Marco FRITELLA, Giornalista RAI-TG1. Credo si possa avviare questa seconda parte dei nostri lavori con la tavola rotonda. Mi limiterò naturalmente a dare la parola e a coordinare, ma, dovendo fare una brevissima sintesi giornalistica, non posso esimermi dal dire che alcune cose, soprattutto quelle dette dal Presidente Scalia, colpiscono. In realtà, egli ha detto che, primo, in materia di ecomafia le indagini sono aumentate, mentre le attività illecite aumentano e non si riesce nemmeno a contenerle; secondo, che l’impatto della normativa vigente in materia ambientale è praticamente nullo, salvo il volenteroso impegno del singolo magistrato, del singolo rappresentante delle forze dell’ordine; terzo, che i controlli amministrativi sono praticamente inesistenti (il dottor Grasso ha detto che in Sicilia non esistono); quarto, che la proposta unanime della Commissione, di introdurre la fattispecie del delitto ambientale in modo più organico ed efficiente per combattere questo fenomeno, si è impantanata. Poiché c’era l’unanimità della Commissione e poiché le date parlano da sole (ci stiamo riferendo ad una vicenda che comincia nel marzo del 1998), questo impantanamento ha una chiara origine politica che tutti comprendiamo. Ricordo che verso la fine dalla prima parte del forum ci siamo concentrati sui poteri forti.

Sono presenti autorevoli magistrati, parlamentari, rappresentanti del Governo, che possono esprimere la loro opinione su questi problemi. Propongo a tutti loro di cominciare subito la tavola rotonda con brevi interventi, per cercare di rendere possibile un secondo giro e magari dare la parola anche al pubblico.

Do subito la parola al dottor Casson,.

Felice CASSON, Sostituto procuratore della Repubblica di Venezia. Dovendo contenere il mio intervento, credo sarà difficile riuscire a commentare o a formulare una proposta rispetto a ciò che si è sentito durante la prima parte del dibattito. Comincerò dall’ultimo intervento, quello del professor Manna, solo per dire che per quanto mi riguarda i progetti presentati sia dalla Commissione, sia dal Ministro dell’ambiente, mi lasciano molto perplesso. Non condivido le valutazioni positive per una serie di motivi di impostazione e di tecnica normativa ed anche sostanziali. Credo che il requisito o per meglio dire il vizio dell’indeterminatezza sia estremamente pesante e ponga seri problemi a livello operativo. Nel progetto di legge della Commissione si parla di "grave alterazione" senza specificare che cosa si intenda esattamente con queste due parole; continuando, si parla di "grave alterazione" e di "superamento dei limiti di accettabilità". E’ evidente che ci troviamo di fronte ad un modo di impostare i problemi estremamente generico, che lascia molto spazio all’interpretazione e crea difficoltà nell’applicazione concreta della norma. Tutto ciò è molto pericoloso dal punto di vista sia dei controlli, amministrativi o giudiziari, sia del processo.

In merito al discorso delle pene proposte, preciso che non le considero troppo elevate, ma addirittura ridicole, in quanto consentono di arrivare a prescrizione in tempi brevissimi; quando si parla, come avviene in questi progetti, di "gravi danni e gravi alterazioni dell’ambiente", considerando che per svolgere delle indagini preliminari complesse occorrono tre, quattro anni e che il nostro ordinamento prevede due gradi di giudizio, oltre alla Cassazione, un tempo di prescrizione di sette anni e mezzo è assolutamente insufficiente in quanto non consente di giungere ad una sentenza.

Anche per quanto riguarda le pene, non posso tacere la mia insoddisfazione, ma probabilmente si è trattato di una svista; nel progetto presentato dalla Commissione sono previste pene fino a tre anni per fatti colposi, mentre attualmente il codice, in caso di disastro colposo, prevede una pena fino a cinque anni. Un discorso analogo va fatto per il caso di disastro di natura dolosa, previsto nel secondo progetto, se è vero che per il caso di disastro ambientale si propone una pena dai tre ai dieci anni, mentre il codice prevede per un caso analogo una pena fino a dodici anni.

Nel disegno di legge presentato dal Governo c’è il grave problema, difficilmente superabile, dell’indeterminatezza che crea scompensi enormi quando nell’ambito di un processo si deve impostare una indagine giudiziaria.

In ordine all’accenno fatto nei confronti dei poteri forti, credo si debbano diversificare le varie situazioni; quando si parla di ecomafia si fa riferimento ad un fenomeno particolare, mentre quando si parla di problemi di tipo ambientale e di violazioni in materia ambientale si fa riferimento a situazioni completamente diverse e ci si scontra con poteri altrettanto forti, per certi versi anche più forti, molto visibili e presenti. Giustamente si è fatto riferimento alle aziende, al mondo industriale, non solo privato ma anche pubblico. Un esempio chiarissimo per tutti è quello in materia di elettrosmog, dove non sono i privati ad opporsi, ma aziende pubbliche o parapubbliche, come l’ENEL, che fanno resistenza ed intervengono a livello governativo in maniera molto pesante. Un altro esempio è quello dell’amianto che da decenni tutti sanno essere una sostanza estremamente pericolosa, mentre solo recentemente si è intervenuti a livello di cause sia di pretore del lavoro, sia di indagini giudiziarie. Purtroppo i problemi di natura produttiva, di origine sia pubblica, sia privata, hanno sempre fatto sì che non si pensasse ai danni creati da situazioni di questo tipo.

E’ necessario quindi capire esattamente chi abbia interesse ad intervenire e credetemi quando vi dico che alcuni responsabili aziendali (sto pensando a qualcuno di Enichem) se la ridevano molto tranquillamente pensando ad una normativa che riduce le pene e i tempi di prescrizione. In pratica, in questo modo è impossibile confrontare le aggravanti generiche con quelle previste dai progetti di legge in materia ambientale, senza pensare a problemi di legittimità costituzionale.

Giunto a questo punto mi fermo per poi ritornarci, se ci sarà il tempo e l’occasione.

Vorrei aggiungere soltanto poche parole in relazione a quelli che sono i controlli amministrativi. Non conosco la Regione Piemonte, ma posso dire che per la zona di mia competenza territoriale non esistono o sono del tutto inefficaci. Il problema è di capire se lo sono per colpa o per dolo; questo è il problema di natura penale che ci riguarda, ma sicuramente i controlli non esistono. La cosa grave è che volutamente i controlli non esistono.

Questa situazione dovrebbe essere sottoposta all’esame di una Commissione parlamentare importante come questa e del Parlamento. Devono essere create strutture indipendenti, dotate di autonomia, anche se ovviamente non potrà mai essere quella di cui gode la magistratura. Se si vogliono effettuare controlli seri ed obiettivi in queste materia, non ci si può affidare ad un organo né comunale, né provinciale, né regionale. Ci sono strutture, che si è cercato di inserire nel nostro panorama istituzionale come l’ARPA, l’ANPA, anche se mi risulta che c’è la volontà di eliminarle o di ridurre enormemente i loro interventi.

Vorrei sottolineare l’importanza del problema relativo alla formazione delle persone, a livello di operatori – mi riferisco anche a magistrati - che svolgono sia le indagini, sia i controlli amministrativi, ma che sono completamente impreparati a fronteggiare situazioni di questo tipo. Ho cominciato ad interessarmi delle problematiche ambientali, dal punto di vista processuale, solo da quattro, cinque anni a questa parte; in precedenza non avevo avuto nessuna formazione di questo tipo, nessuno mi aveva sensibilizzato in materia. Sono convinto che i magistrati che affrontano questi temi lo facciano per buona volontà o per caso, senza sapere come comportarsi.

Quello che va attuato non è tanto un coordinamento di tipo istituzionale, che a livello di ecomafia la Procura nazionale svolge in maniera efficace, quanto quello per far sì che le iniziative non siano lasciate alla buona volontà del singolo.

I contatti con tutti i colleghi, in ordine ai disastri ambientali enormi che si sono verificati non solo a Porto Marghera ma in tutta Italia, come ho già detto, sono dovuti esclusivamente alla buona volontà del singolo, che in quanto tale potrebbe spaventarsi di fronte alla complessità delle indagini che vanno svolte. La situazione in cui si trovano Venezia e Porto Marghera, determinatasi con l’accettazione più o meno tacita delle amministrazioni pubbliche, dei sindacati e degli organi di controllo, è analoga a quella esistente nel resto del paese. I colleghi siciliani e pugliesi, con i quali ho scambi di opinioni, mi confermano in questo mio convincimento. L’aspetto più grave del problema è dato dall’incapacità e dall’impossibilità del magistrato di utilizzare persone in grado di approfondire determinate situazioni e di svolgere accertamenti. Non credo si tratti di una negligenza, ma di una situazione voluta, perché per certi versi è bene che le cose continuino ad andare in questa direzione.

Marco FRITELLA, Giornalista RAI-TG1. Ringrazio il dottor Casson per questo suo primo intervento.

Do ora la parola al dottor Ceglie.

Donato CEGLIE, Sostituto procuratore della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere. Non è la prima volta che sono invitato a riflettere a voce alta sulle problematiche connesse ai delitti contro l’ambiente. Ascoltando il collega Casson c’è il rischio che il taglio che emerge da tutto il dibattito sia quello di una lamentazione diffusa, per altro più che fondata alla luce delle cose dette e che condivido. Tuttavia, vorrei provare a ragionare in termini positivi e vedere allo stato degli atti e delle forze a disposizione quello che si deve e si può fare. Questo è ciò che tento di fare venendo da Santa Maria Capua Vetere e dalla Campania più in generale, dove l’emergenza è sempre viva. Prendiamo atto che da due settimane a questa parte si rivive la ciclica e periodica emergenza rifiuti, come se nulla fosse cambiato da trenta anni a questa parte. Abbiamo, infatti, migliaia di tonnellate di rifiuti per le strade, davanti alle chiese, nei campi sportivi e quant’altro.

Allora, pur non volendo dare un connotato negativo all’intervento, da questo dato devo pur partire, se è vero che nel febbraio 2001 continuiamo a ragionare sui delitti ai danni dell’ambiente e delle istituzioni e non siamo in grado di dare risposte straordinarie a tali problematiche, che in qualche caso bisognerebbe pur dare, ma non riusciamo nemmeno a dare risposte ordinarie, che un problema ordinario, quale quello della raccolta differenziata o meno e dello smaltimento dei rifiuti, richiederebbe. Lo dico facendo riferimento ad una regione come la Campania dove tutte le istituzioni preposte alla gestione ordinaria e legale delle questioni connesse all’ambiente sono oggetto di commissariamento. Oltre ai commissariati di polizia, noi abbiamo una serie di commissariati vari inventati per risolvere problemi ordinari che nel frattempo diventano straordinari; purtroppo, anche i commissari straordinari non riescono a fare niente. Potrei elencare una lunga serie di commissari straordinari, che da anni straordinariamente dovrebbero dare risposte straordinarie a problemi ordinari, che nel frattempo diventano straordinari, ma che invece non fanno niente.

Per chi mi conosce sa che insisto sempre su due o tre questioni, a costo di raggiungere la pazzia a furia di ripeterle continuamente. Le cave rappresentano l’esempio ideale per dimostrare che nonostante il nostro paese abbia un grandissimo numero di leggi, non ne abbiamo neppure una che a chiare lettere preveda il reato di coltivazione abusiva di cava. Abbiamo tutta una serie di leggi statali e regionali, che poi diventano il patrimonio e la felicità di una serie di studi professionali, nei confronti dei quali evidentemente non ho nulla da dire e ciononostante sul territorio campano in genere e nella provincia di Caserta in particolare vi sono circa 220 cave abusive in grado di far sparire letteralmente intere montagne. Ci sono zone in cui le montagne spariscono letteralmente e quando proviamo a sequestrare queste cave, sia pure in un mare di difficoltà, perché evidentemente non dobbiamo occuparci solo di questi problemi, nel corso di indagini, di accessi della Commissione e quant’altro, constatiamo che la cava diventa il luogo ideale per violare più o meno tutto quello che c’è da violare in tema di ambiente. Diventa, infatti, luogo dove smaltire illegalmente rifiuti, far scolare illegalmente acque particolarmente pericolose, installare abusivamente ed illegalmente tralicci elettrici, nascondere più o meno di tutto e quando dico di tutto intendo dire per l’appunto di tutto. Anche in materia di cave c’è un commissariato regionale straordinario per la gestione della emergenza, che mi risulta non si è mai riunito; sta lì da anni e non si è mai riunito.

Intendo ribadire che il quadro normativo è assolutamente carente; prima si parlava del rischio di prescrizione per una serie di reati ai quali facciamo normalmente riferimento nel nostro lavoro. In alcuni circondari, come quello del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, tra l’altro abbiamo vissuto uno sciopero, o meglio una astensione degli avvocati, che si è protratta fino a quattro anni e otto mesi: pensate cosa significa gestire fattispecie che subiscono prescrizioni brevi in un contesto nel quale tra l’altro si bloccano le aule dei tribunali e delle ex preture, attualmente sezioni distaccate del tribunale, per cinque anni. Siamo di fronte non ad una prescrizione, ma ad una depenalizzazione di fatto strisciante per tutta una serie di fattispecie, di per sé assolutamente insufficienti.

Pur sottolineando l’insufficienza cronica e drammatica del quadro normativo, sono tra coloro che poi in maniera molto umile e certosina cercano comunque di sfruttare le norme a disposizione. Francamente dico che in attesa di aspettare le riforme normative qualche piccolo delitto lo potremmo in qualche maniera rivitalizzare; mi riferisco all’avvelenamento di acque, al disastro ambientale, alla ricettazione, ai falsi in relazione ai formulari. Si tratta di fattispecie penali che esistono e che in qualche maniera ci consentirebbero di fare qualche cosa se, avvalendoci dei nostri ottimi ufficiali di polizia giudiziaria, creassimo un vincolo malavitoso tra i soggetti che operano ed utilizzassimo l’articolo 416 e tutto il resto, per non parlare del 416-bis, sul quale si soffermerà il collega Russo della Procura distrettuale.

Allora, la riflessione si sposta su un’altra dolente nota. Ho l’impressione che i crimini ai danni dall’ambiente non interessino molto le nostre procure; in assenza di una passione personale, di uno spirito di iniziativa, per quanto riguarda i crimini ai danni dell’ambiente, è difficile che qualcuno ti porti l’informativa fatta per bene. E’ questa la ragione per la quale tale materia resta dormiente negli uffici; per questo dico che si tratta anche di un problema che riguarda i nostri uffici e le nostre procure. In concomitanza con l’entrata in vigore del giudice unico e con l’unificazione delle procure, da parte di molti c’è stata una corsa verso alcune sezioni specializzate; poi, quando si è trattato di scegliere la sezione specializzata ambiente o la molto connessa, credetemi, sezione in tema di prevenzione infortuni e sicurezza sui luoghi di lavoro, dove non si parla di altro e dove si potrebbe rivitalizzare l’articolo 437 del codice penale, delitto che prevede la reclusione fino a cinque anni, mentre invece ci fermiamo sempre alle contravvenzioni punite con la pena alternativa dell’arresto e dell’ammenda, quasi nessuno si è fatto avanti, al punto che molto spesso solo gli uditori vengono assegnati a queste sezioni. Si tratta evidentemente di un nostro problema culturale, sul quale dobbiamo iniziare a riflettere per renderci conto che è una materia sulla quale solo chi ha più esperienza ed un pizzico di fantasia può utilizzare quel poco che comunque c’è sul mercato delle norme.

Un ruolo fondamentale può essere svolto dai dirigenti degli uffici giudiziari, i quali devono capire che in particolari aree sarebbe necessario prevedere, nella sezione specializzata o semispecializzata, in tema di ambiente o di prevenzione infortuni, non soltanto due o tre unità, ma almeno dieci unità con un paio di colleghi anziani che da tempo operano sul territorio, per far fronte ad un quadro di carenze normative e di mezzi che non esistono.

Il collega prima faceva riferimento all’ARPA; ebbene, l’ARPA-Campania vive da cinque anni con cinque componenti: il direttore, i due vicedirettori e i due vice dei vicedirettori! Non ho altro da dire! (Applausi).

PRESIDENTE. Do la parola al dottor Cisterna, sostituto procuratore distrettuale antimafia di Reggio Calabria.

Alberto CISTERNA, Sostituto procuratore distrettuale antimafia di Reggio Calabria. Naturalmente ringrazio il Presidente per l’invito. Sono il primo magistrato della distrettuale tra quelli che partecipano alla tavola rotonda a parlare e quindi mi auguro di dire cose che poi trovino il conforto del collega Franz e del collega Russo.

Per affrontare il problema abbiamo la possibilità di un duplice taglio: da un lato, porre attenzione ai testi normativi che sono stati offerti e che sono interessanti e dall’altro osservare ciò che accade nella realtà quotidiana degli uffici giudiziari, nella quale poi ognuno di noi si trova ad operare. In questi dieci minuti, che rispetterò assolutamente, cercherò di analizzare il problema utilizzando tutti e due i punti di vista nel modo in cui ciò mi sarà possibile.

Da un lato penso alla grande novità rappresentata dal disegno di legge varato dalla Commissione in ordine al reato di ecomafia, previsto dall’articolo 452-septies, circa l’introduzione di questa nuova norma. La prima domanda che mi è venuta spontanea è: perché le DDA? Fare riferimento ad una direzione distrettuale antimafia significa individuare un ufficio organizzato in maniera massiccia, con una disponibilità di mezzi, sia normativi che economici, largamente superiore a quella di qualunque altro ufficio giudiziario, cosiddetto di procura ordinaria. Tutto ciò fa pensare ad un’attività di servizio articolata in maniera più organizzata, in riferimento all’analisi di singoli episodi delittuosi e ad un loro approfondimento. In sostanza, torna alla mente quella che è stata chiamata da tutti anche una straordinarietà della situazione che esige una straordinarietà di eventi. Mi chiedo se le direzioni distrettuali antimafia siano lo strumento migliore in questo frangente per fronteggiare un fenomeno di tale vastità. Dico questo perché c’è sempre il rischio, nell’affrontare i fenomeni e non i fatti, dell’inquisitio generalis, di aprire un procedimento, di occuparsi un po’ di tutto, di acquisire carte, di cercare di capire chi siano i soggetti, di attuare forme di investigazione che vanno sostanzialmente alla ricerca della notizia di reato, perché quando si tratta di reati così complessi e gravi è ovvio che la notizia di reato è difficile che arrivi all’ufficio di procura. Molto spesso la direzione distrettuale deve cercarla. Nei reati di mafia è facile, posto che a Gioia Tauro ci sono cosche mafiose, tutto sta nell’organizzarsi per scoprirle, quindi, il procedimento è molto semplice. Dire invece che a Gioia Tauro c’è un’ecomafia, nel senso che prospetta la norma, non è facile; si può anche immaginarlo, tuttavia non è facile trovare la notizia di reato. Dico questo perché il collega Casson ed altri richiamavano la necessità di un filtro informativo, cioè la necessità di un’organizzazione di controllo che porti all’attenzione delle procure solo ciò che è rilevante o può essere tale. Difficilmente apparati normativi così corposi potranno aiutare, laddove, torno a dire, bisognerà dare la caccia alla notizia di reato, per poi alimentarla una volta trovata.

Anch’io, come ha sostenuto il procuratore di Palermo, dottor Grasso, ritengo che nel nostro paese esista una sovrapposizione di competenze in materia di polizia giudiziaria e soprattutto in materia di ambiente, per cui tutti possono fare tutto (si ricordavano i vigili di Palermo, i Carabinieri, la Polizia, il Corpo forestale dello Stato); nulla toglie a nessuno la possibilità di indagare su un qualunque illecito ambientale venga commesso. Tuttavia, a me piace ricordare che esiste una sovrapposizione di competenze nel nostro paese in tema ambientale non concorrenziale, nel senso che c’è il vezzo di lasciare queste cose all’ultimo che capita o a quello che proprio non ne può fare a meno. E’ sempre scomodo per le forze di polizia occuparsi di reati puniti, se lo saranno, con pene fino a tre anni, che non consentono l’arresto, la conferenza stampa, le carriere. Bisogna dirlo con grande onestà e facilità: sono sicuro che alla ricerca di Provenzano sono dedicate le migliori forze della polizia giudiziaria palermitana, come a Reggio Calabria le migliori forze sono in campo per cercare i componenti della famiglia De Stefano-Morabito, cioè i grandi latitanti. Di queste cose, viceversa, non si occupa nessuno e a questo proposito vorrei ricordare un caso attingendo alla mia esperienza.

Un giorno il procuratore di Palmi, capo dell'ufficio del collega Giovanni Grasso, pensò bene di chiedere come mai un immobile dei Piromalli fosse sorto al centro del paese abusivamente, senza che nessuno lo avesse contravvenzionato. Disse ciò dopo aver scoperto che quell’immobile era stato affittato alla USL, che avrebbe dovuto sistemarci i propri uffici. A quel punto processò l’intero corpo dei vigili urbani di Gioia Tauro, sostenendo che non era possibile che nessuno si fosse accorto di quell’opera abusiva. Ebbene, gli imputati sono stati tutti assolti avendo sostenuto che come loro avrebbero potuto accorgersene i Carabinieri, la Polizia di Stato e via di seguito. In sostanza, tutti hanno visto tutto, per cui o si inquisiscono centocinquanta soggetti, tra poliziotti, carabinieri, guardie di finanza, eccetera, oppure nessuno è responsabile. Questa tesi è stata accolta in sede di giudizio e gli imputati sono stati assolti.

Se non si individua una esclusività di competenze in tema di controlli, tali da rendere i soggetti responsabili in via unica del controllo dell’ambiente e di ciò che in questo avviene in modo che i soggetti stessi siano il referente principale per quel filtro verso le procure, indispensabile per la conoscenza dei dati, c’è il rischio di dar vita ad un velleitarismo che tante volte si manifesta ma che i giudici, per fortuna, non faranno passare mai nel nostro paese. Tutte le volte che ci troviamo di fronte ad un disastro, non si trova mai un giudice disponibile a condannare perché in sede di giudizio c’è difficoltà a fare proprie tesi forti.

UNA VOCE. Qualcuno ci è riuscito!

Alberto CISTERNA Sostituto procuratore distrettuale antimafia di Reggio Calabria. Ricordo un caso di reato di inquinamento di acque, di cui era accusata la centrale Enel di Gioia Tauro, finito in corte d’assise, essendo di sua competenza in quanto di tipo doloso.

Ultime due considerazioni prima di concludere. Si è cercato di effettuare un controllo sui consorzi nelle zone sud e nord della Calabria per l’aggiudicazione dello smaltimento dei rifiuti nei due comprensori sopra ricordati. L’interesse era dovuto al fatto che i due consorzi avevamo messo insieme un capitale di quasi cinquecento miliardi per la gestione dell’appalto. Dal controllo effettuato per accertare a quali imprese facessero capo i due consorzi, ci siamo resi conto che si trattava di cordate di imprese, molte in associazione temporanea con ditte capogruppo, quasi tutte americane. In realtà, da un controllo più attento abbiamo scoperto, ad esempio, in un piccolo paese della piana di Gioia Tauro l’esistenza di una Ecosistemi che non è altro che il referente della più importante società americana o tedesca. Dal controllo dei soggetti assunti dai consorzi si scopre che si tratta sempre di persone vicine ed elementi della criminalità organizzata locale. Tuttavia, il controllo effettuato, mancando la notizia di reato non ha sortito alcun effetto; una volta conclusa l’inquisitio generalis, la mancanza della notizia di reato non ha autorizzato alcuna illazione sull’esistenza di fatti da accertare.

Sul progetto di legge mi sembra importante notare come, al di là di qualche incongruenza normale in sede tecnica, sia stato previsto l’inserimento del 51, comma 3-bis, del reato di ecomafia, mentre non si è detto che deve essere modificato anche il 407, sulla durata delle indagini. Quindi, queste indagini durerebbero meno delle altre, pur essendo di competenza delle distrettuali e al di là di qualche altra questione interessante che potrebbe riguardare un richiamo all’articolo 12 sexies della legge n. 306 del 1992. Una norma importantissima che consente la confisca non sulla base, come ricordava il procuratore Grasso, di una interposizione fittizia, che potrebbe essere importante, ma semplicemente di una ingiustificata sperequazione tra beni posseduti e reddito, per cui il prestanome è quello che più di ogni altro è sensibile a questa misura di confisca penale, non potendo giustificare, al di là di ricerche, su chi siano gli uomini che comandano la struttura e i mafiosi che la gestiscono. Se tutto ciò venisse coordinato con un opportuno richiamo alle misure di prevenzione personali e patrimoniali, effettivamente potrebbe tornare a rivivere una stagione che io ricordo non episodica nel nostro paese. Mi riferisco al testo unico antidroga del 1990, che ha segnato una svolta nella lotta alla droga perché le norme sono state efficienti ed efficaci nel contrasto alla criminalità organizzata in materia di sostanze stupefacenti; la legge n. 108 del 1996, in materia di usura, che ha segnato anch’essa un punto di svolta, in quanto legge organica sul fenomeno; il cosiddetto "codice antimafia", cioè il complesso di norme che dal 1982 in poi sono state messe a base del contrasto alla mafia; la legge organica in materia di sfruttamento della prostituzione, allorquando il legislatore volendo contenere fenomeni di quel tipo, non ha potuto fare a meno di una legge organica che disciplinasse la materia.

Prescindere da un testo che disciplini la materia, così come si spera di poter fare, mi sembra una follia in termini di spinta per gli uffici giudiziari ad attrezzarsi in maniera completa ed esaustiva nella materia stessa (Applausi).

Marco FRITELLA, Giornalista RAI-TG1. Ringrazio il dottor Cisterna. Do ora la parola al rappresentante del Governo, onorevole Corleone, sottosegretario alla giustizia.

Franco CORLEONE, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Penso di potermela cavare con poche battute perché in realtà il tentativo fatto di presentare e di far approvare un disegno di legge sui delitti ambientali è rimasto in un testo scritto che, ormai in fine legislatura, possiamo dire rimarrà chiuso nel cassetto dei sogni non avverati. Non è stato neppure facile giungere a quel testo, al di là dei giudizi di ciascuno. Ovviamente in Italia, patria del diritto, non si può che discutere all’infinito della bontà o meno di un testo; potremmo anche discutere del testo unico sulle droghe per decidere se è un buon testo o meno (in questo caso limitiamoci all’argomento oggetto del dibattito già abbastanza ricco di stimoli). Penso sia stato molto faticoso, innanzitutto perché non vi erano resistenze concettuali e poi perché all’interno del Ministero della giustizia non vi era il peso di poteri forti tali da impedire l’elaborazione di un testo. Si tratta esclusivamente di un problema culturale. Dobbiamo avere ben presente che la questione ambientale, come questione centrale della convivenza, non è ancora inserita al centro della riflessione del diritto, della giustizia e della politica.

Tutto ciò risulta ancora più evidente nel momento in cui la politica della giustizia e del diritto nel nostro paese, lungo decenni, si è articolata molto spesso in funzione delle emergenze (politica che non ho mai condiviso dal punto di vista culturale). L’unica emergenza che potrei accettare è quella ambientale, ma questa non è diventata volano di decreti, di provvedimenti straordinari. E’ un limite della politica tout court; anzi, penso sia la cartina di tornasole della crisi della politica in Italia, che è sotto gli occhi di tutti. Il modo per dimostrare che la politica riesce ad affrontare questioni di fondo sarebbe quello di far considerare la questione ambientale non come l’ultima delle questioni, ma come la questione centrale, discriminante dello sviluppo economico, rispetto ai problemi del territorio e della salute dei cittadini.

Se al termine di cinque anni tiriamo le somme, dobbiamo ammettere che tutto questo non si è realizzato; addirittura la materia ambientale non è neppure citata nella nostra Carta costituzionale che noi difendiamo come sacra per la memoria che ha in sé. Eppure, il principio della tutela dell’ambiente non vi è presente e tutti i tentativi per inserirlo hanno avuto l’esito del disegno di legge sui delitti ambientali.

Il problema non è solo quello di ampliare gli ambiti in cui tale principio deve valere, ma di sottolinearne il valore ed è chiaro che nel momento in cui vi sono resistenze ad inserire questo argomento nella Costituzione, si dà un messaggio di un certo tipo. Credo che il tema relativo ai delitti ambientali e alle ecomafie rappresenti un punto fondamentale per il nostro paese, così come emerge in trasparenza dalla relazione del Presidente Scalia.

Dalla lettura dei fenomeni ambientali, complessivamente intesi, risulta evidente che la questione meridionale è ancora aperta nel nostro paese, al pari della questione industriale; se è vero che nel Mezzogiorno la questione ambientale si pone nel più ampio contesto del fenomeno della criminalità organizzata, nel nord felice e ricco si pone come questione industriale. Se verso il sud vanno i rifiuti tossici e nocivi delle aziende del nord, è chiaro che quella che si pone è una questione industriale. Ma vi è anche una questione legata al funzionamento della pubblica amministrazione e quella relativa all’imprenditoria mafiosa nel sud, cioè l’economia criminale. Il giudice Natoli, nella sua relazione, ha sottolineato che in Sicilia c’è un problema legato alla qualità degli imprenditori, i quali svolgono anche quelle funzioni. Il problema della imprenditoria mafiosa rappresenta un grandissimo problema per la politica, che non può pensare di contrapporsi alle uniche imprese esistenti nel sud contrapponendo i lavori socialmente utili. In presenza di specifici reati i magistrati possono anche far arrestare gli imprenditori, ma poi la realtà è che "piccolo è bello", ma non è adeguato allo sviluppo economico, sociale e occupazionale. La coincidenza degli elenchi della criminalità con quelli dell’impresa rappresenta un’altra grande questione, che si lega con quella ambientale, per chi deve occuparsi delle questioni vitali di un paese.

Penso che la questione ambientale abbia a che fare con quella della sicurezza, anche se siamo abituati a declinarla al singolare e quindi in termini di ordine pubblico o con qualche variante peggiore, quale la tolleranza zero, non a declinarla al plurale laddove la sicurezza è quella della salute, dell’ambiente, del lavoro e così via. Queste sono le sicurezze fondamentali per il nostro paese.

Per concludere, credo che sia una sconfitta della politica non essere riusciti ad inserire questa questione nei tre grandi capitoli della Costituzione, delle leggi specifiche ed infine del codice penale. Abbiamo bisogno di scrivere nuovamente, assieme alle depenalizzazioni, i termini della penalizzazione in Italia e quindi il nuovo codice penale, perché tutti gli argomenti ascoltati questa mattina fanno riferimento a codici penali. Abbiamo bisogno del nuovo codice penale in cui i valori fondamentali non siano più quelli del codice Rocco, ma quelli inerenti la salute, la persona, l’ambiente.

In questo senso mi pare assolutamente da respingere la caricatura ascoltata questa mattina del diritto penale minimo. Un dibattito serio non può fondarsi sulle caricature degli elementi fondanti di una civiltà giuridica o almeno di ciò che noi pensiamo sia tale; non si può fare la caricatura del diritto penale minimo così come ho sentito, il problema deve essere inserito all’interno di una codificazione delle penalizzazioni e dei nuovi valori. In questo senso credo che il diritto penale minimo si inserisca bene, al pari della depenalizzazione; se queste formule sono svincolate da un codice penale è chiaro che poi vi sono contraddizioni che risultano evidenti quando manca la sostanza.

Il compito che attende il nuovo Parlamento ed il prossimo Governo è anche quello di considerare centrale tale questione, volendo incidere sui grandi riferimenti che ho ricordato, quali la Costituzione, il codice penale. Quindi, riferimenti forti su cui aprire un confronto che sia decisivo per lo sviluppo del nostro paese.

Marco FRITTELLA, Giornalista RAI-TG1. Do ora la parola al dottor Franz.

Silvio FRANZ, Sostituto Procuratore Distrettuale Antimafia di Genova. Penso di essere stato invitato in quanto mi sono occupato di un procedimento monitorato anche da una sottocommissione; pertanto, penso di dover portare alcuni flash riguardanti la mia esperienza. Quella alla quale faccio riferimento è un’area boschiva della Liguria, sottoposta a vincolo paesistico, che si affaccia sul mare, in una zona di notevole pregio che dalla fine degli anni settanta, utilizzando tutta una serie di strumenti amministrativi ed autorizzazioni rilasciate nel tempo, è utilizzata come discarica di rifiuti tossici e nocivi speciali con conseguente inquinamento delle acque. Riallacciandomi a quanto detto dal procuratore Laudi, ricordo che in questo caso non parliamo di ecomafia, ma di un fenomeno di tipo diverso, dove i collegamenti probabilmente ci sono, ma dove la gestione del business molto lucroso è fatta non da appartenenti ad associazioni delinquenziali. Gli strumenti utilizzati in queste occasioni sono rappresentati dagli articoli 434 e 439; quello che chiamiamo disastro ambientale, ma che in realtà è una norma residuale che utilizziamo anche in parte impropriamente, in quanto non è nata con questa finalità. La maggior parte delle sentenze della Cassazione, applicative dell’articolo 434, riguardano il crollo di edifici. Quindi, l’utilizzo di questo strumento dal punto di vista giuridico, nel momento in cui ci troviamo al dibattimento, è come gettarsi dall’aeroplano senza paracadute.

Dal punto di vista sostanziale ci troviamo di fronte ad una mancanza di specifiche fattispecie, di cui si è già parlato in occasione del Convegno tenutosi a Napoli, proprio nei giorni in cui fu presentata la proposta di riforma ed oggi, a distanza di tre anni, ne parliamo ancora.

Un altro problema da risolvere, dal punto di vista sostanziale, è quello della possibilità di aggredire i patrimoni; se è vero che quello delle discariche rappresenta un affare molto lucroso, allora dobbiamo avere il coraggio di aggredire in maniera concreta i patrimoni delle persone che si arricchiscono con questo business. Nella realtà che ho affrontato c’era l’arricchimento di vari imprenditori nel corso degli anni e di pubblici ufficiali, la cui collaborazione per poter svolgere "legittimamente" l’attività era stata fondamentale.

A questo punto torniamo ad un discorso di fattispecie, quali, ad esempio, quelle di falso ideologico, in primo luogo. E’ difficile trovare in certe realtà del nord d’Italia atti completamente falsi, ma solo falsi ideologici, dazioni. Un discorso un po’ desueto alla metà degli anni novanta era quello della possibilità di aggredire anche i patrimoni in caso di ipotesi di corruzione; non vedo perché non si possa riaffrontare il problema dell’applicazione dell’articolo 12-sexies anche ad ipotesi diverse di reato. Nel momento in cui trovo un pubblico ufficiale che conduce una vita assolutamente incompatibile con le sue entrate e non riesco a trovare neppure un’ipotesi di corruzione, sia pure, minimale, non posso aggredire il suo patrimonio e quindi non posso ritenere, fino a prova contraria, di provenienza illecita anche le altre somme che ingiustificatamente gli sono state trovate nella disponibilità.

Concordo con la necessità di avere organi di polizia giudiziaria specializzati sul doppio versante: quello della conoscenza dei meccanismi della pubblica amministrazione e del bagaglio tecnico-scientifico nel settore dei rifiuti. Personalmente mi sono avvalso della collaborazione del Corpo forestale dello Stato, ma tendenzialmente credo si debbano sempre utilizzare consulenti tecnici esterni, perché non abbiamo la capacità di affrontare l’esame approfondito di atti della pubblica amministrazione, di procedimenti complessi, la cui durata si prolunga per anni, senza un supporto tecnico che deve saldarsi anche con una capacità scientifica di conoscenza del fenomeno della gestione dei rifiuti. Secondo me a livello istituzionale non abbiamo ancora un organismo di supporto ed in questo senso la regionalizzazione del Corpo forestale dello Stato è un problema, che va in controtendenza rispetto alle cose che stiamo dicendo. Abbiamo effettuato alcune indagini sugli uffici regionali e ci siamo resi conto che allorquando il controllore è sottoposto al controllo del controllato è evidente che si possono determinare dei condizionamenti.

Solo per fare un esempio, posso dire che per ottenere della documentazione dalla regione ho dovuto utilizzare il GICO. Spesso la collaborazione della pubblica amministrazione non è così scontata. La ricostruzione dei fatti non è sempre compatibile con la sicurezza e la tutela dell’ambiente; sequestrare una discarica rappresenta sempre un grande problema, forse pari a quello per mantenerla sotto sequestro. Spesso c’è un conflitto tra le nostre finalità, che sono la ricerca della prova e la ricostruzione di un fatto, e i problemi di sicurezza pubblica. Se ragionevolmente posso ritenere che in anni passati in un’area sono stati interrati rifiuti tossici altamente nocivi, devo anche pormi il problema delle conseguenze che possono derivare all’ambiente dall’attività necessaria per la dimostrazione di questa ipotesi. Non sempre la ricerca della verità processuale è compatibile con le necessità legate alla messa in sicurezza di una discarica. Inoltre gli accertamenti sono sempre estremamente costosi. Ho utilizzato l’incidente probatorio perché non si possono spendere decine di milioni del contribuente per un accertamento, per il quale può essere richiesto un rinnovo in sede processuale perché non effettuato in contraddittorio tra le parti. In questi casi anche se è bene utilizzare lo strumento della cristallizzazione della prova in fase di indagini preliminari, non possiamo dimenticare che ciò provoca grandi problemi per quanto riguarda la durata delle indagini stesse. Sono d’accordo con quanto detto dal collega Casson in merito alla nostra preparazione, che spesso è artigianale e senza dubbio legata allo sforzo del Consiglio Superiore di fornirci una preparazione specifica, ma anche alla fortuna di conoscere il collega più preparato o di fare incontri importanti a livello scientifico.

Un’ultima osservazione. In ordine alla necessità di arrivare al processo, che tutti noi ci poniamo, il problema è quello di rendere percepibile, alla persona o all’organo, la documentazione raccolta durante le indagini, il che non è assolutamente facile perché, come ho detto all’inizio, ci troviamo di fronte all’utilizzo di mezzi non previsti per quello scopo, come l’ipotesi residuale dell’articolo 434 e quindi dobbiamo riuscire a dimostrare e a far percepire, ai fini dell’accertamento della responsabilità personale, il modo in cui la zona ha subìto questo degrado; quindi, prima di tutto che ci sia stato un degrado e successivamente in che fasi e con quale contributo causale da parte dei singoli ciò sia avvenuto.

Partendo da un’indagine effettuata qualche tempo fa, ed essendo venuto meno il segreto istruttorio, ho trasmesso una ricostruzione multimediale nel tempo e nello spazio con un modello virtuale della discarica, in base a foto aeree sviluppate, elaborate e ricostruite da un istituto specifico che ha consentito la ricostruzione, come dicevo, multimediale della struttura tridimensionale, utilizzando metodiche di calcolo universalmente riconosciute. Sono convinto che il problema della comunicazione in materia di reati di tipo ambientale sia fondamentale; la trasmissione delle conoscenze in forma ragionata e logica di questo materiale è uno dei problemi fondamentali, nel momento in cui decidiamo di formulare un capo di imputazione e di andare al dibattimento.

Per esperienza diretta posso dire che nel momento in cui si apre un dibattimento a distanza di anni dai fatti, con gli strumenti che abbiamo sempre utilizzato, quali fotografie, planimetrie ed in genere documentazione cartacea, non sempre siamo in grado di avere la cognizione dei fatti. Per fortuna oggi abbiamo a disposizione strumenti che da questo punto di vista sono di grande aiuto (Applausi).

Marco FRITELLA, Giornalista RAI-TG1. L’ultimo intervento è quello del dottor Russo, sostituto procuratore distrettuale antimafia di Napoli.

Giovanni RUSSO, Sostituto procuratore distrettuale antimafia di Napoli. Tutti comprenderanno le difficoltà nell’intervenire dopo una mattinata così ricca di spunti, eppure questa occasione è ghiotta per sottolineare alcune particolarità ancora non sufficientemente rimarcate. Si diceva che il nostro è davvero un paese singolare, al punto che il collega Ceglie ricordava che nella realtà campana accanto ai commissariati di Polizia c’è un sistema di commissari e di subcommissari, alcuni dei quali addirittura costituiti e non insediati. La realtà campana è fatta anche di unità di crisi, alle quali guardiamo con estrema soddisfazione e con estremo favore, istituite, ad esempio, dalla prefettura di Caserta, nel cui territorio più grave è stato lo scempio di natura ambientale, grazie al controllo che la criminalità organizzata ha costantemente tenuto in questi ultimi decenni. Ebbene, i verbali delle unità di crisi, che settimanalmente si riuniscono, che tengono aggiornato il quadro della situazione delle cave e del territorio provinciale, sono, ahimé, trasmessi ad una sorta di supercommissario, il procuratore della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere e ad un altro supercommissario, il procuratore distrettuale antimafia. E’ davvero un paese singolare, il nostro, quello nel quale - mi consenta il procuratore Vigna di affiancare alla sua citazione classica quella di un acronimo più recente di matrice anglosassone - la sindrome che compete con quella della "mucca pazza" in questi giorni in Campania è la sindrome del "nimby" che sta per "not in my back yard", cioè, "non nel mio orticello", per la quale anche se siamo tutti dotati di grande cultura e sensibilità ecologica, non sognatevi di localizzare quegli impianti, anche se meno inquinanti e più sani rispetto a tante industrie, nel mio orticello.

Se questo è il quadro della società legale, che si riconosce nell’ordinamento giuridico vigente, proviamo per un attimo a tornare nell’alveo più proprio a chi svolge le indagini antimafia. Vediamo come la mafia-city, come la camorra società per azioni affrontino questo problema. Innanzitutto, va sposata una tesi fatta con acume, intelligenza e sensibilità del Presidente Scalia, così come risulta dalla sua relazione; ma prodromi di queste considerazioni si possono rilevare anche in altri scritti della Commissione che ci ospita, la dove si afferma: "Sarebbe un errore attribuire solo alle ecomafie, intese nella loro accezione di clan della criminalità organizzata, l’intera responsabilità dei fenomeni illeciti". Una eco analoga si registrava nelle riflessioni svolte dal collega Natoli.

Ebbene, nell’ambito del clan della mafia società per azioni c’è una pianificazione; attraverso indagini intercettative e l’apporto di collaboratori di giustizia, possiamo dire che esiste una sorta di stati maggiori, che si riuniscono per stabilire gli interessi strategici del clan dal punto di vista economico. Accanto a quelli che sono stati definiti dal procuratore Grasso come i reati strutturali dei clan mafiosi (le estorsioni, gli stupefacenti, le armi), abbiamo i servizi che la criminalità organizzata offre alla società. Si tratta di servizi di tipo finanziario (pensiamo all’usura, al riciclaggio), di tipo commerciale (per fare riferimento alla regione in cui opero penso alle sigarette di contrabbando, al Gpl, al gas per autotrazione, ai cartelli cementieri che rifornivano in regime di monopolio l’edilizia e penso ancora ai prodotti contraffatti, ai compact disk, a proposito dei quali a Miami c’è stato un forum internazionale nell’ambito del quale si è parlato anche della realtà napoletana con la connessione di elementi camorristici con questo tipo di contraffazione, penso ancora all’abbigliamento griffato): ma la camorra offre anche servizi industriali o paraindustriali e lo smaltimento di rifiuti si colloca proprio in questo settore (penso ai rifiuti solidi urbani ma anche ai rifiuti tossici e nocivi, speciali) ed in questo caso inevitabilmente si entra in contatto con il mondo industriale.

Fermiamoci un attimo e cogliamo uno degli spunti che è venuto dal docente di diritto penale che abbiamo ascoltato. A questo punto dobbiamo affrontare il problema del diritto minimo penale; dico subito che condivido le perplessità dell’onorevole Corleone su quella impostazione. Non si deve ridicolizzare un concetto fondante per il nostro sistema penalistico, quale quello del diritto penale minimo. E’ necessario riequilibrare, riposizionare il sistema sanzionatorio, il sistema penalistico, preso atto della modernizzazione che c’è stata nel nostro paese.

Per rimanere al tema oggetto di questa tavola rotonda, la nostra, sia pure con qualche lieve modifica, era una legislazione ambientale che sostanzialmente si occupava di una nazione prettamente agricola in cui lo sviluppo industriale non era particolarmente elevato, con conseguenze pericolose che sono sotto i nostri occhi. Pensiamo per un attimo all’argomento che in questi giorni occupa tutti i giornali, pure legatissimo a questa visione industriale di un altro settore importante della nostra vita, quello dell’industria alimentare. Ebbene, una maggiore attenzione più oculata sul sistema industriale e paraindustriale, non solo dal punto di vista del trattamento sanzionatorio o del giudice penale sul modo di intervenire sulla catena alimentare, sicuramente ci avrebbe posto al riparo da qualche problema.

In un recente incontro, tenutosi presso il consolato americano, un esperto statunitense in tema di criminalità ambientale (c’è da dire che il retroterra cultura è molto diverso dal nostro), ha risposto ad alcune domande con questa battuta significativa: "Io mi interesso di questi problemi da venti anni. Se ancora oggi me ne occupo, vuol dire che i problemi sono difficilmente risolvibili".

Perché la criminalità organizzata è così interessata a questo fenomeno? Al riguardo condivido la riflessione del dottor Natoli. La criminalità organizzata non si inserisce con violenza in questo settore; l’articolo 416-bis (la norma penale che prevede l’associazione di tipo mafioso) a differenza dell’articolo 416, mira a colpire anche i casi in cui una associazione criminale commette altri delitti e si inserisce nel tessuto produttivo, anche senza compiere delitti, ma semplicemente avvalendosi della condizione di superiorità che può vantare rispetto agli altri concorrenti o della situazione di soggezione che incute per l’intimidazione che deriva dagli altri delitti compiuti. Ebbene, l’articolo 416-bis mira a colpire la capacità che ha questo gruppo criminale di offrire all’industria, ai gruppi di potere, ai poteri forti, un reticolo ramificato, monopolista o al massimo oligopolista, in un determinata zona. Nello specifico del nostro settore, si tratta di una rete di contatti con amministratori pubblici ed imprese, di intermediari che contattano trasportatori, dispongono di centri di stoccaggio, che avviano a smaltimento. Ho segnato un grande punto interrogativo accanto all’attività di smaltimento, che spesso è solo un’attività di riversamento, perché non si smaltisce niente se non in maniera cartolare.

Il connotato saliente di questo tipo di criminalità è la sua trasnazionalità, come ricordava il procuratore Vigna, ma fermiamoci un attimo nell’ambito nazionale, con reati che attraversano l’intero territorio nazionale. Qualche mese fa in Slovacchia, nell’ambito di un rapporto di collaborazione che gli Stati Uniti hanno con alcuni paesi in via di sviluppo, abbiamo avuto modo di spiegare a cinquanta magistrati, per lo più delle procure, quali fossero i problemi che la modernizzazione del loro paese, soprattutto in riferimento alla criminalità organizzata, avrebbe potuto portare. Ebbene, accanto al loro interesse per la mia relazione, due sono stati i momenti in cui maggiore è stata la loro attenzione. Per noi è pacifico che i criminali cambino molto spesso, addirittura nel corso di una stessa conversazione telefonica, le schede per non essere intercettati. Il primo momento di grande attenzione c’è stato, allorché, estraendo dal taschino il mio telefonino cellulare, ho detto loro che ciascun apparato telefonico, indipendentemente dalla singola tessera, ha un codice la cui intercettazione consente di avere la copertura del telefono stesso. Il secondo momento di grande attenzione è stato quando ho parlato di ecomafia.

Tornando alla questione che più ci preme, cioè il fatto che i reati attraversano l’intero territorio nazionale, c’è da dire che questa circostanza comporta una oggettiva difficoltà di coordinamento, che è stata sussunta a livello di Direzione nazionale antimafia. Le singole direzioni distrettuali antimafia come possono collaborare? Il dato fondamentale è quello di far circolare le notizie e ciò può avvenire facendo funzionare le banche dati. Per strappare un altro sorriso al collega Cisterna, ricordo che il procuratore Cordova non ha smesso di indignarsi e di colpire tutte le illegalità, anche quelle che sono sotto gli occhi di tutti e nessuno e che tutti si rifiutano di colpire. Attraverso quel sistema si possono captare le notizie di reato. Noi non abbiamo registrato una mancanza di notizie di reato; da parte delle forze dell’ordine ci sono sequestri continui di camion che trasportano merce con bolle alterate, di discariche e di cave che vengono aperte abusivamente, di indagini (416-bis) su organizzazioni criminali.

Si è detto che può essere utile, come una sorta di cavallo di Troia, raggiungere e colpire l’ecomafia attraverso diversi tipi di indagini, che solo di risulta poi facciano emergere questo problema. L’esperienza dello strumento sanzionatorio e normativo per quanto riguarda l’aggressione alle indagini patrimoniali non ci lascia soddisfatti.

Pochi giorni fa abbiamo eseguito una misura importante a danno di un camorrista di rilievo, che governa un’intera zona di un quartiere di Napoli per un’attività usuraria di diversi miliardi. Ebbene, ci siamo precipitati a sequestrare i conti correnti di cui avevamo notizia e quelli di cui ci siamo accorti nell’eseguire la misura. Una volta recatici in banca, con un decreto predisposto in tutta fretta per il timore che tramite dei prestanome potesse svuotarli, abbiamo accertato che due di questi conti alcuni giorni prima erano stati chiusi perché erano state registrate operazioni sospette. Ciò significa che il sistema non va (Applausi).

Marco FRITELLA, Giornalista RAI-TG1. Do ora la parola al senatore Lubrano.

Giovanni LUBRANO di RICCO, senatore, componente della Commissione. In seno alla Commissione sul ciclo dei rifiuti abbiamo elaborato i disegni di legge, di cui oggi si è parlato e che il sottoscritto e l’onorevole Scalia hanno presentato alla Camera e al Senato. Nell’ambito dell’ultimo episodio, che risale a qualche mese fa, le due commissioni riunite hanno deciso di procedere all’audizione di alcuni magistrati. Da allora la commissione non si è più riunita e dei magistrati che avremmo dovuto ascoltare non si sa nulla. E’ evidente quindi la volontà di non portare avanti queste due proposte di legge.

Riteniamo che la mancanza della fattispecie che prevede il reato di delitto ambientale nel nostro codice penale sia la fonte principale dell’insuccesso, che si registra su questo versante. Ricordo che nel 1994 e nel 1996, io al Senato e l’onorevole Mattioli alla Camera abbiamo presentato un disegno di legge costituzionale per l’introduzione della materia ambientale nell’articolo 9 della Costituzione. Ricordo di averne parlato in una riunione di verdi a Bruxelles nell’ambito dei lavori preparatori della Carta dei diritti fondamentali e successivamente di aver partecipato alla seduta della Commissione affari costituzionali del Parlamento europeo, dove si discuteva questo importante documento. Ebbene, in quell’occasione il mio intervento fu incentrato sull’introduzione del diritto ambientale nella Carta dei diritti fondamentali ed in questo senso mi fu data assicurazione. Purtroppo, devo constatare che è stato quasi completamente ignorato il diritto ambientale nella Carta, se è vero che è stata utilizzata una dizione che secondo il mio punto di vista non dice nulla. Quindi, in materia di diritti ambientali siamo molto indietro, contrariamente a quanto previsto nella Costituzione della Finlandia, dove è inserito il diritto ambientale.

Furono i verdi al Senato gli artefici della depenalizzazione in materia ambientale, i cosiddetti reati di carattere formale; ricordo di aver sostenuto che non esistono in questa materia reati di tale natura. A questo riguardo vorrei leggervi una piccola parte del mio intervento svolto in aula: "Signor Presidente, onorevoli senatori, rispetto agli elencati limiti della delega individuati dall’articolo 76 della Costituzione (la delega viola questo articolo) è ben visibile come il disegno di legge in esame, con riferimento all’articolo 9, presenti gravi carenze. All’articolo 9, infatti, si afferma che il Governo è delegato a depenalizzare le violazioni ambientali meramente formali che non offendono l’interesse alla tutela dell’ambiente e del territorio; ma l’oggetto della tutela ambientale in questo caso non è l’ambiente o il territorio, bensì l’interesse pubblico al controllo delle attività potenzialmente dannose che si esprimono durante l’esercizio della funzione amministrativa autorizzatoria. Quindi, il fatto che si individuano come violazione delle norme sull’ambiente interessi che non sono quelli dell’ambiente, ma interessi della pubblica amministrazione a conoscere i fatti che riguardano l’ambiente: è su questo equivoco che va avanti il disegno di legge di depenalizzazione ed io mi auguro che non venga mai portato all’esame della Camera ed approvato".

Nelle relazioni svolte quest’anno dai procuratori generali è stata sottolineata la carenza di norme sanzionatorie in questa materia, l’incapacità e l’impossibilità di accertare reati con i mezzi che da tutti sono stati individuati.

E’ evidente che il Italia, così come è stato ricordato dall’oratore che mi ha preceduto, ci sono forze, forse imprenditoriali, forse mafiose, che ostacolano la individuazione di questi reati. Nel nostro paese la normativa vigente in materia di attività estrattiva risale al 1927 e fino ad oggi non siamo stati capaciti di aggiornarla, nonostante abbia presentato nel 1994 e nel 1996 un disegno di legge al riguardo. In Italia ogni regione si è dotata di una legge in materia di cave, in assenza di una legge quadro a cui le regioni avrebbero dovuto fare riferimento. La categoria dei cavatori, o chi per essa, è talmente potente che riesce ad impedire che il Parlamento approvi una legge in materia di attività estrattiva. Faccio parte da molto tempo di una commissione della Regione Campania che si occupa di cave e posso confermare che ogni regione regola questa importante materia a modo suo.

Sono convinto che ancora per molti anni il Parlamento non sarà in grado di approvare una normativa in questi due importanti settori perché è interesse della mafia e degli imprenditori ostacolare l’approvazione di queste leggi. A Napoli era localizzata la più grande discarica di rifiuti di tutta Europa alle pendici del cratere degli Astroni. Per anni ho denunciato in tutti i pubblici convegni che l’ACNA di Cengio depositava rifiuti in quel sito ed ho chiesto che si accertassero i motivi di questa attività. Ebbene, oggi in Commissione abbiamo accertato che la discarica, oggi in fase di risanamento, è piena di rifiuti tossici e nocivi, nonostante il sito sia regolarmente autorizzato e sottoposto a controlli.

Queste discariche vanno chiuse sensibilizzando le popolazioni che vedono con terrore la creazione di impianti termodistruttori ed impianti CDR. I comuni della Regione Campania traboccano di rifiuti, eppure non siamo capaci di trovare una soluzione al problema perché non c’è comune che non si opponga alla installazione di questi impianti. Dobbiamo intervenire colpendo gli strumenti che consentono all’ecomafia di realizzare enormi guadagni, che prima venivano conseguiti grazie all’abusivismo edilizio. Abbiamo avuto bisogno di una legge per abbattere il cosiddetto "mostro di Fuenti", che rappresentava la summa di tutti gli illeciti possibili ed immaginabili. Questo è il problema che dobbiamo risolvere in Italia; forse anche per la città di Agrigento ci vorrebbe una legge. Ma se questo fosse vero, ciò rappresenterebbe il fallimento di ogni nostra attività legislativa in materia ambientale.

Nella passata legislatura avevo proposto di trasferire la competenza delle esecuzione delle sentenze penali in materia urbanistica all’iniziativa del pubblico ministero, che poi l’avrebbe dovuta richiedere al Gip. L’unico reato in Italia in cui l’esecuzione penale non spetta al giudice penale è quello in materia di abusivismo edilizio. E’ un paradosso, forse voluto, forse non voluto. E’ vero che le sezioni riunite in una loro sentenza hanno affermato che in caso di prescrizione del reato o di amnistia la competenza torna all’autorità amministrativa. Anche questo è molto significativo (Applausi).

Marco FRITELLA, Giornalista RAI-TG1. Ringrazio il senatore Lubrano.

Avendo ancora alcuni minuti a disposizione, chiedo al pubblico se vuole intervenire, altrimenti darei la parola agli intervenuti per un veloce giro di repliche.

Enrico DE NICOLA, Procuratore della Repubblica di Pescara. Quella di Pescara è una sede non distrettuale, anche se la più grande d’Abruzzo e quindi una sede che dovrebbe essere tranquilla. Oggi mi trovo qui dopo aver presentato una relazione alla Commissione antimafia recatasi nella nostra regione per un esame della situazione. Ebbene, credo che vi sia il pericolo, che sottopongo all’attenzione della Commissione antimafia, che questi illeciti possano essere il veicolo per il trasferimento della criminalità organizzata mafiosa da zone occupate nel territorio a zone ancora indenni, ma nelle quali da anni c’è un’infiltrazione o un tentativo di infiltrazione.

Mi richiamo a quanto detto su questo argomento dalla relazione della Commissione antimafia, che ha colto questo aspetto del problema. Ho sentito il dovere di fare questa segnalazione perché nel momento in cui la Campania e la Puglia si trovano nella condizione di essere regioni presidiate, evidentemente c’è il rischio di una migrazione di questi fenomeni in regioni limitrofe. Vorrei ricordare che mi sono trovato nella condizione di dover procedere per associazione a delinquere semplice in relazione ai reati necessitati avendo come obiettivo i rifiuti. Fino a quando non avremo un delitto di illecito ambientale e saremo costretti ad operare sulla base delle contravvenzioni, dovremo necessariamente far ricorso ad alcuni espedienti per poter svolgere le indagini. Oggi tutti i pubblici ministeri sanno che il problema non è tanto quello del diritto penale, quanto quello di arrivare al reato con prove da portare in dibattimento, al fine di ottenere le condanne, ma anche per non perdere la nostra credibilità.

Il problema è quello della connessione con la criminalità economica e noi ci avvaliamo dei falsi in bilancio per poter compiere gli atti tipici del magistrato (non parlo delle investigazioni) in modo da portare alla luce quello che c’è da scoprire. Nel momento in cui questo strumento dovesse cadere, in tema di criminalità economica, ci troveremmo esposti anche da questo punto di vista e sarebbe ancora più difficile per noi operare, soprattutto in territori dove non si può configurare un’associazione mafiosa con tutto quello che ne consegue dal punto di vista degli strumenti processuali.

Infine, mi permetto di segnalare che a Pescara abbiamo cominciato ad avvalerci dell’articolo 2621, anche sotto il profilo dell’atto costitutivo falso perché alternativo all’ipotesi delle condizioni economiche, che in questi casi non si trovano mai in quanto siamo di fronte a società che non hanno problemi di liquidità. Naturalmente ci vuole la fraudolenza, lo scopo di commettere delitti o di occultare il mafioso, magari proveniente da altre zone, che nel nostro caso non poteva presentare il certificato antimafia per determinati appalti. A questo punto abbiamo utilizzato l’articolo 2621 per la interposizione di persone e proprio recentemente la Cassazione ha emanato due sentenze che ci hanno dato ragione. Mi permetto di segnalarlo ai colleghi perché si tratta di uno strumento che si sta rivelando molto importante. Naturalmente la sede di queste società è stata spostata da Pescara a Francavilla a Mare in provincia di Chieti! (Applausi).

Marco FRITELLA, Giornalista RAI-TG1. Chiedo se ci sono altre richieste di intervento.

Antonio MENGA, Comandante della sezione operativa centrale del nucleo operativo ecologico. Mi sento costretto ad intervenire, perché ho visto che da parte di molti magistrati c’è l’esigenza di avere a disposizione un organismo tecnico che operi in questo settore. Non siamo moltissimi a svolgere questa attività, ma il nostro è un organismo tecnico che opera da diverso tempo. Stiamo svolgendo delle indagini, per cui sicuramente potremmo essere utili nel caso in cui voleste affidarci delle attività investigative. Sottolineo inoltre che possiamo svolgere indagini a livello nazionale, nel senso che stiamo ultimando l’apertura di sezioni in tutte le regioni italiane, anche se devo dire che con la creazione al centro di una sezione analisi e di una sezione operativa sicuramente avremo una visione più generale del problema.

Danila INDIRLI, Sostituto procuratore di Ravenna. Non riprenderò le argomentazioni già trattate dai colleghi in tema di formazione e coordinamento. Nel corso di una indagine svolta in occasione di un incendio di rifiuti ho potuto constatare che un grande problema è costituito dalle società anonime con sede in San Marino e l’impossibilità quindi di capire se dietro ci sia o meno la mafia, quale imprenditoria e via di seguito. Credo che una riflessione su questo aspetto del problema andrebbe fatta.

Marco FRITELLA, Giornalista RAI-TG1. A questo punto credo si possa dare inizio ad un secondo, sia pure brevissimo, giro di interventi, limitandoci a 4-5 minuti ciascuno.

Felice CASSON, Sostituto Procuratore della Repubblica di Venezia. Avendo trattato tanti argomenti è sicuramente difficile fare una sintesi; tuttavia, riferendo alcune sensazioni emerse durante le indagini concernenti non la parte relativa all’ecomafia, ma quella di cui parlavo prima, segnalo il grandissimo problema occupazionale che viene sempre portato avanti dalle aziende a volte in maniera scorretta. In pratica, ci si fa paravento di problemi reali che esistono in tutta Italia e non solo al nord per coprire responsabilità di altro genere, utilizzando in alcune occasioni anche i sindacati, con i quali per assurdo a volte ci siamo anche scontrati nel momento in cui siamo dovuti intervenire. Faccio l’esempio di Porto Marghera, dove si trovano le industrie di cloruro di vinile e di Murano, dove le vetrerie continuano a spargere arsenico. A questo proposito vorrei ricordare che molto spesso i sindacati e le pubbliche amministrazioni si fanno scudo degli enormi problemi occupazionali e di gestione delle attività, che per altro sono reali.

Un secondo problema, che per certi versi si collega a quello che ricordava la collega di Ravenna, è quello relativo al controllo delle società, soprattutto le grandi società e le multinazionali, nei confronti delle quali è necessario individuare sistemi di intervento, di verifica e di analisi. Nel momento in cui anche grandi società italiane, ricordo l’Enichem solo per citarne una, hanno problemi a gestire determinate attività imprenditoriali ed industriali, cedono i loro settori di intervento ad imprese internazionali che offrono pochissime garanzie, non solo da un punto di vista occupazionale, ma anche di tutela dell’ambiente e dei lavoratori. Si tratta di un grande problema che si pone concretamente nella realtà quotidiana, nei confronti del quale i comuni e le regioni non hanno alcuna possibilità di intervento.

I poteri di intervento di questi gruppi aziendali sono davvero enormi ed ho potuto verificati in tutti questi anni in cui ho svolto un’attività in materia ambientale. Un esempio recentissimo, che voglio riferire perché mi ha colpito per la capacità dimostrata da queste aziende, riguarda l’ultima legge finanziaria. A Venezia si parla di enormi risarcimenti danni, nel momento in cui il tribunale arriverà a pronunciare sentenze di condanna, tali da far chiudere le imprese. Ebbene, nella legge finanziaria è stata inserita una clausola che limita il risarcimento entro certi limiti per evitare che l’impresa possa essere costretta a cessare la propria attività.

Credo che dovrebbe essere interessante per i parlamentari andare a verificare quale studio, quale avvocato, abbia suggerito questa norma. Ciò a dimostrazione del potere di intervento di fronte al quale ci troviamo, senza necessariamente dover rincorrere a chissà quali strani poteri.

Lo stesso discorso vale a livello di Comunità europea, nel cui ambito tutti ricorderanno quel famoso documento sulla mucca pazza a dimostrazione di una storia indegna, indecorosa. Da sempre, nel momento in cui la Comunità europea deve emanare regolamenti o semplici direttive, le aziende intervengono a livello di commissioni o di sottocommissioni, partendo dal nostro paese, per fare in modo che le norme non siano in contrasto con i loro interessi. Questo si è verificato concretamente in tema di cloruro di vinile monomero, allorquando la Comunità europea ha sancito ciò che Montedison aveva deciso di fare da alcuni anni. Questi tentativi di inserimento a livello delle istituzioni non sono casuali, ma strutturali, per certi versi per loro istituzionali, se è vero, come è vero che abbiamo trovato un documento del 1995 di Enichem che dà ragione e contezza di questo modo di procedere. In questo documento, inviato a tutti gli stabilimenti, si dice di prendere contatto con tutti i giornalisti, sindacati, enti territoriali, per favorire l’entrata nei consigli comunali, in Parlamento, di loro dipendenti o persone a loro vicine, al fine di indirizzare. Ciò che non è comprensibile è quello che si dice dopo, quando si danno indicazioni al fine di individuare le esigenze di ognuno e di andare incontro alle esigenze di costoro! (Applausi).

 

Donato CEGLIE, Sostituto Procuratore della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere. Volendo fare riferimento ad una vicenda investigativa che ho gestito in questi anni in provincia di Caserta, posso dire che tra le altre cose, il mio ufficio ha proceduto al sequestro non di un singolo manufatto, ma di quella che passa un po’ per una città completamente abusiva e realizzata totalmente ed illecitamente sul demanio dello Stato: il villaggio Coppola per milioni di metri quadrati. Pur nella limitatezza degli strumenti investigativi e processuali, proprio all’insegna del voler ragionare in positivo, si è notato che lavorando in sinergia le varie istituzioni sono state in grado di adempiere ai loro doveri istituzionali (anche la Commissione che ci ospita ha svolto un ruolo fondamentale) e neppure il richiamo alla possibilità di mettere in pericolo i livelli occupazionali ha potuto bloccare l’azione giudiziaria e delle istituzioni. Ci si è resi conto che l’azione contro l’ambiente ha prodotto danni enormi (sui quali mi soffermerò) e si è capito che il ripristino della legalità ambientale, ben lungi dal rappresentare un danno, rappresentava un fortissimo investimento. La tutela dell’ambiente, attraverso uno stretto rispetto normativo delle leggi vigenti e di quelle che verranno, ben lungi dal rappresentare un danno, rappresenta, come ho già detto, un sicuro investimento.

In migliaia di procedimenti, in relazione a violazioni di norme ambientali, è rarissimo che vi sia costituzione di parte civile; nel citato piccolo esempio del villaggio Coppola le varie associazioni sono quasi state tirate per i capelli (Commenti).

Senatore, collega, non ho una superfetazione fiduciaria nella legge di per sé (abbiamo leggi bellissime che potremmo conservare nella Cappella Sistina), ma se non c’è poi qualcuno che le utilizza, le leggi non servono a nulla. Ci sono i poteri sostitutivi che le associazioni ambientaliste possono esercitare in relazione a tutti i reati ambientali, in particolare a quelli edilizi, che purtroppo non vengono esercitati (Commenti).

Ho dovuto aspettare dodici anni per vedere una costituzione di parte civile, anche se la legge istitutiva del Ministero dell’ambiente consente alle associazioni ambientaliste di potersi costituire parte civile.

L’ultima riflessione, veramente drammatica, che vorrei fare è in relazione ai danni alla salute dei cittadini che deriva dalla perpetrazione di questi reati, alla salute delle persone che vivono a ridosso delle discariche lecite, figuriamoci i danni alla salute dei cittadini che vivono a ridosso delle discariche illecite. Non posso dire molto perché le indagini sono in corso, ma con senso della misura, la necessaria pacatezza e senza incorrere nel reato di procurato allarme, una seria riflessione su ciò che produce in termini di impennate di malattie gravissime alla salute delle popolazioni prima o poi dovrà essere fatta (Applausi).

Alberto CISTERNA, Sostituto procutore distrettuale antimafia di Reggio Calabria. Un elemento che sta venendo alla luce, in seguito allo svolgimento delle indagini in maniera imponente e che già avevamo sottoposto all’attenzione della Commissione nel corso di un’altra audizione, è il seguente: in seguito all’abolizione dell’albo nazionale costruttori, molte imprese agiscono soltanto sulla base di autocertificazioni delle SOA; il Ros dell’Arma dei Carabinieri sta monitorando le regioni a rischio perché ci si sta accorgendo che queste SOA in qualche misura celano la presenza di soggetti vicini alla criminalità organizzata. Dico questo perché tutto il sistema di filtri, che ricordavamo prima essere essenziale, cioè di una soglia di attenzione verso la presenza di soggetti imprenditoriali in questa materia, rappresenta un argomento che forse viene un po’ trascurato, alla luce della volontà di risanamento, senza che ci si chieda chi risana. Questo sistema rischia di diventare un doppio affare per gli stessi soggetti che prima hanno saccheggiato e poi si occupano del risanamento. Dovendomi porre, ad esempio, il problema di chi debba risanare a Reggio Calabria la contrada Irto, così chiamata dal nome di un noto mafioso di nome Irto che l’ha costruita, non posso non pensare ad un suo figlio, cognato, o cugino. Non vedo chi in quella zona andrà mai a fare un risanamento urbanistico se non le stesse imprese mafiose che lo hanno determinato, monopolizzando il mercato del cemento, delle forniture di calcestruzzo, delle forniture di mattoni o della manodopera illegalmente assunta presso questi cantieri.

Il problema è come riuscire ad avere una soglia di attenzione accettabile da parte di enti amministrativi dotati di facoltà di controllo abbastanza approfondite al fine di poter segnalare all’autorità giudiziaria, non dico il caso che desta una soglia di allarme elevata, ma quanto meno quello che merita una qualche attenzione e vigilanza.

E’ vero quello che ricordava il collega Russo: al sud sta prendendo piede l’abitudine di inviare gli atti amministrativi alla procura della repubblica. L’Asi di Gioia Tauro invia periodicamente tutte le sue delibere alla procura della repubblica, vedendo in essa una sorta di supercommissario, il che rappresenta una soluzione facile per scaricarsi le responsabilità. Accanto a questo c’è stato l’esempio positivo, che va citato, della capitaneria di porto di Gioia Tauro che, a seguito dei procedimenti penali che sono stati instaurati e che hanno portato poi alla confisca di una serie di società che operavano nel porto, nella fornitura di carburanti, al catering, allo smaltimento dei rifiuti e degli olii esausti sulle navi, periodicamente effettua un monitoraggio dei soggetti presenti nell’area portuale, individuando, secondo un proprio criterio, i casi che risultano più strani (ad esempio, ditte siciliane e del Foggiano presenti improvvisamente in porto), sulla base di alcuni rilievi desunti dalle nostre banche dati, quali i collegamenti tra alcuni soggetti delle cosche di Rosarno con il Foggiano, tra soggetti calabresi della cosca Piromalli con aree dell’agrigentino. Periodicamente si trasmettono vere e proprie relazioni creando in questo modo un’utile forma di collaborazione, che ci consente in tempo reale di sapere chi sia materialmente presente nell’area portuale, cosa stia facendo, quali autorizzazioni e licenze abbia conseguito, cosa intenda fare, di quale settore si occupi.

Ritengo si tratti di un esempio non polemico, ma di collaborazione, come quello che giustamente ricordava il collega Russo; una forma intelligente per sapere ciò che accade anche in settori delicati. Non a caso in quell’area portuale stanno sorgendo due depuratori del valore di centinaia di miliardi (un termovalorizzatore ed un depuratore), ed una serie di opere per il risanamento urbanistico della zona. E’ importante sapere che non sono le stesse imprese Piromalli, che avendo deciso nel 1970 di costruire il porto, poi nel 1990 si sono poste il problema di cosa farne. Una volta che l’opera è stata realizzata, per venti anni è rimasta inutilizzata ed oggi troviamo a gestire queste attività soggetti che purtroppo erano vicini a quegli stessi che venti anni prima avevano costruito.

Franco CORLEONE, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Ascoltando questi interventi sul paesaggio italiano mi viene da pensare che sarebbe bene che fosse presente a questa tavola rotonda il presidente della Confindustria, D’Amato, che troverebbe qualche spunto per la propria attività, piuttosto che concentrarsi sul problema della previdenza e delle pensioni in Italia. Credo che troverebbe materia per lavorare sui propri associati.

Penso di potermi limitare ad alcune brevissime osservazioni e ad un’indicazione per il futuro. Sicuramente la legge finanziaria rappresenta uno strumento non solo superato, ma che addirittura fa danni. Mi ero reso conto di un’altra perla inserita al Senato, il condono edilizio per San Patrignano, ma adesso ne abbiamo sentite altre e probabilmente ce ne sono molte. Si tratta di uno strumento che ha fatto veramente il suo tempo.

Venendo al tema che ci occupa, credo che di fronte alla illegalità di massa, esistente nel nostro paese, dobbiamo essere preoccupati dalle spinte di deregolazione che potrebbero avere l'effetto di eliminare non i lacci ed i lacciuoli, ma di dare una spinta ulteriore a questo quadro desolante. Da questo punto di vista dobbiamo lamentare la mancanza della costituzione di parte civile o delle denunce dei cittadini, anche se in alcune parti d'Italia, per eccesso opposto, vi sono comitati che frenano qualche iniziativa non così deleteria. Il quadro dell’Italia è contraddittorio.

Mi sembra comunque che il problema, che ancora ci fa vivere quella ambientale come una questione che non è vista nella drammaticità che qui è stata esposta stamattina, sia in rapporto all'informazione.

L'informazione pubblica, privata, della carta stampata, della televisione, su queste questioni è inesistente. Vi è l'informazione ambientale, quella di alcune trasmissioni specifiche, ma non, invece, un ruolo primario nelle trasmissioni fondamentali, quelle che creano l'opinione del paese. Ecco, questo mi pare l'altro punto su cui dobbiamo riflettere, altrimenti siamo confinati in una nicchia o in un recinto a fare le denunce, che poi finiscono appunto nella prescrizione e così via, pura testimonianza di profeti disarmati.

C’è invece un punto che vorrei richiamare all'attenzione, anche in relazione a quello che è stato detto sulle società, ed è che io penso che dobbiamo attrezzarci in funzione dell'allargamento della Unione europea. Credo che questo allargamento porrà ancora di più il problema della dislocazione delle società e dei fondamenti di una politica equilibrata sull'ambiente.

 

Giovanni RUSSO, Sostituto procuratore distrettuale antimafia di Napoli. Anch'io devo fare due considerazioni. Anzitutto una precisazione in riferimento all'unità di crisi della Prefettura di Caserta, che manda gli atti: in realtà, più che polemico, da parte mia voleva essere come indicativo di un concetto esasperato della ricerca della comunicazione alla procura della repubblica, come se quella fosse l'analisi di ultima istanza della correttezza del comportamento.

Vorrei riprendere il ragionamento del collega Franz sulla specializzazione nelle investigazioni. Due sono secondo me i profili: uno è quello del magistrato. Si è già detto che non è ancora così approfondito il livello di sensibilità scientifica e culturale del magistrato. Sicuramente l’approccio multidisciplinare o multidipartimentale (perché la disciplina tutto sommato è la stessa, sono gli approcci ad essere diversi) è fondamentale. Importante, per quanto attiene all’attività più strettamente giudiziaria, sono la sinergia con gli ex presidii sul territorio (io così chiamo le preture, le procure circondariali di un tempo, poi trasfuse nelle procure ordinarie) e, con particolare riferimento alle indagini antimafia, il rapporto con le procure ordinarie del distretto, che sono i veri sensori del reato ambientale quando sta per nascere e che poi lanciano il segnale alla procura antimafia.

Fondamentale poi – ed è il terzo punto – è l’apporto delle forze di polizia. Anche qui rilevo che effettivamente forse parliamo di due realtà che, come diceva il Presidente Scalia, sono ontologicamente diverse (hanno dei punti di contatto strettissimi, perché la materia è la stessa): l’inquinamento da ecomafia e la restante figura di inquinamento. Anche qui io dubito, per la esperienza dei reati e degli illeciti ambientali di criminalità organizzata, dell’efficacia della polizia municipale di Palermo piuttosto che del corpo forestale. Noi abbiamo tratto dei vantaggi enormi dalla utilizzazione della competenza del NOE. Il NOE è un comando dei Carabinieri che è specializzato in questo settore e che - attraverso i legami che ha con il ROS, il raggruppamento operativo specificamente destinato all’interno dell’Arma dei carabinieri alla lotta alla criminalità organizzata, ma anche sviluppando quelle che sono le cognizioni tecniche settoriali e affinandole nella chiave di lettura che è propria dell’indagine antimafia, quindi della collocazione del reato, del falso, del meccanismo di girobolla che serve per capire i collegamenti sottesi – ha dato dei risultati veramente positivi. Mentre colmeremo questo gap, che già siamo riusciti in larga parte a colmare, con riferimento ai reati di tipo patrimoniale (la economia criminale o la criminalità economica), dove veramente nell’ultimo decennio, grazie al Consiglio Superiore e ad una sensibilità corale, si è investito molto in formazione anche nei confronti dei magistrati; mentre – dicevo – lasceremo trascorrere qualche altro anno per colmare questo gap, anche con riferimento alla sensibilità ambientale del magistrato, la soluzione in via immediata è quella di sfruttare appieno le forze di polizia, che hanno nel loro know-how questa specificità che ci consente di combattere ad armi pari la criminalità organizzata ambientale. Grazie. (Applausi).

Massimo SCALIA, Presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta. Abbiamo concluso. Visto che siamo in pieno orario, ne approfitto per dire ancora due parole, anzitutto di ringraziamento a tutti coloro i quali hanno partecipato, a partire dal nostro moderatore, il dott. Frittella. Sono emersi alcuni spunti e riflessioni che vorrei.

Problema industriale. La Commissione vi ha sempre prestato una grandissima attenzione. Ad esso ha dedicato dei documenti ad hoc, in particolare per quello che riguarda gli ecoincentivi, che hanno trovato in questa finanziaria anche delle quantificazioni interessanti per incoraggiare le imprese, che si comportano in modo ecologicamente corretto. Siamo convinti che senza una strategia industriale per la gestione dei rifiuti, di fronte agli oltre 100 milioni di tonnellate che ogni anno si producono tra urbani e speciali, non se ne esce. Siamo però stati con il fiato sul collo sul sistema delle imprese, abbiamo prodotto un documento ad hoc sugli assetti societari, che non ha la pretesa di descrivere l’universo, ma partendo da un punto trovava delle cose singolari e metteva in risalto l’esistenza di un mercato poco trasparente e di un sistema delle imprese, che nel suo complesso non tende a fare la concorrenza, ma anzi cerca clausole di partenariato, il che certifica di un mercato asfittico e con molti problemi, oltre agli aspetti di scarsa trasparenza che interessano anche la vostra attenzione.

Esiste quindi il problema delle imprese, di questa doppia veste. Io non vorrei vedere soltanto il lato negativo, perché tutte le imprese da che mondo è mondo fanno lobbying, nel Parlamento e ovunque, però bisogna anche cercare di richiamarle ad una capacità di costruzione, di inziativa e di mercato che in Italia è ancora molto bassa e dà la misura della nostra arretratezza nel settore.

Sto anche pensando a due fatti che avete messo in evidenza, in primo luogo la specializzazione. Dottor Russo, io credo che in questo settore, come in tutti i settori ambientali, sia assolutamente necessaria. Non dico che adesso i sostituti procuratori o i procuratori debbano andare a frequentare corsi di scienze ambientali, però è necessario che le forze di polizia giudiziaria abbiano questa capacità interdisciplinare, altrimenti questi reati già sono – lo ricordava prima il dottor Cisterna – poco graditi perché non mandano sui giornali, e se per di più non vi è una grande capacità di saper leggere territorio e ambiente, non si riesce poi neanche a trovarli, per cui questo appello che molti di voi hanno fatto mi sembra quanto mai appropriato.

In secondo luogo, manca la comunicazione. Nella mia lunga vita parlamentare sono stato anche in Commissione vigilanza RAI, e ricordo che all’epoca una lunga battaglia perché ci fossero almeno nelle testate dei TG e dei giornali del servizio pubblico delle redazioni ambientali stava per sbocciare, nel senso che l’allora Direttore Generale della RAI, dottor Milano, emanò una circolare in cui raccomandava a tutte le redazioni di munirsi all’interno del servizio pubblico di questa fonte a mio modo di vedere fondamentale di informazione e comunicazione, che andasse aldilà delle peraltro belle trasmissioni, che però confinano l’ambiente in immaginette definite a priori. Peccato che quindici giorni dopo l’emanazione di questa circolare il dottor Milano abbandonò la RAI per passare a TeleMontecarlo, e da allora mi sembra che non siano stati fatti grandi passi avanti. E anche questo è uno degli aspetti che, insieme con i delitti contro l’ambiente e le altre cose che ci siamo detti questa mattina, conta in questo nostro strano Paese. Vi ringrazio.