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PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Piva. Ne ha facoltà.
ANTONIO PIVA. Signor Presidente, signor sottosegretario, la manovra per il prossimo esercizio finanziario può essere definita dal punto di vista contabile una manovra di semplice manutenzione dei saldi di bilancio. Non si riscontrano, infatti, interventi apprezzabili di correzione di quelle voci di spesa che più destano preoccupazioni per la loro evoluzione nei prossimi anni.
gli aumenti su tariffe e servizi che, oltre a ridurre nell'immediato il reddito disponibile delle famiglie, hanno un pericoloso effetto inflazionistico sul quale permane in ambito governativo un atteggiamento di grave sottovalutazione.
anno non ha trovato copertura nelle contribuzioni e si è reso quindi necessario e inevitabile attingere ai tributi.
PRESIDENTE. Dovrebbe concludere.
ANTONIO PIVA. ...composita, contraddittoria e incapace di promuovere idee e programmi. Non serve quindi far passare per dati positivi quelle stime che escono da fonte governativa e che agli occhi degli studiosi di economia, ma anche dell'imprenditore medio, dell'operatore di mercato o del semplice cittadino, sono allarmanti segnali di difficoltà, di involuzione, se non di vero e proprio declino.
PRESIDENTE. La Presidenza lo consente.
GIUSEPPE SORIERO. Signor Presidente, desidero innanzitutto rilevare che il dibattito in corso in aula pone in primo piano la qualità di una manovra di bilancio per il 2000 che, in linea con gli obiettivi concordati in sede europea, possa finalmente dare più impulso ai meccanismi dello sviluppo e creare nuova e qualificata occupazione.
del decennio, confermando certo gli elementi di debolezza strutturale presenti nel sistema economico meridionale ma anche indicando nuovi percorsi e nuove linee d'intervento. Oggi, naturalmente, ci preoccupa e ci allarma che gli ultimi dati diffusi dall'ISTAT sulle forze di lavoro confermino un andamento diverso dell'occupazione tra le due partizioni del paese: nel centro-nord l'occupazione ha manifestato una crescita molto sostenuta, con un incremento pari a 318 mila unità, mentre nel Mezzogiorno, al contrario, nel corso dell'ultimo anno si sono persi 62 mila posti di lavoro.
Desidero sottolineare anche il tema delle ferrovie nel Mezzogiorno, sul quale chiedo ai rappresentanti del Governo di impegnarsi per accelerare gli investimenti necessari. Vi è un ritardo che riguarda l'attuazione degli investimenti e bisogna fare in modo che la spesa relativa all'addendum, al contratto di programma - nel 1996 oltre 3 mila miliardi aggiuntivi - per potenziare e ammodernare le ferrovie del Mezzogiorno, finalmente diventi realtà.
PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Giovanni Pace, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
COSIMO CASILLI. Signor Presidente, colleghi, innanzitutto voglio esprimere il mio apprezzamento per la relazione dell'onorevole Di Rosa a questa legge finanziaria, della quale condivido la chiarezza ed anche la capacità di analizzare i contenuti della manovra.
soffermarmi, invece, su quanto è previsto nella finanziaria per le politiche a favore del Mezzogiorno. Faccio una prima osservazione: il DPEF che abbiamo approvato in quest'aula prevedeva per il Mezzogiorno risorse aggiuntive rispetto ai fondi ordinari. Nonostante lo sforzo che è stato compiuto in questo senso, va dato atto a questa maggioranza e a questo Governo di aver ridotto in questi ultimi anni la forbice del divario degli investimenti ordinari, che è in netto sfavore per il Mezzogiorno. Nonostante questo sforzo, dobbiamo riconoscere che il Mezzogiorno non dispone ancora delle risorse aggiuntive destinate alle aree depresse. Il ministro del tesoro, in un'audizione in Commissione bilancio ha specificato che il trend è in crescita ma le risorse straordinarie per il Mezzogiorno derivanti dai fondi comuni e dagli interventi per le aree depresse non si aggiungono a quelle ordinarie.
ve ne sono molti nel nostro paese e solo da una competizione virtuosa tra i vari territori del Mezzogiorno si potranno realizzare vere condizioni di sviluppo.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Aprea. Ne ha facoltà.
VALENTINA APREA. Signor Presidente, ministro Berlinguer, signori del Governo, colleghi, innanzitutto vorrei associarmi alla denuncia fatta dai colleghi che mi hanno preceduto su questo tipo di manovra finanziaria presentata dal Governo.
In riferimento all'articolo 48, comma 1, lettera l), che prevede ulteriori stanziamenti per il decongestionamento dei mega atenei, ad esempio, siamo molto preoccupati per il fatto che questi finanziamenti, che ci sembrano esigui, possano essere indirizzati solo ad alcune università le quali, anche se possono rappresentare delle vere e proprie priorità, penalizzerebbero altri atenei eccellenti, quali, ad esempio, il politecnico di Milano - ma ve ne sono altri nel nostro paese -, che hanno da tempo iniziato un'opera di razionalizzazione con risultati eccellenti e che si troverebbero in una posizione svantaggiata rispetto alla destinazione degli stanziamenti.
vorrei però dirle che nella finanziaria dell'anno scorso era stata già prevista una riduzione del 3 per cento del personale, che sommata a quella attuale diventa una riduzione del 4 per cento! Da una parte abbiamo un concorso per insegnanti il cui espletamento è in atto, dall'altra si parla di una riduzione dell'1 per cento del personale. Mi domando quindi se al Ministero ci sia la consapevolezza dei flussi di aumento e di riduzione. In altre parole, lei, signor ministro, conosce l'esatta consistenza del personale? Esiste una programmazione quinquennale oppure si deve sempre procedere a vista in un settore, quello scolastico, che è assai delicato e in cui lavora personale che per ora è tutto alle dipendenze dello Stato?
PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Taradash, iscritto a parlare: si intende che vi abbia rinunziato.
PAOLO RUBINO. Signor Presidente, nell'esaminare il disegno di legge finanziaria credo che si debba evitare di commettere due errori: quello di un giudizio pregiudizialmente negativo e quello di un giudizio pregiudizialmente positivo. In altre parole, credo che abbiamo il dovere di discutere sui fatti e da qui far discendere il nostro comportamento e il nostro voto.
paesi in via di sviluppo, trovano in questo settore e intorno a queste problematiche elementi di grande differenziazione. Sono partito da qui per verificare come, all'interno di queste problematiche e di questi diversi punti di vista, si trovi l'Europa e se, rispetto a tali questioni, la finanziaria al nostro esame meriti un voto favorevole. Credo di sì. Per la prima volta, in questi incontri a livello internazionale, l'Italia e l'Europa hanno dimostrato di saper difendere e rappresentare gli interessi della propria gente, in questo caso dell'agricoltura, in un rapporto né pregiudiziale né subalterno, ma nel quale hanno saputo far valere gli interessi nazionali. Questa è la prima ragione per la quale credo che la legge finanziaria meriti fiducia. Basti vedere, ad esempio, come l'agricoltura, in modo particolare quella mediterranea, sia stata oggetto in questi giorni di confronto, di differenziazione e di scontro e come giustamente il Governo, sia nazionale sia comunitario, negli incontri dei giorni passati abbia saputo far valere gli interessi della nostra agricoltura.
che hanno investito in agricoltura e che hanno dovuto subire un rapporto capestro con le banche, pagando interessi impossibili.
ma sia tenuta in considerazione dal Parlamento e dal Governo affinché il provvedimento ottenga non un voto pregiudizialmente contrario o favorevole, ma un voto cosciente e convinto che aiuti il Governo e il Parlamento stessi a dare risposte adeguate al nostro paese.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Paolone. Ne ha facoltà.
BENITO PAOLONE. Signor Presidente, colleghi, è sorprendente quanto avviene e, ancora di più, quanto si sente in quest'aula. Ci troviamo in una situazione veramente pesante e drammatica, nella quale tutte le persone responsabili, che non hanno interessi particolaristici come il Governo, forniscono dati veramente allarmanti: la disoccupazione in Europa è ai massimi livelli, la produzione complessiva del paese è ai livelli più bassi, l'inflazione è quasi doppia rispetto a quella degli altri paesi europei, la condizione del Mezzogiorno registra una differenza ancora maggiore rispetto a quella del nord, la disoccupazione cresce in maniera impressionante, tutte le indicazioni del Governo trovano un riscontro contrario nei fatti, le previsioni contenute nel DPEF non sono assolutamente riscontrabili, rispetto alle previsioni per il 1999 vi è un differenziale di circa 30 mila-35 mila miliardi; nonostante ciò, «tutto va bene, madama la marchesa».
in difficoltà tutte le imprese questo Governo provvederà con le norme riguardanti la modifica della disciplina del TFR, che farà venir meno un forte e notevole elemento di finanziamento e costringerà le imprese a ricorrere più massicciamente al mercato finanziario ed al sistema creditizio, con enormi aggravi di costi. Anziché ridurre in modo strutturale le spese correnti, come è necessario e come è stato promesso, queste mantengono inalterato il loro peso relativo; anzi, ad esse è destinato anche il 47,4 per cento delle maggiori risorse verificatesi quest'anno rispetto alle errate previsioni dell'anno scorso.
Questa è una politica assurda perché è da questa spesa che dovrebbero derivare quegli investimenti pubblici che, assieme a quelli privati, sono indispensabili, come ha rilevato anche in questi ultimi giorni il governatore della Banca d'Italia, per aumentare l'occupazione nel sud del paese. L'andamento dell'inflazione è in aumento anche rispetto alle recenti previsioni di questo Governo. Occorre intervenire per contenere sia i prezzi delle voci più gravose per l'economia, quali i prodotti petroliferi che letteralmente lievitano ogni giorno, sia le tariffe dei servizi primari che sono aumentate ben oltre il tasso d'inflazione, anche se a volte in modo camuffato.
abbiamo perso ancora uno. La situazione è veramente drammatica. L'unica possibilità per risolvere questo problema è fare in modo che la coscienza del popolo italiano si risvegli e cacci questa sinistra dal Governo del nostro paese perché la sua politica non è altro che un progetto di devastazione come si sta rivelando specie in questi ultimi giorni alla luce di tutti i dati di cui si viene a conoscenza, mi riferisco a quelli veri e non a quelli inventati con gli effetti annuncio realizzati dal Governo attraverso la televisione di Stato.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Scarpa Bonazza Buora. Ne ha facoltà.
PAOLO SCARPA BONAZZA BUORA. Signor Presidente, signor ministro, lo spazio dedicato dalla finanziaria per il 2000 al settore agricolo non può che essere modesto, dato che questa manovra, da certuni definita mite ma che in realtà è veramente modesta, dedica all'agricoltura italiana un'attenzione per l'appunto modesta. In ogni caso, una sintetica valutazione sui termini generali della manovra finanziaria non può non far leva sull'assenza di misure strutturali idonee a favorire il recupero di competitività delle imprese. Tale considerazione evidenzia incoerenza con gli obiettivi indicati nel documento di programmazione economico-finanziaria. In buona sostanza, segnalo gravi disattenzioni sul fronte fiscale e previdenziale.
conclusione della operatività delle misure di fiscalizzazione degli oneri sociali nel Mezzogiorno e nelle aree svantaggiate.
PRESIDENTE. Onorevole Scarpa, deve concludere, ha esaurito il tempo a sua disposizione.
PAOLO SCARPA BONAZZA BUORA. Signor Presidente, concludo rapidamente.
costi altre politiche che incentivino la creazione di imprese con adeguate dimensioni economiche e la realizzazione di prodotti e servizi ad alto contenuto di differenziazione. Francamente, signor Presidente, corrispondendo al suo invito ad essere breve, devo tuttavia osservare che non ritroviano nulla di quanto è stato annunciato nel documento di programmazione economico-finanziaria in questa finanziaria!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Losurdo. Ne ha facoltà.
STEFANO LOSURDO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, come sta avvenendo ormai da molti anni nel settore agricolo, il disegno di legge finanziaria assegna ad esso una posizione residuale riducendo l'intervento ad un mero contenitore di spesa, senza che siano né previste né abbozzate le riforme strutturali di cui per l'agricoltura vi è un bisogno vitale. Si può tranquillamente affermare che la finanziaria 2000 non dà alcuna risposta ai tanti problemi dell'agricoltura, soprattutto con riferimento al contenimento dei costi di produzione e del costo del denaro, alla costante e generalizzata diminuzione dei prezzi agricoli, in particolare in alcuni settori vitali e portanti della nostra agricoltura, come l'olivicoltura, la risicoltura e la cerealicoltura.
ed economici trasporti via mare e via fiume, per i quali l'Italia è un patetico fanalino di coda in Europa.
forti dubbi sorgono a causa della superficialità e grossolanità dell'emendamento, in cui si faceva riferimento a lotti da porre in vendita di almeno dieci ettari. È il caso di chiedersi: di meleto del Trentino-Alto Adige o di pascolo delle Murge?
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cicu. Ne ha facoltà.
SALVATORE CICU. Signor Presidente, si è parlato a lungo in questi giorni dei problemi collegati alla manovra economica, ma non posso fare a meno di ripetere alcuni concetti già espressi in Commissione bilancio.
fiscali per le famiglie sarà vanificato dall'aumento dei prezzi della benzina e di alcuni servizi pubblici.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Leone. Ne ha facoltà.
ANTONIO LEONE. Signor Presidente, intendo riallacciarmi alle considerazioni svolte dall'onorevole Cicu per sottolineare
che lo spettacolo offerto da questa manovra finanziaria è riuscito a superare ogni pessimistica previsione, nonostante le frasi ad effetto utilizzate dal Presidente del Consiglio D'Alema per tranquillizzare, senza tuttavia riuscirci minimamente, i cittadini, anzi gli elettori, assicurando di avere nei fatti, con questa finanziaria, avviato la riforma del welfare ed il riequilibrio della spesa sociale, attraverso una nuova politica fiscale che punta alla famiglia e ad una maggiore equità. Gli indicatori economici, a suo dire, rendono visibile la ripresa in atto destinata a consolidarsi nel futuro, mentre i dati dell'inflazione sono solo congiunturali. Sarebbe bello potergli credere, ma, evidentemente, egli non è credibile nel momento in cui il segretario del suo partito ritiene, al contrario, che i segnali di ripresa dell'inflazione siano estremamente preoccupanti, per cui invita ad una seria oltre che attenta analisi e riflessione (queste le parole dello stesso segretario del PDS).
sempre meno, tanto che varrebbe la pena abolirla con la previsione di un'unica tassa che eviterebbe, altresì, anche quelle forme di duplicazione di imposta che portano ad una pressione fiscale paragonabile - a detta di numerosi studiosi - ad una vera espropriazione del bene. Pertanto, un'unica tassa o, quanto meno, una detraibilità dell'ICI dalle imposte sui redditi: questo è il senso di numerosi emendamenti all'articolo 8 della finanziaria presentati da Forza Italia, anche a firma di chi vi parla.
e decidere sul modo migliore di impiegarli. La legge attuale - come la legge Visco - stabilisce invece irresponsabilmente che, se non saranno trovati i finanziamenti necessari per la sua attuazione, l'aliquota sugli utili d'impresa, ridotta al 19 per cento, sarà automaticamente elevata al 28 per cento. Tale rimedio, però, è talmente piaciuto a questo Governo che lo ha riproposto anche in un'altra norma della finanziaria in esame, riferita però alle aliquote IRAP. Invero, oltre alla rimodulazione delle aliquote IRAP dette speciali, retroattivamente determinate per il 1999, viene prevista la possibilità di un'ulteriore rideterminazione - forse anch'essa retroattiva - delle stesse aliquote al solo fine di assicurare comunque il gettito già previsto. Si trasferisce così sul contribuente il rischio di un aumento di gettito inferiore a quello atteso. Con questo sistema il Governo ha risolto definitivamente ogni problema di previsione di bilancio: a fine anno, se i conti non tornano, si aumentano retroattivamente le aliquote di prelievo e si assicura l'entità dell'entrata. Questo è un artificio che mi sembra non possa trovare albergo in una norma come quella che stiamo approvando. Naturalmente, tutto questo si stabilisce in assoluto spregio del principio di certezza del diritto e delle regole tributarie.
dal benzinaio i cittadini percepiscono tutta la distanza che passa tra le rilevazioni statistiche ed il vero costo della vita.
PRESIDENTE. Constato l'assenza degli onorevoli Volontè e Acierno, iscritti a parlare: s'intende che vi abbiano rinunziato.
MARA MALAVENDA. Non c'è bisogno di scomodare le statistiche per accorgersi che in Italia l'economia continua ad essere concentrata nelle mani delle solite famiglie, che moltiplicano vergognosamente la loro ricchezza, rapinando salari e risorse pubbliche ai lavoratori dipendenti, ai disoccupati, ai pensionati, ai cittadini.
grazie ad un accordo firmato alla fine del luglio scorso con CGIL, CISL e UIL? Ancora: è forse un caso che Albertini ha stipulato lo scorso 23 novembre una convenzione con Obiettivo lavoro per la fornitura di lavoro temporaneo al comune di Milano?
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione congiunta sulle linee generali.
Le misure previste, ancorché finalizzate al sostegno dell'economia, alle imprese e alle famiglie non appaiono risolutive per il mantenimento nel medio e lungo periodo degli impegni derivanti dal programma di stabilità sottoscritto in sede di Unione europea. Sarebbe stato necessario prevedere ulteriori e ben altri interventi per favorire processi di maggiore sviluppo economico, di maggiori liberalizzazioni, per aumentare la flessibilità del mercato del lavoro, per riformare il sistema complessivo degli ammortizzatori sociali e soprattutto per consolidare l'equilibrio del sistema previdenziale.
Gli sgravi fiscali su imprese e famiglie, pari a circa 10 mila miliardi, dovrebbero nelle intenzioni del Governo determinare nel prossimo anno una riduzione della pressione tributaria, una inversione di tendenza che già avrebbe dovuto avviarsi nel 1999, stando a ciò che prevedeva la precedente manovra economico-finanziaria. Infatti, su tale impegno ricordo che era stata annunciata una riduzione della pressione tributaria pari allo 0,3 per cento del PIL. Si sta, invece, profilando alla fine del 1999 rispetto al 1998 un netto aumento della pressione tributaria, una differenza significativa, superiore al punto percentuale, in pratica circa 29 mila miliardi di prelievi aggiuntivi rispetto alle previsioni, una perdita secca in termini di consumi, risparmio privato e investimenti.
Inoltre, il Governo sembra preoccupato solo di evidenziare la riduzione in termini macroeconomici della pressione tributaria connessa alla piena attuazione degli sgravi da 10 mila miliardi, non considerando la pressione complessiva che deve tenere conto, oltre che del carico tributario e contributivo, anche degli altri oneri gravanti sulle famiglie: tariffe e servizi.
Alla luce di tali valutazioni, il giudizio sugli sgravi fiscali a beneficio delle famiglie nel 2000 non è quindi positivo, considerando che gli incrementi di reddito disponibile per le famiglie nel 2000 connessi agli sgravi annunciati dal Governo probabilmente si risolveranno in un indennizzo meno che proporzionale alla serie di aumenti delle tariffe e dei servizi nell'anno in corso. Il Governo, invece, dovrebbe vigilare attentamente per contenere
Circa le azioni per agevolare lo sviluppo del sistema economico sono previsti interventi di carattere settoriale, frammentario e marginale, del tutto inidonei ad assicurare una crescita equilibrata. Nonostante l'obiettivo di conseguire tassi di crescita superiori alla media europea, come è stato affermato nel documento di programmazione economico-finanziaria, non si ravvisano nella manovra in esame politiche o programmi coerenti con tali finalità. Basti vedere, ad esempio, il grave ritardo nell'utilizzazione dei fondi strutturali o la situazione di paralisi, per non dire di caos, in cui si trova attualmente la società Sviluppo Italia che nelle conclamate dichiarazioni governative doveva rappresentare un formidabile strumento promotore di sviluppo. Forti perplessità desta anche la previsione di cui all'articolo 3 del disegno di legge finanziaria, riguardante la dismissione del patrimonio immobiliare degli enti previdenziali. Così come formulata, la norma non è idonea a perseguire il fine di assicurare una più elevata redditività del patrimonio, in particolare nella parte in cui si prevede che i proventi delle dismissioni vengano accreditati su conti di tesoreria vincolati intestati all'ente venditore e sui quali il Tesoro corrisponderebbe in realtà rendimenti tendenti allo zero, se non addirittura negativi.
Al di là, inoltre, delle tardive e formali conversioni del Presidente del Consiglio, che solo recentemente ha scoperto il tramonto dell'epoca del posto fisso, l'azione del Governo per la promozione dell'occupazione è incoerente e non a caso il piano di azione nazionale per l'occupazione 1999 è stato valutato criticamente dai competenti organi dell'Unione europea, che hanno mosso censure sulla struttura del collocamento, sulla formazione e sul persistere di elevati oneri contributivi.
All'esigenza di una flessibilità del lavoro, ormai avvertita anche da autorevoli economisti di sinistra, il Governo risponde con l'incredibile dibattito sulla introduzione della settimana lavorativa di 35 ore, con la sindacalizzazione forzata per le imprese con meno di quindici dipendenti e con la normazione punitiva restrittiva sui cosiddetti lavori atipici, gli unici che negli ultimi anni hanno prodotto occupazione.
In realtà, in Italia la realtà economica è di gran lunga peggiore di quella media dei paesi dell'Unione europea e, dalla disoccupazione all'inflazione, dalla competitività al gap infrastrutturale, tutti gli indicatori dimostrano le grandi difficoltà del sistema paese nel percorso di armonizzazione.
Una particolare gravità riveste poi l'assenza nelle proposte governative di qualsiasi riferimento alla questione previdenza. Intendo il vero grande problema della previdenza e non i provvedimenti demagogici, come il contributo del 2 per cento sulle cosiddette «pensioni d'oro» oppure la soppressione - questa peraltro giusta - dei contributi figurativi gratuiti per gli eletti a cariche pubbliche. Secondo gli ultimi dati della ragioneria generale dello Stato, nello scorso anno la spesa pensionistica, comprensiva di quella obbligatoria per pensioni sociali, si è attestata sul 14,2 per cento del PIL, ma, seguendo le tendenze demografiche e di crescita del reddito nel lungo periodo, sarebbe destinata a lievitare anno dopo anno, fino a raggiungere e superare, nel 2015, il 16 per cento. In termini di prodotto nazionale, in Italia si spende per le pensioni più che nei maggiori paesi dell'Unione europea: 3 punti percentuali più di Francia e Germania, 5 punti più di Gran Bretagna e Spagna.
Ancor più problematico del livello relativo di spesa è il fatto che essa oltrepassa ampiamente l'importo delle contribuzioni che dovrebbero coprirla, coerentemente con il regime a ripartizione. In particolare, nella previdenza per i lavoratori dipendenti e autonomi, il 25,6 per cento delle pensioni erogate lo scorso
Il Governo, che con questa finanziaria giunge al capolinea, è lo specchio di una alleanza politica...
Per queste ragioni, la nostra valutazione è fermamente negativa.
Le chiedo, signor Presidente, di autorizzare la pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna di mie considerazioni integrative.
È iscritto a parlare l'onorevole Soriero. Ne ha facoltà.
Al di là di valutazioni di principio ritualmente ostili da parte dell'opposizione, non si evince dagli interventi finora ascoltati una proposta alternativa di spessore. Addirittura, alcune armi polemiche brandite nei mesi scorsi cominciano ad essere del tutto spuntate, poiché oggi in Italia sono evidenti le novità relative alla politica fiscale: si tratta di prime parziali novità, che però costituiscono evidenti risultati nella riduzione dell'area di evasione, con l'avvio di primi segnali di riduzione della pressione fiscale. Nel contempo, è evidente lo sforzo notevole del Governo per concentrare nuovi investimenti finalizzati alla crescita ed al lavoro.
Nel corso del dibattito, da più parti è stato segnalato che la situazione del Mezzogiorno si differenzia ancora in termini sia di posti di lavoro, sia di qualità dei servizi e delle infrastrutture. Tuttavia, diversamente da come è avvenuto per tanti anni in Parlamento sui problemi del Mezzogiorno, oggi possiamo discuterne con accenti diversi, svolgendo valutazioni più attente, sensibili, approfondite per una lettura culturale del Mezzogiorno moderno. Trovo peraltro fuori scala discorsi nostalgici dell'intervento straordinario o una visione tutta acquisitiva e risarcitoria delle debolezze del Mezzogiorno: è invece importante cogliere le trasformazioni e le novità, messe in luce a più livelli scientifici di analisi delle realtà nazionali e meridionali a partire dal rapporto Svimez. Ricordo che in luglio, appunto partecipando al dibattito in occasione della presentazione di quel rapporto Svimez, avevo avuto modo di evidenziare il valore di alcuni risultati relativamente positivi conseguiti dal Mezzogiorno nel 1998: il tasso di crescita del prodotto interno lordo, pur mantenendosi inferiore a quello del centro-nord (pari all'1,5 per cento), era stato dell'1,1 per cento, leggermente maggiore di quello realizzato nell'anno precedente; gli investimenti fissi erano cresciuti del 3,2 per cento nel Mezzogiorno rispetto al 3,6 per cento del centro-nord, dopo sette anni di ininterrotte flessioni. L'aspetto indubbiamente più significativo dell'andamento del Mezzogiorno nel 1998 era tuttavia la dinamica dell'occupazione, tornata a segnare una variazione positiva, sia pure modesta, con 36 mila addetti in più, interrompendo un trend fortemente negativo, che nel periodo tra il 1994 e il 1997 aveva segnato nel centro-nord una crescita di 141 mila occupati ed invece nel sud una perdita di 175 mila posti di lavoro.
Ecco perché abbiamo cominciato a ragionare su alcuni dati relativi al Mezzogiorno che possono segnalare la chiusura
Giacché la crescita dell'occupazione nelle regioni centro-settentrionali è da imputarsi principalmente all'aumento degli occupati con contratti di lavoro flessibile, in un contesto ampiamente moderato dalla componente a tempo pieno e a tempo indeterminato e da un aumento degli occupati largamente concentrato nel settore dei servizi, risulta chiaro che l'andamento dell'occupazione in Italia conferma l'ipotesi che misure generalizzate di flessibilizzazione del mercato tenderanno inevitabilmente ad applicarsi soprattutto nelle regioni in cui è strutturalmente maggiore la presenza di imprese dinamiche, mentre nel sud si potrebbero accumulare nuovi divari e debolezze. Ecco perché intendiamo sottolineare il fatto che sul meridione si concentra una nuova attenzione, al fine di evitare che il dibattito possa, di volta in volta, affezionarsi, per così dire, ad un singolo aspetto del problema. Intanto bisogna riconoscere che, al contrario di quanto è accaduto nel passato, oggi esistono le politiche per il Mezzogiorno, più numerose rispetto agli anni settanta e ottanta, quando l'intervento straordinario salvava l'anima ad una classe dirigente incapace di individuare le direttrici vere di un possibile sviluppo. Oggi vi è un'attenzione nazionale verso il Mezzogiorno, che riguarda non solo gli investimenti economici, ma anche la crescita culturale e scientifica, così come il salto di qualità della rappresentanza politica ed istituzionale.
A proposito del governo delle risorse, vi è una novità evidente: l'impegno senza precedenti sul quale si sta misurando ed anche selezionando una nuova classe dirigente, attraverso una riorganizzazione dei livelli di programmazione ordinaria. Essi valorizzano il ruolo delle regioni, lasciano al Governo il compito di coordinamento ed armonizzazione degli interventi, sollecitano l'uso dei finanziamenti comunitari, al fine di completare la transizione dall'intervento straordinario all' intervento ordinario, quindi ad una assunzione ordinaria delle responsabilità di governo delle risorse e del territorio.
Ecco lo sforzo nuovo che è stato compiuto in questi anni e che va sottolineato nel dibattito sulla legge finanziaria, con particolare impegno, al di là delle difficoltà e dei dati congiunturali. È proprio uno sforzo nuovo che da alcuni anni caratterizza la visione del Mezzogiorno e l'attenzione nazionale su di esso. Il Governo attuale, così come quello precedente, sta enfatizzando le potenzialità positive di un Mezzogiorno moderno che è parte integrante del territorio europeo. Abbiamo vissuto l'integrazione europea non solo come integrazione di parametri economici legati a Maastricht, ma come integrazione territoriale, che riguarda i sistemi di comunicazione, le grandi reti di collegamento transnazionali, l'integrazione del territorio, la continuità territoriale, la valorizzazione delle vie del mare, l'emergere, in Italia e nel sud, del primo grande porto container del Mediterraneo, vale a dire il grande porto di Gioia Tauro. Si tratta di un'enorme novità produttiva in un territorio così debole ed esposto anche alle insidie della malavita e della mafia, che è il segnale di una crescita dell'intero sistema dei trasporti marittimi italiani, di una valorizzazione dei grandi porti del nord Italia, ma anche di intere aree territoriali, quali quella di Taranto e dei nuovi investimenti nel porto di Taranto, nel porto di Cagliari, in quelli di Salerno e di Catania e nel sistema degli aeroporti meridionali, da Bari a Palermo, a Napoli, quindi nelle grandi reti.
Allo stesso modo, in questo dibattito, è giusto sottolineare un altro aspetto. Mi rivolgo ai rappresentanti delle opposizioni, di Forza Italia e di Alleanza nazionale, che con maggiore attenzione dovrebbero riflettere sul fatto che un grande tema da loro segnalato in termini pre-elettorali nel Mezzogiorno, in Calabria ed in Sicilia, finalmente, grazie a questa maggioranza e a questo Governo, comincia ad essere affrontato in maniera nuova. Mi riferisco al rapporto tra la Sicilia e il continente e tra la Calabria e la Sicilia, al collegamento stabile dello stretto, cioè ad un'ipotesi progettuale con cui finalmente, grazie alle decisioni del Governo, attraverso le valutazioni di un advisor selezionato su base internazionale, verrà effettuata una verifica delle condizioni ambientali, finanziarie e tecnologiche per poter affrontare il problema in maniera culturalmente nuova.
Allo stesso modo, segnalo l'attenzione del Governo sui temi della crescita culturale del Mezzogiorno, della qualificazione delle strutture scolastiche, del rilancio delle strutture di ricerca e dello sviluppo tecnologico, con un impegno di investimenti e con intese di programma che riguardano il rapporto con il CNR e con l'ENEA. Sono tutti impegni di grande valore su cui il Governo deve vigilare, perché possano essere rapidamente attuati; ciò vale anche per i progetti innovativi per i parchi scientifici e tecnologici e per i contributi alla crescita dell'attività di ricerca e di formazione negli istituti scientifici e culturali, universitari e non.
Ho fatto alcuni esempi dell'impegno che sta caratterizzando una politica nuova verso il Mezzogiorno, che va al di là dell'impegno dei 12 mila miliardi per il triennio 2000-2002, che pure possiamo leggere nelle pagine di questa legge finanziaria. La conseguenza diretta di questa nuova consapevolezza è, quindi, che vi è bisogno di un salto di qualità ulteriore per il coordinamento degli strumenti e delle politiche già in atto.
Spesso in questo periodo si legge sulla stampa di discussioni, polemiche, differenze enfatizzate, che vanno invece ridotte per articolare meglio gli strumenti. Mi riferisco al dibattito su Sviluppo Italia, sottolineando come la stessa discussione tra il dipartimento dello sviluppo del Tesoro ed i vertici di Sviluppo Italia non debba riguardare l'enfatizzazione di una sola sede o di un solo strumento attuativo ed operativo.
Occorre mantenere con forza l'impostazione che ha trasferito molti poteri e funzioni dal centro alla periferia, altrimenti torniamo ad una discussione e ad una polemica del tutto neocentralistiche e neoverticistiche. Dico ciò perché, al di là delle canoniche lamentazioni sul divario e l'arretratezza, il Mezzogiorno di oggi si presenta come una realtà che partecipa appieno alle dinamiche ed ai ritmi dell'Europa, il che non vuol dire naturalmente che non vi siano problemi - al contrario - ma solamente che i problemi del Mezzogiorno di oggi sono più che mai, a pieno titolo, problemi dell'Europa.
È iscritto a parlare l'onorevole Casilli. Ne ha facoltà.
Non ritornerò pertanto su questi argomenti e, in modo particolare, su quelli già trattati. Nei pochi minuti di cui dispongo per il mio intervento vorrei
Dico questo non per innescare una polemica, ma per affrontare in maniera serena il tema del Mezzogiorno smitizzando alcuni luoghi comuni che vengono utilizzati in una polemica sterile del nord contro il sud.
Fatte queste brevi considerazioni, vorrei ora far riferimento ad un importante emendamento del Governo presentato in Commissione bilancio e volto allo stanziamento di mille miliardi per il triennio 2000-2002 in favore della sicurezza delle regioni meridionali. Ho così potuto presentare un subemendamento, accettato dal Governo e dal relatore, tendente al finanziamento dei patti per la sicurezza, fino a questo momento privi di finanziamento.
I tragici fatti che ieri hanno colpito la mia terra, con l'assalto a Lecce a due furgoni portavalori nel modo che tutti ben conoscete, hanno riproposto in modo attuale e drammatico questo tema, al punto che gli strumenti indicati si riveleranno utilissimi poiché occorre creare sul territorio una rete di prevenzione. Se la Puglia, e il Salento in particolare, possono immaginare una condizione dello sviluppo legata al processo di democratizzazione dei paesi dell'est e alla pacificazione nei Balcani, da un lato ciò rappresenta un positivo elemento di sviluppo per quella zona del paese, ma dall'altro le difficoltà che esistono si ripercuotono in maniera drammatica sul nostro territorio. Un elemento importantissimo inserito in questa finanziaria è quello che mette insieme le istituzioni locali, le forze di polizia, gli organi dello Stato per un'efficace strategia di prevenzione di questi fenomeni.
Il collega che mi ha preceduto ha già fatto cenno alle iniziative assunte a favore del Mezzogiorno, in modo particolare al rapporto che deve esistere tra il dipartimento per le politiche di sviluppo e coesione e la società Sviluppo Italia. Su questo tema la maggioranza si è riservata di presentare un emendamento. Vorrei precisare che la posizione del Partito popolare su questo argomento è stata definita in maniera chiara: noi non ci affezioniamo a modelli organizzativi, a noi interessa capire in che modo si articolerà l'iniziativa di questa società che, se da un lato ha avuto una funzione meritoria nel semplificare le tante agenzie che si occupavano di incentivi per il Mezzogiorno, dall'altro deve ancora trovare una sua precisa fisionomia.
Vorrei sottolineare il rapporto che deve esistere tra Sviluppo Italia ed il dipartimento per le politiche di sviluppo e coesione del Ministero del tesoro. Anche oggi molti quotidiani nazionali si sono occupati della teoria dello sviluppo autopropulsivo, ma su questo argomento deve essere detta finalmente una parola chiara, approfittando anche dell'autorevolezza della sede. Intendo dire che occorre orientare tutte le nostre scelte ed iniziative affinché lo Stato mantenga un rapporto di indirizzo e di controllo, mentre le autonomie locali vanno pienamente responsabilizzate per quanto riguarda la scelta e l'utilizzazione delle risorse.
Abbiamo paura che al centralismo dei ministeri si sostituisca un centralismo regionale, che non risolverebbe uno degli annosi problemi del Mezzogiorno: l'eccesso di burocrazia, che spesso limita ed impedisce la realizzazione degli investimenti. Non vi è un solo Mezzogiorno, ma
Dobbiamo cominciare - mi riferisco a noi che rappresentiamo la classe dirigente del Mezzogiorno - a sfidare noi stessi; di fronte ai problemi che rappresentano un ostacolo allo sviluppo, dobbiamo creare condizioni favorevoli ad attrarre gli investimenti e a difendere e proteggere chi investe, affinché la burocrazia amministrativa non sia un nemico, ma uno strumento di accompagnamento all'utilizzazione delle risorse. In tal senso, ritengo che dovremmo orientare i nostri comportamenti e le nostre scelte.
Probabilmente, nell'ulteriore corso del dibattito parlamentare e delle votazioni sugli articoli e sugli emendamenti a partire da giovedì prossimo si tornerà, in maniera più precisa, sui temi relativi a Sviluppo Italia ed alla sicurezza nel Mezzogiorno.
Questa finanziaria per certi aspetti non era immaginabile solo pochi anni fa; essa in qualche misura restituisce ai cittadini gli sforzi ed i sacrifici che hanno compiuto; è, però, una finanziaria che deve trovare in sé - magari attraverso i disegni di legge collegati, che saranno prossimamente discussi dal Parlamento - la forza per creare condizioni ancora più favorevoli perché la ripresa del nostro paese non sia quella di una cenerentola in Europa, ma ci consenta di viaggiare al pari degli altri paesi europei. Vorrei che non si dimenticasse che nel documento di programmazione per il Mezzogiorno, anche rispetto alle risorse derivanti dai fondi strutturali, si chiede al sud Italia, per gli anni che vanno dal 2000 al 2006, un tasso di crescita che dovrebbe essere quasi il doppio della media nazionale ed europea.
Nei mesi che ci separano dalla conclusione dell'attuale legislatura, dovremo porre in essere una politica di semplificazione, di aiuti e di agevolazioni, nonché di «sburocratizzazione» per consentire al Mezzogiorno di crescere.
Signor Presidente, colleghi, ritengo che il Partito popolare abbia dato nei lavori in Commissione il proprio contributo di originalità su alcune questioni; mi riferisco anche all'ordine del giorno sulla delocalizzazione produttiva e a quello - peraltro non accolto - sui compact disc. Continueremo a dare tale contributo anche nel corso dell'ulteriore iter parlamentare del disegno di legge finanziaria. Come sapete, è stato anche presentato un emendamento sui contributi scolastici.
In conclusione, sono convinto che tutto ciò verrà fatto per riaffermare un'opinione, un pensiero ed una cultura, in modo tale che, comunque, la compattezza del Governo e la salvezza della maggioranza non debbano essere minate da queste posizioni.
Si tratta di una manovra finanziaria leggera, ma in senso negativo, vale a dire inconsistente e inadeguata ad affrontare e risolvere i nodi strutturali del paese. Si tratta sostanzialmente di una manovra preelettorale di stampo assistenzialistico: viene redistribuito quanto ottenuto da una pesante imposizione fiscale, dando poco a tutti.
Inoltre, dal punto di vista politico generale, la nuova disciplina relativa alla manovra finanziaria se da un lato fa emergere, in modo più evidente che in passato, le linee complessive di indirizzo del Governo, senza quella frammentazione che ha sempre caratterizzato il provvedimento collegato alla manovra di finanza pubblica, dall'altro fa sì che per ogni settore prevalga la tendenza a fotografare la situazione in atto, senza una compiuta incidenza normativa: pertanto, siamo portati a svolgere meno valutazioni di merito. Per quanto mi riguarda, mi soffermerò sulle valutazioni concernenti l'università e la pubblica istruzione.
Complessivamente, quindi, i finanziamenti destinati alla ricerca e all'università ci sembrano certamente inadeguati, soprattutto se si considera che anche questo settore sarà interessato da una riforma che stravolgerà l'intero assetto tradizionale degli studi accademici.
Decisamente contrari, inoltre, ci dichiariamo fin da adesso alle norme sullo stato giuridico del personale docente contenute nei provvedimenti collegati e preannunciamo su di essi una forte e decisa opposizione.
Per quanto riguarda la pubblica istruzione, se si può condividere, in linea di principio, il fatto che lo stato di previsione preveda stanziamenti anche in conto capitale - sarebbe la prima volta -, riteniamo del tutto irrisoria, signor ministro, la somma stanziata, pari solo a 16 miliardi di lire. Esprimiamo ulteriore perplessità perché in tale somma vengono ad essere ricomprese anche le dotazioni librarie. In buona sostanza, intendiamo denunciare ancora una volta l'eccessiva burocratizzazione relativamente ai sussidi ed alle dotazioni in favore delle scuole: è tempo di valorizzare l'autonomia delle istituzioni scolastiche e di ridurre al minimo i beni patrimoniali dello Stato nelle scuole, con tutto ciò che questo comporta sul piano amministrativo e contabile.
Riteniamo inoltre del tutto insufficienti gli incrementi degli stanziamenti complessivi relativi alla pubblica istruzione: rispetto ad essi non possiamo che esprimere delusione e preoccupazione visto che si stanno operando riforme di ampia portata senza i necessari ed adeguati stanziamenti finanziari. Le risorse aggiuntive, infatti - più 1,8 per cento rispetto alla finanziaria precedente -, sono state, fra l'altro, reperite, in buona parte, all'interno dello stesso comparto scuola. Per giunta la nuova unità previsionale di base sul sostegno all'istruzione dei giovani, dotata di 100 miliardi di lire, è arrivata alla Camera definanziata dal Senato. Ci auguriamo che il Governo abbia provveduto a rifinanziarla, perché non è possibile, diversamente, sperare che l'obbligo di istruzione possa trasformarsi in successo formativo senza un'adeguata dotazione finanziaria: rimarrebbe uno sterile obbligo giuridico, ma non si tradurrebbe in una risorsa per la formazione dei giovani.
Sono stati stanziati fondi per la copertura del nuovo contratto collettivo nazionale del comparto scuola, signor ministro, ma non per la nuova dirigenza scolastica: chiediamo, dunque, nuovamente a lei cosa intenda fare in merito, anche alla luce delle recenti e legittime rivendicazioni dei dirigenti scolastici italiani, avanzate durante il congresso nazionale dell'ANP a Chianciano, al quale lei ha partecipato, il 26 novembre scorso. Non c'è più tempo per queste scelte: dal 1o settembre 2000 andrà a regime l'autonomia scolastica e i dirigenti saranno investiti di nuove e più ampie responsabilità. Saranno dirigenti pubblici a tutti gli effetti e questo deve comportare un adeguato e differenziato riconoscimento economico.
Non si può e non si deve far finta di nulla, soprattutto quando si approva una finanziaria che prevede coperture per tutti i contratti.
Inoltre, per quanto riguarda la riduzione dell'1 per cento del personale prevista al primo comma dell'articolo 17, ritengo che il Governo dovrebbe presentare, una volta per tutte, una seria programmazione della gestione del personale. Signor ministro, anche se noi comprendiamo che la riduzione dell'1 per cento del personale è una misura di macroeconomia,
Con riferimento all'articolo 44 del disegno di legge in esame, quello concernente la fornitura gratuita dei libri di testo, dobbiamo denunciare le enormi difficoltà incontrate per attuare tali disposizioni. In questo senso, infatti, non capiamo per quale motivo si intenda prorogare una normativa che non ha funzionato. E lei, signor ministro, queste cose le sa! Finora nessun comune è stato in grado di pagare i libri di testo per i ragazzi bisognosi, dunque, la norma prevista dalla finanziaria dell'anno scorso non ha funzionato ed è stata ripresa e reintrodotta all'ultimo momento dal Senato (mi sto riferendo all'articolo 44 del testo in esame) soltanto per una questione politica.
Chiediamo delle garanzie, anche perché la risposta del sottosegretario Masini, che in Commissione ha parlato di monitoraggi e di revisioni non ci ha convinto. Se era intenzione del Governo fare tutto questo, perché finora non l'ha fatto? Inoltre, perché non ha previsto una normativa diversa anziché recuperare, senza modificarlo, il testo dello scorso anno?
Prima di concludere, signor Presidente, voglio dire che i fondi previsti per l'edilizia scolastica sono esigui; inoltre non è stato previsto alcunché - e questa è la cosa più grave - per l'attuazione della riforma dei cicli scolastici. Signor ministro, delle due l'una: o il Governo intende fare la riforma a costo zero oppure vuole solo approvare una norma da spendere sul piano elettorale lasciando poi i progetti di fattibilità e forse i debiti ai Governi successivi. Noi vogliamo sapere come esattamente stanno le cose; nell'uno o nell'altro caso siamo veramente sconcertati per questa scelta del Governo.
Per tutti questi motivi, Forza Italia esprimerà con convinzione un voto contrario sugli articoli del provvedimento che riguardano l'università e la pubblica istruzione (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale).
È iscritto a parlare l'onorevole Paolo Rubino. Ne ha facoltà.
Colgo l'occasione per valutare il disegno di legge finanziaria sotto il profilo agroalimentare, e vedere, in particolare, se questa finanziaria risponda alle esigenze di tale settore. Partirò da quanto è accaduto in questi giorni nell'incontro delle organizzazioni del commercio mondiale. Nel corso di tale incontro si è finalmente potuta capire - per chi non l'aveva ancora capito - l'importanza strategica di questo settore e gli interessi esistenti dietro di esso.
A coloro i quali hanno considerato per tanto tempo il settore dell'agricoltura come un cane vecchio, un cane morto, che non poteva più dare e dire nulla all'economia nazionale, debbo rispondere che si è scoperto che i rapporti tra gli Stati, tra l'America e l'Europa, tra l'Europa e i
Nelle scelte del passato, nelle quali hanno prevalso gli interessi dell'agricoltura continentale, stanno i guai e i problemi dell'agricoltura, in modo particolare di quella meridionale. Credo che per la prima volta con questo Governo siamo riusciti a far dipendere gli accordi commerciali dalle ricadute che avrebbero potuto avere nel settore agroindustriale. Non era mai successo e proprio per questo sussistono molti dei problemi che ancora ci troviamo di fronte. Se questo orientamento fosse stato assunto negli anni passati, non avremmo avuto, ad esempio, l'invasione di molti prodotti che ha interessato il nostro paese.
Credo che la cosa più interessante presente nella politica di questo Governo e in questa legge finanziaria sia il contenuto del decreto n. 173, con il quale finalmente si passa da una logica finalizzata a ridurre il costo del lavoro ad una logica moderna ed utile per le imprese agricole che è quella della riduzione dei costi di produzione, che è un'altra cosa.
In questa legge finanziaria è previsto un finanziamento che può cominciare a dare sostanza a queste scelte politiche tese a rendere competitiva la nostra agricoltura non solo a livello europeo, ma anche fuori dall'Europa. Credo anche che non si debba sottovalutare che il Governo, con un emendamento su cui ha espresso parere favorevole, relativo alle zone svantaggiate dell'obiettivo 1, ponga la continuazione della fiscalizzazione degli oneri sociali come condizione per mantenere in situazione di competitività la nostra agricoltura. Credo, altresì, che non vada sottovalutato il fatto che, per la prima volta, l'agricoltura sia introdotta nelle scelte concertate rappresentate dai patti territoriali, entrando a farne parte. Nessuno, del resto, può sottovalutare che in questa finanziaria, per il settore agroalimentare, è prevista una somma di 300 miliardi di investimenti. Ciò significa forse che il settore dell'agricoltura e delle imprese agricole non avrà più problemi? Non sono convinto di ciò, ma sono convinto che, su questa linea, alla lunga sapremo dare risposte.
Il punto è, però, analizzare come oggi sappiamo rispondere alle emergenze. Vorrei che il Governo e il Parlamento puntassero l'attenzione su alcune questioni che possono mettere in discussione quella che ho definito una politica giusta e adeguata per il settore dell'agricoltura. I ritardi che ci troviamo ad affrontare sono molti e molto spesso condizionano la sopravvivenza delle nostre imprese agricole. Basta pensare, ad esempio, alla mia regione, la Puglia: dal 1986 le aziende agricole che hanno subito danni a causa di calamità atmosferiche - danni riconosciuti e decretati - non hanno mai ricevuto una lira. Basta pensare ancora a quella che è stata la vecchia politica economica di questo paese, con un'agricoltura cenerentola, che ha esposto le nostre imprese agricole a debiti con le banche con tassi di interesse da usura e che spesso rappresentano una delle ragioni fondamentali della crisi delle imprese agricole: non delle aziende che vivono di rendita, ma di quelle imprese
Credo anche che oggi scontiamo la presenza di strutture vecchie ed inadeguate rispetto alle esigenze di una commercializzazione in grado di rendere i produttori protagonisti, soggetti e non oggetti di speculazione nel mercato. Abbiamo invece, come dicevo, strutture vecchie ed inadeguate all'aggressività del mercato. Si tratta quindi di vedere in che modo, nell'emergenza, sappiamo far fronte a questi problemi, che possono rimettere in discussione quella che a mio avviso è una politica giusta di questo Governo. Dobbiamo vedere in che modo il Parlamento ed il Governo, di fronte all'emergenza che interessa il settore, sapranno trovare (come pure in qualche emendamento è stato indicato) una disponibilità finanziaria superiore, individuando fonti finanziarie diverse.
Ritengo anche che, insieme alla scelta giusta compiuta dal Governo di guardare alla questione INPS rinnovando nelle zone dell'obiettivo 1 la proroga della fiscalizzazione, dobbiamo valutare da subito come sia possibile mettere il nostro paese in una condizione di pari opportunità rispetto all'Europa, ossia come si determini strutturalmente, in modo definitivo, una contribuzione che stia dentro l'Europa e che, quindi, non esponga le nostre imprese ad una concorrenza sleale rispetto alle altre agricolture. Mi riferisco soprattutto a quell'agricoltura mediterranea che per le colture che la caratterizzano richiede molte giornate di lavoro, molto impiego di manodopera.
Ritengo poi che il Governo - e, soprattutto, il ministro delle politiche agricole - sia chiamato a mantenere l'impegno che in quest'aula ha sostenuto ed ha preso con noi, cioè quello di valutare in che modo, di fronte all'atteggiamento d'indifferenza delle banche rispetto ad un settore fondamentale, soprattutto per il Mezzogiorno, qual è l'agricoltura, sia possibile evitare azioni di aggressione alle imprese agricole. Si tratta cioè di valutare come sia possibile determinare un periodo - il ministro parlava di due anni - entro il quale il Governo possa trovare strumenti adatti ad evitare un'aggressione alle imprese agricole che, se rappresenterebbe un danno per queste ultime, costituirebbe, a mio avviso, un danno anche per le stesse banche, ma soprattutto per il lavoro nel Mezzogiorno.
Se il mercato rappresenta una delle questioni fondamentali per assicurare all'agricoltura il giusto valore aggiunto, per far sì che i sacrifici che le nostre imprese compiono non finiscano in altri settori, per dare ad esse un ruolo, abbiamo bisogno di trovare incentivi e forme nuove ed adeguate per strutture di commercializzazione che sappiano stare nel mercato mondiale e rendere i nostri produttori protagonisti e non soggetti passivi, oggetti di speculazioni da parte di settori esterni all'agricoltura.
Sono convinto, come diceva il collega Soriero, che il Mezzogiorno abbia ricevuto da questo Governo un'attenzione che non vi era mai stata prima. Credo, però, che tutti noi siamo preoccupati di alcuni fenomeni figli del passato e di contraddizioni mai risolte, ai quali si sono aggiunti nuovi problemi. Ritengo pertanto che abbiamo bisogno di valutare come andare oltre l'ordinario, come il Parlamento e il Governo possano attuare un impegno straordinario per rispondere alla situazione altrettanto straordinaria ed eccezionale del Mezzogiorno. In quest'aula si è parlato di Lecce e di Cosenza; ritengo che tali fenomeni debbano farci riflettere perché, a nostro avviso, una delle cause dell'arretratezza del Mezzogiorno è rappresentata proprio dalle questioni sociali ed economiche che il Mezzogiorno stesso ancora affronta e vive. Da questo punto di vista, la finanziaria in esame non può risolvere da sola i problemi; con tale provvedimento, però, dobbiamo fare l'impossibile per rispondere al meglio, nel modo più adeguato, alle esigenze del nostro meridione.
Concludo, signor Presidente, dichiarando di condividere la relazione sul disegno di legge finanziaria ed auspicando che la discussione in corso non sia inutile,
Oggi discutiamo una finanziaria che viene annunciata come leggera, mentre non ci si rende conto che si tratta soltanto di una finanziaria elettorale, con «effetti annuncio» che da mesi vengono trasmessi attraverso la televisione nelle case degli italiani. La situazione è veramente grave perché mancano gli elementi fondamentali per lo sviluppo, per la produzione e, quindi, manca la possibilità di creare occupazione reale e di allineare seriamente il nostro paese, su un piano di capacità concorrenziale, agli altri paesi europei.
Si discute una finanziaria che interviene dopo una fase di grandi sacrifici, di ristrettezze, di aumenti del carico fiscale e tributario al limite ed oltre il sopportabile. Dopo il raggiungimento dei parametri di Maastricht, per raggiungere i quali è stata adottata una politica - vanamente contrastata dalle nostre forze di opposizione - che ha portato l'economia del paese ai limiti del collasso, quella in esame dovrebbe essere la finanziaria della «fase due», capace di dare un notevole impulso all'economia e all'occupazione, di ridurre, o di iniziare a farlo, il carico fiscale, di distribuire meglio le risorse destinate alla politica sociale; in altre parole, tale provvedimento dovrebbe rimediare, almeno in parte, ai danni prodotti negli anni precedenti. Questi erano gli obiettivi della precedente finanziaria (quella per gli anni 1999-2001), i cui risultati, da questo punto di vista, sono sotto gli occhi di tutti. Purtroppo, non si può dire né che la finanziaria passata abbia raggiunto tali scopi, né, cosa ancor più grave, che quella in esame sia idonea a farlo per il prossimo 2000. Abbiamo detto, allora, che quella finanziaria non aveva le caratteristiche necessarie per dare slancio all'economia, per accelerare lo sviluppo e per mitigare il grande differenziale tra il nord e il sud del paese, nonché per dare un valido sostegno alla struttura produttiva, e quindi per consentire una crescita dell'occupazione specialmente nel Mezzogiorno. Tutto ciò è vero e si è verificato! Alla luce dei risultati, siamo purtroppo costretti a confermare quelle parole e quelle previsioni, che possiamo ripetere tali e quali anche per questa finanziaria del 2000.
Le forze politiche di questa maggioranza, con le loro scelte, hanno ridotto il sistema produttivo ai limiti della recessione perdendo un ulteriore anno. Cito soltanto qualche esempio di tali scelte: sono state sempre più penalizzate le piccole e medie imprese, che rappresentano l'asse portante della nostra economia, e sono state sottoposte a norme e a balzelli di tutti i tipi, tra i quali primeggia - ma non da sola - l'applicazione dell'IRAP, ovvero di un'imposta che colpisce l'attività imprenditoriale a prescindere dai suoi risultati economici e che peraltro è anche indeducibile. A mettere ancora più
Si è preferito ricorrere a misure fittizie, come gli interventi sui flussi di Tesoreria, ritardando i pagamenti dovuti. Con quali risultati? Si è certamente ridotto il fabbisogno, perché si sono ridotti i pagamenti, ma ciò ha avuto effetti deleteri non solo nei riguardi degli enti locali per i loro prelievi, ma anche sui bilanci delle imprese che hanno rapporti economici con la pubblica amministrazione. Si sono sottratte migliaia di miliardi al mercato interno con riflessi sulla riduzione della domanda interna stessa. Questa scelta ha generato anche una massa di residui passivi propri, debiti certi che oggi gravano come un macigno sulla spesa pubblica. Sono debiti che bisognerà ben pagare e che ammontano a 123.991 miliardi. Giustamente, la Corte dei conti ha espresso in proposito la propria preoccupazione, che è anche la nostra.
Si è compiuta e si compie una mistificazione parlando di riduzione dell'imposizione fiscale, con l'abbassamento dell'aliquota IRPEF dal 26,5 per cento al 25,5 per cento, con detrazioni e deduzioni di cui all'articolo 8 della presente finanziaria, omettendo di dire che in definitiva il carico fiscale invece si aggraverà con l'applicazione dell'addizionale IRPEF regionale, comunale e provinciale e soprattutto con l'aumento di imposte inique come l'ICI, che sarà ancora più gravosa per la revisione delle rendite catastali in atto e quindi dell'imponibile! Anche l'ICI, peraltro, è un'imposta indetraibile!
Ho parlato di imposta iniqua perché ci troviamo di fronte ad una imposta che, con il suo 7 per cento sul valore dell'immobile, è pari al 70 per cento della rendita catastale; ciò ha danneggiato gravemente il mercato edilizio e quindi le imprese del settore che sono tra l'altro caratterizzate da un alto impiego di manodopera.
In realtà, per questo Governo e per questo centro-sinistra o sinistra-centro, il cittadino è un limone da spremere: chi produce ricchezza è un colpevole da penalizzare e sfruttare. Non si tiene conto però che superare certi limiti di imposizione fiscale costituisce per il mondo imprenditoriale una minaccia alla sopravvivenza ed alla possibilità di competizione e di sviluppo. La conseguenza di questa politica è un ristagno, se non una recessione dell'economia! E così assistiamo ogni giorno ad espulsioni di lavoratori dalle imprese; oggi vengono chiamate anche «esuberi», espulsioni di imprese dal mercato, perdite continue di posti di lavoro. Ma questo sembra non avere allarmato i precedenti Governi di centro-sinistra, come sembra non preoccupare più di tanto l'attuale Governo, per il quale tutto va bene; politiche di occupazione, patti territoriali, agenzie di Sviluppo Italia, missione Mezzogiorno, non decollano e mantengono il lavoro come il principale e angoscioso problema per i cittadini ed in particolare per i giovani, che diventano via via anziani senza entrare mai nel mondo del lavoro! A fronte delle spese correnti che continuano a mantenere più o meno costante il loro valore percentuale rispetto al PIL, invece le spese in conto capitale - quelle per gli investimenti - sono diminuite notevolmente nei primi due anni di questa legislatura. Tale spesa è scesa di ben 26 punti e nel 99 è ancora di 15 punti inferiore rispetto al 1995. Secondo la nota di aggiornamento al DPEF presentata da questo Governo, è prevista una ulteriore riduzione per arrivare nel 2003 ad una spesa pari al 3,5 per cento del prodotto interno lordo.
La maggiore riduzione peraltro ha interessato ancora una volta il Mezzogiorno.
Il nostro sistema produttivo è in grave crisi, le nostre imprese perdono sempre più competitività gravate da una imposizione fiscale certamente più gravosa di quella che colpisce le imprese concorrenti degli altri paesi e da un sistema burocratico-amministrativo tra i peggiori d'Europa.
Occorre accelerare l'azione per rimuovere i fattori che impediscono ancora l'efficace funzionamento della macchina pubblica, ma nelle norme in esame mancano elementi veramente validi per questo obiettivo. Occorre soprattutto una vera ed efficace riduzione del carico generale degli oneri fiscali e del costo del lavoro che grava sulle imprese. Sappiamo tutti che non è più possibile intervenire con la politica monetaria sui cambi per favorire le esportazioni poiché la sovranità su queste politiche ormai appartiene all'Europa. Rimane solo la possibilità di operare con la politica fiscale, anche se a certe condizioni, ma da questo orecchio il Governo D'Alema, il Governo della sinistra-centro, non ci sente!
Registriamo un gravissimo deterioramento della nostra competitività esterna. L'ulteriore caduta delle esportazioni negli ultimi mesi dimostra una perdita continua di quote di mercato che vengono conquistate dalla concorrenza e che, se non verranno presto recuperate, diventeranno perdite irreversibili.
In questa finanziaria non ci sono elementi che ci facciano intravedere né ripresa del mercato interno né ripresa della competitività esterna, elementi necessari per la crescita economica e, quindi, per l'occupazione. Per far sì che la domanda interna possa veramente riprendere non è sufficiente che i cittadini e le famiglie, con tanta demagogia, abbiano un lieve incremento nella disponibilità economica. Questo è necessario, ma non è sufficiente. Occorre che rinasca la fiducia nel domani, che si abbia la concreta speranza di un lavoro per chi oggi non ce l'ha e la certezza di mantenerlo per chi ce l'ha. È necessario poter pensare che l'eventualità di dover cambiare lavoro, la cosiddetta mobilità, a quarant'anni e dintorni, non si trasformi invece nell'amara certezza della disoccupazione per il resto della propria vita lavorativa. Di questo c'è bisogno, oltre che della disponibilità economica, ma questo Governo, questo centro-sinistra o sinistra-centro, per come ha operato e continua ad operare non può ispirare una tale fiducia. Per questo motivo il Polo ha cercato in ogni modo di apportare modifiche a questa finanziaria chiedendo, tra l'altro, che tutte, e non solo una parte delle maggiori risorse reperite quest'anno per oltre 27 mila miliardi contro sgravi fiscali per 10 mila miliardi, fossero restituite ai cittadini e quindi al mercato interno e fossero destinate alla riduzione del carico fiscale e del costo del lavoro per le imprese. Senza questa politica per la quale ci siamo battuti e ci battiamo non vi può essere sviluppo e ripresa dell'occupazione, gli unici elementi che possano ridare fiducia ai cittadini e speranza all'enorme massa dei disoccupati (che oggi superano l'11,4 per cento, mentre in Europa si è già al di sotto del 10 per cento) che sono una vera emergenza per il paese assieme al mancato sviluppo del Mezzogiorno e delle aree depresse strettamente collegate.
Signor Presidente, signori del Governo, noi, con estrema convinzione, come lo scorso anno con quella finanziaria che non dava nessuna prospettiva e faceva perdere un anno, oggi vi diciamo che ne
Per poter uscire da questa situazione bisogna abbattere il Governo della sinistra, bisogna cambiare il Governo che rappresenta lo Stato per dare un indirizzo diverso che rilanci lo sviluppo e quindi l'occupazione e restituisca serenità alle nostre famiglie (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale).
Per quanto riguarda l'IRAP, che penalizza le imprese con intensità crescente, attraverso l'applicazione di un'aliquota progressiva destinata ad entrare a regime nel 2003, prendiamo atto che il Governo intende prorogare per quest'anno l'aliquota dell'1,9 per cento, che, per gli anni successivi, è stata rideterminata, rispettivamente, al 2,3, al 2,5, al 3,1 e al 3,75 per cento. Anche se registriamo pertanto un miglioramento rispetto alle condizioni di partenza, resta il problema di fondo, cioè che per l'agricoltura il percorso verso l'aliquota normale concretizza un progressivo aggravio di imposta. Inoltre, la determinazione della base imponibile andrebbe rivista, ovvero, più semplicemente, si potrebbe addivenire ad una forfettizzazione attraverso un'aliquota speciale.
Mi preme sottolineare ancora che i Governi della sinistra, tutti i Governi della sinistra, anche quello precedente, si erano più volte impegnati al cosiddetto «tavolo verde» per garantire una sostanziale invarianza di gettito per il settore primario. Così non è stato e tutti sappiamo che così non sarà. Quindi, registriamo un'ennesima bugia.
Segnalo inoltre che dal 1o gennaio 2000 sarà abolito il regime speciale IVA. La quantificazione del beneficio derivante dall'applicazione del regime speciale si attesta sui 700 miliardi, dei quali circa 500 si concentrano sui settori dell'allevamento e del vino. Deduzione logica: ci troviamo dinanzi ad un'ulteriore penalizzazione per il settore agricolo.
Da parte del Governo, inoltre, non vi è stata sinora alcuna risposta positiva per quanto riguarda il problema dell'imposta sulle successioni e sulle donazioni. Al di là della ben nota e sottoscrivibile posizione del presidente Berlusconi, di Forza Italia e del Polo, volta a togliere di mezzo questa odiosa forma di tassazione che grava soprattutto sui piccoli patrimoni, mi preme rilevare che ci attenderemmo per il settore agricolo almeno l'accoglimento di un nostro emendamento, teso ad eliminare l'imposta di successione per i trasferimenti in linea diretta di fondi e fabbricati rurali per gli agricoltori professionali, cioè per i coltivatori diretti e per gli imprenditori a titolo principale.
Sul fronte previdenziale emergono due problematiche rilevanti: quella relativa al prolungamento del condono, comprensivo dell'anno 1998, e quella connessa alla
Per quanto riguarda poi gli interventi del Ministero per le politiche agricole e forestali (MIPAF), riconosco che l'impostazione della manovra per la parte di competenza prettamente agricola può definirsi, ancor più che modesta, tradizionale, dato che l'elencazione delle risorse disponibili non presenta significative variazioni con le precedenti finanziarie, che in termini reali movimentavano somme di entità analoga.
Avendo registrato, anche su questo versante, ridicoli trionfalismi da parte di alcuni, occorre ricordare che, per ragionare sull'entità della manovra in termini realistici e con riguardo alla prospettiva dell'intervento pubblico in agricoltura, sarà il caso di sottrarre al volume della spesa indicata poste che nulla o poco hanno a che vedere con le richieste avanzate dagli imprenditori agricoli per sostenere adeguati livelli di competitività, finora conseguiti unicamente ricorrendo all'iniziativa privata. In particolare, in tabella A, gli accantonamenti per la regolazione debitoria delle quote-latte, per 750 miliardi, costituiscono una tassa a carico dei cittadini che ha origine nell'incapacità dell'amministrazione di corrispondere agli obblighi di legge, attribuendo agli allevatori incontestabili diritti di produzione.
In altre parole, ci vuole molta fantasia per considerare tale voce come un intervento a favore degli investimenti in agricoltura. Considerazioni non molto diverse si possono svolgere per quanto attiene alla voce relativa alla regolazione debitoria della gestione ammassi da parte dei consorzi agrari: in realtà, si tratta di un credito nei confronti dello Stato che ha assunto dimensioni ingenti e la cui erogazione i consorzi agrari attendono da decenni, con conseguenti ricadute negative in termini gestionali, operativi ed anche occupazionali. Nel contempo, il rifinanziamento della legge n. 237 del 1992, iscritto per 107 miliardi, è subordinato al superamento di una contestata posizione ostativa del Ministero delle politiche agricole e forestali, che lascerebbe scoperti numerosi soci fideiussori delle cooperative in liquidazione.
In tabella B, sono poi indicati 889 miliardi e 100 miliardi aggiuntivi a copertura della legge di programmazione, che peraltro non esiste: il gruppo di Forza Italia non si sottrarrà all'impegno assunto di consentire il percorso parlamentare della legge di programmazione. Al riguardo, si tratta non solo e non tanto di assicurare un iter accelerato, ma soprattutto di garantire il risultato auspicato, volto ad ottenere un quadro programmatorio che sia effettivamente di garanzia, per un autentico decentramento e per lo sviluppo delle autonomie regionali e locali. Francamente, nutriamo più di qualche dubbio sull'effettiva volontà e sulla reale capacità del Governo D'Alema (un Governo delle sinistre, pertanto strutturalmente portato ad un arcaico centralismo dirigista) di dar coerente corso alle proprie enunciazioni trionfalistiche, sinora regolarmente disattese nella realtà.
Per quanto attiene alla tabella C, riteniamo vada chiarita la portata del capitolo inerente al funzionamento di AIMA-AGEA, per il quale l'accantonamento non ci sembra sufficiente. In tabella D, ritroviamo, anche se fortemente ridimensionate, le poste tradizionali a copertura degli interventi della cassa proprietà contadina, di cui è in corso la riforma. Vengono inoltre destinati 100 miliardi al cosiddetto fondo per lo sviluppo in agricoltura, per indirizzarsi verso...
In conclusione, vale la pena di ricordare che il documento di programmazione economico-finanziaria 2000-2003 fa riferimento all'impegno del Governo di indirizzare risorse verso l'innovazione nel settore agroalimentare, affiancando alle politiche finalizzate all'abbattimento dei
Nel disegno di legge finanziaria manca anche il solo abbozzo di linee strategiche che possono mettere in condizioni il nostro settore primario di vivere ed operare nell'ampio scenario di un'economia globalizzata, che pure non potrà non tenere conto di alcune specificità ineliminabili del settore agricolo. Vi è una carenza allarmante di strategie per l'agricoltura del 2000, perché evidentemente l'attuale Governo non possiede il necessario respiro e la giusta visione; le dichiarazioni antiagricole di D'Alema pesano molto di più degli sforzi competenti, ed a volte abili, del ministro di settore e qualificano in modo netto ed inequivocabile gli indirizzi governativi verso l'agricoltura. In questa manovra finanziaria, il bilancio di previsione dello Stato dedica alle spese di investimento in conto capitale fondi di una esiguità allarmante e, soprattutto, calante di anno in anno: dai 957,8 miliardi del 2000 ai 911,8 miliardi nel 2001, per scendere allo scandaloso livello di soli 622,8 miliardi del 2002. Di fronte a queste cifre irridenti, destinate dal bilancio dello Stato agli investimenti in agricoltura, ci si chiede come si potrà anche solo ipotizzare una politica di rinnovamento delle strutture agricole per metterle in condizioni di confrontarsi con la concorrenza interna dei paesi dell'Unione europea e soprattutto di quelli extracomunitari. Di fronte a tale esiguità di intervento finanziario dello Stato, ci appare addirittura velleitaria tutta la legislazione agricola, che già di per sé si caratterizza per una politica di intervento episodica, disorganica, a tampone, incapace cioè di produrre risultati apprezzabili, proprio per l'assenza di un disegno strategico di intervento, nonché per la totale carenza di idonei strumenti finanziari.
Per rendere più chiaro quanto sto affermando, mi limiterò ad un esempio. La legge n. 373 sulla riduzione dei costi di produzione in agricoltura prevedeva, nei suoi punti più qualificanti, la riduzione proprio dei costi di trasporto dei prodotti agricoli, soprattutto con riferimento ad alcune zone del Mezzogiorno d'Italia, distanti dalle più significative aree di trasformazione e di consumo dei prodotti agricoli. Una finanziaria di ampio respiro avrebbe dovuto dettare linee strategiche d'intervento, nonché intervenire con congrui stanziamenti per agevolare l'economicità del trasporto dei prodotti agricoli, prevedendo ad esempio il raddoppio di strade di trasporto strategiche, quali la Salerno-Reggio Calabria, la Firenze-Bologna, la Civitavecchia-Livorno, nonché il raddoppio di tante importanti tratte di strade ferrate e la loro elettrificazione soprattutto nel sud d'Italia.
Non si è pensato nulla, nonostante i recenti auspici della stessa Presidenza della Repubblica per incentivare più ecologici
Nell'esame dell'entità della manovra si dovrà procedere con criteri di valutazione realistici, con riferimento ovviamente alle prospettive d'intervento pubblico in agricoltura, per scoprire l'elemento caratterizzante di tale intervento: disattenzione quasi totale alle richieste avanzate dagli imprenditori agricoli per essere messi in condizione di vera competitività, se solo si sottraggono dal volume della spesa indicata tutte le poste che poco hanno a che fare con lo sviluppo dell'imprenditoria agricola. Faccio solo qualche esempio: nella tabella A, i 750 miliardi accantonati per la regolazione debitoria delle quote latte non sono altro che una tassa a carico di tutti i cittadini, a causa dell'incapacità della pubblica amministrazione di amministrare, appunto, e controllare il sistema delle quote. In ogni caso non si può certo parlare, nella fattispecie, di investimenti in agricoltura, così come non si può parlare di investimento, se non in modo molto parziale e indiretto, per quanto riguarda la voce relativa alla regolazione debitoria della gestione ammassi da parte dei consorzi agrari, ove solamente ritardi della pubblica amministrazione hanno provocato la crescita abnorme di un debito che oggi va ad essere onorato.
Si potrebbe continuare con altre voci, quali il rifinanziamento della legge n. 237 del 1992, iscritto per 107 miliardi sul ripianamento dei debiti dei soci fideiussori delle cooperative in liquidazione e, per quanto riguarda la tabella B, gli 889 miliardi a copertura della legge di programmazione, che sarà il vero banco di prova della capacità di coordinamento del ministero, nonché delle capacità operative delle regioni.
Ma altri aspetti della manovra finanziaria all'esame confortano la tesi dell'assenza di interventi strutturali tali da favorire la competitività delle imprese agricole in piena incoerenza, tra l'altro, con gli obiettivi fissati dal documento di programmazione economico-finanziaria. Sul versante fiscale, infatti, l'IRAP mantiene intatta la sua carica penalizzante crescente nei confronti delle imprese, che nel 2003, quando andrà a regime con l'aliquota del 4,25 per cento, provocherà sull'agricoltura effetti devastanti dei quali questo Governo non sembra preoccuparsi eccessivamente, con incoscienza più unica che rara.
Dalla Commissione bilancio è stato partorito il topolino del congelamento per un anno dell'aliquota IRAP all'1,9 per cento, che a noi appare - e non è una lettura forzata ed interessata - come il perfezionamento di un'abile tattica di questo Governo, quella di avanzare richieste massime nella finanziaria per lasciare poi alle varie componenti del Governo, in primis alla componente maggiore, cioè quella diessina, la possibilità di apportare correzioni a favore del contribuente che diano a quest'ultimo l'impressione - ma è solo un'impressione - di un'attenzione seria, puntuale e vera verso le sue necessità.
Siamo più bravi che forti, continua a proclamare il presidente dei deputati diessini, Mussi: noi assentiamo di fronte ai giochi di questa finanziaria, che consistono nel raggiungere lo scopo prefigurando obiettivi ancora più pesanti per il contribuente per ripiegare poi sul vero obiettivo, pur sempre penalizzante, ma reso più accettabile dal finto ripiegamento.
Per un'imposta ingiusta, soprattutto per l'agricoltura, qual è l'IRAP non servono gli «zuccherini» delle dilazioni o dei ritardi nel suo cammino: è il percorso iniquo verso l'aliquota standard dell'IRAP che va bloccato.
Durante l'esame della finanziaria al Senato è stato approvato un emendamento, proposto da numerosi senatori, che estende la possibilità di vendita anche ai beni immobili con destinazione agricola appartenenti ad enti pubblici. Secondo stime attendibili i terreni agricoli in mano allo Stato, alle regioni ed alle amministrazioni pubbliche ammontano a 4,5 milioni di ettari, con un valore stimato in 10 mila miliardi di lire. Nessuno dubita dell'opportunità di tale intervento, ma
Manca soprattutto la garanzia che tali fondi agricoli vengano destinati effettivamente agli imprenditori agricoli, soprattutto ai giovani imprenditori, ai quali va nominalmente riconosciuto un sostanziale diritto di prelazione. Ma chi dà ai giovani imprenditori italiani 10 mila miliardi di lire? La legge sull'imprenditoria giovanile potrebbe soccorrere in tal senso e suggerire l'intervento della Cassa per la formazione della proprietà contadina. Orbene, questa finanziaria quali mezzi assegna alla Cassa, se non poche decine di miliardi che ne assicurano la mera sopravvivenza? È questa un'incongruenza della finanziaria alla quale il Parlamento può e deve porre rimedio, altrimenti sull'emendamento in questione, una volta approvata la legge finanziaria, si innesterà un gioco obbligato di speculazioni, al quale parteciperanno gioiosamente, come al solito, grandi gruppi industriali e grandi finanziarie.
È opportuno agire per evitare questo ennesimo inganno a danno del mondo agricolo, cogliendo questa buona occasione per consentire a forze fresche e giovani di dare nuova linfa al settore agricolo e cogliendo altresì l'occasione storica, sempre mancata, nonostante il tanto disatteso dettato del codice civile, per dare dimensioni più consistenti alle aziende agricole, in modo da consentire una piena vitalità aziendale, così come previsto da un nostro emendamento accolto dalla Commissione agricoltura.
Questa finanziaria, alla quale va riservato un giudizio oscillante fra l'inutile ed il negativo, sarà probabilmente ricordata per la pesante imposizione prevista dalla tassa sui prodotti sanitari, che ha trovato il mondo agricolo non tanto solidale con il comparto dell'industria chimica, gravato da un indubbio pericoloso precedente fiscale, quanto preoccupato dall'inevitabile riflesso dell'aumento del prezzo dei prodotti fitosanitari a seguito della tassa di nuovo conio, introdotta dall'articolo 47-bis dell'articolato della finanziaria per potenziare, come si dice, l'attività di ricerca e sperimentazione dell'agricoltura a basso impatto ambientale, nonché le campagne di promozione e di informazione sui prodotti dell'agricoltura biologica.
Il Governo ha difeso strenuamente questo emendamento imposto dai Verdi. Tutta l'opposizione del Polo ne ha chiesto dapprima l'abrogazione, soprattutto per i riflessi negativi sui costi dell'agricoltura, specie quella meno dotata di mezzi, per poi ripiegare su posizioni meno devastanti per l'agricoltura, facendo proprio un altro emendamento di Alleanza nazionale, che possiamo definire subordinato, che considerava quella tassa come un costo di impresa e come tale da valutare sotto il profilo fiscale, evitando così che l'industria riversasse sul prezzo dei prodotti fitosanitari l'importo dell'inopinata tassa.
La finanziaria del 2000 è stata definita «leggera»; per il settore agricolo l'aggettivo è improprio e strategicamente inutile perché non affronta e non risolve alcun nodo strutturale, mentre si limita a ripercorrere la vecchia strada di interventi episodici, disorganici, dai quali l'agricoltura esce sempre più avvelenata. Il nostro augurio è che essa possa disintossicarsi al più presto; a tal fine però sarà necessario ricorrere ad altri princìpi ispiratori, ad altri indirizzi governativi, ad una maggiore capacità di comprensione del ruolo fondamentale di questo settore in una società moderna anche sotto il profilo economico, oltre che sotto quello della necessità della persistenza nella nostra società dei valori di cui è impregnato il mondo dei campi. In passato si diceva molto retoricamente «guai ai popoli che abbandonano la terra!»; oggi senza retorica, ma con decisione, quasi con rabbia, affermiamo convintamente: «guai ai Governi che svendono l'agricoltura ad interessi inconfessati ma ormai chiari a tutti!» (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale).
Prima di tutto vorrei ripercorrere brevemente il quadro economico nel quale si inserisce questa manovra finanziaria, un quadro complesso e negativo poiché negli ultimi tre anni i paesi più industrializzati del pianeta sono cresciuti mediamente del 3 per cento, mentre l'Italia lo ha fatto al ritmo dell'1 per cento, con ben due punti di distacco. Siamo ultimi o penultimi tra i paesi sviluppati compresi da qualsiasi indicatore di competitività economica. Gli investimenti sono quasi a zero, il PIL non cresce per due motivi fondamentali, oltre quelli già noti; in primo luogo, perché i consumi sono bassi, dal momento che il potere di acquisto delle famiglie è rimasto fermo da anni, nonostante il basso tasso di inflazione; dunque, in realtà si sta perdendo reddito.
La società italiana si sta sempre più spaccando tra il ricco che diventa sempre più ricco e il povero che diventa sempre più povero. È davvero un ben risultato per lo Stato sociale auspicato da questo Governo e da Cofferati! Più povertà significa sicuramente degrado del territorio, sempre minori opportunità economiche, soprattutto maggiore criminalità.
Sappiamo che le imprese non riescono più ad esportare. Apparentemente questo succede perché la domanda internazionale tira di meno sia a livello mondiale che a livello europeo; questo però aveva senso nel 1998, e non solo per il mercato statunitense, ma oggi non è più così perché gli ordinativi aumentano e, anche se non in misura sufficiente, la domanda esiste. In realtà è il sistema industriale italiano che non riesce ad essere competitivo. Ciò non significa che i nostri intenditori non siano bravi, ma con i carichi fiscali a cui devono sottostare e con la rigidità del mercato del lavoro non possono certamente investire in nuova concorrenzialità. All'economia italiana mancano soprattutto i nuovi settori ed è per questo che dobbiamo continuamente confrontarci con altri paesi resi più competitivi dal fatto di operare in mercati più liberi e flessibili. La nostra è un'economia mutilata; siamo sopravvissuti alla nostra arretratezza compensandola con svalutazioni competitive ripetute: l'euro, tagliandoci la competitività valutaria nel mercato europeo, ci ha incatenati svelando la nostra crisi.
Le imprese italiane sono vitalissime. Infatti, investono molto, ma all'estero, lasciando il paese. Non esiste una strategia con la finalità immediata di costruire un solido percorso di sviluppo e di occupazione che permetta, nel medio termine, di abbattere la percentuale del tasso di disoccupazione del 12 per cento, costruendo un futuro serio, soprattutto per il sud e per i giovani.
Occorre, inoltre, costruire un equilibrio finanziario del bilancio pubblico. Ne consegue che il nodo vero da sciogliere con la politica economica è quello di mantenere basso il deficit e saper reperire le risorse per rilanciare sviluppo e occupazione. Non ci si può più illudere di poter aggiungere risorse gratis, scaricando gli oneri sul deficit pubblico; occorre, invece, spostare le risorse, contenere la spesa pubblica corrente con vere riforme strutturali, per creare spazio agli investimenti pubblici e ridurre la pressione fiscale sulle famiglie. Ciò si rende necessario per rilanciare i consumi e per sviluppare le imprese, nonché per sostenere investimenti produttivi che creino vera occupazione.
Un esempio importante di come questo Governo e questa manovra finanziaria intendano seguire il percorso verso lo Stato federale: la riduzione di 2.000 miliardi nei trasferimenti erariali agli enti locali! Si tratta certamente di un passo in avanti, che però impedisce la realizzazione di una riforma in senso federale.
Non si può affrontare l'auspicata rinegoziazione dei mutui accesi presso la Cassa depositi e prestiti da parte degli enti locali e il previsto aumento delle detrazioni
Ma quello che maggiormente lascia sconcertati e perplessi è la totale assenza di interventi che tendano a ridurre il divario tra nord e sud. L'annosa - e, a mio giudizio, penosa - questione del Mezzogiorno sembra vivere una sosta drammatica e sembra non interessare a questo Governo. Gli ultimi dati sono ancor più preoccupanti: nel Mezzogiorno si sono persi 60.000 posti di lavoro! Credo che sia significativo, peraltro, il modo in cui il Governo sta affrontando tale problema, soprattutto con la riproposizione della tanto controversa vicenda del progetto Sviluppo Italia e con la realizzazione di un'agenzia che sembrerebbe in questo momento aver trovato nuova vitalità e nuovi spunti, tanto da poter essere finalmente il punto di riferimento e di raccordo più importante per tutto quello che si dovrebbe realizzare nel Mezzogiorno.
Ci capita spesso di dover rappresentare fatti ridicoli. Ma non dobbiamo sprofondare nel ridicolo quando si parla di soluzioni per il Mezzogiorno, per superare il divario tra nord e sud ed inserire questa parte del paese nel contesto europeo. Vorrei citare alcuni esempi: nel giugno 1999, Sviluppo Italia, ritenendo indispensabile trovare in fretta una possibile soluzione per l'annoso problema del sud, versa 80 miliardi nelle casse della Granarolo Telsoma che ha sede a Bologna e produce latte per tutto il nord; nell'ottobre 1999, Sviluppo Italia, sempre con l'obiettivo di affrontare l'annosa problematica del Mezzogiorno, sborsa 77 miliardi per sostenere lo stabilimento Aia di San Martino Buon Albergo, in provincia di Verona. Dunque, parliamo sempre di profondo sud! L'obiettivo è quello di moltiplicare gli allevamenti di polli. Infine, nel novembre 1999, vi è l'annuncio di un'importante soluzione: la costituzione di parchi scientifici, guarda caso con riferimento ad una società di Genova. È l'annoso problema del Mezzogiorno! A Sviluppo Italia, tra una crociera Costa e un bicchiere di latte Granarolo, ogni tanto si ricordano delle ragioni per cui stanno al mondo e cercano di darsi una parvenza di meridionalità, premendo per trovare soluzioni con la Lega Coop - 36 miliardi - per rilevare un'importante azienda industriale della Sardegna quasi in stato fallimentare. Per non parlare dei 700 dipendenti, di cui 160 dirigenti, per i quali si sta trovando una soluzione. Inoltre, si cade pienamente nel ridicolo quando Sviluppo Italia spende 14 miliardi per realizzare un questionario che, guarda caso, ha come riferimento Giancarlo Caselli e Lina Wertmüller: non so di cosa abbiano parlato, ma mi preoccuperò di appurarlo con una interrogazione.
Infine, vi è stato un intervento di potenziamento della società Nuova Comparti, settore di macellazione, con sede a Reggio Emilia. Potrei continuare ad elencare i misfatti realizzati con una soluzione che, credo, qualche ministro sta contestando, cercando di porre fine ad una soluzione vergognosa e drammatica. Credo che, se le soluzioni per il Mezzogiorno che questo Governo prevede andassero tutte in questa direzione, la disperazione dovrebbe far posto alla rassegnazione.
Ritengo, invece, che si dovrebbe parlare di aiuti alle famiglie, di sostegno al lavoro, alle piccole e medie imprese e a quel sud che oggi ha raggiunto, grazie ai suoi amministratori, la maturità di far valere la propria capacità di creare lavoro e di essere competitivo. È necessario, però, che questo Governo operi una svolta completa.
Signor Presidente, mi consenta di ricordare brevemente che in questi giorni, in Sardegna, si stanno affrontando i problemi causati dal nubifragio e dall'alluvione: anche in quest'occasione il Governo non riesce a dare risposte adeguate a coloro i quali vivono disperatamente e drammaticamente questa situazione.
Questa premessa serve a fornire la misura delle esternazioni di questo Governo che, invece di affrontare, come ha sempre fatto in tre anni, e risolvere con determinazione i punti più controversi della nostra economia - come, ad esempio, il riassetto del welfare e la riforma della previdenza, ritenuti solo qualche giorno prima assolutamente improcrastinabili - rinvia, invece, a futuri interventi, e precisamente ai disegni di legge ordinamentali collegati alla manovra finanziaria, tutta la disciplina di settori prioritari dell'economia del nostro paese, quali la regolazione dei mercati, la liberalizzazione del settore agricolo, il riassetto dei servizi pubblici locali, il fisco e la semplificazione tributaria, la valorizzazione del patrimonio immobiliare dello Stato, l'istruzione universitaria e la ricerca.
Di fronte ad un'economia quale quella del nostro paese, perdente rispetto a tutti i parametri, sono a dir poco risibili le misure poste in essere con la manovra finanziaria al nostro esame, ritenuta da questo Governo addirittura una sfida per l'ammodernamento del nostro paese.
Per quanto riguarda gli sgravi IRPEF, è appena il caso di evidenziare che tra gli interventi ritenuti più rilevanti si ricordano le riduzioni dal 27 al 26 per cento dell'aliquota IRPEF applicata sui redditi tra i 15 ed i 30 milioni di lire, le detrazioni previste per i redditi fino a 15 milioni di lire, esclusi dalla variazione dell'aliquota, e gli aumenti delle detrazioni previste per i redditi fino a 18 milioni di lire dei soli pensionati ultrasettantacinquenni. A tal proposito si registra l'assurda conseguenza di vedere nel 2000 i pensionati al minimo, con meno di 75 anni, assoggettati ad un'IRPEF di circa 110 mila lire che, invece, non graverà sugli ultrasettantacinquenni per effetto dell'elevata detrazione a 360.000 lire. È questa una delle grandissime ed epocali novità introdotte con questa finanziaria, che sicuramente non ha precedenti nella storia delle pensioni minime, rappresentando senza dubbio un segnale di ammodernamento nel paese, ma solo in termini di discriminazione e in spregio dei fondamentali ed inviolabili principi della Costituzione.
Da uno studio condotto dalla Confapi emerge incontrovertibilmente che la nuova politica fiscale articolata dal Governo a favore delle famiglie e di una maggiore equità fiscale si risolve, altresì, nella semplice e quanto mai banale conferma dell'incremento di 72.000 lire delle detrazioni per i figli e per i familiari diversi dal coniuge, cui si aggiunge lo sconto di lire 240.000 per i figli fino a tre anni.
Altra grande strategia politica che si registra è la crescita delle deduzioni IRPEF per la prima casa da 1 milione 400 mila lire a 1 milione 800 mila lire compensata, però, dalle previste addizionali IRPEF regionali e comunali. Ciò si traduce, in termini di risparmio reale per il contribuente, in scarse 100.000 lire annue per il 2000 rispetto al 1999. Ma l'aspetto ancor più rilevante evidenziato dall'analisi della Confapi, innanzi richiamata, è che l'imposizione sulla prima casa è ormai indiscutibilmente locale con l'ICI e le tariffe sui rifiuti. L'IRPEF conta
Un ulteriore dato estremamente preoccupante che emerge chiaramente dagli stanziamenti previsti dalla finanziaria in esame è il disavanzo della spesa sanitaria per tutto il 1999. Tali stanziamenti servono, infatti, a colmare, forse solo in parte, il disavanzo sanitario totale quale risulta a tutt'oggi.
Il Ministero della sanità aveva ampiamente assicurato che, grazie alla riforma sanitaria - peraltro ancora in corso d'opera - i fondi stanziati con la finanziaria 1999 sarebbero stati senz'altro sufficienti. A tal proposito, potremmo certamente dire che noi di Forza Italia avevamo visto giusto, ma peccheremmo di immodestia. Invero, le previsioni di spesa sanitaria di inizio d'anno sono risultate completamente sballate, ben oltre ogni pessimistica previsione, a dimostrazione del totale fallimento della stessa riforma sanitaria in atto.
Per quanto riguarda la dismissione degli immobili, anche gli interventi normativi realizzati dal 1996, con scarsi risultati, che hanno interessato gli immobili di proprietà degli enti previdenziali e quelli appartenenti al patrimonio dello Stato hanno superato ogni pessimistica previsione. Lo stratagemma da ultimo adottato in questa finanziaria per risolvere quasi miracolosamente le difficoltà incontrate in questa materia si sostanzia nell'attribuzione di un potere di vigilanza e sostitutivo in capo al ministro del tesoro che, come per magia, dovrebbe compiere il miracolo, consentendo così una ragguardevole entrata per lo Stato che si aggira intorno - udite, udite - ai 4 miliardi.
Ma se di miracolo si tratta, perché mai deve compiersi in deroga delle norme sulla contabilità dello Stato? Perché mai viene previsto l'utilizzo di intermediari in spregio delle norme sulla trasparenza? Forza Italia chiede a viva voce, così come ha già fatto in precedenza, che quanto meno sia legislativamente previsto e stabilito l'obbligo per il ministro del tesoro di rispettare, prima di tutto, le norme di contabilità di Stato e di presentare poi annualmente alle Camere una relazione che illustri tutte le operazioni immobiliari disposte, con indicazione analitica e nominativa dell'acquirente, unitamente al prezzo di compravendita realizzato, nonché dei consulenti e/o intermediari finanziari e immobiliari, con l'individuazione del motivo che altresì giustifica l'eventuale esonero dall'obbligo di rivendita.
Non intendiamo regalare il patrimonio immobiliare dello Stato dopo lunghi anni di inutili e vani tentativi per la sua dismissione. E se tutto ciò ancora non bastasse, dulcis in fundo, arrivano mille miliardi stanziati per finanziare la cosiddetta legge Visco nel 2000. A tal proposito si deve ricordare che l'agevolazione prevista da questa legge è temporale, ovvero, è limitata solo a due periodi di imposta, e precisamente al 1999 e al 2000.
A quasi nove mesi dalla sua entrata in vigore - questa è una denunzia vera e propria che bisogna fare in questa sede -, questa normativa è ancora priva di quei chiarimenti assolutamente necessari in sede operativa; ed è principalmente per la mancanza di questi chiarimenti da parte del Ministero delle finanze, colpevole in questa situazione, che un anno è già trascorso senza che si sia registrato tra le imprese nessun interesse ad investire e ad operare. Gli imprenditori non compiono le loro scelte sulla base di annunci fatti dal Governo e senza la certezza di ottenere l'agevolazione e di poterne conoscere la misura. Diventa difficile ed anzi assurdo decidere di investire in questi termini.
La certezza normativa è un valore importante per chi deve muovere miliardi
Mi si deve consentire però un'altra riflessione che merita attenzione. Le maggiori entrate derivanti dalla rimodulazione delle aliquote speciali IRAP, così come prevista dalla legge finanziaria in esame, vengono utilizzate nel bilancio dello Stato per ridurre l'onere a carico dello Stato stesso per il finanziamento della sanità pubblica. Tale impostazione contabile stigmatizza una scelta politica assolutamente irrazionale, che si sintetizza nel porre gli oneri del finanziamento della spesa sanitaria a carico delle imprese, oltre che dei lavoratori autonomi. E pensare che proprio all'IRAP veniva invece riconosciuto l'effetto di realizzare una riduzione del costo del lavoro attraverso un'attenuazione del carico contributivo dei salari, causa peraltro determinante delle difficoltà di occupazione.
In un paese al quale è stata attribuita la maglia nera per tasse e contributi sui salari, non può mai ritenersi significativa una riduzione del costo del lavoro pari allo 0,8 per cento, quale quella prevista nella finanziaria. Senza una strategia che affronti tutti i nodi dello sviluppo del paese, si rischia una progressiva emarginazione.
La debole crescita dell'Italia impedisce di ridurre gli squilibri del mercato del lavoro ed il nostro resta ancora il paese che ha maggior strada da percorrere. Ciononostante questa finanziaria contiene ben poco sul piano delle riforme e lascia invariati i problemi di fondo della nostra economia, della riforma dello Stato sociale e del rilancio e sviluppo dell'occupazione. Gli interventi più incisivi vengono rimandati al futuro, per lasciare spazio all'eliminazione di alcuni regimi di privilegio palesemente ingiustificati. Nel provvedimento varato non c'è alcuno sforzo innovativo, peraltro annunciato come il tratto qualificante della nuova politica economica e fiscale. Le questioni spinose sono state tutte rinviate, in un gioco in cui le ragioni della politica hanno prevalso su quelle dell'economia.
A meno di miracoli improbabili la sanità continuerà ad essere costosa ed inefficiente, le rigidità e la regolamentazione dei mercati resteranno stringenti, la disoccupazione rimarrà intollerabilmente elevata, particolarmente tra i giovani e nel Mezzogiorno. Nessuno di questi problemi può essere infatti risolto con manovre finanziarie limitate solo a qualche sussidio. I traguardi promessi sono sempre più lontani ed il tripudio per ogni mutare di decimale degli indicatori economici viene ormai percepito come una beffa non appena si conoscono i dati, molto più significativi e negativi, sull'occupazione e sulle prospettive di sviluppo.
Concludo dicendo, Presidente, che non basta affermare che l'inflazione è sotto controllo in quanto congiunturale: al mercato, in banca e - perché no? - anche
Mi permetta infine, Presidente, di stigmatizzare ciò che è accaduto in Commissione, con la bocciatura di un emendamento inteso a dare alla città di Foggia una serie di agevolazioni per la tragica vicenda che è accaduta. Come dicevo, stigmatizzo in quest'aula ciò che è avvenuto e penso che vi sarà un ripensamento, perché l'emendamento in questione sarà riproposto e farò appello a tutta l'Assemblea affinché venga accolto (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
È iscritta a parlare, a titolo personale, l'onorevole Malavenda. Ne ha facoltà.
Con la finanziaria in esame viene rilanciato e massificato il sistema di Tangentopoli e, per non incappare nelle inchieste della magistratura, vi avviate anche ad approvare una deroga alle vigenti leggi dello Stato. Parlate di privatizzazioni, ma in realtà state svendendo senza controllo e dietro tangenti economiche e politiche servizi pubblici e aziende di pubblica utilità, il patrimonio immobiliare dello Stato e beni di interesse storico ed artistico.
Questa è una finanziaria eversiva, perché è il prodotto dell'intreccio esistente tra il ceto politico, l'alta burocrazia statale e il mondo affaristico-finanziario ufficiale e sommerso, legale e illegale, che fa apparire lo stesso Craxi, al confronto, un ladro di caramelle.
Sono proprio le vostre politiche di rapina sociale che stanno diffondendo le nuove povertà e determinando un aumento della disoccupazione: il lavoro appare come miraggio per i giovani e i disoccupati. In perfetta malafede, state distruggendo tutte le leggi a tutela del lavoro dipendente. State «rottamando» i lavoratori poco più che quarantenni in cambio di qualche manciata di assunzioni flessibili di giovani affittati, ricattati e malpagati; si tratta di un'operazione socialmente criminale che mai avrebbero fatto neanche i peggiori Governi democristiani. È questo ciò che D'Alema contrabbanda per modernità! Per noi è medioevo.
State allargando il lavoro in affitto alle basse qualifiche, facendo nuovi sconti ai padroni, finanche sul contributo del 5 per cento per la formazione, il cui mercato consegnate a padroni e confederali. Volete inserire nella finanziaria i punti dell'accordo sottoscritto da Assointerim e dai vostri complici di CGIL, CISL e UIL, come promesso in sede ministeriale lo scorso 22 novembre dal sottosegretario Morese, ex sindacalista CISL. Vale la pena ricordare che presidente di Assointerim, che raggruppa quasi tutte le aziende fornitrici di manodopera in affitto, è tale Enzo Mattina, ex segretario della UIL.
I lavoratori interinali, che già quest'anno raggiungeranno quota 200 mila, quadruplicando il numero del 1998, rappresentano un affare multimiliardario ed un inesauribile serbatoio clientelare per le peggiori pratiche di sottogoverno e voto di scambio; ne beneficiano a piene mani le agenzie ed i loro protettori, politici e sindacali, che possono contare sull'esperienza di vecchi personaggi della DC come Enzo Scotti, ex ministro del lavoro ed oggi presidente della ALI, o come Pino Cova, ex segretario della CGIL Lombardia e della camera del lavoro di Milano, oggi presidente di Obiettivo lavoro, la società della lega delle cooperative e della CGIL, alla quale aderiscono anche la Compagnia delle opere di Formigoni e la Confcooperative.
È forse un caso che Rutelli ha appaltato a Obiettivo lavoro l'assunzione di 400 autisti in affitto al comune di Roma,
Vi è un collegamento massonico tra sedi sindacali, aziende di nuovo caporalato e pubbliche amministrazioni, che fa il paio con le agenzie paritetiche aziende-sindacati confederali sui fondi pensione privati; inoltre, già vi attrezzate allo smantellamento della sanità e della scuola pubblica per i nuovi business. Altro che voto di scambio, siamo a qualcosa di peggio, molto peggio! La finanziaria in esame dimostra che questo Governo rappresenta il comitato d'affari dei padroni, in un Parlamento che avete trasformato in una vera e propria associazione a delinquere, contro i lavoratori e la povera gente.