8 maggio 1998


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(La qualità della decisione e il confronto tra maggioranza ed opposizione)

SILVANO LABRIOLA, Relatore. Desidero innanzitutto fare alcune considerazioni generali sul principio di rappresentanza.
Non sono poche, né di lieve momento, le difficoltà che si manifestano all'atto di impostare l'analisi di temi generali, come quelli che si pongono al centro delle riflessioni sul rapporto tra maggioranza ed opposizione per il procedimento e per la qualità delle decisioni della rappresentanza politica. Separare il sostanziale dall'accidentale, prevenire sul piano diacronico le insidie ricorrenti dell'errore di prospettiva storica, cogliere i dati comuni e salienti di istituti e valori che provengono dalle esperienze generali di ordinamenti affini al nostro e al tempo stesso segnare in evidenza i caratteri specifici che distinguono il sistema repubblicano italiano, sono solo alcune manifestazioni indicative di queste difficoltà.
Di esse bisogna peraltro tenere conto, non ignorarle, perché il ragionamento che sarà sviluppato non si riduca ad un esercizio logico di superficie, incapace di individuare e trattare le relazioni tra le regole formali ed il quadro della società, che sole misurano la effettiva consistenza delle istituzioni giuridiche.
Poiché d'altra parte non ci si accinge ad un discorso teorico sul metodo, sarà sufficiente premettere all'analisi che si propone i riferimenti presupposti di essa, a cominciare dalla affermazione della centralità del principio della rappresentanza politica nel regime costituzionale delle grandi democrazie moderne e contemporanee, tra le quali si colloca il regime italiano del 1948.
L'affermazione non è revocabile in dubbio, né con riguardo alle vicende specifiche del principio, e specialmente a quelle che ne hanno generato la crisi attuale, né in rapporto al succedersi nel tempo delle forme positive in cui si è posto nell'ordinamento.
Il declino della rappresentanza è sempre anche declino della democrazia, perché in nessun momento avanzano realtà sostitutive o supplenze che non rechino con sé, contemporaneamente alla sua compressione, come effetto immediato tale declino.
Vi è un'altra premessa che va presupposta, e tocca la questione del fondamento del principio di rappresentanza: la necessaria utilizzazione, perché se ne penetri l'essenza, della nozione di Costituzione in senso materiale. Visto da questa angolatura, il caso italiano rivela, con solare

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chiarezza, una profonda differenziazione tra l'esperienza statutaria e l'esperienza repubblicana di tale principio.
L'una esperienza fa risalire la rappresentanza alla Costituzione materiale a struttura elitaria, tipica di quello che si è definito lo Stato monoclasse; l'altra esperienza collega il principio rappresentativo alla sovranità popolare, ed al dato dello «Stato pluriclasse». Il regime costituzionale della rappresentanza tracciato dall'ordinamento del 1948 si distacca radicalmente perciò, in assoluta soluzione di continuità, da quello statutario, che si svolge dalla unificazione fino alla rottura del 1922, che liquida il sistema rappresentativo.
Di questa diversità bisogna tenere conto in modo compiuto e puntuale. L'affermazione del principio, nondimeno, non è meno consapevole e teoricamente radicata con l'avvento dello statuto, di quel che sia con la proclamazione della Carta del 1948.
Si può e si deve parlare di Stato rappresentativo fin dall'inizio, come è chiaro se si considera la rottura che il documento albertino opera degli schemi preesistenti, quanto alla legittimazione ed alla regolazione del potere politico (fine dell'assolutismo, fondamento rappresentativo delle decisioni generali, supremazia della legge), e la sostituzione con quelli che sono gli schemi tipici delle forme democratiche, e se si tiene conto del fatto che ad ogni cittadino è riconosciuta, in astratto, la idoneità ad accedere all'esercizio dei diritti politici, e in primo luogo dell'elettorato attivo (anche se in concreto l'applicazione della norma che tale riconoscimento contiene ne riduce fortemente l'incidenza, e il diritto di voto resta ristretto ad una limitata minoranza).
La diversità tra le due esperienze storiche della rappresentanza in Italia si colloca soprattutto sul versante della forma di governo. Su questo piano, il raffronto si rivela fecondo di risultati significativi, e permette di comprendere fino in fondo sia le posizioni assunte nel tempo dal principio rappresentativo nel sistema costituzionale, sia la stessa evoluzione della forma di governo.
Infine, sembra opportuno annotare una ulteriore premessa, che è relativa al binomio democrazia diretta-democrazia rappresentativa. Nel regime statutario, come si sa, non vi è traccia di democrazia diretta: in quello repubblicano se ne opera la prima introduzione nella storia unitaria, e ciò fin dalla sua stessa instaurazione e legittimazione (referendum istituzionale).
Riguardo a tale binomio, possono condursi riflessioni su di un numero elevatissimo di spunti generali. E si deve constatare come, tra le varie analisi, si fa strada un giudizio di valore, rivolto ad assegnare alla democrazia rappresentativa una sorta di impronta di imperfezione, quasi un vizio originario, perfetta essendo, nello spirito della sovranità popolare, solo la democrazia diretta.
Pur liberata dalla genericità e dalla ambiguità dell'utopia di cui appare in superficie imbevuta, l'idea non solo è in sé inesatta, ma anche storicamente contraddetta dallo stesso svolgersi del regime repubblicano.
L'idea della superiorità in assoluto della democrazia diretta sulla democrazia rappresentativa è inesatta perché, se fosse accolta e sviluppata fino alle sue ultime conseguenze, priverebbe l'esercizio del potere politico dall'obbligo di assunzione di responsabilità; e inoltre perché, e qui l'esperienza segnata dalla realtà pratica delle istituzioni detta verità indubitabili, spingerebbe la regola maggioritaria oltre ogni limite compatibile con la convivenza in una società pluralistica e complessa, intaccando l'essenza stessa della democrazia.
Non è superfluo soffermarsi su questo punto, perché la considerazione di esso fa emergere in tutta la sua evidenza il valore fondante del processo della decisione politica, nella triplice direzione del consenso, della garanzia, e della qualità della decisione. Ciascuna di queste direttrici converge nell'oggetto dell'analisi che si propone in queste riflessioni.

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Desidero ora soffermarmi sul problema della rappresentanza nello svolgimento della democrazia repubblicana.
Nel sistema predisposto dal costituente repubblicano, il principio rappresentativo assume la posizione che è tipica di un regime democratico maturo: esso si coordina con la sovranità popolare, si qualifica come fonte di legittimazione dell'indirizzo secondo il modello della forma di governo parlamentare, ed integra il fondamento per la rivendicazione della competenza generale della legislazione ai suoi organi, le due Camere parlamentari.
Nel quadro dello Stato pluriclasse, il principio rappresentativo prende corpo sul riferimento alla struttura della Costituzione materiale della Repubblica. Ne consegue il rapporto diretto tra il principio ed il sistema dei partiti politici, destinato a conservarsi fino alla crisi e transizione degli anni '90.
L'intera vicenda repubblicana che si dispiega a partire dal 1948 è sufficientemente visibile nelle sue linee generali, e cosi nei tratti essenziali che ne caratterizzano le varie fasi, per i quali sono state formulate le definizioni correnti, dalla cosiddetta conventio ad excludendum alla consociazione, in rapporto al modo di porsi della forma di governo. E in relazione a ciò, e indipendentemente da più compiute e puntuali ricostruzioni storiografiche o dogmatiche, risultano largamente condivisi i relativi dati, tanto da permettere un primo riepilogo del significato di questa esperienza.
Il valore della dialettica tra le parti nell'esplicazione delle principali funzioni della rappresentanza, è posto espressamente dalle disposizioni costituzionali che, ben oltre la tradizione scarna e sommaria dello statuto, dettano regole di principio sul procedimento legislativo. Queste regole hanno dimostrato una forte capacità espansiva, comunicandosi ad ogni altro campo della decisione politica.
Il regime funzionale degli organi della rappresentanza vede esaltare la regola generale del procedimento per effetto di un'altra innovazione della Carta del 1948, il bicameralismo perfetto, la cui introduzione vale a distinguere il sistema italiano vigente sia riguardo ad ogni altro ordinamento contemporaneo, sia rispetto alla sua stessa tradizione.
In questo quadro si colloca un duplice nodo che rende difficile l'esordio della nuova Costituzione, fino ad esserne una virtuale, incombente clausola di crisi e di dissoluzione.
Si pongono in evidenza da un lato la frattura politica internazionale, tradotta all'interno della neonata Repubblica con la estromissione dal Governo delle sinistre nella primavera del 1947, resa permanente per la conventio ad excludendum, e da un altro lato la grande difficoltà di diffondere nel diritto vivente la dichiarazione di principio della sovranità popolare, e la conseguente partecipazione alla Costituzione materiale dello Stato dei gruppi sociali, che hanno un largo seguito popolare, e che ne sono stati costantemente esclusi fino alla instaurazione della Repubblica, sia dal regime statutario, sia da quello autoritario, in sostanziale continuità dell'uno rispetto all'altro.
Il regime costituzionale della rappresentanza, in una con i principi che vi si collegano a sistema su questo stesso piano, e primo fra tutti il principio della riserva di legge, fornisce un terreno favorevole alla prevenzione dei rischi di crisi della Repubblica, e può concorrere al lento e progressivo radicamento del modello dello Stato pluriclasse nella realtà istituzionale italiana, tuttora tenacemente ispirata ad altro modello, che si è sempre mantenuto a struttura elitaria.
Lungo tale linea deve essere collocata la versione cosiddetta consociativa della forma di governo parlamentare del caso italiano, tra il 1948 ed il 1992, se si vuole intenderne il significato di principio che ad essa spetta, il suo progressivo affermarsi nella realtà dell'ordinamento, ed i riflessi sul modo di atteggiarsi della stessa rappresentanza, delle regole che vi si riferiscono e degli atti che ne sono la estrinsecazione, e quindi la qualità delle decisioni.
Se si considerano i nodi menzionati, che si stringono all'inizio attorno all'esordio

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e allo sviluppo della democrazia repubblicana, e possono, se irrisolti, pregiudicarne gravemente le prospettive di rinnovamento della società, non solo i difetti ed i ritardi del funzionamento della rappresentanza devono proporzionarsi entro limiti ridotti, ma anche ci si può convincere del fatto che il giudizio sul regime consociativo deve tener conto del tempo e delle condizioni che lo hanno determinato nella storia costituzionale della Repubblica.
Trascorso il tempo, e risolte le condizioni, il regime consociativo si rende, a quel momento sì, antagonista rispetto alle nuove domande che urgono di fronte alla democrazia rappresentativa, e deve cedere il passo, altrimenti produrrebbe danni pari a quelli che la mancata applicazione di esso avrebbe con ogni probabilità prodotto dopo il 1948.
Mi soffermo ora sulle categorie degli atti e sulle funzioni del Parlamento: la decisione della rappresentanza; maggioranza e pluralismo; lo statuto dell'opposizione.
La forma consociativa determina direttamente il rapporto tra maggioranza ed opposizioni, e indirettamente incide sulla natura e sulla qualità delle decisioni politiche, sulle decisioni generali della rappresentanza.
Per il primo aspetto, si deve constatare come il cardine del governo parlamentare, costituito dalla relazione fiduciaria, non viene meno, in linea di principio, nell'intero primo periodo dell'ordinamento repubblicano, fino all'attuale transizione: ogni volta che si fissa la relazione fiduciaria, o se ne accerta la sussistenza, la regola maggioritaria non subisce alcuna alterazione formale.
A questo, che è un primo limite della consociazione, un altro si aggiunge, ed è costituito dalla inesistenza di uno statuto dell'opposizione, almeno nel senso comunemente accolto di tale nozione, perché nessuna delle regole, che in altri ordinamenti ne compongono la disciplina di base, viene mai posta.
Tra questi limiti spazia dunque il principio consociativo, che essenzialmente consiste in una regolazione scritta e convenzionale delle funzioni della rappresentanza tale da esigere l'intesa tra maggioranza ed opposizioni, quale clausola di efficacia per il rendimento minimo sufficiente della attivazione dei processi decisionali.
I dati sono molteplici, tanto che si può affermare la diffusione del principio ad ogni manifestazione dei poteri delle Camere parlamentari di un qualche rilievo generale. Dipende dall'intesa l'adozione del procedimento legislativo decentrato, quasi sempre condizione necessaria per il perfezionamento dell'iter; la fissazione del programma dei lavori, ed i tempi necessari per completarne le singole parti; la prevalenza del voto segreto nelle deliberazioni parlamentari; la promozione e l'esercizio dell'inchiesta (in assenza della figura dell'inchiesta di minoranza, poiché manca lo statuto dell'opposizione).
Ma non basta. Anche nei casi in cui appare dilatarsi il potere del governo e della maggioranza, in direzione opposta al principio consociativo, è quest'ultimo in effetti che dimostra una considerevole capacità di recupero, e trasforma la sconfitta apparente in vittoria effettiva.
Il caso tipico è quello dell'abuso della decretazione legislativa d'urgenza, per il quale, nel binomio indissolubile decreto legge-legge di conversione, la necessarietà dell'intesa si afferma con vigore pari, e forse superiore, a quello di tutti gli altri casi in cui si manifesta.
Il principio consociativo si estende progressivamente, acquisendo sempre nuovi spazi materiali, salvo il caso della politica estera, che gli rimane costantemente precluso, fino a quando l'intera fase non si sia conclusa. Tuttavia, è notevole che in questo campo, le relazioni tra governo, maggioranza ed opposizioni non restano ferme alla pregressa tradizione, ma risentono comunque di una significativa influenza innovativa apportata dall'ordinamento repubblicano.
Nella condotta della Repubblica relativa allo svolgimento delle relazioni internazionali, cade l'antico e mai intaccato privilegio dell'esecutivo, e gli atti di maggior

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rilievo in cui si manifestano le scelte dei governi e delle maggioranze sono posti sotto la luce dei riflettori del Parlamento, e così conosciuti dalla opinione pubblica in tempo utile rispetto al loro perfezionamento. Tale è il nuovo e diverso rapporto tra le parti politiche di governo e di opposizione nella materia, dalla adesione al Patto atlantico, ai più decisivi impegni europeistici, fino ai temi degli armamenti (da ultimo, caso dei missili Pershing).
Se questo è l'assetto dei rapporti tra maggioranza ed opposizione, la cui disciplina si fonda sui principi costituzionali della struttura del Parlamento e del regolarsi del procedimento decisionale delle Camere, nonché sull'attuazione che di quei principi recano gli ordinamenti parlamentari, si delinea una conforme determinazione della qualità delle decisioni.
Si possono raggruppare, sotto questo profilo, le decisioni della rappresentanza in determinate tipologie generali, alcune delle quali, come è opportuno sottolineare fin da ora, sono destinate a mantenere individualità e caratteristiche acquisite anche dopo il venir meno del principio consociativo.
Emerge in primo luogo il novero delle decisioni rese necessarie per attuare parti della Costituzione del 1948, la cui effettiva vigenza non è assicurata dalle sole norme costituzionali: sono ben noti i casi della giustizia costituzionale, degli istituti di democrazia diretta, dell'ordinamento regionale di diritto comune.
Per questa prima categoria di decisioni, il rapporto tra le parti politiche solo apparentemente si inquadra alla luce del principio consociativo. In realtà, prende corpo un diverso riferimento, che assume la consistenza di un vero e proprio principio di regime, destinato piuttosto a collegarsi con la disciplina della normazione costituzionale, non solo per l'attuazione di quella vigente ma anche per la sua revisione, invece che agli elementi della forma di governo.
In virtù di tale principio di regime, si esclude, in primo luogo, che il governo in quanto tale sia soggetto attivo del procedimento, né abbia parte nel merito delle decisioni. Il processo di attuazione della Costituzione è affidato essenzialmente ai soli soggetti della Costituzione materiale, e quindi ai partiti politici, a ciascuno essendo riconosciuta una posizione in astratto pariordinata, svincolata comunque dal rapporto con l'indirizzo, e quindi indifferente rispetto all'appartenenza alle maggioranze o alle opposizioni.
Al Governo si richiede di non ostacolare, né opporsi al processo di attuazione, e contenere la sua azione entro i confini dell'apporto di ausiliarietà tecnica.
Il dato non ha interesse solo storico, perché si comunica oltre il terreno del cosiddetto adempimento costituzionale, alla funzione di revisione, e se ne trovano conferme anche nell'attuale fase di riforma della Costituzione, nella quale continua ad essere condivisa quella che si configura alla stregua di una regola convenzionale.
Strettamente connessa a questa prima categoria di decisioni, è una seconda categoria, che viene individuata considerando le caratteristiche assunte dal rapporto tra Costituzione ed ordinamento, nella fase costituente e soprattutto in quella dell'esordio della Carta repubblicana.
Tra Costituzione ed ordinamento si stabilisce un rapporto di separatezza, almeno nel senso che la prima si giustappone al secondo, l'una e l'altro coesistendo, senza che l'ordinamento venga adeguato alla Costituzione. Si apre dunque un problema di diffuso contrasto tra i principi del nuovo ordine costituzionale e la sopravvivenza degli opposti principi di un sistema istituzionale, consolidati in un secolo di vita.
Tale contrasto non può essere che limitatamente risolto dall'intervento della Corte costituzionale (peraltro attivato a distanza di un intero decennio dalla entrata in vigore della Costituzione): la chiave per comporlo sta nella Costituzione materiale.
Spetta dunque al legislatore ridurre la separazione tra ordine costituzionale e sistema istituzionale. La linea di politica legislativa che si ispira a questo fine

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stenta ad affermarsi, e si evolve attraverso una pluralità di fasi, assumendo caratteristiche assai affini a quelle dell'attuazione costituzionale in senso stretto.
Tra gli operatori del progressivo adeguamento del sistema giuridico repubblicano allo spirito ed ai principi della nuova Carta prende posto anche il governo; ma, per quel che appare nel maggior numero di casi, soprattutto attraverso la iniziativa nel porre le singole questioni, mentre per la determinazione del merito della decisione politica e legislativa lo spartiacque tra esecutivo, maggioranza ed opposizioni si riduce notevolmente, e spesso le cosiddette leggi di riforma, se leggi di adeguamento a Costituzione, sono il frutto di una partecipazione delle parti politiche che ricorda da vicino il rapporto consociativo.
I dati sono numerosi e significativi, e si rinvengono in vari campi, dalla legislazione sociale, come le leggi sanitaria ed ospedaliera, al riconoscimento dei diritti del cittadino, come lo statuto dei lavoratori e la legge di principi della disciplina militare, dall'assetto istituzionale, come le leggi sul governo, sulle autonomie locali e sull'azione e la trasparenza dell'amministrazione, all'ordine pubblico, come la nuova disciplina della polizia di Stato.
Una terza categoria di decisioni che rientra nel rapporto di consociazione è quella che viceversa attiene in modo proprio e diretto all'attuazione dell'indirizzo politico. Per esse, la partecipazione dei gruppi esterni alla maggioranza è limitata generalmente a parti della decisione stessa, ma non si estende alla sua volizione, il consenso esprimendosi sull'an e sul quando della decisione.
Questa categoria comprende soprattutto la microlegislazione, sia assunta nella forma del procedimento legislativo decentrato, sia frutto delle numerosissime applicazioni del modulo del binomio decreto legge-legge di conversione, e talvolta anche dell'esercizio del potere di decretazione delegata, tanto che si rafforza la fase del cosiddetto parere parlamentare sul progetto di decreto legislativo.
Se poi si considera il significato che spetta al principio della riserva di legge dal punto di vista dell'atteggiarsi concreto della forma di governo, ed inoltre se si tiene conto della inesistenza di limiti alla legificazione, la quale può di fatto ampliarsi in ogni direzione in virtù della semplice manifestazione di volontà del legislatore, appare chiaro che in questa terza categoria di decisioni rientra almeno una parte dell'azione di governo, la quale prende la forma legislativa anche e proprio allo scopo di realizzare spazi ed opportunità per la partecipazione dei gruppi dell'opposizione.
Infine, in una quarta categoria di decisioni può rientrare l'insieme degli atti che risalgono a funzioni non legislative della rappresentanza: in particolare, le attività ispettiva e di indagine conoscitiva.
Come si è ricordato, l'ispezione di minoranza non è contemplata dall'ordinamento ma, salvo casi rimasti isolati, verificatisi nelle fasi precedenti l'età matura della Repubblica, il Parlamento non ha mai rifiutato la promozione dell'inchiesta, mentre l'indagine conoscitiva è stata sempre attivata su richiesta dei gruppi parlamentari, della maggioranza come dell'opposizione.
Ispezione, e in ogni caso indagine conoscitiva, non si pongono dunque sul piano del rapporto tra maggioranza ed opposizione, ma assumono la configurazione di attività della rappresentanza unitariamente intesa. Talvolta, addirittura, l'attività ispettiva prende di fatto la consistenza di carattere permanente di un osservatorio di controllo e di direttiva, come accade nell'ambito della materia dell'ordine pubblico.
La qualità delle decisioni, in questa parte dello svolgimento delle funzioni rappresentative, appare strettamente correlata e servente la fissazione del principio della circolazione delle notizie, in un sistema tradizionalmente ispirato all'opposto principio della riservatezza (che è altro privilegio dell'esecutivo che recede).
Vediamo ora i nuovi interessi e la regola della maggioranza: il tempo e la qualità della decisione.
Nel quadro che si è delineato, e che corrisponde allo svolgersi delle istituzioni

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repubblicane tra il 1948 ed il 1992, la qualità della decisione della rappresentanza risulta conseguente alle premesse che si sono individuate.
I vincoli essenziali ne costituiscono al tempo stesso le finalità generali: da un lato la stabilizzazione del sistema repubblicano, a compensazione del suo limite strutturale che ne fa una democrazia incompiuta, da un altro lato la progressiva penetrazione dei principi innovativi della Carta nell'ordinamento, rimasto inizialmente inalterato e retto sui precedenti principi.
Non si è trattato di obiettivi di agevole perseguimento: il che spiega le difficoltà, i costi ed il prolungarsi di questa intera prima fase.
È mancato nel caso italiano il dato che invece caratterizza le altre grandi democrazie occidentali ed europee, e ne ha assecondato fortemente lo sviluppo, ossia la pari legittimazione al governo delle singole parti politiche e sociali, che pure compongono la costituzione materiale della Repubblica.
Non solo, ma è altresì mancata, al momento della formazione del nuovo ordine costituzionale, la edificazione generale di un nuovo regime positivo dei poteri pubblici e delle funzioni, che invece segna l'avvento del nuovo Stato unitario, a cui viene data la Costituzione statutaria e, nello stesso contesto temporale, le leggi della unificazione amministrativa.
Se poi si considera che il principio della sovranità popolare esige, perché si affermi nel concreto e metta radici nella cultura civile della nazione, che la sua principale espressione, ossia la forma rappresentativa, si fondi sul libero consenso, e non sulla sola regola della maggioranza, il che costituisce l'essenza dello Stato pluriclasse, si può intendere quanta e quale sia stata la difficoltà che si è dovuto affrontare e superare a partire dalla entrata in vigore della Costituzione repubblicana. E si può comprendere, su queste stesse premesse, la ragione storica che ha determinato la versione della forma di governo parlamentare di tipo consociativo, nei suoi riflessi sul rapporto tra maggioranza ed opposizioni, tra Governo e Parlamento, e sulla qualità delle decisioni della rappresentanza.
In rapporto a tutto ciò si misurano altresì le caratteristiche assunte dal punto di vista tipologico degli atti.
Emerge in primo luogo la trasformazione strutturale dell'atto fonte legge, talmente profonda da essere spinta fino alla rottura della unitarietà della fonte normativa primaria. Accanto alle leggi che si modellano sullo schema della decisione generale e di principi, si annoverano leggi provvedimento, leggi assemblate, leggi regolamento.
Non solo, ma anche quando la legge conserva nell'apparenza lo schema tipologico proprio, in effetti manca della univocità necessaria, perché risente della giustapposizione di suggestioni ispiratrici divergenti, radunate nello stesso atto per garantire l'equilibrio tra le parti politiche. Questo comporta la oscurità della prescrizione, e fa indietreggiare il principio della riserva di legge, poiché apre varchi indeboliti all'operatore amministrativo, ed alla giurisprudenza, che sono costretti ad inoltrarvisi per procedere alla composizione degli interessi, di fatto mancata dal legislatore.
La legge, proprio per le premesse di cui si è detto, perde anche il carattere di disciplina durevole di un determinato oggetto, essendo il sensore continuo dei diversi equilibri via via raggiunti: ed alla precarietà dell'atto si aggiunge la proliferazione degli interventi del legislatore, in continua erosione del principio di codificazione, che alla fine tende ad estinguersi.
Quando l'atto di governo assume la forma della legge, dando vita al fenomeno infinito della microlegislazione, si dà un ulteriore colpo alla qualità della decisione della rappresentanza, alterando ancora una volta la struttura tipica della decisione, nelle sue caratteristiche essenziali (generalità, univocità, controlli e garanzie del procedimento).
Il terreno così conquistato in apparenza, è in realtà il frutto di un miraggio, come prova la dilatazione del ricorso al decreto-legge, che costringe, proprio per

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osservare la fedele applicazione del principio consociativo, le Camere parlamentari a vincolare la parte crescente dei propri processi decisionali alla legislazione di conversione dei decreti.
Posti in evidenza gli aspetti critici della qualità delle decisioni della rappresentanza, si deve tuttavia chiarire un punto essenziale nella ricostruzione dello svolgimento delle istituzioni parlamentari repubblicane.
Tale svolgimento non è debitore soltanto della tecnica consociativa, con le sue luci e con le sue ombre, ma segna anche l'apertura alle nuove domande che lentamente emergono nella comunità nazionale, e si presentano al sistema politico della democrazia repubblicana. Si tratta di prime e limitate aperture, che sono però molto significative, perché indicano la prospettiva del rinnovamento istituzionale della politica, e della stessa qualità della decisione in particolare.
Il Parlamento ha progressivamente acquisito la consapevolezza del fatto che l'atto legislativo, come del resto l'atto di indirizzo in genere, non può e non deve essere il frutto di un procedimento solo interno alle Camere parlamentari ed ai loro organi e strutture.
Vi è una parte del procedimento che deve svolgersi al di fuori, con l'accogliere e verificare sia la elaborazione delle premesse da parte dei gruppi sociali e dei soggetti esponenziali degli interessi organizzati, sia le principali interrelazioni destinate ad attivarsi in forza della decisione proposta.
L'acquisizione di questi dati si riflette su vari piani: l'apertura delle fasi del procedimento all'intervento dei soggetti esponenziali (hearings, indagini conoscitive preparatorie, lobbying informale); l'attrezzatura e l'organizzazione degli uffici parlamentari (servizi studi, osservatori, commissioni specializzate); osservatori e centri permanenti di analisi tecnica (Commissioni bicamerali di inchiesta sui fenomeni sociali in atto di specifico interesse, come la criminalità organizzata, uffici istituiti per il bilancio e la spesa pubblica, con l'«avvalimento» delle attività di referto e della interconnessione dei dati).
In questo, si può rilevare il fatto che, almeno per tali aspetti, la conclamata superiorità dell'esecutivo sul legislativo quanto alla raccolta ed all'analisi dei dati, ed alla mediazione degli interessi, appare infondata, e può avvenire che il rapporto effettivamente sussistente sia rovesciato rispetto all'opinione corrente: così sembra essere sicuramente per ciò che attiene i compiti della tecnica legislativa, considerato il livello inspiegabilmente insufficiente che spesso distingue l'attività degli uffici legislativi del Governo.
Il Parlamento ha fornito, in numerose occasioni, e per la trattazione di questioni di grande importanza politica e di spessore tecnico complesso, la prova del riscatto della iniziativa del procedimento e della decisione da quella che per lungo tempo, ed ininterrottamente nella esperienza unitaria prima dell'avvento della Repubblica, è stata di fatto la esclusiva dell'esecutivo. Si possono citare numerosi episodi, nei quali la decisione legislativa è il frutto dell'iniziativa parlamentare e non di quella governativa.
Il Parlamento infine ha riconosciuto, malgrado difficoltà e tenaci resistenze, il declino del primato assoluto della legge, soprattutto nel campo delle autonomie costituzionalmente prescritte: in particolare, nel campo delle relazioni industriali. Questo dato, radicalmente innovativo dell'intera tradizione rappresentativa, ha inciso per diversi profili, aprendo anche prospettive che introducono al futuro stesso della rappresentanza.
Non si è trattato di percorsi lineari, spesso oscillandosi tra tentativi di ritorno a quel primato assoluto, che non è più accolto dalla realtà sociale, prima ancora che espunto dal sistema costituzionale, e rinuncia alla identificazione di un ruolo diverso degli istituti rappresentativi, tale da ricostituire una forma compatibile con la realtà, che non può essere più la forma legislativa dell'intervento della rappresentanza.

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Ciò malgrado, e soprattutto per quanto attiene la qualità della decisione, molto più che nelle relazioni tra maggioranza ed opposizione, passi in avanti sono stati fatti, che sembrano indicare una rotta ulteriormente praticabile.
Si segnalano, da questo punto di vista, le decisioni regolate nella manovra annuale della finanza pubblica, che sono di natura non legislativa, entro le quali riesce a collocarsi correttamente il sistema delle relazioni industriali (specialmente nell'attuale versione della cosiddetta concertazione); il corpo dei provvedimenti sull'autonomia universitaria e la legislazione di principio sulle autonomie locali (statuti dell'università, statuti comunali e provinciali); l'ordinamento delle autorità indipendenti entro cui si riconosce lo speciale potere normativo e l'autogoverno di tali enti.
Mi soffermo ora su un altro aspetto: cause, processi e attuazione delle decisioni il limite della volontà generale.
Se questo è il quadro di riferimento della esperienza repubblicana fino alla transizione degli anni novanta, il problema che si pone per l'oggi e per il domani consiste nella ricerca di un nuovo rapporto tra maggioranza ed opposizioni, e di una nuova qualità della decisione, che si misuri con il cambiamento intervenuto, e se ne renda coerente in termini tali da assicurare la centralità della posizione della rappresentanza nel sistema dei pubblici poteri, nel regime della democrazia politica.
Questo è esattamente il nodo preliminare, e pregiudiziale, che bisogna sciogliere.
Le soluzioni del problema dell'adeguamento dell'uno e dell'altro dato, che, come si è visto, sono strettamente collegati, sono molteplici, numerose essendo le tecniche di efficienza e di formale coerenza interna. La varianza degli schemi però si riduce, fino a condurre a soluzioni univocamente ispirate, se si persegue l'obiettivo di rinnovare il primato della rappresentanza nel sistema politico e costituzionale.
Tale primato viene esposto a rischio, ed allo stesso modo, sia se si rinuncia ad ogni riforma, sia se si chiude la fase della transizione con una riforma purchessia. La convinzione dell'attualità del valore di questo stesso primato, ai fini della sussistenza di una veritiera democrazia politica è, come si è ricordato all'inizio, premessa presupposta di queste riflessioni.
Un primo punto di partenza per la ricerca dello schema di rinnovamento, nella continuità democratica (nel senso appena chiarito) del sistema, è costituito da una constatazione, e dalle conseguenze che ne devono trarre.
Al termine del primo cinquantennio della Repubblica, si può affermare con sufficiente certezza che i due problemi vitali del radicamento del modello costituzionale di Stato pluriclasse, e quindi della pari legittimazione di governo di tutti i soggetti della costituzione materiale, e della penetrazione nell'ordinamento della Repubblica dello spirito e dei principi della Carta del 1948, sono stati risolti.
Vengono perciò meno le cause e le ragioni della versione consociativa della forma di governo, e del conseguente assetto dei rapporti tra maggioranza ed opposizioni. Non solo, ma mentre i vantaggi della qualità della decisione, propria di questa versione, non sono più richiesti, e dunque sono resi vani, i difetti e le carenze restano i soli connotati effettivi.
Tanto più risalta questo squilibrio negativo, vera e propria antinomia strutturale di fondo della decisione, se si considera quanto diversi siano i compiti di mediazione e di guida spettanti alla rappresentanza in una società radicalmente mutata da quella del 1949, segnata come è da una crescita accentuata ed ineguale, resa complessa dalle interrelazioni con l'economia ed il mercato globali, mentre la sovranità nazionale viene progressivamente compressa, senza tuttavia estinguersi, dagli spazi crescenti dei poteri, sovrani di fatto, degli organi dell'Unione europea.
Questa società esige, nell'interesse della sua sopravvivenza e del suo sviluppo,

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processi, tempi, e qualità della decisione, che nulla hanno a che fare con le regole generali fin qui sopravvissute nello svolgimento delle istituzioni repubblicane. Sono le dimensioni dei valori e dei dati a comporre tale diversità, e non, per la verità, il cosiddetto tramonto delle ideologie, almeno nel senso comunemente attribuito a tale malsicura nozione, di eclisse di tutte le ideologie, in un mondo senza più alcuna ideologia, che non esiste, né potrebbe esistere, perché sarebbe un mondo senza vita.
Viene pertanto meno ogni presupposto per tenere in vita le tecniche consociative. I gruppi dell'opposizione hanno legittimità di governo pari a quelli della maggioranza: si dissolve interamente la conventio ad excludendum, superate essendo le sue ragioni, quale ne siano state la natura e la giustificazione.
Il nuovo procedimento per la decisione deve disporsi in tempi ragionevolmente commisurati all'oggetto ed all'indirizzo, rimessi alla definizione da parte delle assemblee, e i modi della decisione ispirarsi al principio della assunzione di responsabilità politica.
Più in generale, il regime della funzione parlamentare deve assumere su di sé i principi di un sistema rappresentativo che produce decisioni nei tempi e nelle forme richiesti dalla opportunità della mediazione degli interessi e dalla necessità di attuazione dell'indirizzo.
La formula è ancora, e necessariamente, generica. Se ne può tuttavia precisare inizialmente un aspetto, che è appunto quella della esclusione del duplice fine sotteso alla tecnica dell'intesa tra maggioranza ed opposizioni, o consociativa. Altri aspetti ancora vanno individuati.
Il superamento della preferenza per la intesa non si risolve in una sorta di reintegrazione della pura e semplice regola maggioritaria: al contrario, il fatto che tale superamento si produce mette a nudo le insufficienze e le antinomie della regola maggioritaria in sé considerata.
Il dato richiama, e giustifica, l'interesse acceso attorno al cosiddetto statuto dell'opposizione, che ne costituisce una delle più significative indicazioni di opportunità. La introduzione dello statuto dell'opposizione non si rende solo auspicabile al fine della qualificazione garantista del sistema, in quanto compensa l'effetto provocato dalla introduzione della legge elettorale maggioritaria, in un sistema rappresentativo stabilmente ordinato sulla premessa dell'opposto principio proporzionalistico.
In realtà, lo statuto dell'opposizione appare anche preordinato alla realizzazione di condizioni utili per un processo decisionale dialettico in modo effettivo, colmando cosi il vuoto apertosi per la dissoluzione della tecnica consociativa, delle sue ragioni, istituti, norme.
Ne consegne che il principio costituzionale che prescrive la procedimentalizzazione delle funzioni della rappresentanza conserva la sua attualità, pur nel rinnovato contesto. La attuazione del principio, abbandonata la versione finora accolta in conformità con il perseguimento della intesa tra maggioranza ed opposizioni, postula una diversa regolazione, che si riassume in formule del tipo indicato con la nozione di statuto dell'opposizione, e va tuttavia ulteriormente precisata.
La nuova fase della costituzione materiale della Repubblica non può essere intesa solo come evento che fa seguito alla pari legittimazione di governo di tutte le forze politiche, comprese quelle fin qui tacitamente escluse, nonché all'avvenuto radicamento nella società e nelle istituzioni dei principi del regime repubblicano del 1948. Vi è ancora molto di più.
I soggetti della costituzione materiale non sono più soltanto, o essenzialmente, i partiti politici tradizionalmente intesi. Né i partiti oggi rivendicano, d'altronde, la natura e gli interessi del tipo e della qualità da essi in origine pretesi. Emergono nuovi interessi collettivi in via di organizzazione, che spingono verso rappresentanze distinte e riconoscimenti separati dalla mediazione dei partiti politici.
Il dato investe sia la maggioranza, sia le opposizioni: la prima, per la parte che

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si riferisce direttamente ai compiti propri dell'azione di governo, le seconde per ciò che concerne il ruolo e gli atti di contrasto che svolgono. Gli interessi emergenti tendono a sottrarsi alla identificazione esclusiva nell'una o nell'altra sfera di azione.
Ciò rende più complesso il rapporto tra maggioranza ed opposizioni nel procedimento decisionale e, di riflesso, sposta la questione dello statuto dell'opposizione oltre i termini tradizionali della garanzia delle minoranze, come si è già osservato.
Si tratta di definire l'opposizione come soggetto costituzionale, attribuendo ad essa facoltà e poteri formali: ma anche, di orientare tale statuto nella direzione di un procedimento e di una qualità della decisione che non rientrano, in senso stretto, né nel patrimonio dell'opposizione, in quanto parte, né in quello della maggioranza, in quanto essa pure parte.
Vediamo ora il procedimento e le funzioni della rappresentanza.
Il nuovo regime del procedimento per le decisioni parlamentari comprende le regole che, in attuazione conforme ai principi costituzionali, garantiscono la partecipazione di tutte le parti politiche alla determinazione del programma di attività del Parlamento (pianificazione e fissazione dell'ordine del giorno), con il riconoscimento del potere di inserire temi da ciascuna proposti, nonché attribuiscono a ciascuna camera il compito di stabilire il tempo per la deliberazione finale della singola questione.
Di questo si rinviene un riscontro positivo già nella recente riforma parziale del regolamento della Camera dei deputati, promossa dal Presidente Violante, nonché uno schema complessivo nel progetto della bicamerale: il che ne attesta l'attualità, rivelandosi il sottostante principio maturo per l'inserimento nel sistema della rappresentanza.
Le parti politiche partecipano in posizione di parità alle fasi del procedimento, la istruttoria, la dibattimentale, la deliberativa, con garanzia di tempi riservati e delle facoltà di proposta.
Lo statuto dell'opposizione racchiude tali prescrizioni, assicurando in particolare a questa parte politica la partecipazione al procedimento in rapporto alle esigenze di visibilità e di competizione alternativa alla maggioranza di fronte al corpo elettorale.
Per questo profilo, l'oggetto della disciplina del rapporto tra le parti tocca gli aspetti essenziali della posizione della minoranza politica, e si coordina con il principio di alternanza. Fin qui, si riafferma il valore del pluralismo nella continuità della qualificazione democratica del regime costituzionale.
Nel procedimento peraltro viene preclusa ogni ipotesi di utilizzazione dei tempi e delle forme del procedimento da parte dell'opposizione, al fine di condizionarne il perfezionamento, per ottenere contropartite sul merito della decisione.
Questo dato apre una prospettiva non di continuità, ma di innovazione.
Tradizionalmente il ruolo dell'opposizione è ricostruito, in chiave di dialettica parlamentare, come rivolto alla presentazione di schemi alternativi a quelli della maggioranza, nell'intento di contendere al meglio il favore dell'opinione pubblica, e così preparare il rovesciamento elettorale della maggioranza e la sua sostituzione al governo. Questa è però una interpretazione insoddisfacente, e comunque solo parziale.
La disciplina del procedimento non è diretta solo ad assicurare un rilievo pubblico e formale alla proposta dell'opposizione, ma, nello scandire le varie fasi di esso, a consentire, nei tempi e nelle forme di ciascuna fase distintamente, la influenza del controllo sociale sul merito della decisione.
In questo ulteriore profilo, l'opposizione può far leva sugli interessi sociali organizzati per scoraggiare la decisione perseguita dalla maggioranza nelle fasi che ne precedono la deliberazione, o almeno condizionarne il merito.
Se l'opposizione non dispone più del tempo della decisione, fissato preventivamente dalle assemblee, ed è privata degli altri principali mezzi di interdizione, essa

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è come obbligata a ricercare altri sbocchi per svolgere la propria azione, che non può mirare solo alle future consultazioni, ma è necessariamente rivolta a conseguire risultati immediati, secondo la naturale regola di comportamento della politica.
A tale condotta sarà ispirata parallelamente e in senso opposto la maggioranza. Questo implica una condizione favorevole alla emersione degli interessi sociali costituiti che possono opportunamente intervenire con maggior peso nel meccanismo decisionale della rappresentanza.
Si apre dunque una prospettiva radicalmente diversa dall'assetto fin qui stabilmente impresso alle relazioni tra le parti politiche, che influisce in modo diretto sul regime del procedimento e sulla qualità della decisione. Il ruolo della rappresentanza nel sistema politico e costituzionale conserva la propria centralità, se il regime parlamentare si rende capace di corrispondere a tale mutata condizione.
Per saldare l'azione dei soggetti politici con i compiti di mediazione e di direzione di una società segnata da domande di carattere generale, e dal peso di interessi sociali organizzati e tendenzialmente animati dalla pretesa di riconoscimento distinto, gli organi della rappresentanza devono regolare le proprie funzioni in modo tale da corrispondere a queste esigenze che sono radicalmente innovative.
La fase della iniziativa è la prima a risentire di ciò. La rappresentanza deve disporre di strumenti propri di delibazione preventiva sulle coerenze tecniche e normative dello schema di decisione, e saper realizzare le relazioni di cooperazione e di confronti con le strutture degli interessi organizzati.
L'ordinamento parlamentare ha già posto, e da tempo, significative premesse per tale organizzazione: né si deve trascurare il fatto che le camere dispongono di una delle rare tecnostrutture professionalmente adeguate ai compiti di una grande democrazia moderna.
Tali premesse devono ora essere rafforzate, rese permanenti e non, come accade spesso, preordinate alla trattazione del singolo tema; soprattutto, la funzione parlamentare istruttoria va ripensata per intero e rimodellata in un auditing a tutto campo.
Ciò che si definisce in questa parte del procedimento della decisione generale, legislativa o anche di indirizzo, condiziona le fasi successive fino alla deliberazione. Il successo dell'attivazione della funzione rappresentativa si misura soprattutto in questo, e così si valutano i risultati ottenuti: in particolare, la capacità di sintesi tra contenuti generali della decisione, e la sua attitudine a garantire il soddisfacimento degli interessi collettivi organizzati e le relative compatibilità.
D'altra parte, la soluzione soddisfacente dell'opera di adeguamento della funzione della rappresentanza è condizione per la tenuta democratica del sistema: il che conferma la premessa indicata all'inizio.
In tale quadro, si collocano istituiti e norme che, a partire dalla recente riforma del regolamento della Camera, segnano il rinnovamento della disciplina della rappresentanza: le nuove regole della programmazione dei lavori parlamentari, la fissazione preventiva dei tempi per le deliberazioni finali, le opportunità riconosciute all'opposizione sull'inserimento di temi nell'ordine del giorno e sulla loro deliberazione, ed altre ancora.
In particolare, può acquistare un notevole significato il mutamento impresso alla attività referente delle Commissioni permanenti. Il tema può prestarsi ad una duplice interpretazione, e conseguentemente essere trattato nell'attuazione della nuova disciplina.
Il regime della attività referente può essere ricostruito alla stregua di una regolazione resa più rigida e pandettistica, perdendo la tradizionale flessibilità che si è prestata al doppio uso della dilazione indeterminata dei tempi, o, all'opposto, della adattabilità alle diverse esigenze del confronto politico parlamentare.
Ma può esservi anche un altro angolo visuale, che appare preferibile. La fase referente, con le nuove norme che la

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disciplinano, può da un lato orientare l'organizzarsi della istruttoria della decisione della rappresentanza, aprendo al confronto con gli interessi collettivi organizzati il procedimento, e attrezzando adeguatamente lo schema della decisione con le analisi previsionali dell'impatto normativo, con la raccolta e la selezione dei dati utili riferiti all'oggetto della decisione, e con una prima guida al controllo sulla futura attuazione del provvedimento.
Il vincolo che effettivamente va individuato e rispettato è quello della scansione temporale necessaria per coordinare l'istruttoria all'assetto del procedimento, accettando l'idea che la fase referente può anche concludersi con una relazione motivatamente negativa per l'Assemblea: quel che conta è che sia espulsa ogni tolleranza nei confronti della prassi, largamente invalsa, di non perfezionarla in tempi certi.
Altro aspetto notevole è quello del rafforzamento qualitativo e quantitativo della attività conoscitiva ed ispettiva della rappresentanza, che caratterizza già, e in larga misura, la evoluzione del regime parlamentare a partire dagli ordinamenti di Camera e Senato del 1971.
La tendenza in atto deve ancor più consolidarsi e generalizzarsi nel futuro, assumendo la qualità di essere il modo comune di esercizio di ogni funzione politica delle Camere, e specialmente della legislativa, perché sia conforme allo spirito del procedimento ed alla struttura di principio della decisione della rappresentanza.
Un altro aspetto riguarda i poteri pubblici e la società civile: un rapporto in mutazione e crisi.
Alcune considerazioni conclusive di carattere più generale si rendono opportune riguardo ai temi del procedimento e della qualità della decisione della rappresentanza, nel rapporto tra maggioranza ed opposizione, inquadrati alla luce delle prospettive di sviluppo della democrazia repubblicana.
Una prima riflessione tocca il rapporto tra questi temi e le prospettive di mutamento tendenziale del sistema, in ciò che può riguardare sostanzialmente la forma dello Stato e la forma del Governo, nel quadro delineato dagli schemi di riforma della seconda parte della Costituzione.
Gli aspetti relativi al progetto neofederale della forma dello Stato, ad ora solo accennati nello schema della bicamerale, sono ancora incerti e non suscettibili di un giudizio conclusivo. Se si affermerà un principio di vero e proprio decentramento politico, e quindi se si perverrà al federalismo, ne conseguirà ciò che ancora non può dirsi definito, ossia una diversificazione delle due Camere in rapporto a tale principio.
Ne deriverà una distinzione qualitativa della rappresentanza: una Camera sarà rappresentativa del popolo italiano, l'altra degli Stati, o regioni che dir si voglia. In questa ipotesi, che per il momento è solo astratta e non viene definita nello schema di riforma, il procedimento e la decisione saranno debitori di un insieme di principi più complesso di quel che finora si è configurato, intrecciando interessi collettivi organizzati sul piano nazionale, ed interessi collettivi istituzionalmente riferiti alle autonomie territoriali. Sarà accresciuto il compito di mediazione, tutela e direzione della decisione della rappresentanza, sia sotto il profilo della comunità nazionale, sia sotto quelle delle comunità politicamente autonome.
Ad ogni modo, lo schema della bicamerale modifica, nella sua attuale stesura, l'àmbito oggettivo della competenza legislativa della regione, ampliandola, specialmente con la generalizzazione della competenza regionale di tipo esclusivo. Ciò comporta la necessità di definire l'atto legislativo statale residuo, sciogliendo i molti nodi fin qui non correttamente risolti. Si può osservare solo, in questa sede, che il mutamento del procedimento e della decisione della rappresentanza costituiscono, per quel che si è osservato, una opportuna occasione per affrontare il problema.
Per ciò che concerne la forma di Governo, è notevole come il nuovo assetto

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delle fonti, e la diversa disciplina dell'indirizzo politico, incidano sui temi fin qui affrontati.
Per questa parte si deve inoltre osservare che la prospettiva della riforma costituzionale può essere presa in considerazione con un approccio più sicuro, per il fatto che l'evoluzione dell'ordinamento sembra già anticiparne alcune caratteristiche di fondo.
A) Da un lato, alcune materie, fin qui pacificamente ritenute rientranti nell'ambito di competenza e di responsabilità dell'esecutivo, se ne distaccano, impostando in termini del tutto innovativi il rapporto tra l'indirizzo e la disciplina di queste stesse materie.
Si tratta, in larga misura, del fenomeno conosciuto come quello delle autorità cosiddette indipendenti. Molte incertezze teoriche circondano ancora la categoria, fondata inoltre su leggi di occasione, spesso non coerenti le une con le altre, e quindi incerte ancora essendo i principi comuni; e, infine, malfermo presentandosi all'osservatore obiettivo il riferimento comparatistico, più richiamato che giustificato.
Tuttavia alcuni dati di tendenza sembrano certi, ed anche comprovati dal diritto positivo. In particolare, si può affermare che l'ordinamento delle autorità indipendenti ne realizza il distacco dal Governo e dai suoi organi e, inoltre, come sancisce espressamente anche lo schema della bicamerale che ne fa esplicita trattazione di carattere costituzionale, la direzione delle stesse è attribuita secondo regole ispirate al principio della neutralità politica, e la nomina degli organi responsabili affidata a soggetti istituzionali di arbitraggio e di garanzia.
Le autorità agiscono in settori molto rilevanti per la natura degli interessi in gioco, in generale riferiti a diritti fondamentali e libertà costituzionali: esse sono munite di un potere normativo e provvedimentale molto ampio, che tendenzialmente sembra trascendere la rigida delimitazione del potere regolamentare.
Poiché non si può accogliere l'idea, che pure traspare nel pensiero di qualche commentatore, che le autorità agiscano in rapporto diretto con le fonti costituzionali, quasi omisso medio, se ne deve dedurre la necessaria, ma anche speciale, mediazione del legislatore ordinario.
Le considerazioni che si sono fatte sulla nuova disciplina di principio del procedimento per la decisione della rappresentanza sono tali da ricomprendere assai opportunamente il tema delle leggi istitutive e regolatrici delle autorità indipendenti, perché proprio per tali leggi si impone da un lato la capacità della rappresentanza di dare forma alla volontà generale e, da un altro lato la pari capacità di arrestare l'esercizio dei poteri rappresentativi alle soglie dell'autonoma regolazione degli interessi collettivi (che è poi il tema di fondo del nuovo ordinamento costituzionale).
B) Da un altro lato, si inserisce in Costituzione il principio della codificazione, grazie alla figura di leggi regolatrici in modo organico di un insieme omogeneo di oggetti, o di intere materie, alle quali sembra attribuirsi una particolare posizione nell'àmbito delle leggi ordinarie.
Tali leggi hanno una resistenza maggiore delle altre alla deroga legislativa, nel senso che tale deroga dovrà essere espressa ed apportata alla disposizione della legge organica. Ne consegue un vincolo interpretativo, la cui definizione richiede peraltro un esame approfondito che potrà utilmente essere elaborato quando sarà definito il nuovo regime delle fonti.
Il principio della codificazione appare rivolto a superare la frammentazione e la proliferazione delle leggi, fenomeni cui dà un concorso non secondario il dilagare della decretazione legislativa di urgenza che ha caratterizzato l'ultimo trentennio del sistema repubblicano, e che si è esteso con il recente parallelo ricorso diffuso alla delega legislativa, soprattutto in occasione dell'approvazione delle leggi della manovra di finanza pubblica.
Alimentano la frammentazione e la proliferazione delle leggi due cause generali, l'una legata alla versione consociativa della forma di Governo, l'altra propria

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della transizione costituzionale in atto. Poiché la doppia premessa non dovrebbe sopravvivere nel futuro assetto delle istituzioni è prevedibile che gli effetti prodotti possano essere assorbiti.
E così sembra che debba interpretarsi sia la costituzionalizzazione delle autorità indipendenti, e la eventuale ulteriore istituzione di nuovi casi, sia l'attribuzione all'esecutivo di poteri normativi, sia la codificazione oltre, naturalmente, il vasto trasferimento di potestà legislativa alle regioni.
Tutto ciò comporta una importante sollecitazione, in positivo ed in negativo, a ricondurre l'atto fonte legge a quelle caratteristiche che si sono delineate a proposito della disciplina del procedimento e della qualità della decisione. Al tempo stesso, si dovrebbe avviare a soluzione la precarietà del sistema delle fonti primarie, così come si è formato, sotto il peso disgregatore della frammentazione e della proliferazione delle leggi.
Il principio della codificazione, inteso in questo modo, se conferma le nuove caratteristiche dello svolgimento delle funzioni della rappresentanza, sottolinea l'importanza decisiva del concorso del Governo: senza di esso, buona parte dei compiti che si accollano al Parlamento sono resi di impossibile assolvimento.
Sono rilevanti, ed hanno una considerevole influenza, quelle che saranno le nuove regole per la definizione dei poteri normativi dell'esecutivo e per il loro esercizio. Tuttavia non basteranno le nuove disposizioni scritte, neppure le conformi regole convenzionali che eventualmente si stabiliranno, se al tempo stesso il Governo non realizzerà quella nuova organizzazione e la appropriata disciplina dei propri supporti tecnico-legislativi, finora inesistenti o del tutto inadeguati, malgrado le indicazioni della legge sulla Presidenza del Consiglio, che in questa parte è stata una favorevole occasione mancata.
La collaborazione tra Governo e Parlamento è dunque di ordine pregiudiziale. Ed il Governo, che appare molto arretrato rispetto allo sviluppo organizzatorio e funzionale delle Camere parlamentari, dovrà ispirarsi, nel recuperare lo svantaggio, alle stesse direttive di tipo istruttorio, ed allo stesso rapporto con gli interessi collettivi organizzati, che abbiamo visto essere essenziali nell'assetto funzionale della rappresentanza.
Una riflessione conclusiva ci conduce infine al nodo delle relazioni tra sistema politico rappresentativo e comunità civile. Se questo rapporto è stato nel tempo, e specialmente a partire dagli albori dello Stato costituzionalmente moderno e contemporaneo, complesso, certamente lo è ancora di più per lo Stato repubblicano nel caso italiano degli anni novanta.
Attualmente il rapporto è in crisi acuta. Il tentativo di delineare un rinnovato regime del procedimento della funzione rappresentativa e della qualità delle decisioni che ne sono l'esito è anche, e soprattutto, un contributo al fine di comporre questa crisi.
Si tratta di un tentativo complesso e difficile. Lo è per le cause intrinseche della fase della transizione; lo è anche perché interagiscono fattori che sono esterni al sistema Italia, appartenendo a piani sui quali le scelte e le responsabilità interne agiscono solo indirettamente e in misura assai relativa.
L'ordinamento della Repubblica viene in relazione con l'ordine internazionale, da un lato, e con il formarsi di spazi di sovranità sovranazionale nell'ambito dell'Unione europea, dall'altro, in termini qualitativamente diversi, o addirittura ignorati, rispetto alla visione della costituente del 1948.
Di questo si deve realisticamente tenere conto, nell'apprezzare le difficoltà che si frappongono all'efficacia di un radicale e lungimirante rinnovamento del regime funzionale della rappresentanza, al fine del superamento della attuale fase critica. Il che non è tuttavia argomento per dubitare della importanza di tale rinnovamento ma, semmai, per sottolinearne il significato e anche l'urgenza.

PRESIDENTE. Grazie, professor Labriola.

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Sono così esaurite le relazioni. Passiamo ora al dibattito.