Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 511 del 24/3/1999
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Informativa urgente del Governo sull'intervento della NATO in Kosovo (17,41).

PRESIDENTE. Avrà luogo ora, come in precedenza annunciato, lo svolgimento di una informativa urgente del Governo sull'intervento della NATO in Kosovo.
Ha facoltà di parlare il Vicepresidente del Consiglio, onorevole Mattarella, che ringrazio molto per la disponibilità che ha manifestato.

SERGIO MATTARELLA, Vicepresidente del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei anzitutto riassumere gli aggiornamenti di queste ultime ore in relazione alla crisi nel Kosovo. Ieri sera, come è noto, il segretario della NATO Solana, dopo aver consultato i Governi alleati, ha annunciato pubblicamente di aver impartito istruzioni al comandante in capo, generale Clark, per l'avvio della prima fase delle operazioni aeree. Lo stesso Solana ha reso noto di avere informato della sua decisione il Segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan e al contempo ha preso contatto con il Cancelliere tedesco Schroeder, nella qualità di Presidente di turno del Consiglio dell'Unione europea, anche nella prospettiva del vertice che è in corso a Berlino oggi e domani.
Gli sviluppi in questione fanno seguito alla riunione del Consiglio atlantico tenutasi nella tarda serata di ieri in cui l'inviato speciale americano Holbrooke ha riferito, al suo rientro da Belgrado, sull'esito negativo dei colloqui con il Presidente Milosevic.
Holbrooke ha sottolineato di aver formulato a Belgrado innanzitutto due richieste in riferimento a quelle che sono le assolute priorità della comunità internazionale: la cessazione delle ostilità in Kosovo e la disponibilità a negoziare una presenza militare internazionale per la sicurezza nella regione.
In particolare, su quest'ultimo punto le obiezioni di Belgrado sono risultate confermate anche sulla base di un voto contrario, intervenuto nella giornata di ieri, del Parlamento serbo.
A Milosevic Holbrooke avrebbe chiaramente indicato che sarebbe stato sufficiente un percettibile movimento per consentire la ripresa del percorso negoziale avviato a Rambouillet il 7 febbraio scorso e proseguito poi a Parigi tra il 14 e il 19 marzo.
Il Presidente jugoslavo si è chiaramente, e con piena cognizione di causa, secondo quanto Holbrooke ha riferito, assunto sostanzialmente la responsabilità della rottura.
Holbrooke non ha infatti lasciato margini di ambiguità quanto al fatto che la partenza da Belgrado avrebbe significato l'avvio delle operazioni militari. Al riguardo Milosevic lo ha informato che il Governo federale jugoslavo aveva appena approvato una dichiarazione con la quale veniva introdotto in quel paese lo stato di emergenza nazionale.
Il nostro ambasciatore a Belgrado, così come gli altri ambasciatori del gruppo di contatto e dei paesi vicini, è stato convocato nella tarda serata di ieri dal direttore politico jugoslavo del Ministero degli esteri di quel paese che gli ha consegnato le copie della risoluzione del Parlamento jugoslavo, che ho poc'anzi ricordato, e della decisione del Governo di Belgrado che riguarda la dichiarazione di stato di emergenza nazionale.
È stato consegnato al nostro ambasciatore anche un terzo documento dove sono ribadite le posizioni, che sono note, del Governo di Belgrado in materia di aggressione e di minaccia; vi si sottolinea che il mantenimento di relazioni di vicinato e di


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cooperazione è nel comune interesse e si invita ad astenersi dall'appoggiare piani ed azioni aggressive.
L'ambasciatore italiano a Belgrado ha colto l'occasione per sondare se nelle opinioni di quel Governo vi fossero o meno margini per il negoziato e, al riguardo, ne ha tratto l'impressione che forse potrebbero esistere spazi, anche se molto ridotti, che sono stati in queste ore ulteriormente esplorati.
L'Italia è uno dei paesi che maggiormente si è adoperato perché fosse evitato l'intervento militare. Speriamo ancora in queste ore, pur se ogni ora che passa riduce la portata della speranza, che a Belgrado prevalga la ragionevolezza e vengano accolte le condizioni previste dal piano di pace predisposto a Rambouillet.
Di fronte ad un chiaro segnale di disponibilità da parte del Governo di Belgrado, la NATO è pronta a fermare l'attacco ipotizzato.
Signor Presidente, negli ultimi giorni la tensione sul terreno di quella regione è aumentata. La presenza delle forze di sicurezza e dell'esercito di Belgrado si è accresciuta, gli scontri sono ripresi e, con essi, nuovi consistenti spostamenti di popolazione civile che ne soffre le conseguenze.
I verificatori dell'OSCE, circa 1.300, presenti sul terreno, sulla base delle intese di ottobre tra Holbrooke e Milosevic, sono stati momentaneamente ritirati e numerose ambasciate occidentali hanno ridotto i propri organici o hanno addirittura chiuso i battenti.
Per quanto ci riguarda, i nostri connazionali sono stati invitati, per il momento, a non viaggiare nella Repubblica jugoslava.
Come è evidente dalle preoccupazioni emerse dalle varie parti politiche, ci troviamo in un momento delicatissimo. Nessun paese e nessun governo democratico può trovare piacevole la prospettiva di iniziative militari, chiunque ne sia protagonista e dovunque esse si svolgano.
La prospettiva di atti di guerra, di danni e di vittime, per chi ha sensibilità umana e democratica, è tale che non si vorrebbe mai vederla realizzata. Per questo il nostro paese e, per esso, il Governo, ha fatto di tutto perché si pervenisse ad una soluzione pacifica del problema drammatico del Kosovo, insistendo in ogni circostanza e in ogni sede per un di più di trattative e di tentativi di intesa nella convinzione dei danni di un intervento militare bellico e delle difficoltà che, in un'area così travagliata e complessa, si dovrebbero affrontare anche dopo un'azione militare.
Il nostro paese ha compiuto ogni sforzo in questa direzione. Gli stessi sforzi e tentativi li ha compiuti anche la NATO, su forte impulso dei paesi d'Europa che fanno parte del gruppo di contatto.
La trattativa di Rambouillet è frutto di questo sforzo nel gruppo di contatto. È stata condotta con ogni determinazione sondando ogni spazio, anche remoto, di possibile intesa.
Va ricordata la dinamica dei negoziati svoltisi nelle ultime settimane. La seconda fase negoziale si è conclusa a Parigi il 19 marzo scorso, in uno scenario in cui - come è noto - la delegazione kosovara ha firmato il testo proposto dal gruppo di contatto nella sua versione integrale, inclusiva dell'accordo politico e delle sue modalità di applicazione e, dall'altro, la delegazione serbo-federale, mantenendo le sue riserve, non lo ha firmato.
I documenti conclusivi di quel negoziato esprimono una posizione di accordo ragionevole, dando risposte positive a due punti principali sollevati dal Governo jugoslavo. L'autonomia del Kosovo è inserita nel quadro dell'integrità della Repubblica jugoslava, senza previsione del referendum sull'indipendenza richiesto dai kosovari dopo il primo triennio dell'accordo; pur se la delegazione kosovara, con una dichiarazione unilaterale interpretativa, ha dichiarato di non rinunciare a quella prospettiva che, peraltro, non è inclusa nel testo dei documenti proposti dal gruppo di contatto.
I documenti dell'intesa di Rambouillet, quindi, fanno propria, in maniera inequivoca, la tesi del mantenimento del Kosovo all'interno della Repubblica jugoslava e in


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essi è previsto che in quella provincia autonoma siano stabiliti meccanismi di difesa per le minoranze non kosovare.
Non vi è dubbio del resto che, nell'ottica della comunità internazionale, come ieri ha ribadito ancora una volta Holbrooke a Belgrado, la presenza internazionale e quella militare di interposizione - di cui parlerò tra poco - dovrebbero difendere e tutelare entrambe le parti, kosovara e serba, ed essere dispiegate su invito delle stesse autorità di Belgrado.
Il rifiuto di quell'intesa ha reso del tutto evidente l'assoluta, incomprensibile, non ragionevolezza del Governo di Belgrado. Inoltre Milosevic ha avanzato richieste del tutto inammissibili, come quella di mantenere in Kosovo, regione assai piccola, una abnorme presenza militare e una polizia interamente serba e non multietnica. Di più ancora, il Governo di Belgrado ha rifiutato l'idea di una presenza militare multinazionale di interposizione, una presenza non soltanto della NATO, ma dell'intero gruppo di contatto, Russia compresa; una forza di interposizione indispensabile per attuare gli aspetti più complessi dell'accordo, come il disarmo, lo smantellamento dell'Uck ed il ritiro delle forze di sicurezza serbe.
Nel prendere questa posizione Belgrado, come ha sottolineato del resto anche ieri sera il Presidente federale Milosevic, ha manifestato un forte risentimento, sostenendo che le modalità di attuazione dell'accordo previste sarebbero state imposte sotto la minaccia dell'intervento della NATO, ma nella sostanza le intese lì proposte e non accolte da Belgrado, ne accoglievano le posizioni principali.
Con il suo rifiuto e con quelle richieste, che sono apparse per qualche aspetto proposte proprio perché fossero respinte, Milosevic ha anche rifiutato e precluso una prospettiva di grande interesse, la condizione che poteva condurre, e avrebbe condotto, a rivedere il regime delle sanzioni ed al loro superamento. A questa mancata ragionevolezza si è aggiunta la netta impressione che, nel corso delle trattative e prima di un possibile intervento militare, il Governo di Belgrado volesse consumare una pulizia etnica della regione con un'azione di espulsione - quando non di vittime fisicamente consumate - della minoranza kosovara.
Le cifre fornite dall'agenzia dell'ONU per i profughi sono impressionanti: 250 mila sfollati all'interno del Kosovo, 30 mila nel resto della Serbia, 35 mila in Montenegro, 18 mila in Albania, 10 mila in Macedonia. Ventimila kosovari sono stati costretti alla fuga soltanto negli ultimi 6-7 giorni. Si tratta di oltre 300 mila profughi e di oltre 2 mila morti negli ultimi mesi. Tutto questo di fronte - ripeto - non alla proposta di indipendenza del Kosovo, ma di autonomia di questa regione dentro la Repubblica jugoslava, quell'autonomia prevista ed accordata dal Governo Tito e cancellata dal Governo Milosevic.
Siamo di fronte ad una palese e gravissima violazione dei diritti umani, accertata e dichiarata dal Consiglio di sicurezza dell'ONU.
La crisi del Kosovo, come è noto, è da tempo all'attenzione delle Nazioni Unite. Già con la risoluzione 1199 del 23 settembre 1998 il Consiglio di sicurezza ha chiarito che la situazione in Kosovo rappresenta una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale e, agendo ai sensi del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, che prevede anche l'adozione di misure implicanti l'uso della forza, ha rivolto precise richieste alle parti in conflitto.
Il Consiglio di sicurezza dell'ONU ha sottolineato in particolare l'esigenza di individuare attraverso il negoziato, con il coinvolgimento della comunità internazionale, una soluzione politica ai problemi della regione.
Il Consiglio ha inoltre chiesto che venisse in ogni caso impedita una catastrofe umanitaria e che fosse facilitato il ritorno dei rifugiati e dei dispersi alle loro case.
Nella successiva risoluzione del 24 ottobre 1998 il Consiglio ha ribadito che la situazione nel Kosovo costituisce una


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«continua minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale», ancora una volta ai sensi dell'articolo VII della carta.
La vicenda del Kosovo non può quindi in alcun modo essere considerata interna ad un singolo paese ma, come più volte sottolineato dall'ONU, una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale che la Comunità internazionale è quindi chiamata ad affrontare e risolvere.
Sappiamo tutti che l'ONU, anche se nella risoluzione che ho citato si era riservata di adottare ulteriori azioni e misure per stabilire la pace e la sicurezza nella regione, non ha espressamente autorizzato un intervento armato in Kosovo. È anche a tutti nota la ragione per cui ciò non avviene: la ferma opposizione dei paesi con diritto di veto nel Consiglio di sicurezza.
Come è noto, l'Italia si batte da anni per una riforma del Consiglio di sicurezza che lo renda più democratico e rappresentativo, ponendo le premesse per un superamento del diritto di veto. Non crediamo tuttavia che la paralisi dell'azione del Consiglio di sicurezza, determinata dal potere di veto di un singolo Stato, possa condurre all'inerzia della comunità internazionale dinanzi a violazioni dei diritti umani palesi e massicce, quali quelle che sono sotto gli occhi della pubblica opinione mondiale nel Kosovo.
Il diritto consuetudinario conosce qualche precedente di intervento effettuato per ragioni umanitarie. Dopo il conflitto del Golfo, fu creata una zona di protezione nel nord dell'Iraq per difendere le popolazioni curde dalle azioni repressive del Governo di Baghdad. Anche in quel caso non vi fu una risoluzione del Consiglio di sicurezza volta ad autorizzare l'intervento, bensì una risoluzione dell'ONU che condannava la violazione dei diritti della minoranza curda in Iraq; per il veto, però, di un paese componente il Consiglio di sicurezza non seguì una risoluzione per l'intervento militare. Su quella base, l'iniziativa militare venne condotta dalla Spagna, dall'Olanda, dalla Gran Bretagna e dagli Stati Uniti.
L'azione che la NATO ha prefigurato e annunziato come possibile, come ormai imminente, trova in realtà le sue ragioni nel grave comportamento contro i diritti umani del Governo di Milosevic, nel suo rifiuto ad accettare soluzioni non soltanto equilibrate, ma anche di piena garanzia per la Iugoslavia, nonché nell'intensificazione, negli ultimi giorni, dell'attività di pulizia etnica contro la minoranza. Il nostro consenso non muove soltanto da motivi, naturalmente pure importanti, di solidarietà nell'alleanza, ma anche da queste ragioni di merito.
In quest'ottica e per tale complesso di ragioni, va vista la messa a disposizione da parte dell'Italia delle basi NATO - per difesa collettiva, secondo l'articolo 5, ma anche per missioni «fuori area» tali da far scattare il dettato di tale articolo (come nel caso dell'intervento in questione) - che avviene in attuazione dell'articolo 3 del trattato, a suo tempo ratificato dal nostro paese, mirando, nella sostanza, a soddisfare l'esigenza del dispositivo dell'alleanza, nell'ottica della salvaguardia della sicurezza comune.
In questa chiave, tra la fine di settembre e i primi di ottobre, il Governo italiano, come è stato già riferito in Commissione, ha autorizzato, attraverso il cosiddetto trasferimento di autorità, la messa a disposizione dell'alleanza di quarantadue velivoli della nostra aeronautica...

FAUSTO BERTINOTTI. Volano da soli! Hanno il pilota automatico!

SERGIO MATTARELLA, Vicepresidente del Consiglio dei ministri. ...disponibilità confermata nel successivo mese di gennaio.
Signor Presidente, naturalmente il Governo non si nasconde le preoccupazioni per le conseguenze dell'azione su un'area così travagliata e attraversata dall'esplodere di antistoriche rivalità etniche, così come non si nasconde la preoccupazione dell'evoluzione dei rapporti con la Russia, che non si è mai pensato di emarginare, tanto che essa ha fatto parte del gruppo


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di contatto e che le era stato chiesto di far parte delle forze militari di interposizione per garantire la pace. Tali preoccupazioni, però, non possono superare quelle del lasciar fare il Governo di Milosevic, dopo mesi di trattative e di tentativi di intesa, assistendo inerti all'azione disumana di pulizia etnica, quasi conferendo un colpevole «via libera» a quell'azione.
L'Italia, comunque, si adopererà fino in fondo, fino all'ultimo momento, per una soluzione pacifica, utilizzando ogni spiraglio, anche minuscolo, di possibilità di intesa; è necessario però, naturalmente, un mutamento dell'atteggiamento - come è stato chiesto ieri sera -, un significativo scostamento nell'atteggiamento del Governo di Belgrado. Anche in presenza di un intervento militare verosimilmente imminente, il Governo italiano continuerebbe a compiere ogni sforzo per raggiungere intese ed evitare l'inasprirsi ulteriore della situazione, già adesso così drammatica.
L'obiettivo del nostro paese non può che essere quello di fermare i massacri e le espulsioni di una minoranza etnica, di assicurare la pace, di evitare ulteriori peggioramenti della condizione di quell'area (Applausi dei deputati dei gruppi dei democratici di sinistra-l'Ulivo, dei popolari e democratici-l'Ulivo, misto-socialisti democratici italiani, misto-i democratici-l'Ulivo e misto-federalisti liberaldemocratici repubblicani).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Zani. Ne ha facoltà.

MAURO ZANI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, non siamo tra coloro, posto che ve ne siano in queste ore, che assumono come un fatto scontato la grave decisione annunciata ieri sera dal Segretario generale della NATO. Non siamo tra coloro che sottovalutano le possibili conseguenze di un'azione militare in un'area così sensibile come quella dei Balcani. In quell'area sono in campo preoccupazioni legittime di governi e popoli, rapporti politici, legami culturali e religiosi, solidarietà statuali che affondano le loro radici in molti secoli di storia europea.
Lo stesso atteggiamento assunto in queste ore da un grande paese come la Russia non può non preoccupare seriamente chi, come noi, ritiene che interesse vitale per l'Europa, per la sua costruzione politica oltre che economica, sia anche quello di evitare l'isolamento di quel paese, magari accompagnato da una ripresa di nefaste pulsioni nazionalistiche nei Balcani e nell'Europa continentale. Mi rendo conto che questo non è il tempo e l'occasione per svolgere un'analisi di questo tipo, basti tuttavia questo accenno per collocare in un più ampio scenario la nostra preoccupazione e per segnalare, in questa drammatica contingenza, che è aperto da tempo un problema di riflessione che afferisce al ruolo dell'Europa alle soglie di un nuovo secolo. È un ruolo che appare ancora inadeguato ad affrontare quella ormai lunga scia di conflitti politici, militari, etnici e religiosi che sono emersi dopo la pur positiva rottura del mondo bipolare.
Fatta questa premessa tutt'altro che inessenziale per una forza della sinistra europea quale noi siamo, una forza cioè che avverte i problemi che incombono sul futuro del nostro continente, non si può fare a meno di muovere la propria iniziativa entro i confini del presente, piaccia o non piaccia. Il presente è in primo luogo caratterizzato da uno stato di fatto che non consente deroghe rispetto a ciò che si profila ormai come una vera e propria questione umanitaria che è aperta nella regione del Kosovo. Una tale deroga non è consentita all'Europa né all'Italia.
Si può discutere sui modi con i quali affrontare l'emergenza che si è creata dopo il fallimento del negoziato di Rambouillet. Si può farlo però a partire da una chiara individuazione di responsabilità e, in quest'ambito, va tenuta ferma la responsabilità di chi, come il governo serbo prima e come il governo federale jugoslavo poi, ha messo in causa brutalmente una autonomia non a caso assicurata per tanto tempo al gruppo etnico albanese in Kosovo.
Se non si parte da ciò, non è comprensibile neppure la deriva indipendentistica


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armata, e sovente terroristica, oggi rappresentata dall'UCK. Teniamo fermo dunque, in questa contingenza, che vi è una responsabilità nettamente delineata, che, francamente, non mi pare neppure lontanamente offuscata dalla risposta dal Presidente serbo Milosevic ai ministri degli esteri francese e britannico nella loro qualità di copresidenti della conferenza di pace.
È del tutto chiaro che finora non è emersa da parte serba una disponibilità effettiva verso un esito possibile del negoziato, come ci ha detto in questa sede il Vicepresidente del Consiglio.
Ripeto - lo ripeto soprattutto a sinistra -, sui modi per rispondere è certamente legittimo discutere ed è legittimo, secondo me, nutrire perplessità e contrarietà, ma in questo caso bisogna saper dire che cosa concretamente occorra fare per evitare un'altra Bosnia. Certo, non si può parlare - abbiamo sentito il Vicepresidente del Consiglio - di una forza di interposizione non armata, perché l'esperienza ha già dimostrato la sua inefficacia in un conflitto armato in corso. Mi domando ancora se si possa parlare, in uno sforzo estremo, di una forza terrestre di tipo multinazionale allargata oltre la NATO, ma non mi pare neppure questa una via semplice al punto in cui sono giunte le cose, senza contare, come qui è stato giustamente ribadito, che finora abbiamo avuto su questo punto un rifiuto netto da parte serba.
Non mi sentirei di escludere per il futuro la via della forza di interposizione multinazionale, adesso però siamo sempre nei limiti del presente che - come dicevo poc'anzi - ci inducono ad interrogarci seriamente sul futuro ruolo dell'Europa e anche dell'Organizzazione delle Nazioni Unite. Da questo punto di vista capisco e, per tanti aspetti, apprezzo lo spirito con cui ben 120 deputati del centro-sinistra invocano oggi un intervento dell'ONU. Ma - lo dico senza un filo di ironia, anzi con il massimo del rispetto - lo spirito, in questo caso, non basta.
Nei limiti del presente, vi è anche una difficoltà dell'ONU: non è un mistero che lo stesso Kofi Annan consideri scarsamente realistica un'azione risolutiva dell'ONU. Non per caso in questo ambito, fin dall'ottobre scorso, si è delineato un percorso di decisioni che, come ha opportunamente ricordato stamane in un'intervista l'onorevole Mussi, impegnano l'Italia, sia pure a certe condizioni, entro il dispositivo militare della NATO, all'opzione militare finalizzata alla completa attuazione di una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'ONU volta a garantire sicurezza ai cittadini del Kosovo. Certo, tutti noi auspicavamo che a quell'opzione non si dovesse arrivare, ma adesso, per come la vedo io, non si voltano le spalle all'alleanza e al combinato disposto di quelle decisioni. Si cerca semmai di incidere per tentare di aprire un sia pur minimo spiraglio volto a fermare con la politica la macchina di guerra già in movimento: questo sì, questo sì fino all'ultimo istante, anche cercando di favorire un protagonismo positivo dello stesso Governo russo.
In questo ambito, dove è in atto uno sforzo anche estremo del Governo italiano, come abbiamo sentito, pur nel rispetto delle decisioni prese insieme agli altri membri della NATO, mi sembra francamente ingenerosa - lo voglio dire - l'accusa di soggezione nei confronti degli Stati Uniti che ho letto su qualche dispaccio d'agenzia. Non è così: persino le indiscrezioni apparse sul Washington Post ci restituiscono un'immagine ben diversa del nostro Governo. Detto questo, mentre ci auguriamo che possa accadere ancora qualcosa, un evento positivo, magari attraverso un'iniziativa del Consiglio europeo che riapra la strada al negoziato, dobbiamo contemporaneamente pensare già fin d'ora ai possibili futuri scenari, a come impedire che un attacco dato ormai per imminente produca un effetto diverso e contrario da quello auspicato e voluto, a come impedire, in un effetto palla di neve, che il corso degli eventi sfugga ad ogni controllo.
In questo senso il Governo italiano ha finora dimostrato nei fatti di costituire un elemento di equilibrio e di garanzia per la


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ricerca di una via di uscita dalla crisi in corso. Siamo convinti che un nostro diverso atteggiamento di fronte ad un'opzione militare, stabilita di comune accordo in caso di fallimento del negoziato, assumerebbe inevitabilmente il significato di una rinuncia ad esercitare responsabilità anche per il futuro. Forse - dico forse - ci salveremo la coscienza, di certo non salveremo le popolazioni del Kosovo, di certo non metteremo Milosevic di fronte alla necessità assoluta di riprendere un negoziato ed infine, ciò che è molto importante, non ci conserveremo la forza e la credibilità politica e statuale per avanzare, anche a breve, altre e diverse opzioni, oltre alle azioni di bombardamento già previste.
In conclusione, come avete notato, mi sono rivolto soprattutto alle forse della maggioranza e più ampiamente alle forze della sinistra: l'ho fatto poiché ho il massimo rispetto per le preoccupazioni che si esprimono in queste ore difficili, che sono anche le mie, e perché sono convinto che la sinistra debba assumere una responsabilità oggi per poter incidere sul corso futuro degli eventi (Applausi dei deputati dei gruppi dei democratici di sinistra-l'Ulivo, dei popolari e democratici-l'Ulivo, misto-socialisti democratici italiani e misto-i democratici-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Martino. Ne ha facoltà.

ANTONIO MARTINO. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, onorevoli colleghe e colleghi, credo di interpretare i sentimenti non solo del gruppo cui mi onoro di appartenere ma anche della Camera, di tutta la Camera, di tutti i deputati quali che siano le loro opinioni politiche o il gruppo di appartenenza: sono sentimenti di preoccupazione grave e diffusa nei confronti di un'iniziativa militare imminente o, se la fonte che mi ha fornito la notizia dovesse essere confermata, già avviata.
È una preoccupazione connessa non soltanto a questa iniziativa militare, come a tutte le iniziative militari, ma dovuta anche ad alcune peculiarità dell'iniziativa in specie. Si tratta di peculiarità non solo di carattere formale, perché, come qualcuno ha sottolineato, per la NATO vuol dire assumere un compito nuovo, in passato considerato estraneo ai compiti tradizionali. Non si tratta, infatti, di difendere uno Stato membro dell'Alleanza dall'aggressione di un paese terzo, ma di intervenire attivamente all'interno di uno Stato sovrano.
La preoccupazione riguarda anche le motivazioni sostanziali inerenti al tipo di intervento, che è sicuramente rischioso. Esso comporta - come è stato ricordato da chi mi ha preceduto - il rischio concreto di un allargamento del conflitto e il coinvolgimento di altri paesi; comporta il rischio di un esodo massiccio di profughi da quelle zone che, inevitabilmente, riguarderebbe anche e soprattutto il nostro paese; comporta il rischio di azioni militari contro l'Italia o addirittura di azioni terroristiche. Né è certa l'efficacia dell'intervento, perché, come per tutte le iniziative militari, essa costituisce un'incognita.
Si ritiene che, grazie al suddetto intervento, il governo di Belgrado possa addivenire a più miti consigli ed accettare, in base all'uso della forza, quanto ha rifiutato per le vie diplomatiche. Ciò purtroppo non riveste carattere di necessità, tuttavia, i critici di questo intervento debbono riconoscere che la guerra è già in atto e che lo sono già anche i massacri ai danni di popolazioni civili, di inermi, nonché le operazioni con finalità di pulizia etnica, con centinaia di migliaia di profughi, di senzatetto. Di fronte a tali massacri sarebbe bene ricordare che le vie diplomatiche sono state già esperite tutte, sono stati interessati i più alti livelli delle organizzazioni internazionale: l'ONU, le cui risoluzioni sono state ripetutamente violate dal governo di Belgrado; l'OSCE, il gruppo di contatto e, infine, gli accordi di Rambouillet falliti per via del rifiuto ad accettarli da parte dei serbi.
Di fronte a questi episodi, che configurano una grave calamità umanitaria, vicina ai nostri confini, non credo che noi


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dovremmo restare indifferenti. Taluno, nel condannare questa iniziativa, ha assunto una sorta di posizione di equidistanza, quasi che le operazioni di pulizia etnica messe in opera dall'esercito serbo avessero come giustificazione anche gli atti di violenza dall'altra parte. Tale equidistanza dovrebbe autorizzare, in qualche modo, una nostra neutralità nei confronti degli eventi, ma a me non sembra si possa confondere il ruolo dell'aggressore e quello di chi si difende. Altri hanno tirato in ballo un'argomentazione che mi appare singolare: si dice che in casi analoghi, in altri paesi, non si è intervenuti e, quindi, non si dovrebbe intervenire nemmeno in questo caso. Mi sembra un'obiezione davvero strana; il fatto che non possiamo risolvere tutti i problemi, non significa che non dobbiamo proporci di risolvere almeno quelli che stanno alle nostre porte, alle porte di casa (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale).
Altri, ancora, hanno detto che questa operazione sarebbe illegittima perché non autorizzata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Onorevoli colleghi, diciamo la verità, ciò significa sostenere che non si sarebbe dovuto far nulla perché sappiamo bene che, per via del diritto di veto, il Consiglio di sicurezza non sarebbe stato posto in condizione di autorizzare un intervento di questo genere (Commenti del deputato Nardini). Chiedere che esso venga autorizzato dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite significa, dunque, sostenere che avremmo dovuto restare indifferenti nei confronti di un massacro che ha luogo alle porte di casa.
Onorevoli colleghi, non si ricorderà mai abbastanza che chi non condanna il male comanda che si faccia; un'Europa che fosse rimasta indifferente nei confronti di quanto sta accadendo in Kosovo sarebbe in qualche modo corresponsabile di quelle atrocità.
Mi sembra, quindi, che il Governo abbia fatto bene, per bocca del Presidente del Consiglio prima e del Vicepresidente del Consiglio oggi, a sostenere che l'Italia deve onorare i suoi impegni internazionali e, di conseguenza, l'azione della NATO. Tuttavia, mi chiedo: come possono questo Governo e questa maggioranza onorare davvero quegli impegni, quando la maggioranza di governo è fortemente divisa, quando al suo interno coesistono due linee contrapposte di politica estera? Come può decidere questa maggioranza, senza chiedere soccorso all'opposizione? Come può, senza chiedere il nostro voto, davvero onorare l'impegno internazionale che ha assunto?
Colleghi, ho avuto modo già altre volte di sostenere alla Camera che la politica estera non è uno dei compiti dello Stato, ma essa è lo Stato stesso come soggetto internazionale, come parte di relazioni internazionali. Un Governo che non è in grado di rappresentare adeguatamente lo Stato come soggetto di relazioni internazionali ha il dovere di trarre la logica conclusione e di dimettersi (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale - Molte congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Morselli. Ne ha facoltà.

STEFANO MORSELLI. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, si tratta di un intervento che nessun deputato vorrebbe mai fare. Si vorrebbero affrontare altre questioni e parlare di risposte risolutive ai grandi problemi della nostra collettività, ma non si vorrebbero mai affrontare problemi e drammi di questo tipo.
Mi voglio attaccare all'ultimo spiraglio di speranza: oggi è in corso il vertice di Berlino e nessun uomo può non augurarsi che in queste ultime ore si possano creare i presupposti per rimediare all'uso delle armi.
Colleghi deputati, ho negli occhi e nell'anima quanto ho visto in prima persona in quell'area tormentata: un piccolissimo paese di 13 mila chilometri quadrati, grande come il Trentino-Alto Adige e corrispondente al 10 per cento di tutta la Serbia, con appena il 10 per cento di popolazione serba su 2 milioni di abitanti,


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ma con 350 mila sfollati, occupato dalle truppe serbe, dall'esercito che ha sostituito la polizia e che ha raso al suolo ogni attività, distrutto villaggi, massacrato civili inermi.
E l'orrore è rimasto impresso dentro di me: la pulizia etnica senza limiti, un quotidiano stillicidio, una caccia all'uomo, militare e non, attuata senza sosta per impedire che i guerriglieri terroristi - come vengono definiti dai serbi i kosovari - possano avere sostegno. Esecuzioni sommarie, fame, disperazione: questo è il Kosovo.
Onorevoli colleghi, la storia passa in secondo piano davanti alla cruenta cronaca: avamposti con aiuti umanitari che, senza la presenza di osservatori stranieri, sono diventati inaccessibili per la popolazione allo stremo, per la paura di essere torturati e uccisi, in quanto presidiati dalle milizie serbe. Così, mentre donne e bambini muoiono di fame, gli aiuti alimentari marciscono nei magazzini.
La Repubblica jugoslava, pur in grave difficoltà finanziaria per mancanza di flusso di capitali esteri, impegna da mesi un miliardo di marchi al giorno per le operazioni militari nel Kosovo. Si tratta di una crisi degenerata da tempo, datata, preannunciata da molti anni.
Occorreva agire prima e più rapidamente, occorreva agire con quella forza di interposizione, di cui oggi si parla fuori tempo massimo, che doveva essere schierata prima dell'inverno. Si è provato con contatti, incontri, conferenza, documenti, comunicati, la Camera dei deputati ha esaminato, a partire dal marzo 1998 fino al gennaio 1999, la situazione del Kosovo e la crisi è stata affrontata prima dalle Nazioni Unite, con varie risoluzioni, e poi dal Consiglio di sicurezza, dal gruppo di contatto, da dichiarazioni fatte a Londra, Bonn, Roma, tutto nel tentativo di risolvere in termini diplomatici e politici l'emergenza che avrebbe comportato conseguenze drammatiche.
Bisognava tentare, ma si sapeva che sarebbe stato del tutto inutile: bastava parlare non solo con Milosevic, quando il Governo lo considerava un interlocutore credibile, e faceva affari con lui, ma anche con Milan Milutevic, Presidente della Repubblica di Serbia, con Jovanovic, il ministro degli esteri, con Minic, il Presidente della Camera dei cittadini; bastava parlare con chiunque per capire che la diplomazia - ahimè - non ce la poteva fare, che non c'erano strade di ritorno e si andava incontro ad un inevitabile massacro. Lo confermò lo stesso Rugova: per i serbi gli albanesi sono tutti terroristi. E alla mia specifica e precisa domanda: «Come si farà ad evitare un bagno di sangue?» Rugova rispose: «Ci sono gli esempi di Croazia e Bosnia: combatteremo!». Lo si sapeva e Rambouillet ne è stata la conferma: non esisteva da parte di Milosevic alcuna intenzione di risolvere pacificamente la partita.
Oggi allora sembra che tocchi alle armi. Uso ancora una volta, come ho fatto all'inizio del mio intervento, una frase di tipo ipotetico per attaccarmi a quell'ultima speranza che vorrei non morisse. Se toccherà alle armi, non sarà per fare la guerra ma per porre fine ai massacri, per restituire la pace a tutto lo scacchiere balcanico. Non si tratta di voler cambiare le frontiere ma di conclamare il diritto delle minoranze e l'arresto di una sanguinaria pulizia etnica e lo sradicamento di centinaia di migliaia di kosovari. L'Italia deve naturalmente fare la sua parte.
Da parte di alcuni segmenti della maggioranza si vorrebbe che il Governo violasse gli impegni, che non rispettasse gli accordi internazionali, che rifiutasse il ruolo che la comunità mondiale gli ha assegnato. Come si può pensare a tutto questo? Come può un Governo, degno di tal nome, non essere sostenuto da una maggioranza coesa e compatta su questi argomenti? Come si fa a pensare di poter far finta di nulla, signor Presidente del Consiglio, espressione di una maggioranza raccogliticcia, dilaniata da mille contraddizioni e ostaggio dei mammut comunisti? La NATO è l'emblema della libertà e della sicurezza e la nostra partecipazione deve essere schietta, leale e convinta, consapevoli


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anche di essere la nazione più esposta. Per questo dobbiamo comprendere il ruolo da interpretare.
È la crisi più pericolosa dal 1945: per la prima volta la NATO si trova ad attaccare e le conseguenze non sono immaginabili. Dove andranno i profughi, cosa succederà in tutto lo scacchiere balcanico? Non sarà un'azione chirurgica e non saranno probabilmente le bombe a rimettere insieme un'azione disperata e a superare l'odio tra le nazioni e le genti, ma non si può cedere al boia dei Balcani. Vi sono imperativi morali e politici per fermare una catastrofe umana: può l'Italia, può il Governo italiano senza una maggioranza affrontare e gestire questa crisi, essere elemento di equilibrio, saper resistere nel tempo in previsione di una lunga crisi che potrebbe aumentare le frizioni occidentali, essere artefice di azioni che circoscrivano la crisi alla sola Jugoslavia, evitando una vasta destabilizzazione, arginare i profughi?
Noi pensiamo proprio di no. E per questo, signori del Governo, se alla fine non avrete una maggioranza naturale e coesa, vi invitiamo a trarne le conseguenze.
È per questo che alleanza nazionale, se occorrerà, sosterrà l'intervento della NATO per consentire ancora una volta all'Italia di adempiere ai propri compiti ed ai propri doveri. Ancora una volta l'Italia deve guardare ad alleanza nazionale e a forza Italia, al Polo delle libertà, al centro-destra, per essere all'altezza, per essere credibile, per essere al passo con il momento, per interpretare il ruolo che la storia le ha assegnato in difesa della pace e della sicurezza (Vivi applausi dei deputati dei gruppi di alleanza nazionale e di forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Pistelli. Ne ha facoltà.

LAPO PISTELLI. Signor Presidente, colleghi, abbiamo apprezzato la relazione del Vicepresidente del Consiglio, perché essa ha ragguagliato il Parlamento in modo compiuto delle iniziative diplomatiche messe in campo e perché nelle parole, non di circostanza, dell'onorevole Mattarella si esprimeva la preoccupazione - diffusa qui e nel paese - della escalation cui stiamo assistendo in Kosovo.
Mentre affrontiamo le nostre responsabilità, dobbiamo però tenere a mente due premesse importanti.
In primo luogo, non è possibile - sarebbe strumentale ed ingiusto - dividere oggi chi partecipa alla discussione in quest'aula tra coloro che sono per la pace e coloro che gioiscono dinanzi ad un intervento di tipo militare. Siamo consapevoli che quando la politica cede il passo alle armi, non siamo dinanzi ad una prosecuzione della politica con altri mezzi - come diceva Von Clausewitz - ma davanti ad una sconfitta della politica; questo, però, non ci deve far dimenticare che le iniziative diplomatiche sono state tentate fino all'ultimo: sappiamo che l'unica ambasciata che mantiene la propria sede aperta a Belgrado è quella italiana, confermando l'Italia una vocazione ad essere il paese che fino all'ultimo tiene accesa la luce del dialogo.
Sappiamo anche, dalle parole che abbiamo ascoltato oggi pomeriggio, che nella relazione che Holbrooke ha tenuto al suo ritorno dopo l'incontro con Milosevic, vi era la consapevolezza del fatto che l'occidente aspettava da Milosevic non una resa, ma un segno che il dialogo poteva continuare; un semplice, anche simbolico arretramento, che avrebbe consentito di dare più tempo alla ripresa del negoziato.
Vi è una seconda premessa che è opportuno ricordare: quando ci assumiamo la difficile responsabilità di governare i processi e di non esserne travolti, non possiamo ogni volta rinviare ad un dibattito sugli strumenti ottimali che oggi non esistono ancora, per governare queste difficile crisi internazionali, e non utilizzare gli strumenti buoni, anche se non perfetti, che già abbiamo a disposizione.
Questo ci porta ad esprimere, come gruppo dei popolari e democratici-l'Ulivo, una serie di serene, leali ed aperte considerazioni sulla crisi che stiamo vivendo.


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La prima considerazione investe le responsabilità. Quando, tre settimane fa, vi fu a Rambouillet lo stallo nella prima fase della trattativa, la comunità internazionale e noi tutti non avemmo dubbi nell'attribuire la responsabilità prevalente di tale stallo all'intransigenza della fazione estremista della delegazione kosovara, a fronte di una disponibilità della delegazione serba a firmare.
A tre settimane di distanza, quelle posizioni si sono invertite: la delegazione albanese - anche la parte più intransigente - ha firmato a Parigi la bozza di accordo; i serbi si sono rifiutati, facendo emergere a posteriori il sospetto che quel consenso, espresso in un primo momento, si giocasse sull'eterna parodia del gioco del cerino: aspettare un rifiuto di parte albanese ed una inerzia di parte occidentale.
Tuttavia, di fronte alla caduta dell'inerzia occidentale e al cambiamento delle posizioni albanesi, la delegazione serba ed il regime di Milosevic si assumono oggi, tutta intera, la responsabilità del fallimento del negoziato diplomatico.
La seconda considerazione è che non stiamo dando avvio ad un'azione che inizia una guerra, stiamo cercando di limitare i danni di un'azione di guerra che è già in corso. È già stato detto in quest'aula e noi vogliamo ribadirlo: siamo di fronte ad un'azione militare che vede oggi in serio rischio le posizioni dei civili, non soltanto dell'esercito dell'UCK, ma di donne e bambini della cosiddetta minoranza - in realtà, il 90 per cento della popolazione del Kosovo - di etnia albanese. Siamo di fronte ad un possibile imminente movimento di profughi quale non abbiamo mai conosciuto in questi ultimi anni - la relazione del Vicepresidente Mattarella parla di cifre superiori alle 300 mila unità -, dunque siamo davanti al possibile avverarsi di una barbarie, di un vero e proprio inizio di genocidio, cui dobbiamo cercare in qualche modo di porre rimedio.
Tutto ciò ci spinge a collocare l'intervento NATO che potrebbe partire nelle prossime ore nella tipologia dell'intervento umanitario, una tipologia specifica che può essere messa in atto anche senza quella copertura esplicita che alcune parti politiche chiedono da parte dell'ONU alle organizzazioni regionali, quando ci si trovi di fronte a gravi, ripetute e sistematiche violazioni di diritti umani su larga scala. È questa la fattispecie che abbiamo invocato partecipando, insieme ad olandesi, spagnoli, inglesi e americani, alle azioni nel Kurdistan iracheno nel 1991 e questa è la fattispecie che noi oggi invochiamo, sapendo che anche questo intervento non deve certo servire ad occupare per un tempo indefinito il territorio del Kosovo, bensì a riportare al tavolo del negoziato sia la delegazione albanese sia la parte di Slobodan Milosevic.
Desidero fare un'ulteriore considerazione sugli strumenti possibili. Anche qui, non parliamo sempre dall'anno zero; io credo si sbagli quando, con un po' di superficialità, nei nostri dibattiti parlamentari, riscontrando che non è ad oggi disponibile una forza militare europea integrata, diciamo che non c'è niente da fare, che non abbiamo a disposizione alcuno strumento: in assenza degli strumenti, abbiamo moltiplicato, anche con un po' di creatività, gli spazi del gruppo di contatto fino a poche ore fa. Siamo alla vigilia di una nuova importante fase della politica estera di sicurezza comune europea. Non è soltanto la designazione del presidente Prodi alla guida della Commissione europea ad essere sospesa tra il trattato di Maastricht e quello di Amsterdam: anche la politica estera e di sicurezza comune è sospesa tra strumenti ancora esistenti, che sono insufficienti, e strumenti che stanno per venire in essere. Tra un mese, quando il trattato di Amsterdam sarà in vigore, avremo finalmente, accanto a Duisemberg, che rappresenta l'Europa monetaria, anche quello che convenzionalmente chiamiamo «mr PESC», cioè un uomo che rappresenterà, speriamo in modo univoco, la posizione comune europea in materia di politica estera e di sicurezza. Tutto questo è sufficiente? Sappiamo di no. Abbiamo già raggiunto una posizione pacifica e condivisa


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sull'integrazione tra la NATO futura e i possibili strumenti dell'integrazione militare e diplomatica europea? No e ancora no, ma questo non ci impedisce, intanto, di utilizzare al meglio gli strumenti che abbiamo, i quali tra un mese conosceranno un ulteriore salto di qualità. Gli strumenti che oggi abbiamo non ci esimono dall'assumerci le responsabilità della nostra presenza nella NATO.
Ho sentito, non tanto nel dibattito di oggi, quanto nelle dichiarazioni affidate alle agenzie, parole antiche sulla NATO. Voglio ricordare ai colleghi che qualche mese fa abbiamo ratificato l'ingresso nello strumento dell'Alleanza atlantica della Repubblica Ceca, della Polonia e dell'Ungheria; il 12 marzo scorso, con il deposito formale degli strumenti di ratifica, tale ingresso - con una cerimonia formale, avvenuta negli Stati Uniti - ha compiuto il suo percorso. È stato quindi contraddetto l'antico modo di concepire l'Alleanza, che pure trova ancora cittadinanza in alcune parti di quest'aula. Sappiamo anche che con le deliberazioni del vertice di Madrid del dicembre scorso, con la cosiddetta politica della porta aperta, è lunga la lista dei paesi che vogliono aderire all'Alleanza atlantica: la Slovenia, la Romania, la Bulgaria e le Repubbliche baltiche. Dunque, anche lo strumento della NATO sta cambiando, anche la «gamba europea» dell'Alleanza atlantica sta cambiando. È quindi un'idea antica quella di immaginare che quando interviene la NATO l'Europa sia prona e subalterna ad un presunto interesse americano.
Signor Presidente, anche se la votazione formale avverrà venerdì, noi esprimiamo sugli strumenti di indirizzo una posizione sofferta non perché ci sentiamo scomodi, ma perché sappiamo che decidiamo di aderire ad un'azione militare che comporterà sofferenze. La nostra è però un'adesione assolutamente leale ai nostri impegni internazionali. Se vi è una ragione che ci ha indotto a prendere tale posizione, è una ragione che l'opinione pubblica certamente ricorda. Mi riferisco ad un avvenimento accaduto all'inizio di questo decennio in un altro pezzo del mosaico jugoslavo: in Bosnia.
Gli strumenti di integrazione militare e diplomatica europea sono sicuramente da perfezionare, ma noi, con la leale partecipazione all'iniziativa della NATO, vogliamo evitare che in questo decennio vi sia una seconda Bosnia. Questo è l'obiettivo dei popolari (Applausi dei deputati dei gruppi dei popolari e democratici-l'Ulivo e dei democratici di sinistra-l'Ulivo)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Comino. Ne ha facoltà.

DOMENICO COMINO. Signor Presidente, le agenzie hanno da poco comunicato la chiusura dell'aeroporto Ronchi dei Legionari: tutto fa supporre, quindi, che l'attacco sia imminente. È con profonda preoccupazione che la lega nord per l'indipendenza della Padania assiste a questo evento drammatico.
Paradossalmente, questo secolo è iniziato con la guerra dei Balcani e si chiude con la guerra nei Balcani. Siamo propensi a credere che in situazioni come questa non si debbano distinguere aprioristicamente i buoni dai cattivi o, se volete, i falsi buoni dai falsi cattivi dando giudizi in nome di una democrazia universale che non esiste. Spesso e volentieri voi, autorevoli membri del Governo italiano, avete dimostrato, come in questa occasione, la totale sudditanza politica al dirigismo statunitense (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania).
Non è vero che vi è stato un fallimento negoziale dovuto alla non volontà del Governo serbo di sedere ad un tavolo della pace: per negoziare, onorevole Vicepresidente del Consiglio, ci vuole un tavolo, ma ci vogliono attorno ad esso le parti che siano in grado di condurre il negoziato. Questo non è avvenuto né a Rambouillet né a Parigi.
Onorevole Vicepresidente del Consiglio, ho con me il documento sul quale il Governo serbo si era dichiarato disposto a negoziare, ma non ne ha avuto la possibilità.


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Esso costituisce un grosso passo avanti: infatti, l'articolo 1 stabilisce i principi per l'autogoverno democratico in Kosovo; l'articolo 2 riguarda l'Assemblea elettiva e la concorrenza di formazioni politiche liberamente elette alla costituzione di quell'Assemblea; l'articolo 3 concerne i poteri dell'Assemblea; l'articolo 4 riguarda il Consiglio dei ministri ed i poteri delle amministrazioni locali; l'articolo 5, infine, prevede norme per la libertà e la difesa dei diritti umani. Questo documento non è stato volutamente preso in considerazione perché l'unica base negoziale è stata costituita dal documento che gli albanesi hanno dettato alla Albright e che voi avete supinamente subito (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania).
Non si tratta di dar ragione agli uni o agli altri: si tratta di constatare ancora una volta, se mai ve ne fosse bisogno, che l'Italia è un paese a sovranità limitata. Non avete autorevolezza sovrana e pretendete di andarla ad imporre con le vostre bombe, con i vostri elicotteri, con i vostri aerei ad altri paesi!
Non c'è unanimità nemmeno in ambito NATO. Vi sono posizioni diffuse, differenti, difformi, una vastissima gamma di posizioni e sfumature politiche; tra tutte rileviamo la decisione dell'Ungheria di non partecipare attivamente alle operazioni militari.
Il problema è se la NATO sia un organo «sostituzionale» dell'ONU oppure no. Questo è il vero motivo su cui occorre una seria riflessione politica. Non serve invocare, tutte le volte che subite iniziative altrui, che occorrerebbe riformare l'ONU. Tutte le istituzioni che in qualche modo avrebbero dovuto proporre soluzioni, come il Consiglio d'Europa, la UEO, l'ONU, hanno fallito miseramente.
La vostra parte attiva nel negoziato è stata nulla e lo dimostra il fatto che facciamo questo dibattito magari nel momento in cui stanno sganciando le bombe.
Ed allora il problema non è quello di ricercare tutte le iniziative diplomatiche e negoziali perché queste sono già state disattese per vostra supina codardia, onorevole Vicepresidente del Consiglio. Il problema è che in questo Parlamento con il voto che ci sarà venerdì prossimo sulle mozioni, si distingueranno chiaramente gli interventisti dagli antinterventisti e noi siamo onorati di appartenere alla schiera degli antintervenisti (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania).
Abbiamo la consapevolezza ma anche l'onestà intellettuale di dirvelo: ogni volta e dovunque sulla scia, in quanto reggi coda, degli americani, avete sganciato bombe in qualsiasi luogo, sperando in qualche modo di ridurre la leadership dei presunti cattivi, non avete fatto altro che rafforzare questa leadership! Gheddafi, Saddam Hussein e adesso Milosevic in Serbia!
Non sono queste le condizioni migliori per assumere atteggiamenti di ripiego. Signor Vicepresidente del Consiglio, sappia che tre deputati della lega nord per l'indipendenza della Padania si trovano oggi a Belgrado, ospiti del Parlamento della federazione Jugoslava. Sono testimoni di quanto colà potrà accadere.
Per cortesia, dica ai suoi amici americani che quei tre parlamentari li rivogliamo indietro sani e salvi (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania). Anziché accettare sempre supinamente decisioni prese altrove, abbiate un moto di coraggio! Lo so che alberga nei vostri cuori il coraggio, ma ponete la questione cruciale del ruolo della NATO.
Fin da quando ero bambino e portavo i calzoni corti mi è sempre stato detto che la NATO era un organismo difensivo. Ebbene, oggi la NATO sta assumendo un ruolo di organismo offensivo e di gendarme del mondo e questo non lo permetteranno (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania)! Non offrite facili sponde con le basi militari! Se non altro il premier russo quando ha saputo della decisione del Segretario generale della NATO ha fatto retromarcia, ha fatto virare l'aereo ed è tornato a casa.


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Ci saremmo attesi una mossa del genere dal Presidente del Consiglio D'Alema, il quale è andato a parlare con Clinton proprio nel momento in cui il tribunale americano assolveva gli assassini del Cermis (Applausi dei deputati dei gruppi della lega nord per l'indipendenza della Padania e misto-rifondazione comunista-progressisti).
Siete, cari membri del Governo, un branco di don Abbondio: il coraggio non ve lo potete dare perché non ce l'avete e perché non avete il cuore per avere coraggio (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania - Molte congratulazioni)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Cimadoro. Ne ha facoltà.

GABRIELE CIMADORO. Signor Vicepresidente del Consiglio, cari colleghi, condividiamo in pieno la relazione del Vicepresidente Mattarella, ma vogliamo ricordare ad alcuni colleghi parlamentari che sono intervenuti che in momenti così drammatici e di emergenza non esistono in quest'aula maggioranza e minoranza: esiste la coscienza dei parlamentari.
La posizione dell'UDR sulla tragedia del Kosovo è lineare fino all'ultimo, oltre ogni limite. È necessario che si esplorino tutte le strade possibili per evitare che tragedia si aggiunga a tragedia. Bisogna insistere perché, alla fine, la pace prevalga sulla guerra.
La nostra tradizione e la nostra cultura ci spingono a rifiutare con forza l'uso delle armi. È chiaro però che, se tutti i tentativi (anche quelli in corso a Berlino in queste ultime ore cruciali) dovessero fallire, non potremmo restare fermi di fronte ad una crisi gravissima, una delle più complicate degli ultimi anni.
Il drammatico conflitto che da anni sta martoriando le popolazioni civili dell'area balcanica non può essere trattato come un semplice conflitto regionale. Esso investe gli aspetti strategici e territoriali di una vasta area dell'Europa che non può, con indifferenza, essere abbandonata a se stessa.
Non possiamo dimenticare che l'Italia è parte integrante di un'alleanza per cui non può e non deve chiamarsi fuori.
Non siamo portatori di guerra: la guerra già esiste! E, se la NATO, falliti tutti i tentativi, riterrà improcrastinabile un intervento, il nostro paese - come ha giustamente ricordato il Presidente del Consiglio - farà pienamente, come sempre, il suo dovere.
Siamo, purtroppo, ben consapevoli dei rischi che a questo punto l'Europa correrà. L'intervento militare della NATO potrebbe avere la conseguenza di un pericoloso risveglio in Russia di nazionalismi che la allontanerebbero sempre di più dal mondo occidentale. Da qui la necessità di fare ogni sforzo perché si mantenga aperto con Mosca un dialogo costante che consenta al Governo russo di non appiattirsi sulle posizioni di Milosevic e di svolgere la necessaria mediazione per superare il conflitto.
Ma l'aspetto che più di ogni altro ci sta a cuore ricordare è quello umano: centinaia di migliaia di donne, bambini e vecchi tenteranno con ogni mezzo di fuggire nel nostro paese. Senza drammatizzare una situazione già di per sé drammatica, è doveroso e realistico chiedersi subito cosa faranno in queste circostanze gli altri paesi europei e l'America perché, se è vero che siamo alleati fedeli e coerenti, è anche vero che, dietro questa coerenza, vi potrebbero essere sviluppi umani nuovi, imprevedibili e, quindi, incontrollabili con le nostre sole forze.
Il nostro paese, proprio perché è sempre stato luogo di emigrazioni e di esodi, sta solo da alcuni anni organizzandosi per accogliere immigrati, a differenza di altri paesi europei ed americani che da decenni fronteggiano l'immigrazione e che, quindi, sono meglio e più di noi organizzati per fronteggiare questo tipo di problema.
L'Italia - è inutile negarlo, perché è sotto gli occhi di tutti - non potrà mai da sola farsi carico di questi enormi gruppi di disperati, giustamente in fuga.
Chiediamo ai partner europei e all'America di farsi carico subito di questa eventualità che diventa, di ora in ora,


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certezza. Chiediamo agli alleati l'impegno di attivarsi per una soluzione pacifica del problema Kosovo, ma realisticamente chiediamo anche di indicarci in che modo intendano affrontare l'emergenza delle centinaia di migliaia di profughi che si riverseranno nel nostro paese. Una proposta concreta potrebbe venire dalla realizzazione di centri di accoglienza o campi profughi allestiti direttamente in Albania, con la Croce Rossa internazionale ed altre organizzazioni umanitarie. Tale soluzione avrebbe tra l'altro il vantaggio di non sradicare ulteriormente gli albanesi dal Kosovo, dalle loro influenze culturali, parentali e linguistiche.
Scusate se mi soffermo su questi risvolti drammatici ed incombenti del conflitto che si preannuncia, ma noi abbiamo un nostro continuum logico-morale che ci guida sia nell'operato politico del quotidiano, nel normale dire, sia nell'operato politico di emergenza che ci vede costretti all'azione di guerra: l'uomo e le sue possibilità di dare e ricevere aiuto, solidarietà e legalità nella libertà (Applausi dei deputati del gruppo dell'UDR).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Grimaldi. Ne ha facoltà.

TULLIO GRIMALDI. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, dunque ci sarà la guerra, perché di questo si tratta, al di là di ogni eufemismo; una guerra non dichiarata, una guerra portata nel cuore dell'Europa per la prima volta in questi ultimi tempi contro uno Stato sovrano; una guerra che avrà degli sviluppi difficilmente prevedibili: lo hanno detto anche gli specialisti, coloro che si intendono di queste cose. La Serbia e tutta la regione ex jugoslava non sono il deserto dell'Iraq; non si tratta di un'operazione Desert storm, come quella portata avanti anni fa. Quello interessato, infatti, è un terreno che difficilmente si presta ad operazioni terrestri. È difficile anche individuare tutte le basi. Sulle bombe intelligenti, poi, nessuno fa più calcolo. In più possono esservi sviluppi ancora maggiori per quanto riguarda le popolazioni del Kosovo, che saranno costrette all'emigrazione. La Macedonia, peraltro, ha chiuso i confini e quindi vi sarà un incalzare delle truppe serbe da quella parte, vi saranno reazioni, reazioni che potranno interessare anche - perché no? - le nostre coste.
Si dice siano stati potenziati le difese missilistiche ed il pattugliamento aereo, ma noi siamo ad un tiro di schioppo da quei paesi: più o meno 200 miglia di mare. Questo, quindi, pone a rischio anche il nostro paese, diciamolo pure.
Una guerra, dunque, che ci vede in prima linea, che deve preoccuparci. In più vi è la possibilità di coinvolgimento di altri paesi. La Russia aveva già fatto sapere che probabilmente si sarebbero mobilitati volontari per sostenere i serbi ed ha dichiarato - non sappiamo fino a che punto questa dichiarazione sarà portata alle estreme conseguenze - che comunque fornirà armi contro l'embargo - il che significa aerei, sistemi di puntamento, missili - ai serbi. Tutto questo naturalmente determinerà un conflitto dagli sviluppi veramente imprevedibili. Non sarà la passeggiata che gli americani hanno fatto contro quell'esercito, che si diceva forte ma che poi si è rivelato veramente fragile, di Saddam Hussein, non è il deserto nel quale furono seppelliti migliaia e migliaia di iracheni; è cosa diversa. Si tratta di una guerra che potrebbe anche non avere uno sviluppo rapido, nonostante i massicci bombardamenti che magari si potrebbero effettuare su quel territorio.
Si dice che questa guerra sia necessaria perché bisogna impedire un massacro. Ebbene, è veramente strano che si voglia impedire un massacro provocandone un altro, perché i bombardamenti non sono certo caramelle; qualcosa fanno.
Ho letto l'ultimo discorso di Clinton, che ci è stato fatto pervenire con un gesto di cortesia dall'ambasciata americana. Clinton si è detto preoccupato perché questo massacro incalza, aumenta, perché i kosovari sono perseguitati; ha affermato che non è possibile lasciare le cose così come sono, altrimenti si arriverebbe tardi,


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come è accaduto in Bosnia, e che pertanto bisogna intervenire senza indugio per fermare il massacro. Tutti siamo sensibili ai massacri e anche stasera, in quest'aula, qualcuno ha parlato di diritti umani violati. Se si dovessero ristabilire i diritti umani violati, dovremmo bombardare mezzo mondo, non solamente la Serbia; se parliamo di diritti umani, infatti, perché non bombardare la Turchia, visto che non mi sembra che i curdi siano trattati bene?

GUALBERTO NICCOLINI. Perché non Cuba?

TULLIO GRIMALDI. Perché non il Messico, riguardo al Chiapas? Perché non si è intervenuti nello Zaire, in Congo, in Mozambico, in Afghanistan, ove i diritti umani sono stati completamente soppressi?
È strana, in questo caso, l'improvvisa scoperta dei diritti umani! Certo, il problema non va negato, ma è anche la questione di un modo diverso di intervenire che si pone.
È inevitabile, poi, il ritorno del discorso sulla NATO. Badate, non voglio ripetere cose già dette; noi abbiamo sollevato il problema in occasione della vicenda del Cermis, sostenendo che quelle basi erano un po' pericolose anche per i civili. Gli americani hanno risposto che quella funivia volava troppo in alto e che si è parata davanti all'aereo mentre questo faceva le sue evoluzioni, per cui la colpa non era dei piloti. Abbiamo già sollevato, lo ripeto, il problema delle basi, ma non lo vogliamo rifare in questo momento, anche se, signori del Governo, tale questione verrà posta, dovrà esserlo. La porremo, ma non vogliamo farlo ora perché ciò apparirebbe come una speculazione su una situazione veramente drammatica (Commenti del deputato Biondi).
Non è il caso, al momento, di fare speculazioni politiche e, pertanto, non parleremo delle basi e del trattato NATO; del ruolo della NATO, però, bisogna pur parlare, bisogna intendersi su cosa sia tale organizzazione.
Ricordo che, quando ero studente all'università, in occasione dell'esame di diritto internazionale la prima domanda che si faceva riguardava le ragioni per le quali era stato stipulato il trattato istitutivo della NATO; si rispondeva che tale trattato derivava dalla necessità di difendersi dall'aggressione da parte di un'altra alleanza militare. Tutto ciò è stato dimenticato; oggi non si parla più di difesa, ma della NATO quale strumento di polizia internazionale.
Ciò preoccupa veramente perché, se «spigoliamo» su questo, ci accorgiamo che gli interventi della NATO sono mirati e, non a caso, essa oggi si sostituisce all'ONU, che è in una situazione di crisi spaventosa. Gli americani non si preoccupano più, oggi, dell'ONU, non pagano nemmeno i contributi; della NATO, però, si preoccupano, perché si tratta di una forza militare che serve a coprire operazioni indirizzate verso i paesi non allineati alla politica americana. È questo che dovrebbe preoccupare l'Europa, i quindici paesi che si sono riuniti oggi; ci si dovrebbe preoccupare di un'Europa che non riesce ad intervenire e della NATO che in Europa la fa da padrona, imponendo la propria politica di intervento, in questo caso militare.
Perché non l'ONU, quindi? Onorevole Mattarella, lei ha affermato che forse l'ONU non sarebbe riuscita ad intervenire, essendovi un diritto di veto; non è questo il motivo! Ci troviamo fuori da qualsiasi risoluzione dell'ONU, da qualsiasi intervento, da qualsiasi presa di posizione, così come, d'altra parte, è avvenuto nello scacchiere mediorientale o nel continente africano. L'ONU è completamente tagliata fuori. Vi è la NATO, oggi, e dietro di essa la potenza che oggi si pone come egemone nell'equilibrio mondiale: gli Stati Uniti d'America e quelli che seguono questa politica.
A questo punto, vi è la preoccupazione grave perché la NATO non interviene più in posti distanti da noi ma nel cuore dell'Europa, alle porte di casa, nei Balcani.


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Allora, qual è e quale deve essere la posizione? Diciamolo, questo non è il solito partito antiamericano! Noi non vogliamo assolutamente rivendicare o risollevare vecchie questioni che sono ormai un po' alle nostre spalle, però preoccupa in questo momento il ruolo dell'Europa che non riesce a decollare e preoccupa la situazione di instabilità in questo scacchiere dove la pace non riesce ad imporsi in una situazione di coesistenza di popoli. Il Kosovo fa parte della Serbia e della ex-Jugoslavia e con questo ragionamento, a parte i massacri e le ribellioni, la NATO dovrebbe intervenire nei paesi baschi, sarebbe dovuta intervenire in Irlanda e in tanti altri posti. È questa una logica con la quale bisogna fare i conti.
In conclusione, vorrei dire questo: stiamo attenti, abbiamo esperienze nel passato e anche la nostra tradizione culturale ci ricorda quella che era la pax romana, la pace imposta con le armi che non è una pace ma una imposizione e una sopraffazione. Stiamo attenti a questo!
Noi, comunque, non vogliamo assolutamente che in questo momento la maggioranza di Governo possa subire delle lacerazioni profonde e quindi noi ci preoccupiamo di questo quadro politico e della possibile alterazione dello stesso. Dico ciò all'opposizione. Non si illudano, da destra o da sinistra, che in questo momento il Governo possa andare in crisi per questo.

FRANCESCO GIORDANO. Non ci siamo mai illusi!

TULLIO GRIMALDI. Non vogliamo, però, assolutamente, che il nostro paese sia coinvolto in operazioni di guerra perché la pace è un dato fondante della nostra storia, della nostra cultura e della nostra politica.
Noi non siamo un gruppo parlamentare improvvisato in quest'aula. Abbiamo una tradizione, una nostra storia, una nostra identità e siamo legati a questa identità e la faremo valere (Applausi dei deputati del gruppo comunista e misto-i democratici-l'Ulivo)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Danieli. Ne ha facoltà.

FRANCO DANIELI. Signor Presidente, per molti anni e in molte occasione la comunità internazionale ha assistito impotente a migrazioni di intere popolazioni, a pulizie etniche e a genocidi. Un nome per tutti: la Bosnia, l'esperienza traumatica a noi più vicina nel tempo. Quando si è intervenuti, lo si è fatto tardi e, in qualche caso, anche male. Si è intervenuti tardi solo dopo la drammatica evidenza delle fosse comuni, dei villaggi distrutti e delle masse umane in fuga.
Vi sono momenti in cui è necessario assumersi totalmente ogni responsabilità conseguente agli accordi internazionali, ai patti sottoscritti e alle alleanze ma soprattutto responsabilità conseguenti alla necessità di difendere i diritti fondamentali, di prevenire massacri, di evitare pulizie etniche e di garantire la vita a centinaia di migliaia di persone innocenti.
Ho ascoltato le parole dell'onorevole Grimaldi e le obiezioni che lo stesso ha sollevato in ordine ad una selettività nell'individuazione di luoghi meritevoli dell'intervento e di luoghi in cui vi è magari analoga violazione dei diritti fondamentali dell'individuo e in cui, invece, non c'è la stessa attenzione e determinazione.
Il collega Grimaldi, a mio avviso, ha giustamente colto uno degli aspetti dell'imperfezione, del deficit nella comunità internazionale rispetto ad operazioni di intervento finalizzate a tutelare questi diritti fondamentali, ma ciò non può esimerci dall'aprire gli occhi rispetto a situazioni ed a realtà drammatiche, soprattutto quando vicinanze geografiche, collocazioni geopolitiche delicatissime, come nel caso del Kosovo, ce lo impongono con tutta evidenza giorno dopo giorno, minuto dopo minuto. A quella responsabilità che bisogna assumersi in momenti delicati della storia in ragione della tutela di diritti fondamentali ed insopprimibili degli esseri umani deve


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conseguire anche l'individuazione di una strumentazione adeguata per la realizzazione di questi risultati.
La strada della diplomazia, allora, della mediazione politica in primo luogo, è quella che naturalmente deve sempre essere percorsa: occorre utilizzare ogni minuto fino all'ultimo per cercare di trovare la soluzione negoziale adatta, adeguata. Occorre cercare di individuare la sede della legittimazione internazionale per ogni iniziativa: il luogo tipico della legittimazione internazionale è l'ONU; quindi, occorre ricorrere all'ONU, tipica sede della sovranità internazionale, per ottenere legittimazione. Però vogliamo ricordare anche qui in quante occasioni abbiamo cercato con insistenza la legittimazione presso l'ONU, in quante occasioni abbiamo aspettato un intervento dell'ONU, in quante occasioni ci siamo ripetutamente trovati di fronte all'impossibilità di agire dell'ONU, all'assenza dell'ONU! Vogliamo dunque porre il tema della riforma di questo organismo sovranazionale, che è inefficace, come si è dimostrato nel corso degli ultimi accadimenti drammatici: è inefficace per intervenire tempestivamente. Kofi Annan venne alla Commissione affari esteri della Camera dei deputati e ci ricordò che organizzare una spedizione militare per l'ONU al fine di svolgere un ruolo di interposizione pacifica era un'impresa praticamente disperata, perché richiedeva mesi e mesi di attività all'interno delle diplomazie e probabilmente delle burocrazie esistenti nell'Organizzazione delle Nazioni Unite.
L'ONU va bene, ma dobbiamo anche tenere conto che è necessario avere una struttura, un luogo decisionale dotato di efficacia; altrimenti il richiamo all'ONU diventa un reiterato, sterile ritualismo.
L'altra riflessione da fare, purtroppo critica, attiene ancora una volta alla scarsa capacità di iniziativa comune dell'Unione europea in tema di politica estera e di sicurezza. Credo sia necessario che il Governo italiano affronti in tempi molto rapidi, con estrema determinazione, questa esigenza ormai non più differibile: è assolutamente necessario dare sostanza e corpo alla coesione europea che è avvenuta sul piano dell'unione monetaria anche attraverso una coesione naturalmente sociale, naturalmente sul piano dell'occupazione, del lavoro, delle pari opportunità...

RAMON MANTOVANI. Naturalmente!

FRANCO DANIELI. Ma occorre anche individuare strumenti, luoghi, metodologie al fine di consentire una politica estera e di sicurezza comune, affinché l'Europa possa parlare con una sola lingua e possa dare una sola indicazione rispetto a temi così delicati.
Nel caso specifico, si può dire che non siano stati esperiti tentativi negoziali, che non si sia dato corso a ogni tentativo diplomatico, a ogni trattativa? Sono state già ricordare le risoluzioni del Consiglio di sicurezza, dell'ONU, le iniziative dell'OSCE; migliaia di osservatori dell'OSCE sono stati disarmati e posti a svolgere sostanzialmente un ruolo di interposizione in quella realtà ed hanno assistito ai massacri. È stato poi ricordato il gruppo di contatto, il negoziato di Rambouillet. Ebbene, non credo che in questa situazione vi sia stata una sottovalutazione degli aspetti negoziali e diplomatici. Mi sembra, invece, che sia stato esperito ogni tentativo. Adesso dobbiamo occuparci, nell'ambito del diritto internazionale, anche dei diritti degli uomini, delle donne, dei bambini e delle bambine di quella disperata realtà che è il Kosovo, e dobbiamo impegnarci per tutelarli (Applausi dei deputati del gruppo misto-i democratici-l'Ulivo).

RAMON MANTOVANI. Anche gli asini fanno la guerra! Guerrafondaio!

PRESIDENTE. Onorevole Mantovani, la richiamo all'ordine! Il suo intervento mi pare del tutto inutile.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Leccese. Ne ha facoltà.

VITO LECCESE. Signor Presidente, in questo momento ci giungono voci che le


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sirene di allarme stanno suonando a Pristina, da Aviano sono partiti i caccia bombardieri e sono stati chiusi l'aeroporto Ronchi dei Legionari, quello di Bari e quello di Brindisi; credo quindi che si stia dando seguito all'activation order deciso dalla NATO.
Ritengo che tutti noi dobbiamo essere consapevoli - come ci ha ricordato questa mattina il collega Boato, chiedendo il dibattito in aula su questo argomento - che mai come nel momento attuale, in questo scorcio di fine secolo, sono in gioco la pace, la sicurezza, i diritti dei popoli e la convivenza. L'Europa è ancora attraversata da eventi terribili di pulizia etnica, l'ignobile metodo di risoluzione delle controversie etniche, utilizzato largamente dai dirigenti serbi, sia in Bosnia, sia in Kosovo. Come lei ci ha ricordato, signor Vicepresidente del Consiglio, è vero che è nostro dovere fermare tutto ciò; è nostro dovere fermare il genocidio e far rispettare i diritti umani; è nostro dovere inchiodare di fronte alle proprie responsabilità Milosevic e tutta la dirigenza serba, tuttavia crediamo sia legittimo da parte nostra interrogarci su quale sia il modo migliore, tenendo presenti gli strumenti di cui dispone la comunità internazionale, per fermare le catastrofi umanitarie, per difendere i diritti delle minoranze e per evitare che i deboli siano sopraffatti. Bisogna difendere e tutelare i princìpi che cinquant'anni fa, in modo solenne, furono scritti nella Carta universale dei diritti dell'uomo. In che modo dobbiamo intervenire, in che modo la comunità internazionale può tutelare i diritti non riconosciuti, i diritti violati, i diritti calpestati in Kosovo, nel Kurdistan, in Tibet, a Timor est, in Birmania, ovunque ciò accada?

ALFREDO BIONDI. A Cuba!

VITO LECCESE. Queste domande sono legittime, soprattutto in un momento in cui quegli scenari di guerra, che in Europa ci siamo lasciati alle spalle nella prima metà del secolo, potrebbero riaprirsi drammaticamente. Per questo nei giorni scorsi, subito dopo il fallimento del negoziato di Rambouillet, di Parigi e il tentativo operato da Richard Holbrooke, noi verdi abbiamo spinto perché fossero esperiti tutti i tentativi per evitare l'escalation militare.
Signor rappresentante del Governo, a nostro avviso, quel dispositivo militare della NATO non sarà capace né di difendere la popolazione civile che abita l'area dei Balcani meridionali, né di indebolire la leadership di Milosevic, tanto meno servirà a far scemare le esaltazioni nazionalistiche che pervadono molti in quelle zone, anzi nelle ultime ore segnali inquietanti di manifestazioni nazionalistiche arrivano dall'Albania e dalla Russia. Perché non coinvolgere Kofi Annan, perché non coinvolgere nuovamente il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite? Questo chiediamo, non tanto perché vi sia da parte del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite un'autorizzazione all'intervento, che sappiamo - come lei ci ha ricordato, onorevole Mattarella - essere impossibile, dato il potere di veto che Russia e Cina esercitano, ma perché riteniamo che il Consiglio di sicurezza stesso possa indurre, in quella sede, Milosevic all'unico atto possibile, cioè il «cessate il fuoco» e l'accettazione delle condizioni del piano di pace.
È importante questo passaggio per richiamare alle proprie responsabilità la Cina e la Russia, ma soprattutto quest'ultima che, come lei ha ricordato, è membro anche del gruppo di contatto. È importante coinvolgere la Russia perché svolga un ruolo non marginale nella ricerca di una soluzione negoziale, così come essa fu fondamentale per risolvere la vicenda della Bosnia. Ciò si doveva fare prima di pensare che non vi fossero alternative all'azione di forza.
Noi verdi non siamo pregiudizialmente contrari ad un intervento, anzi siamo favorevoli all'uso della forza se questo è l'unico modo per proteggere i civili dai massacri, perché siamo convinti che il principio dell'ingerenza umanitaria vada


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applicato in tutte le situazioni in cui i conflitti rischiano di coinvolgere pesantemente le popolazioni civili.
Non condividiamo, invece, anche se tra noi vi sono legittime valutazioni differenti, questo intervento della NATO, così come prefigurato e delineato. Non lo diciamo per pacifismo imbelle o perché animati da sentimenti anti-NATO o anti-USA, ma perché lo riteniamo controproducente ed inefficace, perché si tratta solo di un raid aereo, perché esso è incapace di garantire il fine che afferma di perseguire, cioè la protezione dei civili, perché è inefficace politicamente - anzi avrà l'effetto di radicalizzare ancora di più le posizioni -, perché è suscettibile di far precipitare la situazione con la conseguente deflagrazione dell'intera area, e forse anche oltre, come minacciosamente ci fa sapere qualcuno da Mosca.
Infatti, non possiamo gioire per quanto si appresta a fare il Montenegro, con la dichiarazione d'indipendenza e l'effetto a cascata che potrebbe coinvolgere nuovamente la Bosnia e poi la Macedonia e l'Albania.
Molti in queste ore ci ricordano la Bosnia e come, nel 1995, l'intervento della NATO portò all'avvio del processo di pace che sfociò negli accordi di Dayton. Ma nel 1995 quell'intervento fu richiesto dalle Nazioni Unite e autorizzato da numerose risoluzioni del Consiglio di sicurezza, cioè non solo vi era una base giuridica per tale intervento, ma vi era anche una coesione politica data dall'adesione della gran parte della comunità internazionale a quell'azione.
Quell'intervento, del resto, aveva le caratteristiche di un'azione dimostrativa e intimidatoria per costringere le parti a sedersi intorno ad un tavolo. Oggi, invece, l'azione non avrebbe più quelle caratteristiche, perché interviene dopo il fallimento della trattativa ed avrebbe solo un carattere punitivo, con tutto ciò che questo comporta, se dall'altra parte non vi è l'esercito iracheno, ma quello che sino alla fine degli anni ottanta era il quarto esercito del mondo.
In conclusione, queste sono le nostre riserve: ecco perché non condividiamo l'intervento della NATO e avvertiamo in modo forte la responsabilità a cui tutti noi siamo chiamati, cioè quella di fermare la guerra prima che sia troppo tardi (Applausi dei deputati dei gruppi misto-verdi-l'Ulivo, comunista e misto-rifondazione comunista-progressisti).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Bertinotti. Ne ha facoltà.

FAUSTO BERTINOTTI. Signor Presidente, signore e signori deputati, confesso un grave imbarazzo in questo intervento, un disagio profondo ed un senso di inutilità.
Mentre sto parlando è stato annunciato che sono stati chiusi gli aeroporti di Ronchi dei Legionari e gli aeroporti civili di Bari e di Brindisi. Mi chiedo cosa stiamo facendo: il Governo ha già tutto deciso senza nessun mandato parlamentare. L'Italia entra in guerra con un atto amministrativo: è una lesione della democrazia del paese e del Parlamento forse senza precedenti.
Nessun paese ha invaso un altro paese sovrano; nessun Governo legittimo di un paese sovrano ha chiesto l'intervento per difendersi da un'aggressione; non c'è alcuna specifica risoluzione dell'ONU che consenta di pensare ad un intervento.
Ha deciso la NATO contro lo statuto della stessa NATO che non prevede interventi di questo genere. Il Governo italiano si è accodato a questa scelta, se ne è reso corresponsabile quando l'articolo 78 della Costituzione prevede che solo le Camere possono decidere lo stato di guerra; il Governo ha stracciato il deliberato della Costituzione e l'ha deciso sua sponte contro l'articolo 11 della Costituzione che impedisce azioni di guerra per risolvere le controversie internazionali.
La NATO ha violato i diritti internazionali, il Governo italiano ha violato la Carta della costituzione repubblicana: siamo di fronte a fatti gravissimi. Non è in discussione la critica e la denuncia delle responsabilità del Governo di Milosevic,


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anche se onestà intellettuale vorrebbe che non fossero portate in maniera esclusiva in un drammatico conflitto etnico; non è in discussione l'orrore per i crimini di quella vicenda. Vorrei ricordare che uguale orrore si potrebbe provare per i fatti della Sierra Leone, del Congo o più direttamente per i curdi, nei confronti dei quali viene realizzato un genocidio. Non vogliamo dire, onorevole Martino, noi, che ci deve essere una gerarchia di intervento, siete voi! Sono coloro i quali vogliono la guerra che devono spiegare perché vi sono due pesi e due misure; noi ce lo spieghiamo: da una parte c'è un interesse strategico degli Stati Uniti d'America e ci sono i serbi che aderiscono a questa impostazione autoritaria (Applausi dei deputati del gruppo misto-rifondazione comunista-progressisti)!
La NATO ha deciso questa guerra che, come è stato osservato lucidamente poco fa, è semplicemente un moltiplicatore degli orrori di catastrofi umane e può essere catastrofica anche sul terreno geopolitico; è un'aggressione al mondo slavo; può suscitare nuovi nazionalismi dietro ad una Russia inquieta che non guarda solo come spettatrice a questi fatti. Voci autorevoli si sono già levate per chiedere un intervento dei soldati russi in Serbia. Questa guerra non sarà efficace, rischia di essere un moltiplicatore di tragedia, rischia di esporre l'Europa ad un'avventura senza precedenti e vi espone l'Italia.
Noi, attraverso la scelta del Governo, che non abbiamo potuto impugnare con voto, ne saremo corresponsabili. Noi chiediamo ancora al Governo un ripensamento per sottrarre il paese a questa avventura, evitando inutili bizantinismi tra l'uso degli uomini, dei mezzi e delle basi. Chiediamo che né uomini né mezzi né basi vengano utilizzate in questa guerra e che l'Italia dica di no. Ci rivolgiamo con grande preoccupazione e con assoluto rispetto a tutte le forze interne della maggioranza che si sono pronunciate con argomenti non dissimili dai nostri contro questa guerra: voi avete in mano uno strumento per impedire che questa prospettiva si realizzi almeno per l'Italia, potete ritirare la fiducia al Governo, impedire che venga salvato, nella prospettiva e nell'azione di guerra, dal voto sostitutivo delle destre. Il «no» alla guerra fa parte della migliore tradizione delle forze della sinistra e democratiche italiane. Esse hanno saputo in momenti difficili della vicenda politica del paese ribellarsi anche nei confronti dei loro grandi partiti per salvare la loro coscienza e la dignità del paese. Fate altrettanto: se una crisi di Governo non si può fare per la guerra, davvero la politica perde di senso (Applausi dei deputati dei gruppi misto-rifondazione comunista-progressisti e della lega nord per l'indipendenza della Padania - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Follini. Ne ha facoltà.

MARCO FOLLINI. Signor Presidente, la guerra nel Kosovo c'era già prima: era guerra la persecuzione di un popolo, l'odio razziale, la pulizia etnica che abbiamo visto realizzata per giorni e giorni. Un massacro che il negoziato internazionale non è riuscito ad evitare prima e a contrastare poi.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ALFREDO BIONDI (ore 19,20)

MARCO FOLLINI. Questo massacro - è stato detto - ha un regista: Milosevic. Egli è un dirigente dal passato comunista, che veste oggi i panni di un nazionalismo xenofobo ed aggressivo. La sua è una metamorfosi che abbiamo visto all'opera in molti paesi dell'est.
A volte, nella politica italiana si è parlato con leggerezza del filo rosso e nero. Il filo rosso e nero è lì, in quell'esperienza e in quella tragedia che somma gli errori e gli orrori di due diverse idee della dittatura politica; un condensato di tutte le nequizie di questo secolo. E meno male - lo dico agli amici della lega nord - che contro tutto questo,


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insieme all'Europa, vi è stata la grande risorsa della democrazia americana in questo secolo.
I deputati cristiano-democratici si riconoscono nell'azione della NATO; non è mai con gioia, né con leggerezza, che si decide o si condivide un'azione di questo genere e di questa portata. Abbiamo, però, la consapevolezza che l'alternativa è tra il rischio legato ad una assunzione di responsabilità e la certezza senza speranza che nasce dall'omissione, dall'inazione e dall'indifferenza.
È stato evocato con parole di panico l'arrivo di migliaia e migliaia di profughi disperati nel nostro paese. È giusto, ma non si può paventare tutto ciò, magari raccogliere le firme per un referendum contro gli immigrati e poi chiamarsi fuori, come se il Kosovo fosse il giardino di casa della dirigenza serba.
C'è una rassegnazione ricorrente che attraversa il nostro secolo. È la rassegnazione degli accordi di Monaco del 1939 verso il nazismo; è la rassegnazione di questo dopoguerra verso il terrorismo internazionale; è il dubbio, che di tanto in tanto riaffiora, che i paesi della democrazia e della pace siano inermi davanti alla sfida delle aggressioni e del fanatismo, che il divario sia tale che qualche volta convenga chiamarsi fuori.
Il nostro dilemma sta in questi termini: noi non vogliamo - e non possiamo - opporre violenza a violenza; ma non possiamo dimenticare che nella storia dei popoli la resa è il più grande moltiplicatore della prepotenza. È in gioco la possibilità stessa della comunità internazionale di fare da scudo alla prepotenza del più forte e al genocidio che si consuma a pochi chilometri dalle nostre coste. Questo è nel mandato delle Nazioni Unite; questo è nell'azione che si sta profilando.
Se lasciassimo correre oggi, finiremmo per sancire la possibilità di chissà quanti altri Milosevic di uscire dai cardini della civiltà e della legalità internazionale e di uscirne impuniti.
C'è, infine, un dettaglio non so quanto minuscolo: a sostegno di questa politica e di questa visione dell'equilibrio internazionale e dei doveri della comunità, esiste una maggioranza, una larga maggioranza in questo Parlamento. Ma questa maggioranza non coincide con quella che sostiene il Governo anche se, poco fa, l'onorevole Grimaldi ha reso chiaro che, contro il Governo, il partito comunista sparerà a salve. È un dettaglio antico: è già capitato quando si è votato per la missione in Albania e quando si è votato per l'allargamento della NATO, occasioni nelle quali la maggioranza non ha potuto contarsi e ha dovuto ricorrere alla responsabilità dell'opposizione, del Polo. Di quel dettaglio ci occuperemo venerdì, quando saranno in discussione ed in votazione le mozioni parlamentari.
Oggi rinnoviamo la nostra solidarietà alle popolazioni del Kosovo, nonché la nostra tenue speranza - molto tenue, ormai - di evitare il ricorso alle armi e la nostra più forte e convinta speranza che quelle armi servano a ricostruire un ordine di convivenza che, in questi anni, da quelle parti, è stato fatto a brandelli.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Lamacchia. Ne ha facoltà.

BONAVENTURA LAMACCHIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rinnovamento italiano prende atto con favore della relazione del Vicepresidente del Consiglio, onorevole Mattarella. Certo, desta grande preoccupazione il precipitare della situazione nel Kosovo: non si può infatti ignorare che, dopo i numerosi tentativi di mediazione condotti nelle scorse settimane e l'utilizzo fino in fondo di tutti i mezzi della diplomazia, ieri il segretario generale della NATO ha impartito un formale ordine di attacco all'ex Jugoslavia, che ci aspettiamo per le prossime ore.
Occorre dare atto al Governo italiano di aver compiuto e di compiere continui sforzi per scongiurare un conflitto così sanguinoso, anche perché il nostro paese sarebbe il più esposto ed il più vicino al teatro della guerra. È chiaro, infatti, che l'Italia, a seguito di un intervento così


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forte che si prepara nel Kosovo, si troverebbe a dover fronteggiare l'ondata di migliaia di profughi, che potrebbero riversarsi sulle coste adriatiche. Nonostante la situazione sia drammatica e le conseguenze di un conflitto contro la Serbia non siano prevedibili, il nostro paese deve tuttavia assumersi le sue responsabilità. Essendo l'Italia parte integrante del sistema di difesa della NATO, infatti, non può dissociarsi dalle decisioni prese da quest'ultima. Dispiegamento ed uso della forza non sono fini a se stessi, ma si inseriscono in una prospettiva politica, in una logica intesa a recuperare nel Kosovo equilibri di convivenza e di sviluppo per prevenire e contenere la violenza di Belgrado nei confronti delle popolazioni, per evitare di destabilizzare i paesi vicini.
L'Italia ha tenacemente operato con tutti i mezzi della diplomazia per trovare una proposta equa, in grado di favorire una soluzione pacifica della controversia sul Kosovo. Il ruolo italiano, in tutte le sedi internazionali, è stato determinante ed ha contribuito in gran parte a definire i contenuti del documento conclusivo del negoziato di Parigi che, se fosse stato accettato anche da Milosevic, avrebbe potuto aprire prospettive certe di pace e di convivenza civile per i kosovari nella Repubblica federale Jugoslava, la quale deve garantire l'autonomia della regione del Kosovo nell'ambito dell'integrità territoriale statuale. Sarebbe stato possibile introdurre meccanismi di tutela per le minoranze di quel territorio e, con la presenza di un contingente militare internazionale, estirpare i focolai di guerriglia. Il Governo italiano ha lavorato fino all'ultimo per evitare l'intervento militare, ma Milosevic ha ostinatamente rifiutato la via della ragione, ha preferito riaffermare la presenza del tallone di ferro serbo sul Kosovo. Di fronte allo sfacciato oltranzismo di Milosevic, la comunità internazionale non può rimanere in uno stato di colpevole inerzia: è ancora di fronte a noi la tragedia della Bosnia, che rischia ora di ripetersi in Kosovo. In queste ore, la massa di popolazione in fuga da quella regione è impressionante: si parla di 25-30 mila persone. L'iniziativa militare della NATO, che il Governo italiano giustamente sostiene, è quindi soprattutto un'iniziativa umanitaria per difendere la popolazione inerme dalla cieca violenza scatenata da Milosevic. Siamo coscienti della complessità di questa iniziativa militare, tuttavia l'Italia non può sottrarsi agli impegni presi e, soprattutto, non può rimanere sorda al grido di soccorso che bambini, donne e uomini lanciano drammaticamente, sperando nell'aiuto che l'Italia, insieme ai suoi alleati, può recare loro. Noi abbiamo il dovere di rispondere a questo grido di dolore (Applausi dei deputati del gruppo misto-rinnovamento italiano e misto-CPE).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Crema. Ne ha facoltà.

GIOVANNI CREMA. Signor Presidente, se nelle prossime ore si consumerà l'intervento militare della NATO, ciò costituirà un evento drammatico e di carattere del tutto straordinario. Il quotidiano americano Washington Post così commenta la situazione: «La decisione della NATO di attaccare un paese sovrano, per la prima volta in cinquant'anni di storia, è una trasformazione per un'Alleanza che è nata per difendere e per proteggere l'Europa occidentale da un'invasione dell'Unione Sovietica».
È del tutto evidente che oggi la NATO si sostituisce all'ONU, paralizzata dal veto della Russia e della Cina. Questa supplenza della NATO rispetto all'ONU muta profondamente gli equilibri internazionali. È soprattutto la Russia a temere l'isolamento rispetto ad un'Europa che, dopo il suo allargamento, si identifica sempre di più con la NATO.
Sarebbe un grande e grave errore non prendere in seria considerazione i timori ed i sentimenti di Mosca. Tuttavia, non si può rimanere inerti di fronte alla tragica situazione del Kosovo. Milosevic ha apertamente sfidato l'opinione pubblica internazionale; il suo regime ha gravissime responsabilità: repressione, massacri e pulizia etnica sono state le caratteristiche della recente politica di Milosevic.


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Tutta la democrazia internazionale si è mobilitata per fermare Milosevic senza alcun risultato. Di fronte a questa situazione ci chiediamo: come si fa a rimare immobili?
Pietro Ingrao su il manifesto conclude la sua serrata critica all'ipotesi dell'intervento della NATO dicendo: «Prego, accomodatevi pure se vi piacciono questo mondo e queste armi». A noi socialisti non piacciono né questo mondo né queste armi, ma ci poniamo il problema, che è sia umanitario sia politico, di fermare un massacro.
Se non si entra nel merito della questione, si può scambiare quella che è un'azione di polizia internazionale con un atto di aggressione. Sarebbe stato meglio, molto meglio, se la questione fosse stata risolta per via diplomatica; sarebbe stato meglio, molto meglio se, invece dell'intervento della NATO, vi fosse stato quello dell'ONU. Purtroppo, ciò non è avvenuto e non può avvenire.
Siamo ben consapevoli dei rischi che comporta un intervento militare di questo tipo. I Balcani sono una polveriera da cui si possono irradiare tensioni gravissime.
I socialisti sostengono il Governo italiano che ha espresso il suo assenso all'intervento della NATO, ma auspicano che alla forza delle armi si possa sostituire ben presto la forza della ragione e della ragionevolezza per poter riprendere la via maestra, intrapresa anche nel passato, della trattativa (Applausi dei deputati del gruppo misto-socialisti democratici italiani).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole La Malfa. Ne ha facoltà.

GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, non sfugge certamente ai repubblicani la particolare gravità della decisione che la NATO ha preso e che il Governo italiano sostiene, a nostro avviso, giustamente ed inevitabilmente.
Non sfugge altresì ai repubblicani la particolare condizione in cui questo intervento avrà luogo, il pericolo di dover far seguire ad un'azione militare altre azioni di questo tipo nei confronti di un paese armato e dominato dall'estremismo dei Milosevic, degli Seselj e di una classe dirigente, diciamolo pure francamente, di avventurieri che nessun democratico potrebbe difendere.
Non è facile prevedere gli sviluppi di questa situazione. Naturalmente, la posizione dell'Italia, così vicina ai confini della Jugoslavia, la destina ad essere toccata, speriamo non dai riflessi militari, ma certamente dalle conseguenze politiche di quest'azione.
Quindi, onorevole Bertinotti e onorevole Cossutta, se fosse possibile evitare l'intervento militare, in condizioni così difficili e senza avere il sostegno dell'ONU - perché tale sostegno non si può avere vista la posizione della Cina - lo faremmo. Questo è un intervento che presenta caratteristiche di diritto internazionale nuove e certamente non semplici da valutare. Infatti, il caso della Jugoslavia e del Kosovo non è uguale a quello dell'Iraq, in cui un paese invase un paese vicino e vi era, pertanto, un diritto alla difesa da salvaguardare. Non può essere altresì paragonato al caso della Bosnia, in cui si provocò una guerra per tentare di strappare territori ad un paese che si era dichiarato indipendente. Qui noi interveniamo, signor Presidente - e lo dobbiamo sapere -, nelle vicende interne di un paese. È una regione che dichiara la propria volontà di indipendenza - e ha molte ragioni perché c'è una etnia albanese, che costituisce il 90 per cento della popolazione, che vive in quella regione e rispetto alla quale c'è una dialettica che possiamo considerare interna alla Jugoslavia - sulla quale interveniamo dall'esterno.
Onorevole Bertinotti, non sottovalutiamo le implicazioni, le conseguenze e il significato di tutto ciò. È la prima volta che la comunità internazionale interviene in fatti interni ad altri paesi. Ma in un certo senso, colleghi della sinistra (il cui dissenso rispetto profondamente), non è proprio questo ciò che è stato auspicato per tanti anni? Non abbiamo cioè tutti


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insieme auspicato che vi fosse una capacità della comunità internazionale, di fronte alle sofferenze interne e alla violenza di un regime dittatoriale che nega le libertà o il diritto all'autodeterminazione, di saper compiere uno sforzo per evitare dei massacri? Questo è il problema!
Signor Presidente, noi repubblicani abbiamo sempre in mente una vignetta che è apparsa qualche mese fa su Le Monde all'indomani di un altro massacro nel Kosovo. In essa si vede l'Europa che ha al posto degli occhi il simbolo dell'euro che guardando il massacro e vedendo bambini morti e via dicendo, dice: nessun massacro!
Onorevoli colleghi, non possiamo distogliere lo sguardo da questi problemi e con tutta l'angoscia dobbiamo dire che il Governo italiano ha fatto il suo dovere e che lo sosterremo pienamente e convintamente (Applausi dei deputati del gruppo misto-federalisti liberaldemocratici repubblicani).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Rebuffa. Ne ha facoltà.

GIORGIO REBUFFA. Presidente, mi limiterò a fare poche osservazioni, la prima riguarda quel po' di stupore che si prova in un dibattito di questo genere.
A me pare estremamente singolare che, a dieci anni dalla caduta del muro di Berlino, l'Italia non abbia ancora una sua politica estera, in modo condiviso da tutte le forze parlamentari.
La discussione di questa sera è stata piena di sogni, di pulsioni, di emozioni, come se ci trovassimo in un altro contesto internazionale, come se qui discutessimo ancora dell'appartenenza all'uno o all'altro blocco. Ebbene, ci troviamo in una situazione completamente diversa e la mancanza di chiarezza rende equivoche e, per la misura in cui ciò sia possibile, anche false molte delle affermazioni fatte.
Un'altra osservazione riguarda i tempi. Vorrei invitare molti dei colleghi che hanno parlato con tono accorato a riflettere sulla questione dei tempi. È vero che il negoziato di Rambouillet aveva impegnato il prestigio anche del Presidente della Repubblica francese, tuttavia mi chiedo quanto costi o possa costare in vite umane un ulteriore ritardo dei tempi. È un discorso troppo crudo? Vorrei soltanto ricordare che tutta la storia d'Europa è piena di morti a causa della dilazione dei tempi. Penso che forse abbiamo raggiunto il tempo limite; l'intervento della NATO questa sera probabilmente salverà altre vite umane.
Vi è poi un'altra questione che è frutto di equivoci; mi riferisco all'ONU. In ciò mi conforta una dichiarazione fatta qualche settimana fa, e che è stata successivamente ripresa dal Presidente del Consiglio, a proposito del mandato dell'ONU.
In un'intervista pubblicata prima sulla stampa internazionale e poi anche su quella italiana, il Presidente del Consiglio ha detto una cosa molto precisa, ossia che un intervento di questo genere è consentito per salvaguardare dei valori umanitari anche senza un esplicito mandato dell'ONU, ma rispettando i principi della Carta delle Nazioni Unite. L'intervento che si profila li sta rispettando oppure no? Non ho dubbi che li stia rispettando.
Su questo punto dell'ONU vi è un secondo equivoco di cui vorrei non si parlasse più, per onore alla verità: non esiste altra forza possibile e utilizzabile che non sia quella della NATO. Può darsi che ciò abbia controindicazioni, che ci piaccia o meno, ma credo che i pochi presenti abbiano chiaro cosa significhi. Se l'ONU volesse intervenire, non avrebbe gli strumenti. L'unica organizzazione in grado di agire in situazioni di questo genere è la NATO.
Arriviamo così al terzo punto che è fonte di equivoci. Ho sentito gli interventi appassionati e accorati dei colleghi di rifondazione comunista e dei comunisti italiani, ma anche di qualche collega di altri gruppi. Si ragiona nella NATO come se fossimo nel 1985, ma siamo nel 1999. La NATO è una struttura in assoluta trasformazione e, quando si fa retorica sull'identità di difesa europea, si dimentica che tale identità è possibile proprio grazie alle trasformazioni che stanno avvenendo


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nell'Alleanza. Il suo allargamento, per esempio, mette di fronte ad una situazione geostrategica completamente diversa da quella di dieci anni fa, cioè ad una situazione in cui sono necessari interventi militari di carattere regionale che la NATO può fare.

PRESIDENTE. L'ora è fuggita.

GIORGIO REBUFFA. È molto gentile, Presidente.

PRESIDENTE. Lo dico perché devo farlo, non per il mio piacere, che sarebbe il contrario!

GIORGIO REBUFFA. Dalle poche cose che ho detto consegue l'evidente sostegno che dovrebbe essere dato non solo da una parte politica, ma da tutto questo Parlamento, ad una politica estera e di difesa che non è di una parte o della maggioranza, ma è dello Stato italiano e, quindi, della nostra comunità (Applausi dei deputati dei gruppi misto-CPE e misto-federalisti liberaldemocratici repubblicani).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Caveri, che dispone di soli tre minuti, con qualche comprensione da parte della Presidenza, che è garantista. Ne ha facoltà.

LUCIANO CAVERI. Presidente, colleghi, rappresentanti del Governo, per l'informazione politica e culturale e per la violenza che noi stessi abbiamo subìto nel corso della storia come minoranze linguistiche, siamo contro la guerra. Ma esiste un diritto di difesa contro i tiranni e contro il genocidio sul quale, peraltro, si basa la legittimità della resistenza armata intrapresa dai kosovari, dopo anni di politica non violenta che, purtroppo - lo sottolineo - non ha avuto successo.
Appoggiamo perciò in maniera incondizionata l'azione della NATO, che semmai è tardiva, in difesa di un popolo senza Stato, cui è stata negata anche una forma di autonomia speciale che pure aveva nel passato.
Milosevic è il vero responsabile e le sue colpe ricadono anche sul popolo serbo che lo esprime come leader. Egli ha costruito le sue fortune anche con le bugie contro gli albanesi del Kosovo, con la propaganda, che ha precedenti all'inizio di questo secolo, di un Kosovo serbo che sarebbe stato, secondo alcune fantasie serbe, invaso dagli albanesi. Ciò è falso.
La logica panserba, a metà degli anni ottanta, ha ripreso il tema di un genocidio contro i serbi del Kosovo ed è stata uno degli elementi del nazionalismo serbo, letteralmente esploso in questi anni, e delle tragedie che - come ben sappiamo - esso ha innescato.
È la logica della pulizia etnica e dei nazionalismi giacobini che sfociano nelle politiche fasciste degli Haider, dei Zhirinovskij e dei Milosevic. Ed è per questo che alcune amicizie della lega oggi stupiscono, perché la logica xenofoba e razzista è del tutto contraria al federalismo vero in Europa, rispettoso di tutti i popoli e di tutte le nazionalità. La posta in gioco in queste ore, rispetto a questa vicenda, riguarda proprio il rispetto del diritto internazionale che sancisce l'autodeterminazione dei popoli. Ciò però dovrebbe avvenire, nella logica furbesca di molti Stati, con la rigidità dei confini e senza toccare la sovranità degli Stati esistenti. L'antidoto ai nazionalismi dunque è mettere insieme identità nazionale e federalismo.
La vicenda del Kosovo diventa allora in questi giorni ed in queste ore emblematica e simbolica: simbolica della difesa che tutti noi dobbiamo pretendere nei confronti delle comunità nazionali, perché, se così non sarà, l'Europa di domani avrà il voto orrendo della guerra (Applausi dei deputati del gruppo misto-minoranze linguistiche).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare, a titolo personale, l'onorevole Rivolta. Ne ha facoltà.
Ho il dispiacere di riferire che il monitor segnala che le operazioni militari sono cominciate.
Prego, onorevole Rivolta.


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DARIO RIVOLTA. Stavo per annunciarlo, Presidente, perché anch'io poco fa ho ricevuto questa notizia.
Ci troviamo in un momento particolare, un momento che forse qualcuno ha sottovalutato nella sua gravità, nonostante i toni accorati ed addolorati che abbiamo sentito oggi alla Camera.
Per evitare equivoci debbo premettere che il mio intervento non è diretto a dichiararmi contrario all'intervento militare della NATO. Non posso - anche se lo vorrei - dichiararmi contrario a quell'intervento, perché al primo posto vi è la fedeltà ad un impegno e ad un'alleanza. Non sfugge a nessuno, però, che se la NATO, dopo aver tanto urlato e minacciato, arrivati a questo punto, non fosse intervenuta, la credibilità della NATO stessa sarebbe finita nel nulla.
Purtroppo, non possiamo neanche negare la necessità di far presente quali possano essere le altre conseguenze; alcune già si profilano, mentre altre potranno verificarsi più tardi.
Quello che già si delinea è che, tra l'altro anche per affermare la credibilità della NATO, noi oggi abbiamo cominciato a mettere un'altra pietra sulla delegittimazione dell'ONU. Questo non può sfuggirci.
È vero, sapevamo che la Cina e la Russia erano contrarie. Ciononostante si verifica un intervento militare contro un paese che era membro dell'ONU, di per sé sovrano. Questo è il secondo aspetto. Non possiamo nasconderci che andiamo a violare con un atto di guerra la sovranità di un paese indipendente e sovrano, così come non possiamo nemmeno nasconderci che non sono i motivi umanitari quelli che ci spingono a questo intervento. I motivi umanitari veri e reali, ai quali non possiamo essere insensibili, in realtà non sono stati che uno strumento per qualcuno che ha attirato la NATO - o comunque almeno noi - all'interno di una trappola. Quella in cui stiamo cadendo è una trappola che ha altri obiettivi rispetto a quelli degli interventi umanitari. Se infatti l'intervento fosse stato diretto semplicemente a salvaguardare i diritti umani e di carattere umanitario, altre occasioni, anche in tempi recenti, ci si sarebbero prospettate, ma abbiamo girato la testa. Ricordo lo Zaire in Africa, il Kurdistan, tante parti del mondo.
Signor Presidente, il tempo, lei mi segnala, è feroce. Non posso però esimermi, nell'avviarmi a concludere, dal ricordare che ciò che abbiamo davanti è uno scenario di cui conosciamo l'inizio ma non la fine, uno scenario in cui si incomincia con un attacco aereo che però, lo sappiamo tutti, difficilmente basterà a dare soluzione al problema che apparentemente vogliamo risolvere. Dopo l'attacco aereo, quasi sicuramente sarà necessario un intervento di truppe di terra ed un tale intervento contro quell'esercito ed in quella zona corre gravi rischi di portarci ad una situazione che può ricordare da lontano anche il Vietnam.
Signor Presidente, signori ministri, non è con leggerezza che possiamo affrontare questo problema. Il fatto che il Montenegro abbia annunciato oggi stesso - e concludo - di disconoscere la sovranità della Serbia e che si preannunci la possibilità di una secessione dello stesso Montenegro è presagio di altri cambiamenti che possono avvenire nell'area, cambiamenti che possono anche portare a quella che qualcuno ipotizza, nel caso specifico, come la grande Albania. Se grande Albania sarà, però, non si fermerà al Kosovo. La questione della Macedonia sarà un argomento che si porrà fra breve alla nostra attenzione.

PRESIDENTE. Onorevole Rivolta, la prego di concludere perché ha superato di due minuti il tempo a sua disposizione, che devo far rispettare soprattutto quando - come lei comprenderà - sono obbligato ad essere ancora più severo che in altri casi.

DARIO RIVOLTA. Mi preoccupo dell'evoluzione che vi sarà in Macedonia e in altre zone della ex Jugoslavia, come la Bosnia. Se, poi, ci sarà la grande Albania, perché non dovrebbe esservi anche la grande Ungheria? A quale prezzo? Non


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mi resta che una invocazione che tutti dobbiamo fare nostra: che Dio ce la mandi buona!

PRESIDENTE. Mi associo.
Ha chiesto di parlare, a titolo personale, l'onorevole Marinacci. Ne ha facoltà.

NICANDRO MARINACCI. Signor Presidente, signor Vicepresidente del Consiglio, quando nel 1996, per la prima volta in questa legislatura, portai in quest'aula la voce del popolo del Kosovo, che soffriva senza tollerare oltre la tirannia e la dittatura del serbo Milosevic, qualcuno disse che i morti kosovari, la tirannide che inermi civili pativano, non erano altro che strumentalizzazioni inutili contro un Governo che si era distinto fino a quel momento addirittura per i suoi sani principi nella difesa dei valori del vivere civile e nei momenti di cosciente difesa dei propri diritti.
Furono molte le lettere inviate al collega Occhetto, ad altri colleghi e ai giornali affinché si prendesse di petto la situazione del Kosovo, ormai giornalmente più incandescente ed esplosiva. Tale situazione di emorragia umana, che lascia ogni avere, bene ed affetto e si rifugia in terre il più lontano possibile dagli orrori dell'impari guerriglia di epurazione etnica, dovrebbe farci pensare.
Come si può, dopo tre anni di grida nel vuoto di quest'aula, sperare che un sordo assassino, come il serbo Milosevic, potesse o possa ancora sentire? In ultima analisi, cosa chiedeva il popolo kosovaro? L'indipendenza? No, chiedeva l'autonomia di culto, cultura, usi, costumi ed identità. Qual è stata la risposta del Governo serbo? L'ulteriore aggravamento delle atrocità, violenze, abusi ed epurazioni etniche a non finire.
Potremmo affermare con sgomento e rammarico che noi lo avevamo detto fin dal novembre 1996. Dovevate tentare di fermarlo all'epoca con i numeri, con il dialogo, con il dibattito, con ogni mezzo, come avevamo detto anche dell'esodo e degli sbarchi di disperati e in modo disperato; è disperato ormai l'intervento perché, nonostante i bombardamenti in atto, ancora non tutto è perso, ancora non tutto è inutile. È bene si sappia, infatti, che ogni ora che passa muoiono non i potenti della guerra, ma donne, vecchi e bambini nel freddo inverno balcanico e spero, dopo la discussione in quest'aula, sempre più vuota, non più nel freddo delle nostre coscienze.
Vi rivolgo un appello, signor Presidente, signor Vicepresidente del Consiglio, signor ministro: fermate Milosevic e che la voce del negoziato diventi più forte dei colpi di cannone che rimbombano nelle valli del Kosovo e, spero, nelle coscienze di chi in quest'aula non ha voluto sentire precedentemente!
A proposito di relazioni diplomatiche, mi chiedo e vi chiedo: ci può essere un punto di rinuncia ad un negoziato? Vi è un punto di rinuncia quando mancano volontà e punto di partenza. Se dopo Rambouillet non vi è più speranza diplomatica, vi siano allora certezze di difesa con ogni mezzo affinché l'eccidio si blocchi, un eccidio che riguarderebbe non una parte dei kosovari ma il 90 per cento di essi.
Concludo, signor Vicepresidente del Consiglio, chiedendovi, dopo tre anni di sonno e di insensibilità: è ancora utile tale dibattito, visto che, mentre stiamo parlando, la NATO sta già bombardando?

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare a titolo personale l'onorevole Buontempo. Ne ha facoltà.

TEODORO BUONTEMPO. Signor Presidente, si può essere favorevoli o contrari ad un intervento, ma credo che ciascuno di noi dovrebbe denunciare la pagina inquietante che i partiti hanno fatto scrivere al Parlamento italiano. Oggi abbiamo assistito a due modestissime rassegne stampa del ministro della difesa e del Vicepresidente del Consiglio, mentre ormai, purtroppo, la guerra pare drammaticamente in atto. Il Parlamento ha vissuto questa giornata senza tensioni, senza sofferenza, senza riuscire a capire la drammaticità di quanto sta accadendo.


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Mi pare evidente che l'ONU e la NATO siano superate, però le regole - vorrei dirlo all'onorevole Rebuffa - finché ci sono vanno rispettate, altrimenti siamo al far west.
L'articolo 78 della Costituzione recita: «Le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo i poteri necessari». Il Parlamento non ha avuto modo di discutere né di delegare il Governo a fare nulla. Non c'è dubbio che era necessario intervenire, ma come intervenire? Questo lo doveva decidere il Parlamento italiano. Si parla della NATO, ma in nessuna parte del trattato della NATO c'è una sola riga che autorizzi la NATO stessa a fare ciò che sta facendo. La NATO è nata come organizzazione di forze armate adeguate per esercitare un'azione deterrente contro ogni eventuale forma di aggressione e, ove questa dovesse intervenire, per contrastarla. Si può leggere ogni pagina e ritroviamo sempre espressioni come le seguenti: contro l'aggressione; ove la deterrenza venisse meno; adoperare una difesa diretta e così via.
La NATO non aveva i poteri per intervenire in questa circostanza perché è nata come forza di difesa nei paesi che fanno parte della NATO. Non c'è dubbio che il problema è quello di fermare il genocidio e i crimini ad opera di popoli che oltre tutto - lasciatemelo dire - non sono nuovi a pulizie razziali perché, prima, le hanno fatte anche nei confronti degli italiani. Il problema l'abbiamo visto in Iraq: le bombe americane hanno cacciato il dittatore Saddam e quel regime illiberale oppure hanno pagato soltanto le popolazioni civili e i bambini che continuano a morire grazie alle sanzioni che sono state inflitte?
È certo che bisognava intervenire, ma chi ce lo assicura, chi è così presuntuoso? Con riferimento all'intervento dell'onorevole Rebuffa, a me pare che il mondo diventi un far west se si ritiene che quando c'è un principio condiviso si possa intervenire bombardando. Cari colleghi, è la cultura del bombardamento che va combattuta!
Dopo quello che accadrà - speriamo che tutto si possa concludere questa notte -, si fermeranno i genocidi? Si fermeranno le pulizie etniche? Si fermeranno le persecuzioni dei kosovari, degli albanesi oppure non si rischia che lì non ci sarà più legge e più protezione? Non era più giusto che l'Europa, che l'ONU intervenisse con forze militari a protezione di queste comunità e di queste minoranze che subiscono la violenza di quel regime? Invece, non si è voluto intervenire per proteggere quelle minoranze.
Cari colleghi, l'aula è vuota (è bene dirlo): ecco la grande tensione di questi partiti che discuteranno venerdì! Quando ormai la guerra sarà già in atto, il Parlamento italiano farà la sceneggiata sulle mozioni!
Non è vero che questo intervento è stato deciso per proteggere quelle comunità: esso è dipeso da un delirio di onnipotenza degli Stati Uniti che pensano che con le armi e con le bombe potranno continuare a mantenere il monopolio dei loro affari (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania).

PRESIDENTE. È così esaurita l'informativa urgente del Governo sull'intervento della NATO in Kosovo.

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