PRIMA SESSIONE
Condizioni per il decollo del sistema industriale di gestione dei rifiuti in Italia
Presidenza del professor Giorgio Giorgetti
Massimo S
CALIA, Presidente della Commissione parlamentare dinchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse. Possiamo cominciare i nostri lavori, con lindirizzo di saluto del professor Salvemini.Severino S
ALVEMINI, Prorettore dellUniversità Commerciale Luigi Bocconi. Gentili signore e signori, anche a nome del professor Ruozi, rettore di questa Università, che oggi purtroppo è fuori Milano, porgo un benvenuto in questo Ateneo e un augurio di buon lavoro per questo convegno. Ringrazio per aver preso liniziativa di questo convegno gli organizzatori della Commissione parlamentare dinchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse, che qui è rappresentata dal Presidente Scalia e da altri parlamentari e che si è molto impegnata in questi ultimi anni per far conoscere la realtà e anche per individuare delle linee di azione su questo tema così importante, e dellIEFE, qui rappresentato dal professor Vaccà.Ritengo che riguardo al titolo del convegno sia molto importante la sottolineatura di "sistema industriale" per la gestione dei rifiuti, con tutto quello che evoca questo termine. In altre parole un sistema non episodico, bensì pianificato e razionale, nel cui ambito effettivamente si possano avere tutte le azioni per gestire le scarse risorse del nostro Paese e uno sviluppo dellimpresa e delleconomia compatibile, con unattenzione particolare verso la tutela dellambiente e della società.
Mi permetto di aggiungere che si tratta di una visione che considera i rifiuti non solo come un problema da affrontare nel momento dello smaltimento del ciclo di consumo, ma anche come una risorsa da affrontare con una logica industriale e quindi con dei momenti imprenditoriali di economicità.
Ritengo che la presenza annunciata con liscrizione di molti autorevoli rappresentanti del mondo dellindustria e del mondo dellimpresa, dellaccademia e anche della politica sia la garanzia dellinteresse di questo convegno e spero anche del successo in termini di apprendimento e di discussione delle linee di azione.
Ringrazio molto i partecipanti per essere intervenuti oggi. Sono a conoscenza che oggi pomeriggio si terrà un evento di concorrenza massiccia a questo convegno, quindi speriamo che esso possa essere più efficiente degli altri impegni che ci sono nel pomeriggio o che linteresse sia talmente alto da poter reggere questo tipo di concorrenza.
Concludo, augurando buon lavoro a tutti.
Giorgio G
IORGETTI, IEFE Bocconi e Università di Genova. Il professor Salvemini, ovviamente, si riferiva al fatto che oggi alle 18 cè un importante convegno sulla politica industriale nel campo del genoma modificato! Vi parteciperanno sette premi Nobel e speriamo che uno dei due portieri abbia qualche problema.Iniziamo con la relazione introduttiva di Massimo Scalia, Presidente della Commissione dinchiesta.
Massimo S
CALIA, Presidente della Commissione. Le iniziative e gli argomenti su cui la Commissione parlamentare dinchiesta si è impegnata in questi tre anni, per conoscere la realtà e indicare ove possibile le soluzioni ai problemi, investono tutte le tematiche del ciclo dei rifiuti: dalla gestione dei rifiuti radioattivi ai delitti contro lambiente, dalla lotta alle ecomafie al funzionamento dellistituto dei commissariamenti per lemergenza. Tra tutti questi temi una grande attenzione è stata data costantemente dalla Commissione allinsieme delle imprese operanti nel settore e allo sviluppo di queste verso un sistema, nella convinzione che solo un sistema industriale possa realizzare una gestione integrata del ciclo che, accanto ai rifiuti solidi urbani, tenga conto anche dei rifiuti speciali e degli aspetti, in generale più complessi, che comporta il loro recupero e il loro smaltimento.Unattenzione testimoniata dai documenti tematici che la Commissione ha dedicato a tali problematiche, ed in particolare alle "proposte per la realizzazione di un sistema industriale nella gestione dei rifiuti, a gli incentivi alle imprese per lo sviluppo sostenibile" e "al documento di lavoro della direzione generale XI della commissione europea inerente alla modifica della direttiva 94/62/CEE". Unattenzione che è stata confermata dagli incontri "in presa diretta" che abbiamo avuto con i gestori degli impianti e con gli esponenti delle associazioni imprenditoriali, nelle missioni che la Commissione ha effettuato nelle regioni del nostro Paese.
La Commissione ha cominciato i suoi lavori proprio tre anni fa, pochi mesi dopo che era stato emanato il decreto legislativo n. 22 del 1997 il "decreto Ronchi" che ha segnato per lItalia ladeguamento almeno a livello normativo ad una visione che considera i rifiuti non un problema da affrontare nel solo momento dello smaltimento, ma una risorsa da sfruttare a diversi livelli: recupero, riciclo, riuso.
Oggi, a tre anni dal "decreto Ronchi", ci è sembrato necessario, e sicuramente utile, tentare di tirare le somme e valutare se in questo lasso di tempo si siano poste le basi per la nascita di un sistema industriale in grado di garantire la gestione integrata del ciclo dei rifiuti; se lepoca del far-west sia stata davvero superata; soprattutto, se tutti coloro che debbono impegnarsi in questa che è anche una scelta di civiltà stanno facendo davvero la loro parte. Insomma, vogliamo comprendere se lItalia sta voltando pagina o meno.
Come ogni appuntamento pubblico organizzato dalla Commissione, anche questo vuole essere un confronto con tutti gli operatori, ed un ulteriore momento di conoscenza per avere sempre più strumenti a nostra disposizione per comprendere la situazione. E ci è sembrato logico convocare questo appuntamento a Milano, non soltanto perché la città ha dovuto affrontare, in un passato non lontano, una drammatica emergenza in materia di rifiuti, superata peraltro in pochi mesi grazie a scelte avanzate e coraggiose che hanno di fatto anticipato le scelte contenute nel "decreto Ronchi", ma anche perché, in un confronto che vuole valutare lo stato dellarte delle imprese di settore e le prospettive, Milano appare, al di là di ogni retorica, una sede, come dire, "obbligata". Abbiamo poi ritenuto opportuno che questo convegno si potesse giovare di una sede accademica prestigiosa, lUniversità Bocconi, la cui ospitalità voglio subito ringraziare. Da qui il rapporto con lo IEFE, per assicurare alle valutazioni che proporremo al Parlamento e al Governo lindispensabile contributo dellanalisi economica e delle sue inferenze pratiche. La Commissione, come detto, ha prestato da subito grande attenzione al tema di un coinvolgimento attivo dellimprenditoria per la creazione di un sistema industriale, tecnologicamente avanzato, per la gestione integrata dei rifiuti. Tale argomento, alla base dei tre documenti che ho prima richiamato, è stato ricompreso nella relazione sul biennio di attività svolta, approvata lo scorso mese di novembre. Sottolineo questultimo aspetto poiché tale relazione è stata oggetto di un dibattito in aula alla Camera dei deputati fatto del tutto inedito per le relazioni delle commissioni dinchiesta conclusosi con il voto di una mozione di impegni per il Governo (approvata col parere favorevole dellesecutivo) nella quale erano indicati e suggeriti strumenti per agevolare la crescita e lo sviluppo del sistema industriale nel settore dei rifiuti.
Prima di ogni considerazione è opportuno dare uno sguardo dinsieme alla situazione che abbiamo di fronte, tenendo distinti il ciclo dei rifiuti solidi urbani da quello dei rifiuti industriali, che hanno caratteristiche e problematiche assai diverse tra loro, anche se presentano come minimo comune denominatore unofferta impiantistica deficitaria rispetto alla richiesta.
Per quanto riguarda i rifiuti solidi urbani, la Commissione ha più volte avuto modo di segnalare come lItalia sia purtroppo un Paese non a due, ma addirittura a tre velocità, come appare evidente non appena si assuma come parametro la raccolta differenziata. Abbiamo infatti un Nord sostanzialmente al passo con i partner più virtuosi dellUnione europea (fatte alcune eccezioni, tra cui la Liguria), il Centro sta faticosamente adeguandosi a tali obiettivi, mente il Meridione (con tutte le regioni in stato demergenza, salvo la Basilicata) sconta ritardi e disattenzioni storiche, per cui solo oggi assiste alla nascita di un nuovo sistema di gestione dei rifiuti. Ma se questo è vero per la raccolta differenziata, non dobbiamo dimenticare che gli obiettivi previsti dalla legge riguardano il recupero. Per essere più chiari: a cadenza regolare vengono pubblicate classifiche per i comuni che sono in testa alla raccolta separata i comuni "ricicloni" ma in realtà il punto da mettere a fuoco è qual è la sorte dei materiali raccolti in questa maniera.
Se guardiamo alle destinazioni "ufficiali" di tali materiali, ci accorgiamo infatti che la quota di recupero è inferiore a quella della raccolta differenziata e ciò indica che a tuttoggi una parte dei materiali così raccolti sono inviati in discarica per lo smaltimento finale, quando non smaltiti in modo illecito, come questa Commissione ha avuto modo di constatare in maniera diretta in varie occasioni. Si tratta di due elementi il cui "combinato disposto" rischia di avere ripercussioni assai negative sullatteggiamento dei cittadini, dal cui comportamento è bene ricordarlo dipende in larga misura la possibilità di rendere anche in Italia i rifiuti una risorsa. Infatti, il cittadino del comune che viene a sapere che i rifiuti che lui ha separato sono poi confluiti in un mucchio (lecito o illecito, non ha importanza) ha tutto il diritto di sentirsi preso in giro dalla pubblica amministrazione. È fondamentale evitare che ciò accada, ed in questo senso è necessario che vi sia da parte di tutti gli attori il massimo impegno.
Debbo però dire con franchezza che ancora non ci sembra sia diffuso un tale impegno, almeno al livello che sarebbe necessario. Nel corso delle nostre missioni nelle singole realtà territoriali italiane, abbiamo sempre voluto avere un momento di confronto con le pubbliche amministrazioni, nonché, come ricordavo allinizio, con le espressioni dellimprenditoria locale. Ebbene di rado abbiamo potuto riscontrare dibattiti o tensioni che andassero al di là della dislocazione di una discarica; e quando tale punto veniva superato era perché il dibattito (e la tensione) si era trasferito sulla realizzazione o meno di un impianto di termodistruzione.
Ecco un aspetto su cui riflettere: la forma di recupero che pare di
gran lunga la più appetibile allimprenditoria è quella energetica, grazie anche
al meccanismo del CIP6 e quindi alla vendita dellenergia prodotta con una tariffa
assai remunerativa. Si tratta insomma di una forma di investimento come dire
"assistito", che riduce drasticamente i rischi di impresa. E non è un caso se a
tuttoggi i più significativi project financing realizzati in Italia sono nel
settore della produzione termoelettrica alimentata dal tar gassificato, in quanto
ampiamente tutelati proprio dal CIP6.
Non voglio con questo affermare che non vadano previste agevolazioni: ma è necessario ed urgente capire perché allimprenditoria italiana interessi sostanzialmente poco il riciclaggio di materiale, per intervenire e consentire lo sviluppo di un vero mercato anche in tale settore. Cè un elemento sul quale la Commissione insiste, e riguarda il futuro sicuro che il ciclo dei rifiuti ha dal punto di vista economico, poiché i rifiuti continueranno ad essere prodotti, a un ritmo che, anche ove si realizzassero le riduzioni alla fonte previste dalla normativa, sarà ancora per molto tempo di molte decine di milioni di tonnellate allanno, tra rifiuti solidi urbani e speciali. Non ce insomma in futuro il problema della mancanza di "materia prima".
Per stare al recupero di materiale, va detto che in questo contesto qualche cosa si muove. Nel 1998, infatti, sono state avviate a recupero oltre 2 milioni e 700 mila tonnellate di rifiuti da imballaggio (parte delle quali tuttavia provenienti dallindustria e non dai comuni), con un incremento di circa 800 mila tonnellate rispetto allanno precedente: siamo però ancora molto al di sotto delle necessità e degli obiettivi di legge. Ed anche in questo caso mi pare opportuno notare come il decollo del sistema di recupero degli imballaggi si è avuto solo quando ladesione al Consorzio nazionale da volontaria è divenuta per legge obbligatoria: si è cioè rinunciato a far leva sulla politica della "responsabilità condivisa" e si è dovuti intervenire con il metodo del "comando e controllo".
Ad una simile situazione fa da contraltare un atteggiamento della pubblica amministrazione, ancora non del tutto adeguato in vari casi per nulla adeguato a fornire soluzioni efficienti ai problemi che il ciclo dei rifiuti pone. Quasi ovunque, in Italia, la pianificazione deve scontrarsi con la diffusissima sindrome Nimby (Not in my backyard), per cui chiunque è daccordo sulla necessità di realizzare un impianto di smaltimento o di trattamento, ma sempre qualche chilometro più in là.
A questo proposito si scontano due elementi che si sono accumulati ed aggravati nel tempo: gli anni di far-west in materia di rifiuti che abbiamo alle spalle hanno ingenerato in ampi settori della popolazione la convinzione che laddove si parli di questo ciclo dimpresa vi sia senzaltro qualcosa che "puzzi" (non soltanto a livello olfattivo). Un impianto di smaltimento o di trattamento è visto come un luogo dove sicuramente non si farà quello che si propone, come una fabbrica che inquina lambiente, uccide le possibilità economiche locali e farà crescere le malattie e i tumori. A fronte di questa sindrome che, al di là di corrette e circostanziate denunce, la Commissione ha sempre contrastato, non giovano certo gli atteggiamenti, che potrebbero essere definiti "disinvolti", di imprenditori e di amministratori che rischiano di giustificare i peggiori allarmismi. Dobbiamo metterci tutti nelle condizioni di dimostrare che la realtà non è questa: è un passo fondamentale perché un sistema industriale sia in grado di porsi in marcia con tutte le sue potenzialità.
Il secondo elemento riguarda in particolare la termodistruzione: a prescindere dalla scelta o meno di un modello di trattamento (ma su questo tornerò tra breve) ciò che complica la situazione è la memoria di Seveso, nome che regolarmente salta fuori non appena si parla di impianti di questo tipo, con il corollario di emissioni di diossine che potrebbero fuoriuscire. È un aspetto di cui si deve tenere conto e non si può pensare di superarlo se non con il coinvolgimento ed il confronto con cittadini, come è accaduto ad esempio in Calabria, dove lufficio del Commissario delegato sta svolgendo in questo senso un eccellente lavoro: i due sistemi "Calabria nord" e "Calabria sud" con gli impianti di termodistruzione e di produzione, che sono in grado di decollare probabilmente entro lanno. Non tutti i cittadini possono ovviamente essere convinti, ma linformazione capillare e corretta e un incessante confronto stanno rendendo possibili e largamente condivise scelte che altrove, ma inizialmente anche lì, avevano suscitato reazioni vivacissime se non moti popolari.
Gli addetti ai lavori sanno bene che i termodistruttori di ultima generazione hanno standard di sicurezza assai elevati, con un forte abbattimento delle emissioni: in particolare, per quello che riguarda le diossine, si è guadagnato un fattore quasi mille rispetto agli impianti precedenti, spingendosi sotto i 0,1 nanogrammi/Nm3, cioè meno di una discarica. Tuttavia questo non deve significare che al disastroso modello "tutto in discarica" si possa sostituire un modello "tutto allinceneritore", non conveniente né dal punto di vista economico né dal punto di vista occupazionale, oltre ad essere in contrasto con la lettera e la filosofia della normativa nazionale e comunitaria.
Eppure è su questo tema che si continuano a registrare pressioni e proposte di modifica alla normativa che tenderebbero anche a centralizzare i meccanismi autorizzatori per questo tipo di impianti; unipotesi sulla quale non è possibile concordare, giacché verrebbero di fatto sottratte agli enti territoriali competenti rilevanti potestà in termini di governo del territorio stesso.
Allargando però il discorso, va detto come in pratica tutti gli studi (alcuni dei quali li trovate nella cartellina in distribuzione) dimostrano che solo puntando in maniera più consistente sul recupero di materiale rispetto al recupero di energia si possono ottenere vantaggi in termini economici ed occupazionali. Ma perché uno scenario del genere possa essere posto in pratica è necessario il coinvolgimento dellimprenditoria, una sua maggiore attenzione verso questo ciclo dimpresa. Ad oggi, invece, il settore del recupero di materiale pare ancora poco appetibile.
A tale proposito permettetemi di fare nuovamente riferimento alla risoluzione approvata al termine del dibattito nellAssemblea della Camera l11 gennaio 2000 sulla relazione sullattività svolta dalla Commissione: in tale risoluzione il Governo viene impegnato su una serie di punti, tra questi la facilitazione dellEnvironmental Management Audit Scheme (Emas), lattivazione di un sistema di incentivi per le imprese per favorire ladozione di tali sistemi, nonché lindividuazione di soluzioni per sostenere il mercato dei prodotti in materiale da riciclo. Tutto questo nella convinzione che vadano trovati e adoperati tutti gli strumenti utili a raggiungere nel minor tempo ragionevolmente possibile standard accettabili di efficienza e modernità nella gestione dei rifiuti. Caratteristiche che non riguardano voglio sottolinearlo solo la fase del trattamento e dello smaltimento, ma anche quelle della raccolta e del trasporto. Significativo, per questo aspetto, il ruolo che stanno assumendo le Ferrovie dello Stato e su cui tornerò in seguito.
E interessanti prospettive si possono aprire in un settore come quello delle bonifiche al quale dobbiamo tutti guardare con grande attenzione. Lo Stato ha già finanziato lavvio di queste operazioni in 14 aree particolarmente degradate dal punto di vista ambientale (accanto ad aree industriali troviamo anche Pitelli, il litorale domizio-flegreo e lagro aversano, cioè zone letteralmente devastate dalla gestione illecita dei rifiuti). Sono in itinere altri interventi legislativi analoghi, e credo che proprio la bonifica dei territori contaminati sarà una delle maggiori opere pubbliche da realizzare nei prossimi anni in Italia. Tali interventi, penso al caso di Porto Marghera o a quello di Bagnoli, potranno rappresentare anche un importante stimolo per la ricerca delle migliori tecnologie in grado di decontaminare aree interessate da fenomeni di inquinamento di notevole portata, come pure, nel rapporto tra imprese e istituzioni, un test assai significativo di "responsabilità condivisa".
La questione delle bonifiche pone in evidenza i rifiuti di origine industriale, che in quantità e in qualità pongono problemi maggiori che non i solidi urbani, ma sui quali si fatica sempre molto ad accendere lattenzione dei media e, quindi, dellopinione pubblica.
Eppure la produzione di rifiuti speciali è stimata in valori più che doppi rispetto ai solidi urbani (quasi 61 milioni di tonnellate contro 27 milioni di tonnellate nel 1997), con ricadute in termini di impatto ambientale e sanitario assai più rilevanti rispetto ai solidi urbani, e con costi di gestione sensibilmente maggiori, che attirano anche gli appetiti dellimprenditoria deviata e delle organizzazioni criminali.
Dei 60 milioni di tonnellate di rifiuti speciali sopra ricordati, solo di 46 milioni di tonnellate si conosce lesatta destinazione: già questi dati dovrebbero dirci quanto sia delicata la situazione. Purtroppo se andiamo a verificare tali stime, vediamo come lo stato dellarte sia peggiore: unindagine sul campo realizzata dalla regione Toscana ha mostrato come il valore stimato della produzione di rifiuti industriali andasse moltiplicato per 2,16 per ottenere un dato più vicino alla realtà. Un fattore che non possiamo certo estendere a tutto il territorio nazionale, ma che fa ritenere verosimile sulla scorta di altri dati in possesso della Commissione una produzione di rifiuti speciali pari a oltre 80 milioni di tonnellate.
Ciò porta alla conclusione che di quasi la metà dei rifiuti speciali italiani non si ha un controllo. Inoltre, il trend nella produzione di rifiuti speciali è in crescita: allaumento della produzione industriale non ha infatti a tuttoggi corrisposto un impegno da parte dellimprenditoria che renda efficace la minimizzazione dei rifiuti stessi. Unindagine che abbiamo condotto presso le aziende a rischio di incidente rilevante ed altri grandi produttori di rifiuti speciali e pericolosi (tra cui la Fiat e lEnel) ha evidenziato come da questo punto di vista si registra un ritardo anzitutto culturale nella gestione dei rifiuti. Ritardo che si ripercuote anche quando debbono essere espletate le formalità spesso complicate connesse agli impegni ambientali delle aziende: tutti questi aspetti se costituiscono, almeno in parte, dei vincoli che possono in qualche misura essere alleggeriti, sono però anche occasioni assai significative nella ricerca e nellinnovazione tecnologica.
Non credo che una situazione così compromessa possa essere risolta con un atteggiamento panpenalista: non credo cioè che i problemi possano essere risolti soltanto prevedendo pene pesanti per chi non adempie agli obblighi di legge, anche se sono convinto ed è ferma e unanime convinzione di tutta la Commissione che nel nostro codice penale debbano essere inserite le fattispecie dei delitti contro lambiente, passo già compiuto anche da Paesi coi quali la competizione è più recente, come ad esempio la Spagna. Voglio anche ricordare come negli Stati Uniti le inadempienze in materia ambientale hanno gravi ripercussioni sui bilanci delle aziende, che subiscono non solo sanzioni rilevanti ma anche conseguenze negative dirette sulla loro quotazione in Borsa. Dopo una stagione, alla fine degli anni Ottanta e primissimi anni Novanta, di formidabili multe comminate dallEpa e di azioni di risarcimento per danni alla salute (vicende oggetto anche di vari film di successo) linsieme delle imprese statunitensi si è largamente convinto che un comportamento ecologicamente corretto è un fattore di competitività da far valere sul mercato.
Esiste, come detto, una difficoltà di conoscenza che non è possibile
superare smantellando il sistema di controllo basato sui Mud, come invece vorrebbero
alcune proposte di modifica allattuale normativa. Quel sistema è insufficiente, ma
necessario; si tratta di modificarlo, puntando anche sulle nuove tecnologie che
consentirebbero da un lato delle semplificazioni e dallaltro di avere in tempo reale
la conoscenza dettagliata delle operazioni del ciclo. La Commissione ha avuto modo di
interessarsi in un apposito gruppo di lavoro di queste tematiche e di valutare il progetto
che lAnpa sfruttando le risorse informatiche e della telematica sta
mettendo a punto per la gestione amministrativa di tutte le procedure e le operazioni del
ciclo dei rifiuti, sistema che andrà
ad implementare e, in prospettiva, a sostituire lattuale metodologia di gestione
curata dalle Camere di Commercio.
Dotarsi di un tale sistema allavanguardia a livello internazionale consentirebbe non solo una conoscenza dettagliata della realtà, ma anche di espellere dal mercato gli imprenditori deviati e le organizzazioni criminali che producono guasti non solo allambiente, ma anche allintero settore economico praticando una forma di concorrenza sleale basata sullabbassamento selvaggio dei costi grazie al non rispetto delle regole. Su questo tema, come su vari altri, credo che si possano e si debbano realizzare delle sinergie tra imprenditori, amministratori e organi di controllo che garantiscano il pieno rispetto delle regole da parte di tutti: un esempio di "responsabilità condivisa", che può consentirci di superare le politiche di "comando e controllo".
Ma allimprenditoria di settore è richiesto di più, perché questo non è un ciclo economico come gli altri, specie se parliamo di rifiuti solidi urbani: questo mercato ha infatti dei clienti, ma soprattutto degli utenti, vale a dire i cittadini. Una recente indagine della Commissione ha messo in evidenza, in maniera in parte sorprendente, un fitto reticolo di contatti, tra diversi gruppi imprenditoriali, che denota una situazione di mercato tuttora asfittico. Accordi e interconnessioni, a volte confermati da clausole di "non concorrenza": sottoscrivere clausole di "non concorrenza" penalizza proprio i cittadini, poiché solo la competizione tra i gruppi imprenditoriali porta ad una sempre maggiore efficienza nella gestione del ciclo e al conseguente abbassamento dei costi. Nel corso dei nostri lavori ci siamo invece trovati di fronte a gare esperite col criterio del massimo ribasso cui partecipavano oltre 10 ditte, aggiudicate a chi offriva un ribasso dello 0,4 per cento. Francamente è difficile definire questo un esempio di mercato sano.
Anche in questo settore economico dobbiamo purtroppo riscontrare la presenza, già più volte ricordata, delle organizzazioni criminali che penalizzano e distorcono il mercato; è un elemento cui le istituzioni danno massima attenzione, come dimostra tra laltro lesistenza stessa della Commissione che presiedo. Certo è paradossale che quando si parla di ecomafie o di smaltimenti illeciti si ha la sensazione che per il grande pubblico in Italia questo problema sia invisibile; negli Stati Uniti, ad esempio, una serie televisiva di successo The Sopranos ha avuto per protagonista un mafioso che portava la sua "famiglia" a investire proprio nello smaltimento illecito di rifiuti. Ma se passiamo dalla percezione della realtà alla realtà, allora laumentata vigilanza e il decollo del sistema dei controlli, la crescita del numero di illeciti che vengono denunciati e perseguiti, quindi la lotta alle ecomafie, sta segnando degli importanti passi avanti. Lazione della magistratura e delle diverse forze di polizia giudiziaria oggi su questo terreno intervengono il Nucleo Operativo Ecologico dei Carabinieri, il Corpo forestale dello Stato, la Polizia di Stato, la Guardia di Finanza e lo stesso Sisde pur nelle difficoltà già ricordate, sta conseguendo efficacia di intervento e risultati significativi. Si stanno creando insomma le condizioni per la costituzione di un mercato che marginalizzi la presenza delle organizzazioni criminali, compito al quale ci sentiamo di chiamare tutti, anche gli imprenditori.
Non mancano, per fortuna, gli esempi positivi. È significativo notare che una metropoli come Barcellona ha visto proprio nellesperienza di Milano il modello da seguire per la gestione dei propri rifiuti; e che le aziende italiane realizzano impianti a tecnologia innovativa per la gestione dei rifiuti in diversi Paesi del mondo, non solo in aree in via di sviluppo ma anche in Stati come il Canada. Si sta sperimentando con successo la tecnica che trasformando in "biocubi" il materiale destinato alla termodistruzione renderà più agevole la gestione di tale prodotto. E ancora, proprio in Italia, il "Pet" da riciclo viene separato in vari impianti dal funzionamento ottimale, che danno lavoro, si impegnano nel miglioramento anche sofisticato delle tecnologie e producono un materiale che, ad esempio, viene utilizzato per la carenatura degli scooter: soluzione che ha destato lattenzione di una marca automobilistica come la Bmw. A Reggio Calabria, nellarea di Sambatello, dove è finalmente partito un impianto ritardato da gravi vicende malavitose, si sta, tra lalto, sviluppando la tecnologia della bioremediation per la bonifica di tutta un area. Nella tecnologia avanzata dedicata allambiente lItalia grazie al Cnr può vantare un sistema di lettura del territorio (la piattaforma aerea Lara) di assoluta avanguardia a livello internazionale. E, ovviamente, tantissimi altri esempi si potrebbero citare, tra i quali i livelli veramente soddisfacenti che molte aziende di centri urbani grandi e medi in questi anni alcune di loro sono diventate società per azioni hanno raggiunto.
Voglio solo, concludendo su un aspetto innovativo per il nostro Paese, ricordare il ruolo importante che sta assumendo il trasporto dei rifiuti su ferro: laccordo tra le Ferrovie dello Stato e il comune di Roma che da solo rappresenta il 6 per cento circa dei rifiuti solidi urbani prodotti in Italia prevede, a cominciare da settembre, la sottrazione al traffico della capitale di 120 camion al giorno. E sempre sul ruolo del trasporto, più sicuro e controllabile che le Fs possono garantire, i fanghi derivanti dalla bonifica dellAcna di Cengio, se si concluderà laccordo con le società tedesche proprietarie, potranno essere rimossi e avviati in Germania via ferro alle miniere di salgemma, già testate allo scopo. Si aprono insomma interessanti prospettive in questo che è un business di grande rilevanza, basti pensare a Bagnoli e a Porto Marghera.
Non abbiamo lambizione non dico di risolvere, ma neanche di affrontare tutti i problemi e tanto meno lo richiediamo a questo convegno ma ci poniamo nellottica di Hari Seldon, lo scienziato ideato da Isaac Asimov nella sua Trilogia dellimpero galattico, che, grazie alla "psicostoriografia", progetta una drastica riduzione dei tempi di barbarie cui avrebbe portato il crollo dellimpero. Ecco la questione: ridurre lo spazio temporale che ci separa dallattuale situazione ad un sistema moderno, efficiente e sano, ad un ingresso in Europa di tutto il Paese anche per la gestione dei rifiuti. Con il contributo di tutti, e nonostante le difficoltà e le urgenze, credo che riusciremo ad assolvere a questo compito.
Giorgio G
IORGETTI, IEFE Bocconi e Università di Genova. Spero che non serva ricorrere al Mule per i non aficionados di Isaac Asimov, il dittatore della galassia centrale, che era anche un mutante!Ringrazio il Presidente Scalia. Abbiamo previsto due interventi, che si misurano con alcuni aspetti della relazione: il dottor Sbandati di Crs-Proaqua, poi il professor Vaccà dello IEFE Bocconi.
Andrea S
BANDATI, Crs-Proacqua. Il mio intervento concerne in particolare quella parte del mercato, che si riferisce ai rifiuti urbani. Ho avuto occasione di svolgere con il dottor Cima un lavoro, in cui abbiamo provato ad identificare le grandezze tecniche ed economiche del mercato dei rifiuti urbani in Italia. Il mio compito oggi è quello di illustrare quali siano alcune caratteristiche strutturali del mercato e gli elementi di distorsione più rilevanti, che abbiamo evidenziato e che sono da porre alla base eventualmente di elementi di un intervento correttivo.Da questo punto di vista quello attuale è forse, vista anche la presenza della Commissione parlamentare, unoccasione per uno scambio di opinioni sulle soluzioni al problema.
Quello dei rifiuti è un settore in cui la sfida che intravediamo è quella di un matrimonio fra la sfera delle politiche ambientali e la sfera delle politiche industriali. È un argomento non semplicissimo, ma il punto di domanda alla normativa recente, il "decreto Ronchi", per gli obiettivi che pone al sistema è: è possibile raggiungere quegli obiettivi di politica ambientale senza una politica industriale? La risposta che ci stiamo dando, in merito alla quale ognuno può avere una propria opinione, è negativa, nel senso che soltanto un decollo industriale del settore è condizione per raggiungere gli obiettivi di politica ambientale. Spesso questi due pezzi del ragionamento sono stati un po distanti fra loro, forse ora è il momento di capire in che modo anche attraverso la lettura degli strumenti più moderni che sono utilizzati in materia, le due questioni si possano sposare.
Voi sapete che il settore dei rifiuti urbani in Italia ha tutte le grandezze tipiche di un settore industriale robusto. Nel 1997 avevamo 8400-8500 miliardi di costi, è probabile che questi livelli nel 2000 siano circa 9000 miliardi e forse operando unestrazione di costi-ombra della pubblica amministrazione si potrebbe anche arrivare intorno ai 10 mila miliardi. Si tratta di un settore che comprende solo i rifiuti urbani; poi ci sono quelli speciali, anche questo un settore di estremo interesse, con 60 mila addetti. Si fanno ancora pochi investimenti in questo settore. Le analisi che abbiamo fatto sui dati ISTAT dellultimo decennio ci danno una risultanza di 500-600 miliardi lanno, molto pochi: anche se il trend di investimento in questo settore è positivo rispetto al dato medio degli investimenti in opere pubbliche in Italia, però rimane sempre strutturalmente basso. Questa è unevidenza e non cera bisogno di andare a guardare i dati Istat per capirlo, però è una conferma di quello che si percepisce e cioè che gli investimenti in impiantistica in questo Paese non si sono fatti, non si sono potuti fare spesso e in alcuni casi non si sono voluti fare.
La struttura delle offerte è ancora abbastanza polverizzata, abbiamo 175 aziende pubbliche, 250 aziende private, abbiamo ancora 3600 sistemi di economia, il che significa che quattromila gestori che si dividono un po questo mercato. Facendo qualche altra divisione, si tratta ancora di un assetto industriale dellofferta che opera su bacini di utenza molto piccoli, in media 15 mila abitanti. Anche le aziende pubbliche che hanno dimensioni più grandi anche per motivi istituzionali, perché lavorano in grandi città, non superano bacini medi di 100-150-200 mila abitanti. Se si escludono le grandi città, che per forza di cose hanno un monopolio locale di grandi dimensioni, per il resto si tratta ancora di dimensioni piccole. Le strutture dellofferta e della domanda sono ancora fortemente polverizzate. Se guardiamo come eravamo messi nel 1997 e come siamo messi oggi, possiamo sintetizzare il settore e riscriverlo in forma ancora abbastanza arretrata. Abbiamo completato una buona diffusione di penetrazione dei sistemi minimi di raccolta in Italia si riesce a portar via i rifiuti non abbiamo ancora indicatori interessanti su un elemento che ci testimonia la complessità organizzativa sulle raccolte differenziate.
Al di là del valore ambientale di queste, la percentuale di raccolta differenziata può anche essere utilizzata anche come un indicatore di complessità organizzativa, cioè di capacità di adattamento del sistema a un sistema più complesso. Abbiamo ancora livelli abbastanza bassi di raccolta differenziata, li avevamo nel 1997 e continuiamo ad averli ancora oggi.
Il dato che ormai è ripetuto tutte le volte è quello drammatico di arretratezza tecnologica sul lato dello smaltimento: continuiamo a smaltire l80 per cento dei rifiuti in discarica. Questi sono gli elementi che ci testimoniano unarretratezza, per cui credo che largomento di voler modernizzare e industrializzare il settore sia di estrema attualità, anche perché la sfida che abbiamo di fronte, raggiungere il 35 per cento di raccolta differenziata, quindi non andare più in discarica e costruire gli impianti con il recupero energetico, sono obiettivi che vengono stimati in 20 mila miliardi di investimento, che richiedono quindi uno sforzo di modernizzazione molto forte sul lato tecnologico; ma anche sul lato organizzativo non si raggiungono questi livelli di raccolta differenziata se non si pone mano anche alle caratteristiche della capacità gestionale dei gestori sul lato dellofferta.
È poco probabile che si raggiunga questo obiettivo con 4 mila gestioni in economia. Abbiamo quindi molti elementi di debolezza del sistema, che sono ormai sotto gli occhi di tutti. Abbiamo questo scarso livello tecnologico, abbiamo anche uno scarso livello di integrazione di questi settori con altri, quello energetico in particolar modo, il che non dà quindi altri elementi che in altri Paesi hanno trascinato la modernizzazione. Abbiamo, ma oggi non avremo tempo di parlarne anche se è di estremo interesse, un sistema di remunerazione di questo servizio che è primitivo: una tassa comunale concepita in un modo assolutamente strano, che non rappresenta in nessun modo un elemento che possa essere posto alla base di una politica industriale, di investimento o economica. Gli operatori esteri che vengono a parlarci in Italia ci chiedono il funzionamento del sistema di remunerazione: si risponde loro che si tratta di una tassa che il comune prende, non copre i costi e così via. La gerarchia industriale dei servizi è sempre collegata a una gerarchia di raffinatezza e di evoluzione dei sistemi tariffari. Tutti parlano bene del gas, che è la madre dei nostri servizi, tutti parlano male dei rifiuti.
Vorrei concentrate il mio intervento su un paio di elementi. I costi del servizio nel nostro Paese sono raddoppiati dal 1989 al 1996, essendo passati da 4.300 miliardi a 8.500 miliardi. Voi capirete che in quel periodo non è successo nulla di strutturale nel nostro Paese. Tale era la raccolta differenziata nel 1989, tale nel 1996; tali erano gli smaltimenti in discarica nel 1989, tali erano nel 1996. Non abbiamo raddoppiato il costo del servizio per portare un Paese dalla preistoria alla modernità. Si tratta un argomento sul quale, anche quando studiavamo insieme al dottor Cima, non è stato facile riflettere e capire esattamente il perché di questo dato così forte. Non esiste un incremento di costi così elevato in altri settori. Questo incremento dei costi su 7-8 anni si ribalta sullincremento della tariffa, della TARSU, che è più che raddoppiata in questi anni. Anche questo è un dato che non ha equivalenze negli altri sistemi tariffari. Siamo di fronte ad unaccelerazione di costo che va spiegata, e non va spiegata più di tanto, con gli adeguamenti sul lato dellorganizzazione produttiva. Abbiamo anche registrato un altro elemento su cui vale la pena riflettere, cioè una fortissima variabilità di costi. La variabilità dei costi dei servizi di raccolta del trattamento dei rifiuti varia per area geografica (al Sud è molto diversa dal Nord), per dimensione di città (le grandi spendono di più delle piccole), per forma gestionale (i privati costano meno dei pubblici), varia infine nei vari incastri che si fanno fra queste tre cose.
Una parte di questi elementi va probabilmente ricondotta a dati un po sporchi, perché la contabilità di questo mondo non è ancora molto precisa, però da questi numeri alcuni elementi si possono estrarre. Ne dico due o tre che, secondo me, rappresentano dei tentativi di spiegare questa situazione. Noi abbiamo ad oggi, in Italia, una situazione ancora elevatissima di rendita nella fase di smaltimento. Noi paghiamo un costo di sistema di circa diecimila miliardi per avere un sistema tecnologicamente arretrato. Una cosa è un paese povero che spende poco e smaltisce male i rifiuti, unaltra è un paese ricco che spende molto e gestisce bene i rifiuti. Noi siamo una via di mezzo: spendiamo molto e smaltiamo male. Questo è il punto della situazione nel nostro Paese. Questo si spiega esclusivamente in due modi: il primo è una situazione di rendita molto forte sul lato dei gestori e dellavviamento al trattamento in discarica. Si consideri che la discarica ha un costo di 2.500 miliardi lanno. Questo costo nasconde una rendita molto alta, che tra laltro rimanda ad uno strano sistema di regolamentazione del nostro Paese, in cui lo smaltimento è sostanzialmente un monopolio in quanto riconducibile ad atti di pianificazione rigida, ma al tempo stesso un monopolio senza alcuna regola. Nessuna autorità in Italia interviene sul prezzo di accesso alle discariche. Recentemente ho fatto unesperienza con la Regione Lazio, concernente nellorganizzare razionalmente largomento della regolazione dei prezzi di accesso agli impianti di smaltimento e naturalmente sono emersi tutti i problemi. Oggi si va in discarica e si spende 120, 150, 170, tutti sappiamo che costa molto, molto meno gestire questa operazione, nessuno discute sulla legittimità di far accedere i rifiuti a tale prezzi, perché non è un problema di legittimità, ma di rendita. Laltro aspetto è ancora un consistente elemento di inefficienza che abbiamo nel nostro sistema, che è sostanzialmente monopolistico ancora per grande parte del nostro Paese, in cui anche laddove si fanno le gare, in quel venti per cento del Paese in cui cè una certa concorrenza, le stesse hanno caratteristiche molto particolari. I colleghi della FISE non smettono mai di lamentarsi che le gare non sono nel loro caso un elemento di concorrenza bensì di strozzamento. Non so se sia vero o no. Immagino che ci sia del vero, comunque nellinsieme la situazione e i costi confrontati tra gli esiti di gara e i prezzi delle aziende pubbliche sono ancora un argomento di grande discussione sul perché la gestione in tutte le sue tipologie costa così diversamente.
Al di là di tutto, credo che poi sarebbe molto interessante entrare nel dettaglio di questi numeri e studiarli meglio, ma esiste ancora un livello di inefficienza, sul lato dei servizi di strada sui servizi di raccolta e spazzamento, riguardante i nuovi sistemi di trattamento. In Italia, chi la gira, trova assetti impiantistici, selezione Cdr, compost, trattamento che costano dannatamente troppo rispetto a quello che dovrebbero costare rispetto ai benefici anche ambientali che portano.
La sintesi di questo discorso potrebbe essere schematizzata in questo modo. Noi oggi spendiamo in teoria una cifra forse non del tutto sufficiente per la modernizzazione del Paese e dovremmo aggiungere qualche cosa, ma 10 mila miliardi potrebbero bastare per gestire un paese civile e moderno, anche perché le gare dei progetti in atto in lItalia sugli impianti di incenerimento sono aggiudicate fra le 180 e le 200 lire di accesso allimpianto e in moltissimi bilanci delle nostre aziende pubbliche abbiamo questo costo per andare a smaltire i rifiuti tra stoccaggio, trasporto, smaltimento in discarica o da qualche altra parte. In altri termini, allinterno del nostro bilancio aggregato consolidato "Italia" esiste sostanzialmente una voce di trattamento, che potrebbe essere sostituibile quasi per intero, sulla scorta di quanto stabilito dalla normativa Ronchi, cioè di non andare più in discarica e realizzare impianti moderni, a tecnologia complessa, ambientalmente compatibili.
Il problema è quello di un passaggio dalla rendita e dallinefficienza alla capitalizzazione di questo settore, allinnovazione tecnologica, che non potrebbe non costare molto di più di quello che si spende attualmente, ma evidentemente deve incidere su questo elemento patologico fondamentale che abbiamo. Bisogna ragionare sugli strumenti con i quali si attua questo spostamento. Tutti condividiamo che la politica concernente i rifiuti debba essere una politica ambientale e che si debbano, al di là dei dettagli che ognuno può ritenere più o meno importanti, raggiungere gli obiettivi che ci indica la normativa: comunque, stop alla discarica, recupero energetico, recupero di materiale. Posti questi obiettivi come condivisibili, il problema è come si sposta lassetto di mercato. Non voglio dire che i servizi non siano qualitativamente buoni (non me ne vogliano i colleghi delle aziende pubbliche); noi facciamo dei buoni servizi nelle città, però la lettura macroeconomica del settore ci dice che abbiano uninefficienza ancora troppo elevata. Per poter spostare sui cittadini i costi del servizio da qui a tre anni, come ci impone la normativa, non possiamo non recuperare efficienza e porci lobiettivo del perseguimento delle politiche ambientali.
Condivise questa analisi e questa diagnosi, il problema rimane quello degli strumenti: come è possibile spostare due o tre mila miliardi dalla rendita agli investimenti, come si fa a recuperare qualche centinaia di miliardi di inefficienza per spostarli sul sistema e sulle politiche ambientali. Per fare ciò bisogna operare su una serie di fattori che la legge ci faceva intravedere; ne citerò tre, che sono quelli su cui purtroppo la discussione è ancora abbastanza debole. Nei rifiuti si parla moltissimo di tecnica, di sistema e poco ancora di economia e di strumenti economici.
Un elemento ricordato nel "decreto Ronchi" è quello della riorganizzazione dal lato della domanda; sembra strano, ma anche nel "decreto Ronchi", così come nella legge n. 36, ci sono gli ambiti territoriali ottimali; belli, brutti, giusti, sbagliati che siano, non è mio compito deciderlo. Da questo punto di vista mi sembra che in Italia nessuno faccia niente tranne qualche regione, probabilmente per una lettura un po più sfumata del settore. A tre anni dallapprovazione della legge non mi risulta che si stia marciando verso unidea, per cui tra qualche anno avremo cento ambiti in Italia. Se ciò fosse vero potrebbe costituire un elemento di modernizzazione, che se non altro aggrega i soggetti della domanda e forse anche quelli dellofferta.
Lasciamo stare questo argomento che forse è troppo complicato e concentriamo la nostra attenzione su due altri strumenti, il primo dei quali si riferisce ai meccanismi di regolazione del mercato. Comè noto, in Parlamento si sta discutendo il disegno di legge n. 4014 che, se approvato, farà sì che si vada a gara dappertutto. Dalla lettura del progetto di legge, c.d. "decreto Ronchi-quater", emerge una frase interessantissima sulle possibili ipotesi di liberalizzazione più profonda del settore. Ad esempio, si dice che il mercato del Cdr è escluso dalla privativa. Al di là delle opinioni di ciascuno se sia giusto liberalizzare il mercato dello smaltimento o parte di esso, rimane un argomento di estremo interesse, nel senso che forse una diagnosi sul perché il collo di bottiglia dello smaltimento in Italia va ricercato nella difficoltà di pianificare gli impianti complessi, lesistenza di rendite di posizione fortissime nella gestione delle discariche. Forse unipotesi di liberalizzazione del settore potrebbe rappresentare la soluzione del problema.
Probabilmente scomponendo il mercato ed offrendo alcune soluzioni in termini di liberalizzazione sul versante dellaccesso libero al mercato o delle gare si potrebbe giungere a soluzioni, in un contesto di regolamentazione degli standard e dei livelli di servizio, che sia condiviso.
Laltro aspetto importante è relativo alla questione degli strumenti economici. Nel nostro paese abbiamo due strumenti economici: la tariffa e la tassa sulla discarica, anche se cè un tributo allucinante quale quello provinciale.
Nel nostro paese abbiamo gestito una fase di discussione sulla tariffa dei rifiuti, che avrebbe potuto rappresentare una grande occasione per mettere alcuni elementi intorno ad un tavolo: gli obiettivi di incentivazione alle politiche ambientali, obiettivi di efficienza e di riorganizzazione sul lato della gestione. Purtroppo questoccasione è andata in parte sprecata e la discussione si è incanalata su un binario molto povero ed alla fine siamo pervenuti ad un mezzo ibrido, quale quello della tariffa dei rifiuti tra tre anni. Chi lha letta in termini analitici non è riuscito a capire cosa sia, dal momento che non è un incentivo alle politiche ambientali, ma è quasi un incentivo alle politiche industriali e prima o poi qualcuno dovrà rimetterci le mani.
Quella avrebbe potuto essere unoccasione e forse può esserla ancora se ragioniamo seriamente sul sistema tariffario italiano, in modo che esso, collegato con il sistema di contendibilità che intendiamo mettere in moto, ovvero le gare, possa essere un meccanismo che consente il decollo delle politiche industriali.
Laltro aspetto del problema è rappresentato dalla tassa della discarica, in ordine allutilità della quale dobbiamo cominciare a porci delle domande: probabilmente non è servita a nulla e se si deve sbloccare il meccanismo della rendita, spostare quei due-tre mila miliardi dalla rendita agli investimenti sulle tecnologie ambientalmente compatibili, forse occorrerebbe concepire unoperazione disincentivante più forte. Mi domando che senso abbia avere una tassa per la discarica, se non per finanziare gli enti che ne beneficiano.
Lultimo elemento sul quale intendo soffermarmi riguarda le politiche di incentivazione degli impianti nuovi. Per far girare bene i conti dei futuri inceneritori dobbiamo avere ben presente che fine fa il CIP6 e cosa succede ai produttori di energia elettrica. È questa la chiave di volta di qualsiasi piano finanziario per far girare un investimento sugli inceneritori.
Se si mettessero in fila i ragionamenti sugli strumenti economici che abbiamo e li sposassimo ai ragionamenti di politica industriale ed ambientale, troveremmo il modo di dare una risposta al tema di oggi. Non so se lanalisi fatta è condivisibile, ma se lo fosse dovremmo trarne delle conseguenze in termini di strumenti e di obiettivi che ci dobbiamo dare.
Giorgio G
IORGETTI, IEFE Bocconi e Università di Genova. Do la parola al professor Vaccà.Sergio V
ACCÀ, IEFE Bocconi. In omaggio ad una tipica deformazione professionale, nella mia relazione mi preoccuperò essenzialmente di far capire che cosa sia la politica industriale quando ci si riferisca alla problematica dei rifiuti e quali siano alcuni interrogativi e alcune problematiche, che insorgono in questo caso.Va subito precisato che la politica industriale per i rifiuti viene da me concepita come un insieme di iniziative che tendono a favorire lo sviluppo imprenditoriale e quindi a favorire leconomia delle imprese che attuano processi produttivi per affrontare e risolvere il problema dei rifiuti. Ciò significa che la politica industriale non ripropone necessariamente ruoli diretti dello Stato, nuovi compiti per gli enti locali, quanto una migliore definizione del carattere promozionale delle iniziative produttive, la cui fornitura coinvolge direttamente le imprese.
La politica ambientale in ogni suo aspetto a me pare continuamente e instancabilmente alla ricerca di unidentità. Anche la politica dei rifiuti urbani non sfugge a questa condizione. Infatti, ciò che occorre ben capire di una politica per i rifiuti non consiste solo e tanto nella ricerca e definizione di nuovi obiettivi; nella precisazione delle regole che devono presiedere allattività di raccolta, di destinazione e distruzione dei rifiuti. È, infatti, tempo di riconoscere e di affermare che una politica per i rifiuti è innanzitutto una politica intesa a promuovere lo sviluppo di attività produttive, di interlocutori imprenditoriali che devono definire come procedere ed organizzare le attività di servizio, che possono difendere i cittadini nei confronti delle conseguenze negative che derivano da una massa crescente di rifiuti.
Ciò di cui oggi sempre di più si ha necessità non riguarda pertanto nuove e migliori prescrizioni di come si può tutelare la vita quotidiana di ogni cittadino nei confronti dei rifiuti, in quanto per giustificare una politica per i rifiuti ne sappiamo già a sufficienza. È invece sempre più necessario stabilire in che modo si possano avviare attività produttive efficienti, ovvero ad elevata produttività e tecnologicamente adeguate, quindi occorre puntare allo sviluppo di iniziative imprenditoriali in grado di perseguire gli obiettivi che si considerano pro tempore soddisfacenti per una politica dei rifiuti.
Sulla base delle cose da me fin qui esposte, mi pare che una politica per lo sviluppo produttivo di servizi in grado di affrontare il problema dei rifiuti urbani si articoli almeno in due fasi o in due aspetti, sui quali richiamo la vostra attenzione. Innanzitutto, abbiamo una politica di regolazione delle attività poste in essere per affrontare il problema rifiuti, che sostanzialmente mira a favorire unefficace interazione tra le scelte e le attività degli operatori economici e le esigenze fondamentali che devono tutelare i cittadini nei confronti dellemergenza rifiuti. Questattività di regolazione è di fondamentale importanza perché serve da un lato per definire meglio gli obiettivi di una politica dei rifiuti urbani, il che è sempre un fatto dinamico, ma al tempo stesso determina, delimita ed organizza anche il mercato dei rifiuti urbani.
In secondo luogo, occorre una politica industriale che deve mirare a promuovere lo sviluppo efficace delle attività produttive che sono in grado di affrontare il problema rifiuti; una politica industriale concepita, cioè, come contributo allo sviluppo di imprese, che devono poter esprimere unelevata iniziativa imprenditoriale per dare luogo ad unofferta articolata ed efficiente di servizi. Va da sé che una siffatta politica industriale deve evitare la formazione di posizioni parassitarie o di rendita dal lato degli operatori imprenditoriali, rendendo possibile la creazione di un mercato competitivo, che sia in grado di rispondere in modo efficace alle esigenze dei cittadini.
Dunque, una politica per i rifiuti urbani non può risolversi nella pur necessaria fase di definizione degli obiettivi da perseguire, compresi anche gli standard di igiene urbana. Lenfasi posta nel passato anche recente sugli aspetti più propriamente politici delle attività per affrontare il problema dei rifiuti, in particolare limportanza attribuita al perseguimento di obiettivi soddisfacenti di igiene urbana, ha finito spesso per trascurare che in questa come in altre attività per la produzione di pubblica utilità ciò che più conta è raggiungere lo sviluppo di organizzazioni produttive e quindi di iniziative imprenditoriali, in grado di corrispondere agli obiettivi auspicati per la difesa delle esigenze dei cittadini. Il che equivale ad affermare che ciò che più conta per il progresso di una politica dei rifiuti è la definizione di unefficace politica industriale, in assenza o in carenza della quale anche le migliori definizioni di una politica dei rifiuti rischiano di risolversi in una mera esercitazione intellettuale anche se apparentemente avanzata sotto il profilo politico-sociale.
Nella definizione di una politica industriale per i rifiuti è fin troppo evidente che le iniziative, che si possono proporre, fanno pur sempre riferimento alla generalità delle politiche industriali adottabili per differenti settori produttivi. Ciò significa che a prescindere da alcuni aspetti tecnici specifici, la politica industriale per i rifiuti urbani deve essere innanzitutto una vera e propria politica industriale e quindi deve fare appello ai diversi strumenti e iniziative, che lesperienza ha dimostrato essere utili per rendere possibile e per facilitare unofferta produttiva capace di affrontare e soddisfare le specifiche esigenze della domanda espressa dal mercato. Richiamare queste considerazioni significa anche prendere le distanze da esperienze del passato, che hanno troppo enfatizzato la prassi della pianificazione per lo smaltimento dei rifiuti.
In realtà, occorre tenere presente che il contesto che caratterizza il settore dei rifiuti si presenta altamente dinamico e ciò che può garantire il successo di una politica per i rifiuti è un insieme di variabili, che vanno dalla capacità di ottenere il consenso al legame del territorio, dal dominio di cicli tecnologici sempre più sofisticati, alla capacità organizzativa, dalla capacità di orchestrare i rapporti con una serie di settori contigui (si pensi ai mercati delle materie seconde), allaccesso a risorse economiche, umane, tecnologiche e finanziarie che si originano su un mercato sempre più internazionalizzato.
Tenere conto di queste variabili richiede una politica industriale che valorizzi una mentalità di tipo imprenditoriale ed in ogni caso punti ad un rapporto stretto col territorio.
Laccenno al rapporto con il territorio su questo richiamo la vostra attenzione è essenziale per promuovere unefficace politica per i rifiuti, in quanto sta ad indicare che in questo caso la politica industriale per essere efficace deve essere radicata nel contesto socio-culturale e istituzionale specifico e quindi essere differente da un territorio ad un altro. Non esiste pertanto una sola politica industriale per i rifiuti urbani, esistono piuttosto politiche industriali differenti al variare delle culture, cioè al variare delle modalità di vita, dei valori che presiedono la convivenza sociale e che ispirano la vita quotidiana dei cittadini. Ricercare efficacemente le specificità del radicamento socio-culturale dei cittadini e delle loro comunità ed elaborare una conseguente politica industriale, che risponda alle loro esigenze specifiche, significa fare della politica industriale e quindi anche dello sviluppo imprenditoriale un momento essenziale per allestire unofferta produttiva in grado di soddisfare i bisogni fondamentali dei cittadini.
In realtà è proprio approfondendo il rapporto tra la dimensione socio-culturale del territorio e delle aree urbane e la politica industriale che emerge sempre più chiaramente anche il legame di complementarietà, che avvince la problematica dei rifiuti e delligiene urbana con altri e fondamentali aspetti dei servizi di pubblica utilità e che si evidenzia non solo a livello di una serie di servizi di pubblica utilità (si pensi ai servizi per lofferta di acqua potabile, servizi per il riscaldamento di edifici urbani, eccetera).
Appare, pertanto, con sempre maggiore evidenza (questo è un punto fondamentale della mia relazione) che la politica industriale, dovendo favorire lo sviluppo di organizzazioni produttive a rete, deve darsi carico non solo dei problemi di igiene urbana, ma anche di altri e fondamentali aspetti della vita di convivenza e dello sviluppo socio-culturale. Promuovere una politica industriale per i rifiuti diviene pertanto loccasione per considerare le economie di scopo e di scala che vengono ad essere coinvolte nello sviluppo di attività diversificate per la produzione di servizi di pubblica utilità.
È a questo punto che appare metodologicamente corretta la necessità di concepire anche per i rifiuti una politica industriale sufficientemente articolata e unitaria, che consenta la produzione di una serie di attività di servizi utilizzando unorganizzazione reticolare di impresa; organizzazione che consenta una gestione non solo più efficiente, ma qualitativamente più rispondente alle differenti esigenze delle comunità sempre più assetate di servizi di pubblica utilità, per poter raggiungere livelli di benessere e di civiltà rispondenti alle esigenze dei cittadini che vivono in società profondamente dinamiche.
Queste rapidissime considerazioni consentono, a mio parere, di compiere un deciso passo in avanti, non solo in quanto richiamano la centralità della politica industriale per sviluppare una efficace politica dei rifiuti, ma anche e soprattutto per sottolineare come i progressi compiuti nellorganizzazione reticolare delleconomia industriale abbiano ormai a giustificare una concezione coordinata dei servizi diversificati di pubblica utilità. In questo modo i singoli servizi di pubblica utilità vengono a poter essere organizzati e offerti ai cittadini non solo a livelli di maggiore efficienza, ma tenendo conto della complementarietà tra i diversi servizi si consegue anche il risultato di offrire un più adeguato ed efficace insieme di servizi ai diversi cittadini.
La politica industriale nello sviluppo dei servizi di igiene urbana è dunque necessaria per sottolineare non solo limportanza che assumono le iniziative imprenditoriali e lorganizzazione produttiva nellofferta di servizi, ma anche per affermare che lorganizzazione produttiva più efficace tende ormai ad assumere come livello di riferimento quello dellimpresa a rete. Di conseguenza, diviene essenziale per un efficace sviluppo della politica per i rifiuti stabilire anche come trarre vantaggio dalla gestione unitaria e complementare di differenti ma convergenti servizi di pubblica utilità.
Il discorso sulla politica industriale per i rifiuti non si esaurisce, però, in ciò che si è sin qui osservato e qui vorrei tenere conto di un altro e decisivo aspetto. Nello sviluppo dei processi produttivi per il trattamento dei rifiuti si evidenzia sempre più il problema della destinazione degli scarti, dei sottoprodotti, dei materiali dei rifiuti che sono prodotti nellattività di raccolta, trattamento, eccetera. Questi residui possono assumere un significato utile per altri processi produttivi e quindi per la produzione di altri beni e servizi. Con altre parole, la destinazione produttiva dei rifiuti più ancora che leliminazione di essi, può rappresentare un obiettivo specifico di politica industriale. In questo senso la politica industriale per i rifiuti può offrire un contributo determinante allo sviluppo di attività produttive, che possono avvantaggiarsi per soddisfare il loro fabbisogno di materiali utili, rappresentati dai sottoprodotti e cascami derivanti dalleconomia dei rifiuti. È appena il caso di richiamare il significato non solo simbolico, ma reale, fattuale, che sino ad ora assumono le politiche industriali dei rifiuti nelleconomia di un paese; significato che non consiste solo nel vantaggio che conseguono alcune attività produttive, quanto soprattutto nellevidenziare che una politica per i rifiuti, oltre che essere necessaria per consentire elevati livelli di vita e quindi per soddisfare i cittadini, è anche utilizzabile come vera e propria occasione di recupero di risorse per favorire lattività industriale. Su questo aspetto bisogna insistere in modo particolare specie in relazione alla generale penuria di risorse che si manifesta nelleconomia globale.
Ci si consenta di aggiungere, per concludere, che un siffatto scenario produttivo offre una sicura indicazione per orientare la politica per i rifiuti verso un obiettivo economico-industriale, che a sua volta rappresenta unefficace modo per giustificare la stessa politica dei rifiuti.
Consentitemi, infine, di aggiungere alcune brevi considerazioni che dimostrano che la politica industriale dei rifiuti è in realtà un aspetto non episodico, non settoriale di una più generale politica intesa ad aumentare la dotazione di risorse a disposizione dello sviluppo economico. In una fase storica nella quale si ha sempre più consapevolezza della rarità e dello spreco delle risorse disponibili per alimentare la macchina del consumo capitalistico, riuscire a fare della politica industriale un utile strumento per accrescere la disponibilità di risorse costituisce senza alcun dubbio un evento positivo e tale da assumere un significato emblematico, che lega senza dubbio la politica industriale per i rifiuti alla più generale ed essenziale politica delluso razionale e del risparmio delle principali risorse economiche di cui dispone un paese, da quelle energetiche in primo luogo a tutte quelle che contribuiscono in vario modo a rendere possibile lo sviluppo dei processi produttivi.
La politica industriale per i rifiuti viene a costituire parte essenziale della più generale politica di sviluppo industriale, giustificando così la sua ragion dessere di politica industriale tesa a riequilibrare offerta e domanda di prodotti e di risorse, come aspetto centrale dello sviluppo economico-capitalistico e causa non infrequente di crisi economiche.
Da queste rapidissime considerazioni emerge come insegnamento e come incitamento che la politica industriale così concepita assume, se riferita anche ai problemi dei rifiuti e più in generale delligiene urbana, un significato che è un sicuro stimolo a non rassegnarsi, a non accettare come fatti inevitabili una serie di aspetti della nostra vita sociale, della nostra vita di relazione, che possiamo e dobbiamo modificare per rendere la nostra vita più degna di essere vissuta e trasmessa ai nostri figli.
La ricerca scientifica, in questo come in altri casi può aiutarci a vivere meglio. Occorre però saperla usare bene; occorre in altri termini saperla applicare con una chiara visione dei nostri valori umani e dei nostri obiettivi vitali.
Tavola Rotonda
Coordina Giuseppe Specchia
Giuseppe S
PECCHIA, Vicepresidente della Commissione. Come sapete in questa prima sessione dedicata alle condizioni per il decollo del sistema industriale della gestione dei rifiuti in Italia è prevista una tavola rotonda. Dopo la relazione del Presidente Scalia e degli altri due autorevoli interventi, siamo già entrati in maniera forte allinterno dellimportante tema oggetto di questo incontro. Con la tavola rotonda e gli interventi che seguiranno avremo ancora importanti contributi e credo che al termine della giornata saremo arricchiti e spero pronti a fare meglio e di più in questo sistema-rifiuti, che presenta ancora tanti problemi.Inizierei la serie degli interventi dando la parola al Presidente del CONAI, Pietro Capodieci.
Pietro C
APODIECI, Presidente del CONAI. Ringrazio il senatore Specchia per linvito che mi è stato rivolto. Dirò delle cose già dette in altre circostanze, ma che ritengo utili al dibattito.Intanto liniziativa della Commissione e il titolo del convegno: "Verso un sistema industriale per la gestione dei rifiuti", secondo me sono già importanti di per sé, perché segnano un passaggio di percezione non solo a livello di comunità locali, di sistema industriale o associativo, ma anche a livello della politica generale e quindi del Parlamento. Si tratta di un cambiamento assodato dellimpostazione del problema rifiuti visto non più come locale, politico, generale, di costume o di cultura, ma di struttura organizzativa di un sistema industriale importante legato anche alle pubbliche utilities. Ormai abbiamo un approccio diverso al problema, da tutti condiviso.
Ritengo che questa iniziativa rappresenti il punto di svolta, che faccia riconoscere questo cambiamento di percezione del problema.
Detto questo, a me sembra che ci sia ancora molta confusione che fa male alla chiarezza della situazione. Nella relazione, facendo riferimento al CONAI, si dice che il vero salto di qualità si è ottenuto quando da un sistema volontario si è passati ad una iscrizione obbligatoria e solo in quel momento si è riusciti ad ottenere il decollo del sistema. Credo che questa lettura sia solo parzialmente vera e anche nella verità di questo aspetto parziale sia fuorviante. Voglio dire che la legge era scritta in modo tale, che gli obblighi per le imprese non nascevano dalla norma, ma dalliscrizione al CONAI. La legge era scritta in modo da obbligare unazienda a pagare o ad occuparsi di qualche cosa non perché così aveva previsto il legislatore, ma in conseguenza delliscrizione al CONAI. Leggendo il "decreto Ronchi" ci si rende conto che unazienda che teoricamente non si iscrive al CONAI non ha obblighi. Se invece si iscrive, deve pagare i contributi, occuparsi dei suoi rifiuti, eccetera. Da questa osservazione deriva linvito ad una maggiore attenzione nel momento in cui si redigono i testi di legge.
Si continua a confondere il comportamento della singola impresa con il comportamento del sistema delle imprese; fino a quando faremo questo errore di livello logico, avremo difficoltà a capire il mondo e soprattutto a muoverlo. La singola impresa non assumerà comportamenti ambientalmente corretti, a meno che non convenga, cioè a meno che non sia unarma di marketing o faccia bene al conto economico. Questo non vuol dire che il sistema delle imprese non abbia capito che lo sviluppo sostenibile è lunico possibile se si vuole mantenere il mercato e che una gestione eco-compatibile dellimpresa possa essere elemento di competitività importante.
Mi spiego con un esempio fatto altre volte, ma che credo sia utile. La singola impresa non ama il mercato; sarei felicissimo di trovare un luogo dove non vi fossero concorrenti e potessi stabilire il prezzo di vendita del prodotto, le modalità di consegna, eccetera. Non mi preoccuperei di fare la figura del monopolista. Limpresa tende naturalmente alloligopolio negoziato. Larea di maggiore intelligenza dellimpresa, quella della strategia aziendale, tende a trovare un posizionamento dove o non cè il prodotto o non cè il concorrente o si è più forti. Questo non vuol dire che il sistema delle imprese è contro la concorrenza; i rappresentanti delle imprese, le associazioni, i gruppi di imprese, difendono il sistema di mercato perché è la cornice nella quale questi comportamenti e le singole imprese trovano il modo di massimizzare i risultati e la produzione di ricchezza. Quindi, esistono due livelli logici totalmente diversi: il comportamento della singola impresa e quello del sistema delle imprese. Solo nel nostro Paese si pensa che le imprese siano favorevoli al mercato e che lo Stato sia contro. La realtà è esattamente lopposto: è il Governo che definisce le regole della concorrenza, che governa con i meccanismi antitrust e fa sì che il mercato funzioni secondo le proprie regole. Sono le imprese che nella loro individualità cercano di trovare posizioni in cui il mercato funzioni il meno possibile. Questo vale anche a livello di persone. Quando il professor Vaccà rabboniva o richiamava lattenzione di alcune persone che bisbigliavano, mi è venuto in mente che quando si fa i professori universitari obiettivamente non si è in una condizione di mercato, ma di potere. Se un prodotto non trova lattenzione del mercato, siamo rovinati! Se il prodotto non è sufficiente, a questo punto si ricorre ad una rendita di posizione dellazienda o della persona.
Sergio V
ACCÀ, Direttore IEFE Bocconi. Volevo solo non essere rovinato!Pietro C
APODIECI, Presidente del CONAI. Ho detto questo per alleggerire largomento, ma anche per far capire che, se si continua a fare confusione tra comportamenti della singola impresa e quello del sistema delle imprese non usciremo dalla logica secondo la quale le imprese sono contro i vincoli ambientali e incapaci di fare politica ambientale. Capire e quindi trovare i correttivi ai diversi livelli logici permette di muovere il mondo in modo corretto.Per quanto riguarda laspetto generale dei rifiuti dobbiamo domandarci se vogliamo davvero intervenire sulle autonomie dei comuni; il comune non vuole rinunciare alla privativa, non vuole rinunciare al potere. Allinizio si discuteva sulla trattativa con lANCI e ricordo di aver fatto una battuta, che oggi è molto meno rispondente alla verità, ma che credo rappresenti la chiave del problema.
In questo caso non eravamo di fronte ad un problema tra efficienza, efficacia, sistema privato, sistema dei servizi, il pubblico, il privato, ma alla differenza di scopo. Ricordo di aver detto che mentre noi eravamo raccoglitori di vuoti, i comuni sono raccoglitori di voti: con questo tipo di differenza sostanziale nello scopo, è difficile fare confronti di efficienza. Il comune con le assunzioni, operando in un certo modo piuttosto che in un altro, risulta efficientissimo nel suo scopo.
Dobbiamo chiarire quali siano i processi reali attraverso i quali si tolga quello che si deve togliere guadagnando in efficienza di sistema, si introducano consorzi, eliminando questo aspetto di potere discrezionale, comprendendo quali siano i mezzi necessari, quali la convinzione, la legge, eccetera, per cercare di creare sistemi efficienti e di dimensioni tali da poter costituire un vero tessuto industriale non assistito.
Vorrei a questo punto fare una notazione su un passo della relazione svolta dal Presidente Scalia, quando ha affermato che soltanto attraverso il CIP6, dunque attraverso una specie di capitalismo assistito, le aziende si muovono, altrimenti non lo farebbero, perché non amano il rischio. Ora, il CIP6 è stato approvato per fare degli investimenti e per aiutare il sistema a partire: nel momento in cui questo funziona, perché il sistema parte, non ci si può meravigliare che questo avvenga! Occorre capire bene cosa si vuole. Non si può affermare in questo contesto che il sistema funziona solo con gli incentivi: mettiamoci daccordo, scendiamo da questi livelli astrali, più che astratti!
Ormai sappiamo tutto circa i diversi sistemi, per cui non dovrebbe essere difficile individuarne i punti deboli e quelli di forza per elaborare dei programmi comuni.
Giuseppe S
PECCHIA, Vicepresidente della Commissione. Ringrazio il Presidente del CONAI e do la parola al dottor Dubini, in rappresentanza della Pirelli-Ambiente.Nicolò D
UBINI, Amministratore delegato della Pirelli-Ambiente. Leggendo la prefazione di un recente testo attinente allargomento che stiamo trattando ho scoperto che nel 1786 Goethe, visitando lItalia per la prima volta, venne colpito dal fatto che gli spazi pubblici delle città erano sporchi di ogni genere di immondizia e che la cosa sembrava perfettamente naturale. Dopo più di duecento anni i cambiamenti epocali del mondo non hanno modificato lurgenza del problema rifiuti. Rispetto al 1786 mi sento però di affermare che il problema non è percepito solamente da una ristretta cerchia di illuminati, ma è condiviso da tutti i cittadini. Le questioni ambientali e tra queste in particolare quelle legate allo smaltimento dei rifiuti sono diventate, lo dico in unaccezione positiva, un luogo comune sulla bocca di tutti. Siamo di fronte ad unesigenza diffusa verso cui far convergere gli sforzi. Non si tratta,Si è pertanto diffusa una coscienza ambientale che fondamentalmente si basa sul desiderio di avere un ambiente pulito; essa va dunque riconosciuta come unesigenza primaria, legittima, quanto quella di avere una casa, un lavoro o quantaltro possa scaturire dallessere umano. La questione rifiuti è lì che aspetta di essere affrontata e lindustria, come qualunque altro soggetto fisico o giuridico, può responsabilmente decidere se mettersi in gioco su questo tavolo oppure passare la mano.
Certo, il fatto di affrontare con una proposta concreta unesigenza che ho tentato di definire primaria, non può prescindere dal semplice concetto che essa deve, sotto il profilo della redditività, sostenersi in modo complessivamente autonomo. Questo concetto, secondo il quale bisogna avere le gambe per stare in piedi, se è valido per ospedali, istituti previdenziali, scuole e qualunque altro bene o servizio fondamentale, deve valere anche per iniziative nella gestione del recupero e smaltimento dei rifiuti.
Qualunque approccio industriale alla questione rifiuti ha bisogno di una chiara e concreta prospettiva di redditività economica delliniziativa che si intende avviare. La redditività tuttavia non deve derivare da una forzata incentivazione delliniziativa stessa, ma deve, nel medio e lungo termine, trovare il sostegno in normali flussi economici che si assoggettano alle regole del mercato.
A questo punto mi ricollego a quanto detto poco fa dal professor Vaccà. Per sottolineare maggiormente il concetto, apparentemente banale, esemplifico. Impostare i progetti sulla base di redditività derivante dai contributi CIP 6 fa bene alleconomia di breve periodo, ma non a quella di lungo. Forse hanno ragione illustri esponenti della Commissione europea a temere che scelte operative dettate dal guadagno di breve periodo, che la gestione dei rifiuti in molti casi promette, determinano alla lunga un aggravarsi dei problemi. In questo ultimo decennio le varie iniziative industriali si sono dovute riferire ad un ambito normativo e ad una strategia politica attenti esclusivamente allimpatto ambientale dei rifiuti al momento del loro smaltimento.
Lesempio degli inceneritori è a mio avviso puntuale. Si è trattato in sostanza di un approccio end of pipe, e come tale non poteva che privilegiare a tutti i costi le iniziative che concretamente proponevano una riduzione dellimpatto nella fase finale del ciclo dei rifiuti. Ora, attraverso ampi segnali mi sembra di poter affermare che la logica di base si stia modificando. Oggi si è molto più disponibili rispetto al passato nei confronti di una prospettiva che consideri limpatto ambientale dellintero ciclo di recupero dei rifiuti. Il concetto della integrated product policy è chiaramente visibile sia a livello della normativa comunitaria, sia nei sistemi volontari che i diversi soggetti industriali stanno liberamente adottando. Questa nuova logica integrata consente in molti casi di ipotizzare lo sviluppo di progetti, la cui prospettiva di redditività deriva dallinterazione con altri ambiti industriali complementari, che a loro volta trovano essi stessi vantaggi sia economici che ambientali da questa integrazione. Nel nostro Paese questa logica di integrazione pur presente a livello di volontà politica in molte istituzioni, è ancora pesantemente soffocata da una stratificazione normativa in molti casi contraddittoria e confusa.
Intendiamoci, non sto auspicando una deregulation bensì una regolamentazione minore, ma al tempo stesso più efficace. Il legislatore italiano sta tentando concretamente di rendere il "decreto Ronchi" finalmente funzionale agli obiettivi che lo avevano originalmente fatto nascere. Il testo ora allesame della Commissione ambiente della Camera è sicuramente un segnale forte e positivo circa questa volontà. Tuttavia liter di approvazione non è per nulla scontato ed è elevato il rischio che si chiuda un altro anno con una normativa quadro ricca di buoni propositi, ma, purtroppo, ancora pesantemente carente sul lato attuativo. Lamentarsi delle lungaggini e delle difficoltà burocratiche è uno sport già eccessivamente diffuso e non vale la pena di rassegnarsi. Di fronte alla molteplicità di ostacoli si può oggettivamente giungere alla meta di un percorso, che vede più soggetti complementarmente coinvolti nella risoluzione del problema rifiuti. Magari, in seguito, da questi esempi si potrà prendere spunto per ottimizzare in senso funzionale la regolamentazione attuale.
Pirelli Ambiente, con il proprio progetto denominato CDR Pirelli, si propone come uno degli esempi possibili di approccio integrato al tema dei rifiuti. Lobiettivo è la produzione di un CDR di qualità a partire dalla frazione residuale dei rifiuti solidi urbani, integrata con adeguate quantità di altri tipologie di rifiuti speciali aventi caratteristiche termiche ed ambientali elevate ed adeguatamente costanti. Il CDR Pirelli o, se preferite, il combustibile recuperato, è tale da poter essere impiegato direttamente nelle attuali centrali di potenza a parziale sostituzione del polverino di carbone, ove se ne fa uso. Dopo una serie ripetuta e verificata di test sullimpianto pilota, Pirelli Ambiente ha preso la decisione di chiedere la partnership dellEnel a questo proposito mi dispiace che il dottor Testa non sia qui per una caratterizzazione del proprio CDR su di un impianto industriale in piena scala. Con il patrocinio del Ministero dellambiente, Enel e Pirelli Ambiente diciotto mesi orsono hanno sottoscritto un protocollo dintesa specifico per questa finalità. Purtroppo le difficoltà burocratiche di cui sopra hanno impedito e stanno ancora impedendo lavvio di una tale importante fase di caratterizzazione e sperimentazione industriale. Qualora questi ostacoli venissero rimossi la fase di sperimentazione, se condotta sulla centrale veneta di Fusina, non permetterebbe di fatto limpiego di CDR Pirelli a causa degli ulteriori vincoli che inquadrano la centrale Enel come soggetto che effettua unattività di smaltimento. Apro una parentesi per dire che questo problema è assolutamente limitativo sia per Enel che per la concorrenza. Debbo poi affermare che non è assolutamente vero che Enel è un soggetto che effettua unattività di smaltimento. La combustione del CDR è e va vista come attività di recupero di energia e non come attività di smaltimento. Questo concetto è così vero, che addirittura il CDR ed il suo utilizzo in impianto esistente sono ammessi quale fonte rinnovabile nella normativa Bersani sullenergia, in collegamento allemissione dei certificati verdi. Anzi, conseguentemente alla menzione della normativa Bersani si potrebbe e si dovrebbe ragionevolmente affermare che il CDR non sia da considerare un rifiuto, bensì un combustibile a tutti gli effetti.
Speriamo che presto si arrivi comunque ad una chiara definizione ed approvazione del percorso tecnico-amministrativo per la realizzazione di una fase intensiva di sperimentazione della durata massima di tre mesi su una centrale industriale. Al termine di tale fase si potranno sciogliere le ultime riserve ambientali e dare il via secondo la corretta pianificazione regionale e sulla base di precisi contratti pluriennali di fornitura del combustibile alle varie iniziative industriali in grado di garantire volumi e qualità di CDR da destinarsi alle centrali interessate. Infatti, crediamo sia estremamente valida sotto una molteplicità di aspetti lidea di bruciare un combustibile recuperato dai rifiuti e come tale un combustibile da fonte rinnovabile, sostituendo in parte un combustibile fossile cioè non rinnovabile e facendo ciò in un impianto esistente, senza cioè avere la necessità di realizzare un impianto dedicato, con tutto ciò che ne consegue sotto il profilo economico, ambientale e sociale.
Vorrei ricordare che limpatto positivo del bruciare il CDR si avrebbe anche attraverso la riduzione di emissioni di anidride carbonica in linea con gli impegni presi a Kyoto. Per inquadrare ancora meglio limpatto di questo progetto CDR Pirelli se prendiamo come esempio Fusina quella a cui mi riferivo prima se questultima utilizzasse, passati i test e ammesso e non concesso che Pirelli sia in grado di entrare in gara su questi test, fino ad un 10 per cento di CDR in alternativa al carbone, si smaltirebbero circa 289 mila tonnellate di RSU offrendo una capacità termica ad 805 mila abitanti, pari ad una città più grande di Venezia di due volte. Se si arrivasse poi ad utilizzare il CDR fino ad una percentuale del 30 per cento, posto che il CDR Pirelli è ricco, quindi con una capacità termica molto vicina a quella del carbone, si arriverebbe a servire 2.500.000 di abitanti. Non so quanti abitanti abbia il Veneto, ma certamente questa sarebbe una percentuale molto significativa.
Pirelli Ambiente propone un progetto economicamente autosufficiente, nel senso che non necessita di incentivi esterni per la trasformazione di rifiuti in CDR di qualità da impiegarsi almeno inizialmente nelle esistenti centrali alimentate a polverino di carbone. I vincoli allattuazione del nostro obiettivo sono: il "decreto Ronchi" va snellito e reso più funzionale soprattutto quando impone per limpiego di CDR in centrali esistenti la sottoscrizione di accordi di programma nazionali e difficilmente negoziabili; liter autorizzativo non lineare, complesso e sottoposto al parere vincolante di un elevato numero di giurì. Sul primo vincolo esiste un adeguato disegno di legge in analisi presso la Commissione ambiente della Camera ed il relatore è proprio lonorevole Gerardini, che è presente ai lavori di questa giornata. Sul secondo vincolo, ciascuna regione fa storia a sé ed osserviamo lassenza di un coordinamento nazionale, che funga da stimolo e si prospetti come reale aiuto per il superamento dei vari ostacoli garantendo al contempo la libera concorrenza dei vari soggetti industriali interessati. Posto che anche il destinatario finale del CDR subisca i vincoli di cui sopra, una solida partnership tra chi produce il CDR e chi lo deve utilizzare è fondamentale per il superamento funzionale dei vari ostacoli burocratici; lattuazione di un piano industriale completo, integrato ed autosufficiente; infine, il raggiungimento di un importante e significativo traguardo ambientale.
Giuseppe S
PECCHIA, Vicepresidente della Commissione. Passiamo adesso a Claudio Levorato, Presidente di Manutencoop. Prima che prenda la parola vorrei comunicarvi che purtroppo non avremo il piacere della presenza dei due ministri, Letta e Bordon, perché gli stessi sono impegnati nel Consiglio dei ministri. Il ministro Letta lo è anche in una riunione del CIPE. Conseguentemente, i nostri lavori saranno chiusi del Sottosegretario allindustria, De Piccoli.Credo che sia importante che i lavori vadano avanti bene.
Claudio L
EVORATO, Presidente della Manutencoop. Probabilmente va aggiunto un punto interrogativo al tema del convegno, poiché esso sembra essere definito in modo assertivo, quasi si stia veramente andando verso un sistema industriale per la gestione dei rifiuti. Daltra parte lo stesso intervento del professor Vaccà mi sembrava che indicasse che si debba andare, non che si va verso un sistema industriale per la gestione dei rifiuti.Da questo punto di vista credo di dover fornire un apporto critico in quanto operatore imprenditoriale privato del settore della gestione dei rifiuti, in modo particolare dei rifiuti solidi urbani, laddove questa posizione mi consente di vedere quanta ancora sia la distanza che ci separa dal crearsi le condizioni per lo sviluppo di un sistema industriale nel settore. Mi sembra che il professor Vaccà abbia fatto proprio il professore e che, giustamente, abbia bacchettato chi non faceva lallievo e indicato quali debbano essere i contenuti di una politica. Riprendo schematicamente. Certamente la politica deve definire gli obiettivi e ritengo che dal punto di vista di questi ultimi nel nostro Paese, con il "decreto Ronchi" e con la legislazione successiva, si sia fatto un notevole passo in avanti rispetto ad un dibattito anche per molti anni notevolmente confuso.
Ci sono dei punti fermi che indicano chiaramente gli obiettivi sui quali deve collocarsi la politica di sviluppo del settore. Accanto alla definizione degli obiettivi è necessario che intervengano dei sistemi regolatori e, in modo molto più ampio di quanto non accada normalmente negli altri mercati, settoriali, poiché il mercato dei rifiuti non è equiparabile a quello di altri beni e servizi liberamente disponibili ai consumatori e liberamente producibili dai fornitori degli stessi. È un mercato che tratta una materia che si chiama rifiuto, che è scacciata da chi la utilizza prima che essa diventi rifiuto, quindi si deve parlare di un mercato che abbisogna di una regolazione molto più ampia. Peraltro, la regolazione è per lappunto già molto più ampia con il "decreto Ronchi" e con linsieme della legislazione vigente: sussiste per i rifiuti solidi urbani una privativa a favore degli enti locali. Questo è elemento di regolazione specifica del mercato.
Occorre in modo particolare che in modo specifico si regolamenti come si debba realizzare lo scambio economico tra i fruitori del servizio e i fornitori del servizio medesimo. Da questo punto di vista lintroduzione della tariffa prevista dal "decreto Ronchi" è sembrata essere un notevole elemento di innovazione, che peraltro è rinviato nella sua applicazione nel tempo e che pur tuttavia non ha tenuto nel dovuto conto la necessità che anche a monte si realizzassero le metodologie per una più definita regolazione del rapporto tra fruitori e fornitori del servizio medesimo.
Da questo punto di vista il problema, che mi sento di indicare come elemento di grande ostacolo alla realizzazione e alla crescita di un sistema industriale del settore, è innanzitutto il fatto che nella gran parte del Paese non vi è nel settore dei rifiuti urbani, nella concreta realtà fattuale e comunque nel sistema di regolazione, una chiara distinzione tra i soggetti portatori della domanda e quelli portatori dellofferta. Questo avviene perché nello stesso momento in cui gli enti locali assumono il ruolo di organizzatori della domanda sono allo stesso tempo direttamente, con le gestioni in economia (il disegno di legge n. 4014 è ancora in fase di discussione alle Camere e non è approvato) o indirettamente fornitori del servizio, attraverso le proprie aziende speciali, società controllate, società miste, attraverso varie forme. Il mio osservatorio è quello dellEmilia Romagna in cui la municipalizzazione è il fiore allocchiello dal punto di vista imprenditoriale, quindi è molto presente, ma la municipalizzazione ha finito per cannibalizzare il ruolo politico proprio del soggetto di domanda comune. A questo punto addirittura la municipalizzata è diventata soggetto di domanda e di offerta, pianifica la domanda e pianifica lofferta medesima dei servizi.
Dobbiamo renderci conto che bisogna riuscire a creare una chiara distinzione dei ruoli e dare unorganizzazione propria alla domanda.
Il "decreto Ronchi" prevede la costituzione degli ambiti territoriali ottimali (ATO), ma poi lascia alle regioni la definizione delle modalità con cui viene assunto il governo nellambito dellATO. Per ora, finché la regione non avrà legiferato e applicato la nuova normativa, i comuni continueranno ad essere singolarmente i soggetti della domanda. Occorre realizzare a tutti gli effetti un regolazione che distingua da una parte i soggetti della domanda, che sono quelli che debbono, nel solco degli obiettivi definiti, chiarire che cosa chiedono alle imprese, è del tutto indifferente che esse siano private o pubbliche. Finché non sono questi i soggetti che chiedono e finché invece sono degli altri soggetti imprenditoriali, che peraltro determinano levoluzione stessa della domanda dando loro delle risposte anzitempo, significa che si crea un serio blocco alla possibilità che crescano un mercato e un sistema industriale di gestione dei rifiuti e che soprattutto questo avvenga per un apporto chiaro e pieno da parte del soggetto imprenditore privato.
Colgo positivamente la sollecitazione del Presidente Scalia, il quale sosteneva di rimboccarci le maniche, richiamando in qualche modo la responsabilità degli imprenditori privati del settore. Questi ultimi fanno una vita grama da decenni in questo settore e sono speranzosi, cioè vogliono rimboccarsi a tutti gli effetti le maniche, vogliono poter agire per uscire da una dimensione della loro attività imprenditoriale della nostra attività imprenditoriale che è asfittica in termini temporali: non sanno progettare, pianificare, fare strategia giustamente in avanti perché mancano gli elementi di riferimento; vogliono poter evidentemente puntare sulle opportunità di crescita di questo settore, ma si trovano inibita questa strada dallassenza di una politica con un proprio sistema regolatorio, che definisca i ruoli della domanda, dia gli strumenti alla domanda, definisca i ruoli dellofferta, in modo tale che si realizzi un quadro di convenienze nelle quali operare.
Concludo con un esempio. Se il disegno di legge n. 4014 prevede un periodo transitorio tendenzialmente decennale nel settore dei rifiuti, è indubbio che la pianificazione delle imprese non può realisticamente essere proiettata oltre i 10 anni, deve oggi semplicemente limitarsi a sopravvivere. Quindi, cè un problema rappresentato dal periodo transitorio. Mi riferisco anche alle stesse modalità con cui nellattuale disegno di legge si prevede che siano sviluppate le gare. Si dice che indifferentemente nel settore dei rifiuti i comuni ovvero gli ATO faranno le gare, sia riferendosi allintero ciclo del rifiuto, sia a singole porzioni. Questo cambia notevolmente la qualità della concorrenza, perché sullintero ciclo del rifiuto evidentemente potrà operare la posizione di rendita, di cui si parlava negli interventi precedenti. Ad esempio, chi ha la posizione di rendita di avere limpianto di smaltimento, evidentemente se la giocherà meglio in questo caso. Noi abbiamo bisogno questo è il punto di elementi di certezza relativi alla regolazione, che si crei un quadro di convenienze economiche perché non basta dire: "Si fa la raccolta differenziata: perché non fate gli impianti?". Questo quadro di convenienze economiche deve essere rappresentato anche da modalità con le quali si giunga a valorizzare il rifiuto, che sempre rifiuto rimane, ma questa volta è inteso come risorsa. Non è un problema di aiuti, ma di creare quadri di convenienza, anche con gli incentivi, ma leconomia si aiuta e si indirizza, la politica si fa attraverso dei sistemi antincentivanti; anzi si ottiene molto di più con sistemi incentivanti, che non con sistemi punitivi e di divieto.
Affermo ciò dal punto di vista di chi si trova ad operare economicamente nel settore e ad investire annualmente. La mia azienda, non abbiamo purtroppo elementi di settore ma forse la dottoressa Ferrofino potrà fare qualche riferimento, investe mediamente 20-25 miliardi ogni anno nel settore specifico. Stiamo continuando ad investire in una situazione nella quale la speranza di ritorno dellinvestimento è data più dallesperienza, tanto bene o male ci si riesce a barcamenare, piuttosto che dalla definizione di un quadro di regolazione economico complessivo con il quale noi possiamo fare i conti e cercare di misurarci con la nostra capacità competitiva. Anche noi abbiamo lo stesso comportamento cui il dottor Capodieci faceva prima riferimento relativamente alle aziende che producono gli scarti dimballaggio. Sostanzialmente ritengo che in merito a ciò sia necessaria unaccelerazione, ma in modo completo non su tavoli diversi, bensì su un unico tavolo della politica, dei processi di riforma in atto sul "decreto Ronchi", sul disegno di legge n. 4014, perché queste cose non sono disgiungibili relativamente ai sistemi di regolazione.
Giuseppe S
PECCHIA, Vicepresidente della Commissione. Do ora la parola a Giuliana Ferrofino, Presidente della Fise-Assoambiente, che è stata chiamata in causa poco fa.Giuliana F
ERROFINO, Presidente della Fise-Assoambiente. Le imprese che Fise-Assoambiente rappresenta sono 300 e poco più e si occupano di servizi ambientali sia urbani, sia industriali. Naturalmente siamo aggregati al sistema Confindustria. Diverse imprese a noi associate sono state prese in considerazione nel documento sugli assetti societari degli operatori del ciclo dei rifiuti, approvato dalla Commissione presieduta dallonorevole Scalia. Ci hanno segnalato che risultano notevoli inesattezze e discrepanze rispetto alla realtà odierna. Non voglio entrare nel merito di queste inesattezze perché so che tutte le aziende, almeno quelle a noi associate, hanno provveduto a segnalare documentalmente quanto esse sostengono. Tuttavia questo ha imposto anche alla nostra associazione di effettuare unanalisi più accurata di questo documento tenendo presente una serie di circostanze e considerazioni. Questo settore del resto è un elemento già noto è afflitto, così come ha detto lo studio del Mediocredito centrale con la relazione sullo stato dei servizi pubblici in Italia, da un certo nanismo, cioè di imprese grandi ce ne sono relativamente poche e la maggior parte sono imprese medio-piccole. Quindi è logico, a nostro modo di vedere, ma è questa una legge regolare nelleconomia, che con levoluzione del settore ci siano delle trasformazioni, passaggi di proprietà di queste imprese e si cerchi di arrivare anche ad una concentrazione delle stesse. Questo orientamento, del resto, mi risulta sia molto più forte nel settore pubblico. Sappiamo tutti che le aziende ex municipalizzate trasformate in società per azioni stanno giustamente perseguendo una politica di sviluppo, tanto che invocano il protrarsi di una situazione di privilegio nel timore che arrivino gli stranieri. Questo è un concetto che spesso si sente pronunciare nei convegni. Evidentemente lindirizzo di aggregarsi e svilupparsi non ce lhanno soltanto le imprese pubbliche, ma anche le imprese private, senza che questo possa costituire un elemento sospetto. Altrettanto è da sottolineare come, trattandosi di un settore in cui limpresa privata è relativamente limitata, la stessa Commissione abbia rilevato che le imprese pubbliche occupano circa il 65 per cento del mercato. A noi risulta forse che negli ultimi anni cè stata unulteriore riduzione dellimpresa privata: in base a quello studio che era stato commissionato dallAssoambiente un anno e mezzo fa risultava che negli ultimi anni si era verificata unerosione del 9 per cento delle imprese private, quindi lampiezza del settore privato è relativamente modesta rispetto allintero mercato. Anche la frequente comparsa di nominativi a livello di manager aziendali o di ex manager, che poi si trasformano loro stessi in imprenditori, rientra sempre in questa logica di sviluppo di un mercato che in questo momento è assolutamente piccolo. Questa tendenza a vedere eventuali coincidenze nelle partecipazioni azionarie mi sembra un po forzata, visto che la stessa legge consente ampliamenti in raggruppamenti temporanei dimpresa e anche la costituzione di consorzi, che poi si possono slegare secondo le norme previste dallo stesso ordinamento italiano. Direi che sotto questo profilo è curioso come venga auspicata una crescita dellimpresa pubblica e contemporaneamente venga guardato con sospetto quando questo viene fatto da unimpresa privata.Mi sembra ovvio ricordare anche come in tutti i casi in cui le imprese private hanno acquisito altre aziende è stato sempre fatto mediante comunicazione allAutorità per la tutela della concorrenza e che per quanto ci risulta non mi sembra sia stata mai sollevata eccezione di sorta, perfino laddove lacquisto sia stato effettuato da imprese molto grandi che avevano una sicura leadership nel mercato.
Forse alcune conclusioni della Commissione derivano anche da unerronea valutazione dei database utilizzati, relativamente al fatto che spesso le modificazioni societarie, le trasformazioni, i passaggi di proprietà effettuati, in realtà risultano effettuati in aree temporali diverse mentre invece sono state assemblate creando degli aspetti di contemporaneità che di fatto invece non esistono. Comunque la Fise-Assoambiente ritiene non solo doverosa, ma assolutamente lodevole, lindagine sullassetto del settore. Tuttavia, personalmente ritengo, insieme a tutti i nostri associati, che questa indagine dovrebbe allargarsi a tutto campo non soltanto al settore privato, ma anche in quello pubblico, per poter avere un quadro reale e assolutamente preciso di tutto il mercato.
Aggiungo anche un altro fatto. A me sembra molto preoccupante
lestendersi di un fenomeno, che secondo me è ampiamente sottovalutato e cioè la
tendenza in molte aziende, società per azioni, ancora di proprietà pubblica, così come
avviene per effetto dellemergenza nelle regioni del Sud, a utilizzare aziende
pubbliche che però poi di fatto subappaltano i servizi. Io non sono per difendere tutte
le imprese, perché so benissimo che in questo settore ci sono stati e probabilmente
continuano ad esserci episodi anche di malaffare, tuttavia laspetto dei subappalti
è molto delicato e meriterebbe di essere approfondito, così come nel settore edilizio,
anche nel settore dei rifiuti. Questo è un altro elemento che farebbe auspicare con
grande forza la rapida conclusione delliter parlamentare del disegno di legge
n. 4014. Questa legge non ci trova daccordo su tutto, soprattutto sullaspetto
che già il dottor Levorato ha evidenziato prima, vale a dire sul periodo transitorio che
rischia di essere transitorio allitaliana, cioè una cosa quasi perenne, però i
principi sulla base dei quali questa legge è fondata sono assolutamente auspicabili.
Lipotesi di un mercato che finalmente sia uguale per tutti, con le stesse regole,
con le gare finalmente non più al massimo ribasso, è auspicabile e condivisibile. Questo
è un altro aspetto che andrebbe approfondito: questo settore è proprio quello in cui le
gare vengono effettuate al massimo ribasso. Il che vuol dire che limprenditoria più
scalcinata normalmente ha buone probabilità di farcela rispetto a chi offre servizi
migliori, che però hanno evidentemente costi superiori. Quindi il fatto stesso che nel
disegno di legge n. 4014 non si parli più di offerta al massimo ribasso, ma di offerta
più vantaggiosa, dà finalmente una struttura industriale ad un settore che finora ha
dimostrato di averne effettivamente poca. Purtuttavia, questa legge è necessaria se
vogliamo salvare quello di buono che cè nellimpresa privata di questo settore
ed esiste. Ho visto che al Sud, soprattutto in questo periodo con lemergenza, sono
sorti enormi problemi per le aziende locali, che si trovano nellimpossibilità di
operare, anche se non tutte sono formate da malavitosi. Abbiamo avuto modo di vedere in
Puglia lo cito perché è stato un esempio che mi ha veramente colpito
aziende che avevano fatto investimenti consistenti, decine di miliardi che per la realtà
pugliese non sono cifre irrilevanti, che avevano costituito aziende per il recupero e che
sono adesso sostanzialmente estromesse o quanto meno rischiano di dover chiudere, per-
ché contestualmente il commissario ha individuato unanaloga attività in
unazienda posta a pochi chilometri di distanza, che deve essere ancora costruita.
Questi sono aspetti abnormi che credo meritino di essere approfonditi.
La necessità che si vada verso un unico mercato mi sembra lunica forma seria per poter poi finalmente parlare di unindustria per la gestione dei rifiuti. Questo non vuol dire assolutamente che non ci possa essere collaborazione tra pubblico e privato, anzi io lo auspico, però le regole devono essere le stesse per tutti, perché se due aziende piccole si devono aggregare, esse sono sottoposte alla normativa ovvia delle fusioni, che hanno un costo economico non irrilevante, laddove invece il settore pubblico ha una legge che consente ancora adesso agevolazioni, aiuti, il posticipo del pagamento delle imposte per tre anni, cioè delle condizioni che certamente non solo non agevolano, non rafforzano il coté privato buono, ma addirittura rischiano di scoraggiare qualsiasi imprenditore privato che voglia entrare in questo settore, perché non vede come del resto ha già ampiamente illustrato Levorato, la certezza di regolazione e neanche la sicurezza imprenditoriale ed economica che giustifica linvestimento.
Giuseppe S
PECCHIA, Vicepresidente della Commissione. Interviene ora Andrea Lolli, Presidente dellAMAV di Venezia.Andrea L
OLLI, Presidente dellAMAV di Venezia. Lonorevole Scalia ha aperto la discussione di oggi ponendo una domanda: a che punto siamo, stiamo voltando pagina rispetto allo scenario degli anni passati sul problema dei rifiuti? Rispondo partendo da unesperienza che nello stesso tempo è particolare e sotto alcuni punti di vista probabilmente generalizzabile. Venezia è costituita da due realtà diametralmente opposte per quello che riguarda questi problemi: da una città di terra, Mestre, di 280 mila abitanti circa; e da una città di acqua, Venezia stessa, che può essere considerata soltanto come un laboratorio su cui si sperimentano le complessità, le emergenze e le eccezioni. Venezia comunque è inserita in quel generale contesto del nostro Paese, che è caratterizzato da quello che il professor Vaccà chiamava lorganizzazione produttiva a rete, cioè la nostra azienda lavora in questo contesto ma nello stesso tempo si interpreta come un soggetto su cui sviluppare unorganizzazione produttiva a rete. Venezia come altre città (Brescia, Modena, Padova, Roma, Torino, Genova) ha introdotto in questi anni numerose novità, che hanno aumentato il tasso imprenditoriale dellazienda, che si è trasformata in società per azioni ed ha dal punto di vista tecnologico una serie di dotazioni di estremo interesse. Abbiamo e gestiamo un inceneritore per 50 mila tonnellate lanno, siamo partiti è lunica città capoluogo di regione, siamo al secondo anno con lapplicazione della tariffa. Lo abbiamo fatto su tutta la città con uno strumento di politica tariffaria e orientati ad unazione di presenza dinamica nella competizione rispetto alla fornitura di servizi tradizionali e di nuovi servizi, quindi con unintenzione anche di svilupparci. Su nuovi servizi e su nuovi territori abbiamo esasperato la raccolta differenziata perché siamo sopra al 20 per cento considerato che nella città di terra siamo sopra al 30 per cento mentre nella città di acqua, come ben capite, è molto difficile organizzare in modo economico iniziative di questo genere. Stiamo alla luce del "decreto Ronchi" e di tutti gli accordi di programma stipulati con lEnel, la Regione, la Provincia, il Comune, realizzando un impianto per la produzione di CDR e di compost della potenzialità di trattamento di 200 mila tonnellate lanno autofinanziato, convinti che si debba intervenire sul trattamento totale dei rifiuti prima della destinazione finale. Crediamo nel recupero del CDR, nella soluzione dellincenerimento, nella discarica, non crediamo nelle soluzioni biologiche che potrebbero determinare il solito meccanismo dei veti incrociati, che tendono a paralizzare le situazioni. Mi pare che qualche avvisaglia negli ultimi mesi, negli ultimi anni, labbiamo avuta. Anziché tendere ad una competizione verso la soluzione migliore fra le diverse tecnologie, soprattutto negli ultimi mesi, si è esasperato latteggiamento del veto incrociato che porta a vanificare ogni prospettiva e ogni elemento di scelta di una strategia per il futuro. Noi abbiamo definito la nostra strategia: è un sistema integrato, con lincenerimento, con il trattamento CDR, con una destinazione di recupero successivo di energia e con un forte recupero in compost per dare un senso alle raccolte differenziate che avvengono a monte di questo impianto. Stiamo partecipando alle gare con i privati, ne vinciamo e ne perdiamo, quindi ci troviamo nelle stesse condizioni di competizione. Stiamo sviluppando delle alleanze sul nostro territorio e su nuovi servizi. Come noi moltissime altre aziende pubbliche, ex pubbliche, miste non so più come definirle si muovono cercando di costruire quello che è un sistema industriale per affrontare questo problema.Mi pare infatti vengo al tema generale dopo aver presentato lazienda che abbia ragione il professor Vaccà quando sostiene che sono tre i passaggi. Il primo passaggio è la politica dei rifiuti e richiede uno sviluppo di attività produttive, che hanno bisogno di tre elementi: una politica di regolazione, una politica industriale che ha un altro elemento forte, che è la consapevolezza che attraverso lincentivazione del recupero delle risorse si chiude una condizione di sviluppo di attività produttive. Sono elementi concorrenti e indispensabili, che possono permetterci di progredire in quello che io dico. Si tratta di una "voltata" di pagina, per usare il termine da me volgarizzato dellonorevole Scalia.
Si parlava di una politica di regolazione. Cè bisogno di certezze e di riferimenti. Cè il "decreto Ronchi", ma è una base e non basta, abbiamo bisogno certamente di ragionare sulla correzione e sullaggiornamento di implementazione del "decreto Ronchi" nel quadro del disegno di legge n. 7042, il numero assunto presso la Camera dei deputati del disegno di legge n. 4014. Questa mattina sono stati posti mi pare da Sbandati alcuni elementi di riferimento come strumenti attivi di questa implementazione: lATO, le gare, gli strumenti economici, le politiche dellincentivazione. Sì, io credo che ci convenga parlare di questi elementi e cercare di convergere come imprenditori del settore, piuttosto che rimanere ad alcuni aspetti che considero effettivamente datati, come la distinzione del sangue migliore tra chi proviene da realtà private e da chi nel passato ha avuto unorigine pubblica.
Credo proprio che ci convenga convergere sugli elementi che possono portare allimplementazione di una politica attiva e di una politica industriale in questo settore. LATO ho lopportunità di lavorare in altri due settori, acqua e gas inteso come organizzazione della domanda è certamente un soggetto importante; esso diventa un nuovo soggetto istituzionale che si aggiunge a tutti gli altri già presenti, diventa soltanto un carico eccessivo di complicazione e un nuovo soggetto che una volta inventato, se non è chiaramente definito, si va a cercare, come succede, una funzione con elementi di sovrapposizione nelle condizioni naturalmente più vantaggiose. Organizziamo quindi la domanda. Anche a me convince lipotesi del dottor Levorato, quando afferma che è necessario distinguere chi affida il servizio e chi lo gestisce, organizzare chi affida il servizio, farlo nel modo più snello e orientato alla soluzione dei problemi industriali e produttivi piuttosto che allorganizzazione di problemi istituzionali.
Per quanto riguarda le gare, siamo perfettamente daccordo che ci vogliono strumenti di competizione. Anche in questo caso la discussione gare sì, gare no, mi pare datata, ci sono realtà che finalmente cominciano a discutere su come si effettuano le gare. Il problema non è la gara in se stessa, ma il come effettuarla. Alla gara concorrono i drogati, i dopati, qualcuno che ha uno strumento in più rispetto ad un altro? La gara quando si conclude? Qual è il giudice che verifica che io ho concorso secondo quelle che sono le condizioni? Soprattutto, permettetemi di dire, visto che tutti lavoriamo in questo settore: qual è lo strumento che dopo viene a controllare che ho fornito quello che ho promesso di fornire, nel momento in cui mi sono aggiudicato la gara? Parliamo di queste cose, escludiamo di ragionare sul transitorio. Lo faccio anche con gli imprenditori privati del gas e dellacqua trovandoli perfettamente daccordo con me, ma questo non vuol dire chiedere tempo per conservare situazioni di privilegio: se tu non definisci contemporaneamente prima delle gare questi elementi, non è una gara, non è competizione. Non pensare, collega Levorato, che vinciamo te o io quelle gare lì, le vincono altri perché non si sono definite le regole, non ci sono i giudici consapevoli e soprattutto una parte può partecipare alla gara, convinta che dopo si correggeranno gli elementi dellassegnazione, perché sulla base di quegli elementi basta far la somma per verificare che i risultati non tornano. Stiamo attenti, costruiamo un percorso ragionevole se crediamo che sia un progetto di industrializzazione, cosa che a me convince. Può darsi che io sia troppo ancorato a quegli elementi. Se invece pensiamo che basti la bacchetta magica per far sì che in un anno in questo paese siamo in grado di far le gare, può darsi che io non conosca questo paese nel settore dei rifiuti.
Sono daccordo che tutti stiamo dicendo che questi sono i minimi elementi di certezza, se si vuole che imprenditori sani che vogliono svilupparsi nellimprenditoria dei servizi partecipino alle gare, cui, altrimenti, partecipano soltanto gli avventurieri. Poi ci sono quelli che fanno fortuna, quelli onesti, quelli che fanno un disastro, quelli disonesti. Non banalizziamo il processo di industrializzazione di un settore che è molto indietro.
Vediamo ora le certezze di cui abbiamo bisogno, costituite dagli elementi e dagli strumenti di industrializzazione di un settore. Non abbiamo bisogno di dogmi, di soluzioni tecnologiche univoche. Ho vissuto la stagione, in altri settori, di quando si diceva: "No agli inceneritori, tutto in discarica". La prima volta che venne Commoper a Bologna (lo avevo invitato io), in quel caso si trattava della demonizzazione totale degli inceneritori e la beatificazione di altre soluzioni. Adesso, da gestore di inceneritori, non mi convince la soluzione "solo gli inceneritori, no ad altre soluzioni articolate".
Ritengo che insieme ci sia spazio per tutti, perché più che i veti incrociati, cè tanto da industrializzare che mi pare ci siano le opportunità per lavorare bene. Fra le certezze servono due condizioni: la certezza delle entrate, la tariffa. Allora, in questo caso mi pare che dobbiamo lavorarci sopra perché mi pare che non si tratti di una tassa, bensì di uno strumento di politica tariffaria e di un elemento su cui io mi gioco una serie di proposte di opportunità, un elemento di industrializzazione del settore. Dobbiamo anche lavorare, oltre che sulle entrate, sulle uscite che sono i costi di smaltimento chiedendo di non dover pagare i costi assurdi di ritardi amministrativi e politici.
A me non convince mai che ci sono i buoni imprenditori che producono soluzioni e ci sono cattivi politici che producono voti. La democrazia ha unorganizzazione e bisogna far prevalere il fatto che i voti li conquista chi sa prendere in tempi rapidi ed efficaci le decisioni, non demonizzare complessivamente chi cerca il voto perché in quel modo non costruiremo mai un rapporto che va a cogliere quello che è il meglio della politica e della competizione, che anche in politica si sta sviluppando e si svilupperà sempre e comunque sia verso lalto o, se non riusciremo a determinare gli elementi di qualità, verso il basso. Le uscite, cioè i costi di smaltimento, molto spesso sono insopportabili perché sono determinate dalle incertezze e dal fatto che partiamo in certe condizioni per costruire delle soluzioni e rimaniamo bloccati per anni in quelle soluzioni e quelle che troviamo magari non possono essere attivate, perché veniamo bloccati da assurde condizioni, regolamenti e controlli su elementi assolutamente impensabili. Potrei elencarvi una casistica che ognuno di voi sicuramente conosce perché le vive a casa propria, che rappresenta quei costi industriali e non legati alla qualità della risposta.
Un altro aspetto sul quale credo che noi dobbiamo intervenire è di fare chiarezza rispetto a tre elementi ancora confusi. Tutti dobbiamo tendere alla riduzione della produzione dei rifiuti. È una battaglia culturale, di responsabilità, di civiltà nei confronti dellambiente e delle future generazioni e questo deve essere un obiettivo fondamentale.
Non si può però tradurre questo obiettivo fondamentale in un elemento industriale, perché do una notizia in controtendenza, su cui sto cercando di ragionare, senza cavarci un ragno dal buco non è vero che i rifiuti, per lo meno a Venezia, stanno diminuendo. Io conosco, grosso modo, il trend nazionale e vedo che non ci sono aumenti consistenti, ci sono in realtà diminuzioni; ma negli ultimi due anni abbiamo avuto degli incrementi preoccupanti. Preoccupanti anche perché non siamo riusciti a capire da cosa derivano: metteteci il Giubileo, metteteci lesplosione dei grandi avvenimenti veneziani, lultimo dellanno, metteteci il rilancio della Biennale del cinema, e così via. Quando prima parlavo di complessità volevo riferirmi anche al fatto che lavoriamo con punte assurde e con baratri... No, non cè quasi mai il baratro, ma certo ci sono punte straordinarie.
Da questo punto di vista, bisogna sapere che la riduzione è un obiettivo, ma sul piano industriale essa non ha ancora lincidenza che qualcuno vorrebbe avesse.
Laltro elemento è quello della raccolta differenziata, e risente di tutta lincertezza di quello che avviene a valle: chi si lancia voglio dire a volte lo fa mettendo il cuore oltre la ragione. Questo si combina con i ragionamenti che riportavo prima sul recupero dei materiali e sulla valorizzazione ambientale dei prodotti di recupero.
Chiediamo che ci siano degli atti conseguenti alle ipotesi ed agli obiettivi enunciati. Mi pare, cioè, che negli ultimi anni tutti abbiano detto: settore fondamentale, settore strategico, settore da industrializzare, settore da sviluppare in termini di tecnologia, di occupazione, di innovazione e di gestione del servizio. Non mi sembra, però, che la traduzione in fatti sia seguita con tempestività: si rimane ancora a situazioni datate e non si interviene nel merito dei problemi reali di attuazione.
Chiediamo strumenti legislativi precisi: è troppo che il disegno di legge n. 7042 dorme; bisogna che questo Parlamento, indipendentemente dal clima preelettorale che lo sta paralizzando totalmente (cioè su tutti gli argomenti e da parte di tutti i suoi componenti: chiedo scusa alle eccezioni eventualmente presenti, comunque, si tratta di uno stato danimo che io, come analizzatore esterno, vedo complessivamente) abbia la capacità, entro poche settimane, di sbloccare il provvedimento, per dare certezza alla cornice delle leggi di settore. Infatti, le leggi di settore sono più avanzate della legge-cornice: se andiamo a vedere il decreto Bersani, pur con tutti i suoi difetti nel settore elettrico, il decreto Letta, pur con qualche difetto nel settore del gas, la legge n. 36, pur con la sua necessità di aggiornamento e il "decreto Ronchi", ebbene si tratta di strumenti di settore che sono tutti più avanti e però vengono bloccati da questa situazione di incertezza rispetto agli elementi di competizione e di liberalizzazione del quadro complessivo.
Chiediamo strumenti normativi, finanziari e fiscali su questo già altri sono intervenuti in precedenza che però siano coerenti: non chiediamo assolutamente favoritismi né tanto meno condizioni diverse tra pubblico e privato, e neppure sostegni a fondo perduto; chiediamo però che tutti questi elementi siano orientati al decollo di una politica industriale e non ancorati, come sono tuttora eccessivamente, a elementi dominanti di politica sociale e di politica ambientale, che sono importantissimi ma che debbono confrontarsi anche con le esigenze industriali del settore.
Giuseppe S
PECCHIA, Vicepresidente della Commissione. Chiude la serie degli interventi Roberto Potì, del Gruppo Falck.Roberto P
OTÌ, Amministratore delegato della ETR - Gruppo Falck. Parlando a conclusione di una serie di interventi, ovviamente, debbo prendere atto che le considerazioni generali sono già state sviluppate, sia negli interventi dellonorevole Scalia, sia del dottor Sbandati, nonché in quelli di altri che mi hanno preceduto in questa tavola rotonda. Preferirei quindi fare un intervento mirato su una testimonianza di un gruppo, quale il Gruppo Falck, che opera in questo settore: in modo tale da dare dei messaggi concreti su alcune necessità e richieste che praticamente sono in linea con quanto evidenziato fin qui, ma che vorrei sottolineare con un dato di concretezza.Giusto per una presentazione che mi sembra utile, il Gruppo Falck, che è conosciuto probabilmente per lattività nellacciaio, recentemente ha convertito il core business nel settore dellenergia, dellambiente e poi nei settori diversificati dei servizi, fino anche a quello dei trasporti. Nel settore dellambiente ha costituito ormai da un anno una società, anzi una capogruppo, che si chiama CMI, che è quotata in Borsa e forse è la prima società ambientale ad esserlo. Questo comporta ovviamente una necessità di trasparenza di bilanci, di trasparenza amministrativa, ma comporta anche la presentazione di risultati, anche a breve termine, interessanti per la Borsa.
CMI si interessa di servizi ambientali vari, dal trattamento dei rifiuti a smaltimento a quello delle acque, alla produzione di energia da fonti rinnovabili, al riciclaggio (qui mi riferisco a un appunto preparato questa mattina) di beni dimessi. In tutti questi settori non opera con la stessa fortuna: poi vedremo perché. Ha anche costituito un polo impiantistico, che raggruppa le esperienze di costruzione di impianti per lambiente della TTR con quelli dellenergia della Sondel per avere anche un nucleo di competenza tecnologica: e qui mi riferisco, poi, alla notazione del fatto che non cè unofferta di servizi impiantistici qualificati. Inoltre, ha stabilito di avere un comportamento trasparente, non solo per quanto riguarda gli aspetti bilancistici ed amministrativi ma anche quelli comportamentali: infatti, si è dotata di un codice di comportamento etico nella gestione del business, distribuito a tutti i dipendenti, clienti e fornitori, che ha lintenzione di definire dei principi inderogabili sul comportamento corretto nella conduzione delle attività correnti, il che vuol dire massima trasparenza anche in questo settore. Infine, ha dato una disponibilità nellinvestimento nel settore ambientale, che al momento è superiore a 400 miliardi realmente investiti: e questo non mi sembra proprio un piccolo sforzo nel nostro settore.
Dove operiamo? Ovviamente nellimpiantistica, in particolare per gli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili per lo smaltimento di rifiuti, in relazione ai quali collaboriamo anche con le municipalizzate: con Venezia per quanto riguarda attività più operative, con Bologna per quanto riguarda addirittura project financing, e così via. Sostanzialmente, però, al momento sono in cantiere impianti di trattamento rifiuti per circa 90 megawatt, il che vuol dire più di un milione di tonnellate/anno di rifiuti.
Penso che questo gruppo sia ormai impegnato nellambiente in maniera decisiva. Quali sono i problemi concreti? Abbiamo costituito questo polo impiantistico, che ci sembra di tutto rispetto; probabilmente, però, non riusciremo a partecipare alle prossime gare di appalto, sia noi che buona parte degli impiantisti qualificati italiani. Questo perché cè una normativa, il famoso "decreto Bargone", che prescrive, tra laltro anche retroattivamente, la documentazione di disponibilità di mezzi propri dopera (il che vuol dire gru e mezzi di trasporto di cantiere, che non fanno parte delle attività delle società di impiantistica bensì di quelle di costruzione civile) per una quota di circa il 2 per cento del giro daffari in termini di ammortamento. Tra laltro, io personalmente, anche come rappresentante del comitato direttivo dellAssociazione nazionale delle imprese di difesa ambientale, ho fatto presente questa distorsione del c.d. "regolamento Bargone", che di fatto impedirà agli impiantisti qualificati di partecipare alle gare e ai costruttori di estrazione civile di partecipare lo stesso, perché poi non hanno i requisiti tecnici e le referenze sulla parte impiantistica. Alla fine della fiera, potranno partecipare soltanto le società straniere. Dico questo non perché io sia contro la concorrenza internazionale, ma in realtà questo è un punto su cui la stessa Commissione non so se ha un ruolo al riguardo dovrebbe poter intervenire. Mi sembra infatti veramente un non senso richiedere lofferta di servizi impiantistici qualificati e poi creare una barriera alla partecipazione alle gare da parte delle società impiantistiche.
Si parlava di quadro di regole: tariffe, incentivi, e così via. Il "decreto Ronchi", che io personalmente condivido in larga parte, anche se non totalmente, ha fatto comunque chiarezza e ha impostato la cornice entro la quale lavorare. Però, naturalmente, il tempo lavora contro: ad esempio, è sotto gli occhi di tutti, anche se poi è passato un po in sordina, il fatto che il 28 dicembre 1999 ci sia stata una proroga per lo smaltimento dei rifiuti urbani in discarica fino al 16 luglio 2001. Non cè stata invece nessuna proroga per quanto riguarda gli incentivi CIP6 o un aumento dellecotassa a favore degli impianti. Ciò significa, praticamente, che dal 31 dicembre dellanno scorso fino al luglio del prossimo anno ci sarà il solito discorso: ma perché fate gli impianti? Costa di meno in discarica! E questo noi lo viviamo giornalmente.
Tra laltro, il "decreto Bersani", come sapete, poneva un limite, al 30 marzo, per la presentazione dei progetti eleggibili per il CIP6. Questo si è fatto, si è portata tutta la documentazione, siamo al mese di luglio: non dico che non si parla ancora dei certificati verdi, perché sarebbe chiedere troppo, ma non si hanno neanche notizie sulle approvazioni dei CIP6 già presentati, e quindi, praticamente, gli investimenti in corso sono bloccati per questo problema. Poi, chiaramente, cè il problema che il ministro dellindustria non sa se lAuthority darà la sua approvazione: cioè cè tutto un meccanismo del genere. Però, di fatto, le discariche hanno avuto una proroga tout court, mentre gli impianti sono bloccati sulle attuali normative... Ma poi direi ci sono anche dei segnali di ottimismo.
Le attività di controllo per noi sono auspicabili, auspicate, benvenute, perché anche utilitaristicamente, secondo me, facilitano laccettabilità sociale degli impianti. Noi siamo convinti che a nessuno faccia piacere avere un impianto davanti al proprio giardino, ma certamente, se si sa che limpianto è fatto in maniera tecnologicamente corretta e senza diciamo distorsioni amministrative, penso che il consenso pubblico sia molto maggiore. Naturalmente, però, questa attività di controllo non deve avere dei pregiudizi: come quello che limpresa privata persegua un utile che limpresa pubblica non perseguirebbe e quindi che la tariffa in qualche modo debba essere un po più alta quando gestisce il privato; oppure, come ho visto, dubbi sulla effettiva concorrenza. Ora, è chiaro che cè stato un ricambio generazionale nelle industrie che lavorano nel settore ambientale, per cui, ad esempio, si è dovuto recuperare da altre esperienze personali, quindi si sono stabiliti nei riguardi dei venditori dei patti di ovvia non concorrenza, perché cè una concentrazione di competenze nellambito di realtà imprenditoriali più sicure e più tranquille. Citavano prima il trend industriale italiano del nanismo o delle "imprese bonsai". Noi tutti, cioè, siamo degli operatori, forse un po grossi in Italia ma piccoli rispetto al contesto internazionale. Nessuno si scandalizza, in una gara internazionale, se due grosse società fanno una joint venture per fare un investimento di qualche centinaio di milioni di dollari. Se noi lo facciamo due volte di seguito con lo stesso partner cè il dubbio che ci sia un cartello! Noi partecipiamo alle gare secondo la logica delle gare, quindi ad esempio con una municipalizzata in una gara siamo insieme (è un caso concreto), in unaltra gara siamo avversari; e lo stesso ragionamento vale con gli imprenditori privati. Secondo noi, quindi, le attività di controllo ci debbono essere, però non debbono avere pregiudizi, perché i pregiudizi creano poi i sospetti ed i sospetti creano anche unavversione nel comune senso dellaccettazione di questi impianti. Regole, quindi, controllo delle regole, ma condotto con conoscenza dei fatti.
La finanza di progetto, che è uno strumento necessario per far decollare questi investimenti in assenza di finanziamenti pubblici, necessita di regole: ha bisogno, cioè, di un riferimento più o meno (ormai più meno che più!) tariffario, di alcune condizioni per cui si sappia, nel medio termine (noi con le banche cerchiamo di restringere tali termini), quali sono i flussi di rifiuti o la produzione di energia elettrica. Se non cè un minimo di pianificazione a livello locale, provinciale o regionale, è impossibile, ovviamente, attuare la finanza di progetto. Senza la finanza di progetto, gruppi anche di media dimensione riescono a portare aventi un paio di impianti, ma non possono fare altro.
Infine, il discorso delle tecnologie. Noi abbiamo investito non solo nel campo del recupero energetico da rifiuti, ma anche nella produzione di CDR e nel riciclaggio dei beni durevoli dei frigoriferi, quindi con il recupero del CFC. Questi due interventi sono stati negativi, nel senso che per quanto riguarda la produzione di CDR abbiamo messo a punto un impianto, con alcune difficoltà, in quanto di tecnologia prototipica, nel comune di Trezzo, il quale teneva come input di base il fatto che ci fosse una raccolta differenziata che portasse un rifiuto abbastanza omogeneo. Poiché la raccolta differenziata a monte non ha questi requisiti, ma limpianto deve rispondere a delle specifiche, il gruppo ha comunque portato avanti il discorso, non potendo accedere alla finanza di progetto in quanto si tratta di una tecnologia innovativa. Comunque, stiamo continuando a sviluppare le tecnologie nel campo del CDR.
Per quanto riguarda la dismissione dei frigoriferi ed il recupero del CFC, si è proceduto prima alla realizzazione di un impianto prototipico, poi, dopo la legge Bersani, addirittura alla costituzione di una società ad hoc che ha realizzato un impianto (visitabile) a Sesto San Giovanni, il quale fa effettivamente il recupero dei beni durevoli, gli elettrodomestici. Si attende ancora lemanazione delle norme attuative affinché questi beni durevoli vengano poi conferiti agli impianti di smaltimento, per cui nel frattempo limpianto ha delle diseconomie notevoli e certamente non potrà rimanere in un simile limbo per molto tempo.
Concludo. Mi pare che ci sia stato, nellarco degli ultimi sette-otto anni, un rinnovamento completo nel settore dellimpiantistica ambientale. Alcuni imprenditori saranno caduti dopo il 1992 per questioni di Tangentopoli, però molti sono caduti perché, nel limbo della mancanza di investimenti e della mancanza di regole, non avevano la dimensione per sopportare questo periodo di transizione.
Cè stato lintervento della Pirelli, ma non solo: anche altri gruppi industriali italiani di prestigio si sono impegnati in questo settore. Questi gruppi, probabilmente, non cadranno se per diciotto mesi viene prorogato lutilizzo delle discariche; però sono gruppi che, come tutti vogliamo, debbono rispondere ai criteri economici anche del mercato, quindi anche della Borsa: non possono, pertanto, permettersi continuamente delle semestrali non incoraggianti.
Linvito che io vorrei rivolgere alla Commissione e anche ai rappresentanti dei Ministeri che, direttamente o indirettamente (come è il caso dei Lavori pubblici o dellIndustria), sono collegati al settore è anzitutto di affrontare i problemi sentendo anche le nostre testimonianze di casi concreti, che provengono da operatori che effettivamente stanno investendo risorse e soldi nel settore; quindi di creare dei punti e delle occasioni di contatto anche a livello di indirizzi programmatici e di indirizzi tecnologici, perché questo secondo round dellimpiantistica aziendale non debba poi vedere nuovamente un abbandono da parte dellindustria nazionale. Il nostro gruppo sta investendo con molta volontà, penso lo facciano anche altri, quindi siamo in presenza di unopportunità da cogliere.
Giuseppe S
PECCHIA, Vicepresidente della Commissione. Grazie. Adesso saranno svolti interventi, alcuni già programmati, altri liberi. Chi vuol intervenire può prenotarsi. Saranno particolarmente apprezzati interventi di esponenti di enti locali, oltre che di imprese e di associazioni.Vorrei anzitutto salutare lonorevole Saonara, che è nostro collega nella Commissione di inchiesta sui rifiuti.
Do la parola a Paolo Togni. Pregherei tutti coloro che svolgono un intervento di dire a nome di quale associazione o ente intervengono.
Paolo T
OGNI, Presidente della Waste Management. Sono, da poche settimane per la verità, presidente di Waste Management, quindi sono un parvenu del mondo dei rifiuti. Questa breve esperienza (naturalmente, prima cabotavo ai margini del settore) già consumata mi consente di fare brevissime considerazioni, non un vero e proprio intervento.Cè una frase, nel risvolto dellinvito: "Un sistema industriale di gestione dei rifiuti dinamico e tecnologicamente avanzato è essenziale per la costruzione di uno sviluppo compatibile con la tutela dellambiente". È da sottoscrivere a quattro mani! Mi voglio soffermare su tre espressioni che ci sono, in questa frase: "sistema industriale", "dinamico", "tecnologicamente avanzato".
"Tecnologicamente avanzato": mi pare che sia una richiesta, come nellinvito viene formulata, ma non mi pare che corrisponda molto alla situazione attuale. Mi dispiace. Questo non è stato indicato in termini diretti e specifici, ma è emerso da diverse affermazioni nel corso degli interventi già effettuati. Lonorevole Scalia ha parlato di deficit impiantistico. Questo è un discorso che rappresenta sostanzialmente una situazione di tecnologia insufficientemente diffusa, per lo meno in termini quantitativi: ma, io aggiungo, anche in termini qualitativi non adeguata alle richieste e alle possibilità tecnologiche esistenti nel nostro e in altri paesi. Cè un ritardo di tecnologia negli impianti (senza entrare nel merito), cè un ritardo di tecnologia nei processi e nellorganizzazione, che è forse ancora più grave, perché gli impianti si possono fare, ma rimettere in piedi unorganizzazione o un processo è un po più difficile.
I due tipi di ritardi, secondo me, hanno delle cause. Consentitemi di essere sintetico, però una certa demagogia che ha bloccato il rinnovamento tecnologico degli impianti negli ultimi quindici anni e qualche interesse poco pulito che pure nellambiente circola, sono due elementi che hanno ritardato il rinnovamento fisiologico e lapprofondimento delle nuove tecnologie. I pochi investimenti nel settore derivano, sì, dallincertezza nel futuro, ma io credo che una certezza cè: che i rifiuti, in misura ridotta, in modo diverso, con unorganizzazione di raccolta e di gestione diversa, sono però destinati ad essere una costante nel nostro sistema industriale e sociale, sicuramente per i prossimi 15-20, o forse addirittura 50 anni, salvo che non avvenga qualcosa di molto drastico. E allora è un problema culturale, quello di non investire; è un problema che ha consentito, anche per la presenza di operatori forse poco corretti, una tendenza a massimizzare lutile dellattività prescindendo da una corretta gestione che prevedesse anche nel tempo attività ad alto livello qualitativo.
"Sistema industriale": il sistema industriale rappresenta un complesso di attività che producono in modo stabile beni o servizi, in un contesto che sia economicamente autosostentante. Lattività cè, perché i rifiuti vengono raccolti: qualcuno ha detto che poi, tutto sommato, nelle nostre città i rifiuti vengono portati via. I servizi vengono resi, quindi, ed allora il sistema industriale cè. Quanto allautosostentamento economico, ho qualche dubbio che sia in un circuito di piena correttezza. Ho la certezza che non è un circuito di moralità industriale: questo perché in questo settore la mia pur scarsa esperienza mi porta a considerare che tutto sommato limprenditoria, anche quella grossa, non è una imprenditoria propriamente e veramente industriale. Credo che questo fosse nelle righe anche nellintervento della dottoressa Ferrofino.
Lo stesso mercato non è un mercato vero e proprio, in cui vi sia una dialettica fra domanda ed offerta, uno stimolo a fornire al meglio i servizi, e così via: e questo, debbo dire, soprattutto per carenza di qualità della committenza, che avrebbe il potere di imporre condizioni di moralità di mercato che invece non vengono imposte perché non cè la capacità, da parte del committente, in molti casi, di farlo.
Come vedete, sono molto sintetico.
"Dinamico": il mercato è dinamico, altro che! Bisognerebbe semmai dargli un po di bromuro, non ha certo bisogno di caffè!
Veniamo ai rimedi. Per quanto riguarda il dinamismo, non cè niente da aggiungere. Per la tecnologia, partiamo dallultimo spunto: una committenza poco preparata. Questo significa, dottor Potì, che non è in grado (o non vuole: comunque, di fatto è difficile che ciò avvenga) di fare i bandi con requisiti tecnicamente validi e approfonditi al punto giusto per imporre sia la qualità dei concorrenti sia la qualità delle offerte: in molti casi, vi sono delle indicazioni che sono suscettibili di essere in qualche misura "elasticizzate". Tanto meno è in grado di imporre dei controlli una volta che la fornitura sia stata aggiudicata, quindi chi lha vinta dovrebbe essere tenuto a rispettare dei parametri. Spesso, infatti, il committente non ha le strutture tecniche per effettuare controlli, non ha la cultura per effettuarli e forse in qualche caso non ne ha neanche la voglia. È chiaro allora che, in queste condizioni, risulta molto difficile riuscire a capire se il servizio reso è un servizio di qualità o meno.
Cè un problema delle tariffe, connesso a questo. Debbo dire che ho criticato il "decreto Ronchi" per molti motivi, ma la parte peggiore è quella sulle tariffe, perché è stata copiata male dalla legge Galli (la legge n. 36 del 1994), riportando, in qualche caso addirittura testualmente, la parte riguardante lorganizzazione, e riprendendo, ma con una semplificazione piuttosto grossolana, la struttura del metodo normalizzato per la fornitura dei servizi idrici, alla quale tra laltro io ho concorso in prima persona, facendo parte allepoca del comitato per la vigilanza sulluso delle risorse idriche: ma quella formula aveva un senso nel caso della distribuzione di acqua, ed infatti mi pare che stia reggendo anche alle critiche che le sono state rivolte, ma nel caso dei rifiuti è cervellotica. Per quanto riguarda la tariffa, quindi, bisogna riflettere in modo approfondito per determinare una condizione di logica commerciale, giuridica e quantaltro.
Soprattutto, però, credo che per recuperare valore tecnologico al sistema occorra investire in ricerca. Da questa mattina non ho sentito una volta se non forse, da parte del professor Vaccà, di rimbalzo parlare di ricerca in questo campo. Io credo che sia invece essenziale che si investa in ricerca per quanto riguarda i processi, gli impianti, i prodotti e comunque gli esiti finali dei processi stessi. Ho il piacere e lorgoglio di annunciare che ieri il Consiglio di amministrazione di Waste Management ha approvato listituzione di una unità per la ricerca scientifica, che sarà operativa (anche se certamente non subito in forma smagliante!) dal prossimo 1° settembre, per approfondire queste tematiche, sulla base di finanziamenti propri e con la prospettiva di avere accesso a qualche finanziamento sia da parte dellUnione europea sia nazionale o regionale.
Sempre per risolvere il problema della tecnologia, laltro sistema è quello di superare i vincoli burocratici allinnovazione, che esistono e che noi soffriamo tutti i giorni. Da questo punto di vista, evidentemente, è molto necessario un intervento radicale sulla normativa.
La normativa in campo ambientale è composta da oltre quarantamila atti normativi (non sono tutti leggi, fortunatamente, ma qualche legge cè) e questo la rende una giungla talmente difficile da attraversare che spesso si è invogliati, o si è obbligati, a percorrere strade traverse. Tra laltro, i comportamenti illeciti posti in essere in questo settore avente ad oggetto lambiente che ci circonda (come del resto in tanti altri) sono resi molto più semplici da una precisa circostanza. Lonorevole Scalia, questa mattina, ha parlato dellintroduzione nel codice penale di ipotesi di delitto ambientale: può essere un fatto positivo. Però cè una cosa più importante da considerare, a mio modo di vedere: oggi lordinamento rende impossibile che lo Stato venga risarcito del danno ambientale prodotto. Questo perché la norma fu fatta male e non è applicabile: infatti non è mai stata applicata, per quanto mi risulta. Occorre allora mettere mano e questo non è difficile: basta predisporre un provvedimento legislativo piuttosto semplice ad una normativa drastica che consenta allo Stato ed agli enti locali il recupero del danno ambientale.
Ultima battuta, Presidente: stamattina si è parlato di monopolio, però lha detto il dottor Sbandati, che poi ha parlato di quattromila operatori nel settore. Allora bisogna capirci: che ci possano essere cartelli, come in qualche misura lonorevole Scalia ha detto nella relazione ma mi pare che la dottoressa Ferrofino abbia chiarito molto bene i termini della situazione è un discorso; ma che si parli di monopolio con quattromila soggetti presenti, il più grosso dei quali, che io rappresento, non raggiunge il 7 per cento della dimensione totale, in termini di fatturato e di servizi, del mercato nazionale mi sembra veramente una cosa fuori posto.
Giuseppe Specchia, Vicepresidente della Commissione. Do adesso la parola ad Andrea Cirelli.
Andrea C
IRELLI, Direttore della Federambiente. Ringrazio il Presidente per avermi dato la parola e mi scuso per non poter essere presente nel pomeriggio, anche se lintervento era programmato, ma purtroppo non posso restare.Sicuramente, rispetto a qualche anno fa, risultati importanti li abbiamo ottenuti. Le raccolte differenziate si stanno davvero facendo. Io ero tra quelli che non ritenevano che si potessero fare nella misura del 35-40 per cento: ho cambiato idea. Vedo un sistema industriale che si sta impegnando e che sta funzionando, i cittadini stanno imparando molto di più, il ruolo della comunicazione credo sia diventato molto importante. Adesso dobbiamo però cominciare a comunicare, come stiamo facendo anche oggi, la sostenibilità ambientale, smettendo di fare semplicemente la classica educazione ai bambini piccoli e ritenendo di aver superato il problema insegnando alle elementari come si fa il riciclo: dobbiamo insegnarlo a noi stessi, evitando da una parte gli anatemi e dallaltra le autocelebrazioni.
Io credo che vi siano tre argomenti assolutamente fondamentali. Il primo riguarda la cultura economica. È già stato detto: sappiamo ancora troppo poco di quanto ci sta costando lambiente. Il ritardo sul passaggio da tassa a tariffa è drammatico. Io ritengo che lANCI, e comunque alcuni amministratori, che si stanno impegnando in battaglie di retroguardia, stiano arrecando un grave danno al sistema ambientale. Dobbiamo parlare di cultura economica, dobbiamo sapere quanto costa il sistema.
Il secondo riguarda la qualità. Parliamo troppo poco di certificazione, parliamo troppo poco di che cosa significa. Lambiente è una questione che deve essere gestita in binomio diretto con la qualità. Dobbiamo certificarci, dobbiamo distinguerci rispetto a chi queste cosa non le conosce e non le sa fare.
Il terzo riguarda i sistemi integrati, gli ambiti territoriali ottimali, enunciati ma non ancora attuati: ahimè, il feudalesimo in Italia non è assolutamente ancora finito. La difesa, anche qui, di alcuni piccoli comuni è assolutamente perdente e secondo me sbagliata.
Il CONAI ha fatto sicuramente delle cose fondamentali. Scherzando, ma non tanto, ogni tanto con Pietro Capodieci dico: il CONAI ha vinto! Ma secondo me, attenti: forse il CONAI ha vinto troppo. Cè un pericolo grave: che non si faccia il sistema. Perché in realtà i ritardi negli accordi ci sono, perché ancora ci sono delle rigidità e delle imposizioni (leggasi vetro), perché oramai non si riesce a gestire bene il sistema. Attenti; molti comuni stanno cominciando a dire: se siete così bravi, fatela voi, la raccolta, e vediamo poi che cosa succede!
Facciamo per un attimo unanalisi: mi piacerebbe che la Bocconi la facesse. Studiamo qual è il delta che il CONAI è riuscito a migliorare. Che cosa sarebbe successo se non ci fosse stato il CONAI? Vediamo la differenza. Secondo me potrebbe anche accadere che potremmo scoprire che il riciclo oggi ci costa circa mille lire al chilo; siamo sicuri di essere sulla strada giusta? Facciamo riferimento ad altre strutture, non a quelle che mi appartengono (per evitare di essere di parte): a livello internazionale è stato sostenuto che stiamo spendendo 5 miliardi di ECU per gli imballaggi; siamo sicuri che li stiamo spendendo nel modo giusto? Io personalmente comincio a credere che non sia vero, comincio a credere che stiamo spendendo male le risorse che ci sono.
È evidente, allora, che siamo di fronte ad un sistema di imprese che si sta trasformando. Vi sono forti cambiamenti nelle imprese pubbliche: lo abbiamo già detto e lo abbiamo visto. Io credo che sia ora di parlare di imprese di servizi pubblici. Lo dico tutte le volte: io non credo che sia giusta la strategia imprenditoriale privata di contrastare i successi o i risultati delle imprese pubbliche. Io credo che dobbiamo salvaguardare le imprese private più sane e le imprese pubbliche più sane. Dobbiamo parlare di imprese di servizi pubblici, di trasversalità dellambiente. Troppo poco si parla di energia e di ambiente. Cè una peculiarità italiana, che sono le pluriservizio: ricordiamoci, sono molto importanti.
Cè bisogno di alleanza, e non di contrasti. Ripeto i tre temi: mercato competitivo, sistemi integrati e qualità. Essi richiedono coalizione, richiedono filiere, richiedono specializzazione. Le Regioni commissariate, per uscire dallemergenza, chiedono una politica industriale; se non la facciamo, il rischio è che aumentino le Regioni dellemergenza, non solo quelle del sud, ma anche quelle del nord.
Cè un tema centrale: dobbiamo gestire la complessità. Cè un ritardo negli impianti, non nelle tecnologie; cè un ritardo nella logistica, nel sistema dei trasporti. Servono da una nostra indagine 12 mila miliardi. Non è una cifra enorme di investimenti: perché non li facciamo assieme? Serve una politica delle alleanze.
Io credo che sia fondamentale un mercato aperto. Federambiente, sul provvedimento n. 4014 (o 7032, come si suole definire) è assolutamente daccordo: servono dei professionisti dei settori. Vogliamo parlare di waste audit? Serve una Borsa del riciclo, e con le Camere di commercio stiamo spingendo perché questo avvenga. Servono degli strumenti legali di intervento: passiamo dal civile al penale, come molte volte lonorevole Scalia dice. Servono degli incentivi: ma per la raccolta differenziata della frazione umida, che rappresenta, da sola, molto di più di tutto il CONAI e non è incentivata per nulla in Italia, ed è perdente tutto questo. Servono degli impianti a norma e serve una regolamentazione vera. La politica della discarica deve essere finalmente contrastata. Servono degli strumenti di contrattazione: e allora, dato che degli appalti ha parlato Lolli, parliamo di contratti di servizio, parliamo di contabilità ambientale, parliamo di bilancio ambientale, parliamo di codice etico, che sono strumenti veri, che fanno parte del mercato competitivo. Soprattutto, creiamo anche dei forti strumenti di controllo.
Credo allora che dobbiamo, insieme, produrre una nuova attenzione sui servizi pubblici a difesa del collettivo. Qui, ragazzi, perdiamo o vinciamo assieme, perché qui la partita, la scommessa, è sul collettivo. Io ho limpressione che questa scommessa possiamo vincerla solamente se siamo assieme.
Giuseppe S
PECCHIA, Vicepresidente della Commissione. Facciamo il punto della situazione. Abbiamo sette prenotazioni: tre interventi potranno essere svolti subito, gli altri quattro seguiranno alla ripresa dei lavori, alle 14,30.Do la parola a Rosario Calandruccio.
Rosario C
ALANDRUCCIO, rappresentante del Consorzio obbligatorio degli oli usati. Rappresento il Consorzio obbligatorio degli oli usati. Noi qui leggiamo: "Verso un sistema industriale per la gestione dei rifiuti". Il Consorzio obbligatorio degli oli usati è stato il primo e uno dei più originali ed efficaci modi per la soluzione del problema del rifiuto oleoso. Noi operiamo dal 1984 e raccogliamo, a nostro avviso, ilSe la valutazione per cui il 33 per cento dellolio nuovo immesso al consumo diventa olio usato è uno strumento budgetario, non è detto che, trattandosi di una stima, debba essere anche uno strumento di misura della nostra efficienza. Può diventare uno strumento di misura della nostra efficienza fare unanalisi di confronto con gli altri paesi europei. Che cosa hanno fatto questi paesi? Prima di ciò, però, bisogna fare delle premesse. Non è giusto prendere la raccolta degli oli usati, confrontarla con limmesso al consumo e rilevare un numero percentuale che determina la classifica in questa gara ambientale. Bisogna tenere conto delle condizioni al contorno, della propensione alla corretta gestione dei rifiuti da parte delle popolazioni dei vari paesi europei e, fondamentalmente, bisogna tener conto della definizione di olio usato, che non è uguale in tutti i paesi europei.
Ebbene, da questo studio, una volta create le condizioni al contorno per cui i numeri diventano raffrontabili, si evince che il sistema Italia, e quindi in larga parte anche il Consorzio, ha raggiunto in questa gara ambientale il quarto posto, superato da paesi come la Svizzera, la Svezia e la Norvegia, che hanno una cultura ambientale radicata, ma superando a sua volta, anche se di poco, paesi molto simili al nostro, paesi come la Germania che sono un punto di riferimento dal punto di vista ambientale. Appunto la Germania raccoglie, rispetto allimmesso al consumo, il 31,2 per cento dellolio usato, mentre lItalia ne raccoglie il 31,9 per cento: una differenza piccola, ma significativa.
Ripeto: questi numeri non sono il semplice risultato di una divisione, sono pesati, perché si deve parlare di oli contenuti nelle emulsioni. Il Consorzio raccoglie 100 mila tonnellate di emulsioni oleose, oltre alle 189 mila tonnellate di oli usati. Questi prodotti contengono olio in quantità rilevanti.
Ecco, unaltra fase importantissima, sempre dal punto di vista della performance europea, è quella della destinazione. La direttiva, ed anche la legge italiana, danno la priorità alla rigenerazione degli oli usati. Ebbene, il Consorzio invia tutto il prodotto che la legge definisce rigenerabile alla rigenerazione, e solo la parte che non è riutilizzabile per rigenerazione ai fini della produzione di altro nuovo lubrificante, una piccola parte parliamo del 7 per cento ha la combustione controllata. Il 93 per cento dellolio usato raccolto ridiventa olio lubrificante. Noi abbiamo raccolto due miliardi e mezzo di chilogrammi di oli usati, in 15 anni, e abbiamo prodotto, grazie a tale raccolta, oli lubrificanti nuovi per soddisfare il fabbisogno di mercato per tre anni di tutto il sistema italiano, contribuendo ovviamente al miglioramento della bilancia economica, contribuendo a sottrarre olio usato, quindi un rifiuto pericoloso, al territorio e anche ad importare meno petrolio e quindi abbassare i rischi anche di inquinamenti dovuti al trasporto.
Giuseppe Specchia, Vicepresidente della Commissione. Lultimo intervento è quello di Cesare Spreafico.
Cesare S
PREAFICO, Direttore generale di COREPLA. Un saluto agli intervenuti. Ringrazio il Presidente ed il vicepresidente della Commissione per linvito a portare un contributo al convegno di oggi.Mi trovo nella particolare situazione di essere da pochi giorni direttore generale di COREPLA, però mi sono occupato di questi temi anni fa e quindi è stimolante la possibilità di rivedere, da un punto di vista operativo, cosera stato pensato allinizio, in un sistema ancora acerbo, direi anche con un sistema industriale immaturo, di fronte alle sfide che venivano poste, cioè infilarsi in un discorso di recupero e riciclo dei manufatti a valle di tutto il ciclo di vita. Direi che trovo un sistema, un sistema che cè. Vorrei dare alcuni dati.
Oggi al COREPLA aderiscono 2.000 aziende, cioè l85 per cento del mondo imprenditoriale di riferimento. Cera, a quel tempo ricordo una difficoltà, un rischio di grande elusione: in realtà la risposta è stata molto positiva. Direi quindi che il sistema ha compreso ed ha partecipato compatto al modello che è stato posto in essere.
Nellultimo anno sono state messe a disposizione risorse finanziarie per 230 miliardi, da impiegare in questo sistema di recupero e riciclo, vi sono 47 centri di conferimento, 17 di selezione e 2 di rilavorazione. Cè un indotto occupazionale di circa 2.000 persone.
Cè un sistema, dunque; e sono state raccolte e lavorate, peraltro più di 150.000 tonnellate di prodotto.
Una grande spinta è venuta, come diceva Cirelli prima, dallaccordo ANCI-CONAI, che ha previsto le filiere. Direi che abbiamo, come consorzio COREPLA, quindi come filiera plastica, attivato un gran numero di convenzioni: credo che siano le più numerose. Parliamo di 350 convenzioni, che riguardano oltre 2.700 comuni, per 25 milioni di cittadini serviti.
Sono altresì alla firma convenzioni analoghe per quanto riguarda il recupero energetico, che terrà conto ovviamente anche di quanto già fatto anche in assenza di convenzioni in questanno che è passato.
Per quanto riguarda questanno, al di là dellattività tradizionale, che riguarda il recupero ed il riciclo dei contenitori per liquidi e flaconi unattività ormai in essere da anni, che ha raggiunto oltre il 20 per cento dellimmesso al mercato il piano operativo prevede di attivare lampliamento della raccolta agli altri imballaggi (come il packaging not rigid oltre ad altri contenitori che non siano bottiglie e flaconi).
Laltro filone su cui intervenire è la raccolta degli imballi non da raccolta differenziata. È laltro flusso, che poi si prevede per gli imballi come sbocco dopo limmissione al mercato, e riguarda la parte riguardante il settore secondario e terziario proveniente da superfici private. Qui si chiede un intervento concertato con il CONAI e con gli operatori del settore, in modo da cercare di utilizzare e valorizzare circuiti già in essere, dove operano aziende del settore e che già, specialmente in una situazione di mercato traente, danno redditività al recupero di un flusso piuttosto selezionato di imballi e quindi probabilmente richiedono minori interventi in termini di deficit di catena. Diciamo quindi che cercheremo di trovare soluzioni che tengano conto di una realtà che in Italia è molto sviluppata e che credo vada preservata, perché è interesse del settore tenere conto delle realtà già in essere, piuttosto che inventarne di nuove.
Direi, a questo proposito, che, in particolare questanno, ho notato che cè una grande richiesta di materiale riciclato, sia per quanto riguarda il PET che le poleolefine. Questo vuol dire che cè stata unimprenditoria che si sta consolidando, che sta vedendo con attenzione il crescere di questo processo virtuoso di recupero e di riciclo di certi settori di materiali.
A questo punto mi riallaccio al tema di oggi. Direi che, come prima analisi, quel sistema cè, esiste, quindi è un punto di cui occorre tenere assolutamente conto rispetto a quello di cui dicevo prima: i sogni, poi le realizzazioni, limplementazione del progetto, lo scontro con i problemi. Limpegno del COREPLA è quello di far diventare il sistema un sistema industriale. Questo richiede un intervento di industrializzazione e regionalizzazione del sistema di raccolta. Abbiamo questi centri di raccolta, di selezione e di rilavorazione: vediamo di dar loro una fisionomia di presenza articolata su tutto il territorio. Cè un discorso di qualificazione degli operatori di questi centri: cercheremo quindi di individuare le procedure opportune per fare in modo che si tratti di operatori in grado di reggere nel medio termine, e quindi non soltanto nellottica del "mordi e fuggi" o di entrate e possibili uscite. Cè la necessità di informatizzare il sistema: parlo quindi proprio di un discorso di impresa COREPLA, piuttosto che di un consorzio con duemila associati. Occorre un sistema di logistica integrato, che minimizzi il transito di questi materiali, che poi comunque sono in qualche modo rifiuti. Questo è un lato operativo, che tra laltro mi vedrà direttamente impegnato.
Laltro aspetto al quale ho creduto fin dallinizio è il discorso della prevenzione: cioè un contributo importante sulla ridefinizione delle logiche di progettazione dei prodotti. Parliamo di imballi, ma lo stesso concetto si estende anche agli altri materiali (beni durevoli e quantaltro). Semplificazione della proposta di matrice polimerica per applicazione: vuol dire la riduzione della fonte in termini di spessore e di performance. Questa è unattività che storicamente fa parte del contributo culturale della nostra industria, perché si lavora sulla performance, in modo da ridurre i quantitativi. Però stiamo pensando anche ad un discorso di marcatura degli imballi, in modo da semplificare il processo di selezione finale di materiali che sono molto diversificati per propria natura.
Un ulteriore profilo riguarda lesigenza di rilanciare il processo di valutazione volontaria delle imprese, insieme a CEN e UNI, in modo da favorire lutilizzo di questi segmenti applicativi: materiali per nuovi segmenti applicativi, da identificare e su cui lavorare in termini di unificazione. Questo vuol dire anche un rilancio del cosiddetto green public procurement, che comporta lutilizzo di materiali provenienti da raccolta, o comunque da riciclo, per lutilizzo pubblico: cosa che anche in Europa sta prendendo abbastanza piede. Sono già disponibili li presenteremo a giorni in dettaglio interventi di comunicazione mirata alle raccolte locali; e poi la definizione di progetti di ricerca: ecco, credo che una lacuna da colmare dato che forse nellemergenza si è privilegiato un aspetto operativo riguarda la ricerca.
Abbiamo un budget di ricerca. Ho sentito prima altri operatori del settore, che hanno enfatizzato questo aspetto. Noi vogliamo impegnarci, direi, su tutta la linea: quindi a monte, nel recupero energetico, con preparazione di CDR, utilizzo di CDR e utilizzo di rifiuti per combustori non dedicati e dedicati come CDR; poi sugli impianti di selezione, con lottimizzazione dei sistemi di impiantistica di selezione; ed infine a valle, sui mercati, con nuovi manufatti, nuovi segmenti applicativi e tutto quello che è necessario per consolidare mercati che fluttuano. Il mercato del riciclo, infatti, va bene se il costo della materia prima è alto, mentre va certamente in crisi se il costo della materia prima scende, e quindi a quel punto occorre trovare elementi di compensazione anche sul lato applicativo.
Per concludere vorrei fare unosservazione. Parlo con riferimento al settore della plastica: me ne sono occupato come produttore di materie plastiche, ho lavorato ai tempi della prima direttiva, in particolare in sede europea. Ebbene, cera questa grossa difficoltà ad entrare nel merito e quindi rimboccarsi le maniche ed entrare nel sistema di recupero e riciclo. Sembrava quasi che parlassimo di recupero energetico come un alibi nella convinzione che, tutto sommato, fosse preferibile bruciare tutto, in modo che alla fine il riciclo non si facesse. Oggi mi sembra che siamo in una situazione un po diversa: questo è ciò che ho trovato rientrando in questo sistema. Si è dimostrato che vi sono delle correnti riciclabili, si è messo in piedi un meccanismo che regge, in qualche modo, ma che costa (come diceva Cirelli prima). Si tratta adesso di rendersi conto che tutto il piano di prevenzione, sia per le plastiche che per tutti materiali, e in generale per il sistema, si articola su due grandi filoni: uno riguarda la raccolta ed il riciclo meccanico, laltro il riciclo ed il recupero energetico. Il piano, dunque, può dare successo se si lavora su entrambi i filoni.
Mi sembra di aver trovato una situazione complessiva un po più arretrata sullaspetto del recupero energetico. Noi, come produttori di materie plastiche, come operatori del settore, diciamo che il riciclo lo stiamo facendo, riteniamo che si possa fare, che vi sono segmenti che avranno una loro tenuta nel tempo, su cui noi stiamo impegnandoci e, come dicevo prima, stiamo ampliando lo spettro di intervento mirato su tutta la filiera (quindi norme, applicazioni, miglioramento del sistema industriale e tutto quanto serve per passare a quello che dice il tema del convegno di oggi). Certamente, dobbiamo essere consci che se non parte anche laltro filone si rischia di non riuscire a raggiungere lobiettivo e di spendere più soldi di quelli che servono.
Ieri ero a Roma: è stato presentato un progetto del TNO, che è uno dei più grossi e più noti istituti di ricerca, olandese. Sono state evidenziate una serie di variances circa lutilizzo e la massimizzazione del riciclo rispetto a tutto lo spettro delle soluzioni, che dimostravano che spingendo allestremo lopzione riciclo anche su segmenti che sono assolutamente antieconomici si arriva al risultato finale di non migliorare la performance complessiva, sia rispetto ai parametri di tipo ambientale sia rispetto ai parametri economico-tecnici.
Credo quindi che, tutti insieme, abbiamo un punto di partenza che dimostra che il sistema ha voglia di fare, sia da parte degli amministratori, sia da parte della classe politica, sia da parte del sistema delle imprese. Ritengo che lavorando su tutto lo spettro riusciremo ad avvicinarci ed a raggiungere gli obiettivi di riciclo.
Giuseppe S
PECCHIA, Vicepresidente della Commissione. Si chiude a questo punto la prima fase dei nostri lavori, che riprenderanno alle 14,30. Raccomando a tutti la massima puntualità.