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UMBRIA

Perugia
Istituto tecnico F. «Giordano Bruno»

proposta d'iniziativa dei ragazzi


Ilaria Baglioni, Elena Bartolucci, Daniela Chiappini, Francesco Rustici, Jessi Sisti:

«Legge quadro per uno sviluppo sostenibile» (98)

RELAZIONE


Le principali problematiche ambientali connesse con lo sviluppo economico sono quelle riguardanti il delicato rapporto di interrelazione esistente tra i sistemi socioeconomici e gli ecosistemi naturali e antropizzati.
Gli ecosistemi si possono considerare come sintesi di due variabili:
la prima, «naturale» (l'habitat, gli elementi fisico-chimici dell'ambiente in questione, gli organismi viventi che lo popolano);
la seconda, «antropica» (strutture che compongono i sistemi socioeconomici).

Gli ecosistemi, sono dei sistemi dinamici mutabili, costituiti da organismi viventi e da fattori fisici in continuo divenire, con fasi di equilibrio che si succedono a periodi in cui prevalgono i disequilibri.
Nella pianificazione delle attività produttive secondo i criteri di sviluppo sostenibile si dovrebbe quindi cercare di armonizzare i sistemi socioeconomici, con i singoli ecosistemi locali. Si tratta di concepire l'ambiente come un soggetto dinamico vivente.
Le vie che si devono percorrere per poter raggiungere quest'obiettivo sono due:
la prima consiste nell'intervento sui meccanismi tecnologici e produttivi affinché il modo di creare nuova ricchezza risulti compatibile con il benessere sociosanitario delle popolazioni e con la qualità degli ambienti di vita;
la seconda riguarda, la geografia economica ed in particolare la pianificazione dello sfruttamento delle risorse, perché concerne le modalità di insediamento delle unità produttive ed ogni altra struttura sul territorio. A tal riguardo la localizzazione delle attività produttive, non può essere intesa come mera scelta di

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convenienza economica, misurabile con il solo metro dei costi monetari, ma dovrebbe obbedire ad una logica culturale lungimerante, che tenga conto di variabili come la qualità della vita e dell'ambiente.

Tali esigenze di sviluppo socioeconomico hanno portato all'individuazione di un potenziale obiettivo di equilibrio, tra attività umane e ambiente, rappresentato nel termine sostenibile (sviluppo che soddisfi in modo equo le necessità di tutte le popolazioni, senza compromettere la possibilità di soddisfare in pari modo anche le generazioni successive).
Attualmente viene stimato che le risorse naturali siano utilizzate in modo non sostenibile, pertanto per ridurre il loro successivo sfruttamento e l'impegno della capacità recettiva degli ecosistemi è necessario:
1) usare nuovi processi e tecnologie (nell'industria, nell'agricoltura e nei servizi);
2) sviluppare una responsabilità individuale;
3) riconvertire i sistemi tecnologici e gestionali in rapporto alla limitatezza ed esauribilità delle risorse naturali.

In questo nuovo scenario di strategie di tutela ambientale e di sviluppo economico, il rapporto ambiente-industria viene ridefinito sulla base di quattro punti fondamentali:
1) migliorare la gestione delle risorse, al fine di ridurne il prelievo e la dispersione;
2) migliorare la competitività delle imprese adottando nuove strategie produttive basate anche sul miglioramento continuo delle loro prestazioni ambientali;
3) aumentare l'informazione per rendere le scelte dei consumatori indirizzate ad una maggiore consapevolezza delle problematiche ambientali connesse con la produzione di beni e servizi;
4) accrescere la fiducia del pubblico nei confronti di quelle attività produttive che rendono trasparenti i processi tecnologici attuati con il rispetto dalla normativa ambientale.

La messa in atto di queste componenti ha per ora carattere quasi esclusivamente volontario (sistemi di gestione ambientale, audit ambientale, certificazione ISO 14.000, etichetta ecologica europea, accordi di programma, eccetera).
A tal riguardo, in questo ambito operativo, uno strumento essenziale per la realizzazione degli obiettivi citati può essere rappresentato dalla presente proposta di legge che può costituire uno strumento di programmazione di politica ambientale e di sviluppo economico per le amministrazioni locali ed un momento iniziale di verifica della volontà delle imprese di affrontare le problematiche ambientali sia a livello interno (modifica dei cicli produttivi e dei sistemi organizzativi aziendali) che esterno a livello di rapporto con la società e l'ambiente.
L'articolo 1 definisce gli obiettivi dello sviluppo sostenibile individuando le linee di una politica di sviluppo economico.
L'articolo 2 individua nelle regioni i soggetti che devono attuare gli interventi per perseguire uno sviluppo sostenibile e l'integrazione delle politiche ambientali.
L'articolo 3 attribuisce alle regioni la competenza alla emanazione di piani generali e settoriali per uno sviluppo sostenibile al fine di favorire la crescita economica ed il progresso delle popolazioni compatibilmente con la limitazione dello sfruttamento delle risorse.
L'articolo 4 prevede gli obblighi a cui devono sottostare le imprese nello svolgimento delle attività produttive settoriali al fine di rendere sostenibile le attività imprenditoriali, riducendo l'utilizzo delle risorse naturali ed adottando nuove strategie sempre più rispettose degli equilibri ambientali.
L'articolo 5 delega il Governo ad emanare il regolamento di attuazione.

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ARTICOLATO

Art. 1.
(Definizione ed obiettivo dello sviluppo sostenibile).


1. Obiettivo dello sviluppo sostenibile è quello di ricercare un miglioramento della qualità della vita rimanendo nei limiti della ricettività ambientale. Uno sviluppo sostenibile deve creare nuova ricchezza compatibilmente con il benessere sociosanitario delle popolazioni e con la qualità degli ambienti di vita. Conseguentemente non deve bloccare la crescita economica ma sollecitare le attività produttive compatibili con gli usi futuri delle risorse.

Art. 2.
(Interventi pubblici).

1. Per raggiungere lo sviluppo sostenibile le regioni devono:
a) perseguire l'integrazione delle politiche ambientali a tutti i livelli operativi per garantire coerenza negli ambiti settoriali di intervento;
b) creare un sistema di pianificazione di controllo e gestione per sostenere tale integrazione;
c) istituire nell'ambito degli assessorati regionali all'ambiente appositi uffici per lo sviluppo sostenibile e l'integrazione delle politiche ambientali che garantiscano una più ampia partecipazione pubblica dei soggetti coinvolti nelle iniziative di sviluppo economico ed una maggiore trasparenza nei procedimenti autorizzativi.

Art. 3.
(Piani di sviluppo regionali).

1. Le regioni entro un anno dall'entrata in vigore del regolamento di attuazione della presente legge devono emanare piani generali e settoriali per uno sviluppo sostenibile al fine di favorire la crescita economica e l'occupazione compatibilmente con lo sfruttamento delle risorse presenti nel territorio.
2. Tali piani devono scaturire dal coinvolgimento di tutti i soggetti che interferiscono con gli equilibri ambientali quali:
a) assessorati regionali responsabili delle politiche settoriali;
b) province;

c) comuni;
d) comunità montane;
e) C.C.I.A.A.;
f) associazioni di categoria;
g) gruppi di opinione (comitati di salvaguardia ambientale, associazioni ambientaliste riconosciute dal Ministero dell'ambiente);
h) mezzi di informazione.

Art. 4.
(Obbligazioni a cui sono sottoposte le imprese).

1. Le imprese per perseguire l'obiettivo previsto dall'articolo 1 hanno l'obbligo di intervenire sui cicli tecnologici e produttivi riconvertendo adeguatamente gli impianti e sulla riqualificazione professionale dei lavoratori addetti, riducendo l'utilizzo delle risorse naturali e nuove strategie rispettose della capacità ricettiva degli ecosistemi.
2. Gli interventi di riconversione tecnologica dovranno essere attuati in conformità alle normative comunitarie, nazionali e regionali in campo ambientale, coerentemente con le linee di programmazione regionale adottate dagli strumenti di pianificazione generale e settoriale.

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Art. 5.
(Provvedimenti di attuazione).

1. Il Governo è delegato ad emanare entro sei mesi dall'entrata in vigore della presente legge un regolamento di attuazione con le modalità previste dall'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400.

Terni
Istituto tecnico commerciale «F. Cesi»

proposta d'iniziativa dei ragazzi


Riccardo Battisti, Valeria Birri, Maria Rita Manni, Valeria Matteucci, Cristina Rogato:

«Nuove disposizioni in materia di protezione di coloro che collaborano con la giustizia (legge n. 82 del 1991)» (99)

RELAZIONE


La seguente proposta legislativa attiene ad un tema di notevole rilevanza giuridica e sociale quale la normativa sui collaboratori della giustizia contenuta nella legge n. 82 del 1991.
Senza dubbio la legge citata ha rappresentato un salto di civiltà giuridica ed al tempo stesso si è rivelata utilissima nella lotta contro la mafia, ma ormai da qualche tempo, ha sollevato particolari tensioni sia a livello processuale che presso l'opinione pubblica. Al riguardo, si avanzano alcune possibili modifiche degli articoli 11 e 12 della legge n. 82 del 1991, ritenute opportune per far cessare quei privilegi che tante polemiche hanno scatenato.
Preliminarmente si osserva che, per rendere più efficace ed efficiente la gestione dei collaboratori si ritiene indispensabile rendere concretamente operativa la disposizione di cui all'articolo 10 della citata legge al fine di attribuire il potere decisionale per l'ammissione al programma di protezione, esclusivamente agli organi amministrativi quali la speciale commissione centrale, il ministro dell'interno, quello di grazia e giustizia ed il comitato nazionale dell'ordine e della sicurezza pubblica. Ciò eviterà l'effettiva gestione dei collaboratori da parte dei pubblici ministeri e permetterà alla commissione di esaminare lo speciale programma di protezione tempestivamente e non dopo alcuni mesi, quando la situazione risulta ormai consolidata.
Inoltre, le misure di protezione accordate ai collaboratori non dovranno essere più discrezionali, ma dovranno essere sottoposte ad una revisione in relazione non soltanto al permanere della gravità del pericolo, ma anche al rispetto degli impegni assunti dello stesso collaboratore ed alla eventuale, ulteriore commissione di reati (articolo 11). Inoltre, per evitare «contrattazioni» tra le rivelazioni e le modifiche al trattamento di protezione, il collaboratore dovrà, dal momento in cui decide di collaborare, avere un tempo massimo per rendere le proprie dichiarazioni, ciò eviterà la concessione al collaboratore di tutti i vantaggi dell'accordo prima che egli abbia assolto al suo obbligo di testimoniare.
Si ritiene opportuno inserire all'articolo 12 vigente una ulteriore misura di protezione, tutela ed assistenza. Infatti, i beni di proprietà dei collaboratori dovranno essere tempestivamente consegnati all'erario al fine di utilizzarli per l'autoalimentazione del servizio di protezione e destinarli, altresì, al risarcimento delle vittime della criminalità. La protezione ed il mantenimento dei collaboratori non dovranno essere più a tempo indeterminato ma per un periodo sufficiente a favorire il loro reinserimento sociale e necessario per renderli capaci di "contare" soltanto sulle proprie forze.
È auspicabile che queste due modifiche integrative alla legge n. 82 del 1991 potranno rideterminare un consenso sociale intorno alla magistratura, alla sua credibilità ed alla legittimazione dell'attività giudiziaria.

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ARTICOLATO

Art. 1.


1. Lo speciale programma dl protezione oltre ad assicurare l'incolumità e l'assistenza a favore delle persone esposte a grave ed attuale pericolo per effetto della loro collaborazione, è volto anche a favorire il loro reinserimento sociale entro un lasso di tempo ragionevolmente breve.
2. Tale programma sarà revocato con decreto del ministro dell'interno, di concerto con il ministro di grazia e giustizia, dalla speciale commissione di cui all'articolo 10 quando la situazione economico-sociale del collaboratore risulti tale da non esporre più a pericolo per la sua incolumità e tale da non rendere più indispensabile l'adozione di misure di assistenza.
3. Il programma di protezione sarà revocato, altresì, se la persona che ha scelto di collaborare non manterrà gli impegni assunti o commetterà altri reati.

Art. 2.

1. All'atto della sottoscrizione del programma le persone nei cui confronti sia stata avanzata proposta di ammissione allo speciale programma dl protezione dovranno consegnare all'erario i beni di proprietà personale, affinché siano destinati al risarcimento delle vittime ed alla loro protezione. Inoltre, al momento della sottoscrizione, verranno fissati i tempi massimi per la raccolta delle dichiarazioni, tempi che potranno variare in relazione alla tipologia dei reati per cui si procede.
2. Ai soggetti vittime dei reati i cui all'articolo 416-bis è elargita una somma di danaro derivante dalla vendita dei beni personali del collaboratore a titolo di contributo al ristoro dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti. L'elargizione è concessa, nell'ordine, ai soggetti di seguito elencati:
a) coniuge e figli;
b) genitori;
c) fratelli e sorelle;
d) convivente more uxorio e soggetti conviventi a carico della persona deceduta nei tre anni precedenti l'evento.

3. L'elargizione è concessa con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta della commissione di cui all'articolo 10.