Doc. I, n. 7


Roma, 20 gennaio 2006

Onorevoli Parlamentari,

mi è stata sottoposta per la promulgazione la legge recante: «Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento», approvata dalla Camera dei Deputati il 21 settembre 2005 e dal Senato della Repubblica il 12 gennaio 2006.

Dopo accurata disamina, ritengo di dover formulare alcune osservazioni di fondo, che attengono alla costituzionalità di disposizioni contenute nel testo a me inviato.
L'articolo 7 della legge modifica l'articolo 606 del codice di procedura penale che disciplina i casi di ricorso per Cassazione, stabilendo che tra essi rientrano la «mancata assunzione di una prova decisiva quando la parte ne ha fatto richiesta, sempre che la stessa fosse ammissibile» e la mancanza o la contraddittorietà ovvero la manifesta illogicità della motivazione della sentenza.
Le modificazioni apportate all'articolo 606 dei codice di procedura penale, da un lato, sopprimono la condizione che la mancata assunzione di una prova decisiva sia rilevante come motivo di ricorso soltanto se addotta come controprova rispetto a fatti posti a carico o a discarico dal pubblico ministero o dall'imputato; dall'altro, fanno venir meno la condizione che la mancanza o la manifesta illogicità della motivazione debbano emergere esclusivamente dal testo del provvedimento impugnato.
Queste modificazioni generano un'evidente mutazione delle funzioni della Corte di Cassazione, da giudice di legittimità a giudice di merito, in palese contrasto con quanto stabilito dall'articolo 111 della Costituzione, che, al penultimo comma, dispone che «contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge».
Nei limiti indicati nella precedente formulazione dell'articolo 606 del codice di procedura penale, la valutazione della motivazione demandata alla Corte di Cassazione atteneva al controllo della legalità della sentenza. Oggi, dalla seconda modificazione introdotta, inevitabilmente discende che la Corte di Cassazione debba procedere al controllo della legalità dell'intero processo, riconsiderandone ogni singolo atto.
Analoga mutazione si verifica per effetto della prima modificazione, nella parte in cui obbliga la Corte al controllo del fascicolo processuale in ogni caso di asserita decisività di qualsiasi prova non ammessa.
Tale mutazione diventerebbe ancora più gravida di conseguenze ove i due motivi di ricorso - vizi della motivazione e assunzione di prove - fossero congiuntamente dedotti.
Una Corte Suprema chiamata ad esercitare funzioni di merito di tale estensione perde la sua connotazione principale - ulteriormente esaltata dalla recente riforma dell'ordinamento giudiziario - di «organo supremo della giustizia» che «assicura l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge» (articolo 65 del vigente ordinamento giudiziario), il cui carattere insopprimibile è stato ribadito nella lettera inviata il 3 gennaio 2006 al Primo Presidente della Corte di Cassazione dal Presidente del Consiglio di Amministrazione della Rete dei Presidenti delle Corti Supreme giudiziarie dell'Unione Europea.
Il Primo Presidente della Corte di Cassazione ha chiaramente indicato che una delle conseguenze della modifica introdotta sarà l'impossibilità di continuare a utilizzare il meccanismo di selezione dei ricorsi stabilito dall'articolo 610, comma 1, del codice di procedura penale, che ha consentito negli ultimi anni «una decisiva economia delle risorse, indirizzando verso la settima Sezione penale della Corte (cosiddetta sezione "filtro", ndr.) il 45 per cento dei procedimenti pervenuti». Questa circostanza, unita all'ampliamento dei motivi del ricorso per Cassazione, condurrà alla crescita in termini esponenziali del carico di lavoro della Corte e al progressivo accumulo di arretrato.
Il rischio è che ne risulti compromesso «il bene costituzionale dell'efficienza del processo, qual è enucleabile dai principi costituzionali che regolano l'esercizio della funzione giurisdizionale, e il canone fondamentale della razionalità delle norme processuali» (cfr. la sentenza della Corte Costituzionale n. 353 del 1996). Questo rischio va a recare un vulnus al precetto costituzionale del buon andamento dell'amministrazione - articolo 97 della Costituzione - applicabile, secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale, anche agli organi dell'amministrazione della giustizia (cfr. le sentenze della Corte Costituzionale n. 86 del 1982 e n. 18 del 1989).
Tutto ciò è aggravato dalla norma transitoria (articolo 9 della legge) che, da un lato, prevede l'applicabilità anche ai procedimenti pendenti delle nuove disposizioni che ampliano i casi di ricorso per cassazione e, dall'altro, converte in ricorso per cassazione «l'appello proposto prima della data di entrata in vigore della presente legge contro una sentenza di proscioglimento».
Un altro problema, strettamente collegato ai precedenti e che si muove in direzione di un netto aggravamento della situazione già posta in evidenza, è quello che deriva dall'articolo 4 della legge, che modifica l'articolo 428 del codice di procedura penale, trasferendo dalla Corte d'Appello alla Corte di Cassazione l'impugnazione della sentenza di non luogo a procedere. Ne deriverà non soltanto un ulteriore aumento di lavoro per la Corte di Cassazione, ma anche, in caso di mancata conferma della sentenza di non luogo a procedere, una regressione del procedimento, che ne allungherà inevitabilmente i tempi di definizione.
È palese la violazione che il sistema sopra descritto determina, nel suo complesso, del principio della ragionevole durata del processo, espressamente consacrato nel secondo comma del già richiamato articolo 111 della Costituzione.

Il sistema delle impugnazioni può essere ripensata alla luce dei criteri ispiratori del codice vigente dal 1989. Tuttavia il carattere disorganico e asistematico della riforma approvata è proprio ciò che sta alla base delle rilevate palesi incostituzionalità: una delle finalità della legge avrebbe dovuto essere quella della deflazione del carico di lavoro della giustizia penale, mentre, come si è più sopra posto in luce, la legge approvata provocherà invece un insostenibile aggravio di lavoro, con allungamento certo dei tempi del processo.
La funzione compensativa attribuita all'ampliamento delle ipotesi del ricorso per cassazione ha un effetto inflattivo superiore di gran lunga a quello deflattivo derivante dalla soppressione dell'appello delle sentenze di proscioglimento. Soppressione che, a causa della disorganicità della riforma, fa sì che la stessa posizione delle parti nel processo venga ad assumere una condizione di disparità che supera quella compatibile con la diversità delle funzioni svolte dalle parti stesse nel processo. Le asimmetrie tra accusa e difesa costituzionalmente compatibili non devono mai travalicare i limiti fissati dal secondo comma dell'articolo 111 della Costituzione, a norma del quale: «Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale». Infine, non lo si dimentichi, è parte del processo anche la vittima del reato costituitasi parte civile, che vede compromessa dalla legge approvata la possibilità di far valere la sua pretesa risarcitoria all'interno del processo penale.
Un'ulteriore incongruenza della nuova legge sta nel fatto che il pubblico ministero totalmente soccombente non può proporre appello, mentre ciò gli consentito quando la sua soccombenza sia solo parziale, avendo ottenuto una condanna diversa da quella richiesta.

Infine, rispetto al principio che informa di sé la legge approvata, e cioè l'inappellabilità delle sentenze di proscioglimento, esistono, nel testo, due norme che appaiono contraddittorie:
l'articolo 577 del codice di procedura penale continua a prevedere la impugnazione delle sentenze di proscioglimento per i reati di ingiuria e diffamazione, senza specificare se essa riguardi anche l'appello;
l'articolo 597, comma 2, lettera b) dello stesso codice, continua a individuare i poteri del giudice nel caso di appello riguardante una sentenza di proscioglimento, appello escluso dalle modificazioni ora introdotte.

È altresì necessario tener presente che l'articolo 36 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n.274, sulla competenza penale del giudice di pace, continua a consentire l'appello del pubblico ministero contro alcuni tipi di sentenze di proscioglimento.

Per i motivi innanzi illustrati, chiedo alle Camere - a norma dell'articolo 74, primo comma, della Costituzione - una nuova deliberazione in ordine alla legge a me trasmessa il 13 gennaio 2006.

CIAMPI

Castelli, Ministro della giustizia.


Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento

Art. 1.

1. L'articolo 593 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:
«Art. 593. (Casi di appello). - 1. Salvo quanto previsto dagli articoli 443, comma 3, 448, comma 2, 579 e 680, il pubblico ministero e l'imputato possono appellare contro le sentenze di condanna.
2. Sono inappellabili le sentenze di condanna per le quali è stata applicata la sola pena dell'ammenda».

Art. 2.

1. All'articolo 443 del codice di procedura penale, al comma 1, le parole: «, quando l'appello tende ad ottenere una diversa formula» sono soppresse.

Art. 3.

1. All'articolo 405 del codice di procedura penale, dopo il comma 1, è inserito il seguente:
«1-bis. Il pubblico ministero, al termine delle indagini, formula richiesta di archiviazione quando la Corte di cassazione si è pronunciata in ordine alla insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, ai sensi dell'articolo 273, e non sono stati acquisiti, successivamente, ulteriori elementi a carico della persona sottoposta alle indagini».

Art. 4.

1. L'articolo 428 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:
«Art. 428. - (Impugnazione della sentenza di non luogo a procedere). - 1. Contro la sentenza di non luogo a procedere possono proporre ricorso per cassazione:
a) il procuratore della Repubblica e il procuratore generale;
b) l'imputato, salvo che con la sentenza sia stato dichiarato che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso.

2. La persona offesa può proporre ricorso per cassazione nei soli casi di nullità previsti dall'articolo 419, comma 7. La persona offesa costituita parte civile può proporre ricorso per cassazione ai sensi dell'articolo 606.
3. Sull'impugnazione decide la Corte di cassazione in camera di consiglio con le forme previste dall'articolo 127».

Art. 5.

1. All'articolo 533 del codice di procedura penale, il comma 1 è sostituito dal seguente:
«1. Il giudice pronuncia sentenza di condanna se l'imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio. Con la sentenza il giudice applica la pena e le eventuali misure di sicurezza».

Art. 6.

1. L'articolo 580 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

«Art. 580. - (Conversione del ricorso in appello). - 1. Quando contro la stessa sentenza sono proposti mezzi di impugnazione diversi, nel caso in cui sussista la connessione di cui all'articolo 12, il ricorso per cassazione si converte nell'appello».

Art. 7.

1. Al comma 1 dell'articolo 606 del codice di procedura penale sono apportate le seguenti modificazioni:
a) la lettera d) è sostituita dalla seguente:
«d) mancata assunzione di una prova decisiva quando la parte ne ha fatto richiesta, sempre che la stessa fosse ammissibile»;
b) la lettera e) è sostituita dalla seguente:
«e) se manca o è contraddittoria o è manifestamente illogica la motivazione».

Art. 8.

1. All'articolo 652 del codice di procedura penale, il comma 1 è sostituito dal seguente:
«1. La sentenza penale di assoluzione, anche se irrevocabile, non ha effetto nei giudizi civili e amministrativi, salvo che la parte civile si sia costituita nel processo penale ed abbia presentato le conclusioni. In questo caso la sentenza ha effetto quanto all'accertamento che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facoltà legittima».

Art. 9.

1. La presente legge si applica ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della medesima.
2. L'appello proposto prima della data di entrata in vigore della presente legge contro una sentenza di proscioglimento si converte in ricorso per cassazione. Possono essere presentati nuovi motivi entro sessanta giorni.
3. Nel caso che sia annullata una sentenza di condanna di una corte di assise di appello o di una corte di appello che abbia riformato una sentenza di assoluzione, si applica la lettera c) del comma 1 dell'articolo 623 del codice di procedura penale.


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