Commissione parlamentare per l'infanzia
Indagine conoscitiva sulla copertura
vaccinale in età pediatrica
e sull'ospedalizzazione dei bambini affetti da malattie infettive
DOCUMENTO CONCLUSIVO APPROVATO DALLA COMMISSIONE
INTRODUZIONE
L’indagine conoscitiva sulla copertura vaccinale in età pediatrica e
sull’ospedalizzazione dei bambini affetti da malattie infettive è stata
deliberata dalla Commissione parlamentare per l’infanzia il 16 settembre 2003 su
iniziativa del gruppo di lavoro salute per l’infanzia, con una duplice finalità:
1) acquisire dati ed approfondire la materia delle vaccinazioni obbligatorie e
di quelle facoltative, nonché della conoscenza e della diffusione di queste
ultime; 2) porre l’attenzione sulla questione della umanizzazione del ricovero
dei bambini, i quali dovrebbero sempre poter essere ospitati in strutture
pediatriche con personale specializzato, e sulla realizzazione di una edilizia
sanitaria più funzionale.
Nel corso dell’indagine la Commissione ha svolto le seguenti
audizioni: Alfredo Guarino, presidente della Società italiana di infettivologia
pediatrica (SITIP), e Giuseppe Giammanco, ordinario d'igiene presso l'Università
di Catania (25 settembre 2003); Stefania Salmaso, direttore del Reparto malattie
infettive - Centro nazionale epidemiologico presso l'Istituto superiore di
sanità (2 ottobre 2003); Nadia Gatti, presidente del Coordinamento nazionale
danneggiati da vaccino (CONDAV), e Pier Luigi Tucci, presidente della
Federazione italiana medici pediatri (FIMP) (9 ottobre 2003); Christoph Baker,
consulente dell’UNICEF-Italia, Fabian McKinnon, vicepresidente esecutivo di GAVI/The
Vaccine Fund, e Ivone Rizzo, rappresentante di Vaccine Fund (23 ottobre 2003);
Giovanni Gallo, responsabile del Servizio di epidemiologia e sanità pubblica
della direzione prevenzione della Regione Veneto, Filippo Palumbo, direttore
generale della programmazione sanitaria del Ministero della salute, e Nicola
Principi, direttore della clinica pediatrica dell'Università di Milano (6
novembre 2003); Giuseppe Saggese, presidente della Società italiana di pediatria
(SIP), Franco Splendori e Gabriella Guasticchi, rispettivamente direttore
generale e coordinatore dei servizi dell'Agenzia di sanità pubblica della
Regione Lazio (12 novembre 2003); Franco Tancredi, direttore generale
dell’Agenzia sanitaria della Regione Campania, e Saverio Ciriminna, direttore
dell’Ufficio speciale per la programmazione sanitaria della Regione Sicilia (11
dicembre 2003); Girolamo Sirchia, ministro della salute (11 febbraio 2004).
1. CONSIDERAZIONI GENERALI
Le malattie infettive hanno specifiche caratteristiche di frequenza e di
contagiosità. Le infezioni non hanno confini territoriali e la loro diffusione è
legata a numerosi fattori, inclusi i movimenti di persone e di vettori di
infezioni. I bambini rappresentano una popolazione a rischio particolarmente
elevato di infezioni, i cui agenti infettivi sono diversi rispetto a quelli
degli adulti.
Tali infezioni hanno un elevato impatto sulla vita dei
cittadini e sulle risorse del sistema sanitario, nonché un’elevata valenza di
allarme sociale. Le malattie infettive costituiscono la più frequente causa di
morbilità e di ospedalizzazione in età pediatrica e possono determinare gravi
epidemie. Nel 2002, si è verificata in Italia la più grave epidemia di morbillo
degli ultimi venti anni in un paese industrializzato, con alcuni morti e oltre
cinquecento ospedalizzazioni. È opportuno ricordare che l’Italia ha aderito al
piano mondiale per l’eradicazione del morbillo entro il 2007, ma è in ritardo
sul programma per raggiungere tale obiettivo.
Nonostante una graduale diminuzione dell’incidenza e gravità di alcune infezioni
negli ultimi decenni, la frequenza e l’elevato tasso di ricoveri ospedalieri per
infezioni acute hanno a tutt’oggi un impatto drammatico sulla salute dei bambini
e sul benessere delle loro famiglie. L’elevata frequenza delle infezioni in età
pediatrica è responsabile di costi altissimi, sia a carico del Sistema sanitario
che delle famiglie e dell’intera società. Per la sola gastroenterite acuta si
stima che vi siano circa 40.000 ricoveri per anno in bambini sotto i 3 anni con
una spesa ospedaliera di circa 60 milioni di euro. I costi derivanti dai circa
800.000 casi di gastroenterite acuta nella stessa fascia di età, che non hanno
necessità di ricovero sono stimati nell’ordine di 250-500 milioni di euro per
anno, includendo i costi medici e quelli sociali. Le infezioni respiratorie
hanno comparativamente un impatto 5-10 volte maggiore rispetto a quelle
gastrointestinali.
Molto è cambiato in termini di malattie infettive. L’AIDS, la
SARS, la riemergenza della tubercolosi determinano vere e proprie emergenze
sanitarie e sociali. Il diffondersi delle resistenze agli antibiotici, le
malattie infettive legate al flusso di popolazioni da aree ad alto rischio,
l’aumento dei costi sanitari richiedono modificazioni dell’organizzazione e
delle procedure assistenziali. Una visione economicistica della salute, per
alcuni versi inevitabile, appare francamente inaccettabile per l’assistenza al
bambino, e richiede grande cautela ed equilibrio nell’allocazione delle risorse.
Parallelamente emerge un nuova categoria di bambini a rischio
di infezioni gravi e prolungate, costituita da bambini con malattie croniche
progressive come tumori, fibrosi cistica, grave handicap neurologico e in
terapia immunosoppressiva. Questi bambini hanno un elevato rischio di malattie
infettive gravi e potenzialmente fatali ed è necessario isolarli da potenziali
fonti di contagio nel corso delle frequenti ospedalizzazioni (isolamento
protettivo). I bambini e le loro famiglie vanno incontro a lunghi periodi in
ospedale in condizioni cliniche, ambientali e psicologiche estremamente
difficili.
L’epidemiologia delle malattie infettive in età pediatrica ha
quindi tre connotazioni principali: 1) le infezioni acute frequenti e
generalmente non gravi, ma che comportano un alto tasso di ospedalizzazione in
brevi periodi epidemici nel corso della stagione invernale; 2) un numero
crescente di bambini con malattie croniche di base che richiedono lunghi periodi
in ospedale e sono associate ad alto rischio di infezioni gravi; 3) malattie
infettive gravi e complesse tra cui l’AIDS e la tubercolosi, che richiedono
competenze ultraspecialistiche. Parallelamente emerge un rischio di malattie
infettive nuove, che richiedono un approccio specifico per l’età pediatrica. La
recente epidemia di SARS offre un esempio di come un’infezione respiratoria
acuta debba essere gestita da personale particolarmente qualificato, con
specifiche conoscenze di infettivologia pediatrica, piuttosto che da
infettivologi dell’adulto in strutture ospedaliere prive di competenze e di
personale specificamente formato nelle malattie acute dell’infanzia.
Le vaccinazioni costituiscono un efficace strumento di
prevenzione delle malattie infettive. I vaccini sono in un certo senso
assimilabili ai farmaci, ma diversamente da questi, hanno un effetto positivo
non solo su chi li assume, ma anche sugli altri, in quanto proteggono dal
contagio. Emerge progressivamente la necessità di assicurare coperture ampie sul
territorio nazionale, in linea con i livelli previsti dalle organizzazioni
sanitarie internazionali e concordati a livello internazionale attraverso
accordi che impegnano a raggiungere obiettivi comuni. Un esempio è fornito dal
morbillo, per la cui eradicazione dal pianeta sono previsti specifici obiettivi
da raggiungere in tempi certi e prefissati. Indagini effettuate in Italia hanno
mostrato aree nelle quali è necessario intervenire, per la disomogeneità delle
coperture e per il proliferare di iniziative non coordinate a livello nazionale.
2. NORMATIVA VIGENTE
2.1 La disciplina nazionale
2.1.1 Le vaccinazioni
Le quattro
vaccinazioni tuttora obbligatorie nell’infanzia (antidifterica, antitetanica,
antipoliomielitica ed antiepatite B) sono state istituite in tempi diversi
nell’arco di cinquanta anni, a partire dal 1939.
La vaccinazione antidifterica fu resa obbligatoria dalla
legge 6 giugno 1939, n. 891, anche se, per il sopravvento della seconda guerra
mondiale, essa cominciò ad essere effettivamente praticata solo a partire dagli
anni Cinquanta.
Successivamente, la legge 4 febbraio 1966, n. 51 ha reso
obbligatoria la vaccinazione antipoliomielitica per tutti i nuovi nati, entro il
primo anno di vita: anche questa vaccinazione, come l’antidifterica, deve essere
eseguita gratuitamente (articolo 1). La legge pone a carico dei genitori, o
comunque, di coloro che esercitano la tutela sul minore, l’obbligo di far
vaccinare i bambini prevedendo, in caso di inosservanza, sanzioni amministrative
(articolo 3). Ogni Comune è tenuto a conservare la registrazione di tutti i
vaccinati, invitando gli inadempienti a sottoporsi alla vaccinazione (articolo
4). Il certificato dell’avvenuta vaccinazione è necessario per la prima
ammissione alla scuola d'obbligo.
La terza vaccinazione resa obbligatoria nell’infanzia è stata
l’antitetanica, il cui obbligo per alcune categorie di persone esposte ad un
elevato rischio di tetano era stato introdotto dalla legge 5 marzo 1963, n. 292
(e successive modificazioni). L’estensione dell’obbligo a tutti i nuovi nati,
nel secondo anno di vita in associazione con la vaccinazione antidifterica, è
stato dettato dalla legge 20 marzo 1968, n. 419. Con successiva disposizione
(legge 27 aprile 1981, n. 166) l’inizio delle tre vaccinazioni allora
obbligatorie (antidifterica, antitetanica ed antipoliomielitica) è stata
anticipata al terzo mese di vita, per proseguire secondo un calendario da
completare entro il primo anno di vita. Anche la vaccinazione antitetanica, come
le precedenti, deve essere effettuata gratuitamente ed i certificati
dell’avvenuta vaccinazione rientrano tra i documenti prescritti per l'ammissione
alle scuole primarie e secondarie.
Più recentemente, la legge 27 maggio 1991, n. 165, ha
introdotto l’obbligatorietà della vaccinazione contro l'epatite virale B, da
effettuare gratuitamente (articolo 8) a tutti i nuovi nati, nel primo anno di
vita (articolo 1). La legge dispone l'introduzione dell'obbligo, in via
transitoria, anche per tutti i nati nei dodici anni precedenti (ossia per i nati
dal 1979 al 1991), ai quali la vaccinazione è stata somministrata nel corso del
dodicesimo anno di età. La certificazione dell'avvenuta vaccinazione è
necessaria per l’accesso alla scuola materna ed elementare (articolo 2). La
legge stabilisce, inoltre, che presso ogni unità sanitaria locale deve essere
tenuto un archivio delle vaccinazioni effettuate (articolo 6). L’obbligo
vaccinale si estende anche a tutti i cittadini stranieri residenti o, comunque,
con stabile dimora nel territorio nazionale (articolo 9).
Con una norma di significato più generale, la profilassi
delle malattie infettive e le relative vaccinazioni sono state, inoltre, incluse
nell’ambito dei livelli essenziali di assistenza (LEA): infatti, il Decreto del
Presidente del consiglio 29 novembre 2001, nel definire i LEA - che devono
essere prestati su tutto il territorio nazionale, in base a quanto previsto
dall’articolo 1 del decreto legislativo n. 502 del 1992[1],
e successive modificazioni, e dall'articolo 6 del decreto legge n. 347 del 2001[2]
-, individua, all’Allegato 1, punto 1, come interventi essenziali di
sanità pubblica, la profilassi delle malattie infettive e parassitarie (lett. A)
e, all’interno delle attività di prevenzione rivolte alla persona (lett. F), sia
le vaccinazioni obbligatorie sia quelle raccomandate.
È tuttora in uso, infatti, la distinzione tra vaccinazioni
obbligatorie e raccomandate, anche se, opportunamente, il decreto del Ministro
della sanità 7 aprile 1999[3]
(aggiornato dal decreto del Ministro della salute 18 giugno 2002), che ha
stabilito il calendario di somministrazione nell’infanzia, le considera
unitamente. Attualmente, sono obbligatorie le vaccinazioni:
antidifterica-tetanica (DT: i neonati devono essere vaccinati con tre
somministrazioni di anatossina tetanica adsorbita, associata ad anatossina
difterica, la prima al terzo mese di vita, la seconda dopo 6-8 settimane dalla
prima; la terza al decimo-undicesimo mese); antipoliomielitica (vaccino IPV con
virus uccisi da somministrare per iniezione, in sostituzione del precedente
vaccino OPV con virus vivi ed attenuati da somministrare per bocca); antiepatite
B (HB). Sono invece facoltative, ma raccomandate dal Ministero della salute, le
vaccinazioni per la prevenzione di morbillo, parotite e rosolia (MPR, vaccino
trivalente); infezioni da Haemophilus influenzae b (Hib); pertosse (oggi
è generalmente usato il vaccino acellulare aP, di solito associato con difterite
e tetano, DtaP, o con tutti i quattro vaccini obbligatori e con Hib, in
formulazione esavalente).
In merito alle vaccinazioni raccomandate, l’articolo 1, comma
34, della legge n. 662 del 1996 ha stabilito che, al fine della prevenzione
delle malattie infettive nell'infanzia, le regioni, nell'ambito delle loro
disponibilità finanziarie, devono concedere gratuitamente le vaccinazioni non
obbligatorie quali antimorbillosa, antirosolia, antiparotite e antiHaemophilus
influenzae di tipo b, se richieste dai genitori con prescrizione medica. La
norma si applica anche ai bambini extracomunitari non residenti sul territorio
nazionale.
Va detto, per inciso, che, ai fini della sorveglianza
epidemiologica e della prevenzione delle malattie infettive, sono previsti
specifici obblighi, come la notificazione dei casi di malattie infettive. In
base al Testo unico delle leggi sanitarie[4]
(articolo 25) ed al decreto del Ministro della sanità 15 dicembre 1990 -
che organizza un Sistema informativo delle malattie infettive e diffusive -
il sanitario che nell'esercizio della professione sia venuto a conoscenza di un
caso di malattia infettiva e diffusiva (accertato o anche solo sospetto)
pericolosa per la salute pubblica deve immediatamente farne denuncia alle
autorità sanitarie. Il tipo di informazioni da segnalare, i tempi e le
istituzioni comprese nel flusso informativo variano a seconda del tipo di
malattia (in particolare, il decreto distingue cinque classi: la poliomielite,
la difterite e il tetano sono nella prima classe; l'epatite virale B, il
morbillo, la parotite, la pertosse e la rosolia, nella seconda classe). Per
alcune malattie (in tutto 47) sono, poi, prescritte specifiche modalità di
notifica e di trasmissione della notifica stessa e di altri dati (risultati
dell'accertamento, etc.) alle regioni, al Ministero della salute e, in taluni
casi, all'ISTAT e all'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).
Oltre alla normativa nazionale che disciplina le vaccinazioni
e le relative modalità di somministrazione, vanno ricordati taluni programmi e
piani di prevenzione elaborati in sede internazionale (OMS), che danno
indicazioni per la realizzazione degli interventi vaccinali ai fini del
controllo e dell’eliminazione delle malattie infettive la cui persistenza
costituisce, a livello mondiale, la minaccia più grave per la vita e per la
salute dei bambini. Va menzionato, in primo luogo, il "Programma Esteso di
Immunizzazione” (EPI), promosso dall' OMS nell'ambito del Piano "Salute per
tutti nell'anno 2000", cui aderisce anche l'Italia: esso prevede il controllo
delle malattie infettive attraverso vaccinazioni e calendari vaccinali
differenti a seconda delle situazioni sanitarie dei diversi Paesi. L’importanza
strategica dell’EPI deriva dal fatto che le vaccinazioni proteggono non solo i
soggetti e le popolazioni cui sono somministrate ma l'intera comunità mondiale,
se la copertura immunitaria è sufficientemente estesa, poiché impediscono che un
focolaio infettivo si propaghi in forma epidemica.
Tornando al versante nazionale, bisogna ancora menzionare che
la Conferenza Stato-Regioni, il 18 giugno 1999, ha approvato il “Piano nazionale
vaccini 1999-2000”, con lo scopo di fornire linee di indirizzo per lo
svolgimento delle attività vaccinali “in modo che esse siano coordinate e
allineate a quelle della comunità internazionale per il raggiungimento di
obiettivi operativi uniformi su tutto il territorio nazionale”. La necessità di
un’opera sinergica, nel caso delle malattie infettive, è particolarmente
importante al fine del controllo della diffusione dei microrganismi responsabili
delle infezioni. In particolare, il piano individua: le percentuali di copertura
vaccinale attese; le modalità operative; i requisiti dei servizi; le
vaccinazioni obbligatorie e raccomandate. È attualmente allo studio un nuovo
piano nazionale, che ha tra gli obiettivi quello di considerare le vaccinazioni
anche alla luce dei livelli essenziali delle prestazioni fissati dal citato
D.P.C.M. 29 novembre 2001. La nuova versione del Piano nazionale vaccini si pone
principalmente i seguenti obiettivi: definire i livelli essenziali di
assistenza, con riferimento alle vaccinazioni; eliminare le differenze
regionali; realizzare programmi regionali coordinati; assicurare la qualità dei
servizi vaccinali; promuovere le vaccinazioni; eliminare il morbillo e la
rosolia congenita; realizzare anagrafi vaccinali; monitorare le malattie
prevenibili con i vaccini.
Di estremo rilievo è, altresì, il “Piano nazionale per
l’eliminazione del morbillo e della rosolia congenita 2003-2007”, approvato
dalla Conferenza Stato-Regioni nella seduta del 13 novembre 2003. In
particolare, il piano, dopo aver inquadrato le questioni attinenti alle due
malattie nel contesto nazionale, pone l’obiettivo, da raggiungere entro il 2007,
di eliminare il morbillo a livello nazionale e di ridurre l’incidenza della
rosolia congenita a meno di un caso ogni 100.000 nati. Il piano individua anche
obiettivi intermedi, scadenzati annualmente. A tal fine vengono delineate
specifiche strategie di intervento sia in ordine alla somministrazione dei
rispettivi vaccini, sia in relazione alla sorveglianza epidemiologica. Infine,
vengono individuate delle azioni prioritarie – efficaci del resto in riferimento
a qualsiasi tipo di vaccinazione – che puntano a migliorare il versante della
conoscenza e della divulgazione dei dati. Viene, infatti, evidenziata la
necessità di introdurre apposite anagrafi vaccinali informatizzate, che
consentano di: conoscere lo stato vaccinale di ciascuno; sollecitare chi non si
presenta; individuare i gruppi di popolazione non sufficientemente vaccinati;
misurare i progressi rispetto agli obiettivi; stabilire correlazioni tra dosi
somministrate ed eventuali eventi avversi.
A quest’ultimo proposito, vengono tracciate specifiche linee
guida in ordine alla sorveglianza degli effetti collaterali dei vaccini, con una
tempistica dell’insorgenza dei sintomi e dei possibili interventi. Tra le azioni
prioritarie, particolare risalto viene dato alla definizione di un programma di
formazione, rivolto a tutti i principali operatori del settore ed articolato in
relazione alle diverse professionalità coinvolte. Gli obiettivi che si pone il
programma sono rivolti essenzialmente a migliorare le capacità tecniche e di
comunicazione ed aumentare la motivazione e le conoscenze del personale. A ciò
si lega anche l’impegno a realizzare una strategia della comunicazione, in grado
di diffondere una capillare conoscenza delle malattie e dei vantaggi delle
vaccinazioni, anche attraverso il ricorso ai media.
2.1.2 I danni da vaccino
Se le vaccinazioni hanno determinato la drastica riduzione, fino alla scomparsa ed alla vera e propria eradicazione, di talune malattie infettive, non bisogna dimenticare che, anche se eccezionalmente, si sono avuti gravi effetti collaterali. La legge 25 febbraio 1992, n. 210 (e successive modificazioni), tra l’altro, riconosce alle persone danneggiate da vaccini il diritto ad essere indennizzate. La normativa individua tra gli aventi diritto all’indennizzo coloro che hanno subito menomazioni derivanti da vaccinazioni, da emotrasfusioni e da somministrazione di emoderivati; in particolare, hanno diritto all’indennizzo le persone danneggiate:
· permanentemente, a causa di vaccinazioni obbligatorie, nonché a causa di vaccinazioni non obbligatorie ma necessarie (per motivi di lavoro o di ufficio o per l'ingresso in uno Stato estero) ovvero opportune (soggetti a rischio operanti nelle strutture sanitarie ospedaliere);
· terzi contagiati da persone vaccinate;
· da vaccinazione antipoliomielitica non obbligatoria (nel periodo di vigenza della legge n. 695/1959)[5];
· da vaccinazioni anti-epatite B a partire dal 1983[6];
· per contagio di infezioni da HIV e, irreversibilmente, per epatiti post-trasfusionali, a causa di somministrazione di sangue o di emoderivati.
L’indennizzo, corrisposto
dal Ministro della salute, consiste in un assegno
reversibile per un periodo di 15 anni, cumulabile con qualsiasi altro emolumento
e rivalutato annualmente in base al tasso di inflazione programmato[7].
Inoltre, coloro cui sia stato concesso l'indennizzo possono avanzare domanda per
chiedere la corresponsione di un assegno una tantum nella misura pari al
30% dell'indennizzo medesimo, per il periodo compreso tra il manifestarsi del
danno e la corresponsione reale dell'indennizzo, con esclusione di interessi
legali e rivalutazione monetaria[8].
Qualora a causa delle patologie contratte derivi la morte, l'avente diritto può
optare fra l'assegno reversibile quindicennale o un assegno una tantum di
150 milioni di lire (circa 77.468 euro)[9].
Per ottenere il beneficio, i soggetti danneggiati devono presentare le relative
domande (indirizzate al Ministero della salute), alle quali deve essere allegata
una documentazione specifica a seconda della causa della lesione, all’azienda
sanitaria locale competente, entro termini rigorosamente fissati (tre anni dal
momento in cui si ha conoscenza del danno nel caso di vaccinazioni o di epatiti
post-trasfusionali; quattro anni dall’entrata in vigore della legge n. 362 del
1999, che ha modificato la legge n. 210 del 1992, per la vaccinazione
antipoliomielitica non obbligatoria; dieci anni dal momento in cui si ha
conoscenza del danno nel caso di infezione da HIV).
Una commissione medico-ospedaliera, integrata con medici
esperti nelle materie attinenti alla richiesta di indennizzo, esprime il
giudizio sanitario, in particolare, sul nesso causale tra vaccinazione,
trasfusione, somministrazione di emoderivati e menomazione o morte. Avverso tale
giudizio è ammesso ricorso al Ministro della salute[10],
da inoltrarsi entro trenta giorni dalla notifica o dalla conoscenza del giudizio
stesso, e avverso la decisione del Ministro può essere esperita azione dinanzi
al giudice entro un anno dalla decisione stessa.
Ai fini della prevenzione delle complicanze causate da
vaccinazioni, le aziende sanitarie locali devono predisporre e attuare programmi
di informazione sulle trasfusioni, sugli emoderivati e sull'uso dei vaccini, con
particolare riguardo per i possibili rischi e complicanze, rivolti alla
popolazione, particolarmente ai donatori, ai soggetti riceventi materiali
biologici umani e alle persone da vaccinare.
La materia della corresponsione di indennizzi a favore dei
soggetti danneggiati da trasfusioni, somministrazione di emoderivati e
vaccinazioni obbligatorie è stata trasferita alle regioni dall’articolo 114 del
Decreto legislativo n. 112/1998, mentre rimangono allo Stato le funzioni
concernenti i ricorsi per la corresponsione degli indennizzi (articolo
123)[11].
In considerazione di ciò, la Conferenza Stato-Regioni ha approvato nell’agosto
del 2002 le “Linee guida per la gestione uniforme delle problematiche
applicative della legge n. 210 del 1992, in materia di indennizzi per danni da
trasfusioni e vaccinazioni”. Dopo una parte ricognitiva delle misure previste
dalla legge, le linee guida forniscono indicazioni in ordine all’istruttoria
delle pratiche, alla presentazione delle domande ed alla documentazione
necessaria. Un’apposita sezione è poi dedicata al giudizio medico-legale ed alla
relativa notifica di esso, nonché alle ipotesi di ricorso amministrativo.
Infine, sono individuati i criteri per la liquidazione dell’indennizzo.
2.1.3 L’ospedalizzazione dei minori
Per quanto riguarda
il versante più strettamente sanitario, il Piano sanitario nazionale 2003-2005
dedica ampio spazio alle questioni relative all’ospedalizzazione dei minori, dal
momento che la salute del neonato, del bambino e dell’adolescente costituisce
uno degli obiettivi di carattere generale del piano stesso[12].
Per quanto riguarda i dati relativi alla
organizzazione delle strutture, il piano evidenzia, da un lato, una rete
ospedaliera pediatrica eccessivamente sviluppata e, dall’altro, una carenza di
pediatri e di servizi di pronto soccorso pediatrico negli ospedali: la presenza
del pediatra dove nasce e si ricovera un bambino è garantita nel 50% degli
ospedali, mentre l'attività di pronto soccorso pediatrico è presente solo nel
30% degli ospedali.
Carente risulta anche il servizio di guardia medico-ostetrica
nelle strutture ove avviene il parto[13].
Tale organizzazione, insieme con la mancanza di una continuità assistenziale sul
territorio, ha contribuito a determinare per il 1999 un tasso di
ospedalizzazione più elevato rispetto a quello dei Paesi europei[14].
Il piano sottolinea infine che ancora più del 30% dei
pazienti in età evolutiva viene ricoverato in reparti per adulti e non in area
pediatrica.
In considerazione degli aspetti descritti il piano indica in particolare i seguenti obiettivi:
· attivare programmi per la protezione della maternità, migliorando altresì l'assistenza ostetrica e neonatologica nel periodo perinatale;
· valorizzare la centralità di ruolo del pediatra di libera scelta e del medico di base nella definizione di percorsi diagnostico-terapeutici e la sua funzione di educazione sanitaria individuale;
· attivare in ogni regione il servizio di trasporto di emergenza dei neonati e delle gestanti a rischio;
· ridurre il tasso di ospedalizzazione con l'obiettivo di diminuirlo del 10% per anno;
· elaborare Linee-Guida e percorsi diagnostico-terapeutici condivisi anche in ambito locale, con particolare attenzione alle patologie che comportano il maggior numero di ricoveri in età pediatrica e alle patologie chirurgiche più a rischio di interventi inappropriati;
· diminuire la frequenza dei parti per taglio cesareo, riducendo altresì le rilevanti differenze regionali attualmente esistenti;
· ottimizzare il numero dei punti nascita;
· riqualificare i consultori-ambulatori;
· promuovere campagne informative rivolte alle gestanti e alle puerpere, tra l’altro, in ordine alla promozione dell'allattamento al seno ed all'estensione delle vaccinazioni.
Un altro dato rilevante è
costituito dal tasso di ospedalizzazione infantile (rapporto tra il numero di
bambini fino ai 14 anni ricoverati rispetto al totale dei bambini residenti in
Italia), evidenziato da ultimo nella Relazione sullo stato sanitario del
Paese 2001 – 2002[15],
che indica per il 2000 un tasso del 114 per 1000, con differenze regionali molto
significative (dal 78 per 1000 del Friuli Venezia Giulia al 182 per 1000 della
Liguria). La prima causa di ospedalizzazione è rappresentata dalle malattie
dell’apparato respiratorio, da cui sono affetti il 20% circa dei bambini
ricoverati; seguono le condizioni morbose di origine prenatale, i traumatismi e
avvelenamenti e le malattie dell’apparato digerente.
Nell’ambito del Piano sanitario nazionale 2003-2005 non è
contenuto uno specifico “Progetto obiettivo materno infantile”, presente invece
all’interno del Piano sanitario 1998-2000[16].
Peraltro, il piano attuale precisa che “il Progetto Obiettivo Materno-Infantile
del PSN 1998-2000 ancora non ha avuto piena applicazione, pur conservando in
linea di massima la sua validità” (punto 6.2).
Tale
progetto individua specifici obiettivi, per la realizzazione dei quali indica
puntualmente le azioni da attuare ed i relativi indicatori. In particolare, il
progetto punta a:
· migliorare le condizioni in cui avviene il parto e la promozione dell’allattamento al seno;
· ridurre i tempi di ricovero ospedaliero del bambino e più in generale del suo stato di disagio, con l’aumento delle aree di degenza destinate ai minori e con la ristrutturazione dei reparti per garantire una maggiore presenza dei genitori;
· migliorare i servizi di emergenza pediatrica con l’identificazione di aree ospedaliere di pronto soccorso per i minori e la riduzione, in caso di urgenza, del ricorso alla guardia medica generale.
2.2 La disciplina regionale
In merito
all’ospedalizzazione dei bambini sono comunque intervenute diverse leggi
regionali, allo scopo di tutelare la condizione psico-affettiva del neonato e
del minore ricoverato nei presidi ospedalieri, in modo da ridurre al minimo gli
effetti negativi dell’ospedalizzazione che incidono sulla sfera psicologica del
neonato e del bambino bisognoso di cure.
Tenendo conto delle differenze tra le varie regioni, gli
interventi principali consistono, da una parte, nel creare condizioni ad hoc
per far sì che al neonato sia garantita la vicinanza dei genitori nel periodo
dopo il parto; dall'altra, a ricreare - per quanto possibile - l'ambiente più
consono al minore degente, allo scopo di eliminare il più possibile la
dipendenza psicologica e fisica creata dalla permanenza in ospedale.
2.2.1 Strutture di accoglienza
Un primo passo è stato quello di creare una struttura sanitaria adeguata, formata dagli ospedali e dalle case di cura accreditate della regione, volta a garantire l'organizzazione della degenza e l'attuazione dei trattamenti terapeutici, il tutto salvaguardando le esigenze affettive ed espressive proprie del bambino. Varie leggi regionali prevedono la ristrutturazione e la riorganizzazione delle strutture ospedaliere.
È previsto, tra l’altro:
· l’incremento del numero di letti da destinarsi al genitore che assiste il figlio in una data percentuale rispetto ai posti letto del reparto pediatrico (ad es. 30% dei letti pediatrici in Piemonte[17]; 70% in Abruzzo[18], Emilia Romagna[19] e Sardegna[20]) e un numero congruo di servizi igienici;
· la destinazione di spazi per attività ludiche o didattiche, nonché, per i minori lungodegenti o a degenza ripetuta, la possibilità di svolgere attività di studio, tramite il raccordo tra gli organi scolastici e gli organi di gestione delle ASL (ad es. Basilicata[21], Puglia[22] e Toscana[23]), anche con docenti scelti dai genitori (Umbria[24]) o avvalendosi di educatori e insegnanti volontari (Marche[25]);
· compatibilmente con lo stato di salute del minore, la possibilità del rientro temporaneo in famiglia, con la conservazione del posto letto (Calabria[26]).
Altro importante capitolo dell'organizzazione strutturale è quello di acquisire personale qualificato. Tale personale è obbligato ad intrattenere un rapporto di conoscenza e fiducia con il minore. Da qui la previsione di tenere queste esigenze in primo piano nei corsi di aggiornamento e qualificazione professionale (Abruzzo[27]) fino a prevedere l'assunzione di assistenti sociali per facilitare l'adattamento del bambino alla realtà ospedaliera (ma anche l’adattamento della madre, Campania[28]), il dovere di assicurare, da parte della ASL, nell'ambito dell'organico, la presenza di personale atto a garantire lo svolgimento di attività essenziali allo sviluppo del bambino (Basilicata[29]). In altri casi è espressamente previsto che le ASL garantiscano l'assistenza sociale ai bambini che non possono usufruire della presenza dei propri genitori o di persone di fiducia (Lazio[30]). Ulteriore attenzione al minore denota la previsione di sussidi informativi, forniti dalla Giunta regionale, riguardanti l'organizzazione della struttura e della vita ospedaliera, le figure professionali, i tempi e le attrezzature (Lazio[31]).
2.2.2 Tutela del minore
Lo scopo che si prefigge il legislatore regionale è ricreare un ambiente il più familiare possibile per il bambino, al fine di eliminare i problemi generati dall'ospedalizzazione, favorendo la presenza continua di uno o entrambi i genitori. In merito all'età del minore le regioni hanno adottato dei metodi di giudizio differenti, prevedendo differenti lassi temporali. Si va dal bambino considerato minore se al di sotto dei 6 anni (Piemonte[32]; nel caso il bambino abbia un'età maggiore è prevista la presenza dei genitori nelle sole ore diurne), oppure al di sotto dei 10 anni (Abruzzo[33]; Campania[34], Emilia Romagna[35], Puglia[36], Sardegna[37]), dei 12 anni (Calabria[38], Friuli Venezia Giulia[39], Marche[40]), fino a prendere in considerazione il periodo da 0 a 14 anni (Lombardia[41]). Altre regioni, al contrario, non fissano un limite di età (ad es. Lazio[42], Liguria[43], Provincia autonoma di Trento[44]). Per i minori che non possono usufruire dell’assistenza familiare viene prevista una maggiore continuità di presenza da parte degli operatori sanitari o il supporto del volontariato. In alcune regioni è prevista la possibilità di visitare il minore da parte di coetanei (ad es. Toscana[45]).
2.2.3 Assistenza al minore da parte dei genitori
Le misure in materia sono volte a non far avvertire il distacco al bambino. In quest'ottica va vista la possibilità da parte di uno dei genitori[46] o di persona di loro fiducia di permanere nel reparto di ricovero del bambino nell'arco delle 24 ore. Alcune regioni hanno limitato il tempo a disposizione dei genitori per l'assistenza alle sole ore diurne (Piemonte[47]). Oltre a ciò sono previste delle facilitazioni anche di carattere tecnico, come la facoltà, da parte dei genitori, di consumare i pasti in ospedale a prezzo di costo (Basilicata[48], Friuli Venezia Giulia[49]).
2.2.4 Doveri del personale medico
I medici devono, oltre le normali informazioni del caso, rendere partecipi i genitori su tutti gli atti medici cui sarà sottoposto il bambino e facilitare il ruolo attivo dei genitori. In questo contesto va inquadrato il fatto che uno dei genitori, o una persona di fiducia da essi delegata, può assistere il bambino durante le visite mediche e gli esami di laboratorio, a meno che non ci siano controindicazioni sanitarie o complessità di esecuzione degli esami stessi, nel qual caso la presenza del genitore si concorda con il medico (fra le altre Abruzzo[50] e Marche[51]). In taluni casi, qualora cioè ci sia da salvaguardare la salute del bambino e dell'adulto, è facoltà del Direttore sanitario limitare la presenza del genitore. In caso di temporaneità di tali limitazioni - dove per temporaneità si intende un lasso di tempo inferiore alle 24 ore - le stesse possono essere adottate dai medici del reparto. Se si supera il limite delle 24 ore, la decisione del medico del reparto è sottoposta al visto del Direttore sanitario (Calabria[52] e Emilia Romagna[53]). Nel caso in cui si assista ad una diversità di opinione circa l'attività terapeutica fra i genitori e il medico, quest'ultimo, qualora ritenga che l'opposizione del genitore sia pregiudizievole alla salute del bambino può richiedere, ai sensi dell'articolo 333 del Codice civile, l'intervento del giudice minorile (fra le altre Basilicata[54], Friuli Venezia Giulia[55], Lazio[56], Toscana[57] - dove di questo diritto è titolare anche il genitore).
3. LE PRINCIPALI PROBLEMATICHE
3.1 In materia di copertura vaccinale in età pediatrica
3.1.1 Considerazioni introduttive
Nell’ambito delle
proprie potestà, alcune regioni hanno introdotto delle varianti alle procedure
di vaccinazione, consistenti, essenzialmente in: adattamenti del calendario
vaccinale nazionale, per quel che riguarda, particolarmente, le vaccinazioni non
obbligatorie; modalità d’offerta delle vaccinazioni raccomandate; offerta di
vaccinazioni non obbligatorie e non raccomandate dal Piano nazionale vaccini.
In estrema sintesi, si può dire che le variazioni rispetto al
calendario nazionale consistono nei tempi diversi previsti per la
somministrazione di alcuni dei vaccini raccomandati. Ciò è ininfluente ai fini
della risposta immunitaria e della protezione dei bambini vaccinati, ma può
comportare inconvenienti ai fini amministrativi nel caso in cui la famiglia del
bambino si sposti in altra regione.
Quanto alle diverse modalità d’offerta, si può dire che solo
alcune regioni promuovono attivamente tutte le vaccinazioni raccomandate, mentre
altre, pur offrendole gratuitamente, le somministrano solo quando i genitori ne
fanno spontaneamente richiesta. Ciò comporta una bassa adesione alle
vaccinazioni stesse ed una sostanziale iniquità nella protezione dei bambini
dalle malattie infettive prevenibili con i vaccini, perché vengono ad essere
protetti solo i figli di genitori capaci di informarsi autonomamente per la loro
spiccata sensibilità nei riguardi della prevenzione.
Infine, alcune regioni promuovono vaccinazioni non incluse
tra quelle raccomandate dal Piano nazionale vaccini. Si cita l’esempio della
Regione Siciliana, in cui il decreto n. 1087 del 22 luglio 2002 dell’Assessore
regionale per la sanità ha dato disposizioni per la vaccinazione estensiva
contro la varicella dei nuovi nati e dei dodicenni che non hanno ancora
contratto la malattia. Una politica vaccinale non coordinata può essere
associata a rischi aggiuntivi. Tassi di vaccinazioni subottimali in età
pediatrica, rischiano per esempio di spostare l’età dei soggetti a rischio di
specifiche malattie verso quella adulta, in persone quindi a rischio di un
decorso più grave dell’infezione rispetto al bambino. Altro esempio è quello del
vaccino coniugato contro le infezioni da pneumococco, che alcune regioni offrono
per la vaccinazione nel primo anno di vita.
3.1.2 Insufficienti strumenti di conoscenza
I dati relativi alle proporzioni di bambini immunizzati con le vaccinazioni
obbligatorie sono, in genere, raccolti presso i centri di vaccinazione, gli
assessorati regionali per la sanità e l’Istituto superiore di sanità, anche se
non sempre sono disponibili in tempi reali. Infatti, non tutti i centri di
vaccinazione sono dotati di strumenti informatici e l’accesso agli archivi
cartacei richiede tempo e buona volontà. Inoltre, la trasmissione all’Istituto
superiore di sanità non viene curata con uguale solerzia da tutti gli
assessorati regionali per la sanità, sicché mancano dati di diverse regioni nei
tabulati riassuntivi che l’Istituto prepara per i vari anni.
Le conoscenze sono ancor più incomplete per quel che riguarda
le vaccinazioni raccomandate, che, a seconda delle consuetudini locali, possono
essere effettuate in misura diversa dai centri di vaccinazione delle aziende
sanitarie locali o dai pediatri di famiglia. Questi ultimi non sempre sono
attenti nel notificare l’avvenuta vaccinazione al centro vaccinale cui fa capo
il bambino. In tal modo, alle carenze ed alle lentezze sopra segnalate per la
conoscenza della copertura vaccinale relativa alle vaccinazioni obbligatorie si
sommano ulteriori fattori di distorsione dei dati riguardanti la reale copertura
vaccinale relativa alle vaccinazioni raccomandate.
Inoltre, in certe realtà locali (distretti sanitari e ASL) ci
si limita a registrare le vaccinazioni effettuate, senza che si abbia il
riferimento alla popolazione di bambini da vaccinare. In queste condizioni non è
possibile avere la conoscenza dei bambini non vaccinati e, quindi, suscettibili
di contrarre la malattia e di diventare sorgenti di infezioni anche per altri.
Infine, va segnalato che vi è una generale carenza nella
segnalazione e, per conseguenza, nella registrazione degli eventi avversi
susseguenti alle vaccinazioni. Di fatto, solo gli eventi di particolare gravità
vengono segnalati, mentre parte degli effetti indesiderati minori non è
registrata perché non segnalata né dai pediatri di famiglia né dai genitori. In
tal modo, non vi è la possibilità di un’accurata sorveglianza della sicurezza
dei vaccini in termini di reattogenicità. Ciò impedisce di valutare anche il
requisito della minore reattogenicità in sede di gara per l’acquisto dei vaccini
prodotti da più ditte.
3.1.3 Difformità rilevanti tra le diverse regioni
Il “Piano nazionale vaccini 1999-2000” predisposto dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ha preso in considerazione, tra l’altro, le differenze esistenti a livello regionale riguardo alle politiche vaccinali ed alla loro efficacia. Sulla base anche di quanto esposto da diversi esperti ascoltati dalla Commissione si possono individuare i seguenti aspetti da prendere in considerazione riguardo a questo punto:
· i calendari vaccinali;
· le modalità di offerta dei vaccini;
· le strategie vaccinali;
· le strutture e l’organizzazione per la pratica delle vaccinazioni;
· le modalità di registrazione dei vaccinati e degli eventi avversi;
· le coperture vaccinali.
I calendari vaccinali
Mentre per le vaccinazioni obbligatorie vi è un calendario vaccinale uniforme, per le vaccinazioni raccomandate vi sono difformità nell’offerta e nei tempi di somministrazione in rapporto alle strategie vaccinali che alcune regioni hanno adottato. Ciò può essere di pregiudizio, non solo ai fini amministrativi nei casi in cui un bambino si sposta da una regione ad un’altra, ma anche sotto l’aspetto epidemiologico, considerato che la lotta contro le malattie prevenibili con i vaccini, per essere efficace, richiede uniformità di obiettivi, di mezzi e di modalità di esecuzione in vaste aree geografiche.
Le modalità di offerta dei vaccini
In Italia, come in alcuni altri paesi europei (Francia, Belgio, paesi dell’Est europeo) vige il sistema dell’obbligatorietà per alcune vaccinazioni. Ora in diverse regioni, oltre ai vaccini obbligatori, anche i vaccini raccomandati dal Piano nazionale sono forniti gratuitamente. Alcune regioni offrono anche vaccini non menzionati nel Piano nazionale, come il vaccino contro la varicella (vedi la Regione Siciliana). I vaccini raccomandati sono offerti in modo attivo in alcune regioni, mentre in altre vi è una certa inerzia nell’offerta. Ciò non è cosa priva d’importanza perché ne deriva una diversa estensione della copertura vaccinale: solo laddove i medici dei centri vaccinali presentano in modo convincente ai genitori la possibilità ed i vantaggi (offerta attiva) di immunizzare i propri figli nei riguardi di tutte le malattie prevenibili con i vaccini si ha un’ampia adesione anche alle vaccinazioni raccomandate; laddove, invece, i vaccini raccomandati sono forniti solo se sono esplicitamente richiesti, è immunizzata solo quella quota di bambini i cui genitori hanno avuto autonomamente conoscenza di questa possibilità, grazie al loro livello di istruzione e perché particolarmente attenti alla salute dei propri figli. In questo modo si viene a determinare uno stato di iniquità a danno dei bambini appartenenti alle fasce di popolazione meno protette.
Le strategie vaccinali
Per favorire la diffusione della conoscenza sui vantaggi per la salute dei bambini offerti dalle vaccinazioni raccomandate, alcune regioni hanno coinvolto i pediatri di famiglia, offrendo loro degli incentivi economici commisurati al raggiungimento di determinati obiettivi di copertura vaccinale. Questa scelta si è dimostrata efficace alla luce del rapido aumento delle proporzioni di nuovi nati che hanno ottenuto l’immunizzazione. Inoltre, per evitare che le classi di bambini non vaccinati in precedenza contraggano l’infezione in età successive, quando il decorso clinico della malattia è più grave, sono stati varati programmi di recupero dei non vaccinati, ad esempio con l’offerta del vaccino ai fratelli maggiori dei vaccinati. La mancata adozione di queste strategie, o di altre altrettanto efficaci, da parte di altre regioni ha determinato una situazione “a macchia di leopardo” nella copertura vaccinale relativa alle malattie prevenibili con i vaccini raccomandati.
Le strutture e l’organizzazione per la pratica delle vaccinazioni
Anche sotto questo aspetto esistono notevoli differenze, non solo tra le varie regioni, ma anche all’interno di una stessa regione e tra le varie aziende sanitarie. In particolare, i locali, le dotazioni strumentali (ad esempio, strumenti informatici) e le dotazioni di personale dei servizi vaccinali sono troppo spesso carenti e per nulla rispondenti agli standard riconosciuti indispensabili per una buona pratica delle vaccinazioni in piena sicurezza per i bambini da vaccinare e per riscuotere il gradimento e la fiducia dei genitori. Inoltre, e con poche eccezioni, gli orari d’apertura non tengono conto delle esigenze di lavoro dei genitori. Infine, l’apporto dei pediatri di famiglia non sempre è sufficientemente valorizzato in tutte le regioni.
Le modalità di registrazione dei vaccinati e degli eventi avversi
La registrazione delle vaccinazioni è fatta con modalità diverse anche nell’ambito della stessa regione, in dipendenza delle dotazioni strumentali di ogni servizio di vaccinazione. In alcuni centri di vaccinazione sono in uso schede di registrazione cartacee, in altri si utilizzano i programmi ARVA4 o ARVA5 a suo tempo predisposti dal Ministero della salute, in altri ancora l’archiviazione è fatta con diversi programmi informatici. A ciò va aggiunto che le vaccinazioni raccomandate effettuate dai pediatri di famiglia non sempre vengono registrate dai servizi di vaccinazione. In molte realtà si è lontani da quello che dovrebbe essere un sistema di anagrafe vaccinale, tanto che è difficile avere in tempi reali dati attendibili circa le coperture vaccinali, specialmente per quel che riguarda le vaccinazioni raccomandate. Ancora più difficile è la sorveglianza sugli eventi avversi da vaccino.
Le coperture vaccinali
Grazie alla diffusa accettazione dei vaccini obbligatori, per questi si hanno elevati livelli di coperture vaccinali che, in molte regioni, superano abbondantemente il limite del 95% necessario per raggiungere e mantenere l’eliminazione delle rispettive malattie infettive. Solo in alcune realtà, come la Campania e la provincia di Bolzano, si è al di sotto del 90%. Le differenze sono, però, ben più notevoli per le vaccinazioni raccomandate: è ovvio pensare che esse siano in rapporto con le difformità rilevate nei punti precedenti. Per quel che riguarda la pertosse, l’uso sempre più diffuso di preparati esavalenti, in cui il relativo vaccino è combinato con i vaccini obbligatori, ha portato ad un generale aumento della copertura vaccinale. Restano, invece, impressionanti differenze per quel che riguarda le altre vaccinazioni raccomandate. Particolarmente preoccupanti sono le differenze di copertura per il morbillo (si veda, ad esempio, la regione Lazio in cui i bambini vaccinati sono solo il 60%, mentre la quota minima per interrompere la trasmissione della malattia è del 95%). Al riguardo va sottolineato che la recente epidemia di morbillo del 2002 ha colpito più duramente proprio le regioni con bassa copertura vaccinale, come la Campania, risparmiando le regioni che hanno proporzioni di vaccinati superiori all’85% (si segnala, in particolare, la Sicilia in cui è stata superata la proporzione dell’85% di vaccinati contro il morbillo, la parotite e la rosolia nelle coorti di bambini nati negli ultimi anni e che è stata risparmiata dall’epidemia). L’epidemia ha causato nella sola Campania 40.000 casi di morbillo, con 600 ricoveri. La persistenza endemica del morbillo in Italia, con periodiche esplosioni epidemiche, è inaccettabile se si pensa che già da molti anni questa malattia è stata eliminata altrove, come in molti stati degli Stati Uniti in cui i pochi casi che si osservano oggi sono soltanto “di importazione”.
3.1.4 Danni da vaccini e indennizzabilità: problemi di definizione
Benché l’efficacia e la sicurezza dei vaccini siano provate scientificamente al
di là di ogni ragionevole dubbio, esistono voci discordi e movimenti d’opinione
che insinuano ed alimentano timori circa ipotetici danni provocati dalle
vaccinazioni. Vale la pena qui richiamare brevemente alcuni punti relativi alle
proprietà dei vaccini.
I vaccini sono prodotti biologici di origine naturale, in
quanto sono costituiti dagli stessi microrganismi (opportunamente modificati)
responsabili delle malattie contro cui essi sono diretti o da loro frazioni
(antigeni purificati). Essi agiscono stimolando i poteri di difesa naturali
dell’organismo, che si immunizza come se avesse superato la rispettiva malattia,
senza averne subito i danni. L’efficacia protettiva (cioè, la capacità di
proteggere dalla rispettiva malattia) è vicina al 100% per i vaccini obbligatori
e per la maggioranza di quelli raccomandati. Inoltre, l’uso estensivo di un
vaccino, secondo opportune strategie vaccinali, induce una “immunità di massa” (herd
immunity) che ostacola la circolazione dei microbi responsabili della
malattia, proteggendo dall’infezione anche i pochi che, pur vaccinati, non si
sono immunizzati.
I vaccini sono tra i farmaci più sicuri, pur potendo
provocare effetti collaterali indesiderati; tuttavia i vantaggi offerti da
quelli attualmente usati sono talmente grandi che i rischi connessi con il loro
uso sono assolutamente accettabili.
Gli effetti indesiderati consistono in reazioni locali (al
punto di inoculazione) ed in reazioni generali (febbre, irrequietezza, pianto
prolungato, ecc.), che si presentano con frequenza variabile (da meno di 1% fino
ad oltre il 10%) a seconda del vaccino e che di solito sono di breve durata.
Inoltre, alcuni vaccini costituiti da virus vivi e attenuati possono causare
forme lievi della rispettiva malattia: casi lievi di morbillo o di parotite,
dopo somministrazione, rispettivamente, dei vaccini antimorbilloso ed
antiparotitico; casi di paralisi, dopo somministrazione del vaccino antipolio
orale di Sabin. Resta il fatto che alcuni di questi eventi, per quanto
eccezionalmente, possono dar luogo a danni permanenti o, addirittura, possono
causare la morte del vaccinato.
La legge 25 febbraio 1992, n. 210 prevede un indennizzo
esclusivamente per i danni conseguenti alle vaccinazioni obbligatorie.
L’indennizzo dei danni da vaccino è del tutto logico in base al principio
secondo cui chi si sottopone ad una vaccinazione protegge se stesso ma
contribuisce anche a proteggere gli altri, dal momento che dopo l’immunizzazione
non può più essere una sorgente d’infezione. In base a tale principio, non si
dovrebbe fare alcuna differenza tra vaccinazioni obbligatorie e vaccinazioni
raccomandate. Infatti, il “Piano nazionale vaccini 1999-2000” raccomanda l’uso
estensivo di una serie di vaccini non obbligatori perché la loro adozione è
considerata importante non solo per la tutela della salute del singolo, ma anche
per quella della collettività. Inoltre, alcuni di essi producono vantaggi anche
di ordine economico, considerato che il risparmio di risorse ottenuto grazie
alle malattie evitate è di gran lunga superiore (fino a dieci volte, in alcuni
casi) al costo della vaccinazione. Così stando le cose, appare del tutto
ragionevole la proposta del “Coordinamento nazionale danneggiati da vaccino” di
estendere anche ai danni da vaccinazioni raccomandate l’indennizzabilità
prevista per quelle obbligatorie. In tal modo si faciliterebbe anche il processo
in atto per il superamento della distinzione tra gli uni e gli altri, ancora
esistente in termini giuridici, e si incoraggerebbe l’uso estensivo dei vaccini
raccomandati.
Nel corso della sua audizione, il presidente del sopra citato
Coordinamento ha chiesto, tra l’altro, “la separazione, nell’ambito della legge
n. 210 del 1992, fra danneggiati da vaccino e da emotrasfusione”. Per quanto
sopra detto, sarebbe più opportuno predisporre un provvedimento ad hoc,
nel cui ambito prendere in considerazione i seguenti aspetti del problema:
· eliminazione del vincolo dei tre anni previsti dalla legge n. 210 del 1992 per presentare la domanda d’indennizzo (se ne sta occupando attualmente la XII Commissione affari sociali della Camera);
· il risarcimento ai lesi da vaccino e alle loro famiglie;
· l’indennizzo dei danni da vaccinazione facoltativa, quando fortemente consigliata dall’Organizzazione mondiale della sanità;
· la corresponsione dell’indennizzo dal momento in cui è iniziata la lesione post-vaccinale;
· le visite specialistiche, le protesi e gli ausili completamente gratuiti;
· il riconoscimento di assegni di superinvalidità;
· la perequazione automatica dell’indennizzo della legge n. 210 del 1992;
· una corsia preferenziale nel riconoscimento dell’handicap;
· aiuto nella ricerca di alloggi idonei alle esigenze dei danneggiati e dei loro familiari;
· agevolazioni ai genitori di figli disabili gravi, quali prepensionamento e precedenza nella ricerca del posto di lavoro.
Appare opportuno aggiungere che la valutazione del rapporto tra vaccino e danno dovrebbe essere fatta da commissioni che includano esperti di vaccinologia e di pediatria e non solo medici legali. Appare inoltre essenziale stabilire tempi ragionevoli e brevi per l’indennizzo, che troppo spesso appare tutt’altro che tempestivo.
3.1.5 Dall’obbligo vaccinale al consenso partecipe
Le prime vaccinazioni, a cominciare dalla vaccinazione antivaiolosa (oggi non più praticata dopo che ha determinato l’eradicazione del vaiolo) sono state istituite come obbligatorie, sia per garantire a tutti, in ogni parte del territorio nazionale, il diritto alla protezione dalle malattie infettive prevenibili con i vaccini allora esistenti, sia per evitare il rifiuto dei vaccini stessi da parte di quel settore della popolazione che, per la diffusa mancanza di istruzione, non era ritenuto in grado di comprenderne l’utilità. Attualmente sono obbligatorie le vaccinazioni contro:
· Difterite
· Tetano
· Poliomielite
· Epatite B
Tali vaccinazioni sono entrate nell’uso e sono generalmente accettate, anzi l’obbligatorietà è percepita da molti come una prova della loro utilità. Viceversa, le vaccinazioni “raccomandate”, in quanto non obbligatorie, sono percepite come non necessarie o, comunque, meno importanti.
Le vaccinazioni attualmente raccomandate nell’infanzia sono quelle contro:
· Pertosse
· Morbillo
· Parotite
· Rosolia
· Infezioni da Haemophilus influenzae di tipo b (Hib)
Ovviamente, tali vaccinazioni sono raccomandate perché è stata ampiamente
provata la loro efficacia nel proteggere la salute dei bambini in termini di
risparmio di sofferenze, di invalidità e di morti, oltre che sotto l’aspetto
dell’economia sanitaria. Infatti il costo economico è per quasi tutte nettamente
inferiore al costo delle rispettive malattie, sicché la vaccinazione estensiva
consente anche di ottenere un risparmio sulla spesa sanitaria grazie
all’eliminazione dei casi di malattia da assistere a domicilio e in regime di
ricovero ospedaliero.
Si comprende, dunque, come sia del tutto impropria la
distinzione tra vaccinazioni obbligatorie, intese come utili ed indispensabili,
e vaccinazioni raccomandate, intese come utili ma non indispensabili. La realtà
dei fatti, su base scientifica ed epidemiologica, è che tutte le vaccinazioni,
obbligatorie e raccomandate, sono ugualmente necessarie per proteggere la salute
dei bambini.
Allo stato
attuale, dunque, è necessario superare la distinzione tra vaccinazioni
obbligatorie e vaccinazioni raccomandate, giungendo alla definizione di
vaccinazioni “necessarie”. Sul piano normativo, sarebbe tuttavia imprudente
abolire l’obbligo vaccinale per le vaccinazioni definite obbligatorie per legge,
giacché un tale provvedimento legislativo sarebbe percepito come il
riconoscimento che esse non sono più necessarie. A questo proposito, bisogna
tener presente che i paesi che spesso vengono citati come “liberisti” riguardo
alle vaccinazioni hanno, di fatto, un obbligo mascherato.
Negli Stati Uniti, ad esempio, le vaccinazioni dell’infanzia
non sono obbligatorie, ma nessun bambino viene ammesso negli asili nido e nelle
scuole se non è vaccinato[58].
Nel nostro paese, comunque, è opportuno incoraggiare
l’evoluzione che si osserva attualmente e che consiste nel percepire la
prevenzione vaccinale delle malattie dell’infanzia non tanto come un obbligo di
legge, quanto, piuttosto, come obbligo morale dei genitori e diritto del
bambino.
A tale evoluzione concorrono diversi fattori favorevoli:
· il livello di istruzione della popolazione generalmente è più elevato rispetto al passato, ciò che rende più facile la comprensione delle informazioni sanitarie;
· vi è una maggiore sensibilità verso la prevenzione delle malattie, particolarmente verso le malattie dell’infanzia, sia da parte dei genitori sia da parte dei pediatri di famiglia;
· nell’ambito dei Servizi di igiene e di epidemiologia opera una classe di medici di sanità pubblica, con una formazione specialistica che li rende particolarmente sensibili alle problematiche dell’educazione sanitaria della popolazione;
· la vaccinologia ha fatto dei progressi, che hanno reso disponibili dei vaccini “combinati” in cui sono contemporaneamente presenti i principi attivi (antigeni) dei vaccini obbligatori e di alcuni vaccini raccomandati; basti ricordare i vaccini “esavalenti” che, in unica fiala, contengono i vaccini obbligatori contro la difterite, il tetano, la poliomielite e l’epatite B, nonché i vaccini raccomandati contro la pertosse e l’Haemophilus influenzae b. Grazie a ciò, i genitori accettano facilmente l’offerta di questo vaccino dopo che il medico vaccinatore ha spiegato che il bambino verrà protetto da sei malattie invece che da quattro;
· non solo i vaccini obbligatori, ma anche quelli raccomandati sono offerti gratuitamente e, in molte realtà territoriali, attivamente.
I fattori suddetti influenzano positivamente anche l’accettazione di altri
vaccini raccomandati, come il vaccino trivalente contro il morbillo, la parotite
e la rosolia, cui nei prossimi anni sarà aggiunto anche il vaccino contro la
varicella in una formulazione tetravalente.
In definitiva, è necessario favorire l’evoluzione, che è già
in atto, verso il “consenso partecipe” della popolazione a tutte le
vaccinazioni: bisogna che maturi la consapevolezza che le vaccinazioni dei
bambini non sono un adempimento di tipo burocratico ma un dovere morale dei
genitori per garantire il diritto alla salute dei loro figli. Ciò richiede
azioni di informazione e di educazione sanitaria ai vari livelli di
responsabilità e di attuazione, dal Ministero della salute agli Assessorati
regionali per la sanità, fino alle aziende sanitarie locali ed ai distretti
sanitari, in cui il ruolo dei medici igienisti dei centri di vaccinazione è
essenziale e va opportunamente incoraggiato ed incentivato. Tali azioni sono
necessarie per salvaguardare il principio di equità nella tutela della salute
dei bambini e per evitare che i figli di genitori meno informati o meno attenti
alla prevenzione delle malattie infettive dell’infanzia restino svantaggiati
rispetto ai figli di genitori più coscienti.
3.2 In materia di ospedalizzazione dei bambini affetti da malattie infettive
3.2.1 La necessità di umanizzare il ricovero ospedaliero
Di fronte al problema dell’ospedalizzazione dei bambini affetti da malattie
infettive, di considerevoli dimensioni e ad alto impatto sanitario e sociale, i
modelli assistenziali sono spesso obsoleti e poco funzionali. Molti importanti
aspetti organizzativi sono regolamentati da leggi promulgate oltre cinquanta
anni fa, del tutto inadeguate alla realtà attuale. Molti ospedali e strutture
specializzate per malattie infettive sono localizzati in strutture non idonee e
numerose strutture assistenziali non dispongono di computer, né di sistemi di
rete.
La recente riorganizzazione della materia sanitaria con la
devoluzione della gestione alle regioni comporta d’altra parte un aumentato
rischio di gestione disomogenea dei problemi legati alle infezioni in età
pediatrica. L’approccio al bambino con malattie infettive è eterogeneo in
termini di organizzazione e di gestione, nonostante il problema abbia evidenti
connotazioni nazionali e internazionali. Molte infezioni comportano un rischio
di contagio, la cui prevenzione attiva e passiva richiede misure ben
identificate, applicate e coordinate al livello di macrocomunità: si avverte
quindi la necessità di un maggiore coordinamento delle attività sanitarie
relative alle malattie infettive dei bambini.
I problemi specifici relativi all’ospedalizzazione di
bambini con malattie infettive su cui è stata richiamata particolare attenzione
sono i seguenti.
La limitata conoscenza della situazione epidemiologica nazionale
Il sistema di notifiche di malattie infettive, come in molte nazioni europee, è poco funzionale. Il più recente modello nazionale di monitoraggio delle infezioni con il sistema di “sentinella epidemiologica” è ancora poco organizzato e funziona su base volontaria, essendo quindi privo di concrete ricadute sul territorio e di impatto operativo.
Le strutture e i percorsi assistenziali del bambino in ospedale
Autorevoli figure professionali audite dalla Commissione hanno sottolineato l’impatto negativo sulle condizioni sia cliniche che psicologiche dei bambini e delle loro famiglie, legato alle inadeguate strutture logistiche e alle situazioni di ricovero. Esistono condizioni di disagio che si aggiungono a quelle intrinseche dell’ospedalizzazione. I problemi evidenziati sono diversi in diverse realtà e distribuiti a macchia di leopardo sul territorio nazionale. Di nuovo emerge una forte disomogeneità, con gravi carenze in particolare nel meridione.
I percorsi dei pazienti
I percorsi dei
pazienti (intesi come disponibilità, qualità, efficienza e facilità di accesso a
cure ospedaliere) sono spesso pericolosamente irrazionali, con una sostanziale
disomogeneità da regione a regione e, nell’ambito di una singola regione, da ASL
ad ASL. È evidente una generale maggiore inadeguatezza delle strutture e
dell’organizzazione nelle regioni meridionali, ma sostanziali carenze si
osservano in numerose realtà locali in tutto il paese.
Il Piano sanitario nazionale 2003-2005 riconosce
esplicitamente che non sono riusciti i tentativi di razionalizzare la rete
ospedaliera pediatrica; infatti a fronte di un’ipertrofia della rete pediatrica,
circa il 30% dei bambini è ricoverato in reparti per adulti. Inoltre un terzo
delle strutture manca di un pronto soccorso pediatrico. Un numero
inaccettabilmente alto di bambini con malattie contagiose è ricoverato in
reparti per malattie infettive dove non sono disponibili competenze mediche
pediatriche né personale infermieristico con specifica formazione pediatrica.
Lo Stato si impegna a garantire il ricovero del bambino in
area pediatrica, definita nel Piano sanitario nazionale come l’insieme di
strutture, professionalità e procedure che tengono conto delle specifiche
necessità del neonato, del bambino e dell’adolescente e che costituisce
l’ambiente in cui il Servizio sanitario nazionale si prende cura della salute
dell’infanzia.
Nel piano sanitario si sottolinea che il bambino dovrebbe
essere ricoverato in area pediatrica e si richiama il Progetto obiettivo
materno-infantile 1998-2000 che “non ha avuto ancora piena attuazione, pur
conservando in linea di massima la sua validità”. Nel Progetto obiettivo materno
infantile era tra l’altro previsto che le Unità Operative Pediatriche avessero
“Aree di accoglimento e pronto soccorso pediatrico con possibilità di
osservazione temporanea….degenze differenziate per classi di età….. unità di
isolamento nella misura del 20% dei posti letto”.
Ne deriva che a fronte di un eccesso di posti letto per la
pediatria, l’utilizzazione è poco razionale e contribuisce ad uno stato di
disagio dei cittadini, a violazioni dei diritti del minore e a un notevole
aumento dei costi sanitari.
Appare pertanto opportuno procedere concretamente ad
interventi per migliorare i percorsi assistenziali dei bambini con malattie
infettive, inclusi quelli legati all’edilizia ospedaliera.
3.2.2 Disomogeneità nelle strutture e nelle procedure
Dall’indagine
conoscitiva sono emerse discrepanze nell’approccio al bambino con
necessità di ricovero ospedaliero, il problema dei ricoveri inappropriati e la
protezione dal contagio.
Parte del problema nasce anche dalla concentrazione di
infezioni acute nella stagione invernale. Con regolare cadenza annuale, nel
corso dei periodi di massima incidenza di infezioni respiratorie e
gastrointestinali, si determinano situazioni che mettono il sistema ospedaliero
in seria difficoltà.
Un maggiore coordinamento e la pianificazione di
interventi di sanità pubblica potrebbero ridurre in modo notevole i disagi.
Le indicazioni al ricovero per specifiche malattie
infettive sono poco chiare. In assenza di indicazioni inequivocabili, il medico
vede se stesso come soggetto a rischio di problemi legali e tende a trasferire
ad altri la responsabilità della gestione del caso. Il medico in pronto soccorso
tende a ricoverare in modo eccessivo e - come in altri paesi europei - anche in
Italia vi è un altissimo numero di ricoveri inappropriati che incide sia sulla
qualità di vita delle famiglie che sui costi sanitari.
Un’eccessiva concentrazione di ricoveri per malattie
contagiose determina un rilevante incremento delle infezioni nosocomiali, che
colpiscono preferenzialmente pazienti a rischio elevato per gravi patologie
croniche e costretti a lunghe ospedalizzazioni.
Le procedure applicate nel corso del ricovero di bambini con
malattie potenzialmente contagiose sono eterogenee: le misure di isolamento sono
diverse da ospedale a ospedale e spesso non sono applicate per mancanza di
indicazioni o perché obsolete o ancora per problemi legati alle strutture
logistiche (mancanza di posti letto).
L’inadeguatezza delle misure di isolamento e protezione dal
contagio in ambiente ospedaliero determina un aumento delle infezioni
nosocomiali. L’eterogeneità e le possibili contraddizioni nelle indicazioni
operative determinano pericolose confusioni nel personale e sconcerto
nell’utenza.
4. Considerazioni e proposte
I problemi evidenziati per le vaccinazioni e per l’ospedalizzazione sono simili
e consistono nella carenza di sistemi informativi in rete e nell’eterogeneità
degli approcci, delle strutture e dell’organizzazione. Tali carenze si
traducono, in molte realtà locali, in evidenti penalizzazioni di ampie fasce di
popolazioni di bambini a rischio, o affetti da malattie infettive.
Le vaccinazioni e l’assistenza sanitaria in ospedale sono
indicate come priorità nel Piano sanitario nazionale 2003-2005 e incluse nei
Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), che le aziende sanitarie locali devono
garantire.
Mentre i Comuni e le Regioni hanno un ruolo fondamentale
nella definizione e valutazione degli obiettivi della programmazione sanitaria e
- rispettivamente - nell’assicurare i livelli minimi di assistenza, lo Stato
deve garantire che la tutela della salute sia davvero uniforme su tutto il
territorio nazionale.
La Conferenza Stato-Regioni nella seduta del 24 luglio 2003
ha sancito un accordo tra il Ministero della salute e le regioni al fine di
implementare politiche di intervento di comune interesse tra le regioni e per
raggiungere gli obiettivi strategici e generali individuati nel Piano sanitario
nazionale. La Conferenza Stato-Regioni ha concretamente indicato cinque priorità
su cui è articolato l’accordo stesso, quattro delle quali hanno specifica
attinenza con l’oggetto dell’indagine conoscitiva e precisamente:
· lo sviluppo della politica dei LEA (inclusa la definizione di indicatori pertinenti e aggiornati per il monitoraggio e la verifica dell’applicazione dei LEA stessi);
· le cure primarie (incluso un processo di riordino della rete ospedaliera pediatrica e una riqualificazione della stessa). L’accordo sottolinea che l’assistenza ospedaliera va sempre più riservata alle patologie acute, laddove va rilevato che la presenza del pediatra riferita alla situazione attuale, non è sufficiente e va garantita in strutture di pronto soccorso. Si rileva inoltre l’opportunità di una complessiva riduzione di strutture di ricovero e la necessità di attivazione di percorsi assistenziali integrati con il territorio;
· la realizzazione di centri di eccellenza per malattie infettive pediatriche collegati in rete (che include la promozione e l’adozione di misure di prevenzione come le vaccinazioni per bambini);
· la comunicazione istituzionale (che include campagne di educazione alla salute, incluse le vaccinazioni).
Dall’attività della
Commissione parlamentare per l’infanzia emerge l’opportunità di promuovere
interventi urgenti, alcuni dei quali sono attualmente in itinere, ma per
i quali i tempi di attuazione non sono stabiliti. In linea generale, appare
necessario un maggiore coordinamento delle iniziative e dei provvedimenti
relativi alla gestione del bambino con malattie infettive in ospedale. Occorre
inoltre un’attività di monitoraggio degli interventi stessi e dei tempi di
realizzazione degli obiettivi, in considerazione dell’urgenza dei problemi
evidenziati.
La Conferenza Stato-Regioni è la sede in cui vengono sanciti
gli accordi strategici per il raggiungimento degli obiettivi del Piano sanitario
nazionale in tema di vaccinazioni e assistenza del bambino in ospedale.
4.1 In materia di copertura vaccinale
4.1.1 Requisiti essenziali per i centri di vaccinazione
Al fine di
promuovere l’adesione alle vaccinazioni, indipendentemente dal fatto che esse
siano obbligatorie o consigliate, è necessario rendere i centri di vaccinazione
dei distretti sanitari delle aziende sanitarie accoglienti e rispondenti ai
bisogni dei bambini e dei genitori. A tal fine bisogna prendere in
considerazione: le strutture, le attrezzature, gli arredi, la dotazione di
personale, gli orari di apertura.
Le strutture devono comprendere spazi sufficienti per rendere
efficiente, efficace e sicura l’attività del personale sanitario; esse devono
comprendere anche spazi adeguati per l’accoglienza dei bambini e dei loro
genitori in ambienti confortevoli e tali da non indurre sensazioni di disagio.
Le
attrezzature devono essere tali da contribuire all’efficienza, all’efficacia ed
alla sicurezza dell’attività del personale sanitario e da consentire la tenuta e
la consultazione rapida ed agevole dell’anagrafe vaccinale. Fra le dotazioni
indispensabili devono esserci i presidi farmacologici e strumentali per
l’immediato intervento nel caso di shock anafilattico conseguente alla
somministrazione di determinati vaccini e le apparecchiature per la “catena del
freddo” durante il trasporto e la conservazione dei vaccini, per assicurare che
essi mantengano le loro proprietà immunogene fino al momento della
somministrazione.
L’arredamento, specialmente quello degli spazi per l’accoglienza, deve indurre
sensazioni di serenità e di gioia nei bambini in attesa di essere vaccinati e di
fiducia nei loro genitori.
La dotazione di personale deve essere adeguata alla
popolazione servita dal centro di vaccinazione e devono essere previsti degli
standard, come numero e come figure professionali, da rispettare in tutto il
territorio nazionale.
Gli orari di apertura dei centri di vaccinazione devono
essere compatibili con gli impegni di lavoro dei genitori e con gli impegni
scolastici dei bambini in età scolare. È necessario, pertanto, che siano date
direttive per l’apertura pomeridiana almeno in determinati giorni della
settimana.
Ogni centro vaccinale dovrebbe essere dotato di adeguati
strumenti informatici e di collegamenti in rete che consentano la gestione di
un’anagrafe vaccinale.
4.1.2 Requisiti essenziali per gli ambulatori dei pediatri di famiglia che eseguono vaccinazioni
Gli ambulatori dei
pediatri di famiglia disponibili ad effettuare le vaccinazioni ai loro assistiti
dovrebbero essere certificati in base alla rispondenza a requisiti fissati per
garantire che l’atto vaccinale si svolga in condizioni di massima sicurezza per
il bambino da vaccinare.
In primo luogo, dovrebbe essere verificato il possesso dei
presidi farmacologici e strumentali per l’immediato intervento nel caso di shock
anafilattico conseguente alla somministrazione di determinati vaccini.
Inoltre, dovrebbe essere garantita la “catena del freddo”
durante il trasporto e la conservazione dei vaccini, per assicurare che essi
mantengano le loro proprietà immunogene fino al momento della somministrazione.
Infine il pediatra di famiglia dovrebbe impegnarsi a
trasmettere la comunicazione della vaccinazione all’anagrafe vaccinale di
riferimento.
In pratica gli ambulatori pediatrici dove vengono effettuate vaccinazioni
dovrebbero avere tutti i requisiti dei centri vaccinali.
4.1.3 Uniformità di registrazione ed istituzione di un’anagrafe vaccinale
Le modalità di registrazione dei vaccinandi e dei vaccinati, pur nel rispetto
delle autonomie locali, devono essere armonizzate al fine di rendere facile, in
sede regionale ed in sede nazionale, l’analisi dei dati forniti dalle diverse
ASL.
Dovrebbe essere costituita una rete per la raccolta dei dati
dalla periferia al centro e per la restituzione delle informazioni dal centro
alla periferia. In linea di massima, essa dovrebbe prevedere una serie di
stazioni periferiche presso i centri di vaccinazione, che registrano le
vaccinazioni effettuate nei centri stessi e quelle effettuate dai pediatri di
famiglia; un punto di raccolta in ogni ASL, che riceve i dati dai singoli centri
di vaccinazione, li elabora e li trasmette all’assessorato per la sanità di
ciascuna regione; da qui, dopo verifica ed ulteriore elaborazione, essi saranno
trasmessi ad un centro coordinatore nazionale che procede all’ulteriore
elaborazione ed alla restituzione con opportuni commenti. L’attivazione di una
tale rete avrebbe un duplice vantaggio: da un lato, i dati, in forma aggregata e
disaggregata, unitamente alle informazioni ed alle indicazioni tratte da essi e
riferite all’intero quadro nazionale ed alle singole realtà regionali e locali,
ritornerebbero a cascata fino a coloro che li hanno prodotti, medici vaccinatori
e pediatri di famiglia, gratificandoli e motivandoli a migliorare le loro
prestazioni; dall’altro, diventerebbe agevole, in sede locale, individuare
subito i non immunizzati e personalizzare l’offerta vaccinale, mentre, a livello
di ASL e di regione, sarebbe facile monitorare in tempo reale l’andamento delle
singole vaccinazioni.
L’anagrafe vaccinale dovrebbe includere la registrazione
sistematica degli eventuali eventi avversi, per l’opportuno monitoraggio degli
stessi su scala nazionale.
Le regioni dovrebbero essere incoraggiate ad adottare lo
stesso programma informatico, predisposto in sede nazionale, facendo tesoro
dell’esperienza maturata con il programma ARVA a suo tempo predisposto dal
Ministero della salute, e tenendo conto degli inconvenienti segnalati da chi lo
ha adottato. Ovviamente, le regioni potrebbero adottare propri programmi
informatici, purché compatibili con il programma nazionale.
4.1.4 Armonizzazione dell’offerta dei vaccini raccomandati
Pur nel rispetto delle competenze delle regioni in campo sanitario, dovrebbero essere dati degli indirizzi, non solo riguardo a quali vaccini sono raccomandati, ma anche alle modalità dell’offerta, che, in linea di principio, dovrebbe essere gratuita ed attiva. Questo aspetto potrebbe essere definito in sede di Conferenza Stato-Regioni, analogamente a quanto è stato fatto per altri aspetti nell’ambito dell’ampia problematica dei vaccini.
4.1.5 Incentivi al personale sanitario dei centri di vaccinazione ed ai pediatri di famiglia
L’esperienza maturata in alcuni paesi stranieri (ad esempio, il Regno Unito) ed
in alcune regioni del nostro paese (ad esempio, la Sicilia) ha mostrato che si
possono raggiungere elevate proporzioni di bambini vaccinati anche per i vaccini
non obbligatori incentivando opportunamente il personale addetto alle
vaccinazioni ed i pediatri di famiglia. Gli incentivi possono essere d’ordine
puramente morale ma quelli che più rapidamente e più generalmente raggiungono lo
scopo sono gli incentivi economici.
Gli incentivi economici possono essere erogati secondo due
modalità: secondo il modello inglese, ai medici del servizio sanitario che
accettano di vaccinare i propri assistiti si riconosce un compenso in denaro per
ogni vaccinazione effettuata a titolo di remunerazione per il servizio reso in
più rispetto alle prestazioni di diagnosi e cura loro spettanti per contratto;
nella Regione Siciliana, invece, si liquida un premio annuale ai pediatri di
famiglia se hanno collaborato, anche solo con lo svolgere azione di informazione
e di convincimento, purché la proporzione dei vaccinati fra i loro assistiti
superi la percentuale che l’Assessorato regionale per la sanità ha posto come
obiettivo minimo per quell’anno.
Incentivi economici potrebbero essere riconosciuti anche al
personale sanitario dei centri di vaccinazione delle aziende sanitarie o in
alternativa ai pediatri di famiglia, in rapporto all’impegno profuso per le
vaccinazioni non obbligatorie.
Inoltre, sarebbe opportuno dare indicazioni alle regioni sui
temi di più rilevante interesse nell’ambito della problematica delle
vaccinazioni, affinché in ciascuna regione si organizzino annualmente corsi di
aggiornamento con l’obiettivo di mantenere al massimo livello la preparazione
professionale e la motivazione degli operatori sanitari coinvolti nella pratica
vaccinale. I corsi, riservati al personale sanitario dei centri di vaccinazione
delle ASL ed ai pediatri di famiglia, dovrebbero essere accreditati ai fini del
raggiungimento del numero di crediti formativi richiesto annualmente ad ogni
operatore sanitario.
Una proposta emersa nel corso delle audizioni è che la
copertura vaccinale sia considerata come obiettivo irrinunciabile per la
valutazione dell’operato dei direttori generali delle ASL. In tal modo le
vaccinazioni sarebbero fortemente devolute alle regioni, ma con l’assicurazione
del raggiungimento delle coperture necessarie a livello nazionale.
4.1.6 Ridefinizione normativa del danno da vaccino
Dal quadro precedentemente tracciato risulta chiaro che: a) sotto gli aspetti
epidemiologico e sociale non vi è alcuna differenza tra i vaccini obbligatori e
quelli raccomandati; b) anche i vaccini raccomandati, se vengono impiegati
secondo adatte strategie proteggono la singola persona vaccinata ma anche
l’intera comunità mediante la “immunità di gruppo” che garantisce il controllo,
fino all’eliminazione, delle corrispondenti malattie; c) pertanto, chi accetta
una vaccinazione raccomandata fa un atto utile all’intera comunità e, per ciò
stesso, deve essere trattato alla stessa stregua di chi è vaccinato con un
vaccino obbligatorio se dalla vaccinazione deriva un danno per la sua persona.
D’altra parte, i danni da vaccino sono così peculiari che è improprio associarli
a quelli derivanti da pratiche terapeutiche, come i danni da emotrasfusione.
È opportuno, quindi, ridefinire l’intera problematica con un
provvedimento normativo ad hoc, che consideri unitamente i danni
conseguenti alle vaccinazioni sia obbligatorie sia raccomandate. Un tale
provvedimento avrebbe diversi effetti positivi, tutti importanti: in primo
luogo, renderebbe giustizia a coloro che, per scelta consapevole e non per
obbligo accettano la prevenzione immunitaria delle malattie infettive;
contribuirebbe a superare l’artificiosa differenziazione tra vaccinazioni
obbligatorie e vaccinazioni raccomandate; eliminerebbe la diffidenza che alcuni
medici hanno nei riguardi dei vaccini raccomandati per il timore di rivalsa nei
loro confronti quando si dovesse presentare un evento avverso in un bambino da
essi vaccinato.
Nell’ambito della nuova normativa sarebbe opportuno
considerare anche la possibilità di risarcimento del danno biologico, oltre o
invece dell’indennizzo. La tempestività del risarcimento appare cruciale sia per
il rispetto etico del danno subito, che per evitare liti e contenziosi, che
aumentano il disagio dei danneggiati e i costi a carico delle parti.
4.2 Per l’umanizzazione delle cure del bambino con malattie infettive in ospedale
Ai fini delle necessaria umanizzazione delle cure del bambino ricoverato in ospedale, appare necessario:
· avviare le opportune iniziative legislative per attuare pienamente i principi sanciti nella Convenzione di New York, recepiti dalla risoluzione del Parlamento europeo del 13 maggio 1986 (A2-25/86) e richiamati dalla mozione 1-00105 presentata dall’onorevole Bolognesi il 3 settembre 2002 che impegna il governo alla tutela dei diritti dei bambini degenti in ospedale. In particolare dovrebbe essere garantito il ricovero del bambino in area pediatrica, così come definita nel Piano sanitario nazionale;
· incrementare il rispetto dei requisiti strutturali per le Unità Operative di Pediatria indicate nel Progetto obiettivo materno infantile e specificamente la disponibilità di unità di isolamento nella misura del 20% dei posti letto;
· incrementare i sistemi di sorveglianza delle malattie contagiose, attraverso un sistema di notifiche efficace, informatizzato e coordinato a livello nazionale, secondo gli standard previsti dalla Commissione europea (e previsti come operativi entro il dicembre 2003), per assicurare un efficace sistema di flussi di informazioni;
· istituire centri di riferimento pediatrici per malattie infettive pediatriche, analogamente a quanto fatto per l’AIDS dei bambini, che operino in collegamento con le strutture regionali di sanità e con le società scientifiche, per garantire percorsi ottimali e omogenei sul territorio nazionale dei bambini affetti da malattie infettive, con la specifica indicazione del rispetto dell’area pediatrica. I centri di riferimento dovrebbero avere tre distinte funzioni: 1) la gestione di bambini con patologie infettive complesse, incluso l’AIDS stesso e le infezioni gravi e complesse, nonché le emergenze infettivologiche nazionali ed internazionali; 2) la consulenza scientifica alle strutture regionali per gli interventi organizzativi in tema di infezioni pediatriche; 3) la formazione del personale e l’istruzione delle famiglie, in collaborazione con le società scientifiche e le federazioni professionali allo scopo di promuovere l’adesione delle famiglie a stili di vita sani e a pratiche preventive efficaci contro le malattie infettive (inclusi l’allattamento al seno e i fattori ambientali). I centri di riferimento interregionali dovrebbero agire in stretto coordinamento per assicurare l’omogeneità e l’integrazione funzionale degli interventi in tema di malattie infettive pediatriche sul territorio nazionale. Un’esperienza simile con eccellenti risultati è stata ottenuta per l’AIDS pediatrico;
· valutare attraverso una specifica indagine condotta in collaborazione con gli assessorati regionali alla sanità gli aspetti relativi all’edilizia delle strutture dedicate alle cure del bambino con malattie infettive;
· migliorare e razionalizzare l’assistenza infettivologica pediatrica nel territorio, al fine di ridurre la frequenza di ricoveri impropri; a tal fine, sarebbe opportuno elaborare linee guida per i pediatri di famiglia e per quelli ospedalieri.
5. CONCLUSIONI
L’indagine conoscitiva ha
rilevato una situazione globalmente problematica relativa alle vaccinazioni e
all’ospedalizzazione dei bambini con malattie infettive. I punti critici sono
legati alle dimensioni del problema e all’eterogeneità delle risposte.
La modifica del titolo V della parte II della Costituzione ha
comportato l’attribuzione alle regioni della gestione della sanità. D’altra
parte per le loro peculiari caratteristiche, specificamente la loro
contagiosità, le malattie infettive rappresentano un problema nazionale che non
riconosce confini amministrativi e richiede risposte coordinate.
La Commissione parlamentare per l’infanzia ritiene necessario
sottolineare l’esigenza di una politica che sviluppi il massimo grado di
interazione a livello nazionale, attraverso un’attiva e costante cooperazione
tra le agenzie locali e nazionali con funzioni organizzative e regolatorie da un
lato e quelle tecniche e scientifiche dall’altro. Attraverso tale interazione
devono essere sviluppate strategie integrate, coordinate e condivise. Occorre
quindi che siano superate differenze geografiche nelle modalità operative e nei
percorsi assistenziali, che costituiscono obiettivamente una inaccettabile
violazione del diritto del cittadino all’eguale accesso ad interventi di
prevenzione e di cura garantiti dallo Stato attraverso l’applicazione dei
livelli essenziali di assistenza. Le implicazioni di tali considerazioni sono
tanto più rilevanti, in quanto riferite al bambino, una persona da tutelare
socialmente e giuridicamente con particolare attenzione.
Il ruolo della Conferenza Stato-Regioni appare fondamentale
per sviluppare iniziative di integrazione. Per essere efficaci, le iniziative
devono tuttavia coinvolgere le diverse agenzie, istituzioni e categorie che
hanno un ruolo nella prevenzione e nella gestione delle malattie infettive del
bambino. Oltre a quella degli Assessorati regionali alla sanità, è necessaria la
partecipazione:
· delle società scientifiche pediatriche, ed in particolare la Società italiana di pediatria (SIP), che hanno un ruolo fondamentale sia di tipo medico assistenziale, sia nella diffusione della cultura medica. Le società scientifiche nazionali possono esercitare un ruolo di orientamento e integrazione delle attività mediche a livello nazionale;
· delle associazioni tra pediatri di libera scelta, ed in particolare la Federazione italiana medici pediatri (FIMP), in considerazione del ruolo fondamentale di questi sia nella gestione delle infezioni del bambino, sia per l’interazione con le famiglie. Quest’ultima appare cruciale per incrementare le strategie vaccinali e per ridurre comportamenti inappropriati, tra cui l’eccessivo ricorso al ricovero ospedaliero;
· delle istituzioni tecnico-scientifiche deputate al controllo delle malattie infettive, in particolare l’Istituto superiore di sanità, con la valorizzazione del supporto tecnico al monitoraggio della circolazione di agenti infettivi, della produzione (in stretta collaborazione con esperti delle altre agenzie indicate) di linee guida e della gestione di anagrafi e di banche dati che siano costantemente aggiornate. Le informazioni contenute in tali banche dati, ottenute dalle strutture periferiche, devono essere restituite a queste ultime in una visione globale per gli opportuni provvedimenti;
· delle organizzazioni che hanno lo scopo di promuovere e tutelare i diritti di particolari gruppi di persone (malati, danneggiati da vaccino ed altre).
Dall’indagine è emersa la
necessità di interventi legislativi, per risolvere importanti contraddizioni con
risvolti di tipo etico. Il problema più evidente nasce dalla necessità di
applicare i principi contenuti nella Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti
del fanciullo (fatta a New York il 20 novembre 1989 e ratificata con legge 27
maggio 1991, n. 176) e in numerosi documenti internazionali e nazionali che
riconoscono il diritto del bambino alla salute, che significa anche, qualora il
bambino necessiti di ospedalizzazione, il diritto di essere accolto in area
pediatrica, definita come l’insieme di strutture e competenze professionali
specifiche per l’età. È emersa dall’indagine l’opportunità che un comitato
scientifico di indirizzo sia chiamato ad interagire con le strutture del
Ministero della salute e del tavolo tecnico Stato-Regioni per la materia delle
malattie infettive dell’infanzia.
Alla luce di tutte le considerazioni in premessa, del
dibattito sviluppatosi in Commissione e delle opinioni espresse dal Ministro
della salute in audizione, la Commissione parlamentare per l’infanzia,
riservandosi di approfondire ulteriormente alcuni dei temi che hanno costituito
oggetto dell’indagine, raccomanda:
1. La definizione di un calendario nazionale delle vaccinazioni condiviso da tutte le Regioni e dalle Province a statuto speciale.
2. La predisposizione di iniziative per la razionalizzazione e l’armonizzazione della rete di offerta di vaccinazioni.
3. L’istituzione di un’anagrafe vaccinale nazionale, che registri le vaccinazioni (obbligatorie e raccomandate) effettuate, nonché gli eventuali effetti avversi.
4. La promozione di iniziative per sensibilizzare l’opinione pubblica affinché sia pienamente percepita l’importanza di tutte le vaccinazioni, sia di quelle attualmente obbligatorie, sia di quelle oggi definite “raccomandate”, così che possa essere superata l’attuale distinzione tra le due categorie.
5. La costituzione di un Osservatorio nazionale sulle malattie infettive pediatriche (eventualmente ad integrazione dell’articolo 1 del decreto-legge 21 gennaio 2004, n. 10).
6. Una relazione almeno annuale del Governo alle Camere in tema di epidemiologia e prevenzione di malattie infettive dei bambini.
7. L’individuazione in Italia di alcuni centri di eccellenza di profilo interregionale per la cura e il coordinamento in tema di prevenzione e studio delle malattie infettive in età pediatrica.
8. La predisposizione di iniziative legislative al fine di:
a) migliorare la tutela delle persone danneggiate da effetti indesiderati delle vaccinazioni, sia obbligatorie che raccomandate;
b) regolamentare l’accoglienza dei bambini con malattie infettive o sospette infettive esclusivamente in area pediatrica, nel caso di ricovero in ospedale;
c) affidare agli specialisti in pediatria con una specifica esperienza documentata nel campo dell’infettivologia pediatrica gli incarichi di direzione di Unità operative di infettivologia pediatrica;
d) far sì che l’Italia partecipi finanziariamente al Vaccine Fund.
[1]
Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1
della L. 23 ottobre 1992, n. 421.
[2]
Convertito, con modificazioni, dalla legge 16 novembre 2001, n. 405.
[3]
Sul punto è intervenuta anche la circolare esplicativa 7 aprile 1999, n. 5
(G.U. n. 87 del 15-4-1999).
[4]
Di cui al R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, Approvazione del testo unico
delle leggi sanitarie, e successive modificazioni.
[5]
Categoria ammessa all’indennizzo dalla legge 362/1999, articolo 3, comma 3,
dopo che la Corte costituzionale (con sentenza 23-26 febbraio 1998, n. 27)
aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 1,
nella parte in cui non prevede il diritto all’indennizzo di coloro che
abbiano subito il danno in seguito a vaccinazione antipoliomielitica nel
periodo di vigenza della legge 695/1959 (recante provvedimenti per rendere
integrale la vaccinazione antipoliomielitica).
[6]
Categoria ammessa all’indennizzo dalla sentenza della Corte costituzionale
9-16 ottobre 2000, n. 423, la quale ha dichiarato l’illegittimità
costituzionale dell’articolo 1, comma 1, nella parte in cui non prevede il
diritto all’indennizzo di coloro che abbiano subito il danno in seguito a
vaccinazione antiepatite B a partire dal 1983.
[7]
La legge stabilisce, inoltre, che l’indennizzo sia stabilito nella misura
corrispondente a quella prevista nella tabella B allegata alla legge 29
aprile 1976, n. 177, e successive modificazioni, e integrato con una somma
corrispondente all'importo dell'indennità integrativa speciale di cui alla
legge n. 324/1959 così come prevista per la prima qualifica funzionale degli
impiegati civili dello Stato. La somma integrativa è cumulabile con
l'indennità integrativa speciale o altra analoga indennità collegata al
costo della vita.
[8]
A favore dei danneggiati è altresì previsto: l’esenzione per i
soggetti danneggiati dalla partecipazione alla spesa sanitaria (sia
farmaceutica sia specialistica) nonché dal pagamento della quota fissa per
ricetta, limitatamente alle prestazioni necessarie alla diagnosi e alla cura
delle patologie previste dalla legge; l’estensione al coniuge che risulti
contagiato dal soggetto danneggiato, o al figlio contagiato durante la
gestazione, dei benefici previsti dalla legge; il riconoscimento ai soggetti
danneggiati che abbiano contratto più di una patologia, ognuna con un
distinto esito invalidante, di un indennizzo aggiuntivo da stabilirsi con
decreto del Ministro della salute, in misura non superiore al 50% di quello
previsto per la singola patologia.
[9]
La legge (come integrata e modificata da ultimo dalla legge 362/1999)
individua come aventi diritto, nell'ordine: il coniuge, i figli, i genitori,
i fratelli minorenni e i fratelli maggiorenni. Occorre notare che l’articolo
2 della 210 è stato (non esplicitamente) sostituito dalla legge 238/1997;
quest’ultima aveva inizialmente vigenza per il solo anno 1997, ma la legge
362/1999 (art. 3, comma 2) ha rimosso il termine di vigenza, col risultato
che la disciplina della 238 sostituisce del tutto e pienamente l’articolo 2
della 210.
[10]
Ai sensi del D.lgs. 112/1998, art. 123, le funzioni concernenti i
ricorsi sono conservate allo Stato.
[11]
Il D.P.C.M. 26 maggio 2000 ha individuato a tal fine le risorse
umane, finanziarie, strumentali e organizzative da trasferire alle Regioni,
a partire dal 1° gennaio 2001; le risorse finanziarie, in particolare, sono
state definite in circa 168 miliardi di lire. Il D.P.C.M. 8 gennaio 2002 ha
incrementato le risorse finanziarie destinate alle Regioni, in conseguenza
del significativo aumento del numero delle richieste di indennizzo. Il
D.P.C.M. stima un onere “presunto” di circa 510 miliardi di lire.
L’effettivo trasferimento delle risorse agli enti titolari delle funzioni di
cui alla legge 210/92 è subordinato alla presentazione al Ministero
dell’Economia, da parte degli enti medesimi, di un’apposita rendicontazione
da predisporre entro il 30 giugno 2002, secondo criteri da definirsi in sede
di Conferenza unificata.
[12]
Cfr. supplemento ordinario n. 95 alla G.U. 18.6.2003 (paragrafo 6.2).
[13]
La guardia medico-ostetrica 24 ore su 24 nelle strutture dove avviene il
parto è garantita solo nel 45% dei reparti.
[14]
Nel 1999 il tasso di ospedalizzazione era del 119 per mille, un valore
significativamente più elevato rispetto a quello dei Paesi europei, quali ad
esempio il Regno Unito (51 per mille) e la Spagna (60 per mille).
[15]
Recentemente pubblicata sul sito del Ministero della salute.
[16]
Decreto ministero della sanità 24.4.2000, in S.O. della G.U. n. 131 del
7.6.2000.
[17]
L.r. 1.4.1980, n. 18.
[18]
L.r. 14.8.1981, n. 29.
[19]
L.r. 1.4.1980, n. 24.
[20]
L.r. 6.9.1983, n. 25.
[21]
L.r. 23.9.1991, n. 6.
[22]
L.r. 19.4.1995, n. 22.
[23]
L.r. 1.6.1983, n. 36.
[24]
L.r. 20.5.1987, n. 27.
[25]
L.r. 27.7.98, n. 22.
[26]
L.r. 28.3.1986, n. 11.
[27]
L.r. 14.8.1981, n. 29.
[28]
L.r. 20.2.1978, n. 7.
[29]
L.r. 23.9.1991, n. 6.
[30]
L.r. 14.9.1982, n. 39.
[31]
L.r. 14.9.1982, n. 39.
[32]
L.r. 1.4.1980, n. 18.
[33]
L.r. 14.8.1981, n. 29.
[34]
L.r. 20.2.1978, n. 7.
[35]
L.r. 1.4.1980, n. 24.
[36]
L.r. 20.6.1980, n. 73: in questo caso ci si riferisce anche a soggetti di
età maggiore che presentino caratteristiche anatomo-funzionali proprie
dell'età infantile o versino in particolari condizioni di gravità.
[37]
L.r. 6.9.1983, n. 25.
[38]
L.r. 28.3.1986, n. 11.
[39]
L.r. 1.6.1985, n. 23.
[40]
L.r. 5.11.1988, n. 43.
[41]
L.r. 8.5.1987, n. 16.
[42]
L.r. 14.9.1982, n. 39.
[43]
L.r. 2.6.1980, n. 12.
[44]
L.p. 18.8.1982, n. 13.
[45]
L.r. 1.6.1983, n. 36.
[46]
La L.r. 20.7.1978, n. 7 della Campania fa espresso riferimento alla madre.
[47]
L.r. 1.4.1980, n. 18.
[48]
L.r. 23.9.1991, n. 6.
[49]
L.r. 1.6.1985, n. 23.
[50]
L.r. 14.8.1981, n. 29.
[51]
L.r. 5.11.1988, n. 43.
[52]
L.r. 28.3.1986, n. 11.
[53]
L.r. 1.4.1980, n. 24.
[54]
L.r. 23.9.1991, n. 6.
[55]
L.r. 1.6.1985, n. 23.
[56]
L.r. 14.9.1982, n. 39.
[57]
L.r. 1.6.1983, n. 36.
[58]
Si veda, al riguardo, il recente articolo pubblicato nella rivista MMWR dei
Centers for Diseases Control and Prevention (CDC) di Atlanta,
il 22 agosto del 2003, vol. 52, pagg. 791-793: Vaccination coverage among
children entering school – United States, 2002-2003 school year. Va
citato anche quanto scrivono in proposito W.A. Orenstein e A.R. Hinman, due
fra i più autorevoli esperti di vaccini: “Le leggi sull’immunizzazione
scolastica hanno giocato un ruolo chiave nel ridurre le malattie prevenibili
con i vaccini negli Stati Uniti. Malgrado l’amore dei nostri cittadini per
la libertà, l’immunizzazione obbligatoria è generalmente ben accettata (School
immunization laws have played a key role in reducing vaccine-preventable
diseases in the United States. Despite our citizens’ love
of freedom, mandatory immunization is generally well accepted.
Vaccine 1999, vol. 17, pagg. S19-S24).