IX COMMISSIONE
TRASPORTI, POSTE E TELECOMUNICAZIONI

INDAGINE CONOSCITIVA
SUL SETTORE DELLE TELECOMUNICAZIONI


Seduta di marted́ 1° ottobre 1996


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La seduta comincia alle 12.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Propongo che la pubblicità dei lavori della Commissione nell'odierna seduta sia assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito.
(Così rimane stabilito).

Seguito dell'audizione del presidente dell'IRI, Michele Tedeschi.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul settore delle telecomunicazioni - deliberata lo scorso 19 settembre, previa intesa con il Presidente della Camera - il seguito dell'audizione del presidente dell'IRI, dottor Michele Tedeschi, che ringrazio ancora una volta per la sua cortese disponibilità e per aver assicurato per la seconda volta la sua presenza in Commissione.
Ricordo che nella seduta del 26 settembre scorso il presidente Tedeschi ha svolto la sua relazione; do pertanto la parola ai colleghi che intendono porre domande, alle quali lo stesso presidente Tedeschi risponderà.

ILARIO FLORESTA. Ringrazio il presidente Tedeschi per averci fornito una completa ed esauriente relazione, che ci ha consentito di fare alcune riflessioni e di sottoporgli conseguenti domande. Partendo dalla prima, per quanto concerne la privatizzazione, a completamento delle innumerevoli domande poste in Commissione dal nostro presidente, le chiedo se lei ritenga che prima di privatizzare occorra creare un'authority e varare la legge per la liberalizzazione delle telecomunicazioni; viceversa, quale chiave di lettura darebbe ad un acquisto di terzi senza regole certe? In sostanza, se non si crea l'authority e non è pronta la legge sulla liberalizzazione, quale chiave di lettura lei dà a questa situazione?
In secondo luogo, le chiedo quale dei quattro modelli normativi per il processo di liberalizzazione preferisca (mi riferisco ai modelli statunitense, francese, germanico o inglese). Nel caso in cui lei preferisca il modello americano, non ritiene che a tale normativa gli Stati Uniti siano giunti dopo decenni di evoluzione e di adeguamenti, per cui conseguentemente sia quanto meno avventuroso pensare ad attuare un modello simile in Italia?
In terzo luogo, sono lieto che la STET condivida appieno quanto previsto dal decreto-legge n. 444 del 28 agosto 1996, ma lei afferma che il provvedimento risponde all'esigenza di recepire celermente le disposizioni della Comunità europea per una completa liberalizzazione e prevede che vengano recepiti i provvedimenti di attuazione delle tre direttive CEE (la n. 95/51, la n. 95/19 e la n. 96/19); ebbene, ritengo che non sia così e che nel citato decreto-legge n. 444 vi siano molte discrasie rispetto alle sopra enunciate direttive. Tra l'altro, ci stiamo occupando in Commissione di un parere rinforzato proprio in merito a questo recepimento.
Sono per altro d'accordo con lei, presidente Tedeschi, circa il fatto che eventuali


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accelerazioni del legislatore italiano non debbano comportare svantaggi per il gestore nazionale (su questo siamo tutti d'accordo), ma ritengo che un'accelerazione sia pura utopia. In effetti, siamo già in notevole ritardo con il processo di liberalizzazione e, se non si procederà con una reale e rapidissima accelerazione, ma ancor più con una vera volontà di liberalizzazione, arriveremo al 1o gennaio 1998 senza aver assicurato alcuna vera possibilità d'accesso ad altri competitori nel settore delle telecomunicazioni.
In particolare, sono d'accordo con lei allorché puntualizza la necessità di riduzione del canone di concessione, la cui entità non trova riscontro in nessun altro paese europeo e di fatto blocca una vera liberalizzazione. Ma penso che, per esigenze del Tesoro e andando contro quanto già deliberato dal CIPE nel novembre 1994, non si realizzerà quanto allora fu deciso circa il decalage del canone che, se ricordo bene, dovrebbe essere portato entro il 1997 allo 0,5 per cento, ma per ora resta ancora al 3 per cento. Mi chiedo come farà il Tesoro ad ottemperare alle previsioni, che però vanno rispettate, perché altrimenti verrebbe di fatto bloccata una vera liberalizzazione.
Inoltre, poiché lei chiede la definizione del finanziamento del servizio universale, che giudico essenziale, come pensa che tale definizione possa essere attuata se non sappiamo ancora - almeno io non lo so - che cosa preveda esattamente il servizio universale? Se lei, presidente, dovesse esserne a conoscenza, potrebbe gentilmente esplicitarlo?
Sono altresì encomiabili le linee strategiche della STET; in particolare, nel suo intervento si è parlato di fidelizzazione della clientela, nonché della necessità di sostenere lo sviluppo dei margini aziendali attraverso il contenimento della dinamica dei costi in una crescita dell'1,6 per cento medio annuo nel prossimo triennio; le chiedo innanzitutto se non ritenga che queste affermazioni diano a lei e quindi alla STET la certezza che avete attualmente (questo è giusto) una posizione dominante, che pensate o sperate di poter mantenere almeno nel medio periodo (questo è meno giusto).
Quanto all'aumento dell'1,6 per cento medio annuo - questo è il punto dolente - lei ritiene che riuscirete ad ottenerlo con nuovi interventi o con il mantenimento della politica che avete avviato negli ultimi anni e che ha scaricato quasi esclusivamente sull'indotto non dico la vostra inefficienza, ma almeno i vostri maggiori costi, peraltro giustificabili e sopportabili dai vostri sempre crescenti ricavi ed ancor più crescenti utili, a fronte di un noto impoverimento dell'indotto, almeno di quello impiantistico, in cui si è inoltre registrato un notevolissimo decremento della manodopera. È un po' strano che in tutto il mondo, nel settore delle telecomunicazioni, si assumano persone e noi invece riusciamo a mandarle a casa.
Complimenti per la prevista crescita dei ricavi in nuove aree di business, che sarà di circa il 450 per cento rispetto agli attuali 1.200 miliardi annui. Quale percentuale nazionale prevede in tal modo di soddisfare la STET? Più chiaramente: quale sarà, a vostro avviso, il fatturato complessivo italiano di tali nuove aree di business nel 1999?
Giustamente, poi, la STET attribuisce grande rilievo alla valorizzazione del settore manifatturiero (Italtel e Sirti, per l'impiantistica, e Finsiel per l'informatica) e di ciò sono veramente soddisfatto. Per quanto da lei affermato - «per meglio competere a livello globale e quindi raggiungere l'obiettivo dell'offerta e della crescita del core business» - non sarebbe castrante pensare di vendere separatamente la Telecom e la TIM rispetto alle tre sopraindividuate società? Oppure il fortunato e destinato erede della privatizzazione delle telecomunicazioni ha solo a cuore - scusi il bisticcio di parole - il core business delle stesse? Le chiedo gentilmente un suo commento.
Scorrendo la sua esposizione della situazione azionaria, debitoria e creditoria dell'IRI e dell'indebitamento netto, che si attesterebbe sui 16.300 miliardi di lire, sensibilmente superiore a quello previsto dall'intesa con l'Unione europea, apprendo


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da ella che procedendo all'auspicata privatizzazione della STET e ad ulteriori programmate privatizzazioni, come quella della società Autostrade, ella pensa che raggiungerà un sostanziale rispetto degli impegni comunitari. Visti gli entusiasmanti ultimi bilanci delle società del gruppo STET, lei pensa che il valore del 61 per cento delle azioni della stessa STET possedute dall'IRI, che lei presiede, debba far riferimento all'ottenimento del risultato da lei auspicato oppure debba tener esclusivamente conto dell'effettivo valore di mercato (e quindi si debba puntare all'ottenimento della cifra massima consentita)? Le chiedo questo perché ancor vive sono nel nostro ricordo precedenti privatizzazioni - Alfa Romeo, banche, eccetera - che gridano ancora vendetta.
Inoltre, le chiedo: dopo aver venduto i suoi gioielli - suoi perché ella presiede l'IRI - senza contemporaneamente non dismettere ma privatizzare (in questo caso, sì, anche regalando) le imprese che ancor oggi l'obbligano a chiudere con pesanti passivi la gestione IRI, come e per quanto tempo pensa di poter rispettare gli impegni comunitari per quanto riguarda l'indebitamento? Mi rendo conto che il processo di privatizzazione va comunque perseguito, ma proprio in tale ottica ella dovrà vigilare attentamente affinché l'IRI introiti ad ogni privatizzazione i reali valori delle dismissioni che andrà a realizzare.
Inoltre, vorrei fosse precisato da lei - è auspicabile che sia come penso - che l'eventuale prevista rateizzazione del pagamento della cessione STET in un termine massimo di tre anni terrà conto degli oneri finanziari. Ho letto che volete vendere con una rateizzazione di tre anni, ma terrete conto degli oneri finanziari, perché il costo del denaro è alto? Altrimenti, considerando gli utili, si potrebbe pensare a fare un pool tra di noi per acquistarla.
Per quanto concerne la SEAT e la sua eventuale privatizzazione, non esprimo la mia opinione, ma chiedo di porre attenzione perché l'operazione sia chiara, trasparente e l'antitrust non debba alla fine intervenire. Vorremmo veramente che da ora in poi tutto fosse più chiaro, più legale, con un riferimento di lettura certo. Solo così potremo avviarci ad un vero risanamento del nostro paese. Solo così daremo rinnovata fiducia nelle istituzioni alla comune gente. Lei certamente - lo dico senza alcuna piaggeria - unitamente a tutto l'alto staff dirigenziale delle società del gruppo STET, ha tutti i requisiti necessari perché questa volta si compia una vera svolta e noi del gruppo di forza Italia staremo attenti all'evolversi di quanto detto. Sono certo che se non dovrete accettare supinamente - e non lo dovete, perché le vostre deleghe ve lo consentono - condizionamenti di vario genere, saremo noi i primi ad attribuirvi, ad operazioni avvenute, un grande plauso.

GIORGIO PANATTONI. Un po' più delle domande possibili sono già state formulate; quindi, credo di dover fare qualche più specifico accenno ad alcuni temi particolari.
Qui ci occupiamo di telecomunicazioni e quindi non pongo domande per quanto riguarda tutto il resto della galassia, che peraltro è estremamente interessante e porrebbe tutta una serie di quesiti.
La prima domanda concerne il rapporto di reciprocità, e una sua opinione al riguardo, tra le politiche che sono in atto nei grandi paesi europei (in particolare, Francia e Germania), l'esperienza inglese e il processo di privatizzazione in Italia. Mi pare che certe asimmetrie di comportamento siano evidenti. Vorrei la sua opinione di gestore del servizio, di azionista della società che gestisce il servizio.
Il secondo problema è il contenuto della golden share. Le chiedo quale sia, secondo lei, il contenuto più adatto, per mantenere continuità all'attività nel processo di privatizzazione, che la golden share dovrebbe avere per garantire che questi processi transitori non siano particolarmente sconvolgenti di tutta una serie di equilibri che credo siano gli unici a garantire una continuità di servizio in un ambito di evoluzione tecnologica, di mercato e di concorrenza particolarmente vistosa.


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La terza questione riguarda il rapporto fra la Finsiel e il cosiddetto polo informatico italiano. Si è parlato a lungo della necessità di un'azienda informatica che costituisca in Italia un riferimento stabile, proprio perché l'informatica viene considerata uno strumento strategico. La presenza della Finsiel - che è diffusa soprattutto a livello di pubblica amministrazione - ha una valenza importante in questo processo complessivo. Vorrei capire se pensiate, abbiate pensato o abbiate in atto rapporti di natura societaria con altri attori italiani, per esempio, l'Olivetti. Qual è lo stato attuale dell'accordo con l'IBM, che mi pare stia declinando, e quali sono le prospettive che voi vedete nell'ambito di una crescita di importanza e di interesse di un filone strategico come quello dell'informatica, in funzione della grande modificazione dello Stato che è in atto e che mi sembra particolarmente rilevante?
L'ultimo punto attiene al rapporto fra le telecomunicazioni e la televisione, in particolare, ovviamente, nel dominio digitale. Quale ruolo sta programmando la STET, anche attraverso tutta una serie di iniziative (ne cito una fra tutte, quella più rilevante, la Stream)? Che tipo di strategia oggi state implementando e con quali obiettivi, in un mercato che, tendendo sempre di più a sovrapporsi, pone una serie di problematiche (tra l'altro alcune di queste regolamentate da disposizioni di legge) che aprono prospettive di estremo interesse?

PAOLO MAMMOLA. Vorrei porre un solo quesito al presidente Tedeschi, che ringraziamo per essere così sollecitamente intervenuto di nuovo ai lavori della Commissione. La domanda verte essenzialmente sul prossimo processo di privatizzazione della STET da tutti auspicato, che pare debba compiere il suo primo atto con la dismissione della SEAT. Attraverso questa vendita sappiamo che verrà messo sul mercato circa il 61 per cento delle azioni di tale società, con contemporanea dismissione anche di altre attività ad essa legate. È il primo passo formale di cui abbiamo appreso anche dagli organi di stampa.
Ciò che ci preoccupa e su cui, a mio avviso, lei dovrebbe tranquillizzarci è che da alcune parti si paventa la partecipazione all'acquisto di un'altra società comunque facente capo al gruppo IRI, cioè la Telecom. Vorremmo essere rassicurati su quest'operazione e sul fatto che essa non sia la ripetizione di operazioni già svolte e, a nostro modo di vedere, alquanto discutibili. Ne cito solo una, quella della società Aeroporti di Roma: si dismette da una parte e si compera dall'altra. Vorrei, insomma, che quest'inizio di privatizzazione non si rivelasse un semplice passaggio di mano del pacchetto azionario con il conseguente trasferimento di capitale, che certamente sarà utile per il risanamento dei conti dell'IRI, ma che di sicuro non va nella direzione da tutti auspicata.

RINALDO BOSCO. Dalla relazione svolta dal presidente Tedeschi ho tratto una sensazione di angoscia, avendo constatato che vi sono talune situazioni, previste dall'IRI, che potrebbero non essere condivise dal Parlamento; mi riferisco a Stream: non è detto che chi ha il carrier debba avere anche i contenuti e quindi detenere magari posizioni dominanti. Mi chiedo, pertanto, come l'IRI possa ipotizzare una sua crescita prevedendo di lanciare sul mercato anche dei contenuti parellamente ad altri, magari «soffocando» questi ultimi.
Ancora più sconvolgente è il fatto che la vendita della STET porterebbe in pareggio il bilancio dell'IRI, che è in perdita per 11 mila miliardi; sconvolgente ancor più quando si pensi che un bel mattino abbiamo letto sui giornali che l'IRI aveva dato 3 mila miliardi all'Alitalia senza che nessuno ne sapesse nulla; non so se questi soldi siano stati dati, se ne sia stata data solo la metà ed a quali condizioni; comunque, so che non c'è un progetto, noi non l'abbiamo visto, non lo conosciamo ed anche su queste vicende vorremmo sapere come muoverci.
Al di là di tutto questo, vorrei sapere cosa intenda fare il presidente Tedeschi per raggiungere ogni casa, ogni marciapiede. Lei afferma che nel 2000 avremo


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cinque milioni e mezzo di famiglie servite, ma non si capisce come a cinque milioni e mezzo di famiglie corrispondano circa 930 mila abbonamenti: il numero di questi ultimi dovrebbe essere lo stesso di quello delle famiglie o, nel caso di più canali, dovrebbe essere maggiore. In sostanza, per poter coniugare il business dell'IRI con il servizio sociale che si deve rendere, le chiedo se sia ipotizzabile che per la posa del cavo, per raggiungere ogni città, villaggio, casa isolata, montagna, vi possa essere una compartecipazione di privato e pubblico e magari anche di qualche partner come British Telecom o France Telecom, importanti partner che possono comunque dare sviluppo alla nostra società.
Dico questo perché vedo che il progetto consiste nel fornire molto rapidamente il servizio alle città più importanti, dove si realizza immediatamente un utile; credo, però, che abbiamo un dovere preciso nei confronti di tutti i cittadini e che dobbiamo compiere il massimo sforzo per raggiungerli tutti. Le chiedo, quindi, cosa l'IRI intenda fare anche per assicurare un servizio, visto che non è sufficiente stendere un cavo, ma bisogna fornire un'alfabetizzazione informatica ai cittadini ed alcuni prodotti, che sono quelli di accesso alle strutture pubbliche ed alla pubblica amministrazione.

CESARE DE PICCOLI. Più che porre una domanda ai nostri ospiti, svolgerò una considerazione. Cercherò quindi di sfruttare l'opportunità che mi viene data per capire come il paese reale tra qualche mese, quando in primavera la vicenda della STET occuperà i titoli di prima pagina dei giornali, giudicherà tale vicenda. Lo chiedo a lei, presidente Tedeschi, nella sua qualità di manager (non voglio far carico a lei di decisioni che competono alla sfera politico-istituzionale), di presidente di una grande holding pubblica che, come tale, deve tener conto di un interesse generale, di quello che si definisce l'interesse-paese, un'espressione che talvolta non è retorico utilizzare.
Presso la pubblica opinione può accadere che si confonda tra liberalizzazione e privatizzazione, due cose che - è bene ripeterlo - sono completamente diverse, circostanza che opportunamente dovrebbe essere sempre più messa in luce presso il grande pubblico. Voglio dire che, mentre la liberalizzazione è un obbligo su cui quindi vi è poco da discutere, trattandosi di un impegno, sottoscritto con i nostri partner europei, tradottosi in una direttiva che, essendo stata recepita, dovrà essere contenuta in atti legislativi dal Parlamento (esamineremo, infatti, il disegno di legge sull'authority), per cui da questo punto di vista il nostro margine di discrezionalità è molto ridotto, limitandosi solo a stabilire modalità, percorsi istituzionali, controlli, sistemi di garanzia, eccetera; ho invece qualche dubbio sulla privatizzazione. Cosa deve essere? Si interviene, infatti, in un settore strategico. Se tutti gli analisti concordano nel dire che il futuro è sempre più quello della società dell'informazione, questo è un settore strategico, e quindi rappresenta un interesse-paese.
Avendo io approvato, in sede di Parlamento europeo, la direttiva sulla liberalizzazione, ritengo che si possa essere europeisti convinti - garantendo quindi il libero mercato, la concorrenza (perciò la liberalizzazione è necessaria) e quindi migliori servizi e tariffe all'utenza -, ma al tempo stesso soddisfare anche un interesse nazionale. Così ho visto fare, indipendentemente dai gruppi di appartenenza, ai miei colleghi francesi, tedeschi e inglesi: sono europeisti, ma difendono il loro interesse nazionale con i denti. In Italia, in questo momento, abbiamo altri problemi all'ordine del giorno e siamo quanto meno confusi. Allora le chiedo, presidente Tedeschi: vuole aiutarmi a superare le mie perplessità sul fatto che la privatizzazione costituisca una buona scelta? Un cittadino italiano può valutarne bene i vantaggi, con messaggi comprensibili oltre che con argomenti tecnici? In altri termini, la privatizzazione è una necessità, serve per fare cassa, per finanziare il disavanzo dell'IRI? Non è che se facciamo solo questo ci giochiamo qualche prospettiva? Vorrei essere un po' tranquillizzato.


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Infine, attraverso quali modalità si procederà alla privatizzazione? Si tratterà di una public company, avrà un nucleo di controllo? Gli artifizi di costruzione giuridico-aziendale non sono neutri. Avremo, alla fine, un mercato realmente liberalizzato ma, al tempo stesso, potremo esercitare un interesse-paese assieme agli altri partner europei, o saremo solo un mercato di utilizzatori, mentre le regole del gioco le stabiliranno altri?

EDUARDO BRUNO. Rivolgerò alcuni quesiti specifici riguardanti società dell'IRI per avere risposte precise, in modo da svolgere poi alcune considerazioni più generali.
La prima domanda riguarda la Sirti. Risulta un utile netto di 170 miliardi, ma dal 1993 sono stati persi 2.700 posti di lavoro. I ricavi risultano in crescita del 10 per cento. Vorrei sapere quale sia la strategia dell'IRI riguardo a questa azienda che appare in netta ripresa. Vorrei anche sapere a quale punto sia la fusione tra la Sirti e l'Italtel. A proposito dell'Italtel, si prevedono 2.370 esuberi circa, su 16 mila dipendenti, tra il 1997 e il 1998.
Alla Siemens sono stati collocati in cassa integrazione guadagni per 10 mesi 1.200 lavoratori; si prevede inoltre il collocamento in cassa integrazione dal 1o ottobre al 31 dicembre 1996 di oltre 4 mila lavoratori. Vorrei sapere quale sia la politica che si intende seguire riguardo a questi problemi dell'azienda.
La Telecom ha chiuso il bilancio con un 20 per cento in più rispetto al 1994, ma anche qui si parla di 18.200 esuberi nei prossimi 2 anni.
Dopo queste domande sullo stato occupazionale, vorrei occuparmi di due problemi di carattere più generale. Il primo concerne il cablaggio, con riguardo ai progetti Socrate 1 e 2. Con chi sono stati conclusi gli accordi a livello amministrativo, in quali città si prevede la cablatura e con quali tempi? La STET ha previsto, per il cablaggio, 37 mila miliardi: questa somma è considerata sufficiente? Con questi progetti si assicura il servizio universale, che io ritengo indispensabile? Potremmo correre il rischio di un'ulteriore divisione tra il nord e il sud dell'Italia, privilegiando il sentimento intimo della lega di dividere ulteriormente il paese? Il rischio mi sembra molto forte, considerando che l'informazione costituisce il settore più importante della società in cui viviamo. Un servizio di rete diffuso su tutto il territorio nazionale è una tutela per la stessa democrazia, non solo per l'unità dello Stato. Su questo vorrei qualche assicurazione in più.
Non sono tra coloro che si strappano le vesti per la privatizzazione, come diceva il collega Mammola; non siamo tutti d'accordo sulla necessità di procedere ad una privatizzazione spinta. Vorrei sapere in quali tempi si intenda privatizzare e quale debba essere il ruolo dello Stato: quale dovrebbe essere la consistenza dell'annunciata golden share? Si dovrà parlare di leggerezza, di pesantezza, di nocciolo duro? Domando inoltre se si debba intendere l'intervento come limitativo della presenza straniera. Se non sbaglio, infatti, la privatizzazione della STET sta suscitando grandi appetiti anche in campo internazionale. Se vogliamo che questo settore sia strategico e a controllo pubblico - ed io la penso così - come intendiamo portare avanti il processo di privatizzazione?
Infine, come si intende risanare il deficit dell'IRI? Il punto di partenza mi sembra sia quello della svendita, della privatizzazione della SEAT, che costituisce un settore in attivo (è quello delle Pagine gialle). Quale filosofia si nasconde dietro la privatizzazione della STET? È, come sembrerebbe, un regalo a Pubblitalia, visto che è stata annunciata la nascita delle cosiddette pagine utili, o è qualcos'altro?

VINCENZO BERARDINO ANGELONI. Ringrazio il dottor Tedeschi per la chiarezza e la disponibilità avuta verso la Commissione.
Desidero rivolgere alcuni quesiti che sono stati già oggetto di un'interrogazione diretta, tra gli altri, ai ministri Burlando e Maccanico.
Vorrei conoscere l'opinione dell'IRI sul piano cablaggio Telecom; sapere quale futuro


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riservi il settore alla Stream - una società di servizi multimediale - e quali politiche questa società stia portando avanti nei confronti di Telepiù e di altri gruppi del settore televisivo.
Chiedo ancora se siano state prese adeguate misure di prevenzione per evitare che gli importanti effetti del cablaggio possano essere strumento per favorire illeciti e arricchimenti; se sia vero che tra IRI e STET ci sia contrasto di opinioni sulla scissione della SEAT e quanto l'IRI pensi di ricavare dalla vendita di questo ramo della STET; se corrisponda al vero che voci autorevoli come Riva e Cavazzuti individuino in Agnes e Pascale i più tenaci avversari al processo di privatizzazione.
Vorrei conoscere la valutazione dell'IRI su alcune iniziative estere della STET, in particolare sugli investimenti fatti a Cuba e in Bolivia.
Mi chiedo quale sia la situazione degli inquisiti del mondo dell'IRI in relazione al processo di Tangentopoli e quali decisioni siano state prese al riguardo; se l'IRI abbia compiuto serie indagini presso la STET per verificare le voci di un coinvolgimento della società nella truffa dei quadri falsi ordita ai danni della STET dal professor Benincasa, il cui processo avrà inizio tra pochi giorni.
Per concludere, vorrei sapere se sia vero che l'IRITEL sia stata già venduta a un tale Farina.

MICHELE TEDESCHI, Presidente dell'IRI. L'IRITEL non c'è più!

PRESIDENTE. Credo che si riferisca all'ILTE.

ANDREA GUARINO. Signor presidente Tedeschi, si afferma con una certa insistenza sia da talune parti politiche sia dal mondo economico - vi è un rilievo in questo senso anche da parte del presidente dell'Autorità garante per la concorrenza - che in una prospettiva di mercato liberalizzato vi sarebbe un'eccessiva presenza della STET, intesa come gruppo delle telecomunicazioni, che potrebbe in determinate circostanze ostacolare la crescita della concorrenza. Tuttavia si può riscontrare sulla base di dati normativi obiettivi che la tendenza è verso un mercato generalizzato, di dimensioni continentali e addirittura transcontinentali.
La pregherei di fornire a questa Commissione indicazioni sulla reale posizione concorrenziale della STET in un mercato globale inteso su scala comunitaria e infracomunitaria, che si prevede possa realizzarsi di qui a non troppo tempo.
Mi riallaccio alle osservazioni fatte in precedenza da un collega sulla necessità di rendere comprensibili ai cittadini i costi e i benefici delle operazioni che si intendono eseguire nel settore delle telecomunicazioni. La pregherei di delucidare la Commissione su un'analisi comparativa - con riferimento all'interesse nazionale e al volano economico che può essere costituito per il mercato dell'informazione dalle ricadute del valore aggiunto dei servizi, per l'appunto, ad alto valore aggiunto, anche in termini di opportunità di occupazione - per quel che riguarda la scelta dei due modelli possibili: quello tedesco, ove all'operatore pubblico non è data alcuna specifica posizione di privilegio o di preminenza, oppure quello francese, che, sia pure entro un quadro liberalizzato in conformità alle direttive comunitarie, sembra attribuire allo stesso una certa posizione di specificità.
La pregherei, in relazione a questo punto, di delucidare la Commissione sull'incidenza dell'adozione dell'uno e dell'altro modello, sui risultati e sugli effetti indotti del processo di privatizzazione.
Sempre con riguardo alla comprensibilità e alle ricadute sull'interesse nazionale, quindi di nuovo anche in termini di opportunità economica ed ovviamente tenendo presente i problemi dell'occupazione, la pregherei di informare la Commissione se sia stata fatta in sede IRI o STET una valutazione comparativa delle conseguenze dell'adozione di un modello di autorizzazione onnicomprensiva, per cui un'impresa autorizzata a svolgere servizi di telecomunicazione può svolgere di volta in volta quelli che ritenga più convenienti o più promettenti, o di un altro modello


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di licenze settoriali, in base al quale si è autorizzati e quindi vincolati ad eseguire soltanto il determinato servizio contemplato dall'autorizzazione.

ENZO SAVARESE. Da quanto apprendiamo da notizie di stampa - credo siano abbastanza attendibili - la Telecom starebbe varando il cosiddetto sistema DECS, che dovrebbe costituire il prolungamento della telefonia fissa in ambito urbano (quindi, le reti di Napoli, Milano, Roma, Torino e via dicendo). Risulta peraltro - lo apprendo ancora una volta dai giornali - che sarebbero necessari per questa rete notevoli investimenti. Ci si chiede se tali investimenti non potrebbero costituire, come prodotto finale, una concorrenza in ambito familiare a TIM e come tale eventuale concorrenza potrebbe incidere sul valore globale di STET.
Stiamo parlando di privatizzare l'intera STET, composta dalle varie «figlie» Telecom e TIM; non mi risulta che per quanto riguarda France Telecom, British Telecom o Deutche Telekom si sia arrivati a questo tipo di prodotto. Vorrei conoscere l'avviso dell'IRI su quella che sembra essere una querelle in famiglia.

PRESIDENTE. Aggiungo qualche breve considerazione da parte mia.
Vorrei focalizzare il discorso sulle competenze dell'IRI quale azionista (largamente) di riferimento della STET, la quale, come voi sapete, è una holding finanziaria che raccoglie una serie di società e controlla il mercato della telefonia, con la sola eccezione di Omnitel per quello che attiene alla telefonia cellulare.
In particolare, vorrei focalizzare l'attenzione sul valore che è possibile attribuire alla STET. Ho letto uno studio della GP Morgan (credo commissionato dall'IRI nel 1994); ho esaminato, nei limiti in cui ovviamente mi è stato consentito dalla conoscenza parziale degli atti, i bilanci delle varie società ed il consolidato.
Pur dovendo ipotizzare che faccia riferimento soltanto ai valori cosiddetti «di libro», considero singolare la valutazione data, sia pure ad un primo (voglio sperare primissimo) esame, dal presidente Tedeschi in relazione al mio precedente quesito su questo punto: 11 mila miliardi. È una cifra tra l'altro largamente insufficiente per sopperire alle stesse necessità di indebitamento dell'IRI: siamo a 23.500 miliardi (con alcune partite di credito si scende a 16.300).
La valutazione appare assai lontana da un quadro di riferimento attendibile se si pensa che la sola Telecom quest'anno produrrà utili dichiarati per 2.500 miliardi, a quel che si legge su notizie di stampa informata; TIM non è da meno. Nel complesso si possono calcolare intorno ai 5-6 mila miliardi gli utili complessivi nel settore della STET. Ebbene, se un gruppo di società produce utili per 6 mila miliardi, è difficile che il 61,7 per cento dello stesso possa valere 11 mila miliardi; deve valere molto di più, molto, molto di più.
Credo che di questo debba essere preoccupato l'IRI, il quale deve massimizzare i propri ricavi da questa operazione, anche in relazione alla pesante situazione di bilancio e alle possibili pesantezze future. Deve massimizzarli perché come Commissione fortemente perseguiamo e poniamo a fondamento del nostro intervento l'utile della collettività: siamo qui per questo. È necessario procedere, dunque, ad una corretta valutazione, chiarendo - perché di questo si tratta - che chi acquisirà il pacchetto di controllo avrà in aggiunta un premio di maggioranza.
Altre operazioni compiute in passato dall'IRI non hanno - ahimè - valorizzato l'aspetto finanziario: questo è un dato obiettivo e reale che rappresenta ormai un'acquisizione della storia economica del nostro paese. È bene, quindi, che esperienze del genere non abbiano a ripetersi e, a tal fine, il Parlamento deve svolgere un'assidua vigilanza affinché - ripeto - ciò non accada.
Apprezzo molto il riferimento che sulla stampa è stato attribuito al presidente Tedeschi in ordine al cosiddetto sistema del partly paid, ossia la possibilità del pagamento frazionato, poiché esso consente di realizzare nel nostro ordinamento economico e nella realtà borsistica una public


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company. Probabilmente si potrebbe anche immaginare di valorizzare talune risorse interne delle stesse società STET. Mi riferisco, per esempio, al TFR ed alla possibile partecipazione azionaria dei dipendenti nell'ambito della STET, una società che ha una indubbia garanzia di solidità; né peraltro mancano nel bilancio di Telecom e TIM altre voci cui fare riferimento. Penso, inoltre, ai depositi infruttiferi per anticipo conversazioni interurbane, che potrebbero trovare destinazione in operazioni di questo genere e costituire momenti di partecipazione azionaria.
Esiste nelle società SEAT, Telecom e TIM - grazie a Dio e per merito dei suoi amministratori - un «tesoro» che deve essere gestito nell'ambito di una privatizzazione che sia in grado di portare all'erario e, in primo luogo, all'IRI, tutte le risorse necessarie.
Vorrei soltanto aggiungere una considerazione relativamente alla SEAT, che rappresenta il primo momento di questo processo di privatizzazione. Il Governo ha fornito indicazioni per la verità di larga massima - credo di usare un'espressione adeguata - ma sulla SEAT si comincia a percepire che qualcosa potrebbe essere migliorato.
Vorrei sapere, per esempio, dal presidente Tedeschi, a cui questa scelta è direttamente attribuibile, quale azionista di riferimento della SEAT, se il 28 ottobre sarà l'IRI, e non la STET, a prendere le decisioni. Vorrei sapere - mi chiedo perché mai sia stata inserita nell'operazione SEAT la MMP - a quale logica di politica industriale e finanziaria corrisponda l'inserimento di una società che pare affatto estranea al core business dell'impresa. Vorrei inoltre avere notizie precise - la stessa domanda è stata posta da altri - in ordine alla possibile esistenza di impegni contrattuali pregressi sulla vendita della ILTE. È chiaro che non si può offrire in vendita una partecipazione azionaria se il compendio patrimoniale che fa capo a quella società è già stato alienato, salvo vendere una scatola vuota, ma non credo sia questa l'intenzione dell'IRI.
Ho formulato queste considerazioni nella certezza che il presidente dell'IRI, nella sua alta responsabilità, animato da quel senso dello Stato che vorrei fosse appannaggio di tutti i servitori dello Stato, e massimamente di quelli che occupano posizioni più elevate, saprà dare oggi risposte esaurienti ed ispirare il suo comportamento a tali principi ed indicazioni.

MICHELE TEDESCHI, Presidente dell'IRI. Cercherò di rispondere alle domande raggruppandole per materia, onde evitare di tralasciare qualche quesito. Se tuttavia, nonostante questo sforzo di concentrazione, dovessi tralasciare qualche risposta, vi prego di segnalarmelo.
Il tema presente in tutti gli interventi, e che sembra costituire l'oggetto principale del dibattito, riguarda la privatizzazione della STET nel suo complesso ed in particolare della SEAT che, come è stato ricordato, rappresenta il primo passo di questo iter.
Mi è stato chiesto innanzitutto, in termini ipotetici e generali, se sia necessario costituire una authority, peraltro prevista da una norma di legge come condizione imprescindibile per procedere alla privatizzazione e non come un optional. L'IRI, infatti, non può procedere alla vendita della parte telecomunicazioni della STET (Telecom e TIM) se prima il Parlamento non abbia varato e poi reso organizzativamente operante l' authority per le telecomunicazioni. Si pone, invece, in termini di opportunità la questione della liberalizzazione, anch'essa importantissima e sottolineata in molti interventi. È verissimo, come è stato detto, che si tratta di due operazioni nettamente diverse: si può liberalizzare senza privatizzare e si può privatizzare senza liberalizzare.
Noi siamo impegnati a liberalizzare per un vincolo comunitario, di cui conosciamo già le relative scadenze, ed abbiamo l'obbligo di privatizzare. Devo dire che la liberalizzazione per una gran parte dei servizi di telecomunicazione è già un fatto operante. Attualmente sono rimasti esclusi dalla liberalizzazione soltanto due settori: le reti ed il servizio in voce. Per quanto riguarda


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le reti siamo ormai alla vigilia della liberalizzazione che, in base alla normativa europea, avverrà il 1o gennaio 1997, cioè, in termini industriali, domani mattina. Resta quindi da liberalizzare soltanto il servizio in voce e la data al riguardo fissata dalla Comunità europea è il 1o gennaio 1998, cioè dopodomani mattina.
È mia opinione che la privatizzazione si gioverebbe molto di una liberalizzazione già effettuata, nel senso che verrebbe sgombrato il campo anche dalla preoccupazione di trasferire un monopolio dal pubblico al privato, una situazione che è certamente impropria. Comunque, la brevità dei termini che ho riferito, rende questa preoccupazione non particolarmente grave.
Una tematica di liberalizzazione, inoltre, non può prescindere anche da una condizione necessaria di par condicio e di reciprocità tra paesi. Tutti i paesi europei, infatti, procederanno alla liberalizzazione nel 1998 e se noi decidessimo di procedervi il 1o gennaio 1997 ci troveremmo esposti, in termini pesanti, all'ingresso - è prevedibile che sia così - di operatori europei sul nostro mercato senza la possibilità per noi di entrare nei loro: credo che questa sarebbe una scelta non saggia.
Quindi, la brevità dei tempi, ormai residui per la liberalizzazione, e la necessità di una reciprocità mi fanno ritenere che tutto sommato il tema in questione, pure importante e molto centrale, non possa costituire oggi una condizione per non privatizzare.
La privatizzazione deve perciò trovare una giustificazione in se stessa e questa è la scelta che ha fatto a suo tempo il sistema politico (Parlamento e Governo) del nostro paese. Mi sembra importante ricordare che la privatizzazione non l'ha inventata l'IRI; il fatto che il sistema delle telecomunicazioni debba essere privatizzato non l'ha deciso l'IRI, ma il Parlamento ed i governi che si sono via via succeduti da quando sono state approvate le varie leggi sulle privatizzazioni.
Per l'IRI, quindi, la privatizzazione è un fatto doppiamente necessario: sia perché essa dà attuazione ad una direttiva che l'istituto ha ricevuto dal suo azionista totalitario, non di riferimento, qual è il sistema Governo-Parlamento; sia perché non può non essere attuata finché il Parlamento ed il Governo non decidano di cambiare questa loro decisione. Solo in via secondaria la privatizzazione si impone all'IRI anche per ragioni finanziarie, perché noi abbiamo un doppio vincolo, ma anche questo nasce da una decisione del Parlamento.
Accanto alla scelta della privatizzazione fu compiuta, alcuni anni or sono, quella di trasformare l'IRI da ente pubblico in società per azioni. Questa trasformazione, che tra l'altro avvenne in tempi assai ristretti, ha comportato un fatto molto importante che si interconnette strettamente con tutte le problematiche della privatizzazione e con la problematica STET in particolare, essendo questa società - come rilevava il presidente - un gioiello che l'IRI possiede e che quindi deve privatizzare con estrema cura.
La connessione deriva dal fatto che con la trasformazione da ente pubblico a società per azioni l'IRI è passato da una situazione in cui non aveva un vincolo di coerenza di grandezza fra patrimonio e indebitamento ad una situazione di rispetto del codice civile, ed in particolare di rispetto degli equilibri che le normative impongono fra impegni di debito, patrimonio, capacità di rispondere ai creditori e così via.
Su questa base si è innestato poi un accordo tra il Governo italiano e la Comunità europea (lo si ricorda come l'accordo Andreatta-Van Miert) che, nell'ambito di una intesa più ampia che riguarda anche tematiche più ampie, ha fatto obbligo all'IRI di ridurre il proprio indebitamento in termini cosiddetti fisiologici entro il 31 dicembre di quest'anno, obiettivo possibile perché l'istituto ha fortemente ridotto l'indebitamento del suo consolidato, pari a circa 16 mila miliardi, con gli oltre 21 mila miliardi di privatizzazioni che sono stati realizzati negli ultimi anni. Ma il debito della società per azioni IRI è ancora molto lontano dal limite previsto dall'accordo Andreatta-Van Miert, che è un limite


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che si valuta in 5-6 mila miliardi ritenendo fisiologico il rapporto patrimonio-indebitamento di uno a uno. Siccome l'IRI ha oggi un patrimonio di circa 6 mila miliardi, se raggiungesse l'indebitamento della stessa cifra sarebbe in situazione di equilibrio, come l'Unione europea chiede.
Avendo oggi l'IRI un indebitamento netto di 16 mila miliardi, perché quello citato poco fa dal presidente di 22 mila miliardi è l'indebitamento lordo...

PRESIDENTE. L'ho specificato nella mia esposizione.

MICHELE TEDESCHI, Presidente dell'IRI. ...ma si deve dedurre il totale dei crediti che ha, ovviamente solo i crediti buoni, che sono i crediti verso lo Stato e verso le nostre controllate in attivo; avendo oggi - dicevo - un indebitamento netto di 16 mila miliardi, per arrivare a 6 mila ce ne vogliono 10 mila. Anche nella peggiore delle ipotesi - e qui colgo l'occasione per fare una prima puntatina sul valore di STET precisando che quello che ho citato la volta scorsa, di 11 mila miliardi, è il cosiddetto valore di carico, cioè il valore cui l'IRI nei suoi libri riporta il proprio possesso in STET -, quella in cui l'IRI fosse così poco avveduto da vendere STET al mero valore di carico, sarebbe comunque in grado di soddisfare con la sola rendita della STET questo vincolo.
È tuttavia molto importante tenere distinte queste due ragioni di obbligo: uno è l'obbligo che abbiamo noi amministratori di riportare in equilibrio i conti della società che è affidata alla nostra responsabilità, l'altro è l'obbligo che ci viene dal Parlamento che ha stabilito che vadano privatizzate alcune società tra cui c'è anche la STET. Questa è una prima tematica che è stata toccata in molti interventi e che mi sembra il fulcro dal quale gli altri temi discendono.
Un tema affrontato in molti interventi è quello della SEAT. Preciso che si è deciso di procedere intanto alla privatizzazione della SEAT perché il gruppo STET è fortemente integrato. Tenuto conto che nel mondo imprenditoriale esistono gruppi integrati e gruppi conglomerati, va rilevato che la STET è un gruppo integrato, cioè un gruppo in cui le varie componenti hanno una forte interconnessione industriale (non di tipo finanziario, ma di tipo operativo e industriale). Nell'ambito dell'integrazione che è presente in tutto il gruppo STET vi sono però parti più strettamente connesse, che si ritengono inscindibili (non solo da noi dell'IRI, ma anche dal Governo) e altre parti che sono interconnesse ma non così strettamente. La parte del settore editoriale e pubblicitario rientra in questa seconda categoria, mentre sarebbe certamente assurdo, per esempio, scindere l'attività di TIM da quella di Telecom.
In questo caso è stata tenuta presente una duplice esigenza (si ricorderà che la decisione di scindere SEAT è stata assunta in una riunione del comitato dei ministri per la privatizzazione che si è tenuta, se ricordo bene, il 6 agosto e che è stata poi formalmente comunicata all'IRI dal ministro del tesoro): da una parte rinviare alla primavera del 1997 la privatizzazione della STET, che in un primo tempo era prevista per l'autunno del 1996, e dall'altra evidenziare all'Unione europea che le difficoltà che impediscono di procedere alla privatizzazione della STET nel corso del 1996 non sono un segnale di diminuzione della volontà di privatizzazione. Quindi una prima, sia pure limitata, privatizzazione assume il significato di una conferma di questa volontà.
La privatizzazione della SEAT viene realizzata attraverso un'operazione di scissione perché la SEAT è in questo momento una divisione della STET e quindi, qualora la STET vendesse la SEAT, il ricavo andrebbe evidentemente alla STET e non all'IRI. Per poter portare il ricavo della cessione direttamente all'IRI è stato dunque necessario procedere ad una scissione preventiva rispetto alla vendita. Questa scissione preventiva, la cui procedura è già iniziata, tuttavia non ritarderà le operazioni di vendita perché - come in tutte le situazioni simili che si sono verificate nel nostro gruppo - non si è atteso il completamento della procedura di scissione


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per iniziare la procedura di vendita; le due procedure sono state portate avanti in parallelo, fermo restando che l'atto finale della vendita deve seguire l'atto definitivo di scissione.
Quindi anche per SEAT queste procedure sono state iniziate in parallelo: da una parte il consiglio della STET del 13 settembre ha approvato il progetto di scissione, che sarà poi approvato dall'assemblea il prossimo 28 ottobre, e dall'altra con un bando internazionale di sollecitazione di offerte è stata avviata la procedura di vendita.
Anche le modalità attraverso le quali verrà privatizzata la STET sono state definite dal comitato dei ministri per la privatizzazione, che in particolare ha deciso che la privatizzazione avverrà sul mercato borsistico con un nucleo stabile di azionisti di riferimento nel periodo - come ho detto prima - del febbraio-marzo 1997.
Dico questo perché alcune domande che mi avete rivolto sono relative all'interesse-paese, cioè al modo in cui si possa rendere compatibile con l'esigenza di privatizzare un'operazione che riguarda un settore strategico della nostra nazione (condivido questa espressione, anche se un po' démodé), in cui è bene che un paese moderno non perda il controllo almeno di alcuni aspetti di particolare rilievo.
Le nostre autorità di Governo ed il legislatore hanno scelto di garantire questa compatibilità mediante due strumenti. Il primo è costituito dal nucleo stabile degli azionisti, il secondo è rappresentato dalla golden share. Il nucleo in questione dovrà essere definito in base ai criteri che la legge riserva al Governo di indicare ma dovrebbe essere comunque costituito in modo tale da evitare la creazione di un contropotere di gestione sul mercato e con modalità che rendano questo nucleo stabile aperto anche a partecipanti stranieri, pur consentendo di mantenere nelle mani del paese il controllo della gestione. Nel fare ciò, bisognerà avere l'accortezza di rispettare le norme che anche in questa materia discendono dal nostro far parte dell'Unione europea. L'obiettivo va quindi raggiunto osservando una particolare attenzione nelle modalità operative.
La golden share è uno strumento che si affianca a quello del nucleo stabile degli azionisti. Il contenuto della stessa è definito dalla legge n. 474 del 1994, la quale indica le materie in cui la golden share può operare ed i poteri che conferisce: si tratta del gradimento all'ingresso di nuovi soci con partecipazioni rilevanti, del gradimento alla conclusione di patti parasociali, ovvero di accordi rilevanti tra i soci, del veto sull'assunzione di delibere di carattere straordinario (per esempio quelle relative allo scioglimento, al trasferimento, alla fusione, alla cessione, alla modifica dell'oggetto sociale), della nomina di rappresentanti nel consiglio di amministrazione (almeno uno e non più di un quarto del consiglio) e nel collegio sindacale.
Questo insieme di poteri non attiene alla gestione della società ma all'appartenenza proprietaria; essi, uniti al nucleo di azionisti stabili, rappresentano gli strumenti che possono rendere compatibili le esigenze che ho richiamato.
Per la SEAT il problema si pone in modo diverso. Una volta scissa dalla STET, questa società rappresenta un'attività industriale che non ha rilevanza di interesse-paese; è un'attività di business, senza connotazioni di altro tipo. Procederemmo quindi alla vendita della SEAT attraverso una gara internazionale, senza alcuna preclusione se non quella derivante ovviamente dalla serietà e dall'affidabilità dei partecipanti alla gara.
Un altro fascio di domande possono a mio avviso raggrupparsi intorno alle altre attività della STET che non rientrano nel core business, cioè esterne rispetto a Telecom e TIM: parliamo essenzialmente di Finsiel (il settore informatico del gruppo STET) e di Sirti ed Italtel (settori dell'ingegneria e della manifattura).
Per quanto riguarda queste due ultime società, stiamo considerando, anche per corrispondere ad un invito che il Governo ci ha rivolto con quella stessa decisione prima ricordata del 6 agosto scorso, due diversi ordini di problemi. Il primo riguarda l'eventuale convenienza di vendita


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separata (tipo SEAT, per intenderci) delle due società; il secondo attiene invece al diverso assetto di queste due società nell'ambito del gruppo STET ed alle possibili reciproche sinergie che possano o meno attivarsi proprio grazie a questo nuovo assetto.
Tutto ciò è oggetto di approfondimento proprio in queste settimane da parte nostra, della finanziaria STET e delle società interessate; l'approfondimento è tuttora in corso, non sono quindi in grado di darvi valutazioni su questo punto.
Per quanto riguarda Finsiel - che come dicevo prima rappresenta la parte informatica della STET - essa rientra nella problematica delle privatizzazioni sotto due diversi aspetti. Il primo riguarda i servizi che aziende o rami d'azienda della Finsiel svolgono in favore dell'amministrazione finanziaria dello Stato. Per queste attività il Governo aveva incaricato l'IRI di procedere ad una loro enucleazione dall'ambito della STET, onde assicurare il permanere nelle mani del Tesoro (sia pure attraverso l'IRI, che però è una società partecipata al cento per cento dal Tesoro stesso) di queste aziende o rami d'azienda.
Abbiamo svolto approfondimenti in materia ed il Governo sta tuttora riflettendo su questo punto, riservandosi di comunicarci quale sarà la missione specifica che queste aziende dovranno in futuro svolgere per l'amministrazione finanziaria. Siamo quindi in una fase di attesa di decisioni che riguardano non noi, ma l'amministrazione finanziaria che deve fare le sue scelte; dopo di che, decideremo a nostra volta cosa sia meglio fare per Finsiel. Occorre tener presente che questa società - a parte la fascia relativa al software per l'amministrazione finanziaria - opera sia sul fronte del software specifico delle telecomunicazioni sia su quello più generale di tipo industriale.
È chiaro che in caso di privatizzazione della Finsiel separata dalla STET, dovremmo mettere al sicuro la parte più strettamente connessa con le telecomunicazioni, che non è scindibile perché inserita in quel core business che, se sottratto alla STET, causerebbe un grave nocumento alla forza industriale del gruppo. C'è poi una parte di software generale rispetto alla quale si possono fare considerazioni diverse, soprattutto perché la STET sta avviando in forma preventiva al suo interno un progetto di ristrutturazione profonda della propria forza informatica, composta - oltre che dalla Finsiel - anche da altre realtà aziendali che meritano un primo riordino nell'ambito della STET.
Stiamo quindi vivendo una duplice attesa: da una parte, l'amministrazione finanziaria deve assumere decisioni che avranno una ricaduta sulle nostre scelte, dall'altra la STET sta riorganizzando il comparto.
Credo così di avere esaurito le tematiche generali. Passerei quindi a rispondere alle domande più specifiche, seguendo l'ordine in cui esse sono state formulate.
Penso di aver già risposto all'onorevole Floresta a proposito dei modelli di liberalizzazione. Per quanto riguarda la posizione dominante della STET sul mercato - tema ripreso da molti interventi - bisogna intendersi. Già oggi, parlare di mercato con riferimento solo ai confini nazionali credo sia improprio, anche se parliamo semplicemente della produzione di bottoni. Ma quando parliamo di servizi di telecomunicazione, il mercato da prendere in considerazione è almeno - sottolineo almeno - quello europeo: è mia personale convinzione che, nel settore delle telecomunicazioni, chi non ragiona in termini di mercato mondiale è destinato alla sconfitta.
La STET è certamente molto forte se la si considera all'interno delle nostre piccole mura di casa, ma se ci si sposta su un piano europeo, la stessa STET passa al quarto o quinto posto della classifica, il che non è assolutamente sufficiente per essere competitori di prima linea; se poi si prende in considerazione il mercato mondiale, la posizione risulta ancora più bassa. Questo è un tema che prescinde da chi sia il proprietario: sia che si tratti dell'IRI, come è avvenuto finora, sia che si tratti - come accadrà certamente dopo la privatizzazione - di un gruppo di soggetti


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privati che opereranno nel settore, la questione va inserita in un «discorso paese». Il nostro sistema delle telecomunicazioni deve essere, infatti, competitivo ed in grado di rispondere agli attacchi che certamente verranno (sono già cominciati) dagli operatori europei (British Telecom, France Telecom, Deutsche Telekom e così via) che sono già presenti tra noi; dobbiamo quindi essere in grado di difenderci dagli attacchi di questi operatori, ma per farlo bene dobbiamo essere in condizione di andare, per così dire, nelle loro case per fare ciò che essi fanno da noi. Ci stiamo attrezzando in tal senso: la STET sta operando in questi termini e sempre più dovrà farlo in futuro.
Pertanto, la tematica relativa alla dimensione della STET ed al suo ruolo dominante è, a mio avviso, un po' fuorviante, perché in realtà dobbiamo fare verso il mercato ciò che hanno fatto gli operatori degli altri paesi: occorre cioè facilitare il più possibile l'ingresso nel nostro sistema di ulteriori competitors, soprattutto nazionali, rispetto a Telecom e a TIM (mi sembra che ci si stia muovendo in questo senso), senza però indebolire in maniera impropria l'operatore nazionale, perché i primi a giovarsi di tale situazione sarebbero i competitori già forti sul mercato.
Per quanto riguarda gli aumenti delle tariffe, dalla prospettazione che ho citato nella precedente occasione risulta - le stesse cifre lo confermano - che essi sono stati largamente inferiori alle previsioni di crescita dell'inflazione; ciò significa che in realtà non si tratta di aumenti, ma di diminuzioni parziali, in quanto per una parte si copre con l'aumento della produttività. È evidente che, se i prezzi aumentano del 3 per cento e le tariffe dell'1,5 per cento, in termini reali queste ultime calano dell'1,5 per cento. Ritengo quindi che la prospettazione di un programma in questi termini sia effettivamente accettabile; questo, almeno, è il nostro punto di vista di operatori.
L'onorevole Floresta ed altri deputati si sono soffermati su discorsi relativi all'occupazione: in particolare, ci si lamenta e si teme giustamente che vadano diminuendo le grandezze occupazionali delle aziende del gruppo STET, sia della parte relativa ai servizi sia della parte manifattura e impiantistica; questo è vero e purtroppo non può che essere così, perché il fenomeno è del tutto scisso dagli aspetti relativi alla privatizzazione e alla liberalizzazione. Si tratta di fenomeni legati alla tecnologia, ed in particolare alla sempre più rapida influenza che essa esercita in maniera pesantissima nella parte della manifattura; ma questa influenza è sempre più presente anche nella parte dell'impiantistica, ingegneria e servizi. Guai se commettessimo l'errore di rendere le nostre aziende inefficienti caricandole di un surplus occupazionale improprio.
Il gruppo STET sta comunque facendo la sua parte, soprattutto con il grosso impegno che sta mettendo (uso il termine STET in maniera sintetica per indicare le varie componenti) in termini di sviluppo di altri servizi. Qualcuno ha sottolineato in chiave piuttosto negativa il fatto che ci stiamo impegnando su altri servizi con un impeto particolarmente attivo; tuttavia, lo facciamo non solo perché è doveroso per chi opera nel settore delle telecomunicazioni seguire gli sviluppi della tecnologia, ma anche perché in questo modo si creano altre occasioni di lavoro. Questa è, a mio avviso, la via giusta: non mantenere carichi occupazionali impropri sulle società, ma cercare semmai di sviluppare nuovi business che siano in grado di creare occupazione. Il discorso, però, non può essere portato avanti soltanto nell'ambito della singola società, in quanto lo si fa meglio a livello di gruppo e meglio ancora a livello di paese. Questo dovrebbe essere (e per la verità mi sembra che lo sia) l'impegno di tutti.
Per quanto concerne l'indebitamento netto dell'IRI di 16 mila miliardi, credo di aver già affrontato la questione.
Quella dei reali valori è un'altra tematica piuttosto ampia, su cui si è soffermato anche il presidente Stajano: ho già ricordato che il valore della STET (mi riferisco alla quota dell'IRI, pari al 61 per cento) è di 11 mila miliardi, inteso come valore di carico. Se poi si considera il valore del titolo,


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per come è attualmente quotato in borsa, non si va molto al di sopra di tale valore: oggi, sulla base della quotazione di borsa, ci si aggira tra gli 11.500 e i 12 mila miliardi (si tratta, quindi, di circa mille miliardi in più).
Il presidente Stajano faceva riferimento ad una valutazione effettuata nel 1994 dalla GP Morgan e dalla SIM Albertini su richiesta dell'IRI, da cui risultava un valore molto più elevato dell'azione STET. Si trattava, per la verità, di una valutazione effettuata per fini diversi dalla cessione, ossia perché si dovevano determinare i concambi azionari al momento della fusione di ASST, Telespazio, Italcable e così via. Occorre tenere presente che quando si effettua una valutazione per concambi si usano criteri diversi.

PRESIDENTE. In compenso, per la STET il mercato è molto migliorato.

MICHELE TEDESCHI, Presidente dell'IRI. Ricordo che la valutazione della GP Morgan (la cito a memoria, per cui non vorrei sbagliare, ma i miei colleghi presenti potranno eventualmente correggermi) si collocava tra le 6.500 e le 7.000 lire.

PRESIDENTE. 7.000.

MICHELE TEDESCHI, Presidente dell'IRI. Vi era un range tra 6.500 e 7.000. In quel momento - lo ricordo bene perché ero alla STET - la stessa STET era quotata sul mercato intorno alle 6.300 lire. Quindi, come si può constatare, la valutazione della GP Morgan era abbastanza vicina alla quotazione di mercato.

PRESIDENTE. Se determiniamo il valore di società come la STET sulla base delle quotazioni in borsa...

MICHELE TEDESCHI, Presidente dell'IRI. Occorre però considerare, quando le società sono quotate, che la quotazione in borsa è uno dei valori da tenere necessariamente presenti. Oggi la STET è quotata tra le 4.800 e le 5.000 lire ed è evidente che tutti auspichiamo (più di tutti se lo augura il proprietario, che deve cercare di ricavare il più possibile dalla vendita) che essa riprenda ad essere apprezzata sui mercati in termini di maggior valore.
Al di là di queste considerazioni, che mi sembrano di buon senso, ritengo che l'intera storia dell'IRI come soggetto privatizzatore dimostri nei fatti che non abbiamo mai svenduto nulla: non ci passa neppure per l'anticamera del cervello di vendere un nostro asset a valori che non siano quelli reali. A tal fine, abbiamo già provveduto a nominare le società di valutazione, come del resto la legge prevede, le quali al momento opportuno determineranno il valore del nostro asset patrimoniale. Faremo inoltre tutto ciò che sarà necessario affinché la STET, la quale - come rilevava il presidente - è un gioiello dell'IRI, non venga venduta a valori impropri.
Il problema si pone esattamente negli stessi termini anche per la SEAT, per la quale abbiamo già nominato i valutatori. Girano tanti valori, perché le società che operano sul mercato delle privatizzazioni si esercitano ogni tanto a fare delle valutazioni che sono di tipo informale. Ce ne sono state diverse e credo di avere qui qualche dato in proposito. Per esempio, la GP Morgan, quando fece la sua già richiamata valutazione nel 1994, per la SEAT indicò un valore di 5 mila miliardi. Ma più di recente, la Morgan Stanley - che, come sapete, è il nostro advisor finanziario per la cessione dell'intera STET - ha valutato SEAT 3 mila miliardi. Anche l'Euromobiliare, che è l'altro nostro advisor finanziario, ha indicato una valutazione di 3 mila miliardi. La Lehman Brothers indicò nel luglio scorso un valore di 3.350 miliardi. La Merrill Lynch prima del mese di settembre aveva indicato un valore coerente con quello citato finora, cioè 3.300 miliardi, poi è uscita una valutazione più recente, che a me sembra molto strana (ma non ho fatto ancora in tempo a vedere il contenuto), che indica un valore di 9.600 miliardi. Però, ripeto, sono esercitazioni.


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PRESIDENTE. L'advisor è la Lehman Brothers, una delle società che aveva espresso valori minori.

MICHELE TEDESCHI, Presidente dell'IRI. No, quella di cui parlo adesso è la Merrill Lynch.

PRESIDENTE. L'advisor della SEAT è la Lehman Brothers, una di quelle che ha indicato valori più bassi.

MICHELE TEDESCHI, Presidente dell'IRI. Aveva indicato 3.300 miliardi. È un po' più alta delle altre. Ma l'aveva indicata prima di essere nominata advisor dell'IRI.

PRESIDENTE. Appunto, poi è stata nominata.

MICHELE TEDESCHI, Presidente dell'IRI. Sì, abbiamo indetto una gara e l'ha vinta. Comunque, è un valore più alto di altri, perché la Morgan Stanley ha indicato 3 mila miliardi, così come l'Euromobiliare. Però, ripeto, sono valori che non possiamo prendere né prenderemo come i valori veri della SEAT. Il valore vero ce lo darà la valutazione che abbiamo disposto noi e che sarà fatta al momento opportuno. Su quella ci baseremo.
L'onorevole Floresta chiedeva se il partly pay tenga conto degli oneri finanziari. Ne tiene conto in termini di prezzo, cioè si fissa il prezzo delle azioni nelle varie tranche, in modo da tener conto del differimento. Comunque, come ho detto l'altra volta, non esiste ancora la regolamentazione del partly paid e fino a quando non c'è il nostro resta un auspicio.
Per quel che riguarda la domanda dell'onorevole Panattoni sui rapporti di reciprocità tra i vari paesi europei, ho già in parte risposto, ma posso aggiungere qualcosa. La situazione per quel che riguarda la privatizzazione - parlo di questa, perché nella liberalizzazione siamo tutti nella stessa situazione - è un po' diversa, nel senso che noi partiamo nel privatizzare la STET da una quota di possesso del 61 per cento, il che vuol dire che sul mercato azionario c'è già un 39 per cento in mano a privati. Invece, sia i francesi sia i tedeschi, partono da un possesso del 100 per cento e quindi possono procedere per tranche successive. Sapete che Deutche Telekom prevede una prima tranche di privatizzazione intorno al prossimo novembre e anche France Telecom, stando a quel che si dice, immagina una prima tranche da privatizzare nella tarda primavera o nei primi mesi estivi del 1997. È un primo dato di differenziazione tra noi e i nostri partners europei. Un secondo elemento di differenziazione è che sia in Francia sia in Germania - stando a quanto riportato, in maniera peraltro affidabile - fino ad ora non prevedono di scendere sotto il 51 per cento nei loro rispettivi possessi: sia per France Telecom sia per Deutche Telekom si prevede che la maggioranza resti in mano pubblica, almeno stando a quanto fino ad oggi è dato sapere.

EDUARDO BRUNO. È auspicabile seguire questo esempio anche in Italia. Si fa tanto riferimento alla Germania...!

MICHELE TEDESCHI, Presidente dell'IRI. Questo non spetta all'IRI.
Un'altra tematica ad ampio spettro che forse avevo tralasciato è quella del rapporto telecomunicazioni-televisione e quindi anche il ruolo della Stream, che è stato richiamato in più interventi. Intanto, in termini generali, chi fa telecomunicazioni fa telecomunicazioni e chi fa televisione fa televisione, almeno come business di fondo. Sapete peraltro che in alcuni paesi sono state abbattute queste barriere (soprattutto negli Stati Uniti) ed è stato consentito agli operatori di telecomunicazione di fare televisione e viceversa. Questo dipende da una scelta-paese: anche da noi si tratterà di decidere - spetterà al Parlamento e al Governo - che tipo di linea seguire. Ricordo, per esempio, che in Gran Bretagna si è deciso per un certo numero di anni di impedire all'operatore di telecomunicazioni di fare TV e di consentire invece agli operatori di televisione di fare telecomunicazioni; questo è avvenuto per un certo tempo, se non ricordo male sette o nove anni. È una scelta di politica industriale e ogni paese deve fare la sua.


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Dal punto di vista industriale, va sottolineato un aspetto che è nei fatti e che nessuno può immaginare di ostacolare se non vuol recare gravi danni alla propria economia, al proprio paese: queste tecnologie, non solo quella televisiva e quella delle telecomunicazioni ma anche quella dell'informatica, vanno fatalmente ad intrecciarsi in maniera sempre più stretta in quella realtà - che fino a qualche anno fa era virtuale e adesso comincia a non esserlo più - che è la multimedialità, in particolare quella interattiva. Questo è un altro aspetto che dobbiamo tenere tutti presente. Noi l'abbiamo tenuto presente in maniera molto viva: siamo stati tra i primi in Europa a muoverci in questa direzione proprio con la Stream. Voglio ribadire, perché sono rimasto abbastanza sbalordito nel sentirlo, che la Stream non fa contenuti: non può fare e non farà mai contenuti. La Stream è un service provider, cioè un operatore che si colloca fra l'utente e chi realizza i contenuti, in modo da consentire ai contenuti di viaggiare sulla rete telefonica e di arrivare nelle case. È un operatore di servizio; è un'interfaccia tra il produttore del film, dello spettacolo, dello sport e l'utente. Stream fa questo e lo fa molto bene; sta andando avanti con molta professionalità, come era indubbio che facesse. L'unico nostro auspicio come operatori di telecomunicazioni è che di Stream ne nascano tante, perché Stream non è un operatore che deve agire in esclusiva, né le abbiamo dato alcuna esclusiva. Più Stream nascono, più il business si sviluppa e più va bene per tutti, per il paese e per gli operatori.
L'onorevole Mammola faceva una specifica annotazione sulla questione SEAT, relativamente alla possibilità che Telecom sia un suo acquirente. No, è escluso che Telecom sia un acquirente di SEAT. Certamente, ci sono problemi di contratti da definire, perché è chiaro che la SEAT opera per conto di Telecom e quindi questo aspetto dovrà essere esaminato, ma escludiamo che Telecom si presenti come acquirente.
Per rispondere all'onorevole Angeloni e anche ad altri deputati, preciso innanzitutto che l'investimento sul cablaggio ammonta a 7 mila miliardi non a 37 mila. Un equivoco che forse bisogna chiarire è che il cablaggio non viene realizzato a fini televisivi, innanzitutto perché non sappiamo ancora - non saranno né la Telecom né l'IRI a deciderlo, ma il paese, il Parlamento e il Governo - se l'operatore di telecomunicazioni potrà o non potrà fare televisione. Telecom fa il cablaggio per esigenze di telefonia, non di televisione, perché la larga banda in futuro è assolutamente necessaria per assicurare i servizi di telefonia avanzata che gli utenti, specialmente quelli ad altissimo e complesso traffico, hanno diritto di avere. Quindi, Telecom avrebbe comunque dovuto fare il cablaggio come a suo tempo fece altre cose (la teleselezione, la commutazione elettronica, e così via): è un'esigenza della telefonia. Evidentemente è anche un'opportunità, perché il cablaggio va comunque fatto per la telefonia, ma può servire per realizzare in maniera eccellente i servizi multimediali di cui parlavo in precedenza. Quindi, siamo ancora in campo non televisivo propriamente detto, ma di multimedialità, cioè di utilizzo di tecnologie differenti tra loro interconnesse.

GIORGIO PANATTONI. Se non vi fosse il multimediale, lo farebbe ugualmente?

MICHELE TEDESCHI, Presidente dell'IRI. Sì, sarebbe costretta a farlo ugualmente per realizzare la telefonia ad alto livello. Se in futuro vogliamo offrire servizi telefonici di livello concorrente con British Telecom e France Telecom, dobbiamo disporre della larga banda, altrimenti non riusciremo a farlo in maniera eccellente.
Un'ulteriore domanda dell'onorevole Angeloni riguardava Stream, argomento sul quale ho già risposto.
Quanto ad eventuali contrasti tra IRI e STET su SEAT, assicuro che non vi sono contrasti di nessun genere; vi sono ovviamente confronti di opinioni su modalità tecniche ed operative, ma sulle decisioni che sono state finora assunte, sul programma e sul timing operativo il management STET è completamente in sintonia


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con l'IRI; in tal modo rispondo anche alla domanda se il dottor Agnes, presidente della STET, ed il dottor Pascale, amministratore delegato, siano contrari alla privatizzazione: mi sembra che anche in questo caso le decisioni che abbiamo assunto fino ad oggi insieme smentiscano queste chiacchiere.
Per quanto riguarda Cuba (argomento molto specifico su cui forse potrà darvi maggiori notizie il dottor Pascale, che se non erro avete intenzione di ascoltare), si tratta di una partecipazione che è stata presa insieme ad una compagnia messicana sull'operatore di telefonia fissa di Cuba per il 49 per cento, in quanto il 51 per cento è in mano al governo cubano. In termini generali, riteniamo molto positivo che la STET proceda a coltivare la strada difficile ed impervia degli accordi di tipo generale.
Colgo l'occasione per rispondere in merito all'accordo con l'IBM: tale accordo è ancora in corso di trattativa, anche se ha cambiato in parte obiettivo perché l'IBM, negli ultimi due anni, ha modificato i suoi obiettivi; come si ricorderà, per un certo tempo aveva manifestato l'intenzione di entrare anche nella telefonia, obiettivo che in questo momento sembra accantonato. Vi è, comunque, tutta un'attività di sinergizzazione e di coordinamento nell'informatica propriamente detta e la STET è tuttora in trattativa con l'IBM su quest'aspetto.
Al di là di questi accordi di carattere generale, che pure vanno tentati e coltivati, vi è già una presenza molto ampia di STET come operatore in partecipazione, in qualche caso maggioritaria, in varie parti del mondo, in particolare nel Centro e nel Sudamerica. L'intervento sulla telefonia di Cuba rientra in questa strategia generale che vede STET presente in Bolivia, Argentina (ormai da molti anni), Cile e vari altri paesi, con partecipazioni anche a sistemi di trasmissione sulle zone dell'America latina centrale e meridionale. Un'altra area strategica dello stesso tipo è per la STET l'Europa dell'est: conoscete i tentativi di ampliare la presenza in Russia, e così via.
Quanto al coinvolgimento dell'IRI in Tangentopoli, fino a questo momento mi sembra che riguardi solo un manager, il responsabile della Oto Melara, un'azienda che abbiamo rilevato qualche tempo fa dall'EFIM. Comunque, mi pare che proprio in questi giorni verranno disposti gli arresti domiciliari, per cui mi auguro che la vicenda si chiarisca in tempi molto rapidi.

VINCENZO BERARDINO ANGELONI. Mi riferivo a Mandelli e Brunelli della Sirti.

PRESIDENTE. Non credo che possiamo aprire una discussione su quest'argomento specifico, che è oggetto di precisi atti di sindacato ispettivo.

MICHELE TEDESCHI, Presidente dell'IRI. Per quanto riguarda la ILTE e la domanda relativa al motivo per cui si vende non solo SEAT ma anche MMP, vorrei far presente che per brevità noi ci riferiamo alla SEAT, ma in realtà la decisione è stata quella di cedere il settore pubblicitario ed editoriale della STET, il che significa che cediamo tutte le società che rientrano in questo comparto: SEAT è la maggiore, ma vi sono anche la MCS, la MMP, c'è la ILTE, vi sono altre società minori. Per quanto riguarda la ILTE, vorrei far presente che la sua privatizzazione è già iniziata: un industriale privato ha acquistato il 23 per cento della società e, entro il 30 giugno 1997, dovrà arrivare al 49 per cento. Dopo di che, la partita sarà in mano alla STET, nel senso che essa potrà esercitare un put, cioè chiedere che il privato compri anche il suo 51 per cento, una decisione per assumere la quale ovviamente STET è del tutto libera. In contropartita è chiaro che l'acquirente ha un call, cioè può a sua volta chiedere che la STET si riprenda il suo 49 per cento. Non mi pare che la privatizzazione del settore vada ad interferire in maniera negativa su questi patti, nel senso che i nuovi proprietari di SEAT a giugno del 1997, come oggi è per STET, avranno da assumere la decisione se esercitare il proprio


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put o far esercitare all'acquirente il proprio call.
Alla domanda dell'onorevole Guarino sulle dimensioni mondiali e continentali mi sembra di aver già risposto. Quanto all'occupazione ed ai modelli tedesco e francese, ho indicato le diversità che caratterizzano anche dal punto di vista proprietario le varie situazioni. Anche sull'interesse-paese ho già svolto alcune considerazioni, ma mi è sembrato che l'onorevole Guarino ponesse la questione in un'ottica diversa.
Quanto al DEC, debbo intanto far presente che non è stata assunta alcuna decisione, trattandosi di una tematica ancora in corso di approfondimento, anche se certamente non drammatica: intendo dire che il DEC è un prolungamento del cordless nell'ambito di due o tre chilometri, ma con forti limitazioni che lo rendono completamente diverso dal telefono mobile, perché per esempio non è utilizzabile in ambienti chiusi. Comunque, vi sono, possono esservi delle interferenze e per questo la STET non ha ancora assunto alcuna decisione, sta approfondendo il tema. Quanto agli investimenti, essi sono tutto sommato rispettabili ma non enormi, in quanto dovrebbe trattarsi di 1.400 miliardi in tre anni.
Il presidente Stajano si è soffermato sul premio di maggioranza. Il premio di maggioranza, per la STET, si porrà nei limiti in cui si può porre quando si vende un'azienda sul mercato borsistico. Esso scatta in modo pesante quando si vende a una controparte singola (e ciò accadrà per la SEAT come è accaduto per le nostre precedenti cessioni). In caso di vendita sul mercato, invece, può avere un peso - e lo avrà certamente nelle nostre valutazioni -, ma un peso limitato per chi comprerà il cosiddetto nocciolo duro: gli acquirenti del «nocciolo duro» dovranno pagare qualcosa in più. La storia delle privatizzazioni avvenute in Europa e nel mondo ci dice che, quando si vende sul mercato, vi è sì una tematica di maggioranza, ma in maniera limitata.

PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Tedeschi, anche per essersi trattenuto in Commissione fino a quest'ora.

La seduta termina alle 13,50.