le scelte sbagliate sul piano metodologico e tecnologico di cui si è già parlato, si tratta di casi esemplari di una cattiva politica del territorio per quello che riguarda gli effetti della localizzazione, le implicazioni sulla salute, sulla qualità della vita, sul patrimonio ambientale e paesaggistico.

Certamente non è il caso di entrare in ciascuno di questi esempi; tra l’altro l’elenco non è completo perché abbiamo avuto problemi di sistemazione archivistica per un trasloco, ma ovviamente tutti gli elementi sono a disposizione nella sede sociale.

Perché parliamo di cattiva politica del territorio? Rispetto agli anni ottanta e novanta avvertiamo da parte delle amministrazioni locali un cambiamento di rotta in negativo: mentre prima si rilevava una sensibilità, vi era la possibilità di discutere e di informare le popolazioni, le associazioni, le parti interessate, negli ultimi anni si è assistito attraverso quelle pratiche per noi eversive degli accordi di programma e delle conferenze dei servizi a metodologie che scavalcano, in barba alle leggi che prevedono la partecipazione, la popolazione e le associazioni interessate, a partire da quelle ambientaliste. Sembra proprio che le decisioni vengano prese, al chiuso di queste conferenze, non tanto sulla base di considerazioni di interesse generale – dare un esito al ciclo dei rifiuti – quanto per fare un buon affare. I rifiuti stanno diventando un business; il modello Peccioli in Toscana sta facendo strada, certi impianti mal progettati sul piano tecnico e ancor peggio sul piano ambientale si devono realizzare in mezzo ad aree di grande interesse turistico ed agrituristico, in mezzo ai vigneti che producono vino a denominazione di origine controllata, distruggendo boschi vincolati da tante leggi, mettendo in crisi falde acquifere con tutti i problemi per la salute.

Si potrebbero riportare tanti casi esemplari: è stata ricordata la discarica di Toiano, che si volle pervicacemente costruire nel verde Mugello, l’impianto di incenerimento di Pietrafitta a Poggibonsi nell’area dove di produce la Vernaccia, tanto caro al primo ministro britannico, gli impianti di compostaggio sul Rio Faltona nel Mugello e quello che è stato ricordato – abbiamo la fotografia eloquente che distribuiremo alla Commissione – a Ponterotto presso San Casciano Val di Pesa, nell’area di produzione del Chianti classico, a 300 metri da un borgo rurale, in un’area boschiva che si intende in parte distruggere.

Sono casi emblematici che ci preoccupano non solo per la fase della progettazione e decisione istituzionale da parte delle amministrazioni locali ma anche per l’assenza – si sta parlando di ambienti vincolati dal decreto n. 1497, dal vincolo idrogeologico, dalla legge Galasso, punteggiati da monumenti di cui alla legge n. 1089 – delle istituzioni (il Ministero tramite le sovrintendenze, le regioni). Ci muoviamo ormai in una realtà di localismi, per cui si decide al chiuso delle conferenze dei servizi e si intraprende la costruzione di questi impianti, tra l’altro spesso inadeguati sul piano delle metodologie e delle tecnologie.

UGO CIANCHI, Vicepresidente della sezione fiorentina di Italia nostra. Non ho molto da aggiungere a quanto già detto dal presidente. Vorrei solo ringraziare il prefetto e il presidente della Commissione per l’invito rivolto che ci ha dato modo di farci conoscere.

L’associazione che rappresentiamo fin dal 1980 – non dagli anni ottanta – si sta interessando di questi problemi fin dal momento in cui cominciarono a delinearsi. Ribadisco il concetto espresso dal presidente e sottolineo che negli anni ottanta da parte delle amministrazioni pubbliche, soprattutto a livello politico, è stata dimostrata una sensibilità diversa. Noi non ci siamo mai espressi in senso negativo in modo assoluto: siamo stati sempre, o quasi sempre, propositivi e direi che negli anni ottanta la nostra forza di proposizione nei confronti delle amministrazioni pubbliche è stata recepita ed è stata in una certa misura apprezzata.

C’è stato un cambiamento di tendenza. Oggi, si può ottenere un briciolo di rispetto dell’ambiente in maniera specifica e noi siamo in grado di controllare la situazione a livello giurisdizionale.

Ho apprezzato l’interessamento delle tre signore intervenute e mi sono meravigliato della sensibilità dimostrata, di cui mi congratulo apertamente. Una di queste signore ha parlato anche di Ponterotto; ebbene, noi siamo riusciti, evidentemente non in maniera incruenta sotto l’aspetto oneroso (perché siamo dovuti ricorrere al TAR), a sospendere i lavori. Nelle fotografie che abbiamo preparato, vedrete che ci sono, oltre a Ponterotto, altri casi significativi e dettagliati che in parte sono stati descritti dagli interventi di queste tre signore.

Se la Commissione d’inchiesta parlamentare lo riterrà opportuno, potrà consultare tutti gli atti in nostro possesso, che metteremo a disposizione in qualsiasi momento.

Vorrei concludere sottolineando l’importanza del controllo del territorio, a prescindere dai controlli dell’ARPAT e dell’ASL in questi "stabilimenti" – lo dico tra virgolette – già posizionati ed efficienti sul territorio: occorre evidentemente verificare la situazione al di fuori di questi ambienti. Come associazione ci siamo fatti carico – perché siamo stati investiti di questa forma di responsabilità che non è stata affatto onerosa – della posizione del Corpo forestale dello Stato, unico corpo oggi, a prescindere dal NOE e da altri organismi collaterali nati successivamente, in grado di controllare effettivamente il territorio.

Vorrei che di questo aspetto si tenesse conto, e spero molto sulla sensibilità del presidente di questa Commissione.

PRESIDENTE. Con questo intervento possiamo ritenere conclusa l’audizione. Ricordo che la questione del Corpo forestale dello Stato è stata oggetto di una mozione discussa alla Camera dei deputati per ben tre sedute e che ha visto posizioni trasversali fra tutti i parlamentari. E’ inutile che in questa sede io riferisca della mia posizione che, peraltro, era già implicita nella mozione presentata; dico solo che è un dibattito che è già stato avviato. Tuttavia, in un paese complesso come il nostro, tutto diventa molto complicato: ciò non vuol dire che non siamo impegnati a tentare di risolvere i problemi nel modo migliore.

Dichiaro pertanto conclusi gli incontri.

L’incontro termina alle 17,25.