XII COMMISSIONE
AFFARI SOCIALI

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 10 novembre 1999


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La seduta comincia alle 15.15.

(Il Comitato approva il processo verbale della seduta precedente).

Audizione dei rappresentanti della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del regolamento, l'audizione dei rappresentanti della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome.
Faccio presente ai nostri ospiti che il Comitato permanente per il controllo della spesa sanitaria istituito nell'ambito della Commissione affari sociali sta procedendo ad una serie di audizioni in materia, appunto, di controllo della spesa sanitaria, soprattutto ai fini di una valutazione di efficacia del patto di stabilità interno che, come loro ben sanno, coinvolge tutti gli enti locali al fine di una razionalizzazione della spesa pubblica in genere, quindi anche di quella sanitaria; spesa sanitaria che tra il 1992 ed il 1995 ha subito una flessione, per avere poi un'impennata a partire dal 1995. Le spese che a ciò concorrono sono soprattutto quelle per il personale, per i medici di base, le spese farmaceutiche e quelle per visite specialistiche, convenzionate o esterne; mentre quelle che hanno contribuito in misura minore all'aumento sono state le spese per beni e servizi.
La spesa pro capite è di 1 milione 858 mila lire, ma come ben sapete varia da regione a regione. La differenza di spesa tra regione e regione è dovuta, secondo un'opinione condivisa, alla mobilità, all'età e alla epidemiologia, cioè alla morbilità e alla mortalità. Secondo altri, lo sforamento della spesa potrebbe essere dovuto ad una politica di sottostima o ad una irresponsabilità delle regioni. Io devo ricordare che dal 1997 in poi gli stanziamenti previsti dal fondo sanitario nazionale sono assegnati in parte alle regioni, le quali hanno, poi, entrate suppletive rappresentate dall'IRAP, dall'addizionale IRPEF, dalle entrate regionali e dalle entrate delle aziende USL, che a quegli stanziamenti vanno a sommarsi.
Quali sono le spese che deve ora affrontare la manovra finanziaria per il 2000 in rapporto al patto di stabilità e alla sanità? In effetti, per la sanità il problema è particolare, perché bisogna cercare di coniugare il disavanzo pubblico con il raggiungimento degli obiettivi stabiliti dal piano sanitario nazionale e dalla riforma-ter (prevista dal decreto legislativo n. 229 varato quest'anno).
I debiti accumulati dalla regioni fino al 1997 ammontano a 31 mila 140 miliardi di lire. Lo Stato dovrebbe intervenire per 26 mila miliardi, di cui 15 mila dovrebbero venire dalla legge finanziaria per il 2000, 6 mila dai bilanci precedenti e 5 mila deriverebbero dall'assestamento del bilancio per il 1999. Poiché è stato detto che una parte dei debiti non sarà ripianata e circa il 25 per cento dei disavanzi complessivamente accertati resterà a carico delle regioni, vi chiedo come si inquadri il problema del risanamento di questo disavanzo.
La disciplina del patto di stabilità interno prevede l'acquisizione e la valutazione di dati per un monitoraggio mensile per la verifica degli obiettivi per l'anno in corso nonché l'accertamento dei


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disavanzi delle varie regioni per i diversi esercizi finanziari; la verifica - non so se l'abbiate compiuta - dei livelli di assistenza assicurati in ciascuna regione e provincia autonoma con la valutazione dei risultati economico-gestionali e l'individuazione delle cause degli eventuali disavanzi; la valutazione della situazione delle singole regioni da parte della Conferenza Stato-regioni, che si avvale dell'Agenzia per i servizi sanitari regionali (diretta dal professor Taroni, che noi già abbiamo ascoltato il 28 ottobre scorso). Infine, si dovrebbe arrivare alla stipula tra il Ministero della sanità, il Ministero del tesoro e le singole regioni di accordi per l'individuazione degli interventi necessari per il perseguimento dell'equilibrio economico-gestionale, nonché ad un adeguamento del sistema informativo sanitario e alla introduzione di un meccanismo incentivante la realizzazione degli accordi, basato sulla ripartizione delle risorse finanziarie.
Fatta questa breve premessa, poiché ho letto su qualche quotidiano che le regioni lamentano di non essere state tempestivamente informate e di non essere state contattate per discutere del modo in cui affrontare l'esistente disavanzo, vorrei conoscere la vostra opinione.

GIOVANNI TESI, Direttore generale del bilancio e del controllo di gestione della regione Lombardia. Prendo la parola per primo in quanto la Lombardia ha in seno alla Conferenza dei presidenti delle regioni e delle provincie autonome il ruolo di referente per gli affari finanziari.
Nel quadro di attuazione dell'articolo 28 della legge n. 488 del 1998 (collegata alla finanziaria per il triennio 1999-2001) sono stati costituiti un tavolo politico ed un tavolo tecnico di confronto tra il Ministero della sanità, il Ministero del tesoro e le regioni. In questa sede sono stati esaminati i conti della sanità per il 1994, il 1995, il 1996 e il 1997 sulla base dei consuntivi, quelli del 1998 sulla base dei preconsuntivi e quelli relativi al 1999 sulla base delle stime dei fabbisogni. Il quadro della situazione, presidente, è quello che lei ha delineato: 31 mila 140 miliardi per gli anni dal 1995 al 1999, ai quali vanno aggiunti 4 mila 540 miliardi relativi all'anno 1994 e pregressi, per un totale 1994-1199 di 35 mila 680 miliardi.
Questo disavanzo è stato poi analizzato sotto il profilo della genesi e diviso in due comparti: il disavanzo che trova - diciamo - una spiegazione e il disavanzo che non trova una spiegazione e che potrebbe essere ascritto a livelli di assistenza superiori a quelli rispondenti ai vari parametri. Il disavanzo «spiegato» è per i ministeri, per il periodo 1995-99, di 18 mila 425 miliardi, ai quali vanno aggiunti i 4 mila 540 di cui ho detto; per le regioni è, invece, di 25 mila 189 miliardi, cui vanno sempre aggiunti i 4 mila 540 del 1994 e pregressi. La differenza tra Stato e regioni per quanto concerne la stima del disavanzo «non spiegato» è di circa 6 mila 700 miliardi, perché per i ministeri il disavanzo «non spiegato» ammonta a 12 mila 715 miliardi, per le regioni a 5.951 miliardi.
A fronte di questo quadro finanziario globale, negli incontri che si sono susseguiti tra ministero e regioni è stato definito un livello di intervento ammontante, come diceva lei presidente, a 26 mila miliardi, così articolabile: 6 mila miliardi sulle leggi finanziarie per il 1998 e per il 1999, 5 mila miliardi nell'ambito dell'assestamento del bilancio dello Stato per il 1999 e 15 mila miliardi sulla legge finanziaria attualmente in discussione. Però, notizie acquisite anche stamani in sede di riunione tecnica sull'articolo 10 della legge n. 133 del 1999 lasciano paventare che, anziché di 26 mila miliardi, l'intervento potrebbe essere di 23 mila miliardi; ovverosia, i tre mila miliardi che dovrebbero essere erogati alle regioni entro l'anno verrebbero poi defalcati dalla finanziaria 2000. Di questo come direttore generale del bilancio e del controllo di gestione della Lombardia ho immediatamente avvertito il referente politico, cioè il vicepresidente Zorzoli, e domani la Conferenza dei presidenti prenderà in esame il problema. Se quelle notizie fossero vere, si riaprirebbe un problema di contenzioso tra Stato e regioni, poiché queste facevano


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conto su un intervento statale di 26 mila miliardi ed erano disponibili ad accollarsi i restanti 9 mila 680, gran parte dei quali hanno già coperto mediante interventi assicurati negli anni scorsi con il proprio indebitamento, cioè mediante la contrazione di mutui, sulla base di specifiche autorizzazioni disposte dallo Stato in deroga alla norma che l'indebitamento è rivolto soltanto al finanziamento della spesa per gli investimenti.
Infine, non si può sottacere il fatto che nel quadro del patto di stabilità ha rilievo anche la quantificazione del fabbisogno del cosiddetto anno zero, cioè il 2000. Questo per stabilizzare da ora in avanti la situazione della finanza sanitaria in previsione anche dello sviluppo del federalismo fiscale attraverso l'applicazione dell'articolo 10 della legge n. 133, che vedrà ben presto l'attuazione del relativo decreto legislativo. Infatti, quando si andranno a sostituire con quote di compartecipazione tributaria i trasferimenti che saranno soppressi, sarà soppressa anche la quota di fondo sanitario nazionale integrativa dell'IRAP e dell'addizionale IRPEF. Dunque, qualora il finanziamento sostitutivo dovesse decorrere dal 2001, è importante che nel 2001 confluisca come quota di finanziamento sostitutivo del fondo sanitario nazionale, a prescindere da quelle che saranno le quantificazioni definitive del gettito IRAP, una quota rapportata al fabbisogno effettivo del 2000, ragguagliato all'indice di variazione del fabbisogno sanitario recato dal documento di programmazione economico-finanziaria per il 2001. Quindi, la quantificazione del 2000 ai fini anche del patto di stabilità e dello sviluppo del federalismo fiscale è fondamentale.
Ora, a fronte della quantificazione, nella manovra finanziaria, in 117 mila 129 miliardi del fabbisogno sanitario per il 2000, le regioni hanno espresso, da un lato, apprezzamento per lo sforzo compiuto dal Governo di aumentare lo stanziamento dei 108 mila miliardi del 1999, ma, dall'altro lato, hanno dichiarato che per sanare definitivamente la questione del fabbisogno sanitario, proprio in previsione degli sviluppi futuri del federalismo fiscale e per l'eliminazione di qualsiasi sottostima del fondo sanitario nazionale, 117 mila 129 miliardi sono insufficienti ed occorrerebbero ancora 1.500-2.000 miliardi, anche perché il contratto che viene in questa fase a definizione matura degli oneri che non sarebbero stati del tutto ricompresi all'interno di quei 117 mila 129 miliardi. Inoltre, anche in previsione della confluenza del fabbisogno sanitario nell'articolo 10 della legge n. 133, non si può sottacere che se questa trasformazione dovesse decorrere dal 2001 non potrà non avere influenza sulle stime relative a quell'anno anche il contratto di lavoro del settore sanitario per il biennio 2000-2001. Questo è il quadro dei macronumeri per quanto riguarda la finanza sanitaria.
Che cosa è stato fatto poi? Sulla situazione delle singole regioni, sul modo in cui si svolgerà in futuro l'ulteriore fase applicativa dell'articolo 28 della legge n. 448, relativo al patto di stabilità interno, potrà ulteriormente esporre il collega Artico, della regione Veneto, che coordina la materia. Devo dire, però, che devono ancora essere compiuti notevoli passi. Credo che dovranno essere nuovamente convocate tutte le regioni per discutere la questione dei disavanzi pregressi, dopo di che dovrà essere avviato un confronto regione per regione per la quantificazione dei singoli disavanzi e per l'applicazione dei criteri previsti dall'articolo 28.

PAOLO ARTICO, Direttore del controllo del sistema socio-sanitario della regione Veneto. Il collega Tesi ha illustrato chiaramente i passi compiuti quest'anno per portare ad evidenza il consolidamento che si è avuto nei disavanzi del settore sanitario. Devo aggiungere che proprio dal confronto con i tecnici governativi è emerso in modo evidente che la maggior parte di questo disavanzo è dovuto anche a politiche di sottostima dei fabbisogni o ad un eccesso di ottimismo nelle previsioni di contenimento possibile, di anno in anno dettate dalle manovre finanziarie.


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Quanto all'articolo 28, le regioni hanno avviato un tavolo tecnico di confronto e si sono attrezzate per passare alla fase successiva, quella dell'accordo con i Ministeri della sanità e del tesoro. Occorre infatti individuare un percorso che consenta di riequilibrare l'andamento della spesa, in caso di variazioni dovute non alle sottostime ma agli effetti intrinseci di un sistema sanitario differenziato storicamente regione per regione, per i motivi più disparati. Si sono infatti creati diversi modelli sanitari, alcuni dei quali presentano livelli di assistenza superiori a quelli assicurati dal livello medio di finanziamento centrale. Tale percorso ha sempre richiesto tempi non indifferenti di riconversione e razionalizzazione, soprattutto della rete ospedaliera, e di attivazione di un cambiamento culturale sul territorio, che non sia soltanto la risposta consistente nel ricovero dei pazienti, che richiede tempi e investimenti non indifferenti.
Mancano ancora alcuni tasselli per completare l'operazione, soprattutto a livello centrale; mi riferisco all'individuazione degli indicatori per poter misurare le diverse realtà regionali e confrontare i diversi livelli di assistenza. Occorre altresì una selezione ancor più dettagliata, anche se è emerso dal tavolo tecnico quali dovessero essere le quote d'incremento della spesa attribuibili ad iniziative centrali o a sottostime nazionali e quelle che erano dovute a peculiarità regionali.
Quindici giorni fa, alla scadenza del termine per la definizione dei contratti, il Ministero ha sollecitato la convocazione delle regioni. Del resto siamo preoccupati fortemente anche per un altro aspetto dell'articolo 28, che riguarda la parte finanziaria, perché esiste un accantonamento dell'1,5 per cento delle risorse nazionali del 1999, pari a 1.614 miliardi, che non è stato ripartito; tale ripartizione era vincolata alla sottoscrizione degli accordi e al raggiungimento degli obiettivi in essi indicati. Siamo a novembre e ci preoccupa fortemente la decurtazione di 1.614 miliardi; difficilmente entro l'anno riusciremo a fare quanto previsto dalla legge.
La spesa sanitaria non ha un andamento diversificato da quello di tutte le altre componenti di spesa, ma ha una specificità legata alla crescita culturale del paese, come avviene in tutti i paesi del mondo; nel settore sanitario esiste una propensione a dare risposte sempre più elevate ai bisogni, anche grazie all'evoluzione della tecnologia. Tuttavia il trend non presenta incrementi eccessivi. Mi sembra di ricordare che la percentuale della spesa sanitaria sul PIL è ferma da alcuni anni; non assistiamo ad un'espansione fuori controllo. In questo quadro bisogna comunque prendere atto che, per i beni e servizi, effettivamente la crescita della spesa è leggermente più alta che per le altre componenti; però è tutto il sistema che sta cambiando. Si assiste ad una esternalizzazione delle attività ospedaliere e ad un riordino che comporta la riallocazione delle risorse, sia per le componenti rigide quali il personale dipendente, sia per le componenti più discrezionali e quindi aggredibili. Nell'insieme non si verifica un incremento eccessivamente rilevante.
Resta da affrontare la questione dei 5 mila miliardi accumulati nell'arco degli ultimi anni, dovuti ad un differenziale di livello di assistenza offerto da alcune regioni. Non è la mobilità che porta alla creazione di disavanzi, quanto eventualmente la necessità di rilocalizzare le attività verso interventi mirati più al territorio ed alla prevenzione piuttosto che a sistemi rigidi come lo sono quelli ospedalieri. Per le regioni maggiormente dotate, a fronte di un riparto pro capite che livella tutta l'Italia, è necessario un programma pluriennale di interventi di riordino. Al tempo stesso, il riparto pro capite porta ad uno sviluppo delle regioni che sono sotto gli standard. La somma dei due effetti - sviluppo delle regioni più arretrate e difficile recupero per quelle con sovradotazioni - è quella che ha


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portato ai disavanzi che le regioni hanno riconosciuto di loro competenza ed hanno affrontato con l'indebitamento.

GIUSEPPE MOLIGNINI, Dirigente del settore sanità della regione Lombardia. Vorrei sottolineare la tensione di cassa che sopporta il sistema a causa di tutte le carenze che sono state illustrate. Se volessimo considerare valide le cifre esposte - ed abbiamo il timore che possano crescere, soprattutto dopo che è stato siglato l'accordo per la dirigenza medica - al sistema mancherebbero 36 mila miliardi.
È vero che la manovra finanziaria prevede i 15 mila, i 5 mila, i 6 mila, i 26 mila miliardi di cui si parlava prima, ma chissà quando arriveranno. La regione Lombardia, che pagava i fornitori a 120 giorni, li sta pagando a 240 giorni. Alcune regioni pagano i fornitori a 600 o a 300 giorni.

ALDO ANCONA, Responsabile del controllo economico della regione Toscana. Non credo di dover aggiungere nulla a quello che hanno detto i colleghi, soprattutto per l'aspetto di cassa. Qualsiasi sistema che abbia un finanziamento di 100 mila miliardi sopporta un debito pregresso del 30 per cento, che non è fermo perché i fornitori richiedono i pagamenti.
Il presidente ha chiesto a che punto siano le procedure previste dal patto di stabilità. Con il tavolo di lavoro a cui le regioni hanno partecipato insieme con i ministeri competenti e con la Presidenza del Consiglio dei ministri, sembra ormai definito il «quanto» della disponibilità finanziaria. Il problema ancora aperto è quello del «come» e «a chi»; in questo senso hanno un peso le procedure relative alla valutazione dei livelli di assistenza, che registrano grossi ritardi.
Sta di fatto che esistono disponibilità che le regioni chiedono vengano messe a disposizione nel settore sanitario, una volta definito il quadro complessivo. Dei 26 mila miliardi previsti, 3 mila miliardi sono stati stanziati dalla manovra finanziaria per il 1998 e di questi ne abbiamo avuti 2 mila. I 3 mila miliardi stanziati dalla manovra finanziaria per il 1999 sono ancora fermi. È sicuramente un segnale negativo sapere che esistono i finanziamenti ma non se ne può disporre.
La partita del debito pregresso (anni 1994 e precedenti) ha una sua valenza particolare perché mese per mese cresce essendo oggetto di contenzioso con i fornitori; quello che è rimasto riguarda ormai procedimenti giudiziari, mentre gli interessi maturano. L'accordo per la copertura è che il 50 per cento sia a carico delle regioni e il 50 per cento a carico dello Stato, per cui la mancata copertura provoca un indebitamento ulteriore e una crescita del disavanzo.
Per il 1999, nella manovra finanziaria vengono riportati 15 mila miliardi nel triennio 2000-2001 e c'è un impegno alla rivalutazione del fondo per il 1999, con l'assestamento di bilancio. Definito il quadro complessivo, questa rivalutazione costituisce un'ulteriore urgenza.
Ribadendo quanto detto dal collega Tesi, ricordo che, in un incontro tra le delegazioni delle regioni e i ministri interessati, fu detto che le regioni accettavano una disponibilità finanziaria inferiore alle richieste, essendo l'impegno regionale in parte già profuso e in parte da doversi ulteriormente esercitare, a fronte della definizione del famoso anno «zero», possibilmente il 2000, in modo sufficientemente congruo per non trovarsi di nuovo a ripartire sulla valutazione dei deficit pregressi.

PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti e do la parola ai colleghi che intendano porre domande.

DINO SCANTAMBURLO. Ringrazio i rappresentanti delle regioni per i loro interventi e vorrei alcuni chiarimenti.
In primo luogo, vorrei capire meglio quali siano i sistemi di monitoraggio della spesa dei quali si avvalgono le regioni, come funzionino, quali risultati diano e quale omogeneità esista tra regione e regione relativamente a questo strumento.


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Vorrei inoltre conoscere la vostra opinione sull'agenzia unica per gli acquisti, la cui istituzione dovrebbe essere utile per il contenimento della spesa.
Per quanto riguarda le convenzioni tra le regioni e i medici di famiglia, in quale misura si riescono ad inserire clausole che producano risultati di maggiore qualità ed efficacia, sempre comunque entro un certo contenimento di prestazioni, di richieste di farmaci e quant'altro?
Infine, con riferimento al rapporto tra spesa sanitaria e spesa sociale, credo che non vi sia più da nessuna parte l'utilizzo reciproco di voci, per tentare di ripianare con le disponibilità dell'una i bisogni dell'altra. Su questo, però, vorrei avere da voi maggiori chiarimenti.

SALVATORE GIACALONE. Ringraziandovi per la puntualità con la quale avete esposto l'argomento, mi limiterò a rivolgervi una sola domanda, a proposito del famoso «buco nero». Bisognerebbe riuscire a capire quanto siano state finora sottostimate le necessità del fondo sanitario nazionale; mi pare che malgrado lo sforzo compiuto, anche con l'ultima manovra finanziaria, di dare una risposta congrua, vi sia ancora una zona non coperta, che, come voi ci fate presente, continua a crescere in quanto gravata dagli interessi del contenzioso. È necessario uno sforzo per arrivare a definire una volta per tutte, ad un tavolo di incontro tra Stato e regioni, l'entità di una voce sul cui ammontare complessivo non vi è univocità di pareri. È stata fatta una distinzione tra disavanzo «spiegato» e disavanzo «non spiegato», ma dobbiamo capire di quali strumenti dotarci per intervenire al fine di modificare il trend attualmente esistente.

PRESIDENTE. Associandomi alla domanda formulata dall'onorevole Giacalone, vorrei anche capire come mai manchino all'appuntamento quasi 5 mila miliardi per il 1994, perché non siano state approfondite prima le motivazioni che hanno portato a considerare questa cifra.
Voi avete altresì indicato una differenza di 1.614 miliardi rispetto al totale che avrebbe dovuto essere ripartito, ma mi pare che a parte questo siate abbastanza soddisfatti per i 117 mila 129 miliardi previsti per il 2000. Tuttavia, se da questa somma leviamo, facendo un conto molto semplice, i 15 mila miliardi che dovrebbero essere destinati a colmare il disavanzo delle regioni, arriviamo ad una cifra inferiore a quella che era stata prevista nel 1998, per cui la differenza potrebbe essere anche superiore ai 1.614 miliardi da voi indicati.
Infine, un'ultima osservazione. Esiste una spesa privata il cui ammontare è calcolato intorno ai 40-45 mila miliardi: sommandola alla spesa pubblica, che equivale al 5,3 per cento del prodotto interno lordo, la spesa totale aumenterebbe di altri due punti, raggiungendo i livelli europei. Vorrei conoscere la vostra opinione al riguardo, considerando, ad esempio, che laddove la spesa pubblica è maggiore perché vi sono molte convenzioni, come ad esempio nel Lazio, si spende di meno per il personale ed anche per beni e servizi, appunto perché tali spese vanno a carico delle strutture convenzionate.

PAOLO ARTICO, Direttore del controllo del sistema socio-sanitario della regione Veneto. Ci è stata posta una serie di quesiti che è problematico sintetizzare. Cercherò di procedere per ordine.
Per quanto riguarda i sistemi di monitoraggio sulla spesa, rispondo che tutte le regioni hanno sistemi informativi e sistemi di governo; peraltro, i sistemi di governo della sanità prevedono una diversificazione tra regione e regione sulle metodologie con le quali avvengono i finanziamenti delle aziende e con le quali vengono regolati i rapporti tra i vari soggetti produttori. Ad esempio, per quanto riguarda la regione Veneto il sistema principale a sostegno è un sistema di chiarificazione e programmazione e di budgeting, con il quale vengono individuati gli obiettivi di macro-tempo e viene poi fatto un bilancio annuale attraverso una negoziazione tra le aziende sanitarie e la regione, al fine di individuare i percorsi


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virtuosi per aggredire o, quanto meno, riorganizzare la spesa anno per anno. Abbiamo, poi, sistemi informativi legati ai consumi farmaceutici, alla specialistica, a sistemi di remunerazione e determinazione dei tetti di attività per i vari produttori, a sistemi di revisione tariffaria per controllare gli eventuali esuberi e così via. Peraltro, devo far presente che la sanità assorbe il 90 per cento del bilancio della regione; per il Veneto si tratta di 8 mila miliardi su 9 mila, il che sta ad indicare quali ricadute possa avere l'eventuale disavanzo sull'intero bilancio regionale.
Per quanto riguarda l'agenzia unica per gli acquisti, posso esprimere soltanto una posizione personale. Sono nettamente contrario: non funziona, non ha mai funzionato un sistema di acquisti centralizzato. Come regione Veneto abbiamo cercato, nel tempo, di avviare qualche procedura di acquisto unificata per aggredire il mercato, ma non siamo andati oltre il coinvolgimento di due o tre aziende, quindi con ambiti territoriali molto ristretti, anche per evitare di causare una deformazione del mercato. Una gara unica, vinta da un unico fornitore, poteva voler dire estromettere alcune industrie in via definitiva e non trovarle poi tra la concorrenza negli anni successivi. Aggiungo che la diversità delle tipologie di consumo, la complessità degli impieghi e la peculiarità che ciascuna azienda ha si prestano molto male ad un sistema centralizzato: un chirurgo usa i suoi ferri, richiede un certo tipo di protesi e non altri. Quindi, dobbiamo affrontare a monte un problema molto più complesso e non credo che sia questa la strada che potrà garantire risparmi.
A proposito delle convenzioni con i medici di famiglia e delle clausole di maggiore qualità ed efficacia, devo dire che già oggi esistono forme di coinvolgimento dei medici per governare, un poco, il loro sistema di prescrizione. Per quanto riguarda la nostra regione, questo ha richiesto, richiede e richiederà un fortissimo impegno per definire il target del medico; non può trattarsi semplicemente di un approccio statistico - tanti pazienti, tanti consumi, uguali per tutti - perché vi sono diverse patologie e procedure di cura diversificate: ogni paziente ha un suo bisogno soggettivo, quindi si tratta di un settore fortemente delicato, che richiede tra medico di medicina generale e pediatra e le strutture territoriali delle aziende un rapporto di forte compenetrazione e un lavoro congiunto. Questo è uno degli aspetti su cui stiamo investendo molto; non si tratta soltanto del budget del medico di base ma del suo coinvolgimento nei processi e nel perseguire l'obiettivo comune di dare una risposta più efficiente ed efficace all'assistito.
In rapporto alla spesa sanitaria e alla spesa sociale, osservo che non si tratta di due mondi separati: vi sono forti compenetrazioni e molto difficilmente è distinguibile la spesa sanitaria da quella sociale soprattutto in alcune aree, quelle della residenzialità. Nelle case di riposo, infatti, i cittadini entrano magari anziani ma sani e via via, nel tempo, si aggravano, richiedendo livelli diversi di intervento sanitario, affidato prima al medico di famiglia ma che comporta poi, per il sopraggiungere di diverse patologie...

PRESIDENTE. Mi scuso, ma devo chiederle di essere più conciso perché disponiamo solo di pochi minuti prima dell'inizio dei lavori dell'Assemblea.

PAOLO ARTICO, Direttore del controllo del sistema socio-sanitario della regione Veneto. Cercherò di concludere velocemente, partendo dal problema della spesa privata. I 40 mila miliardi ci sono, risultano dalle statistiche, ma riguardano il privato puro. Esiste, infatti, un'area di carenza del pubblico - ad esempio tutte le cure odontoiatriche non vengono erogate in modo adeguato - in cui è il privato che sopperisce; vi è un consumo di automedicazione farmaceutico che non è governabile fino in fondo e rimarrà sempre; vi sono, poi, le medicine alternative. È tutta un'attività che esiste e che non va confusa con il privato che lavora in convenzionamento con le strutture, che è


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considerato nell'ambito dei 117 mila miliardi. Che la sanità venga fatta da strutture pubbliche con propri dipendenti, da ospedali convenzionati o da privati accreditati, si tratta di un sistema pubblico-privato che è comunque all'interno del settore pubblico.
I 1.614 miliardi sono quelli che per cassa sono stati tolti dalla quota del fondo per il 1999. Non sono quote entrate nei disavanzi, si tratta di un problema diverso. È stata accantonata questa quota da erogarsi alla firma e alla sottoscrizione degli accordi, nonché al raggiungimento degli obiettivi in essi indicati per il primo anno. Ciò era previsto nella legge finanziaria e l'accantonamento è avvenuto all'inizio dell'anno; però siamo ormai alla fine dell'anno e gli accordi non sono stati ancora siglati, per cui mi preoccupa questo accantonamento di cui non abbiamo notizie certe.
Per quanto riguarda i disavanzi posso fare due esempi. Uno è quello delle sottostime classiche: posso dire che quest'anno per la spesa farmaceutica, che con riferimento ai prezzi, ai farmaci erogabili, alle tipologie di assistiti, esenti o meno dal ticket, è governata centralmente, attraverso la CUF e il Ministero della sanità, è stato previsto uno stanziamento di 12 mila 200 miliardi, mentre stiamo andando verso una spesa che supererà i 14 mila 500 miliardi. Due mila miliardi di maggiore spesa, dovuta anche ai prezzi dei farmaci, porterà a fine anno ad un disavanzo. Questa è una delle voci sulle quali abbiamo trovato una convergenza con il ministero, che ha preso atto che una cosa è la previsione, altra cosa sono i risultati finali.
La formazione dei disavanzi è in parte dovuta al sistema di ripartizione del fondo, che è pro capite, uguale per tutta Italia, e fa emergere situazioni diverse. Alcune regioni hanno un servizio sanitario più evoluto mentre altre regioni hanno un sistema che deve ancora crescere. Quelle che devono crescere si sviluppano e quindi la loro spesa aumenta, mentre quelle che hanno una situazione qualitativamente più evoluta hanno difficoltà a riorganizzare la propria struttura per ridurre i livelli di assistenza o diversificarli per adeguarsi al principio dell'equilibrio economico.

GIOVANNI TESI, Direttore generale del bilancio e del controllo di gestione della regione Lombardia. Le regioni, nel parere sulla manovra finanziaria, hanno espresso la loro posizione sull'agenzia per gli acquisti in questi termini: «La prevista costituzione di un organismo comune fra le regioni, con lo scopo di conseguire risparmi nell'acquisto di beni e servizi, suscita non poche perplessità, sia per evidenti difficoltà di carattere giuridico e amministrativo, sia per i tempi che, quand'anche tale organismo fosse costituito ed iniziasse ad operare sin dall'inizio del 2000, potrebbero oggettivamente consentire risparmi solo modesti, a scapito comunque della necessaria flessibilità del sistema e di esigenze di responsabilizzazione dei momenti decisionali delle aziende sanitarie».
Quanto al fabbisogno per il 2000, i 117 mila 129 miliardi costituiscono già un passo avanti rispetto ai 108 mila miliardi del 1999, anche perché i 15 mila miliardi stanziati nei tre anni per la copertura dei disavanzi pregressi sono a parte. Tuttavia, per chiudere la partita sanitaria Stato-regioni, i nostri amministratori e referenti politici hanno sempre detto che 117 mila 129 miliardi sono insufficienti rispetto agli oneri che si vengono a profilare con il nuovo contratto e hanno chiesto un'integrazione ulteriore di 1.500-2.000 miliardi per il 2000, per addivenire ad un fabbisogno effettivo dell'anno «zero» che consenta ulteriori sviluppi anche in direzione del federalismo fiscale, con l'applicazione dell'articolo 10 della legge n. 133 dal 2001 in avanti.
È stato chiesto perché solo ora sia emerso il dato relativo al 1994. Fino all'emanazione dell'articolo 28 della legge n. 488 del 1998, con la manovra finanziaria per il 1999, la questione dei disavanzi non è stata affrontata in maniera organica e sistematica. Erano state adottate soluzioni che avevano carattere di


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tamponamento e che lasciavano in sospeso la questione relativa agli anni 1994 e precedenti. Questa sospensione ha determinato un incremento degli oneri, soprattutto per contenziosi in alcune regioni le quali non erano intervenute con mezzi propri per sanare le partite. Al tavolo tecnico abbiamo infatti dovuto verificare che per alcune regioni, che non erano intervenute con mezzi propri, le poste non sistemate (anni 1994 e precedenti) avevano determinato contenziosi che hanno fatto ulteriormente lievitare la spesa. Solo l'articolo 28 ha consentito un approccio sistematico alla questione da parte dello Stato.
Dei monitoraggi ha già parlato il collega Artico, il quale ha risposto anche alle altre domande, per cui credo che non ci siano altri chiarimenti da fornire.

PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti per la loro esposizione, molto chiara e dettagliata. Le informazioni che ci sono state fornite saranno particolarmente utili alla Commissione che sta per iniziare l'esame dei documenti di bilancio e quindi potrà affrontare con maggiore cognizione di causa i problemi relativi alla spesa sanitaria.
Dichiaro conclusa l'audizione e sospendo la seduta.

La seduta, sospesa alle 16, è ripresa alle 19.20.

Audizione dei rappresentanti della Confindustria.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del regolamento, l'audizione dei rappresentanti della Confindustria.
Ringrazio i nostri ospiti per la loro disponibilità e per l'importante contributo che forniranno al nostro lavoro. Informo i rappresentanti della Confindustria che il Comitato permanente per il controllo della spesa sanitaria istituito nell'ambito della Commissione affari sociali sta procedendo ad una serie di audizioni aventi ad oggetto la valutazione dell'efficacia del patto di stabilità interno in rapporto alla spesa sanitaria.
Il disegno di legge finanziaria che è attualmente all'esame del Senato ha individuato alcuni correttivi ai fini del contenimento della spesa pubblica sul versante della sanità. Uno dei correttivi previsti è l'agenzia unica per l'acquisto di beni e servizi sanitari; ve ne sono poi altri tesi a rafforzare il patto di stabilità interno.
La legge 23 dicembre 1998, n. 448 (collegata alla finanziaria per il triennio 1999-2001), disciplina, all'articolo 28, il patto di stabilità interno, che vincola le regioni, le province autonome di Trento e Bolzano, le province, i comuni e le comunità montane a concorrere alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica che il paese ha adottato con l'adesione al patto di stabilità e di crescita. In particolare, si stabilisce che la riduzione del disavanzo a legislazione vigente per il 1999 non possa essere inferiore allo 0,1 per cento del PIL previsto dal DPEF e che nei due anni successivi la riduzione del disavanzo rispetto al PIL debba mantenersi costante.
Noi tutti sappiamo che la spesa sanitaria italiana, che attualmente si aggira intorno al 5,3 per cento del PIL, è inferiore alla media dei paesi europei. Come è noto, però, essa varia da regione a regione. Va sottolineato che la spesa sanitaria ha raggiunto il picco massimo nel 1992, per poi subire una flessione tra il 1992 ed il 1995; dal 1995 si registra di nuovo una tendenza all'aumento.
I provvedimenti del Governo sono mirati, oltre che al rafforzamento del patto di stabilità, anche al ripianamento del disavanzo delle regioni. È stato detto che tale disavanzo ammonta a 31 mila 140 miliardi di lire. Lo Stato dovrebbe ripianare i debiti in questione per 26 mila miliardi. Nell'audizione dei rappresentanti della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome che si è svolta poche ore fa presso questo Comitato ci è stato fatto presente, però, che a quei 31 mila 140 miliardi vanno aggiunti


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circa 4 mila 500 miliardi relativi all'anno 1994, che non sono stati considerati. I rappresentanti delle regioni hanno inoltre precisato che nell'ambito del bilancio per il 1999 esisteva un accantonamento pari a 1.614 miliardi, destinato al ripiano dei debiti delle regioni, che non è stato ancora ripartito. Come sapete, lo stanziamento per la sanità, previsto nella manovra finanziaria per il 2000, è pari a 117 mila 129 miliardi.
Nonostante abbia precisato poco fa che la spesa sanitaria italiana è inferiore alla media dei paesi europei, qualcuno sostiene che essa si attesterebbe in realtà sui livelli europei. Se infatti si aggiunge alla spesa sanitaria pubblica la spesa sanitaria sostenuta dai privati, che va dai 40 mila ai 45 mila miliardi, con un ammontare pari a 2 punti percentuali del PIL, arriviamo appunto ai livelli europei. In base a questo ragionamento qualcuno arriva quindi ad affermare che la spesa sanitaria italiana è uguale a quella media europea. Va però tenuto presente - ripeto - che, a fronte del dato complessivo, la spesa sanitaria pubblica in Italia è comunque inferiore alla media europea.
Facendo un'analisi delle voci che concorrono a formare la spesa sanitaria, si constata che quelle che incidono di più sono le spese per il personale, pari a circa il 43 per cento, le spese per le visite specialistiche, convenzionate o esterne, le spese per i medici di base e la spesa farmaceutica (che appare costante), mentre quelle che hanno contribuito in misura minore all'aumento sono le spese per beni e servizi.
La spesa sanitaria pro capite in Italia è pari a 1 milione 858 mila lire, ma varia da regione a regione. Nel nord, inoltre, si spende di più che al sud. Nel Lazio, ad esempio, la spesa per il personale è inferiore rispetto alla media nazionale perché vi è il sistema dell'accreditamento con le case di cura private (e si sa che dove si registra un maggiore ricorso all'accreditamento, diminuisce la spesa per il personale della sanità pubblica).
Vorremmo conoscere la vostra opinione rispetto alla tendenza all'aumento della spesa sanitaria. I rappresentanti delle regioni ci hanno detto che già prevedono che si spenderà di più rispetto allo stanziamento di 117 mila 129 miliardi contenuto nella manovra finanziaria per il 2000, soprattutto per quanto riguarda la spesa farmaceutica. La spesa farmaceutica preventivata è infatti di 12 mila 650 miliardi, ma già si prevede che nell'anno 2000 si arriverà a 14 mila miliardi. Già da adesso, quindi, si sa che si registrerà uno sfondamento in tal senso.
Vorremmo conoscere la vostra opinione anche relativamente al rapporto tra pubblico e privato: come lo intendiate, come lo vogliate articolare e soprattutto se lo riteniate positivo. In definitiva, vorremmo sapere se consideriate fisiologico il fatto che in una società in cui le condizioni economiche migliorano debba aumentare anche la spesa sanitaria (perché si innalza il livello degli stili di vita e quindi ci si cura di più e perché aumenta conseguentemente l'età media della popolazione), se insomma riteniate giusto che uno Stato all'avanguardia spenda di più per la salute. L'invocato contenimento della spesa pubblica è secondo voi in linea con quanto, a detta di alcuni, si dovrebbe verificare in generale in una società civile, e cioè con l'aumento della spesa per la salute (sempre nei limiti, semmai, della media europea), o ritenete invece giusta una diminuzione della spesa sanitaria, a danno soprattutto delle spese per beni e servizi (che appaiono essere quelle prese meno in considerazione)?
Do la parola ai nostri ospiti, informandoli che dell'audizione sarà redatto un resoconto stenografico.

CARLO CASTELLANO, Responsabile del progetto sanità della Confindustria. La ringrazio, presidente. Sono il responsabile del progetto sanità della Confindustria e sono qui, insieme ad altri colleghi responsabili della sanità e delle politiche economiche ed industriali, in rappresentanza appunto della Confindustria.
Innanzitutto, la ringrazio per averci offerto l'occasione di partecipare a questa audizione.


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Nonostante le diverse opinioni e visioni con le quali il Parlamento, il Governo e la Confindustria hanno in questi ultimi tempi analizzato il tema della sanità, sono fortemente convinto che occorra perseguire ogni strada che rafforzi il confronto per far maturare una più diffusa coscienza collettiva della rilevanza di queste materie dal punto di vista sociale ed economico.
Vorrei ora passare al tema di questa audizione, che lei, presidente, ha in qualche modo sintetizzato nella sua presentazione e che riguarda, fondamentalmente, l'efficacia del patto di stabilità interno in sanità.
Devo dire subito che una seria valutazione di questa efficacia mi sembra un'impresa ardua in quanto è difficile stabilire con certezza quali adempimenti procedurali, previsti dall'articolo 28 della legge n. 448 del 1998, siano stati attivati e quali risultati ne siano conseguiti.
Il patto di stabilità prevedeva sostanzialmente, innanzitutto, l'individuazione del debito accumulato dalle regioni e la relativa ripartizione del piano di rientro fra queste e lo Stato, in secondo luogo, il monitoraggio della spesa sanitaria e infine la riduzione del disavanzo del settore.
Quanto al primo punto, l'indicazione di circa 35 mila miliardi di debito complessivamente accumulato - comprese le stime per il 1999, ma probabilmente esclusi i 4 mila miliardi del 1994 e degli anni precedenti - emersa dai lavori realizzati dal Governo e dalle regioni è un risultato importante, di cui occorre rendere merito alle istituzioni stesse, soprattutto al Parlamento.
Esso però è solo un primo passo. Occorre ora: certificare con precisione quanti degli impegni di spesa contabilizzati in questo ammontare abbiano poi generato debiti e crediti effettivi, per evitare che sovrastime del debito complessivo servano a creare «riserve» finanziarie a disposizione di aziende e regioni per le gestioni future; ripartire l'onere del piano di rientro; affrontare il problema della copertura finanziaria. Siamo quindi ancora in alto mare.
Relativamente al secondo punto, ossia al monitoraggio della spesa sanitaria, a noi risulterebbe che i dati analitici della spesa sanitaria, non dell'imputazione a carico delle singole realtà regionali, sono fermi al 1997; probabilmente non sono neppure del tutto completi. Mancano i dati analitici del 1998. In altre parole, le informazioni in nostro possesso, in possesso del paese e del Parlamento sono ancora frammentarie e non ci consentono di valutare l'efficacia dell'azione di monitoraggio finalizzata al contenimento dei disavanzi futuri. L'impressione è che gran parte delle azioni previste e soprattutto la loro reale capacità di incidere sui processi di generazione del debito siano ancora da realizzare e da verificare. Questo ci preoccupa non poco perché la completa e totale trasparenza e conoscenza dei dati relativi a quello che sta accadendo, a quello che è accaduto nel corso degli ultimi anni è la premessa per qualunque politica che su questi dati voglia costruire delle scelte indicate dal Parlamento come necessarie.
Se, quindi, l'intendimento della Commissione affari sociali fosse quello di avere un nostro giudizio secco, quantitativo su quanto è stato raggiunto, temo che resterebbe almeno parzialmente delusa.
Vorrei invece utilizzare l'occasione che ci è stata offerta oggi per affrontare aspetti che riteniamo di grande rilievo e che sono connessi agli effetti sia del patto di stabilità che del federalismo sulla sanità dei prossimi anni.
Innanzitutto, la previsione di meccanismi di monitoraggio e di verifica ad hoc di tale complessità credo sia l'ulteriore conferma che nella gestione di sistemi complessi e articolati, come la sanità, debbano essere progressivamente introdotti meccanismi economici di incentivazione a comportamenti efficienti con i quali il rapporto fra risorse e risultati conseguiti risulti chiaro e trasparente, abbandonando l'illusione che tutto possa essere regolato in via amministrativa.
Ritengo, ad esempio, che le procedure individuate ex articolo 28 della legge n. 448 del 1998 per stabilire i disavanzi e per monitorare la spesa - procedure la


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cui complessità costituisce, a mio avviso, un ostacolo ai fini della loro stessa completa praticabilità - non avrebbero avuto senso se, anche in sanità, le aziende sanitarie fossero state configurate come imprese operanti in un regime effettivamente privatistico.
In tal senso, quanto previsto dalla recente riforma sanitaria è insufficiente: l'autonomia imprenditoriale e l'organizzazione disciplinata da un atto aziendale di diritto privato, ancora da realizzare da parte delle singole realtà (aziende sanitarie e ospedaliere), risulteranno concetti «svuotati» in quanto si scontreranno con un contesto normativo di riferimento centrato solo sul diritto amministrativo.
Non vorrei allontanarmi dal tema centrale di quest'audizione, ma, partendo da tale riflessione, mi sembra opportuno sviluppare un ragionamento più ampio, che d'altra parte il presidente sollecitava nella sua introduzione.
Il patto di stabilità interno, come detto, pone sostanzialmente alle regioni e agli enti locali precisi vincoli in termini di governo della spesa sanitaria e di riduzione dei disavanzi regionali. Sappiamo che buona parte dei disavanzi delle regioni deriva proprio dalla gestione dei sistemi sanitari regionali.
È ipotizzabile che le regioni si troveranno sempre più «strozzate» sul fronte finanziario in quanto, a fronte di una domanda sanitaria inevitabilmente crescente, dispongono di un sistema rigido, dai costi difficilmente comprimibili a causa anche di scelte operate dal livello centrale.
Il federalismo fiscale, introdotto dal decreto legislativo n. 133 del 1999 e che prevede la completa responsabilizzazione delle regioni per quanto riguarda la spesa sanitaria, unitamente ai vincoli derivanti dall'adesione al patto di stabilità, porteranno inevitabilmente le regioni di fronte a un bivio: rendere più efficiente la spesa sanitaria ovvero inasprire la tassazione a livello locale sui cittadini e sulle imprese per reperire nuove risorse.
Quest'ultimo aspetto è il vero nodo del problema.
Per capire come procedere sulla linea del risanamento, è sul vero significato del patto di stabilità interno che occorre soffermarsi. Gli obiettivi del patto di stabilità sono infatti assolutamente condivisibili e come Confindustria abbiamo espresso la nostra piena adesione: il legislatore ha inteso vincolare le regioni e gli enti locali ad un obiettivo generale di risanamento la cui priorità non può essere messa in discussione. Ma credo che lo spirito del patto non fosse quello di chiedere alle amministrazioni territoriali dello Stato il solo raggiungimento «ragionieristico» degli obiettivi finanziari, ma di qualificare il modo attraverso il quale perseguire questo obiettivo. Il rispetto dei vincoli finanziari deve essere realizzato attraverso un serio impegno in termini di recupero di efficienza nella spesa. Questo è un punto che deve essere estremamente chiaro. Il patto in questione - vorrei ricordare - non fa riferimento solo ad obiettivi di stabilità, ma li lega imprescindibilmente ad obiettivi di crescita: migliorare il disavanzo alzando le imposte, senza operare i necessari recuperi di efficienza, chiuderebbe gli spazi allo sviluppo, irrigidirebbe il sistema, favorirebbe un'allocazione distorta delle risorse disponibili. È, questo, un circolo perverso assolutamente da evitare.
Allora chiediamoci: esiste un adeguato contesto normativo in sanità affinché il sistema sanitario e le sue strutture possano intervenire realmente sul recupero dell'efficienza, che è l'altra polarità (se non si aumentano le imposte, il gettito fiscale da parte delle regioni, bisogna operare necessariamente sul versante dell'efficienza)?
Su questo aspetto, Confindustria mantiene inalterate le proprie perplessità che - come ben sapete - sono state più volte evidenziate nel corso del confronto in merito all'approvazione della riforma sanitaria-ter.
Il quadro che emerge dalla riforma fa sì che le regioni si trovino, da una parte, il vincolo delle risorse finanziarie limitate e, dall'altra, una spesa che è sostanzialmente rigida per scelte prese al centro e


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in qualche modo fuori dalla loro portata (il contratto del personale della sanità; i meccanismi generanti la spesa farmaceutica; i livelli di prestazioni da garantire; una pluralità di vincoli alla gestione, organizzazione e articolazione delle aziende; i criteri per autorizzare ed accreditare le strutture...): risulta difficile, a valle, imporre alle regioni una maggiore efficienza se non si interviene su quei nodi che oggi impediscono l'efficienza stessa. È in qualche modo il gatto che si morde la coda.
In questo quadro, inoltre, è facile che l'incapacità di comprimere alcune voci di spesa - il pericolo più grande in tal senso è costituito dalla spesa del personale, come stanno testimoniando le vicende del rinnovo del contratto dei medici - porterà a ingiustificate penalizzazioni nei confronti dei privati (strutture accreditate private, tecnologie, farmaci...). Su questo è necessario riflettere: si rischia di avere voci di spesa che non possono essere compresse, per cui inevitabilmente si opera sui beni e sui servizi - ciò che si è verificato nel corso degli ultimi anni, come ha detto il presidente - e soprattutto sulle strutture private esterne accreditate, le quali non potranno che subire un'ulteriore compressione da una politica di questo genere. Ecco perché è necessario riflettere con grande attenzione, riservando il giusto peso a strumenti come il patto, che da soli non risolvono alla radice le cause dei problemi finanziari, limitandosi a porre degli obiettivi programmatici.
Il senso delle nostre perplessità sulla riforma varata - mi sembra opportuno ribadirlo ancora - era in gran parte legato proprio a queste valutazioni: la linea del decreto n. 229 del 1999 si sarebbe inevitabilmente scontrata con i vincoli finanziari, facendo venire al pettine tutti gli equivoci irrisolti del sistema.
La scelta legislativa di non rimuovere gli ostacoli all'efficientizzazione della spesa e di vincolare rigidamente le aziende sanitarie e le regioni rispetto agli obiettivi di bilancio - una morsa dentro la quale vengono inserite - genererà condizioni di grande pressione finanziaria sulle regioni con il rischio che queste saranno «naturalmente» portate ad agire sulla leva tributaria, a meno di non accelerare ulteriormente il processo di razionamento delle prestazioni sanitarie.
Su questo aspetto va chiarito sin d'ora che un inasprimento del prelievo fiscale per il finanziamento della sanità, in particolare sulle imprese, è secondo noi assolutamente inaccettabile. Sarà inaccettabile fintanto che l'assetto istituzionale ed organizzativo del sistema sanità non garantirà quei recuperi di efficienza nella spesa finora solo teorizzati; in altre parole, vogliamo vedere un'effettiva efficienza del sistema, prima che si possa pensare ad un ulteriore allargamento delle risorse. Sarà inaccettabile fintanto che il sistema di reperimento e di allocazione delle risorse sarà tale da mantenere una netta separazione fra chi finanzia il sistema e chi ne beneficia.
L'occasione di quest'audizione è quindi quanto mai opportuna per riaffermare la necessità di un ripensamento complessivo del sistema di finanziamento della sanità, più fondato sulle responsabilità dei singoli e sulla concorrenzialità fra gestori, nonché più coerente con il necessario obiettivo di perseguire una reale integrazione fra risorse pubbliche e risorse private (era il tema che lei, presidente, indicava alla fine della sua presentazione).
Proprio riguardo a quest'ultimo punto, vorrei sottolineare, ad esempio, che l'impostazione scelta per i fondi sanitari integrativi nell'ultima legge non fornisce un contributo positivo al problema: oltre a penalizzare le esperienze che sono maturate in questi anni soprattutto per la libera volontà delle parti sociali, di datori di lavoro e di lavoratori (milioni di lavoratori), essa rischia di risultare una grande occasione perduta in quanto non farà affluire risorse aggiuntive al sistema sanità.
L'invito che rivolgo al Parlamento è, pertanto, quello di utilizzare tutti gli strumenti di cui è in possesso per rifocalizzare il tema dei fondi sanitari integrativi e non «bruciare» un'opportunità di crescita dell'intera sanità italiana. Su


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questo, se la Commissione lo riterrà opportuno, sono disponibile a chiarimenti e approfondimenti.
Ma tornando sul tema della valutazione del patto di stabilità interno in sanità, prima di chiudere il mio intervento, ritengo opportuno mettere a fuoco alcuni aspetti collegati al tema.
Il primo riguarda il problema dei debiti accumulati dal Servizio sanitario nazionale, signor presidente. Su questo problema, come già sottolineato, è sicuramente da apprezzare il lavoro svolto in sede di Presidenza del Consiglio perché va nel senso di una maggiore chiarezza. Tuttavia, le cifre che sono emerse sono ingenti. Al momento non è del tutto chiaro come verranno reperite le risorse necessarie, ma, probabilmente, l'onere della copertura sarà posto a carico della collettività. È, questo, ancora una volta, lo specchio del sistema delle responsabilità in sanità.
Vorrei ricordare a questo proposito che, molto prima dell'adozione del patto di stabilità interno, già con il decreto legislativo n. 502 del 1992 erano state introdotte severe norme che prevedevano: l'obbligo di bilancio in pareggio per le aziende ospedaliere; la definizione di modalità di controllo regionale sulle unità sanitarie locali; il divieto alle unità sanitarie locali ed alle aziende ospedaliere di ricorrere a qualsiasi forma di indebitamento; l'obbligo delle USL e degli ospedali di rendere pubblici, annualmente, i risultati delle proprie analisi dei costi, dei rendimenti e dei risultati dei centri di costo. Sono queste solo alcune delle norme che, in questi anni, sono state varate per bloccare gli squilibri finanziari delle aziende pubbliche ma che, dati alla mano, testimoniano l'inadeguatezza delle politiche seguite, sulle quali si intende ancora insistere. Una norma di legge - seppur autorevole come quel decreto - può non bastare per determinare risultati virtuosi. L'efficienza non si determina per decreto; occorre introdurre meccanismi e incentivi di tipo economico per far sì che i comportamenti risultino virtuosi e che lo Stato possa verificare il rispetto delle regole del gioco. Questo è quello che avviene nella normalità dei mercati: in sanità è obiettivamente più complesso realizzarlo, ce ne rendiamo conto, ma è non meno e, alla fine, anzi più efficace di quanto sia inseguire il mito del perfetto sistema amministrativo, come si vuole continuare a credere sia la sanità.
Un'ultima riflessione - e mi accingo a concludere - riguarda la necessità di contemperare gli obiettivi del patto di stabilità interno - obiettivi di natura finanziaria - con gli altri propri della politica sanitaria, ossia la salute, la solidarietà, il riequilibrio sociale e territoriale, la qualità del servizio. Sono obiettivi che non vanno posti in secondo ordine, anche se questo è un rischio concreto. Di questo siamo fermamente convinti come, credo, siate convinti anche voi.
Quanto è stato fatto per realizzare una concreta verifica al riguardo? Siamo certi che la sanità italiana sia realmente uniforme in termini di prestazioni, di qualità, di possibilità di accesso? Consideriamo soltanto la diversità esistente tra le regioni ed anche tra le singole realtà. Che servizio, in sostanza, viene effettivamente fornito agli italiani? Questa domanda è l'altra faccia della domanda del patto di stabilità che rischia di avere una risposta secca: l'insufficiente qualità del servizio ed il razionamento delle prestazioni.
Ieri a Trieste è stata presentata un'indagine svolta dal CENSIS su un paniere abbastanza ampio di imprenditori medi e piccoli concernente i servizi della pubblica amministrazione (anche a livello di comune, provincia, eccetera): ebbene, il settore nel quale si è registrato un peggioramento è la sanità, perché non si avvertono cambiamenti. Anche nella giustizia sono stati indicati miglioramenti a differenza - lo ribadisco - della sanità. Perciò ritengo che il Parlamento possa intervenire.
L'articolo 28 della legge n. 448 del 1998 prevede la verifica dei livelli di assistenza assicurati da ciascuna regione, ma è previsto che tale verifica venga realizzata utilizzando indicatori e parametri relativi agli aspetti strutturali ed


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organizzativi dei sistemi sanitari regionali. Ancora una volta l'attenzione si pone sull'offerta, mentre trattandosi di verificare la qualità e i livelli di assistenza realmente forniti, perché non si pensa di interrogare seriamente la domanda, cioè i cittadini? È opportuno proseguire sulla linea dell'autoreferenzialità trascurando quella che è realmente la qualità del servizio fornita dagli utenti, dai cittadini del nostro paese?
Ecco, su questo tema - sul quale ritengo che siamo addirittura più indietro rispetto al monitoraggio finanziario del sistema - credo che il Parlamento possa e debba fare qualcosa.
Nel nostro paese non esiste uno studio o una rilevazione periodica, realizzati su basi rigorose, che fotografi la situazione della nostra sanità, soprattutto attraverso la lente della qualità del servizio. Senza questa fotografia, questo aggiornamento nel tempo, ogni valutazione su livelli, prestazioni, universalismo del servizio pubblico, fondi integrativi, è velleitaria perché priva di fondamento. Su questo tema - sul quale c'è tutto da fare qualora, come auspico, il Parlamento ritenga di riservare un impegno ad hoc, per esempio attraverso un progetto di qualità in sanità - Confindustria dichiara fin d'ora la propria disponibilità e il proprio interesse a collaborare.
Pensiamo che non sia sufficiente che il piano sanitario nazionale venga presentato come è richiesto e che rimanga il punto di riferimento, quasi un libro dei sogni, senza una verifica puntuale dei risultati effettivamente raggiunti.
In conclusione, signor presidente, quanto previsto dal patto di stabilità e di crescita interno è, per gli obiettivi di risanamento che si pone, pienamente condivisibile. La logica del patto, però, pur essendo la sola coerente dal punto di vista finanziario, è limitata perché introduce delle regole in un sistema che, proprio in quanto rientrante nell'alveo dell'amministrazione e delle sue necessità inderogabili di risparmio, è soggetto a vincoli finanziari di riduzione di spesa. Ma per crescere come sistema e ribaltare la situazione attuale attraverso l'attuazione di nuove risorse, la sanità non va più considerata solo una spesa. E per non essere solo una spesa deve procedere verso il mercato, superando le rigidità e le rendite di posizione oggi esistenti.
Un esempio è emblematico e significativo: il San Raffaele di Roma, in cui la scelta di portare la struttura sul mercato ha immediatamente generato la possibilità di avviare una campagna di assunzioni le cui dimensioni non si ricordavano da decenni nell'area romana. L'esperienza di altri paesi ha indicato che la sanità e i servizi per la persona sono un'area di grande sviluppo occupazionale, ma bisogna creare le condizioni.
Noi confermiamo la scelta universalistica e solidaristica in sanità, ma nell'ambito di un quadro generale di sostenibilità in cui si valorizzi anche e soprattutto la responsabilità dei singoli piuttosto che puntare esclusivamente sul ruolo egemone dello Stato. È questa la vera scelta da compiere ed è una scelta che dovrebbe stare a cuore soprattutto a chi crede in una sanità forte e di qualità nel nostro paese.
Signor presidente, la ringrazio per l'attenzione e rimango a sua disposizione per eventuali domande.

PRESIDENTE. La sua esposizione, dottor Castellano, ha abbracciato le problematiche legate all'articolo 28 della legge n. 448 che costituisce la base per un accordo con le regioni. Per riassumere il suo intervento in una battuta, si può dire però che il cane si morde la coda, perché il patto di stabilità e la conseguente riduzione della spesa cozzano contro gli impegni contenuti nel piano sanitario nazionale e nella cosiddetta riforma-ter (il decreto legislativo n. 229 del 1999), che secondo me sono dei libri dei sogni difficilmente attuabili. Dunque, occorrerà tener conto e contemperare queste esigenze, come lei ha giustamente evidenziato.
Secondo voi la concezione del federalismo che si sta portando avanti non ha ancora raggiunto i suoi obiettivi perché,


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affermate, il sistema è rigido, limitato nella spesa; come abbiamo dichiarato nel corso di un'audizione svoltasi qualche giorno fa, occorre capire come agiranno le regioni per mantenere gli impegni assunti, perché possono o ridurre la qualità dell'assistenza oppure aumentare le imposte, altre alternative non ce ne sono, considerando anche che alcuni impegni vengono presi dallo Stato per conto delle regioni, come i contratti del personale o la spesa farmaceutica. Non so dove ci condurrà il patto di stabilità, perciò chiedo se avete proposte o suggerimenti da dare.
La cosiddetta riforma-ter e il piano sanitario nazionale dovrebbero privilegiare il pubblico anche se in definitiva, riducendo la spesa, riducono la sua capacità competitiva nei confronti del privato; dunque occorrerà interrogarsi se vi sarà una maggiore concorrenza o meno. Gli stessi fondi sanitari integrativi (sui quali sarà opportuno ritornare) possono rappresentare un'occasione per avere una fonte di finanziamento diversa dal pubblico, quindi vi chiedo: pensate che siano opportune correzioni, indicazioni o suggerimenti al disegno di legge finanziaria in termini normativi o di finanziamento? Poiché so che il profilo finanziario è già determinato, insisto sulle indicazioni normative per superare le difficoltà rappresentate e responsabilizzare ognuno di noi sulla sanità che, come avete ben detto, non è una spesa, ma un investimento, perché l'assistenza sanitaria è un fatto sociale e come tale va considerato.

CARLO CASTELLANO, Responsabile del progetto sanità della Confindustria. Certo, esistono vincoli di carattere finanziario, ma all'interno della riforma sanitaria vi è ancora una parte da attuare, quella dei cosiddetti decreti attuativi, all'interno dei quali ci sono spazi per allargare le maglie e permettere un finanziamento aggiuntivo al sistema sanitario. Anche nei fondi sanitari integrativi - sui quali, come lei ha detto, sarà opportuno ritornare ed aprire un capitolo ad hoc - si possono individuare spazi di azione in fase di decreto attuativo.

PRESIDENTE. In effetti eravamo orientati ad analizzare anche la qualità dell'assistenza, ossia se in rapporto alla spesa sostenuta vi sia un ritorno sulla salute dei cittadini.

CARLO CASTELLANO, Responsabile del progetto sanità della Confindustria. Entrambi i capitoli sono importanti: il concetto di qualità, da un lato, e i fondi integrativi, dall'altro.
Per quanto riguarda i fondi sanitari integrativi, presidente, sulla base dei dati relativi al 1998 a nostra disposizione (che vanno tra l'altro utilizzati con molta prudenza, perché non sappiamo fino a che punto siano giusti), risulta che la spesa sanitaria complessiva del paese si aggira intorno a 160 mila miliardi, di cui 114 mila miliardi sono quelli relativi alla spesa sanitaria pubblica e circa 46-47 mila miliardi quelli relativi alla spesa sanitaria privata. Quest'ultima è una spesa non regolata, nel senso che nessuno sa di preciso come i cittadini spendano quei soldi (i cittadini vanno in farmacia e pagano dei farmaci, vanno in un laboratorio diagnostico e pagano un esame ecografico piuttosto che un altro esame, al limite vanno a farsi degli interventi chirurgici e pagano direttamente): è una spesa valutata dal sistema ma completamente estranea ad esso. Con la riforma-ter, introdotta dal decreto legislativo n. 229 del 1999, in qualche modo si vuole riportare questa spesa all'interno della spesa sanitaria pubblica. Ebbene, noi riteniamo che così facendo si blocchi il processo di crescita e di espansione del sistema sanità, mentre sarebbe importante che vi fosse un'integrazione tra il pubblico ed il privato. Sarebbe necessario, cioè, che in qualche modo, tramite i fondi sanitari integrativi, si tenessero le maglie aperte per una parte di risorse, prevedendo che non necessariamente esse debbano confluire nel pubblico (ciò è sempre possibile ove il pubblico sia in grado di rispondere alle domande dei cittadini) ma consentendo appunto che vengano indirizzate anche verso altre strutture. In altre parole, noi riteniamo importante esprimere


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una logica iniziale di mercato all'interno della sanità. Gli erogatori che sono più capaci devono avere la possibilità di essere maggiormente utilizzati da parte dei cittadini, senza che si sia vincolati dal monopolio pubblico della sanità, che risponde a logiche sempre più restrittive per cui o c'è il razionamento, da un lato, oppure c'è l'aumento delle tasse, dall'altro.
In sostanza, mi sembra importante verificare lo stato attuale della sanità non dal punto di vista dell'offerta ma dal punto di vista della domanda, prestando quindi particolare attenzione alla qualità del servizio. Questo mi sembra un punto sul quale il Parlamento potrebbe fornire importanti elementi di riferimento. È poi necessario, fermo restando che la riforma-ter è oggi una legge dello Stato e quindi in questo momento noi non possiamo che prenderne atto, aprire all'interno dei decreti attuativi tutti quegli spazi che possano consentire un'integrazione effettiva tra pubblico e privato.

PRESIDENTE. Ringrazio nuovamente i nostri ospiti. Potremmo eventualmente rivederci per approfondire alcuni temi.

CARLO CASTELLANO, Responsabile del progetto sanità della Confindustria. La ringrazio, di nuovo, presidente, anche a nome della Confindustria.

PRESIDENTE. Dichiaro pertanto conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 20.