Marcello PERA, Presidente del Senato della Repubblica. Signor Presidente della Camera, signora presidente della Commissione per l’infanzia, signori ministri, signor rappresentante dell’Unicef Mr. Fisher, signore e signori, io porto molto brevemente il mio personale saluto, il saluto di tutto il Senato, oltre all’augurio di buon lavoro per un incontro che è certamente importante.
Voi conoscete perché ne siete competenti ed esperti meglio di me, la situazione mondiale che riguarda i diritti dei bambini a cui è dedicato l’incontro di oggi.
I dati dell’Unicef sono sicuramente allarmanti: vi si parla di 250 milioni di bambini costretti a lavorare, di 110 milioni di bambini che non vanno a scuola e di moltissimi che vivono in situazioni di estrema indigenza e poi schiavitù, sfruttamento, tratta, abusi sessuali, prostituzione e così via. Questo ci obbliga a riconoscere che nel mondo di oggi esiste un mondo di esclusi che sono i più indifesi, che sono quelli che hanno meno colpe delle ingiustizie del mondo e la giornata come quella di oggi credo che debba essere interpretata anche come una giornata di inclusione degli esclusi.
E qui si apre il problema che sta al vostro dibattito diffondere. Come si includono i bambini esclusi? Come si attribuisce a loro tutto l’universo dei diritti di cui noi minoranza, noi dell’occidente, minoranza peraltro dell’umanità, siamo così fieri? Come si esportano i diritti che noi riconosciamo, che vogliamo riconoscere ai bambini esclusi? E, poi, domanda ancora più complicata, si possono esportare i diritti così come si esportano merci o beni o capitali o uomini?
Io credo che questo debba essere un tema della vostra riflessione e che dovremmo considerare, per affrontare questo problema terribile della esportazione e della diffusione dei diritti, anche come nascono i diritti e perché noi oggi siamo in condizione di dire che ad alcuni, a moltissimi bambini del mondo non sono riconosciuti dei diritti. Come nascono i diritti?
Io direi che ci sono almeno quattro fasi che dovrebbero essere distinte: la prima è quella dei bisogni. Nasce ad un certo punto nell’umanità il bisogno di qualcosa: il bisogno dell’istruzione, il bisogno della salute, il bisogno di partecipazione alla vita politica. Si comincia con una esigenza, appunto con un bisogno.
Si prosegue, basta fare la biografia dei diritti che noi, della nostra generazione, abbiamo cominciato a godere in età evoluta, con una seconda fase, che io chiamerei delle aspettative consapevoli. Non c’è soltanto un bisogno, c’è anche una consapevolezza che a quel bisogno si debba dare una risposta e un tipo particolare di risposta.
C’è poi una terza fase, quando con un ulteriore progresso, le aspettative consapevoli e diffuse diventano aspettative o condizioni realizzate.
E infine, ma solo infine, in questo processo, che è un processo evolutivo e storico, arriva la fase delle norme, delle codificazioni delle costituzioni, delle carte.
In gran parte del mondo noi siamo ancora nella prima fase: la fase dei bisogni. In altra parte del mondo, ovviamente mi riferisco al mondo sottosviluppato, siamo nella fase dei bisogni e delle aspettative consapevoli. Il dramma di quella parte del mondo è di passare dalla seconda alla terza fase, cioè quella delle condizioni realizzate e che, poi, quasi spontaneamente, quasi automaticamente, producono norme, codificazioni e, appunto come si dice, i diritti.
Tutto questo detto per ricordare, in primo luogo a me stesso, che i diritti sono prodotti della civiltà e la civiltà, a sua volta, è un prodotto della conoscenza, è un prodotto della tecnologia, è un prodotto dello sviluppo economico, è un prodotto della informatizzazione, un prodotto del commercio, un prodotto dell’industria e così via, questa è la civiltà che riesce a trasformare le aspettative in condizioni realizzate e le condizioni in norme.
Per questo, il punto su cui vorrei richiamare la vostra attenzione, è quello della globalizzazione della civiltà. So perfettamente di usare una espressione oggi delicata e contestata ma non mi fa velo la delicatezza e la contestazione dell’espressione a quella che io ritengo una verità che esprimo molto sinteticamente perché non voglio certo rubare il vostro tempo con il mio saluto.
Esportare civiltà vuol dire esportare diritti. Esportare civiltà vuol dire esportare le condizioni nelle quali le aspettative diventano realizzate e poi finalmente codificate. Detto in sintesi, se si globalizzano le condizioni della civiltà e, dunque, se si globalizzano le condizioni economiche, allora si globalizzano anche le aspettative dei diritti e, quindi, esportiamo diritti anche per i bambini. Se non si globalizzano le condizioni economiche, allora non nascono nemmeno le aspettative dei diritti e le aspettative non si trasformano in norme.
Dico questo perché gli incontri come questi hanno uno scopo: di richiamare l’attenzione su un problema e di fornire soluzioni. Non sono convinto, e perciò ho detto quello che ho detto, che la soluzione sia semplicemente quella degli appelli, delle sottoscrizioni di carte o costituzioni e nemmeno quella dei sussidi. Noi dobbiamo riflettere sulla questione della esportazione della civiltà e, siccome noi riteniamo, a torto o a ragione, di essere la civiltà dei diritti, noi dobbiamo anche riflettere sui modi civili, ovviamente, democratici, non violenti con cui esportiamo nel mondo la nostra civiltà.
Buon lavoro a tutti e auguri.