L’incontro ha inizio alle 12.50.

Audizione del Prefetto di Trieste e del Procuratore distrettuale antimafia.

PRESIDENTE. Ricordo che è ormai prassi della Commissione d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti effettuare visite sul territorio per una visione diretta dei problemi di gestione, tecnici, amministrativi, normativi e di criminalità concernenti il settore dei rifiuti. Nelle nostre visite, un punto fermo sono le audizioni, presso le prefetture, di tutti i soggetti interessati, dalle autorità preposte alla tutela dell’ordine, che possono informarci su eventuali illeciti o che, in ogni caso, possono segnalarci taluni aspetti per quanto riguarda la gestione del ciclo dei rifiuti, ai magistrati preposti alla tutela delle ecomafie, alle associazioni industriali, alle associazioni ambientaliste. Ciò per avere un panorama il più possibile corrispondente ai problemi che le varie regioni si trovano ad affrontare.

Chiarito il senso della nostra missione, do subito la parola al prefetto di Trieste, dottor Vincenzo Grimaldi, la cui nomina so essere recentissima.

VINCENZO GRIMALDI, Prefetto di Trieste. La mia nomina non può essere più recente, signor presidente, visto che oggi è il mio primo giorno di incarico.

Dando il benvenuto a lei e agli onorevoli componenti la Commissione parlamentare, dico subito che mi limiterò ad una breve introduzione per sottolineare che il fenomeno di infiltrazioni delinquenziali nel settore della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti ha, dalla cognizione rapida che ho potuto avere, proporzioni non allarmanti. Ciò perché, stando a quanto mi è stato detto, lo smaltimento è affidato ad una società concessionaria dell’azienda comunale e perché il territorio non si presta, dal punto di vista morfologico, a discariche abusive.

Ciò detto, credo, data la mia non piena cognizione della questione, che sarà prezioso ed utile per voi ascoltare i rappresentanti delle forze dell’ordine qui presenti.

PRESIDENTE. Rivolgendole gli auguri per il suo incarico, signor prefetto, do la parola al questore di Trieste, Fersini Alessandro.

ALESSANDRO FERSINI, Questore di Trieste. Il fenomeno del riciclaggio e dello smaltimento dei rifiuti non ha una grossa incidenza sul territorio triestino. Vi sono sporadici interventi da parte delle forze dell’ordine, in particolare dei carabinieri e della Guardia di finanza, in ordine ad alcuni episodi di abbandono di materiale ferroso e quant’altro da parte di piccoli operatori, comunque non riconducibili a personaggi collegati alla criminalità organizzata. Direi che il fenomeno è abbastanza circoscritto e ridotto, pur non omettendo qualche transito di materiale ferroso proveniente dai paesi dell’est, dal porto franco di Trieste. Nel giugno del 1998, per esempio, è stato rintracciato un camion, proveniente dall’Albania, che conteneva materiale ferroso in cui è stata individuata una fonte radioattiva. Vi furono accertamenti da parte dell’autorità giudiziaria e alla fine si decise di rinviare al mittente questo materiale.

Credo, poi, che il signor procuratore potrà fornire maggiori ragguagli sugli accertamenti, tuttora in corso, sul deposito della Esso, al confine tra Trieste e Muggia.

Tornando al tema, cioè allo smaltimento dei rifiuti e al collegamento con la criminalità organizzata, tutto il monitoraggio effettuato, da ultimo nel settembre del 1999, non ha portato a conclusioni negative, cioè alla presenza di elementi comunque collegati alla criminalità organizzata. Ripeto, qualche episodio vi è stato, ma di carattere episodico e circoscritto e se ne sono interessati la Guardia di finanza ed i carabinieri, che credo possano fornire qualche ragguaglio in merito.

PRESIDENTE. Non vorrei che l’accenno alle ecomafie fosse distorcente. Siamo infatti molto interessati a rilevare episodi quali quelli di cui lei ci ha parlato e sui quali si intratterrà, credo, anche il procuratore distrettuale antimafia, ma vorremmo anche capire come funziona tutto il ciclo dei rifiuti, nonché sapere se vi siano eventuali illeciti amministrativi e ritardi. Diciamo che vorremmo conoscere lo stato dell’arte. Siamo reduci, per esempio, da un sopralluogo all’area ex Esso, dove sicuramente vi è un grosso problema di bonifica, dopo decenni di un’attività industriale, con la gestione di tutti gli scarti di produzione, che indubbiamente non ha seguito norme rigorose o che, forse, addirittura non ne ha seguita nessuna. Gli esponenti dell’autorità portuale ci hanno detto di aver perimetrato tre milioni e mezzo di metri quadrati come area da classificare per le bonifiche.

Problema non irrilevante è anche quello della rivalsa delle autorità amministrative nei confronti di chi ha inquinato. A noi ci interessa, e credo che debba avere attenzione da parte dei vostri uffici, se non, addirittura, una vera e propria forma di aiuto, in quanto è molto complesso. Dopo che per decenni si sono svolte attività industriali, magari con titolari del terreno o della concessione che cambiavano nel corso del tempo, non è infatti facile riuscire ad individuare responsabilità precise, a fronte di spese molto alte. Per l’area che riguarda Trieste, per esempio, si parla di decine di miliardi per i primi interventi significativi.

Ripeto, anche questi problemi sono al massimo della nostra attenzione.

MARIO BASILE, Comandante provinciale dei carabinieri. Non ho molto da aggiungere a quanto ha già detto il questore Fersini, anche perché la situazione di Trieste è relativamente buona sotto questo profilo.

Non parlerò della questione ex Esso, perché credo che lo farà il procuratore distrettuale antimafia, che se ne sta occupando, anche se vi è stato un intervento del nucleo operativo ecologico propedeutico, forse, a quello della procura.

Può essere utile per voi sapere che da pochi mesi è stato istituito un nucleo operativo ecologico a Udine, in quanto prima la regione non ne aveva e doveva utilizzare quello di Venezia, che aveva già abbondante campo d’impiego nel Veneto. L’istituzione di questo nucleo operativo ci consentirà, in futuro, di realizzare interventi più puntuali sul territorio.

Per quanto riguarda Trieste, direi che sia la tipologia della zona – credo si tratti di poco più di duecento chilometri quadrati – a dare l’idea della non presenza del fenomeno delle discariche abusive, perché qui si vedrebbero subito. Trieste non ha neanche discariche per i rifiuti speciali, per cui è eventualmente interessata alla partenza di rifiuti speciali per altri territori, per esempio il Friuli o il Veneto.

Abbiamo una casistica di piccoli interventi, fatti però su singole attività che comportano produzione di rifiuti di un certo tipo e, quindi, smaltimenti. Direi che sono oggetto della nostra attività costante e quotidiana, con il supporto del nucleo operativo ecologico, ma non credo che siano di interesse di questa Commissione, stante la loro limitatezza ed il fatto che riguardano attività tutto sommato di piccolo livello.

I due grossi casi riguardano, rispettivamente, la ex Esso e la ferriera Aquila, ma su di essi credo che potrà riferire più compiutamente il procuratore distrettuale antimafia. Risale invece a tre anni fa il rinvenimento, ad opera dei carabinieri, di un certo numero di bidoni, buttati a mare nel porto di Trieste, contenenti oli di lavorazione industriale.

PRESIDENTE. Dal comandante provinciale della Guardia di finanza vorremmo sapere, essendo Trieste la tipica regione di confine, se esistano problemi di traffici transfrontalieri. In proposito, in Commissione vi è un gruppo di lavoro ad hoc e ricordiamo vari episodi, per esempio il trasporto di rottami metallici contaminati radioattivamente. Sottolineo, al riguardo, che Gorizia è uno dei pochi valichi di frontiera a possedere un detector per rilevazioni del genere.

TOMMASO VERNILLO, Comandante provinciale della Guardia di finanza di Trieste. Nel nostro ordinario servizio di istituto, anche noi abbiamo riscontrato una piccola casistica di illeciti di carattere amministrativo relativi alla tenuta del registro di carico e scarico o a irregolarità nella circolazione dei rifiuti su strada. Quindi, non abbiamo registrato illeciti eclatanti. Li registriamo, invece, per quanto riguarda il transito di rifiuti attraverso le frontiere. Nella fattispecie, si tratta di materiali ferrosi su cui vengono esercitati i prescritti controlli, congiuntamente alla dogana. L’esito di queste azioni ha comportato, nel 1998, l’individuazione di due trasporti sospetti di materiali ferrosi radioattivi, che sono stati respinti. Questo tipo di attività viene esercitata ogni volta che se ne ravvisa la necessità. Non risulta che vi siano difficoltà.

Infine, non sono emersi collegamenti con la criminalità organizzata nell’accertamento di tutte le violazioni constatate in materia.

PRESIDENTE. La ringrazio. Credo che il procuratore distrettuale antimafia, dottor Pace, avrà il compito di illustrarci come vanno le cose. Qualora intenda riferirsi a procedimenti in corso, è bene che ci avverta perché in questo caso procederemo in seduta segreta.

Poc’anzi non ho citato a caso la costituzione di un gruppo di lavoro ad hoc sui traffici illeciti, perché, essendo Trieste un porto, vorremmo sapere se tra le indagini in carico alla procura ve ne siano alcune riguardanti traffici da Trieste ai porti italiani e da Trieste fuori Italia.

NICOLA MARIA PACE, Procuratore distrettuale antimafia. Diciamo subito che il fenomeno dei rifiuti radioattivi è molto ampio, in quanto si stima che 60 mila tonnellate di scorie fuoriescano dalle nostre 458 centrali attive, di cui 2 mila tonnellate di plutonio, che è una quantità terrificante. Questi materiali ferrosi, che sono preziosi, perché il nostro acciaio, carbonio e alluminio sono i migliori, per lo più vengono avviati a rifusione nell’ambito di in un sistema normativo che, a mio avviso, è carente. Da questo punto di vista, credo che la Commissione possa fare qualcosa per correggerlo. Su queste sostanze, infatti, il controllo radiometrico è demandato all’importatore, che fa capo a un libero professionista; quest’ultimo sarà anche una persona seria e onesta, ma se diventasse troppo fiscale, il suo datore di lavoro lo sostituirebbe. Occorre, quindi, che questo controllo venga demandato agli organi pubblici. Non che non ci sia questa possibilità, ma di fatto il controllo è esclusivamente quello che per legge è imposto all’importatore e che quest’ultimo svolge nella maniera che ho detto.

Conoscendo questo tipo di fenomeno e sapendo che a Brescia, per esempio, vi è un controllo abbastanza penetrante, ci siamo posti il problema per Trieste, essendo un luogo di ingresso importante per questi materiali.

Abbiamo sollecitato le forze dell'ordine, le quali hanno sequestrato un carico e abbiamo voluto investigare bene, tant'è vero che ho dato incarico di eseguire un esame radiometrico all'istituto di fisica nucleare di Frascati, cioè agli stessi esperti che avevano svolto altri incarichi nell'ambito dei procedimenti, che il presidente Scalia ricorderà certamente, sui centri italiani di riprocessamento del combustibile nucleare.

Abbiamo scoperto che, in effetti, in questo carico di materiale ferroso c'è una sorgente di americio alfaemettitore facilmente schermabile, per cui non ci siamo nemmeno sentiti di poter perseguire penalmente il fisico che aveva eseguito l’indagine radiometrica, perché sappiamo che, per intercettare gli alfaemettitori, bisogna tarare bene gli apparecchi per quel tipo di radiazioni.

Per ciò che riguarda questi materiali che in quantità massiccia giungono in Italia e giungono anche alla ferriera di Trieste, è necessario studiare un sistema più intrusivo, più sistematico ed efficace, ma che non può fare a meno di una modifica legislativa la quale imponga questi controlli agli organismi dello Stato e non li lasci al volontariato.

Prima di passare ad altri argomenti, vorrei sottolineare, e lo faccio con molto piacere, che non appena le competenze in materia ambientale, per effetto della riforma sul giudice unico, sono passate alla procura presso il tribunale che io dirigo, abbiamo voluto cambiare registro, portare una filosofia di lavoro nuova perché, sulla base di esperienze maturate in tanti anni, siamo convinti che questa sia una materia difficile, complessa, ma che, se investigata bene, porta nei centri nevralgici della criminalità nazionale e internazionale. Ciò significa che si doveva uscire da una dimensione burocratica d’indagine e per questo abbiamo costituito un gruppo di lavoro, coordinato da me, e composto da due magistrati, il collega Tito, molto esperto anche di reati afferenti la pubblica amministrazione, ed una giovane uditrice, la dottoressa Chercia, che vogliamo far crescere accanto a noi in questa materia. Questo modulo organizzativo della procura tende anche a rappresentare un punto di riferimento in più per la polizia giudiziaria e, in definitiva, a far crescere anche la cultura investigativa delle forze dell'ordine. Allo stesso modo, è importante che cresca anche una cultura dell'informazione. I nostri operatori di polizia hanno messo a segno recentemente dei colpi investigativi veramente notevoli: come ricordavo poco fa al signor prefetto che, avendo appena assunto il suo incarico queste cose non le sa, abbiamo sequestrato 10 tonnellate di marijuana in un colpo solo; l'altro ieri 149 chili di cocaina, che sono una quantità immensa; inoltre, 360 mila pastiglie di ectasy all'interno di uno scambio Olanda-Stati Uniti attraverso l'Italia. Queste operazioni sono state compiute sulla base di input informativi, altrimenti non si arriva a questo livello. Lo stesso livello bisogna che si raggiunga e che si consolidi anche per quanto riguarda i reati che afferiscono all'ambiente.

In questa prospettiva avevo cercato di sensibilizzare la direzione generale del Corpo forestale dello Stato che, come credo sappia anche la Commissione, è forse l'organismo che ha il miglior pacchetto informativo in materia ambientale; l’ho fatto perché mi serviva dare ai miei operatori a Trieste questa base informativa, che tra l'altro ci racconta anche di qualche movimento di rifiuti industriali nella zona di Gorizia. Peraltro, la zona di Gorizia, così come quella di Trieste e il Carso in generale, per la loro conformazione geologica costituiscono un luogo ideale per forme di smaltimento clandestine. Se abbiamo visto come si sia riusciti ad utilizzare, secondo un’ipotesi investigativa che abbiamo coltivato quando eravamo in quel di Matera, i pozzi esausti come luogo di smaltimento di rifiuti liquidi, credo che l'ambiente carsico sia altrettanto idoneo per operazioni di questo tipo.

Devo dire, però, che in questo caso il riscontro del Corpo forestale dello Stato è stato molto deludente ed, anzi, ha registrato qualche punta di polemica perché il direttore generale, a fronte di una richiesta che voleva anche segnare il livello di stima e di fiducia che io manifestavo verso quell'organismo, mi ha risposto sui giornali dicendo che i pubblici ministeri e il procuratore della Repubblica vogliono dirigere gli organismi di polizia. A parte il fatto che la cosa è anche prevista dal codice, io ho preferito troncare la polemica, anzi, non l'ho fatta nemmeno sorgere e cercherò di creare le premesse perché vi sia anche un'attività di tipo informativo, che ritengo indispensabile e fondamentale per questo tipo di indagini.

Questa è la filosofia all'interno della quale ci stiamo muovendo; il modulo organizzativo è quello del gruppo di lavoro inteso non come un formalistico criterio di riparto degli affari, ma come un vero e proprio sistema investigativo cui devono fare capo delle direttive, delle banche dati, dei collegamenti con i migliori investigatori che ci sono nel paese perché questi fenomeni sono quanto meno transregionali, quando addirittura non sono internazionali.

Questo è l'approccio della procura antimafia da me diretta in materia. Personalmente ci credo ed ho dei collaboratori che ci credono altrettanto e vogliamo spendere tutta l'esperienza che abbiamo accumulato negli anni in questo settore.

Abbiamo due indagini in corso di un certo rilievo, la prima delle quali riguarda l'area ex ESSO. La vicenda di quest’area è ben conosciuta dalla Commissione, che ha avuto la cortesia di mandarmi anche un suo resoconto che è stato per me una fonte di conoscenza. Quindi, c'è un dare ed avere: non sempre siamo noi a dare qualcosa, perché in questo caso è stata la Commissione a fornirmi un testo veramente preciso e che ha messo in evidenza due aree di interesse investigativo: una di tipo strettamente ambientale e che riguarda la condizione in cui è caduto questo sito oggi e un'area di interesse investigativo per le sregolatezze che potrebbero essere avvenute nella gestione tecnico-amministrativa di questa vicenda.

È noto che si tratta di un sito che ha visto una raffineria attiva dal 1895 al 1967; dal 1967 al 1979 vi è stato un deposito costiero, quindi presumiamo che non vi sia stato nessun ulteriore apporto inquinante. Nel 1953, non bastando l’area privata acquistata da privati, si è ritenuto di acquisire in concessione anche altre due aree, con la previsione che venissero restituite previa bonifica. Non solo non venne fatta una bonifica, ma neppure una richiesta di bonifica e passivamente il demanio riacquisì in restituzione l'area senza fiatare. Successivamente l'ente porto di Trieste decide di acquistare, cioè sceglie di acquistare quella che a quel punto poteva essere definita come una negatività, un'area inquinata e che l'ente porto sapeva inquinata, tant’è che alcuni mesi dopo sborsa un altro miliardo per un intervento di bonifica, che peraltro non vi è stato, e quindi aggiunge a questo scenario abbastanza singolare un elemento ulteriore di anomalia che ci induce a qualche riflessione anche di natura penale, sia pure condizionata dai tempi in cui sono avvenute queste cose, visto che stiamo parlando di fatti molto lontani.

A livello di indagine, oggi abbiamo da valutare gli eventuali illeciti connessi a questa vicenda tecnico-amministrativa di gestione dell'area e da considerare l'aspetto ambientale, che credo vada visto soprattutto nell'ottica della bonifica, perché anche in questo caso credo che ci troveremo di fronte a reati estinti da tempo. Comunque, la nostra indagine serviva a tenere desta anche l'attenzione di chi deve provvedere e credo che un ruolo importante dovrà essere svolto dal sindaco, il quale ha i poteri, ex articolo 14, di imporre a chi è tenuto la bonifica dell'area.

Non credo di dover aggiungere altro su questo punto, perché la Commissione conosce bene la situazione e ha potuto verificarla anche oggi; ribadisco che sulla gravità della situazione medesima credo vi sia poco da aggiungere, salvo accennare al fatto che lo strato inquinato misura 8,7 metri per quanto riguarda la maggior parte dell'area e 4,9 metri nella parte meno inquinata; in ogni caso, siamo pur sempre di fronte ad un’estensione notevolissima e quindi si può prevedere che la bonifica abbia costi altissimi. A questo punto, credo che bisognerà ideare una discarica 2B o 2C per contenere tutto questo materiale e non so neppure se quest’intervento, che avrà costi spaventosi, a questo punto a carico della collettività, oggi proprietaria del sito, alla fine sarà risolutivo. Ad ogni modo, sono profili amministrativi sui quali vigileremo attentamente; per parte nostra, dovremo soltanto tirare le fila del discorso penale e lo faremo sapendo che queste ipotesi di reato si dovranno raffrontare con delle date che sono veramente preistoriche e che quindi molto verosimilmente si arriverà alla prescrizione dei reati.

Il secondo procedimento di un certo rilievo e di grande impatto immediato sulla qualità della vita di Trieste è quello che riguarda la ferriera di Servola. Anche in questo caso, così com'è avvenuto per l'area ex ESSO, in regime di procura circondariale era stato avviato un procedimento. Ovviamente non voglio svolgere nessuna notazione critica nei confronti dell'operato della procura circondariale, devo però dire, per quanto riguarda il procedimento in atto, che è già in fase di dibattimento, che questo per noi rappresenta un grosso problema perché rischia di andare a costituire un giudicato su una vicenda e per un reato banalissimo, quello previsto dall'articolo 674, che comporta una banale contravvenzione, a fronte di una situazione che, a nostro modo di vedere e sulla base della nuova indagine che abbiamo avviato, si prospetta in termini di assai maggiore gravità. Pertanto, stiamo cercando di attuare una tattica processuale per fare in modo che nel procedimento in corso transitino delle tematiche che abbiamo introdotto nel procedimento avviato successivamente, in modo da arrivare eventualmente ad una fusione dei procedimenti e da consentire al giudice di valutare per intero, non soltanto l'aspetto davvero secondario e marginale rappresentato dall'emissione di polveri nell'ambiente. L'accertamento tecnico, che anche in questo caso abbiamo voluto quantomai serio, ci ha svelato una condizione di deficienza strutturale dello stabilimento: in questo caso, infatti, la diffusione delle polveri non avveniva perché non si bagnava il carbone o perché c'è già un malfunzionamento dell'abbattimento dei fumi.

Lo stabilimento per come è nato, è stato gestito e non è stato adeguato: è una cosa di una gravità assoluta, si tratta di uno stabilimento radicalmente abusivo, cioè non munito di autorizzazione provvisoria come previsto dalla legge antismog, la quale, se non vado errato, entra in vigore nel 1988 e prevede che si debba andare alla regione a farsi dare un’autorizzazione provvisoria; la regione stabilirà delle prescrizioni alle quali lo stabilimento nel tempo dovrà adeguarsi, fino a che l'impianto non si allineerà con gli standard ordinari.

PRESIDENTE. Mi scusi, ma la ferriera di chi è?

NICOLA MARIA PACE, Procuratore distrettuale antimafia. È di un privato.

Voglio dire che un accertamento come quello che si avviò a suo tempo su questo stabilimento doveva partire anzitutto dalla verifica dell'atto legittimativo dell'impianto, cioè dall'esistenza di un'autorizzazione che non c'è. Tutto questo in un’ottica per così dire aggressiva avrebbe potuto comportare anche l'immediato sequestro dell'impianto; tuttavia, a noi interessa che esso funzioni perché vogliamo vederlo anche nel suo momento dinamico per poterlo analizzare. Pertanto, ci riserviamo di fare le nostre valutazioni all'esito delle indagini, le quali - lo ripeto - hanno svelato una situazione di totale illegittimità formale per assenza dell'autorizzazione regionale, il che la dice lunga sull'assenza di una sensibilità delle istituzioni pubbliche rispetto alle tematiche ambientali, cosa che non si può concepire, e nessuno deve parlarmi di nord-est evoluto quando poi verifichiamo situazioni che magari nel resto del paese non vi sono, perché magari l'autorizzazione si dà; sarà un atto formale, però almeno si dà. Dal punto di vista sostanziale si rileva la carenza strutturale dell'impianto a rientrare nelle regole minime.

Naturalmente tale situazione ha un impatto immediato e diretto, a differenza di quella della ex ESSO che ha un impatto più occulto, magari importante, ma più sotterraneo. In questo caso, invece, lo stabilimento è nel cuore della città e infatti di cittadini ci tempestano di esposti assolutamente giustificati.

Questi sono i due fatti emersi; naturalmente noi teniamo d'occhio anche il sommerso, e lo vogliamo fare attrezzandoci bene. D’altronde, la nostra competenza come procura antimafia è recente e recente è anche la costituzione del gruppo di lavoro, così come i primi contatti con la procura generale cui devo dare atto di grande sensibilità (lo dico non in senso formale ma sostanziale); sempre più frequentemente negli incontri che ho con i comandanti dei servizi del mio ufficio si parla di questi temi.

Non vorrei sembrare monomaniaco, presidente, ma penso molto al nucleare perché ho sempre presente una scala di disvalori; penso che un impianto come quello della ex ESSO possiamo bonificarlo e al limite sarà la natura, magari nel giro di qualche secolo, a compiere questa bonifica. Con il nucleare il discorso presenta tempi cosmici: se mando nell'ambiente anche soltanto una traccia di cobalto, che dura 4.500 anni e si smaltisce in 10 mila, ho creato un'ipoteca terrificante, per cui l'attenzione a quella materia è massima.

Naturalmente abbiamo presente il pericolo derivante dalla non facile controllabilità dei traffici nella zona portuale: il porto di Trieste è un luogo di movimentazione di containers, dove i controlli sono essenzialmente cartacei. Se non si ha un input informativo è difficile fare un'indagine mirata. Noi vogliamo potenziare la nostra capacità di intrusione sulla base di una buona struttura informativa e per questo motivo ho indicato ai comandanti dei servizi, che peraltro sono sensibili al tema quanto me, la necessità di adottare, per quanto riguarda la materia del traffico di rifiuti, la stessa capacità che hanno acquisito relativamente ai traffici di droga, di armi, eccetera. I traffici ferroviari, come abbiamo detto, sono altrettanto a rischio e tra l'altro abbiamo una contiguità con la Slovenia che è un paese giovane e molto collaborativo. Abbiamo rapporti di scambio e di collaborazione con la Slovenia addirittura migliori di quelli che abbiamo con altri partner europei. Tuttavia, la Slovenia ha una sola forza di polizia, ha un budget complessivo di 20 mila notizie di reato all'anno, compresi i divieti di sosta, non ha specialisti, non ha banche dati e neppure una sensibilità sociale simile a quella dell'Italia su queste tematiche, per cui in questo settore non possiamo contare molto sulla Slovenia. Riceviamo, invece, un aiuto molto importante per quanto riguarda la gestione dei flussi migratori illegali, ma per il resto ci dobbiamo arrangiare da soli; per la verità, mi aspettavo di più dal Corpo forestale dello Stato, con cui ho collaborato e di cui conosco potenziale, soprattutto in ordine alla base informativa. Spero di riallacciare questi rapporti. In ogni caso, mi auguro di essere all’altezza della situazione e di non deludere mai il presidente Scalia, che in qualche modo mi insegue in questo tour italiano. Tutto ciò, naturalmente, in un’ottica di servizio, perché sento fortemente il bisogno di corrispondere, in questa materia, ai bisogni primari del paese. Nella parola ambiente, infatti, vi sono almeno quattro o cinque valori, tutti di livello costituzionale, ma credo di non avere bisogno di dire queste cose ad una Commissione come quella che ho l’onore di avere di fronte.

PRESIDENTE. La ringrazio, procuratore Pace.

Do la parola ai colleghi che desiderino intervenire.

LUCIO MARENGO. La sua esposizione, signor procuratore, mi ha impressionato. Ciò che è comune in Italia è l’indifferenza delle istituzioni, che dovrebbero controllare e che non lo fanno; oppure qualche volta si riscontra collusione fra le istituzioni e coloro che vogliono le leggi in materia di ambiente. Più o meno, lei ha detto la stessa cosa, almeno così mi è parso di capire. Però, perché la magistratura non interviene, visto che vi sono reati che potrebbero risultare penali? Non si ha notizia di provvedimenti a carico di rappresentanti delle istituzioni che dovrebbero controllare. Con quali mezzi pensate di contrastare il trasporto di rifiuti radioattivi, visto che per farlo bisogna avere particolari apparecchiature che qui non ci sono e che dovrebbero essere in possesso di tutti coloro che sono preposti al controllo di questo tipo di traffico? In assenza di certe apparecchiature il controllo è molto approssimativo ed è facile immaginare che i traffici siano facilitati da una rete con le maglie molto larghe.

Da notizie acquisite risulterebbe la presenza di rifiuti radioattivi nella discarica di Santa Croce. La procura ne è a conoscenza? Sono stati mai effettuati indagini e controlli sull’attività della società Ecornet e su eventuali legami con la criminalità organizzata?

MANLIO COLLAVINI. Il comandante della Guardia di finanza ha già risposto a una domanda che volevo fare sui controlli effettuati per i traffici di rifiuti di rottame ferroso dall’est europeo, ma torno sull’argomento perché vorrei sapere di quali mezzi disponiate per controllare in maniera più ampia questi eventuali traffici. Sappiamo, infatti, che i controlli sono stati fatti nei valichi normali, ma nella frontiera che va da Trieste a Tarvisio vi sono decine e decine di valichi che, mentre all’origine avevano uso solo agricolo, per i frontalieri, adesso sono diventati di seconda categoria; sappiamo anche che alcuni sono utilizzati durante le ore del giorno, ma di notte vengono chiusi e restano incustoditi. So bene, perché ho fatto dei sopralluoghi di persona ed ho parlato con i militari della Guardia di finanza, che spesso la mattina, quando tornano al posto di blocco, trovano le sbarre forzate. Mi è stato detto che ciò è successo diverse volte e che il fatto, quindi, è stato ripetutamente denunciato. Il mio dubbio è che possa succedere che i veri traffici di materiali ferrosi radioattivi e di tutti quelli che possono interessare quel confine avvengano non dai valichi principali, ma proprio da quelli considerati secondari, perché anche se sono malserviti dalle strade, quest’ultime sono comunque sufficienti per il transito di grossi camion o di mezzi di ogni tipo. La mia domanda, quindi, è la seguente: disponete dei mezzi per poter controllare questi valichi considerati secondari?

PIERLUIGI COPERCINI. Confesso che sono stupefatto, perché parliamo di una zona di frontiera, dove i paesi contigui si trovavano a gestire un’economia completamente diversa, collettivizzata, quindi con grandi centri di produzione e, conseguentemente, con una grande quantità di materiale di diverso tipo. Come è possibile che la situazione sia così idilliaca, visto che ovunque c’è un porto avvengono traffici, anche internazionali? Possibile che voi, che siete così vicini a una zona di guerra, non abbiate realizzato che attraverso le frontiere potevano avvenire traffici di droga e di persone? Di recente sono stato nel carcere di Udine (faccio parte del Comitato carceri) e vi ho trovato una signora tedesca, in attesa di giudizio, di professione passeur. Questo per dire che attraverso i valichi di cui parlava il collega Collavini, probabilmente non passano solo rifiuti radioattivi (qualche contenitore di cobalto rosso può passare dovunque). Sarebbe quindi interessante vedere, a proposito di quanto detto dal capitano della Guardia di finanza, che rapporto vi è tra il materiale cartaceo e i traffici effettivi. Tramite le ferrovie, per esempio, possono esserci traffici internazionali. Di quali strumenti disponete per individuarli e contrastarli? Che collaborazioni sono state instaurate, visto che qui siamo in un posto nevralgico di frontiera, con le autorità dei paesi vicini? E’ vero che ci sono stati mutamenti politici, ma è necessario che il nostro servizio di intelligence comunichi con il loro a proposito di tutta questa poliedricità di traffici combinati.

A livello legislativo stiamo cercando di creare strumenti anche tecnici per intervenire, ma non dobbiamo dimenticare che la malavita opera in settori differenziati in vari modi e con mezzi tecnici che sono in continua evoluzione.

Un ultimo accenno alle fosse carsiche: siamo sicuri che non siano state utilizzate per il ricovero di rifiuti pericolosi? La produzione industriale del territorio di Trieste è sempre stata buona: sono più di cent’anni che esiste la ESSO, e in Italia di raffinerie ce ne sono tante, visto che raffiniamo, tenendoci gli scarti, tutto il combustibile per l’Europa. Non è possibile che queste fosse carsiche, così pratiche, non siano state utilizzate da qualche industria dei settori chimico e petrolchimico, per esempio, magari anche per il ricovero di merci di importazione?

PRESIDENTE. Il collega Copercini ha allargato il quadro a materie che non sono di competenza diretta della Commissione, ma è sempre bene capire…

PIERLUIGI COPERCINI. L’Ecomafia si occupa di tutto, quindi noi dobbiamo occuparci dei vari collegamenti.

NICOLA MARIA PACE, Procuratore distrettuale antimafia. Vorrei cominciare da questo giusto quesito: se questi traffici non siano contigui o addirittura commisti ad altri traffici di persone, droga, armi, eccetera. A me dispiace di aver dato la sensazione che qui vi sia una situazione piuttosto sguarnita su questo punto. Mi sembrava, infatti, di aver sottolineato come la qualità dell’azione investigativa della polizia giudiziaria in questo settore fosse elevatissima. In materia di traffico di esseri umani, per esempio, possiamo vantare una struttura di riferimento in Italia e in Europa; mi riferisco alla struttura più qualificata, quella che la Direzione nazionale antimafia ha indicato come la più efficace e la più efficiente; siamo infatti gli unici ad avere la possibilità di inquadrare gli interi flussi e di poter tracciare il perimetro di ognuno, individuando tutte le organizzazioni criminali che li gestiscono. Naturalmente, ciò ci consente di investigare non solo sui traffici di persone, con tutto l’indotto successivo, che va fino alla riduzione in schiavitù, ma anche sul traffico di armi e sul traffico di droga. Citavo poco fa, forse enfatizzando un po’, un’operazione da guinness dei primati, cioè di dieci tonnellate di marijuana intercettata mentre veniva trasportata alla volta della Croazia. E’ di tre giorni fa il sequestro, da parte della Guardia di finanza, di 149 chilogrammi di cocaina. Ed ha letteralmente impressionato la DEA americana il sequestro di 360 mila pastiglie di ecstasy, che erano la tranche di un traffico molto più ampio. Semmai, la capacità di intrusione che la nostra polizia giudiziaria ha acquisito nei settori della droga, delle armi e delle persone va proiettata anche nel settore dell’ambiente. Qui sarà mio il compito di coordinare questa attività e di far sì che i moduli investigativi, gli strumenti e i sistemi già collaudati in altri settori vengano impiegati anche in materia di reati contro l’ambiente.

Devo dire, non come giustificazione, ma solo come evidenziazione di un dato reale, che solo dal 2 giugno siamo attivi come procura della Repubblica diretta da me in questo settore. Ritengo che sia già una premessa incoraggiante il fatto di avere individuato un modulo organizzativo, quale il gruppo di lavoro, e l’aver mandato avanti questi procedimenti con una buona capacità di investigazione in entrambi i casi.

Mi è stato chiesto dei controlli amministrativi e del perché la pubblica amministrazione non attui controlli seri. Inoltre, si vorrebbe sapere quali responsabilità si possano configurare a carico di quest’ultima. Non è mia una scoperta la scarsità dei controlli amministrativi in materia ambientale, forse dovuta ad una cultura che relega ancora l’ambiente in una sfera marginale, opzionale all’interno dei grandi interessi dello Stato. Ci stiamo arrivando, ma ancora non ci siamo perfettamente impadroniti dell’idea che l’ambiente è la sintesi dei valori primari che sono alla base della società: nell’ambiente ci sono la salute, la qualità della vita, la memoria storica di un popolo, l’economia. Sono tutti valori di livello costituzionale che meriterebbero una tutela diversa. E quella che manca non è solo amministrativa, è anche legislativa. La nostra legislazione, infatti, è assente in materia di ambiente, non ha l’ambiente come oggetto di tutela diretta. Tutta la galassia delle norme in materia ambientale tutela la funzione amministrativa di controllo sull’ambiente, dando quindi a quest’ultimo solo una tutela di tipo indiretto. Non abbiamo, insomma, ciò che avevamo in Italia 800 anni fa: il codice sull’ambiente del buon Federico II di Svevia ancora oggi è un modello, quanto meno dal punto di vista del metodo e della perspicacia legislativa.

La fatuità della legislazione sull’ambiente comporta il disinteresse della polizia giudiziaria, che non è stimolata ad investigare in questo settore se non ha una certa visibilità della propria azione. Anche la magistratura deve chiedersi se abbia o meno acquisito una cultura dell’investigazione in materia o se, invece, finora non abbia fatto altro che gestire in modo burocratico tanti miniprocessi in materia d’ambiente, magari con gesti vessatori verso il sindaco che non ha fatto questo o quell’altro o reo, per esempio, di non avere la carta bollata. Colpendo queste piccole sregolatezze non è escluso che si faccia il gioco dei grandi trafficanti di rifiuti, che da mafia sono diventati ecomafia.

Esempio della vacuità di queste leggi è anche lo sversamento abusivo di spazzatura, cioè del niente, per il quale è previsto – mi sembra dall’articolo 51 del decreto Ronchi – l’arresto fino a un anno. Se invece si smaltisce abusivamente del materiale radioattivo, si è perseguiti con una sanzione che è esattamente la quarta parte di quella di prima, cioè tre mesi di arresto!

Circa la Ecomed, ho la sensazione che faccia parte di una oligopolio di dieci aziende raccoglitrici di rifiuti radioattivi di provenienza civile, per così dire. Purtroppo, la legge agevola questa sregolatezza in materia, perché quelle aziende hanno soltanto licenza di raccogliere, per cui non dovrebbero fare altro; invece raccolgono e compattano anziché cedere al nucleico, all’unica società in Italia autorizzata alle fasi successive alla raccolta. L’Enea vorrebbe realizzare la fase dello smaltimento finale, anche se non esiste la tecnologia che lo consenta. Invece avviene che i dieci raccoglitori Cenerad, e via via tutti gli altri, raccolgono, compattano, detengono senza obbligo di conferimento entro un certo termine. Il fatto di non essere obbligati dalla legge ad un termine entro il quale cedere al nucleico diviene un incentivo a spostare sempre più in avanti il momento dell'esborso. Medio tempore si verifica, quindi, lo sport preferito di questi signori, cioè il dumping in mare, per cui nelle nostre cronache si legge spesso di spiaggiamento di rifiuti radioattivi, un fenomeno al quale sembra essere particolarmente interessata la Sicilia. La famosa palla di fango, rinvenuta da due pescatori cugini a Catanzaro, probabilmente era una matrice di cobalto usata in terapia medica. Dei due pescatori, uno è morto di leucemia mieloide, una patologia strettamente legata alla contaminazione radioattiva, l’altro ha subito un trapianto.

Questo è un altro fenomeno rispetto al quale avevo ideato una sorta di azione congiunta con altre procure, perché questi soggetti sono dislocati in varie regioni italiane. È un'idea che ho avanzato anche alla direzione nazionale antimafia offrendomi di dirigere quest'operazione; si tratta, però, di coordinare l'azione di più procure perché questi signori dovrebbero essere riportati nei ranghi. Sappiamo per certo, attraverso perquisizioni dirette effettuate proprio da me, che questi materiali vengono stipati dentro capannoni in una maniera indecente (ci sono in Emilia cascinali pieni di questi rifiuti) solo perché costoro non hanno l'obbligo di cedere entro una certa data, perché la legge non impone quest’obbligo. Mi sono permesso di far notare questa lacuna al ministro Ronchi, una lacuna incredibile che fa il gioco di queste persone. È chiaro, infatti, che, se non sono soggetti ad alcun termine per cedere, tengono questo materiale il più possibile e, nel frattempo, trovano tutte le forme di smaltimento possibile, ivi compreso il fatto più frequente di farsi fare dei falsi certificati di decadimento (abbiamo scoperto dei laboratori chimici, li abbiamo acquisiti ed abbiamo trovato la prova della loro malafede) in cui si attesta l'avvenuto decadimento dei materiali, per cui questi ultimi sono finiti nella discarica Ecobas a Grassano come rifiuti speciali.

Quanto alla discarica di Santa Croce, mi dispiace ma non posso dare una risposta esauriente. È un nome che conosco come quello di un sito di smaltimento ed ho anche memoria del fatto che vi sono stati degli esposti nei quali si suppone la presenza di rifiuti radioattivi, ma soprattutto si parla di amianto. Credo che vi siano anche dei procedimenti aperti, dei quali mi dispiace di non poter dare conto.

TOMMASO VERNILLO, Comandante provinciale della Guardia di finanza di Trieste. Risponderò in primo luogo alla domanda relativa a quali siano gli strumenti di cui la Guardia di finanza dispone per contrastare gli illeciti in questo settore.

PRESIDENTE. Mi scusi, ma il collega Collavini aveva posto un problema diverso: ci sono molti valichi, per così dire, non ufficiali…

TOMMASO VERNILLO, Comandante provinciale della Guardia di finanza di Trieste. Si tratta dei valichi di seconda categoria o agricoli, laddove il transito è consentito solo alle persone munite di lasciapassare; si tratta di vie che non consentono il transito dei mezzi di trasporto commerciali e ciò per la definizione stessa del valico, che permette solo, quando è custodito, un traffico di persone, turisti o agricoltori. Durante le ore di chiusura, si sovrappone un controllo di seconda linea, di retrovalico, che mira a scongiurare le possibili penetrazioni nel territorio; si tratta di un controllo particolarmente efficace, perché sono stati registrati dei risultati in questo senso.

Per quanto riguarda, invece, le misure di contrasto di cui si dispone, sicuramente esse sono rappresentate da un rafforzamento dell'attività di intelligence, per cercare di prevenire e reprimere gli illeciti tentativi di penetrazione, attraverso il confine ed il porto di Trieste, di carichi occultati da carichi di copertura. Per ciò che concerne il controllo sui materiali ferrosi, esso viene esercitato, come per tutte le merci che entrano nel territorio, dalla dogana in collaborazione con la Guardia di finanza e con l’ausilio di strumentazione specifica, come contatori Geiger, avvalendosi, altresì, della collaborazione dei vigili del fuoco o di altri organismi. In ogni caso, un controllo sui transiti di materiali ferrosi viene assicurato.

MANLIO COLLAVINI. Lei ha definito valichi di seconda linea quelli di cui abbiamo parlato in precedenza, ma le è certamente noto che da tali valichi passano traffici anche di altro genere, cioè traffici di persone, come attestano quotidianamente le cronache riportando fatti di questo genere. Tuttavia, mi preoccupo non di quello che si sente, ma di quello che non si sente. Ho chiesto al militari dell'Arma dei carabinieri, che sono preposti al controllo di questi valichi, se la mattina, prendendo servizio, sia mai capitato loro di trovare le sbarre forzate e mi hanno risposto positivamente. Suppongo che quelle sbarre siano state forzate da qualcuno per passarci. È vero che sono valichi soltanto pedonali o riservati ad uso agricolo, ma sappiamo benissimo che sono serviti da strade transitabili da mezzi pesanti.

La ragione della mia domanda risiede nel fatto che ho il dubbio che voi, appartenenti alle forze dell'ordine, non abbiate sufficienti mezzi per effettuare controlli reali su questi transiti, perché è vero quanto diceva prima il procuratore a proposito del fatto che bisognerebbe coinvolgere anche la forestale; io credo che si dovrebbero coinvolgere tutti i soggetti possibili per frenare questi traffici, perché sappiamo che colabrodo sia la frontiera che va da Tarvisio a Trieste. Si potrebbe anche valutare la possibilità di ripristinare quel contingente militare che c'era anni fa, visto che le caserme ci solo, per porre quanto più possibile dei deterrenti, ma anche per effettuare dei controlli reali in modo da evitare che abbiano luogo traffici di ogni tipo, perché noi oggi ci preoccupiamo di quello che sappiamo, ma non riusciamo a preoccuparci di quello che non sappiamo.

ALESSANDRO FERSINI, Questore di Trieste. Abbiamo sei valichi di frontiera di prima categoria e altrettanti di seconda categoria. La differenza risiede nel fatto che i primi vengono vigilati 24 ore su 24, c'è sempre un controllo a livello di polizia o di carabinieri per quanto concerne le persone, o di Guardia di finanza per quanto concerne le merci. Invece, i valichi di seconda categoria sono vigilati solo in alcune fasce orarie e sono quelli destinati ai frontalieri, a chi svolge un’attività per poi rientrare nella propria abitazione dalla Slovenia in Italia o viceversa. Questo secondo tipo di valichi viene vigilato dalle 7 del mattino alle 20, dopodiché si cala la sbarra. È chiaro che può verificarsi quanto lei dice, si è verificato che in alcuni casi sia stata divelta o soltanto spostata la barriera, evidentemente per far passare qualche automezzo. Vi sono poi i valichi agricoli delimitati da una catena o da altra barriera che può essere spostata; addirittura ci sono delle chiavi che vengono date ai confinanti perché se ne servano per transitare da una parte all'altra. Questi valichi non sono presidiati militarmente, ma solo delimitati attraverso dei ceppi che indicano il confine. È sufficiente? Non spetta a me evidentemente rispondere a questa domanda. Noi assicuriamo in alcuni valichi la presenza 24 ore su 24, in altri 12 ore al giorno; abbiamo poi un servizio a ridosso della zona di confine, da parte della polizia, dei carabinieri e della Guardia di finanza, di controllo di tutte le strade, considerato che, in definitiva, il clandestino che arriva da noi va a finire o in stazione o in autostrada. Tutto sommato, i risultati ci sono, tant'è vero che abbiamo effettuato oltre 200 arresti di passeur. Potrebbero essere 600 gli arresti se fossimo in numero maggiore? Questo non saprei dirlo, però – lo ripeto – una presenza c’è e si avvale anche di controlli effettuati con elicotteri da parte nostra, dei carabinieri e della Guardia di finanza; tali controlli vengono fatti costantemente, non dico nell’arco delle 24 ore, ma certamente in quello delle 12 ore.

NICOLA MARIA PACE, Procuratore distrettuale antimafia. Per quanto riguarda i materiali ferrosi contaminati, di cui stiamo parlando (perché ben altro è il discorso dei clandestini, della droga e delle armi), c'è un problema tecnico essenzialmente legato alla radiometria: occorre cioè che ci sia addirittura lo smontaggio del carico per poter essere certi che in quel carico non vi siano delle matrici radioattive perché, se la radioattività è di un certo tipo, addirittura è il carico stesso a schermarla ed allora indipendentemente da quello che può essere...

PRESIDENTE. Mi scusi, ma su quest’aspetto, proprio nel corso dell'attività di indagine della Commissione, abbiamo visto che una funzione di controllo viene esercitata dalle aziende ricettrici di questo tipo di carichi, le quali hanno collocato in ingresso degli strumenti di rilevazione estremamente sensibili, esattamente in grado di superare lo schermaggio che può essere fatto dal resto del materiale. In astratto questo tipo di rilevatori, per i quali ci dicono che l'Italia è all'avanguardia in campo internazionale, sono in grado di rilevare sorgenti di una certa intensità poste anche nella collocazione più sfavorevole, per esempio nel centro del carico e quindi con il massimo di schermatura. Ciò significa che in questo universo così friabile, alcuni punti di controllo ci sono; certo, non sono ottimali, ma si sono fatti passi avanti che sarebbe sciocco non segnalare.

NICOLA MARIA PACE, Procuratore distrettuale antimafia. La ringrazio, presidente, dell'informazione, ma io mi riferivo alle possibilità di cui dispongono oggi le nostre forze dell'ordine che in pratica debbono far capo o al centro radiometrico regionale, di cui non conosciamo ancora le risorse (cercherò comunque di prendere contatti con i responsabili per verificare quali possibilità possano offrire dal punto di vista dell'apporto tecnologico), oppure ai vigili del fuoco, dove sappiamo che questa tecnologia non esiste.

Pertanto, questo suo rilievo, che è incoraggiante, sulle possibilità tecnologiche, se coniugato con la mia idea di affidare questi controlli all'organo pubblico, porterebbe ad un sistema effettivamente più protettivo; dovremmo mettere questa tecnologia nelle mani di persone affidabili, di funzionari dello Stato e, a quel punto, potremmo ritenerci abbastanza garantiti.

Insisto, invece, sul fatto che per ciò che riguarda i traffici di altro tipo l'attività che si sta svolgendo da parte delle nostre forze dell'ordine è estremamente qualificata e accreditata di risultati.

Per esempio, in merito all'ingresso di clandestini, poiché dal punto di vista criminologico non mi interessa tanto intercettare i clandestini quanto perseguire chi gestisce questo mercato, noi siamo stati in grado di censire i più grandi mercati mondiali e di tracciare il perimetro di tutte le organizzazioni che gestiscono i flussi dalla Slovenia, da Bangladesh, dalle Filippine e - posso anticipare - anche dalla Cina, che è il mercato più difficile sotto il profilo dello scambio di informazioni.

Quindi, devo dare atto alle forze dell'ordine di una capacità straordinaria per quello che riguarda altri traffici; il problema è di trasferire questo know how, questa capacità anche nel settore dell'ambiente e qui forse bisogna fare qualche passo in avanti.

PRESIDENTE. Dichiaro conclusa l'audizione e sospendo brevemente la seduta.

 

La seduta, sospesa alle 14, è ripresa alle 15.

Audizione di rappresentanti dell’Associazione industriali di Trieste e delle associazioni ambientaliste.

PRESIDENTE. Dando per scontato che il rappresentante dell’Associazione industriali di Trieste sia a conoscenza dei compiti della Commissione d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti, ricordo che siamo interessati, in particolare, a conoscere lo stato dell’arte delle imprese, soprattutto di quelle operanti nel settore dei rifiuti.

MELCHIORRE CASISI, Rappresentante dell’Associazione industriali di Trieste. Mi occupo di qualità, ambiente e sicurezza nell’Associazione industriali, la quale si auspica maggiore collaborazione, da parte degli enti preposti alla legislazione vigente, per ciò che concerne i controlli e tutto ciò che è legato agli aspetti dell’ambiente. In che modo si può estrinsecare la collaborazione con la regione e con la provincia? Per esempio, tramite tavole rotonde permanenti, dove il confronto potrebbe dare risultati più concreti, visto che alcune volte il decreto Ronchi necessita di essere interpretato da parte sia nostra, quindi Confindustria, sia degli enti preposti. Quindi, affinare i punti di vista può essere molto costruttivo. Questa posizione l’abbiamo ribadita anche in sede provinciale, la settimana scorsa, nel corso di una riunione, con l’assessore Marini, dove abbiamo sottolineato l’importanza di un confronto permanente, che rientra tra le cose concrete che è possibile portare avanti.

PRESIDENTE. In quella riunione vi era anche l’esponente dell’ARPA?

MELCHIORRE CASISI, Rappresentante dell’Associazione industriali di Trieste. No, erano presenti i rappresentanti della provincia e delle associazioni di categoria. La provincia, comunque, è stata disponibile, in quanto ha accolto la proposta di una tavola rotonda permanente. Credo che vi sarà un prossimo incontro a fine luglio. Questo è un primo passo verso una collaborazione che per noi è importante.

Per quanto riguarda la legislazione sulla sicurezza sul lavoro, per esempio, vi sono stati aiuti per predisporre un manuale che è stato distribuito alle imprese. Il manuale potrebbe non rappresentare un punto di arrivo, ma è comunque un punto di partenza. L’azienda inizia cioè a delineare gli ambiti. Bisogna capire che, mentre per lo specialista la legislazione è una cosa semplice, come lo è per una grande industria, anche perché al suo interno ha dei professionisti, non lo è altrettanto per la piccola industria. Sappiamo che il discorso sull’ambiente assorbe molte risorse, se si vuole portare avanti in modo serio. Se partiamo, infatti, dagli imballaggi e dalla raccolta differenziata, vi è una serie di incombenze giuste che la legge richiede e per le quali l’azienda deve mettere a disposizione delle risorse. Da questo punto di vista, è alto l’onere per le piccole imprese.

PRESIDENTE. Poiché lei ha parlato del problema del rapporto ambiente-imprese, non so se sia in grado di disegnarci – eventualmente può demandare la risposta ad una nota scritta – l’orientamento degli imprenditori della regione rispetto alle certificazioni ambientali, cioè a quei pedigree che poi consentono, anche a livello europeo, di avere una maggiore presenza e, per molti aspetti, una maggiore competitività. Proprio in rapporto ad un mondo più frammentato, come quello delle piccole imprese, vi è l’idea di consorziarsi o comunque di fare un passo in avanti, visto che sempre più le certificazioni ambientali saranno, al tempo stesso, elementi di riconoscibilità sul mercato ed elementi che contribuiscono alla modernizzazione del sistema delle imprese?

MELCHIORRE CASISI, Rappresentante dell’Associazione industriali di Trieste. Per quanto riguarda Emas e Iso 14000, come Associazione siamo sensibili a questo tipo di approccio. Vi è un accordo dell’ANPA con Confindustria, e noi, come Associazione industriali di Trieste, vi abbiamo aderito, anche se formalmente dovremo firmare la carta che indicherà i compiti dell’Associazione sul territorio. Come Associazione abbiamo intenzione di divulgare ciò che sono l’Emas e le Iso 14000, anche se fra i due strumenti vi sono differenze. Gli orientamenti dei nostri associati, comunque, li vedremo in seguito, nel senso che dobbiamo badare sempre all’aspetto più commerciale, cioè a quello che le Iso 14000 un po’ si pongono rispetto all’Emas. Appena firmata la carta dei servizi, vedremo se impostare corsi di formazione per una divulgazione più capillare. Per la qualità stiamo già facendo parecchio, per esempio i corsi interni, ed abbiamo in cantiere il club della qualità. Come mentalità, quest’ultima un po’ si avvicina alle Iso 14000. Quindi, da parte nostra vi è un’attenzione particolare, anche perché pensiamo che per un’azienda essere competitiva significa essere sensibile ai temi ambientali. Oltretutto, un approccio integrato a qualità, ambiente e sicurezza, che è poi il nostro obiettivo finale, è strategico per le nostre aziende. Ci sentiamo quindi molto vicini a questo tipo di mentalità, e nei prossimi mesi vedremo di sviluppare un programma in proposito. Non appena l’avremo predisposto, vi faremo conoscere, in maniera più dettagliata, ciò che intendiamo fare.

PRESIDENTE. Rispetto alle certificazioni ambientali, non è peregrino pensare che poi possano scattare anche meccanismi di incentivazione in corrispondenza a determinati obiettivi e a determinate politiche economiche. Però la partita certificazioni ambientali, anche dal punto di vista delle imprese può comportare – per quanto mi riguarda è auspicabile – che siano connessi possibili incentivi in forma di fiscalità ecologica o in forma più diretta.

MELCHIORRE CASISI, Rappresentante dell’Associazione industriali di Trieste. Per quanto riguarda gli incentivi, mi sembra che gli sgravi fiscali siano al Sud, cioè nelle zone dell’obiettivo 2. Mi sembra che nelle altre zone non vi siano incentivi.

PRESIDENTE. Siamo reduci da un convegno, che vi è stato giovedì a Milano, il cui titolo era abbastanza autoesplicativo, cioè "Verso una strategia industriale per la gestione dei rifiuti". Il tema di incentivi collegati a un comportamento ecologicamente corretto delle imprese credo che riceva molta attenzione, non soltanto dalle imprese, ma anche dal Parlamento e dal Governo. Quindi, qualcosa c’è già, e non limitata solo alle aree obiettivo delle direttive europee. Più in generale, l’intento è quello di stimolare comportamenti ecocompatibili da parte delle imprese.

MELCHIORRE CASISI, Rappresentante dell’Associazione industriali di Trieste. Quindi, il vostro obiettivo è quello di allargare le agevolazioni.

PRESIDENTE. La ringrazio.

Credo che i rappresentanti delle associazioni ambientaliste siano a conoscenza del tipo di attività che la Commissione svolge anche attraverso audizioni come questa. Vorremmo sapere se abbiate aspetti particolari da segnalarci, soprattutto per quanto concerne la gestione del ciclo dei rifiuti e le problematiche aperte dagli smaltimenti illegali. Siamo reduci da un sopralluogo a Trieste all’area ex Esso, di cui la Commissione si era già interessata sollecitando anche l’attenzione della magistratura.

SERGIO BISIANI, Coordinatore regionale Friuli-Venezia Giulia di Ambiente e/è vita. Visto che si è parlato della ex Esso, interverrò per primo.

Premesso che lasceremo agli atti della Commissione una documentazione integrativa alla nostra sommaria elencazione dei problemi, vogliamo anzitutto ringraziarvi dell’impegno, perché senza di voi la nostra denuncia si sarebbe arenata nei cassetti della procura. La documentazione è composta di una relazione, in cui vi è una parte illustrativa che tocca sei o sette punti particolari, e di alcuni allegati tecnici con allegati di supporto.

Per quanto riguarda l’area ex Esso, in questo momento ci preoccupa l’ipotesi avanzata dal ministro Bordon, cioè di far rientrare tutto in un caso nazionale, coinvolgendo contemporaneamente l’area dell’ex raffineria Aquila, l’area ex Esso e l’Arsenale triestino San Marco. Vi è infatti una differenza di situazioni sia qualitative che quantitative e la difficoltà di individuare la responsabilità nel caso della Esso, che non esiste, invece, per l’ex raffineria Aquila. E’ preoccupante, quindi, quell’ipotesi globale, in quanto creerebbe il presupposto affinché tutti possano chiedere di diventare un caso nazionale. Noi vorremmo che l’area ex Esso restasse per conto suo e che gli eventuali finanziamenti, nell’ambito dell’autonomia regionale e dei principi di federalismo proposti da tutti, fossero gestiti dalla regione, salvo la rivalsa sui responsabili da parte della magistratura. Vorremmo anche che vi fosse un compito di controllo da parte della provincia, che ha competenza territoriale.

Sempre a proposito dell’area ex ESSO, voglio segnalare attività di movimentazione e trattamento di inerti. Dalle verifiche e dalle indagini che abbiamo potuto espletare noi, l’estensione di quelle concessioni è decisamente inferiore a quelle che attualmente stanno occupando le imprese che operano. Ci preoccupa, in particolare, il carico del materiale conferito, che sta creando spinte laterali sulla zona C. Infatti, rispetto al 1998, quando abbiamo fatto le nostre prime, furtive indagini, il terreno è sprofondato notevolmente e vi sono assestamenti pericolosi, tenendo conto che la zona C è completamente piena di catrame. In proposito, credo che i risultati della Forster Wheeler siano ben più allarmanti di quelli di cui eravamo in possesso noi, che abbiamo condotto indagini molto sommarie e superficiali, anche per la indisponibilità di mezzi.

A proposito della zona C, credo che sia il momento di individuare la responsabilità e la pertinenza di quel territorio, di cui la Esso e l’autorità demaniale dicono di non essere proprietari. Poiché è compreso nel terrapieno realizzato con la discarica comunale, bisognerebbe capire a chi appartenga. Su quel terrapieno, di fronte all’area ex Esso, vi è la cosiddetta attività di raccolta differenziata, della ditta Calcina: abbiamo sempre visto arrivare materiale, probabilmente anche differenziato, ma non abbiamo mai visto andare via nulla, per cui non vorremmo che fosse un ennesimo caso di discarica abusiva.

Vi è poi un’ipotesi che ci allarma, in quanto relativa al traffico di materiale radioattivo attraverso un confine colabrodo, da cui passano schiavi, manodopera abusiva, armi e droga.

E’ impensabile che le mafie dell’est non abbiano pensato di far passare, attraverso questo confine, sia per mare sia per terra, anche prodotti radioattivi o, comunque, materiali contaminati della dismissione di impianti che abbiano avuto contatti con materiale radioattivo.

Abbiamo portato la documentazione che ci è stata fornita da "Amici della terra", un’altra associazione che non è presente all’audizione odierna, relativa ad una discarica individuata nel comune di Aurisina, in provincia di Trieste, in località Santa Croce, dove è stata rilevata radioattività. La ditta, ora fallita, che all’epoca gestiva la discarica è la Ecormed, che credo sia già presente negli annali della Commissione, perché non è la prima volta che compare.

C’è poi un’altra situazione che ci preoccupa sempre nell’ambito della zona industriale di Trieste. L’EZI, ente zona industriale, ha ipotizzato di realizzare una piattaforma per lo smaltimento temporaneo di prodotti tossico-nocivi praticamente a ridosso dell’area ex ESSO. Siamo preoccupati non solo per la localizzazione, ma anche per il fatto che l’idea della direzione dell'ente sia di affidare progettazione, costruzione e gestione alla ex municipalizzata, che si occupava di luce, acqua e gas ed è diventata esperta di rifiuti ottenendo in gestione dal comune l’inceneritore e la raccolta dei rifiuti urbani. Non credo che sia lo stesso gestire una piattaforma di smaltimento di rifiuti tossico-nocivi.

Per quanto riguarda l'area friulana, per motivi di lavoro il nostro rappresentante di Udine non ha potuto essere presente, ma ha segnalato la concessione che la direzione regionale ambiente ha fatto per conferire, a copertura di una sua discarica nella località di Trevignano, vicino a Udine, le ceneri degli inceneritori di Trieste e di Gorizia. Il fatto che si usino delle ceneri, sia pure mescolate ad inerti, per coprire delle discariche è, a nostro avviso, quanto meno sorprendente.

Concludo con un argomento parallelo a quello dei rifiuti, cioè quello dell'amianto. Per motivi professionali sono stato incaricato di fare un censimento dell'amianto presente negli edifici delle ferrovie di Udine sud e di Trieste ed ho potuto verificare che l'amianto c'è. Per il momento non è stata disposta nessuna seria attività di bonifica e o di conservazione, ma ancor più preoccupante è che il comune di Trieste ha fatto fare un analogo censimento negli edifici comunali, da cui è risultato che esistono ancora quantitativi rilevanti di amianto nelle scuole e addirittura nelle cucine di alcune scuole materne.

Tornando per un momento all’area ex ESSO, vorrei dire che la preoccupazione riguarda anche il modo in cui fare le indagini: c'è una mappa nella quale sono riportate 368 bombe cadute nel sito tra il 1944 e il 1945; quindi, qualsiasi tipo di indagine in quella zona deve tener conto anche del pericolo di trovare ordigni inesplosi che sono già stati individuati e sono stati poi inertizzati dai militari nella zona dell'inceneritore di via Giarrizzole, che è immediatamente soprastante.

PRESIDENTE. Nel ringraziarla per la documentazione che ha portato con sé, vorrei pregarla di farci avere nel più breve tempo possibile quella riguardante la presenza di amianto nelle scuole, in quanto la Commissione ha disposto un'indagine conoscitiva sul problema dell'amianto in Italia, ha già svolto moltissime audizioni e raccolto una vasta documentazione, per cui sarebbe utile che avessimo anche la vostra documentazione.

SERGIO BISIANI, Coordinatore regionale Friuli-Venezia Giulia di Ambiente e/è vita. Le rispondo immediatamente. Negli allegati alla relazione c’è il tabulato che ho ricavato dal censimento disposto dal comune di Trieste. Il problema è che sono stati investiti 27 miliardi in cultura e neanche una lira per bonificare l’amianto.

CLAUDIO MORGERA, Rappresentante di Ambiente e/è vita. Per quanto riguarda l’ex Aquila, la situazione è completamente diversa da quella della ex ESSO: c’è un proprietario ben identificato, la Shell e dal 1995 al 1997 è già stata fatta una bonifica completa dell’amianto, si è proceduto alla demolizione degli impianti e si è fatto uno studio molto accurato, con carotaggi e mappatura, in ordine all'inquinamento del terreno. Già nel 1996 si era fatto un accordo con il comune di Muggia e si era presentata al Ministero dei lavori pubblici una richiesta congiunta di finanziamento per procedere alla bonifica del terreno; poi la cosa si è arenata al cambio della giunta. Comunque, la società è a disposizione per raggiungere un accordo con le istituzioni.

PRESIDENTE. Che tipo di materiale o di rifiuti presenti riguarda la bonifica?

CLAUDIO MORGERA, Rappresentante di Ambiente e/è vita. Diciamo che, fino al 1985, era una raffineria, per cui ci sono esclusivamente prodotti petroliferi; quindi, la situazione non è grave. Per quanto riguarda l’amianto, la bonifica è stata fatta per intero e tutta la documentazione, composta anche di videotape, è a disposizione nella USL 2 triestina.

SERGIO BISIANI, Coordinatore regionale Friuli-Venezia Giulia di Ambiente e/è vita. Vorrei consegnare alla Commissione la mappa delle bombe risalenti agli anni 1944-1945: c’è una tabella che riassume in ordine cronologico le varie incursioni che quella zona ha subìto; vi sono inoltre dei simboli che evidenziano i punti in cui sono esplose delle bombe, tenendo conto che una percentuale di ordigni non esplodeva. Recentemente, alle spalle dell’inceneritore dismesso di via Giarrizzole, ne hanno disinnescata una di 500 chili circa.

PRESIDENTE. Nel corso di questi cinquant’anni nessuna istituzione ha disposto un’indagine geomagnetica avendo a disposizione questa mappa?

SERGIO BISIANI, Coordinatore regionale Friuli-Venezia Giulia di Ambiente e/è vita. Per quanto ne so, è stata ipotizzata una perlustrazione con il georadar contestualmente alla verifica condotta dalla Foster Wheeler nell’indagine in corso, di cui la Commissione dovrebbe avere la documentazione, secondo quanto ci è stato garantito dalla dottoressa Carli. Tuttavia, la presenza di masse metalliche legate probabilmente a tubazioni o a strutture metalliche ancora presenti nel sottosuolo ha reso praticamente irriconoscibile o non individuabile la presenza di ordigni. Il discorso da noi fatto era più che altro legato alla sicurezza nel momento in cui si dovessero fare delle trivellazioni ed è forse questa la ragione per la quale la Foster Weelher si è limitata, da quanto so io, a fare due pozzi su un’area di 230 mila metri quadrati, un po’ poco per vedere cosa ci sia sotto.

LIA BRAUTTI, Responsabile della sezione di Trieste del WWF. Vorrei segnalare che la situazione disastrosa segnalata dall’ingegner Bisiani potrebbe essere in parte recuperata o, per lo meno, si potrebbero prevenire futuri disastri qualora si attuasse quella parte del decreto Ronchi che prevede il piano dei rifiuti regionali e quindi provinciali. Il piano dei rifiuti regionali è stato avviato due anni fa dalla regione, ma non ancora portato a compimento. Successivamente ciascuna provincia dovrebbe predisporre il piano di dettaglio, cosa che non può fare finché non c’è quello regionale, e per questo prevediamo tempi estremamente lunghi.

Pertanto, situazioni come quelle segnalate, le cui cause peraltro risalgono a cinquant’anni fa, potranno riprodursi anche nel futuro finché non si provvede con un piano, che, come sappiamo, non rappresenta la soluzione di tutto, ma almeno è un tentativo di affrontare il problema.

Un’altra previsione del decreto Ronchi è rappresentata dal consorzio nazionale imballaggi (CONAI) che è stato istituito, ha sede legale a Roma ed a Milano e si avvale per il recupero dei materiali dell’opera dei comuni. Vorremmo che fosse dato un impulso maggiore a tale consorzio e, di conseguenza, ai vari comuni operanti nel nostro territorio.

Quanto al recupero del materiale, esso avviene, anche se con una percentuale molto bassa: il 9 per cento attraverso i cassonetti sistemati nelle vie, per arrivare al 15 per cento con i depositi specifici avviati dal comune un tempo e oggi dall’azienda cui è stata affidata la raccolta dei rifiuti.

ELENA GOBBI, Presidente regionale di Legambiente. Vorrei ripercorrere alcuni passaggi della memoria che lascerò, a partire dal programma della visita della Commissione. Per quanto sia cosa buona e giusta che questa Commissione abbia individuato come interessante la gestione del ciclo dei rifiuti nella nostra regione, riteniamo che forse in sede organizzativa si sarebbe potuto compiere uno sforzo in più, in quanto ci risulta del tutto incomprensibile la dimenticanza dell’intera provincia di Pordenone, dove pure ci sono dei fatti emergenziali, come la discarica del comune di Pordenone, una discarica di cui è previsto l’ampliamento e che presenta degli sversamenti di percolato a vista; tutto ciò crea una situazione molto grave dal punto di vista sanitario ed ambientale che, vista anche l’ubicazione della discarica, qualcuno deve chiedere al comune di Pordenone di sanare.

Per quanto riguarda le aree industriali soggette a piani di bonifica, ad avviso di Legambiente, la principale evidenza è costituita dall’impianto delle Chimiche Caffaro di Tor Viscosa. Dico questo perché su quell’area si stanno concentrando degli interessi straordinari. Sappiamo di una previsione di rilancio dell’attività chimica sull’area industriale di Tor Viscosa e abbiamo anche constatato che su quell’area è in costruzione un comprensorio industriale che sarà incentrato sulla predisposizione di un impianto di produzione dell’energia elettrica.

In merito al piano di bonifica, l’unica cosa che sappiamo è che da parte del settore chimico si sta attendendo una modifica del decreto Ronchi.

Va detto anche che quell’area che, per quanto riguarda la nostra associazione, riveste un’importanza particolare trattandosi di un’area a sud delle linee delle risorgive e quindi con un assetto idrogeologico molto particolare (vi sono delle falde affioranti), è a ridosso della laguna. Su tale area vige un impatto territoriale che è stato costruito senza assolutamente considerare la compatibilità ambientale, reiterando scelte di tipo industrialista che hanno portato a livelli di degrado, soprattutto dell’ambiente lagunare, molto preoccupanti. In proposito, vorrei ricordare un lavoro sull’ambiente lagunare presentato qualche settimana fa, lavoro in cui viene ribadito il preoccupante livello d’inquinamento delle acque dovuto alla presenza di idrocarburi e minerali pesanti, in primo luogo di mercurio.

Sempre per ciò che concerne l’ambiente lagunare, va anche detto che la presenza dell’impianto consortile della bassa friulana di San Giorgio di Nogaro ha portato ad una prassi interpretativa della norma, a nostro avviso alquanto spinta, per cui la gestione dei reflui di produzione è assegnata a quanto disposto dalla legge n. 319 del 1976, con un conseguente, ulteriore degrado dell’ambiente lagunare. Inoltre, gli interventi previsti dalla regione sono sospesi perché c’è stato il rinvio di una legge regionale da parte del Governo; comunque, gli interventi in quell’area produrranno fanghi, già classificati come categoria 3 del Protocollo di Venezia. Quindi, una quota di tali rifiuti dovrà essere smaltita, ma tale attività non compare in nessuna previsione regionale.

Riteniamo che l’attenzione della Commissione, se da un lato deve appuntarsi sulle attività illecite legate al ciclo dei rifiuti, dall’altro non possa prescindere da un’analisi del lecito, la cui gestione assolutamente non trasparente apre spazi non controllati. È stata ricordata prima la programmazione regionale: in data 29 giugno si è conclusa la procedura di predisposizione del piano regionale per la gestione dei rifiuti con l’acquisizione del parere del consiglio regionale. Tale piano regionale non tiene assolutamente conto del decreto Ronchi; a monte di questa normativa di riferimento esiste una normativa regionale del tutto non adeguata; la legge di riferimento è la n. 30 del 1987, modificata nel 1988, nel 1996 e nel 1998. La legge regionale n. 13 del 1998 ha attuato una sorta di recepimento del decreto Ronchi cancellando gli articoli ritenuti superati, ma creando ulteriore confusione, tant’è vero che, con una usuale amenità, si dice in vigore un certo comma 3 che, invece, è stato abrogato nel 1996.

Riteniamo, fino a quando la nostra regione non si avvarrà di un quadro che recepisca i compiti ad essa affidati dalla normativa nazionale, che mancheranno anche le misure specifiche di politica attiva a sostegno e incentivazione di un ciclo integrato dei rifiuti. Stante questa situazione normativa, in regione si può parlare, al di là dell’evidenza di attività illecite che sono state segnalate e che avrete modo di verificare, di una situazione di illecito diffuso. Cito per esempio un’ordinanza della provincia di Udine – la n. 1 del 10 marzo 2000 – dove viene data un’interpretazione dell’emergenza, definita dall’articolo 13 del decreto Ronchi, a nostro avviso alquanto discutibile. Oltretutto, questa ordinanza è la reiterazione di una precedente ordinanza del 1999, quindi siamo oltre i sei mesi di validità emergenziale previsti dal decreto. In ogni caso, nell’anno intercorso tra la prima e la seconda ordinanza, non sono state attivate le misure previste dal regolamento per superare l’emergenza. In questa ordinanza si parla di un aumento di conferimento con rifiuti prioritariamente provenienti dalla regione Friuli-Venezia Giulia. Tale dicitura fa chiaramente prefigurare la provenienza di rifiuti anche da fuori regione. La discarica oggetto dell’ordinanza in questione è quella di Firmano, che visiterete domani.

Siamo estremamente preoccupati da questo quadro che, in qualche modo, mette fortemente in discussione anche la cosiddetta gestione lecita del ciclo dei rifiuti. Stante la situazione, credo sia assolutamente impensabile pensare che in questa regione si arrivi a un ciclo integrato dei rifiuti. Alla documentazione che lasciamo agli atti abbiamo allegato alcune osservazioni per quanto riguarda il piano.

Emerge una preoccupazione per quanto riguarda la situazione di Trieste, sulla quale si soffermerà poi il dottor Santoro. Vi è addirittura la mancanza di previsioni a proposito di impianti che sono già stati autorizzati, per esempio quello di gasificazione di Sedegliano. In più, vi sono alcune amenità: all’articolo 15 viene assegnato al presidente della giunta regionale, anche indipendentemente dalla previsione e dagli atti di programmazione vigente, "la possibilità di emanare provvedimenti volti a sopperire a situazioni di necessità ed urgenza relative alla gestione dei rifiuti". E’ detto, inoltre, che "tali provvedimenti costituiscono automatica e immediata modifica dei piani e sostituiscono ogni concessione per l’autorizzazione di ogni ulteriore atto di assenso". Credo che siamo proprio nell’arbitrarietà più assoluta!

Anche per quanto riguarda l’utilizzo della ex cava, la situazione è assai poco chiara. Si parla, addirittura, di una semplice comunicazione alla direzione regionale; dal momento in cui si decida di utilizzare l’ex cava per discarica, si parla di una semplice comunicazione della diversa modalità di ripristino. Quindi, senza alcuna valutazione di compatibilità ambientale.

E’ questo il quadro che volevamo porre alla vostra attenzione. Se non sarà modificato, riteniamo che si moltiplicheranno con evidenza non solo le cose che sono state dette, e in questo caso scatterà la denuncia, ma anche gestioni assolutamente non corrette del ciclo dei rifiuti, senza parlare di improponibili gestioni di tipo integrato. Dunque, sono assolutamente carenti un quadro normativo e un quadro di piano garanti della legalità. Ripeto: siamo in una situazione di illecito diffuso.

PRESIDENTE. Vorrei ricordare a tutti voi che la Commissione d’inchiesta effettua sopralluoghi nelle regioni italiane, ma, evidentemente, non ha la presunzione di poter vedere tutto, stante anche la vastità del nostro territorio. Peraltro, i nostri programmi sono sempre organizzati sulla base o di segnalazioni da parte dei membri della Commissione o di denunce o esposti che, assai numerosi, arrivano alla Commissione stessa. Diciamo che le nostre missioni sono un po’ il frutto dello stato dell’arte e del modo in cui è definito al momento in cui le decidiamo.

Credo vi sia chiaro, inoltre, che il terreno d’indagine e d’iniziativa della Commissione non riguarda solo gli aspetti illeciti ma, assai più in generale, tutti gli aspetti del ciclo dei rifiuti. Ricordavo prima che pochi giorni fa a Milano abbiamo partecipato ad un convegno a proposito della strategia industriale con cui affrontare l’enorme marea di rifiuti che ogni anno si riversa sull’Italia.

Chiariti i nostri compiti e i nostri metodi, prendiamo atto delle osservazioni e delle segnalazioni che ci vengono fornite in incontri come questo.

LINO SANTORO, Rappresentante di Legambiente. So che oggi avete effettuato un sopralluogo presso il nuovo inceneritore di Trieste, il cosiddetto termovalorizzatore, a proposito del quale, stando ai dati forniti sul monitoraggio e le emissioni, sembra che funzioni discretamente bene. Il fatto è, però, che quell’impianto è nato su un progetto molto vecchio: la turbina utilizzata per il recupero energetico, per esempio, credo che recuperi non più di due terzi ed è raffreddata ad aria. Questo per dire che, pur sembrando un impianto perfettamente funzionante, in realtà ha grossi problemi perché è nato su un vecchio progetto. Mi risulta che il comune di Triste sia d’accordo su un progetto che ampli l’impianto con la terza linea, com’era previsto all’inizio, con una turbina che recuperi parte dell’energia. Ma ci chiediamo dove vada a parare la potenzialità di questo impianto che, evidentemente, è troppo grande per Trieste. C’è da chiedersi, quindi, a quale bacino farà riferimento. Con le sue dimensioni, l’impianto scoraggia la raccolta differenziata, tant’è vero che il comune di Trieste oggi, escludendo gli ingombranti, arriva, si e no, al 9,5 per cento di raccolta differenziata. Non so come sarà la situazione in futuro, ma vi è una contraddizione con il decreto Ronchi, la quale emerge dal modo in cui è stato predisposto il piano regionale per i rifiuti e, in particolare, dalla suddivisione in bacini, che, da quanto emerge, sembra che resteranno abbastanza separati. Ho quindi l’impressione che nella regione, anziché costruire un ciclo integrato rifiuti che apra i rapporti tra i vari bacini, in modo che vi sia la pianificazione di tutto ciò che è necessario per far funzionare al meglio il ciclo dei rifiuti, possa verificarsi una proliferazione di impianti di incenerimento grazie anche ai grossi interessi ad essa collegati.

Ritengo, pertanto, che la Commissione debba verificare la bontà del piano e la sua coerenza con la legge regionale, che al momento non si vede. Bisogna quindi appurare se quanto è previsto nel piano possa veramente garantire il raggiungimento degli obiettivi previsti dal decreto Ronchi.

SERGIO BISIANI, Coordinatore regionale Friuli-Venezia Giulia di Ambiente e/è vita. Vorrei sapere se la dottoressa Gobbi si riferiva al testo originario o a quello che dovrebbe essere licenziato dal consiglio, perché mi risulta che siano stati presentati emendamenti sostanziali in cui è chiesto che siano ribaditi e rinforzati gli obiettivi di ridurre il ricorso allo smaltimento in discarica e incentivate e supportate finanziariamente le realizzazioni di impianti di smaltimento e recupero basati su tecnologie innovative.

Inoltre, proprio per la particolarità del territorio della regione, vi è una norma che consente alle provincie di adottare, nei rispettivi piani, forme di collaborazione interscambio e processi di ottimizzazione della gestione dei rifiuti. Si tratta di integrazioni che dovrebbero già essere state recepite nella nuova versione.

Per quanto riguarda l’inceneritore di Trieste, il problema dei rifiuti ci allarma anche perché vi è l’ipotesi di importare rifiuti dalla Slovenia esportando acqua per l’acquedotto di Sesana. E’ vero che lo scambio può essere utile per gli interessi economici della ex municipalizzata, ora società a capitale prevalentemente pubblico, ma considerando le sensibilità ambientali dell’est dell’Europa, cominciamo ad essere seriamente preoccupati, perché qui potrebbe arrivare di tutto e di più.

PRESIDENTE. Sul livello di attuazione del piano regionale e sulla sua definizione e approvazione nella sede propria, la Commissione ha gli strumenti per poter attingere direttamente a quella che sarà l’ultima formulazione del piano stesso. Nel momento in cui disporrà del documento per il suo esame, la Commissione, indipendentemente dalle valutazioni che possono essere date sul decreto legislativo Ronchi, terrà conto che quest’ultimo cerca di riunire le tre fondamentali direttive europee in materia e che è assai difficile derogare ai principi fondamentali che devono valere per tutta l’Europa, dalla riduzione a monte dei rifiuti, alla raccolta differenziata, che di per sé non è un obiettivo, in quanto finalizzata al massimo recupero possibile di materiale; quest’ultimo è uno degli elementi che, anche nel convegno che ho prima ricordato, sono stati segnalati come motore di una possibile politica industriale nel campo dei rifiuti.

Rispetto all’inceneritore, abbiamo appreso che brucia tal quale, pur non avendo aperto una fase completa d’esercizio, per cui finora è andato avanti più per collaudi che non per un esercizio vero e proprio. Ciò è reprensibile da due punti di vista; in primo luogo perché entra in obiettiva divergenza con la raccolta differenziata e con l’obiettivo del recupero di materiali; in secondo luogo perché bruciando tal quale si peggiora l’efficienza di termodistruzione, e quindi diviene una richiesta stessa di chi ha accomodato l’impianto avere un rifiuto migliore, cioè avere la parte secca separata, perché da 2.200 chilocalorie, si passa a circa 4.000 chilocalorie, cioè a quelle che rendono il ciclo integrato o quasi .

Le specifiche di progetto ci sono state date e, al di là del fatto che la progettazione sia pregressa, per così dire, mi sembra che sia stata posta un’attenzione rilevante, con modifiche ad hoc, proprio per ciò che riguarda l’abbattimento di vari tipi di inquinanti. Questa attenzione ci sembra tutto sommato importante, perché è vero che possono esserci impianti con efficienze migliori, soprattutto se sono dedicati al recupero di calore per la produzione di energia elettrica, ma è anche vero che le giuste preoccupazioni delle popolazioni vicine e delle associazioni ambientaliste sono motivate dal fatto di sapere che cosa esca dal termodistruttore. Da questo punto di vista, ovviamente verificheremo se i valori previsti dalle specifiche di progetto, cioè se i valori inquinanti immessi in atmosfera, corrispondano ai valori reali misurati, appunto, dalle autorità preposte al controllo.

Cerchiamo di seguire al meglio tutte le vicende a proposito delle quali ci vengono segnalate preoccupazioni.

ELENA GOBBI, Presidente regionale di Legambiente. Il piano regionale, che ha avuto l’ultimo passaggio in consiglio regionale il 29 giugno, prevede una proroga sine die per il tal quale a Trieste.

MANLIO COLLAVINI. Poco fa la dottoressa Gobbi ha parlato degli scarichi della chimica di Torviscosa, che mi sembra sia collegata, per quanto riguarda gli scarichi, all’impianto di depurazione della Usacorno.

ELENA GOBBI, Presidente regionale di Legambiente. In parte.

MANLIO COLLAVINI. Voglio dire, non certo per giustificare la Commissione, che accade che qualcuno chieda la nostra presenza sul territorio. Per quanto mi riguarda, ho chiesto, perché sollecitato, la visita a Firmano. Ho anche chiesto, e solleciterò, la visita al Tubone, all’impianto di depurazione della Usacorno. Credo che meriterebbe una visita, signor presidente, perché è un impianto che scarica male, che è fatto bene, a regola d’arte, ma per il quale, forse, vi sono ancora cose che andrebbero migliorate. E poiché scarica davanti ad una zona che d’estate viene usata per la balneazione, vi è il rischio che danneggi una delle più belle lagune del mondo, quella di Marano e Grado.

Per quanto riguarda la provincia di Pordenone, se c’è qualcosa da segnalare, la dottoressa Gobbi può anche rivolgersi direttamente a me. Potrò farmi carico di sollecitare la visita della Commissione laddove sia ritenuto opportuno.

PRESIDENTE. E’ chiaro che non possiamo sempre recarci di persona a vedere tutte le situazioni che ci vengono segnalate. In ogni caso, aggiungo, per tranquillità di tutti, che oltre alle "salvifiche" visite che svolgiamo in varie regioni, la Commissione è in grado di inviare i suoi consulenti o le forze di polizia giudiziaria di cui dispone per tutti i sopralluoghi ritenuti utili e necessari. Ciò senza mettere in moto il meccanismo, un po’ più complesso, delle missioni.

Quindi, per poter continuare a seguire una serie di episodi più o meno gravi che preoccupano, abbiamo una flessibilità di strumenti a disposizione che non obbliga i commissari ad essere presenti materialmente, a parte ovviamente tutti i colleghi che poi vogliano svolgere un determinato ruolo.

LUCIO MARENGO. La società Caffaro di Tor Viscosa nel processo di elettrolisi solo da cloro scaricherebbe rifiuti a base di mercurio: si hanno notizie di ciò e si sa che fine facciano questi rifiuti?

ELENA GOBBI, Presidente regionale di Legambiente. Ricordavo prima che in proposito vi sono due aspetti che, a nostro avviso, andrebbero considerati: in primo luogo, quest’interpretazione legislativa molto spinta per cui, in realtà, i resti di produzione, stante la presenza di quest’impianto consortile soprannominato "tubone", sono stati gestiti non come rifiuti, ma in base alla legge Merli.

Come dicevo, nel lavoro fatto dallo IAL e presentato a Grado un paio di settimane fa viene riconfermata una situazione storica d’inquinamento della laguna da idrocarburi e metalli pesanti, in primo luogo mercurio; queste sono evidenze precise, non sono supposizioni. Resta fermo il fatto che, qualora la regione intendesse aprire una stagione di dragaggi nella laguna, si porrebbe anche la questione dello smaltimento dei fanghi, già classificati in categoria 3 dal Protocollo di Venezia e quindi tossici.

PRESIDENTE. Non essendovi altre domande, ringrazio nuovamente i nostri ospiti e dichiaro conclusa l’audizione.

L'incontro termina alle 16.