Nigel FISHER, rappresentante speciale UNICEF per l'area di
crisi in Afghanistan. Bambini, signori, onorevoli delegati membri della Commissione
infanzia, signori sottosegretari, signore e signori. È per me un grande onore essere qui
oggi ed essere testimone del vostro profondo interesse per i bambini colpiti dai conflitti
armati. Sono lieto in particolare di essere qui nel momento in cui il Governo italiano ha
dato trenta miliardi di lire in dono allUNICEF per il suo lavoro umanitario in
Afghanistan.
Vi assicuro che questa somma sarà immediatamente impiegata nellambito del nostro
lavoro per la sopravvivenza e salvezza dei bambini in Afghanistan questinverno.
Colgo questa occasione per ringraziare lItalia per questo suo ennesimo esempio di
sostegno allUNICEF.
In primo luogo desidero accennare alla situazione generale dei bambini nei conflitti del
mondo; poi insieme esamineremo più in particolare la situazione dei bambini in
Afghanistan, non soltanto in presenza della crisi odierna ma anche cercando di capire
quali siano le radici dei problemi che oggi lAfghanistan deve affrontare. Problemi
che hanno condotto alla crisi attuale e che non colpiscono soltanto i bambini, ma tutti
gli strati di persone più vulnerabili nel paese, e tutti noi ovunque siamo. Sarò lieto
di rispondere alle vostre domande, se ve ne saranno e se ne avremo loccasione, sulla
situazione dei bambini in Afghanistan.
Le statistiche sui bambini coinvolti nei conflitti armati e nelle guerre civili negli
ultimi 15-20 anni sono oramai note a tutti. Milioni di bambini uccisi, decine di milioni
di bambini coinvolti, sradicati dalle loro abitazioni, profughi nei loro stessi paesi o
rifugiati allestero. Centinaia e centinaia di migliaia di bambini reclutati come
combattenti, bambini abusati sessualmente, bambini mutilati dalle mine antiuomo o da altri
ordigni inesplosi.
Sono decine di milioni quelli che hanno sofferto il trauma di un esposizione diretta e
immediata alle devastazioni della guerra; sono stati testimoni della morte e del ferimento
delle persone che amavano, sono stati feriti, o ancor peggio, sono stati costretti,
drogati o indottrinati, a diventare degli assassini.
Questi bambini hanno visto lintero tessuto della loro vita distrutta a mano a mano
che le loro città, i loro paesi e le loro case diventavano la prima linea di guerre
civili in cui non esistono confini fra civili e combattenti, di conflitti rispetti ai
quali non esistono rifugi. Le moschee, le chiese, i templi sono distrutti, le scuole sono
invase e i bambini vengono obbligati ad arruolarsi.
Diciamo sempre che i bambini sono, o dovrebbero essere una zona di pace, dovrebbero essere
protetti dal conflitto, dallo sfruttamento, dallabuso. A peggiorare le cose, gli
adulti che commettono atrocità contro i bambini, che li reclutano e abusano di essi,
solitamente sono esenti da responsabilità. Questi adulti, che sono per esempio capi di
fazioni in lotta, combattenti di questa o quella parte, sanno bene che è molto
improbabile che possano mai essere chiamati a rispondere per le azioni condotte contro i
bambini. Addirittura i leader dei governi vicini e le industrie di altri paesi che
sostengono la guerra, che forniscono armi o comprano risorse sfruttate illegalmente nei
paesi lacerati dalla guerra civile sanno bene che, nella maggioranza dei casi, possono
agire in completa impunità e approfittano dellanarchia per privare della
fanciullezza milioni di giovani vittime.
Un esempio per tutti: Charles Taylor, Liberia. Se esiste una persona che consapevolmente e
sistematicamente ha assicurato la distruzione del proprio paese per suo profitto
personale, che ha alimentato attivamente il conflitto nei paesi vicini, quello è proprio
lui. Vi domando, forse che egli è sotto processo di fronte ad un tribunale di guerra
internazionale? No, è lattuale presidente della Liberia. Oggi, sette anni dopo il
genocidio del Ruanda, quanti di coloro che hanno condotto o istigato questo genocidio sono
stati condotti di fronte ad un tribunale? Pochissimi. Quanti sono stati, delle decine di
migliaia di ruandesi imprigionati per la loro presunta partecipazione al genocidio, che
stanno subendo un processo? Poche centinaia.
E che dobbiamo fare, cedere al pessimismo? No, certamente no. Esiste oggi una maggiore
consapevolezza dellimpatto dei conflitti armati sui bambini, nonché delle misure di
protezione che essi richiedono. Il diritto umanitario internazionale e le regole sui
diritti delluomo si stanno rafforzando. Il Protocollo aggiuntivo allarticolo
38 della Convenzione sui diritti del bambino ha aumentato letà consentita per
reclutare i giovani nelle forze armate dai 15 ai 17 anni in caso di volontari e a 18 anni
in caso di leva obbligatoria. E poi adesso cè anche il Trattato di Ottawa per
mettere al bando la produzione, la vendita e limpiego di mine anti-uomo.
Poi ci sono gli Statuti di Roma del 1998 per listituzione del Tribunale penale
internazionale. Alcuni Tribunali internazionali stanno già conducendo alcuni leaders
militari e civili di fronte alla giustizia per reati commessi contro lumanità. E
questi reati sono stati allargati includendovi anche lo stupro e il reclutamento di
bambini come combattenti. Poi cè la famosa relazione di Graca Machel del 1996
pronunciata di fronte allAssemblea Generale delle Nazioni Unite, che ha esposto in
modo chiaro i rischi affrontati dai bambini che si trovano coinvolti nei conflitti armati,
ed ha descritto le misure necessarie per proteggerli. E ancora, lo scorso anno, il
Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite ha messo in imbarazzo lindustria
diamantifera internazionale svelando la sua complicità nellinterminabile guerra
civile angolana.
Alcuni progressi sono stati compiuti, ma sono troppo pochi. La maggior parte dei conflitti
civili si producono in paesi che sono troppo lontani dal Nord industrializzato e cè
troppo poco interesse strategico da parte delle nazioni più potenti. Una eccezione è
rappresentata dai conflitti nei Balcani, troppo vicini allEuropa per essere
ignorati. Di solito, quando abbiamo assistito allesplosione degli ultimi conflitti
civili in qualche paese remoto, cè stata allinizio una massiccia
mobilitazione dellassistenza umanitaria per qualche mese, forse un anno o due, ma
poi, man mano che lattualità viene meno, il mondo perde interesse, oppure cè
una nuova crisi che distoglie lattenzione dalla precedente.
Fino a poco tempo fa anche lAfghanistan si sarebbe potuto ricondurre in questa
categoria: un paese disastrato, intrappolato da decenni in un conflitto civile,
trascurato, considerato con una certa dose di sufficienza da parte del resto del mondo. Il
contrabbando di droga, un fruttuoso commercio in piccole armi, la criminalità erano, e
sono tuttora, le basi economiche del conflitto. Per anni i programmi internazionali di
assistenza per lAfghanistan sono stati sottofinanziati. Certo, veniva fornita
unassistenza internazionale, ma il suo livello era troppo basso perché potesse
avere un impatto concreto e duraturo.
Fino a prima dell11 settembre del 2001, la comunità internazionale aveva perso gran
parte del suo interesse nei confronti dellAfghanistan. Se almeno vogliamo dire, un
effetto costruttivo degli orribili eventi dell11 settembre è stato proprio quello
di spostare lattenzione internazionale sullAfghanistan, e capire che
laver trascurato questo Stato ha consentito che divenisse un terreno fertile per il
terrore e linsicurezza con tutte le sue ramificazioni internazionali.
Come era lAfghanistan per i bambini prima dell11 settembre 2001? Il paese è
stato in guerra per più di due decenni. Oggi, vi sono meno afghani nel paese che possano
ricordare il loro paese in pace, di quanti non siano i giovani afghani che non hanno mai
conosciuto altro che la guerra.
Lo stesso tessuto sociale afghano è stato distrutto ed esso registra indicatori sociali
tra i peggiori al mondo. Già nel 99, lUNICEF calcolava un tasso di mortalità
infantile del 250 per mille, cioè un bambino su 4 nato oggi in Afghanistan non arriva al
suo quinto compleanno. Lanemia per mancanza di ferro colpisce i due terzi dei
bambini afghani, molti sono cronicamente malnutriti, hanno grossi ritardi nella crescita.
Questo problema contribuisce anche a elevati livelli di mortalità materna soprattutto fra
le ragazze adolescenti, tenendo conto che metà di esse vengono maritate prima di
raggiungere i 18 anni. Con uno dei tassi più alti di mortalità materna al mondo, ogni
mezzora una donna - spesso poco più di una ragazza muore in Afghanistan,
cinquanta al giorno, giorno dopo giorno, per cause connesse appunto alle gravidanze, alla
mancanza di cure mediche appropriate, a cause indirette come malnutrizione, anemia e
malaria.
Più direttamente connessi con il lungo conflitto si calcola che ben più di 400 mila
afghani siano stati uccisi o feriti dalle mine anti-uomo: dieci, dodici vittime ogni
giorno per anni. La metà muoiono per mancanza di strutture mediche nelle fasi iniziali
delle loro ferite. Un terzo di tutte le vittime sono giovani al di sotto dei 18 anni,
giovani pastori o contadini.
La sicurezza alimentare inoltre è stata severamente pregiudicata dal conflitto stesso e
da molti anni di siccità, soprattutto al nord del paese, in cui ci sono milioni di
persone esposte alla minaccia della carestia.
Per quanto riguarda la protezione dei bambini afghani, negli ultimi dieci anni sicuramente
questa non è stata una delle priorità dei leader al potere; né lo era stato, del resto,
in precedenti periodi. Non vi è stata una costituzione o un governo funzionante a livello
nazionale. Il paese è stato abbandonato allapplicazione locale di varie
interpretazioni della legge islamica o ai codici di giustizia tradizionali. Cera,
ampiamente accettata, una discriminazione contro
le donne e le ragazze, ma negli ultimi dieci anni
sono state introdotte sistematicamente altre restrizioni sancite istituzionalmente. Negli
ultimi cinque anni lUNICEF ed altri hanno cercato di condurre una battaglia per
permettere alle ragazze di andare a scuola, in scuole che peraltro di solito sono nascoste
nelle case, o sono gestite discretamente da organizzazioni non governative afghane, o per
contribuire a far sì che le donne potessero avere accesso a qualche forma di assistenza
sanitaria.
Mi sono dilungato nel descrivere come fosse la situazione prima della crisi esplosa
l11 settembre e della lotta contro il terrorismo che è iniziata il 7 ottobre in
Afghanistan, perché volevo sottolineare la natura cronica della crisi in Afghanistan, e
anche sottolineare che una guerra di breve durata e programmi di assistenza umanitaria a
breve termine non sono la sola risposta ai problemi dei bambini afghani, tanto meno alla
crisi che il mondo affronta oggi. Gli investimenti a lungo termine nella pace e nella
sicurezza in Afghanistan, nello sviluppo di istituzioni politiche, giudiziarie, economiche
e sociali stabili sia a livello nazionale che locale, sono lunico modo in cui la
speranza per lAfghanistan, per i suoi bambini e, quindi, per tutto il mondo potrà
essere ripristinata.
Se teniamo conto del clima politico e sociale così incerto in Pakistan, soprattutto nelle
due province vicine allAfghanistan, se pensiamo alla instabilità e alla povertà
nel Tagikistan, o se pensiamo alla siccità che devasta non soltanto lAfghanistan,
ma anche i suoi vicini al Nord, ci rendiamo conto che questa crisi in Asia centrale non
riguarda certo solo lAfghanistan. Le condizioni che hanno consentito il prosperare
dellanarchia e del terrorismo in Afghanistan potrebbero benissimo svilupparsi
altrove nella regione, a meno che anche questi paesi non siano sostenuti, in modo
adeguato, per superare i problemi politici, economici e sociali che oggi si trovano ad
affrontare.
In un paese in cui soltanto il 5 per cento delle ragazze sanno leggere e scrivere e
dei maschi solo un quarto sono alfabetizzati lUNICEF ritiene che una delle
cause profonde della crisi che ora avviluppa lAfghanistan ed i suoi vicini sia la
povertà coniugata con la mancanza di un buon sistema scolastico di base.
Unintera generazione di bambini è cresciuta senza avere lopportunità di
imparare e di giocare in un ambiente sicuro, imparare a pensare con la propria testa, a
fare domande, a tollerare e apprezzare anche quelli che si comportano o credono in modo
diverso. I poveri bambini non hanno avuto scelta, sono stati esposti agli estremismi, sono
stati manipolati fisicamente e mentalmente, hanno abbandonato le loro case per lottare. La
maggior parte dei genitori afghani vogliono una buona istruzione per i loro figli, e
questo sarà uno degli investimenti più importanti per il futuro; listruzione
dovrà essere una delle priorità nella ricostruzione dellAfghanistan.
Prima di concludere il mio intervento ritornerò sulla crisi umanitaria immediata che
colpisce lAfghanistan e i suoi bambini. Anche prima dell11 settembre le
Nazioni Unite hanno calcolato che da 5 milioni e mezzo a 6 milioni di afghani erano
esposti ad un alto rischio per fame, per siccità, per malattie, per la perdita del
bestiame, perché stava per avvicinarsi linverno. I profughi erano già più di un
milione; il conflitto che è iniziato il 7 ottobre ha aggiunto altre decine di migliaia a
queste persone già a rischio, a causa degli spostamenti o dellisolamento. Quindi
secondo lUNICEF oltre al già elevato tasso di mortalità infantile altre decine di
migliaia di bambini potrebbero morire nei prossimi 6 mesi se noi e i nostri partners non
riusciremo a raggiungere questi bambini e le loro famiglie e fornir loro alimenti,
coperte, vestiti, medicine.
Prima dell11 settembre lUNICEF aveva già messo a punto dei piani per
accelerare il programma di assistenza invernale per i bambini e le donne in Afghanistan;
dopo l11 settembre, nonostante le rigide restrizioni alla sicurezza, i nostri
programmi sono continuati in Afghanistan, anche se a un ritmo più ridotto. Abbiano sempre
creduto che i bambini più esposti siano quelli che restano in Afghanistan. I pochi
bambini che diventano profughi nei paesi vicini sono i più fortunati, perché più
probabilmente potranno ricevere lassistenza internazionale, mentre i bambini
profughi in Afghanistan sono quelli che corrono i rischi maggiori.
Dopo l11 settembre, abbiamo mobilitato ulteriore personale internazionale nella
regione, abbiamo creato basi logistiche e magazzini in paesi vicini allAfghanistan,
dai quali possono partire questi rifornimenti. Dal 29 settembre è iniziato un ponte aereo
che ha già compiuto 22 voli per la consegna di materiale umanitario; sempre dal 29
settembre abbiamo mandato in Afghanistan più di 45 convogli di camion da paesi vicini in
località sparse allinterno dellAfghanistan, dove il personale UNICEF e altri
partner non governativi distribuiscono gli aiuti nelle varie comunità locali.
Con lOrganizzazione mondiale della sanità abbiamo aiutato le autorità locali a
mobilitare migliaia di afghani per organizzare due giornate nazionali di vaccinazione, una
a fine settembre e una allinizio di novembre, come parte della campagna globale per
sradicare la poliomielite, di cui purtroppo lAfghanistan è uno dei pochi bacini
ancora esistenti nel mondo. Anche in questi giorni di crisi e di conflitto, calcoliamo di
aver vaccinato più di cinque milioni di bambini oltre i cinque anni durante queste due
campagne, distribuendo a ciascuno una dose di gocce di vitamina A, che aumenta la
resistenza alle malattie.
Nostra priorità assoluta allinterno dellAfghanistan per i prossimi mesi
invernali è quella di assicurare la sopravvivenza dei bambini allinverno, il che
significa offrire riparo, coperte, vestiario, cibo, alimenti terapeutici per i bambini
denutriti, le medicine più urgenti e forniture mediche. La nostra sfida è di raggiungere
questi bambini prima dellinverno. Abbiamo lavorato con partner locali e
internazionali per identificare nel modo più preciso dove si trovano questi gruppi più
vulnerabili, dal momento che dopo il 7 ottobre ci sono stati movimenti della popolazione
ancor più rilevanti. Da un punto di vista logistico, nel nord del paese, negli ultimi
giorni, le operazioni umanitarie sono divenute più facili, perché abbiamo meno problemi
di sicurezza, mentre al sud, dove ancora ci sono i combattimenti e dove cè ancora
il controllo dei talebani, la situazione è molto più tesa, cè molta insicurezza.
I corridoi sicuri per i convogli e la distribuzione dellassistenza umanitaria devono
essere negoziati quotidianamente con le truppe armate che si trovano sul terreno.
Per concludere vorrei sottolineare che se anche la sopravvivenza è la nostra prima
priorità, essa non è la sola. Nelle ultime settimane, i colleghi ed io stesso ci siamo
incontrati con afghani dellAfghanistan, del Pakistan e di altri paesi anche più
lontani per elaborare insieme il modo per costruire meglio le nostre attività di
sopravvivenza: per guardare oltre, al futuro, alla salute psicologica di quei bambini
esposti a così tanta violenza, alla smobilitazione dei bambini soldato (reclutati da
entrambe le parti), a come possiamo ripristinare listruzione, lassistenza
sanitaria, i servizi di protezione dellinfanzia. Gli afghani vogliono che questo si
realizzi, vogliono anche essere coinvolti. Cè già una attenzione della comunità
internazionale che si sta volgendo a questi argomenti: ricostruzione e ripresa. Mi auguro
che anche lItalia sarà tra i nostri partner in entrambi questi tipi di attività:
assicurare la sopravvivenza immediata dei bambini in Afghanistan, ma anche guardare al
ritorno della speranza per il futuro con investimenti nellistruzione,
nellassistenza sanitaria, nel benessere, nella protezione dei bambini in
Afghanistan.
Signore e signori, soprattutto bambini, ragazzi, ho parlato forse troppo a lungo, e vi
ringrazio della vostra pazienza. Ringrazio di nuovo dal profondo del cuore per il sostegno
che lItalia ha dato allUnicef in Afghanistan ed in molti altri programmi nel
mondo. Siamo intenzionati a dimostrarvi, nel prossimo futuro, che la vostra fiducia
nellUnicef in Afghanistan è ben riposta.
Una scelta molto chiara è di fronte a tutti noi. Possiamo trascurare i bambini del mondo,
possiamo mettere a rischio le loro vite, mettendo così a rischio anche le nostre stesse
vite; ma possiamo invece investire nei bambini, nel loro diritto a giocare, crescere,
imparare ad essere amati: nel far ciò noi investiremo nel nostro futuro comune.