Seconda sessione: I traffici internazionali dei rifiuti e le nuove emergenze criminali.

GIUSEPPE LUMIA, Presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta sulla mafia. La relazione introduttiva sarà svolta dal presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti, Massimo Scalia.

MASSIMO SCALIA, Presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti. Lo splendido palazzo della Regione che oggi ci ospita - e ne approfitto per ringraziare da subito i rappresentanti dell'assemblea regionale per la loro calda e fattiva collaborazione - dista pochi chilometri in linea d'aria dai Cantieri navali. Ciò vuol dire che siamo a poca distanza da uno dei luoghi-simbolo dell'azione della criminalità organizzata in questo settore, da uno dei luoghi che possiamo definire l'emblema delle ecomafie.

Non è possibile quantificare le migliaia di tonnellate di rifiuti che sono state sepolte sotto le banchine di quei cantieri, ma sappiamo con certezza che sono una porzione (purtroppo minima) della mole dei rifiuti italiani che ogni anno va ad alimentare il circuito dell'illegalità in questo ciclo economico.

Prima di addentrarmi in medias res voglio tuttavia sottolineare come questo di Palermo è il secondo appuntamento nazionale che la Commissione sul ciclo dei rifiuti ha voluto dedicare al tema delle ecomafie, dopo quello organizzato a Napoli nel febbraio del 1999. Realizzarlo insieme alla Commissione parlamentare d'inchiesta sulla mafia vuole mettere in particolare evidenza la consapevolezza che il Parlamento ha della gravità del problema, ma soprattutto - come dire? - cominciare a dare il buon esempio; anche in questo intervento insisterò sul tema della indispensabile collaborazione e sinergia tra i vari organismi dello Stato per combattere questi fenomeni criminali. Le Commissioni parlamentari d'inchiesta cominciano a fare la loro parte, cercando di coordinare le loro conoscenze e le loro azioni.

Voglio ancora ricordare che, anche se oramai siamo noti come Commissione ecomafia, il contrasto alle ecomafie è solo uno dei temi su cui ci siamo impegnati in questi anni, avendo prodotto documenti e organizzato incontri pubblici sulle questioni legate allo sviluppo di un sistema industriale nel ciclo dei rifiuti, alla gestione dei rifiuti radioattivi prodotti in Italia, all'efficacia dello strumento commissariale per le regioni in stato d'emergenza (l'ultimo proprio qui a Palermo un mese fa), alle bonifiche, e a molti altri temi ancora. Consapevoli del fatto che tutte le questioni che ho appena ricordato hanno una ricaduta più o meno rilevante sugli aspetti della legalità.

Tre settimane fa la Commissione ha approvato un documento dedicato proprio ai traffici di rifiuti e alle ecomafie; si tratta di un testo - di cui trovate una copia in cartellina - che illustra in maniera organica i principali fenomeni criminali connessi a questo ciclo economico. Il punto di partenza, da utilizzare anche in questa sede, è la stima che abbiamo fatto per comprendere le dimensioni quantitative dell'illecito. Sulla base di una serie di indicatori riteniamo che ogni anno in Italia vengano prodotto complessivamente circa 108 milioni di tonnellate di rifiuti, tra speciali e solidi urbani. Si tratta di un dato superiore di circa 20 milioni di tonnellate a quanto affermano le indagini ufficiali basate sulle certificazioni con i moduli unici di dichiarazione (meglio noto come Mud). Ciò che invece rimane fermo è il dato ufficiale relativo allo smaltimento, certificato per quasi 46 milioni di tonnellate di rifiuti speciali e per la quasi totalità dei rifiuti solidi urbani (circa 26 milioni di tonnellate). A questo punto emerge come ogni anno circa 35 milioni di tonnellate di rifiuti (soprattutto speciali) vanno ad alimentare il circuito illegale, con forme di smaltimento illecite. Traducendo in valori economici i dati che ho appena fornito, scopriamo che il mercato illegale "fattura" ogni anno oltre 15 mila miliardi, sottraendo all'erario circa 2 mila miliardi.

Siamo insomma di fronte a un fenomeno di grande rilevanza, non solo per quanto detto sin qui ma anche per le sue ricadute in termini di danno all'ambiente e alla salute dei cittadini, nonché per gli intrecci con altri tipi di traffici, argomento sul quale tornerò nel dettaglio più avanti.

Dobbiamo quindi cercare di comprendere quali siano gli sbocchi materiali di questi traffici, individuare quelle che nel titolo di questo convegno abbiamo definito "le rotte delle ecomafie" con un vocabolo che è ormai entrato anche nel dizionario della lingua italiana. Deve essere però ben chiaro che le ecomafie non sono le uniche depositarie del copyright dei traffici illeciti di rifiuti. Esistono infatti persone e aziende non riconducibili alla criminalità organizzata che però paiono basare la loro attività proprio sull'illecita gestione dei rifiuti: talvolta l'azione di questi soggetti si intreccia con quella delle ecomafie. Ho usato adesso il verbo intrecciare, giacché, a proposito di ecomafie, non si ha notizia di scontri o guerre per accaparrarsi quote di mercato (come accade invece per il traffico degli stupefacenti o per il controllo del racket). Sono invece numerosi i segnali che parlano di scambi di favore tra le diverse cordate criminali: il business è evidentemente talmente consistente da rendere preferibile il mutuo soccorso alla concorrenza spietata, approfittando magari anche della scarsa luce che i mass-media, e di conseguenza l'opinione pubblica, continuano a dedicare a questo circuito criminale.

Il primo elemento da mettere in evidenza, quindi, parlando di rotte delle ecomafie è notare come i rifiuti non viaggino più solo verso sud, cioè verso la Campania, la Calabria, la Puglia e la Sicilia. Queste regioni continuano ad essere terre particolarmente colpite dagli sversamenti illeciti, ma da diversi anni ormai il fenomeno tocca regioni di non tradizionale presenza mafiosa. E' il caso dell'Abruzzo, e dei territori confinanti con la Campania; risulta attiva anche una rotta nord-nord, ed in particolare un'inchiesta avviata dalla Procura di Torino ha consentito di individuare triangolazioni di rifiuti verso le regioni del nord-est, gestite da personaggi legati alla criminalità organizzata campana e calabrese. L'illecita gestione dei rifiuti è dunque uno degli elementi utilizzati dalla criminalità organizzata per penetrare in quelle che vengono comunemente definite "aree non tradizionali".

Se ora lo scenario si allarga al di là del territorio nazionale - come già la Commissione iniziò a fare nella precedente legislatura e come ha continuato in modo più ampio nel documento recentemente approvato - la vicenda dei traffici illeciti assume contorni per alcuni aspetti anche più inquietanti. C'è come un cancro che colpisce l'area del mercato. Alle tradizionali rotte delle merci si affiancano le rotte clandestine del narcotraffico, del contrabbando, della tratta di donne, uomini e bambini, degli organi umani addirittura. E poi delle armi e dei rifiuti pericolosi. Paesi poverissimi, paesi che risalgono faticosamente la via dello sviluppo vengono espropriati delle loro più preziose risorse, fino al loro stesso territorio, dai mercanti criminali. Nell'ombra complicità di potenti e di segmenti contigui agli apparati degli Stati.

Ogni giorno le cronache ci riferiscono di questi episodi che riguardano il nostro paese e coinvolgono l'area del Mediterraneo. Per i traffici di rifiuti pericolosi basta ricordare la vicenda delle cosiddette "navi a perdere", vale a dire il sospetto affondamento volontario di "carrette" dei mari cariche di rifiuti pericolosi e forse anche radioattivi. In questo caso siamo di fronte a ipotesi molto attendibili, suffragate anche dalle denunce dei Lloyds di Londra e da condanne per truffe ai danni delle assicurazioni, che però non sono state verificate dalle inchieste giudiziarie.

Per poter dire che le navi affondate sono in realtà discariche abusive sottomarine la verità giudiziaria ha naturalmente bisogno di trovare il relitto, e questo non è accaduto nonostante tanto impegno e accurate ricerche: forse - è un'ipotesi - le ricerche sono state condotte nei luoghi sbagliati. I magistrati e i loro consulenti tecnici potrebbero essere stati indirizzati lungo coordinate diverse da quelle effettivamente usate per l'affondamento. Sta di fatto che l'indagine rischia di finire con un'archiviazione, mentre un'attenta azione di intelligence e un elevato coordinamento tra le forze di polizia potrebbe consentire di verificare tutte le ipotesi ancora sul tappeto.

Mi sembra una scelta obbligata, perché è troppo grande il rischio che corre il Mediterraneo che - è bene sottolinearlo - ha le caratteristiche di un grosso lago, che necessita di 80 anni per giungere a un ricambio completo delle proprie acque. Come per il traffico di stupefacenti, di armi o di uomini, anche per i traffici di rifiuti che hanno il Mediterraneo come scenario servono riflettori altrettanto potenti per individuarli. Anticipando un tema sul quale tornerò, per fare ciò è necessario non solo il coordinamento di chi indaga, ma anche strumenti normativi efficaci: i sequestri di stupefacenti o di armi non avvengono certo per caso: sono il frutto di indagini che sfruttano tutti i mezzi tecnologici a disposizione. Lo stesso deve poter avvenire per i traffici di rifiuti, ma finché questi saranno puniti con una contravvenzione sarà impossibile ricorrere a intercettazioni, azioni sotto copertura e via elencando.

Da molti Paesi industrializzati, da Germania, Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti e da altre nazioni, e dalla stessa Italia, partono ogni anno milioni di tonnellate di rifiuti verso i Paesi dell'Africa e dell'Asia, ma non solo, giacché pesticidi scaduti tedeschi vennero rinvenuti in treni abbandonati nell'Albania di Henver Hoxa. Nelle nazioni industrializzate sembra perpetuarsi l'idea di vedere nei Paesi in via di sviluppo una sorte di "cortile di casa", nel quale gettare ciò che è troppo costoso o troppo complicato smaltire in casa.

Già posta in questi termini la questione presenta aspetti di grave preoccupazione, perché stiamo parlando del più che fondato sospetto di avvelenamento pressoché perpetuo di ampie zone del nostro pianeta. Le informazioni e le indagini su tali traffici mostrano inoltre segnali sempre più consistenti di uno stretto intreccio con i traffici di armi. E' un elemento che da anni aleggia sullo sfondo delle inchieste, prima, e d ora dei processi sull'uccisione in Somalia di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Ed è un'ipotesi che già sollevammo nella scorsa legislatura. Possiamo fare un altro passo in avanti, ed affermare che l'aver deciso di verificare tali traffici è stato uno dei motivi che hanno portato all'omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.

Il contesto è questo: operai di aziende italiane che in Somalia hanno realizzato strade - in particolare nel territorio del Ganon - raccontano di come sotto l'asfalto venissero gettati materiali a loro sconosciuti, e che tale operazione era realizzata da somali perché non esisteva - ovviamente - alcuna organizzazione sindacale a tutelarli e, raccontano, in caso di morte 100 dollari sarebbero bastati alle loro famiglie. Ed ancora, le voci che abbiamo raccolto in merito all'uso, da parte dei soldati italiani in Somalia, di particolari protezioni quando erano di servizio in alcune aree di quel Paese; precauzione giustificata solo dalla presenza di materiali molto tossici se non addirittura contaminati radioattivamente.

La Somalia come possibile destinazione finale di una delle rotte delle ecomafie emerge poi da diversi elementi, che ruotano intorno al porto realizzato ad El Maan da un faccendiere italiano: qui doveva giungere, nel 1997, una nave carica di merci pericolose che in realtà non ha mai raggiunto quel porto. E sempre verso El Maan si sono dirette navi partite negli ultimi anni da Livorno con carichi, ufficialmente, di "ferramenta scarsa", della cui utilità in Somalia è lecito dubitare.

Se tali sospetti siano fondati e se questo sia stato uno dei moventi che ha portato all'uccisione di Ilaria Alpi è argomento che la Commissione sta affrontando proprio in questi giorni: in queste settimane abbiamo ascoltato cittadini somali che, anche quando non confermano le informazioni in possesso della Commissione, tuttavia forniscono conferme ai sospetti di smaltimenti illeciti. In particolare sono state segnalate, oltre tutto come molto diffuse, patologie anche gravissime da connettere a forme di avvelenamento e intossicazione dei suoli e delle acque. Alcuni atteggiamenti di chiusura assunti da queste persone, in contrasto con risultanze in nostro possesso, ci hanno ingenerato poi la netta sensazione che siano stati indotti da pressioni o intimidazioni, forse anche da alcuni protagonisti italiani di queste vicende. Cercheremo di verificarlo.

Ma non è solo la Somalia ad essere uno dei porti d'approdo delle rotte delle ecomafie: esistono segnali in merito all'utilizzo in un recente passato di aree nell'ex Sahara spagnolo, nel Malawi e in Zaire. Si tratta - per alcuni versi - di una riproposizione del cosiddetto "progetto Urano" - che si proponeva lo smaltimento dei rifiuti prodotti nelle nazioni occidentali nelle aree desertiche dell'Africa. Dal porto di Amburgo sarebbero partite almeno dodici navi cariche complessivamente di 600 mila tonnellate di rifiuti dirette verso il Maghreb. Nell'attualità, le attenzioni sono indirizzate verso l'area di Moane, poco distante da Maputo, in Mozambico. Il progetto degli smaltimenti illeciti in quest'area è nato - secondo quanto appurato dalla Commissione - nell'ambito di un progetto di cooperazione tra l'Argentina e la Somalia, per la realizzazione di un termodistruttore nei pressi di Maputo: nella realtà l'area, utilizzata in passato per l'attività estrattive, doveva essere riempita di rifiuti di ogni tipo. Esiste addirittura un'autorizzazione in tal senso da parte del Ministero dell'ambiente del Mozambico, che però non tiene in alcun conto i trattati internazionali che vietano le esportazioni di questi rifiuti verso quei Paesi. Ma è da sottolineare il fatto che gli elementi in possesso della Commissione fanno emergere un traffico multinazionale di rifiuti - che giungerebbero anche da Stati Uniti, Corea e Taiwan - organizzato e gestito anche da personaggi di spicco della criminalità internazionale. Ciò fa ritenere sempre più consistente l'esistenza di quella che abbiamo definito Weapon's connection, che si sostanzia con la cessione di armi a fazioni in lotta pagate con la disponibilità di aree del territorio per lo smaltimento illecito di rifiuti.

Ma se questi sono i porti di approdo, esistono naturalmente dei punti di partenza, vale a dire i nostri porti (oltre a quelli di Germania, Francia, Gran Bretagna, e così via). In questi anni come Commissione abbiamo dedicato grande attenzione a questo aspetto, anche con indagini sul campo per avere contezza di quanti rifiuti transitino nelle nostre aree portuali. Ebbene, ufficialmente i rifiuti sembrano non esistere: né le capitanerie di porto né le strutture doganali hanno infatti informazioni in merito a spedizioni di rifiuti, se non in quote marginali. Ciò che più preoccupa è il sistema di controllo introdotto con l'adesione al trattato di Schengen, basato sul cosiddetto "canale verde", concesso o meno da un elaboratore centrale che decide sfogliando il catalogo dei rischi. Detto che tra i rischi non ci sono i rifiuti, va aggiunto che il sistema è tarato per concedere il canale verde nel 95 per cento dei casi; esiste poi un ridotto numero di richieste di controllo dei documenti di trasporto ed un ancor più ridotto numero di controlli visuali. Insomma, il rischio nell'organizzare un traffico illecito di qualsiasi tipo di materiale è davvero molto basso, anche perché allo stato attuale i codici usati dalle dogane non corrispondono con quelli indicativi dei rifiuti, né esiste alcuna transcodifica. Non si può certo pretendere che le dogane adottino le migliaia di numeri del catalogo internazionale dei rifiuti, ma che almeno si trovi il sistema perché i due cataloghi riescano a "parlarsi" mi sembra un obiettivo ragionevole.

E le nostre difese sono assai ridotte anche per i rifiuti in entrata, specie quando non è il nostro Paese a sdoganare per l'area Schengen. Ad esempio, quale spiegazione dare al fatto che i rottami metallici provenienti dall'Europa orientale non transitano più per la frontiera italo-slovena, ma entrino nell'area Schengen dalla Grecia? Sulla base delle informazioni assunte il motivo è semplice e preoccupante al tempo stesso: alla frontiera italo-slovena si effettuano controlli sulla radioattività, alle frontiere greche i controlli sono praticamente assenti.

Tante sono le rotte delle ecomafie, ma - per quanto riguarda l'Italia - non abbiamo strumenti di contrasto e di informazione sufficienti. A questo proposito la Commissione ha sempre insistito sui temi del coordinamento tra le forze di contrasto e della necessità di sviluppare le azioni di intelligence: come abbiamo detto, il Mediterraneo è un mare dove si svolgono numerosi traffici illeciti, non solo rifiuti ma anche stupefacenti, armi, persone. Credo sia quindi opportuno proporre l'istituzione di una struttura info-operativa, un centro di coordinamento basato su una rete di osservazione in grado di monitorare in tempo reale quanto avviene nel Mediterraneo, da realizzarsi ritengo presso il Ministero dell'interno al quale partecipino le forze dell'ordine, le autorità portuali e l'ufficio delle dogane, e che sia in diretto contatto con l'Europol. Sarebbe un momento di sintesi delle informazioni e delle azioni, garantendo da un lato una maggiore sinergia tra chi è delegato ad operare e dall'altro evitando sovrapposizioni e duplicati negli interventi.

Per quanto riguarda poi in particolare il traffico illecito di rifiuti, questo - come detto - non è un reato da codice penale, non è un delitto, benché determini conseguenze assai gravi sulla salute dell'ambiente e delle persone. Com'è pensabile contrastare traffici organizzati da personaggi di spicco della criminalità internazionale, elementi che sono noti con una dozzina di nomi diversi, accusati di aver organizzato il sequestro dell'Achille Lauro e magari collocati dalle indagini nell’ambito dell'attentato di Lockerbie, quando non si può mettere in piedi neppure una intercettazione telefonica? Si deve indagare su reati collaterali, con il risultato che non si cercano le fonti di prove dirette e dunque l'indagine perde progressivamente spessore e finisce spesso e volentieri con l'archiviazione.

Sono molti i Paesi, dalla Germania alla Spagna, che hanno inserito nel loro codice penale le varie fattispecie dei delitti contro l’ambiente: la Commissione sul ciclo dei rifiuti ha proposto tale modifica nel marzo 1998; un anno dopo è intervenuto il disegno di legge del Governo. Sono quindi diciotto mesi che tale proposta giace in attesa dell'esame congiunto presso le Commissioni ambiente e giustizia del Senato. A luglio l'aula del Senato, nell'ambito di un più esteso provvedimento ora al vaglio della Camera, ha introdotto il delitto di traffico illecito di rifiuti. Un dato positivo, ma anche un intervento-spot che non ha quel carattere organico di riforma richiesto anche da organismi sovranazionali, come l'ONU e il Consiglio d'Europa.

Per evidenziare la grave anomalia della situazione - traffici illeciti per migliaia di miliardi puniti con semplici contravvenzioni - e per superare l'attuale fase di stallo domani mattina ci recheremo dal Capo dello Stato. Anche a lui ripeteremo un concetto che la nostra Commissione ha sempre sostenuto, e cioè che non è affidandosi unicamente al codice penale che sarà possibile sconfiggere le ecomafie; sono necessari più controlli amministrativi - connotati da maggiore efficienza - nonché lo sviluppo di una gestione industriale e tecnologicamente avanzata del ciclo dei rifiuti. Ma ci è altrettanto chiaro il valore di deterrenza della sanzione penale, attualmente inesistente: sono tre obiettivi distinti, tutti di grande rilevanza e alla nostra portata. Operando, ciascuno per la propria parte, nella direzione che ho adesso richiamato l'emarginazione delle ecomafie potrà essere un risultato possibile.

PIETRO GRASSO, Procuratore della Repubblica di Palermo. Desidero innanzitutto congratularmi con questa iniziativa che ancora una volta contribuisce a sensibilizzare gli addetti ai lavori ma anche l'opinione pubblica rispetto ad un problema davvero importante.

Acquisire oggi un terreno esteso al centro della Sicilia, ma di poco valore, "suggerire" ad alcune amministrazioni locali di individuarlo come discarica, sottoscrivere poi delle convenzioni con gli enti locali del comprensorio per il trasporto e lo smaltimento dei rifiuti costituisce per una organizzazione mafiosa che controlla il territorio uno scherzo, un affare lucroso, senza alcun rischio, neanche penale; è qualcosa facile da realizzare che produce molto più di un traffico di droghe.

"'Ntrasi munnizza, nesci oru", cioè entrano rifiuti ed esce oro, questa è la frase riferita come pronunciata da un boss mafioso per indicare appunto l'attenzione della criminalità organizzata al settore dei rifiuti. Le indagini sulla criminalità che si occupa di rifiuti - e questo deve far riflettere - non nascono dal controllo dell'ambiente, ma almeno finora, per quanto riguarda quelle della procura di Palermo o meglio della direzione distrettuale antimafia di Palermo, dalle indagini sulla criminalità, indagini su una famiglia o su un territorio nelle quali si scopre che si occupano anche di queste attività. La gestione di una discarica in un comune dell'agrigentino, possiamo anche dirne il nome, Palma di Montechiaro, seguiva le vicende, le lotte, i contrasti tra le famiglie mafiose nel controllo del territorio, cioè di volta in volta si avvicendavano nel controllo e nella gestione della discarica; questa è la situazione siciliana, ma credo anche e soprattutto del sud; del resto tutti i settori economici, compresa la difesa dell'ambiente, sono a rischio di infiltrazione e quindi reale e concreto è il rischio di inquinamento criminale dell'ambiente e della relativa economia ad esso collegata.

Bisogna quindi innanzitutto colmare - è ora di passare all'azione, non più agli studi - alcune lacune del nostro sistema penale. Bisogna fornire alla polizia giudiziaria nuovi e più penetranti strumenti investigativi perché è impossibile fare un'indagine in un ambiente così difficile senza collaboratori di giustizia, senza strumenti investigativi; senza qualcuno che collabora o segnala diventa problematico anche reprimere o anche sapere ciò che esiste in un territorio. Occorrono dunque strumenti e per quanto riguarda la magistratura occorrono nuove figure di reato, nuove sanzioni, anche patrimoniali, proporzionate alla gravità dei fatti posti in essere. Per esempio, per ora nel caso di patteggiamento si ottiene una pena concordata, ma non si può assolutamente ridurre in pristino il territorio, non si può eliminare il danno ambientale; sarebbe invece auspicabile - così come previsto nelle proposte formulate dalla Commissione d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti - è necessario, anche in caso di patteggiamento della pena, poter agire contro chi ha provocato il danno o disporre la confisca mettendo a carico dello Stato, dell'azione del Pubblico ministero, il ripristino dell'ambiente; è assolutamente indispensabile.

Altrettanto importante deve essere l'attività di prevenzione e controllo da parte di nuclei specializzati di vigilanza in grado di seguire costantemente le varie modificazioni che interessano il territorio. Non si può neanche trascurare la necessità di informare i cittadini e soprattutto i giovani per ottenerne la cooperazione, nella consapevolezza che l'ambiente in una terra come la Sicilia e come tutto il sud è risorsa reale, fattore di sviluppo turistico ed agricolo; in una terra come la Sicilia l'ambiente è un bene primario per la collettività nazionale ed internazionale che bisogna conservare per non compromettere le stesse possibilità di sopravvivenza delle future generazioni. Allora la polizia giudiziaria e la magistratura sono al loro posto, pronte ad intervenire e reprimere; le Commissioni parlamentari hanno fatto un pregevolissimo lavoro anche sotto il profilo della sensibilizzazione della pubblica opinione ed hanno da tempo presentato, addirittura dal 26 marzo 1998, uno schema di intervento legislativo; l'azione ora a chi spetta? Per quanto riguarda la regione siciliana, nella quale è stata dichiarata l'emergenza per i rifiuti e nel quale è stato nominato commissario il presidente della regione proprio al fine di superare in breve tempo l'emergenza stessa, vedremo come, spetta all'esecutivo; per quanto riguarda la sede nazionale ormai la parola (ma più che la parola aspetteremmo l'azione) spetta alla politica che dovrebbe adottare e dare tutti gli strumenti per poter effettivamente intervenire su questo terreno.

LUCIO DI PIETRO, Procuratore nazionale antimafia aggiunto. Innanzitutto vi ringrazio per avere invitato la Direzione nazionale antimafia a prendere parte ad un forum di così grande attualità.

Vorrei dapprima soffermarmi sul traffico illegale dei rifiuti, sia nazionale che internazionale, e sull’azione della criminalità organizzata.

È ormai dato acquisito che le organizzazioni criminali di tipo mafioso, a partire dagli anni settanta, hanno iniziato a comportarsi, in misura sempre maggiore, come vere e proprie imprese, valutando, con abilità, in quali settori economici inserirsi, di volta in volta, al fine di ricavare consistenti profitti. Esse, infatti, sono state presenti nei mercati dell’edilizia, nella ricostruzione post-terremoto del 1980 e nei lavori conseguenti alle numerose calamità naturali verificatesi successivamente, con propri consorzi e proprie imprese.

Hanno tratto, inoltre, notevoli vantaggi economici anche dalla "caduta dei muri", acquistando armamenti dai Paesi dell’est (ovvero facendosi intermediari di tali acquisti) che hanno rivenduto a Paesi dell’Asia e dell’Africa impegnati in conflitti civili, interetnici o religiosi.

Hanno, ancora, ricavato ingenti profitti, anche attraverso truffe comunitarie, appropriandosi fraudolentemente di cospicui finanziamenti dell’Unione Europea.

Ed è anche dato acquisito che le organizzazioni criminali tradizionali (cosa nostra, camorra ecc..) hanno sempre reinvestito in attività imprenditoriali differenziate, solo formalmente lecite, alterando le regole della concorrenza ed inquinando le regole di mercato.

Al pari di qualsivoglia attento imprenditore, quindi, le suindicate organizzazioni hanno seguito la principale regola economica del dover sapere "scontare il futuro", cioè saper prevedere il loro inserimento nei mercati legali, che si presentano di volta in volta più remunerativi.

Non poteva pertanto sfuggire alle organizzazioni criminali l’enorme opportunità che offre la gestione dello smaltimento dei rifiuti.

Le organizzazioni di tipo mafioso (soprattutto la camorra), infatti, sostituendosi in larga misura al mercato legale, a partire dai primi anni novanta, con una straordinaria duttilità operativa e con una collaudata capacità di interagire con il mondo imprenditoriale ed istituzionale, hanno assunto un ruolo trainante, sia pure illegale, nella gestione di tale settore economico, intuendone l’alta remunerabilità ed il bassissimo livello di rischio.

Lo smaltimento dei rifiuti, per sua stessa natura, prevede una serie di fasi – raccolta, trasporto, selezione, trattamento in discarica o incenerimento – che fanno si che esso avvenga a notevole distanza dal luogo di raccolta e di produzione. Proprio tale trasporto a distanza costituisce il contesto ideale per consentire all’imprenditoria criminale di dilatare la propria area di intervento dalla sfera locale a quella sovraregionale, nazionale ed internazionale.

Anche i centri di stoccaggio dei rifiuti costituiscono favorevoli punti di intervento delle organizzazioni criminali, poiché è in essi che i rifiuti pericolosi e nocivi, attraverso una manipolazione, per così dire miracolosa (sistema del c.d. giro-bolla), vengono trasformati cartolarmente in rifiuti normali soggetti, perciò stesso, a trattamenti di routine.

Nel tempo, le organizzazioni criminali hanno affinato, in misura sempre maggiore, la loro capacità nella gestione del traffico illegale, nazionale ed internazionale di rifiuti, rendendo sempre più difficoltosa l’azione di contrasto da parte degli apparati investigativi. Infatti, esse sono state in grado (e sono) di schermare, non di rado le proprie attività illecite avvalendosi di attività soltanto apparentemente legali, attraverso l’opera di società finanziarie e fiduciarie, operanti in parti diverse del mondo, che a loro volta, costituiscono una rete di società off-shore nei cosiddetti paradisi fiscali.

Ormai, rifiuti di ogni tipo, molti di natura altamente tossica ed anche radioattivi, circolano e sono smaltiti in maniera illegale sul territorio nazionale ed in Paesi stranieri, soprattutto nei Paesi nel terzo mondo i quali, per lo stato di povertà in cui versano ovvero a causa delle guerre in atto, addirittura favoriscono gli illeciti traffici, rispettivamente per soddisfare primarie esigenze di sopravvivenza o per ricevere in cambio i necessari armamenti.

Centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti di ogni genere sono smaltite in discariche non autorizzate costituite da cave, da specchi d’acqua, da enormi buche ricavate in fondi anche agricoli, sulle quali, una volta ricoperte vengono praticate colture.

Ciò causa inestimabili ed a volte irreparabili danni alla salute pubblica e all’ambiente e produce notevolissimi profitti (le ultime stime parlano di profitti pari a seimila miliardi l’anno, soltanto in Italia) per la criminalità organizzata.

La procura nazionale antimafia intuì la gravità del fenomeno traffico illegale di rifiuti e, fin dal 1994, nell’esercizio delle funzioni di coordinamento propulsivo che le sono affidate dalla legge (art. 371 cpp), costituì al suo interno un apposito gruppo di lavoro che effettuò un sistematico monitoraggio sull’intero territorio nazionale delle indagini relative al traffico illecito di rifiuti pendenti non solo presso le direzioni distrettuali ma anche di quelle, numerosissime, svolte dalle procure ordinarie e dalle procure circondariali. Acquisì, in tal modo, una completa conoscenza sullo specifico tema.

Dall’analisi e dall’incrocio dei dati, servendosi anche della propria banca dati, fu possibile riscontrare che molti degli inquisiti dalle procure circondariali e dalle procure ordinarie soprattutto del centro Italia erano persone inserite nel circuito della criminalità organizzata o ad essa contigue.

Furono, perciò, indette dal procuratore nazionale antimafia riunioni specifiche con i procuratori ordinari e circondariali impegnati in indagini aventi ad oggetto i c.d. reati ambientali, indagini nelle quali il suindicato gruppo di lavoro della DNA aveva intravisto il coinvolgimento più o meno diretto delle organizzazioni di tipo mafioso.

Nelle indicate riunioni, emergeva il ruolo preminente della camorra nella gestione dell’illecito traffico di rifiuti su tutto il territorio nazionale ed anche il collegamento tra esponenti della n’drangheta calabrese e lo smaltimento abusivo di rifiuti in Liguria e il collegamento tra persone contigue alla mafia inquisite in Piemonte e soggetti dediti a traffici illeciti di rifiuti nella regione Puglia.

Si realizzava, attraverso le dette riunioni, un coordinamento nazionale che produceva notevoli risultati: in particolare si dava la consapevolezza alle procure circondariali e ordinarie che le loro indagini ruotavano, comunque, intorno a fatti di criminalità organizzata.

Si è reso così possibile che procure distrettuali diverse, contestino, con riferimento ai traffici illeciti, il delitto di associazione a delinquere di tipo mafioso, con ciò superando le difficoltà derivanti dalla natura contravvenzionale dei reati ambientali che sono, secondo l’attuale legislazione, facilmente prescrivibili ed addirittura estinguibili con una oblazione.

Di fronte ad un quadro così allarmante, non è ragionevole pensare di sconfiggere o quanto meno arginare l’illegale fenomeno con la sola repressione penale.

Occorrono severi e continui controlli amministrativi preventivi soprattutto in tema di autorizzazioni alle società di trasporto e di stoccaggio di rifiuti: queste ultime, infatti, col cosiddetto giro di bolla declassificano, come già si è accennato, fraudolentemente il rifiuti a loro affidato dalle società produttrici a materiale di scarto riutilizzabile, tramite la documentazione di accompagnamento delle merci, lungo il tragitto verso i luoghi di smaltimento.

Occorre, altresì, una costante vigilanza sulle procedure di appalti per la raccolta dei rifiuti che, molto spesso, finiscono nelle mani della criminalità organizzata attraverso società "prestanome".

In tema di repressione penale occorre, poi, che il Parlamento dia corpo al più presto al disegno di legge governativo del 14 aprile 1999, adottato per uniformarsi alla Convenzione di Strasburgo del Consiglio d’Europa del dicembre 1998, volto ad inserire nel codice penale il titolo dei delitti contro l’ambiente. Tale disegno, sull’esempio delle più importanti codificazioni europee, introduce i delitti di inquinamento ambientale, di alterazione del patrimonio culturale, di traffico illecito di rifiuti, di frode in materia ambientale e di associazione per delinquere in materia ambientale. Il disegno di legge in questione non ha invece accolto l’invito, fatto dalla Convenzione, a sanzionare la responsabilità penale delle persone giuridiche colpevoli dei delitti ambientali. Ciò perché, la nostra tradizione giuridica non ha finora consentito di elaborare una riforma organica del codice penale anche nel settore della penale responsabilità degli enti morali. È tempo, comunque, che si ponga mano anche a tale riforma posto che l’esperienza giuridica, dalla quale il diritto penale trae continuo alimento, ha ormai dimostrato che alcune forme di attentato all’ambiente, come pure alcune strategie di corruzione nei confronti di pubblici funzionari sono il frutto di vere e proprie "politiche aziendali" e non il risultato dell’iniziativa individuale degli organi di società e di imprese che operano in settori ad alto rischio ambientale.

Essenziali per il contrasto all’illecito traffico di rifiuti appaiono alcune specifiche sanzioni a carico delle persone giuridiche i cui amministratori hanno commesso delitti contro l’ambiente: l’esclusione dai pubblici appalti, il divieto di contrattare con le imprese estere ed il commissariamento giudiziale e, nei casi più gravi, la sospensione temporanea dell’attività ovvero la chiusura dell’impresa, facendo, però, salvi i diritti dei lavoratori.

Occorre, infine, che l’intera comunità internazionale volga il suo interesse alla salvaguardia dell’ambiente in generale e adotti azioni e regole comuni efficaci e dissuasive che mirino anche ad una più incisiva ed intensa cooperazione giudiziaria e delle forze di polizia dei diversi Stati.

Percorrendo, contemporaneamente, i suindicati percorsi sarà possibile arginare lo scempio provocato all’ambiente dal traffico illegale di rifiuti, definito, con immagine plastica, "furto di futuro" cioè furto in danno delle future generazioni.

Chiedo ora di parlare di un altro traffico, quello di esseri umani, che potrebbe anch’esso essere considerato come un vero e proprio traffico di "rifitui".

Voi tutti sapete che nell’ultimo decennio vi è stato un notevole afflusso di immigrati, originato sia dalla caduta dei muri dell’est, sia da conflitti civili ed interetnici (penso ai Paesi balcanici), sia da legislazioni demografiche (penso alla Cina), sia dallo stato di povertà in cui versano numerose popolazioni, soprattutto dell’Africa. Tali flussi hanno prevalentemente riguardato clandestini in cerca di un’opportunità di vita migliore, i quali, con la falsa promessa di un lavoro o di un matrimonio, hanno raggiunto i Paesi dell’occidente, dove invece di trovare le opportunità di cui ho detto sono stati costretti a prostituirsi e a svolgere lavori in nero, in condizioni molto spesso disumane.

Il fatturato annuo di questo tipo di traffico si aggira addirittura sui sette miliardi di dollari, qualcosa in più del traffico di rifiuti. Detto traffico è gestito da organizzazioni criminali che usano le rotte delle immigrazioni anche per i traffici di stupefacenti e di armi. Gli ingentissimi profitti, come spesso accade, vengono reinvestiti, in parti diverse del mondo, in attività imprenditoriali soltanto apparentemente lecite, che inquinano il circuito economico legale mondiale.

Ormai quasi quotidianamente – ne danno notizia giornali e telegiornali – masse di disperati vengono sbarcate sulle nostre coste, in particolare su quelle pugliesi e calabresi (ma nuove rotte ci indicano anche l’alto Adriatico) e nel contempo numerose altre persone raggiungono l’Italia con mezzi aerei (nigeriani e cinesi), o attraverso impervi passaggi del confine italo-sloveno, ovvero nascosti in containers, ovvero per mezzo di defatiganti viaggi in pullman (penso alle russe, alle moldave). Ciò avviene non solo per l’Italia, ma per i paesi europei e più in generale per quelli dell’intero occidente. Il prezzo del viaggio viene di norma anticipato dagli organizzatori del traffico e varia dai 2 ai 30 milioni di lire per clandestino, fino a 70 milioni per un clandestino di origine nigeriana. L’anticipazione del prezzo rende naturalmente già schiavo l’immigrato, il quale, raggiunto il luogo di destinazione, privo di qualsivoglia mezzo di sostentamento e gravato anche dal debito contratto, rimane totalmente assoggettato ai trafficanti. Qualsiasi tentativo di ribellione è soffocato con la violenza sulle vittime e con pesanti minacce nei confronti dei familiari rimasti nei paesi di origine.

Qual è il quadro in Italia in questo momento? La prostituzione viene gestita in maniera quasi monopolistica da criminali soprattutto di etnia albanese. La criminalità (dirò poi perché organizzata) albanese, attraverso una inusitata violenza, riduce giovani donne, anche di età minore e non di rado rapite nei paesi di origine, in condizioni di vera e propria schiavitù, costringendole ad una estenuante vendita del loro corpo, pretendendo da ciascuna di esse una cifra che non può essere inferiore al milione di lire al giorno. Tali criminali sono costituiti in gruppi organizzati che, al pari delle nostre mafie tradizionali (intendo Cosa nostra, camorra, ‘ndrangheta), hanno ferree regole di comportamento che, se violate, possono essere sanzionate con la morte; sono ordinati gerarchicamente ed hanno posto in essere un vero e proprio meccanismo industriale, perché la merce è inesauribile e va continuamente a sostituire quella ormai ritenuta inservibile.

Mi sia consentito citare l’esempio di una recente indagine giudiziaria che ha accertato che appartenenti ad una organizzazione criminale albanese, dopo aver incessantemente e violentemente sfruttato la prostituzione di alcune donne connazionali, hanno anche, con stupri di gruppo, posto le stesse in gravidanza e, condottele forzosamente all’estero, le hanno fatte partorire vendendone i figli, con simulate pratiche di adozione, a coppie straniere che ne erano prive.

Anche sodalizi criminali africani sono attivi in Italia nel traffico internazionale di essere umani ed in particolare nello sfruttamento della prostituzione. Questi gruppi criminali africani sono per certi versi ancora più pericolosi, perché sono caratterizzati da frammentazioni etnico-tribali, filiazioni di una vasta struttura criminale costituita da poche famiglie nei paesi di origine (cito ad esempio la Nigeria).

Io sono di origini campane, sono napoletano, e posso affermare senza ombra di dubbio che interi paesi ed arterie provinciali (almeno in Campania, ma il fenomeno è su tutta la penisola italiana) registrano massicce presenze di donne di colore le quali, anch’esse giunte in Italia con una promessa di lavoro, non potendo rimborsare il prezzo del loro viaggio ai trafficanti, sono costrette, con violenze e con minacce, a prostituirsi. Il territorio campano, in particolare il casertano (vedo qui il prefetto Sottile e il generale Alfieri, che di quelle realtà conoscono tutto) è ormai caratterizzato con sempre maggiore frequenza da scontri tra uomini delle mafie albanesi e nigeriane.

Il fenomeno di questa moderna forma di schiavitù purtroppo non riguarda soltanto le donne, ma anche persone di età minore, molto spesso bambini rapiti ai loro affetti, ovvero venduti da genitori senza scrupoli, e fatti oggetto di abusi sessuali ed anche di documentazione pornografica. E’ tuttora in corso un’indagine su un traffico di raccapriccianti immagini di pedofilia, diffuso in tutto il mondo via Internet e gestito da criminali di origine russa. Altra indagine ha riguardato bambini venduti o non registrati alla nascita, ovvero rapiti, misteriosamente scomparsi, sospettati di essere stati fatti oggetto di un traffico di organi.

La legislazione italiana ha cercato, tra il 1996 e il 1998, di porre un certo argine a tale turpe fenomeno, varando nuove leggi in materia di abusi sessuali, turismo sessuale, pornografia infantile. Ma ciò non basta, perché ci troviamo di fronte ad un fenomeno che ha connotati e caratteristiche transnazionali. Forse la migliore norma che è stata varata in questi ultimi anni è l’articolo 18 del decreto legge n. 286 sulla concessione del permesso di soggiorno sociale agli immigrati clandestini i quali, intendendo sottrarsi alle organizzazioni criminali, si rendano disponibili alla "collaborazione" con le autorità di polizia italiane.

Questa mattina un po’ tutti gli intervenuti hanno osservato che le organizzazioni criminali hanno ormai superato gli ambiti locali, nazionali e si sono proiettate sul piano internazionale. Così è avvenuto per le organizzazioni criminali straniere; analogamente per quelle che si interessano del traffico di essere umani. Dico questo perché intendo porre in evidenza che oggi il problema è di verificare (ed è già stato verificato – lo dico con un pizzico di vanità – dalla procura nazionale antimafia) se esista un’interazione tra le organizzazioni criminali che si interessano del traffico di essere umani e le nostre organizzazioni tradizionali. Voi tutti sapete che storicamente mafia e camorra non si sono mai interessate di gestire direttamente la prostituzione, anzi molto spesso hanno espulso dai loro ranghi coloro i quali si macchiavano di tale "delitto". Tuttavia abbiamo verificato che, sia pure in maniera non stabile, esistono ormai frequenti rapporti di collaborazione tra le mafie straniere e le organizzazioni tradizionali nostrane; ciò avviene quando le nostre organizzazioni criminali ritengono di poter ricavare profitti anche dal turpe mercato della prostituzione.

Cito un altro esempio per far comprendere il concetto che ho testé esposto. E’ il caso di un’organizzazione camorristica casertana, il cosiddetto clan dei Casalesi, che tollera il fenomeno della prostituzione sul territorio sul quale agisce per un duplice ordine di motivi: perché le prostitute costituiscono delle vere e proprie vedette per la camorra, disseminate lungo le arterie provinciali, e perché i lenoni pagano una sorta di canone di fitto del territorio; il fazzoletto di terra sul quale insiste una prostituta è produzione di denaro per questa organizzazione. Peraltro la tolleranza di queste organizzazioni da parte delle mafie tradizionali è dovuta anche al fatto che le organizzazioni criminali straniere sono fornitrici di armi e di droga a buon mercato.

Concludo osservando soltanto che non è possibile tollerare che un essere umano venga trattato alla stregua e al pari di ogni cosa mobile e venga smerciato come cosa mobile, da un Paese produttore ad un Paese consumatore.

ROLANDO MOSCA MOSCHINI, Comandante generale della Guardia di finanza. La ringrazio, presidente, per questo invito a trattare un argomento di così grande attualità anche per la Guardia di finanza. Rivolgo un caloroso saluto a tutti, anche a nome del corpo, e ringrazio tutti i presenti per l’attenzione che mi usano nell’attendere questo mio intervento dopo una mattinata molto interessante ma anche molto impegnativa.

Cercherò di essere breve, ma inevitabilmente ripeterò qualche concetto già espresso. Credo, però, che questo sia un fatto positivo, perché dagli interventi di questa mattina abbiamo rilevato una grande unità di visione e di valutazione del fenomeno di cui ci occupiamo, una grande unità di intenti che non può che far piacere a tutti noi.

Si è trattato ampiamente dei sodalizi criminali, di come facilmente utilizzino questa attività illecita, del riciclaggio che ne deriva e delle sue conseguenze. Vorrei mettere in risalto che le tappe intermedie di questa attività illecita evidenziano anche la presenza di una massiccia evasione fiscale, il più delle volte realizzata attraverso la fatturazione di operazioni inesistenti. Per le imprese, infatti, lo smaltimento di rifiuti da un punto di vista economico-aziendale è un costo, la cui entità è significativamente lievitata negli ultimi anni per effetto della maggiore attenzione posta a questo fenomeno da parte delle istituzioni e del legislatore. Quindi abbiamo assistito ad una accresciuta propensione all’utilizzo di strutture illegali che, da un lato, ha provocato turbative del mercato per l’alterazione delle regole della concorrenza, dall’altro, ha sempre più indotto alla falsa attestazione, in contabilità di costi, per operazioni di smaltimento mai eseguite oppure non eseguite mediante i canali regolari.

Questa situazione, che evidenzia anche una paradossale e pericolosa confluenza di interessi tra una certa parte dell’imprenditoria e la criminalità organizzata, come ha detto anche stamattina il presidente Lumia, è stata ed è tuttora favorita da una serie di circostanze, tra le quali segnalo la carenza del nostro attuale sistema sanzionatorio e, sul versante internazionale, la scarsa collaborazione, soprattutto da parte di alcuni paesi dislocati in un’area di maggiore arretratezza economica.

Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, è ben noto a tutti che la disgregazione politica e la crisi economica che hanno investito i paesi dell’est europeo hanno impedito loro di approntare all’interno un sistema di controllo che, ovviamente, ha ripercussioni negative su tutti noi e che non interessa soltanto il fenomeno di cui parliamo oggi ma tante altre fenomenologie illecite (e la Guardia di finanza, come ben sapete, ne sa qualcosa).

Vi sono poi alcuni paesi – ma anche questo è stato detto – che, proprio in relazione alla loro debolezza interna strutturale, sono diventati vere e proprie discariche di rifiuti. Ma l’aspetto grave sta nel fatto che molti di questi paesi continuano a mostrare una scarsa volontà di collaborare anche sul piano dell’Intelligence, oltre che su quello operativo, con il resto della comunità internazionale.

Non mi soffermo sugli aspetti perfettibili del nostro sistema sanzionatorio, perché già abbondantemente trattati. Vorrei invece attirare la vostra attenzione sul ruolo svolto dalla Guardia di finanza. Il Corpo, quale organo di polizia deputato alla tutela degli interessi economico-finanziari di questo paese e dell’Unione europea, è chiamato a svolgere un ruolo importante, come è ben noto, nel contrasto ai traffici illeciti, anche di rifiuti, perché tale traffico, come ho già accennato prima, comporta pesanti e significati risvolti sul piano finanziario e su quello fiscale.

Abbiamo individuato nelle sezioni aeree, nelle stazioni navali e anche nei comandi di compagnia i reparti più deputati ad operare in questo particolare segmento operativo, perché queste sono le articolazioni che, per le loro caratteristiche di mobilità e di più stretto contatto con il territorio, meglio rispondono alla natura degli interventi che sono necessari. Vorrei ricordare la significativa consistenza della nostra componente aeronavale. La Guardia di finanza dispone di circa 7 mila uomini specializzati in questo settore, di più di 500 natanti, di più di 100 velivoli, mezzi che dispongono di avanzate tecnologie, tra le quali cito i sistemi Daedalus e Lidar, sistemi imbarcati sui nostri velivoli ad ala fissa, che consentono il rilevamento in quota di sostanze inquinanti anche se interrate. E il settore del telerilevamento è quello sul quale occorre gravitare intensamente per poter svolgere un’azione incisiva di contrasto.

L’attività di tutela dell’ambiente viene comunque svolta da tutti i reparti nel corso dell’esecuzione dei nostri prioritari compiti di istituto. Durante le verifiche fiscali, anche nei confronti delle aziende che non rilevano sotto il profilo del rischio di incidente rilevante, le nostre pattuglie procedono al controllo dell’osservanza delle vigenti disposizioni in materia di inquinamento e di gestione dei rifiuti di qualsiasi natura. Inoltre, una parte degli interventi di verifica eseguiti dal Corpo nel periodo 1999-2000 è stata specificamente condotta nei confronti di soggetti operanti nel settore, e ciò ha determinato un sensibile incremento della pressione ispettiva rispetto al passato. Proprio in questo contesto, il presidente della Commissione parlamentare che si occupa di questo settore ha recentemente avanzato alla Guardia di finanza la richiesta di una collaborazione istituzionale finalizzata ad una mirata attività di ispezione. L’azione a contrasto di questo illecito smaltimento di rifiuti è anche svolta attraverso l’esecuzione di controlli presso gli inceneritori (che hanno consentito di rilevare alcuni casi di dirottamento di interi carichi di rifiuti cartolarmente destinati all’incenerimento presso discariche abusive), nell’ambito degli spazi doganali, dove si procede alla verifica delle autorizzazioni prescritte dalla legge per le spedizioni transfrontalieri dei rifiuti, nel corso dei servizi anticontrabbando di controllo del territorio, durante i quali si riscontra la correttezza dei formulari di identificazione che devono scortare i carichi.

Qualora poi le investigazioni evidenzino il coinvolgimento di sodalizi delinquenziali, le indagini vengono affidate ai reparti più specializzati alla lotta alla criminalità organizzata di stampo mafioso e al riciclaggio. Come è noto, le strutture di punta del Corpo in questi settori sono lo SCICO e il Nucleo speciale di polizia valutaria. Lo SCICO, come ormai tutti ben sanno, anche perché è stato all'attenzione per moltissimi mesi, assieme agli altri Corpi specializzati delle altre due forze di polizia, ha compiti di analisi e raccordo informativo, nonché di supporto logistico e operativo relativamente alle attività investigative svolte sul territorio dai 24 gruppi di investigazione sulla criminalità organizzata della Guardia di finanza. Il Nucleo speciale, da parte sua, è articolato su un gruppo di investigazioni antiriciclaggio presso la sede di Roma, su sezioni antiriciclaggio dislocate a Palermo e a Milano, ed esegue su tutto il territorio nazionale controlli ed ispezioni con finalità antiriciclaggio, nonché accertamenti sulla base delle segnalazioni di operazioni sospette. E abbiamo visto quale nesso vi sia tra questo fenomeno criminoso e l’attività di riciclaggio.

Un cenno, tanto per dare la misura dell’impegno del Corpo, ai risultati di servizio. Dall’inizio del 1999 e nei primi mesi dell’anno in corso, il Corpo ha sequestrato ben 447 discariche abusive, oltre 254 mila tonnellate di rifiuti industriali oggetto di illecito smaltimento, ha verbalizzato circa 4 mila soggetti, di cui oltre 2.500 sono stati denunciati all’attività giudiziaria. Non più di dieci giorni fa, proprio qui in Sicilia, nella provincia di Agrigento, la Guardia di finanza ha sequestrato due aree adibite a discariche abusive per complessivi 223 mila metri quadri, 10 mila tonnellate di rifiuti speciali e pericolosi e ha denunciato quattro soggetti.

Naturalmente, tengo a ribadire che la pericolosità e la proiezione transnazionale di questo fenomeno criminale impongono ulteriori sforzi anche sul piano internazionale per dare maggiore efficacia all’azione di contrasto.

Sul versante internazionale, l’auspicio è che si realizzi anche un progressivo e rapido avvicinamento delle legislazioni dei vari paesi (ovviamente questo è il percorso più difficile), un sempre più efficace coordinamento, non soltanto tra le forze di polizia attraverso Europol e Interpol ma anche tra tutte le autorità incaricate della vigilanza e del controllo sul corretto svolgimento del ciclo dei rifiuti. Sono poi auspicabili la maturazione e la crescita di questi organismi, aspetto che è stato, giustamente, ben messo in risalto dal presidente Evangelisti.

Sul piano nazionale, a parte il perfezionamento e l’inasprimento del sistema sanzionatorio, è assolutamente importante incentivare la concreta applicazione dell’articolo 18 della legge n. 349 del 1986, che stabilisce l’obbligo al risarcimento in capo all’autore del fatto cagionante il danno ambientale. Questo è un aspetto importantissimo, in quanto si è registrato un esercizio poco frequente dell’azione di risarcimento, la cui titolarità, ovviamente, è riconducibile allo Stato e agli enti territoriali. Nel disegno di legge in itinere è prevista l’introduzione di una specifica norma processuale che riconduce in capo al pubblico ministero l’obbligo di richiedere il sequestro conservativo al fine di evitare la dispersione delle garanzie per il risarcimento del danno.

Cosa dobbiamo fare sul piano operativo? Prima di tutto, una sempre più intensa azione di controllo del territorio, su cui si basa la criminalità organizzata. Per contrastarla, pertanto, non vi è altra via che controllare il territorio. A questo riguardo, e alla luce del quadro normativo vigente, alla Guardia di finanza compete un ruolo concorsuale, poiché, come ho illustrato, l’intervento del Corpo deve gravitare in modo prevalente sul controllo dei flussi finanziari leciti e sulle deviazioni fiscali connesse ai traffici illegali dei rifiuti. Tutto questo con l’obiettivo, che è di tutti noi, di ben definire le funzioni tra le varie forze di polizia e sviluppare tra esse le giuste sinergie (a questo riguardo ho molto apprezzato l’intervento del comandante Sicurezza). Occorre poi un costante adeguamento e potenziamento dei mezzi a disposizione, sfruttando soprattutto le moderne tecnologie. Il capo della polizia ha citato il Progetto ambiente, il quale prevede quanto sia importantissimo gravitare sul settore dei mezzi idonei al rilevamento. Ovviamente, è auspicabile una sempre maggiore collaborazione investigativa ma soprattutto informativa tra gli organi investigativi e i servizi di informazione e sicurezza; collaborazione che non riguarda soltanto questa fenomenologia criminale ma tante altre.

Vorrei concludere esprimendo anche una nota di ottimismo. Logicamente, il fenomeno di cui stiamo parlando è molto preoccupante, però la sensazione che ho tratto da quanto ho ascoltato è che le analisi e le proposte combaciano, che la sensibilità di tutti aumenta e che condividiamo tutti la necessità di far crescere la nostra società, per cui ciò lascia ben sperare nel successo dell’azione di contrasto che deve essere svolta dall’intero sistema-sicurezza, che non comprende solo le forze di polizia ma tutti, a partire dal singolo cittadino.

CARMELO CARRARA. Rilevo che l’analisi prospettata si basa, anzitutto, sul fatto che la questione ambientale è soprattutto culturale, rientra nel concetto globale della sicurezza, ma le analisi non concordano poi con le proiezioni operative. Di queste cose se ne parla pochissimo in politica, prova ne è che il documento elaborato dalla Commissione sul ciclo dei rifiuti è in stand by da tanto tempo in Parlamento. Della questione ambientale se ne parla pochissimo in finanziaria, a livello di enti locali e, soprattutto, di enti regionali. Vero è, infatti, che la politica ambientale va sicuramente globalizzata per omogeneizzare le disposizioni normative a livello europeo, ma è anche vero che i comuni sono assolutamente padroni del loro territorio per quanto riguarda il rispetto di valori non circoscritti ma, per alcuni versi, dell’umanità.

Quali sono le rotte dell’ecomafia e i trends normativi attuali? Abbiamo un gap tremendo sul piano costituzionale: a proposito dei beni protetti, l’articolo 2 della Costituzione non menziona assolutamente il valore dell’ambiente, tant’è che lo sforzo della Commissione sul ciclo dei rifiuti è quello di etichettare una nozione di ambiente che riesca ad assemblare non soltanto le risorse naturali ma anche quelle umane, cioè quelle opere dell’uomo che, per particolari pregi artistici, storici e architettonici, sono sicuramente degne di tutela. Occorre quindi rafforzare la tutela costituzionale prevedendo il diritto all’ambiente come un diritto soggettivo e non come un diritto tutelato di riflesso, come accade oggi, secondo la fruizione della collettività.

Vi è poi una necessità più volte rimarcata, quella di innalzare le soglie delle pene edittali e, conseguentemente, rendere azionabili certi strumenti processuali, come le intercettazioni telefoniche e i sequestri, oltre a cercare di innervare quella formula reintegratoria e restitutoria che potrebbe essere la pena accessoria della confisca, che oggi non è assolutamente operativa quando si parla di patteggiamento ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale.

Vi è poi la necessità di irrobustire la legislazione dal punto di vista civile. Al riguardo, è stato fatto un riferimento al processo di responsabilizzazione, sia pure ai fini civilistici, delle società che operano moltissimo nel settore delle ecomafie. Sotto il profilo amministrativo vi è la necessità di stabilire politicamente, tenuto conto che le mafie operano sul territorio, tanto che su alcuni sono i più strenui controllori, se nelle scelte da fare per traguardare una nuova normativa sugli appalti si debba andare verso le grandi holding che governano il ciclo integrato delle acque e dei rifiuti o, invece, se si debbano parcellizzare gli appalti, così come è avvenuto finora, in cui le mafie trovano un più facile momento di ingresso.

Nessuna riforma è stata fatta per una fiscalità di vantaggio nei confronti delle imprese che investono per rendere più sicuro e protetto l’ambiente. Niente è stato fatto nei confronti del cosiddetto terzo settore, che va sicuramente incrementato non soltanto per quanto riguarda i servizi alla persona, ma anche per i servizi a favore della collettività e, quindi, per un maggiore intervento a favore delle associazioni non profit.

La soluzione ai problemi - ripeto – non si avrà solo governando questi processi dall’alto, in quanto richiede l’intervento degli enti locali, chiamati a governare e a pianificare il territorio. Unitamente alle forze dell’ordine, devono cercare di attivare maggiori controlli. Sono testimone di un esempio di malgoverno per quanto riguarda la discarica degli inerti di tutta la provincia di Palermo: ho denunziato alle forze dell’ordine che risulta conferito in certe cave il 300 per cento di ciò che invece risulta per tabulas dai registri. Naturalmente, ciò comporta un’evasione massiccia nei confronti dell’erario del comune, oltre ad andare a detrimento della collettività, visto che per un lungo periodo di tempo avremo una risorsa di gran lunga inferiore rispetto a quella progettata.

Circa la transnazionalità, credo che non necessariamente debbano essere introdotte nuove forme di associazione per delinquere, nuove forme di 416-bis recuperate sullo standard dell’ecomafia. Ritengo che senza l’introduzione di nuove soglie di punibilità sia possibile attivare quanto è già scritto nei trattati di Schengen e di Amsterdam, rendendo di fatto operativo l’impatto con Europol. Non vi è dubbio, infatti, che i valori ambientali, riferiti non solo alle bellezze paesaggistiche, possano essere meglio salvaguardati da una polizia più professionale e da una nuova cultura che ci renda consapevoli della necessità di non voler passare ai posteri come coloro che hanno incrementato il più becero consumismo ma come coloro che hanno fatto di meglio per rimediare agli errori del passato.

LUIGI MARIA LOMBARDI SATRIANI. Visto il tempo a disposizione, mi limiterò a brevissimi cenni sull’universo ecomafioso. Abbiamo ascoltato dati e considerazioni di estremo interesse ai quali potrebbero essere aggiunti altri dati specifici che abbiamo avuto modo di acquisire nel corso delle audizioni, che hanno prodotto relazioni, appena approvate, quale quella sulla camorra, di cui sono stato estensore lo scorso mese, o quella sulla Calabria, approvata alla fine di luglio. Abbiamo acquisito dati relativamente alla pericolosità, alla crescita di questo settore ecomafioso. In proposito, ricordo la preoccupazione del prefetto di Caserta, nel corso di una sua audizione, circa il clan dei Casalesi e della sua attività, particolarmente interessante da questo punto di vista, nella provincia di Caserta. Ma non sottolineerò alcun altro dato, perché mi interessa porre un altro problema.

Quanto si è fatto è indubbiamente prezioso, come sarà prezioso quanto si andrà a fare. Eppure, sono profondamente convinto che, nonostante gli sforzi benemeriti delle istituzioni, tutto ciò sarà radicalmente inadeguato se non affronteremo un problema di ordine più generale. Non a caso, il direttore dell’Europol, ha detto che il fenomeno va studiato molto di più ed ha sottolineato, per esempio, la presenza nelle nostre carceri di pochi soggetti rispetto a questa attività criminale specifica. Allora, forse, è il caso di chiedersi sino a che punto nella nostra società l’ambiente è vissuto come un bene collettivo, realmente da salvaguardare, come un qualcosa che riguarda tutti. In questi ultimi anni, abbiamo assistito alla nascita di una forza politica che ha assunto l’ambiente come centrale per il proprio impegno. Eppure, questo fatto estremamente positivo, può rivelarsi e può essere vissuto come una forma di gigantesca deresponsabilizzazione da parte di tutti gli altri, come se questo riguardasse solo alcuni, solo quanti professano esplicitamente come prius della loro azione politica la tutela dell’ambiente. Così come il problema religioso viene affidato ai religiosi, molte volte il problema criminale è inteso come "cosa nostra", nel senso, cioè, che riguarda o le Commissioni parlamentari antimafia o gli appartenenti agli organi giudiziari, alla polizia, ai carabinieri e alla Guardia di finanza, ma non la società civile nel suo complesso. Questa deresponsabilizzazione, questo chiamarsi fuori, questo non assumersi il problema come problema prioritario e collettivo, può indurre ad una scarsa efficacia dell’azione pur meritoria che si va facendo, proprio perché non viene vissuta come un crimine contro la comunità, come un’attività lucrosa fatta da alcuni con poco rischio, data la scarsa possibilità di individuazione, eccetera.

Ecco, allora, che accettiamo anche una sorta di lentezza giudiziaria. Proprio in Campania, la procura della Repubblica di Napoli aveva avviato, negli anni scorsi, un’indagine la quale aveva posto in rilievo che, anche grazie alla corruzione di pubblici funzionari, tra i quali l’assessore all’ambiente della provincia dell’epoca, il professor Perrone Capano, erano stati fatti entrare milioni di chili di rifiuti tossici e speciali in Campania in modo illegale. E’ stato celebrato il dibattimento in primo grado, che si era chiuso con la condanna di vari imputati, tra cui a otto anni di reclusione per Perrone Capano. Questo nel 1995. In appello, il dibattimento è stato celebrato a quasi quattro anni di distanza e si è concluso con una pronuncia di prescrizione. Adesso, sta per uscire Sandokan, quindi il prefetto di Caserta può essere "rallegrato" da un potenziamento prevedibile di attività del clan dei Casalesi, e così via. Se non assumiamo anche questi problemi specifici, oltre alle strategie adeguate per evitare lentezze giudiziarie, decorrenze rapide dei termini per la scarcerazione, eccetera, senza avviare anche un discorso erga omnes per responsabilizzare tutti, questa attività non diventerà impegno comune di tutte le articolazioni istituzionali della nostra società, di tutti i compartecipi della nostra società civile.

Certo, possiamo apprezzare l’affermazione del Presidente Violante, cioè che l’ambiente è un settore strategico, possiamo condividere la progettualità presente in tutte le relazioni che abbiamo ascoltato e l’appello del presidente Lumia, che deve essere di tutti, ma l’utilità di questo Forum sarà tanto maggiore quanto maggiore sarà, a mio avviso, oltre all bilancio delle cose fatte, la sottolineatura di un necessario, ulteriore impegno conoscitivo e pedagogico nell’accezione più lata, di modo che si sviluppi anche nel nostro paese una cultura ambientale tale da percepire questo bene come un bene assoluto da tutelare. Dobbiamo porre problematicamente una serie di domande e cercare di dare sommessamente, cautamente, con tutta la metodologia critica necessaria, alcune risposte. Credo che gli avanzamenti della lotta alla criminalità si conseguano sia con le azioni sia con affermazioni progettualmente positive, ma anche assumendo tutta la fatica dell’individuazione dei ritardi, che sono politici, istituzionali ma anche ritardi nell’elaborazione culturale.

MICHELE FIGURELLI. Per me è quasi doveroso prendere la parola per fare riferimento a due specifiche esperienze della Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia. La prima è rappresentata dalla relazione sulla Calabria che, al di là dello spazio concesso alla questione ambientale, ha dato molto rilievo al problema dell’occupazione mafiosa – così l’abbiamo definita – del porto di Gioia Tauro, dove lo stesso programma sicurezza è stato messo in pericolo; la vicenda appare paradossalmente simile all’immagine della pubblicità delle mentine, per cui la mafia è il vuoto mentre la mentina, il cerchio che sta intorno, è la polizia che blinda. Abbiamo svolto un’analisi su quello che nel giro di quattro o cinque anni è diventato il primo porto del Mediterraneo, dove si pone una questione molto seria di controllo e di intercettazione dei carichi, dei passaggi, un’intercettazione che deve essere eseguita in modo multilaterale. In un incontro, organizzato dal presidente Lumia anche con i parlamentari di altri paesi, sullo spazio comune contro la criminalità organizzata, è stata citata una recente esperienza della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, che ha intercettato un container nel porto di Genova, un carico di legname brasiliano destinato ad una segheria di Cesena: si trattava in realtà di un grande carico di droga. Non è stata soltanto una brillante operazione; l’interessante è che il container è stato individuato attraverso un’analisi operata dal servizio antiriciclaggio dell’Ufficio italiano cambi sui pagamenti di alcune transazioni internazionali legate a fatturazioni commerciali fittizie. Si tratta di un caso in cui si va non dalla droga al denaro, ma dal denaro alla droga. In questo senso io intendo la multilateralità dell’approccio.

La seconda esperienza riguarda la relazione sui cantieri navali di Palermo: non è un caso che Palermo, ombelico del Mediterraneo, sia la sede di questa riunione. Non so quanto le indicazioni di quella relazione siano state utilizzate, per esempio per l’occupazione di Marina di Villa Igea, dove sono stati inseriti rifiuti in cassoni di cemento che sono ancora lì a mare. So che il prefetto Manganelli, allora questore di Palermo, ha tratto da quella relazione indicazioni molto importanti anche per misure di prevenzione a carico di una potente famiglia mafiosa. In quella relazione vi sono due aspetti, relativi ai rifiuti tossici nocivi ed al loro insabbiamento ed inabissamento, attraverso opere portuali ed opere sott’acqua, ed al comando mafioso della mafia dell’acqua santa sulla linea incontrollata che separa nei cantieri navali la terra dal mare. In quel caso abbiamo rinvenuto rifiuti molto pericolosi ed amianto. Ed è importante la recentissima scoperta della Guardia di finanza a via Messina Marine a Palermo, oltre che il successo citato dal generale comandante Mosca Moschini: un grande deposito di amianto definito una bomba ecologica.

Il grande lavoro analitico svolto ed i risultati dell’elaborazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti dimostrano come sia non solo necessaria ma anche possibile la definizione di una riforma normativa e di innovazioni organizzative. Le osservazioni svolte in questa sede dal capo della polizia e dal comandante Siracusa, ad esempio nell’analisi concreta del ruolo prezioso, fondamentale del NOE e della rete che si vuole stabilire tra esso e le altre articolazioni, stanno ad indicare appunto un salto di qualità che si impone e che è possibile, in parte è in itinere nelle considerazioni che sono state espresse.

La mia osservazione riguarda un’analogia di approccio e di metodo con il contrabbando. Prima dell’operazione "primavera" e prima dei colpi assestati a Cuomo e ad altri latitanti, il contrasto appariva più per singoli segmenti, per interventi separati, e non coglieva la dimensione quantitativa e qualitativa dell’associazione criminale; l’abbiamo verificato anche in tante audizioni. Ebbene, come per il contrabbando questo approccio è stato superato positivamente, e con risultati importanti, con l’operazione "primavera", così credo si debba fare per il ciclo dei rifiuti, nel senso di non isolare un unico punto o segmento delle rotte, ma di cogliere la totalità del percorso. La mafia non è solo il sito, la destinazione finale, non è solo il trasporto o la contraffazione dei documenti di accompagnamento, dei certificati, soprattutto quelli dell’avvenuto e spesso fittizio smaltimento. Occorre cogliere la totalità del fenomeno e i collegamenti tra i vari passaggi.

In particolare, vorrei richiamare l’attenzione su un punto di impunità attuale: l’anello, se non, in alcuni casi, il vero e proprio patto scellerato che lega l’impresa che produce rifiuti a tutto il ciclo, ai soggetti del veicolo e ai soggetti della destinazione finale, rappresentata da fosse agricole poi messe a coltura, da cave e miniere, dalla produzione di bitume, dalla costruzione di strade, perfino dalla costruzione di abitazioni e di uffici, di opere edili pubbliche e private. Se è vero, dunque, che non si deve isolare un punto ed un segmento solo, bisogna allora trarne tutte le conseguenze nel modo stesso di configurare il delitto ambientale e il relativo regime sanzionatorio, a proposito del quale chiedo al presidente Scalia, per esempio, perché si parla di una somma da 25 a 50 milioni e non di una sanzione economica corrispondente progressivamente al costo del ripristino del restauro o del recupero ambientale.

Concludo richiamando l’attenzione sullo scarto politico che esiste rispetto a tre scadenze che sono davanti a noi e che sono eminentemente politiche e di definizione di accordi internazionali, dal momento che le rotte non sono soltanto nord-sud ma anche est-ovest. La prima è l’andamento del cosiddetto patto di stabilità dell’Europa del sud-est e la relativa ricostruzione dei Balcani: questa può e deve diventare una questione fondamentale. Il secondo elemento è all’ordine del giorno dell’Unione europea: l’allargamento dell’Europa ad est e le sue condizioni. Il terzo è il seguito della conferenza di Barcellona e di quella di due anni fa, qui a Palermo, sul Mediterraneo, nella prospettiva della realizzazione nel 2010 della zona di libero scambio del Mediterraneo. Il 2010 è domani e noi per questo domani dobbiamo colmare molti ritardi e questo scarto politico.

ENRICO FONTANA, Direttore della rivista "Nuova ecologia". Vi ringrazio innanzitutto per aver invitato Legambiente e per questa opportunità che mi viene concessa.

Oggi lo Stato, rappresentato da due Commissioni parlamentari d’inchiesta e dai vertici delle forze dell’ordine, lancia da Palermo un segnale forte e chiaro: la lotta all’ecomafia è una priorità nazionale. Credo che non ci siano dubbi, dopo quello che ho ascoltato. Lo fa da Palermo ed è importante che lo faccia da questa zona, che purtroppo è una delle terre elettive dei fenomeni ecomafiosi nel nostro paese, ma è anche la città in cui – mi fa piacere sottolinearlo – opera da anni con grande efficacia un nucleo operativo di polizia ambientale che ha svolto indagini importanti anche contro mafiosi di calibro. Considero questo un momento importante: non è solo un forum, da questa sede esce anche un segnale al quale come Legambiente siamo orgogliosi di aver dato un contributo.

Il termine "ecomafia" è stato coniato sei anni fa dalla nostra associazione per bucare quello che allora era un muro di indifferenza, sottovalutazione, scarsa conoscenza di questi fenomeni. Ogni anno cerchiamo di tenere desta l’attenzione con quei rapporti sull’ecomafia che sono stati già ricordati dal prefetto De Gennaro. In questi sei anni (ne siamo testimoni diretti) è cresciuta l’attenzione delle forze dell’ordine e dei mass media rispetto a queste realtà, ma nel contempo l’attività dell’ecomafia si è diversificata, è cambiata, è diventata ancora più invasiva e pericolosa. Ai cicli del cemento e dei rifiuti ricordati dal generale Siracusa si sono aggiunti i traffici illegali di specie protette, i combattimenti tra cani, il racket degli animali, l’archeomafia, ovvero il fenomeno di aggressione criminale al patrimonio artistico, storico, ambientale, che secondo stime elaborate dal comando tutela patrimonio artistico dell’Arma dei carabinieri fattura per le organizzazioni criminali più di 300 miliardi all’anno solo in Italia.

La sfida all’ecomafia è complessa, difficile. Ho ascoltato con grande attenzione la relazione del direttore dell’Europol, che ha evidenziato questi elementi di complessità, perché le attività dell’ecomafia sono fortemente intrecciate con la società, con le attività produttive, non sono estranee, non sono altro, come i traffici internazionali di droga, di armi, o la prostituzione, ma riguardano pezzi di sistemi imprenditoriali, di società.

La sfida all'ecomafia è complessa. Vede, direttore Storbeck, il nostro Paese, come lei ci ha detto - e fa bene ogni tanto sentircelo dire -, è probabilmente quello che più ha elaborato analisi e studi ed ha sviluppato attenzione su questo fenomeno, ma lei deve sapere che il nostro paese è anche uno degli ultimi in Europa in cui i delitti contro l'ambiente non sono ancora previsti nel codice penale. Purtroppo ancora oggi in Italia chi traffica in rifiuti, per il nostro codice penale, commette un reato meno grave del furto di una mela.

Eppure, nonostante questo, mi sento di condividere, e la nostra associazione condivide in pieno l'ottimismo con cui ha voluto concludere il suo intervento il generale Mosca Moschini. Sono convinto che se proseguiremo questa attività di analisi e manterremo alta l'attenzione e la conoscenza, se daremo continuità alla nostra azione e se avremo più coerenza, i risultati arriveranno in tempi brevi, brevi perché la consapevolezza dei cittadini c'è tutta. I cittadini italiani sono perfettamente consapevoli della gravità della situazione.

La coerenza riguarda innanzitutto il potere legislativo. Da voi ci attendiamo più coerenza. Il Parlamento italiano ha due scadenze ravvicinate: la prima è l'immediata approvazione della norma sul delitto di organizzazione di traffico illecito di rifiuti, già approvata all'unanimità dal Senato ed ora all'esame della Camera. La riforma del codice penale per questa legislatura è un bersaglio difficilmente raggiungibile, ma questo sì, è a portata di mano. Dopo Palermo mi auguro che tutti i gruppi parlamentari alla Camera diano a questa riforma una priorità. Vi è poi, dicevo, una seconda scadenza, quella della Convenzione europea sottoscritta dal nostro Governo il 6 novembre; ho scoperto che nessun parlamento europeo l'ha ancora ratificata; altri governi l'hanno sottoscritta ma nessun Parlamento europeo ha ancora ratificato questa convenzione.

Sarebbe un segnale importante ed una chiara dimostrazione della volontà di recuperare il tempo perduto se il Parlamento italiano fosse il primo Parlamento europeo a ratificare la Convenzione europea per la tutela penale dell'ambiente. Grazie dell'attenzione.

GOFFREDO SOTTILE, Prefetto di Caserta. Data l'ora, sarò telegrafico. La situazione di Caserta sotto il profilo ambientale, la conosciamo tutti, è davvero pesante. Due sono i fenomeni molto dannosi che abbiamo: l'illecito smaltimento dei rifiuti ed anche l'abbandono incontrollato di materiale in superficie; anche questo è un aspetto che ci preoccupa. Abbiamo anche affrontato il problema delle cave abusive di sabbia, cui prima ha fatto riferimento il comandante generale dell'arma su Trapani; quel problema l'abbiamo risolto in via amministrativa, con una ordinanza del sindaco di Castel Volturno e il forte apporto della prefettura, che ha individuato anche la ditta che doveva eseguire l'opera di smantellamento di queste strutture, che erano in mezzo all'acqua; l'operazione era anche complessa. Il problema vero è che non si trovava la ditta per fare il lavoro. Ne abbiamo trovata una che aveva un forte interesse nella protezione civile, l'abbiamo protetta;, li abbiamo convinti e credo sia stato un notevole successo.

Vorrei anche accennare, sia pure telegraficamente, all'azione sinergica che siamo riusciti a sviluppare in provincia di Caserta con l'istituzione di una unità di crisi. Come nasce questa unità? Essa nasce a seguito di una riunione con il procuratore distrettuale ed i procuratori allora circondariali. Perché questi? Perché purtroppo abbiamo una carenza normativa in materia di tutela ambientale e la competenza allora era dei procuratori circondariali. A noi manca anche una tutela costituzionale dell'ambiente, non siamo carenti solo sotto il profilo penale. Le Costituzioni più recenti, tipo quelle della Grecia e della Spagna, prevedono quella ambientale come una tutela diretta, mentre noi l'abbiamo solo in via indiretta, attraverso il diritto alla salute, eccetera.

E' nata così, dicevo, questa unità di crisi. Il fatto è singolare perché questa unità è sedente in prefettura (in pratica noi la coordiniamo), è stata istituita con decreto del presidente della provincia, che è competente in materia e che ci dà anche il sostegno finanziario per il funzionamento di questa unità, e si avvale di strutture tecniche di livello nazionale, quali l'ENEA, l'ANPA, l'Istituto di geofisica e di organi locali, quali il settore ecologia della provincia, le ASL, il corpo forestale, di cui prima è stato invocato il coinvolgimento, e soprattutto la struttura commissariale regionale per la bonifica ambientale.

Cosa ha fatto questa unità di crisi? Con l'intervento delle forze dell'ordine per le zone pericolose, ha mappato l'intera provincia per i siti inquinati in superficie, compreso l'agro aversano e la fascia domiziana, zone di cui è a tutti nota la situazione di sicurezza pubblica generale. Questa mappa è stata poi inviata alla regione Campania ai fini della perimetrazione delle aree di interesse nazionale per la legge n. 426 del 1998. Per i sondaggi del sottosuolo, tesi ad individuare eventuali occultamenti, è in corso una attività di telerilevamento satellitare nell'ambito della quale si sta esaminando l'evoluzione delle immagini riferite al periodo 1986-1998. Terminato il monitoraggio, l'unità ha avviato le operazioni di analisi e caratterizzazione dei rifiuti; operazioni - i tecnici lo sanno - estremamente importanti, propedeutiche alla rimozione.

Qual è la procedura? Il finanziamento ci viene garantito dalla struttura commissariale regionale. Nell'unità di crisi è stato stabilito il modello operativo; in pratica saranno i sindaci a farsi carico delle opere di bonifica che sono state già finanziate; abbiamo già un finanziamento su Villa Literno, per due trance di 500 e 300 milioni. Stiamo andando avanti molto bene. Caserta è l'unico capoluogo non di regione ad avere il NOE; questo strumento, di recente istituzione, è stato davvero importante; per questo tipo di accertamenti serve infatti personale specializzato.

Un altro progetto molto ambizioso che stiamo curando e che speriamo di portare a compimento è il coinvolgimento sulle tematiche ambientali del neocostituito corpo di polizia provinciale; non solo di questo, ma anche delle guardie ecologiche volontarie. Si tratta di circa 150 elementi nella provincia di Caserta. Se riusciamo a trovare il meccanismo giusto e i finanziamenti necessari, possiamo davvero coprire tutto il territorio.

Grazie dell'attenzione.

MARIELLA MAFFINI, Consulente dell'ANPA. Saluto tutti i partecipanti, ringrazio in particolare i presidenti delle due Commissioni parlamentari d'inchiesta per l'invito a questa importante iniziativa e porgo a questa autorevole assemblea il saluto e le espressioni augurali del presidente dell'ANPA, professor Walter Ganapini, impegnato oggi in attività di sicurezza nucleare che la legge 61 del 1994 ha posto in capo all'agenzia; un argomento questo che è stato già affrontato da vari interventi.

Il presidente Ganapini mi ha incaricato di ribadire in particolare l'impegno che il sistema agenziale ANPA-ARPA ha posto in questi anni nella lotta contro i fenomeni di criminalità ambientale ed ecomafia, a fianco spesso degli altri organi dello Stato.

Il sistema delle agenzie ambientali ANPA-ARPA si presenta oggi come rete federalista di strutture impegnate nei controlli, nell'informazione e nella prevenzione, coniugando conoscenza diretta del territorio e dei problemi ambientali locali con le politiche e le strategie nazionali di sviluppo sostenibile e di protezione dell'ambiente. Il sistema è governato sulla base di un accordo volontario dal consiglio dei direttori e dei presidenti di ANPA ed ARPA, cui spettano il coordinamento e la supervisione delle attività, a partire dalla rete informativa centro-periferia, in costante dialogo ed in iterazione verso l'interno e l'esterno.

Questo sistema informativo, collegato con l'agenzia europea di Copenaghen, di cui l'ANPA costituisce il national focal point italiano, intende offrire al paese tutto - cittadini, istituzioni ed imprese - gli strumenti per fronteggiare positivamente la sfida della qualità ambientale dei processi produttivi, prodotti e territori, parte decisiva dell'attuale competizione sul mercato globale.

Il sistema ANPA-ARPA, pur avendo in capo i controlli ambientali, non interviene solo a livello ispettivo, ma soprattutto in un'ottica di conoscenza, informazione e prevenzione. E' dalla conoscenza e dalle informazioni sulla situazione ambientale di un'azienda, di un distretto, di un determinato ambito territoriale che è infatti possibile trarre indicazioni per sanare situazioni o risalire alle fonti di inquinamento, piuttosto che dal mero esercizio di carattere sanzionatorio che veniva effettuato dai presidi multizonali di prevenzione, cui erano affidati i controlli ambientali, prima della riforma del 1994.

Nato proprio a seguito del referendum del 18 aprile 1993, che riordinava il sistema dei controlli ambientali e trasferiva dall'ambito sanitario a quello ambientale le attività e le competenze sino ad allora affidate alle USL, il sistema ANPA-ARPA rappresenta il riferimento, nazionale con l'ANPA e regionale con le ARPA, sia delle province autonome di Trento e Bolzano denominate APPA. Inoltre, nell'effettuare i controlli ambientali sul territorio (quindi acqua, aria, rifiuti ed inquinamento elettromagnetico) il sistema ricava dalle proprie reti di monitoraggio i dati utili alla elaborazione di strategie ambientali pubbliche e di politiche industriali, così come lo sviluppo di pratiche di certificazione Emas ed Ecolabel, rappresentando altresì un supporto tecnico-scientifico alle indagini che le procure attivano nella lotta alla ecocriminalità.

E' stato grande lo sforzo, dal 1998 ad oggi, operato dal consiglio di amministrazione di ANPA per completare la rete delle agenzie regionali, che sono istituite in tutte le regioni, tranne in Sicilia. Costante è altresì l'azione di partenariato fra ARPA del centro-nord e le nuove ARPA del centro-sud per formare personale, validare reti laboratoristiche ed allestire sistemi informativi. Forti sono oggi le carenze di risorse umane ed economiche, soprattutto al sud; questo tema è ben presente alla riflessione della Commissione bicamerale sul ciclo dei rifiuti.

Nel nostro paese, oltre a fenomeni di illeciti ambientali ordinari, negli ultimi anni la penetrazione della criminalità organizzata nei diversi cicli della gestione dei rifiuti è diventata un fenomeno sempre più diffuso, soprattutto per quanto concerne le fasi del trasporto e dello smaltimento.

CARMEN MANFREDDA, Procuratore della Repubblica di Vigevano. Rappresento un circondario che ricomprende nel suo territorio un'area geografica denominata Lomellina, che molto spesso, di recente, giornalisticamente viene definita (purtroppo anche giustificatamente) come la pattumiera della regione Lombardia.

Desidero fare innanzitutto un paio di osservazioni concrete che derivano dalla mia esperienza giudiziaria. In un momento come quello attuale in cui è chiaro che le organizzazioni criminali si sono ormai impossessate di questi nuovi scenari dell'illecito, ritengo che la necessità e l'urgenza di una riforma della legislazione attuale sia non soltanto da sottolineare e ribadire ma addirittura a questo punto forse da gridare. Non è più possibile accontentarsi di una legislazione che non ha alcun effetto deterrente e repressivo; non è possibile continuare a configurare i reati in materia ambientale come reati contravvenzionali con termini di prescrizione brevissimi, che finiscono per non avere alcuna sanzione penale; ma soprattutto, non è possibile che in relazione a questi casi non sia ipotizzabile il reato di associazione a delinquere, che appunto non è configurabile con riferimento alle contravvenzioni. Occorre assolutamente introdurre nel nostro codice penale il famoso titolo VI-bis. Non solo, ma credo che si debba porre particolare attenzione anche all’istituto della confisca, che deve essere disciplinato in maniera molto più chiara. Considero inoltre importante affiancare alla sanzione penale sanzioni amministrative, sanzioni interdittive destinate a colpire l’impresa, perché è chiaro che in questa materia i reati ambientali non sono commessi, se non sporadicamente, dal privato cittadino, ma sono sempre riconducibili ad una strategia di impresa.

Vorrei inoltre far presente due esigenze di carattere operativo ed investigativo. E’ necessario che la magistratura venga concretamente dotata di strumenti operativi particolarmente efficaci. Nel discorso del comandante generale e nelle dichiarazioni del capo della polizia erano contenuti accenni a progetti relativi all’utilizzo della strumentazione satellitare e a progetti di interscambio di dati riconducibili ad una banca dati. Chiedo scusa se probabilmente non sono sufficientemente informata, ma faccio presente che si tratta di due esigenze effettive, reali. Per quello che riguarda soprattutto la banca dati, in tutti i settori i magistrati hanno sempre supplicato per la creazione di banche dati che rispondessero ad ogni esigenza informativa. Devo dire che mai come in questo settore ed in questo momento è particolarmente sentita tale esigenza. Non è concepibile che nell’era della telematica quando io devo iscrivere o identificare degli indagati debba rimettermi alla buona volontà dell’ufficiale di polizia giudiziaria, il quale va a pietire le informazioni in regione o in provincia. Credo che sia legittima l’aspirazione ad avere accesso ad una banca dati centralizzata presso il Ministero dell’ambiente e ad avere un accesso garantito da parte dell’autorità giudiziaria e delle forze di polizia, in modo da potersi collegare ipoteticamente ad un sito Internet del Ministero dell’ambiente, per disporre in tempo reale di tutti i dati necessari per l’identificazione degli indagati o per l’individuazione delle società e delle imprese che operano nel settore dello smaltimento dei rifiuti.

Analogamente, mi sembra importantissima ed urgente l’adozione dei sistemi tecnologici attualmente a disposizione: ovviamente mi riferisco ai nuovi sistemi satellitari. La provincia di Pavia ha recentemente acquisito un sistema satellitare, promettendo tra l’altro di metterlo a disposizione delle procure istituite nella provincia medesima, e proprio attraverso questi dati estremamente sofisticati risulterà possibile avere la mappatura del territorio e quindi di tutte le discariche abusive esistenti sul territorio medesimo. Mi pare che questo tutto sommato possa tradursi in una efficacia dell’azione preventiva. Certo, sfugge ancora la possibilità di operare controlli in materia di trasporti di rifiuti; tuttavia penso che in questa materia forse occorrerà imboccare la via del visto, del controllo preventivo anziché del controllo successivo.

Mi permetto di concludere con un’affermazione di carattere sentimentale e retorico, nella certezza che comunque essa sia condivisa da tutti. Dobbiamo realmente decidere quale futuro lasciare ai nostri figli ed in quest’ottica dobbiamo riconoscere che la lotta per l’ambiente è sicuramente una lotta di sopravvivenza che neppure per un istante possiamo pensare di non vincere.

MASSIMO SCALIA, Presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti. Ringrazio il procuratore Manfredda. Per quanto riguarda il controllo sui trasporti, è opportuno ricordare che il brevetto check-RIF, presentato a Milano dieci giorni fa, diventando operativo dovrebbe consentire il controllo in tempo reale di tutti i trasporti di rifiuti.

Concludo rapidamente con pochi flash, il primo dei quali riguarda il senso del nostro convegno. In questa sede le Commissioni parlamentari d’inchiesta, i comandanti generali delle varie armi e dei corpi preposti, il Governo, lo Stato affermano con chiarezza che la lotta contro le ecomafie è un capitolo ormai aperto, a disposizione del quale vi sono risorse e strumenti e su cui è necessario il coordinamento. Un buon esempio in tal senso viene offerto da due Commissioni parlamentari d’inchiesta che, pur incontrando un’estrema difficoltà ad operare congiuntamente, hanno tuttavia indetto un convegno di questo tipo. "Coordinamento" è la parola magica che è stata evocata da tutti.

Secondo flash. Nella cartellina che è stata distribuita ai presenti è contenuto un documento approvato dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti e riguardante i traffici illeciti e le ecomafie: si tratta di un testo ponderoso, che abbiamo inviato a tutti i comandanti d’arma, a tutte le procure distrettuali antimafia, alla procura nazionale antimafia. Vi invito a prenderne visione, per un semplice motivo: la Commissione ha la presunzione di ritenere che esso costituisca il quadro sinottico più aggiornato di tutti gli aspetti illeciti (sia quelli amministrativi, sia quelli in cui si registra la presenza della criminalità organizzata) oggi a disposizione del nostro paese. Non pretendiamo di aver esaurito ogni aspetto, ma riteniamo di aver fornito il più completo ed aggiornato scenario. Ho ascoltato gli interventi del generale Siracusa e del comandante Mosca Moschini: sicuramente essi sono a conoscenza di tutto, però occorre dare organicità alle varie questioni, ed è esattamente questo lo sforzo compiuto dalla Commissione.

Il terzo flash è relativo ai traffici internazionali di rifiuti, alle rotte delle ecomafie. Sono scenari preoccupanti: il Mediterraneo, in questo caso da est a ovest e da ovest a est, è attraversato da navi che trasportano di tutto ed è difficilissimo effettuare le indagini. Sappiamo che attorno alle coste italiane sono state affondate 39 navi: si tratta di ipotesi molto attendibili suffragate anche dalle denunce dei Lloyds di Londra, che hanno dovuto pagare premi assicurativi. Nonostante l’eccezionale impegno della procura di Reggio Calabria, titolare delle indagini, e nonostante il forte impegno nostro, non è stato ritrovato neanche un relitto; l’indagine svoltasi su Capo Spartivento si è conclusa con il nulla di fatto.

Qui si apre lo scenario dei traffici internazionali di rifiuti pericolosi e di armi, che investono paesi del terzo mondo quali il Sahara spagnolo, la Tanzania, il Mozambico, la Somalia. Per quanto riguarda quest’ultima, sullo sfondo c’è l’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Anche a tale proposito abbiamo fatto passi avanti; forse siamo ancora lontani dalla verità giudiziaria, ma gli scenari descritti ormai si misurano anche (come dimostra l’audizione che abbiamo svolto l’altro ieri nell’ufficio di presidenza della Commissione d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti) in termini di cittadini somali gravemente ammalati, con sintomatologie, quali screpolamento della pelle, perdita graduale della vista, emorragie, rigonfiamenti, che sono tipiche dei fenomeni di avvelenamento ed intossicazione. In Somalia è stato fatto di tutto: per esempio, una massicciata veniva realizzata con rifiuti pericolosi e vi lavoravano somali perché in caso di morte sarebbero costati solo 100 dollari alla famiglia.

E’ questo il quadro che abbiamo di fronte. Considerando i due fenomeni delle carrette dei veleni (che sembrano non esistere, e di cui tuttavia i Lloyds denunciano la scomparsa) e del traffico di armi, che spesso è di armi e di rifiuti, credo che da questo convegno debba emergere l’ipotesi – che verificheremo assieme – della costituzione di una struttura info-operativa che abbia carattere di osservatorio ma anche possibilità di intervento e che ovviamente sia in diretto contatto con Europol; una struttura di osservazione, informazione ed intervento, in grado di prestare attenzione in particolare al Mediterraneo, che una volta era "Mare nostrum" e che con un facile gioco di parole rischia di essere "Mare monstrum". Occorre una visione più allargata ed ampliata di queste preoccupanti rotte, di questi traffici nei quali sostanzialmente si chiedono ai paesi poveri in via di sviluppo territori per seppellire rifiuti e spesso si danno in cambio armi per le fazioni in lotta tra di loro. Non possiamo fingere di ignorare tutto ciò, dobbiamo muoverci con molta maggiore determinazione e credo che a tale scopo sia indispensabile quel tipo di struttura che ho indicato.

Infine, il pianto sulla mancata previsione nel nostro codice penale dei delitti contro l’ambiente l’abbiamo ascoltato dalle decine, forse centinaia di magistrati che abbiamo sentito in tutta Italia, dalle forze dell’ordine, dalla polizia giudiziaria; come ho sostenuto molte volte, si tratta di una critica esplicita al Parlamento italiano, dalla quale francamente vorrei esentare la Commissione d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti, che già nella precedente legislatura propose tale modifica. Purtroppo le proposte di iniziativa parlamentare e il disegno di legge del Governo giacciono da un anno e mezzo in attesa dell’esame presso le Commissioni riunite ambiente e giustizia del Senato.

Possiamo sperare? Certamente si procede in modo disorganico. Sanzioniamo seriamente il traffico di rifiuti pericolosi, abbiamo sanzionato gli incendi boschivi: benissimo, ma non è questo il modo di procedere. Nei paesi civili, nei paesi europei esiste una legislazione organica in materia di delitti contro l’ambiente. E’ esattamente questa la considerazione che domani, assieme ai vicepresidenti della Commissione d’inchiesta, esprimerò al Capo dello Stato, al quale abbiamo chiesto un incontro proprio sul tema dei delitti contro l’ambiente e dei ritardi del Parlamento nell’approvare disposizioni che sono già in vigore in molti altri Paesi europei.

Faccio presente che il Vicepresidente della Commissione d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti, onorevole Franco Gerardini, non è potuto intervenire ai lavori; ha inviato una comunicazione scritta, che potrà essere pubblicata in allegato al resoconto stenografico del Forum.

Ringrazio, anche a nome del presidente Lumia, tutti coloro i quali hanno preso parte al convegno e dichiaro conclusi i lavori.

Il forum termina alle 14.50.

 

ALLEGATO

COMUNICAZIONE DELL’ON. FRANCO GERARDINI, Vicepresidente della

Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti.

Il fenomeno degli illeciti ambientali, dei delitti contro l’ambiente, ci vede, purtroppo, tra i primi Paesi in un’ipotetica classifica mondiale. Non è una bella cosa e questo problema rappresenta un elemento di forte criticità per una realtà come l’Italia (Il Bel Paese) che punta molto sulla valorizzazione delle sue bellezze paesaggistiche e culturali, sulla qualità dell’ambiente, come fattori di competitività in un mercato economico globalizzato.

Si vive peraltro un’altra grande contraddizione, costituita dal fatto che, sebbene il nostro sia anche il Paese che ha posto attenzione al fenomeno dell’ecomafia, istituendo un’apposita Commissione parlamentare, i danni all’ambiente non sono considerati reati e vengono sanzionati con le contravvenzioni, come un semplice divieto di sosta, un eccesso di velocità.

In me c’è il rammarico di non aver visto in questa XIII^ legislatura l’approvazione del disegno di legge sull’introduzione nel codice penale del titolo VI-bis"delitti contro l’ambiente" e disposizioni sostanziali e processuali contro il fenomeno criminale dell’ecomafia, nonostante la Commissione presieduta dal collega on. Scalia abbia licenziato un testo già nel lontano marzo 1998.

In questi giorni è in discussione, presso la Commissione ambiente della Camera, l’AC 7280, che contiene all’art.27 una norma per punire i traffici illeciti di rifiuti. Una norma importante, che prevede per le attività abusive di ingenti quantitativi di rifiuti la reclusione da uno a sei anni, permettendo così anche il ricorso alle intercettazioni telefoniche. Spero che almeno questo provvedimento diventi legge, sarebbe un importante passo in avanti per contrastare le numerose attività malavitose in questo settore che tanti scempi produce contro la natura.

Del fenomeno delle ecomafie conosciamo ormai tutto, abbiamo svolto un lavoro di analisi ed ipotizzato anche stime sui traffici e gli smaltimenti illeciti. Sono cifre impressionanti e rimanderei per questo alla lettura della relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti pubblicata il 25 ottobre scorso (doc. XXIII n. 47).

Esistono anche rapporti di organismi internazionali, come l’Europol, che svolgono da tempo un’attività di conoscenza, di prevenzione e di contrasto delle attività criminali organizzate a livello transazionale nei fenomeni di traffico e smaltimento illecito di rifiuti pericolosi e materiali radioattivi (rapporto Europol 1999).

Si può ormai affermare con assoluta certezza che le mete privilegiate dei traffici internazionali illegali sono le aree più depresse del mondo, dove non esistono praticamente controlli, dove esiste uno sfruttamento incredibile della manodopera, costituita spesso da ragazzi, dove cioè gli esseri umani sono vittime di qualsiasi tipo di ricatto.

I meccanismi sono ormai ben collaudati ed operano tramite la declassificazione dei rifiuti pericolosi, la falsificazione delle bolle di accompagnamento e dei registri di carico e scarico, l’attività di centri di stoccaggio, trasformati in veri e propri depositi finali di rifiuti, l’affondamento in mare delle cosiddette "carrette dei veleni", spesso cariche di rifiuti radioattivi.

Non contribuisce a rendere efficace un’azione di controllo e di contrasto il quadro normativo relativo ai traffici transfrontalieri. Il problema delle liste dei rifiuti, elaborate in contesti internazionali, come la Commissione europea, l’OCSE, l’UNEP, e della loro armonizzazione, è molto complesso e sentito anche a livello comunitario.

La mancanza di correlazione tra i codici (OCSE, CER, doganali e della convenzione di Basilea ) costituisce un elemento di forte criticità, che non consente un’adeguata conoscenza dei flussi di rifiuti in ingresso ed in uscita. Si evidenzia infatti una rilevante difformità dei dati forniti dalle diverse realtà ( regioni, province, ICE, ecc.), con differenze che superano anche cinque volte il tonnellaggio dichiarato per lo stesso materiale.

E’ necessaria, a tale proposito, un’azione incisiva del Governo in sede UE, in parte già avviata negli organismi competenti della stessa, per armonizzare la "nozione di rifiuto" ed i vari codici di identificazione dei materiali e per rafforzare i controlli presso le dogane. In tal modo si potrà avere un quadro normativo certo ed uniforme per le amministrazioni, il sistema dei controlli, le imprese e gli operatori della giustizia .

Le forze dell’ordine e le autorità giudiziarie che si occupano da anni di queste problematiche, e che qui voglio ringraziare, hanno individuato una rete di personaggi italiani e stranieri che opera da oltre un decennio nel campo dei traffici internazionali e nello smaltimento illegale dei rifiuti, in strutture internazionali coordinate tra loro, con basi operative in diversi Paesi come l’Italia, l’Austria, la Francia, la Germania, la Russia, e strutture finanziarie in altri, come la Svizzera, l’Inghilterra, che operano in modo completamente separato da quelle operative. I profitti vengono poi riciclati in diverse altre attività, legittime e non, e le strutture dell’organizzazione preposte alle stesse dimostrano una continua capacità di evolversi adattandosi alla logica della ricerca del massimo profitto.

Su tutta questa problematica concordo con alcune proposte di Legambiente che, opportunamente, ha istituito un osservatorio su "Ambiente e legalità" che sarebbe da istituire in ogni regione avvalendosi dell’apporto delle istituzioni pubbliche e degli organi locali della magistratura. L’osservatorio di Legambiente ha consentito di alzare il velo sul fenomeno delle ecomafie consentendo a noi tutti, interessati in un modo o nell’altro nell’attività di contrasto, di acquisire le conoscenze necessarie.

Nel rapporto 2000 di Legambiente "I mercati globali dell’economia" sono state avanzate proposte all’Unione europea (ampliamento competenze Europol e recepimento della convenzione per la tutela penale dell’ambiente) ed alle Nazioni Unite (aggiornamento della convenzione sul crimine organizzato transnazionale ed istituzione di una task-force internazionale contro gli ecocrimini) che, se sostenute e/o accolte dai Paesi interessati, contribuiranno ad adeguare gli strumenti di prevenzione e repressione.

Se i fenomeni sono conosciuti, allora è necessario che si adottino le misure più efficaci per sconfiggerli. L’adeguamento della legislazione in materia di alterazione dello stato dell’ambiente e di traffici illeciti rappresenta solo una tappa del lungo percorso ancora da compiere. La scommessa che dobbiamo vincere per il futuro è quella di dar vita ad un progetto originale di sostenibilità economica, sociale ed ambientale.

All’interno di questa scommessa vi è la realizzazione di un sistema industriale che sia caratterizzato in futuro dall’innovazione di processo e di prodotto, che ottimizzi l’impatto sull’ambiente,che internazionalizzi i costi di produzione ed aumenti l’ecoefficienza.

È necessario infatti che si acceleri nel nostro Paese la realizzazione di un sistema di gestione integrata dei rifiuti, un sistema industriale, efficace ed innovativo.

In pratica è assolutamente necessario che si operi per promuovere lo sviluppo moderno delle attività produttive che operano nel settore, perché esprimano un’elevata iniziativa imprenditoriale al fine di dare luogo ad un’offerta articolata ed efficiente di servizi che possano difendere i cittadini dalle conseguenze negative che derivano da una massa crescente di rifiuti. Basti pensare al trend nella produzione di rifiuti speciali che, per esempio, è in crescita con ricadute in termini di impatto ambientale e sanitario assai rilevanti.

Inoltre, all’aumento della produzione industriale, non ha sino ad oggi corrisposto un adeguato impegno da parte dell’imprenditoria che renda efficace la minimizzazione dei rifiuti. Un’imprenditoria, quella del nostro Paese, che ha molti peccati da farsi perdonare, soprattutto se pensiamo all’arretratezza tecnologica rispetto ad altre realtà produttive ed alla grande quantità di aree contaminate, per le quali ancora non si può dire che in Italia esista un censimento completo. Quest’ultima dovrebbe sempre più comprendere che un comportamento ecologicamente corretto costituisce un fattore di competitività da far valere sul mercato. Solo recentemente si assiste ad un miglioramento delle performances ambientali (industria chimica), ma il carico sull’ambiente resta ancora molto elevato. Il consumo di suolo, i prelievi idrici, i consumi energetici, eccetera.

Negli USA le inadempienze in materia ambientale hanno gravi ripercussioni sui bilanci delle aziende e sulle quotazioni delle stesse in borsa.

Il "decreto Ronchi" ha avviato nel nostro Paese un’importante e necessaria riforma nel settore della gestione dei rifiuti.

Una sua puntuale e completa applicazione non solo è in grado di limitare ma può sconfiggere le ecomafie, contribuire ad aprire un mercato, oggi asfittico, per la scarsa competizione tra i gruppi imprenditoriali, stimolare comportamenti positivi da parte dei cittadini per una maggiore tutela ambientale.

Alcuni importanti risultati già oggi si intravedono, in modo particolare per quanto riguarda la raccolta differenziata, che ha raggiunto la percentuale media del 10%, anche se nelle regioni meridionali la percentuale è di poco superiore al 3%.

Il sistema di recupero e riciclaggio degli imballaggi, organizzato tramite il CONAI, rappresenta una realtà ecoambientale (un milione e quattrocentomila aderenti) rilevante, con i suoi circa cinquemila comuni (pari al 60% del totale) che hanno avviato convenzioni e che interessano circa 43 milioni di abitanti (75% della popolazione totale). Su 11 milioni di tonnellate di imballaggi messi al consumo, oltre 4.6 milioni di tonnellate saranno raccolti e recuperati (41% del totale) e di questi almeno il 37% sarà riciclato. Tenendo conto del lavoro che si sta svolgendo, entro il 2002 si riuscirà a centrare l’obiettivo del 50% del recupero come previsto dal "decreto Ronchi". Sono quantitativi che vengono sottratti ad una gestione incontrollata, spesso poco trasparente, e finalizzati correttamente al recupero di materia ed energia.

Per altri aspetti, attuativi della riforma, siamo ancora in ritardo, in modo particolare per quanto riguarda la definizione di accordi di programma interessanti flussi prioritari di rifiuti come: beni durevoli, pneumatici, inerti, ecc., e l’avvio del sistema di produzione ed utilizzo del cdr che presenta forti problematicità sul piano normativo ( è un rifiuto speciale?) e su quello organizzativo (nessun accordo di programma con i ministeri interessati è stato realizzato), con un’offerta impiantistica deficitaria rispetto alla necessità che ha il nostro Paese di trattare e recuperare energia dai rifiuti.

Quest’ultimo è il problema dei problemi, aggravato anche dall’incapacità da parte delle nostre comunità di liberarsi dalla "sindrome di Seveso" e da impostazioni ideologiche sulla termodistruzione dei rifiuti che, invece, oggi ha raggiunto elevati standards di sicurezza, con un forte abbattimento delle emissioni in atmosfera, in particolare per quello che riguarda le sostanze inquinanti come le diossine. Anche per quanto riguarda la bonifica dei siti inquinati si può affermare che questa legislatura ha prodotto interessanti novità sul piano legislativo e su quello squisitamente operativo.

Con la legge n.426/98 è stato individuato un elenco di siti la cui bonifica è stata ritenuta di interesse nazionale, sono stati stanziati centinaia di miliardi, è stata introdotta una modifica all’art.51-bis del d.lgs.n.22/97, per cui il beneficio della sospensione della condizionale della pena (art. 444 cpp) può essere subordinato alla esecuzione degli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale. Ulteriori importanti provvedimenti in materia sono previsti nella legge finanziaria 2001 sia per finanziare ulteriori interventi di disinquinamento sia per agevolarli sul piano civilistico e fiscale.

Inoltre con l’emanazione del decreto ministeriale n.471/99 che stabilisce i criteri, le procedure e le modalità per la bonifica dei siti contaminati, si è messo a disposizione un quadro di riferimento normativo univoco in grado di superare la frammentarietà delle precedenti norme regionali.

L’insieme di tutte queste iniziative, oltre ad elevare in maniera qualitativa l’efficacia e l’efficienza dell’intero sistema di gestione dei rifiuti, rendendolo così un fattore di crescita della qualità della vita, costituisce un potente antidoto contro le attività criminali nei confronti dell’ambiente.

Queste ultime saranno sconfitte quando la classe politica capirà fino in fondo, facendo così un grande salto culturale, che parlare di rifiuti significa avere di fronte non un problema ma una grande opportunità di sviluppo economico e sociale, e per noi italiani anche una grande battaglia di civiltà e moralizzazione della vita pubblica.