IV COMMISSIONE
DIFESA

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 22 settembre 1999


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La seduta comincia alle 16.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Se non vi sono obiezioni, rimane stabilito che la pubblicità dei lavori sia assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione dei componenti della Commissione per la prevenzione e lo studio del fenomeno del «nonnismo» nell'ambito dello stato maggiore dell'esercito.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva su episodi di violenza e qualità della vita nelle caserme, l'audizione dei componenti della Commissione per la prevenzione e lo studio del fenomeno del «nonnismo» nell'ambito dello stato maggiore dell'esercito. Sono presenti all'incontro il professor Vittorino Andreoli, psichiatra; il professor Fabrizio Battistelli, sociologo militare; la professoressa Sara Bentivegna, sociologa; il professor Paolo Crepet, psicologo e sociologo; la professoressa Raffaella Guglielmotti Leone, psicologa e il professor Giovan Battista Sgritta, sociologo, che ringrazio per aver risposto al nostro invito.
Oggi si avvia l'indagine conoscitiva sugli episodi di violenza e sulla qualità della vita nelle caserme italiane, deliberata dalla nostra Commissione, con l'audizione dei componenti laici - nel senso che provengono dalla socieà civile - della commissione istituita nell'ambito dello stato maggiore dell'esercito, la cui relazione conclusiva ci è stata trasmessa dal generale Cervoni; in successivi incontri acquisiremo le opinioni delle autorità militari.
Nel ringraziarvi per la qualificata partecipazione, do la parola al professor Andreoli perché deve rientrare immediatamente a Verona.

VITTORINO ANDREOLI, Psichiatra. Signor presidente, onorevoli deputati, come psichiatra mi occupo dei problemi giovanili ed ho apprezzato l'invito dello stato maggiore dell'esercito di far parte di una commissione di studio sul nonnismo, dal momento che questa analisi rientra tra le osservazioni sul comportamento giovanile in genere e su quello estremo in particolare. La commissione, composta da psichiatri, sociologi e psicologi, ha affrontato diverse sfaccettature della tematica dividendosi i compiti. Personalmente, mi sono innanzitutto domandato se, nei casi di nonnismo dichiarato e grave, fosse possibile intravedere tra i protagonisti - c'è sempre una vittima e un gruppo di aggressori, non è mai un rapporto vittima-aggressore - una patologia psichiatrica. In altre parole la domanda che mi sono posto era la seguente: questi eventi accadono perché l'aggressore (o gli aggressori) e la vittima hanno caratteristiche patologiche? Si può dire cioè che nel nonnismo vi sia una componente «malata» (lo dico tra virgolette)? Premesso che questo primo interrogativo, tipicamente psichiatrico, ci ha spinti ad esaminare una serie di casi di nonnismo verificatisi in quel periodo, dandoci la possibilità di valutare clinicamente sia chi aveva subìto l'evento, sia chi l'aveva provocato, abbiamo concluso che il fenomeno non appartiene alla patologia psichiatrica, nel senso che la valutazione dei soggetti esclude il loro inserimento in categorie psichiatriche. Naturalmente


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ciò non significa che non vi siano alcune caratteristiche che rendono una vittima particolarmente designata: per esempio, il fatto che la vittima sia una persona poco sveglia, non grandemente dotata o che abbia una personalità povera per cui diventa facilmente zimbello; oppure la presenza di atteggiamenti perfezionistici per cui il soggetto si considera speciale e come tale viene «preso di mira», nel senso che ha più probabilità di essere colpito. Al di là di questi aspetti che, ripeto, costituiscono delle variazioni all'interno della normalità, dobbiamo escludere che si tratta di un vero e proprio fenomeno di patologia.
Il nonnismo riguarda tutti i militari ed è legato ad una sorta di istituzione, definiamola una struttura all'interno della caserma: questo è il punto da valutare attentamente, perché se si vuole eliminare il nonnismo non bisogna curare o eliminare il debole o il malato. Anzi, sotto questo profilo il sistema militare funziona bene nel senso che espelle le personalità fragili e qualche volta malate ammesse al servizio militare.
Dunque, l'attenzione va concentrata sulle reclute e sulla struttura che si forma all'interno; i piccoli gruppi rivestono grande importanza perché nell'anonimato compiono gesta definite eroiche: insomma comandare ad una recluta di «pompare», cioè fare le flessioni negli urinatoi, dà un senso di potenza molto forte. Non solo, si crea un circolo vizioso in base al quale chi inizia il servizio militare subisce ma ha la prospettiva di far subire a sua volta; è un sistema che autoproduce ed autoprogramma tant'è che chi ha subìto nutre a sua volta l'enorme desiderio di infliggere. E tutto questo senso del potere in un sistema gerarchico come è quello del servizio militare, è un ulteriore stimolo.
Premesso che il nonnismo è un sistema che si autoproduce, non va sottovalutato che dal punto di vista dei militari quasi mai si sente dire che «bisogna eliminare il fenomeno», semmai vi è la tendenza a distinguere tra nonnismo buono e nonnismo cattivo - questo è l'aspetto «piacevole», ossia si subisce il fatto, ma quando lo si impone ad altri ci si sente addirittura gratificati e compensati da quello che si è subìto -. Ciò, in realtà, è l'indice del radicamento del sistema, per cui non si potrà fare affidamento sui giovani per eliminare il fenomeno dal momento che, lo ribadisco, il sistema si autoproduce. Sotto certi aspetti, inoltre, il nonnismo è accettato dalle gerarchie militari per i vantaggi secondari che ne derivano: la camerata in mano ai nonni funziona ed è pulita grazie al lavoro svolto dalle reclute, le docce sono usate in maniera regolare e via dicendo.
L'impressione è che sia possibile rompere questo circuito che nei racconti di chi si è congedato è un episodio, ma perché ciò avvenga è necessaria una presa di posizione molto forte da parte delle gerarchie militari.
La mia conclusione è che sia possibile estirpare il nonnismo purché lo si voglia eliminare, non mitigare. Confesso di essere spesso poco entusiasta del lavoro delle commissioni extra parlamentari, ma la nostra ha lavorato intensamente ed il nostro impegno si è concretizzato in una direttiva dello stato maggiore che in parte è stata applicata. Durante lo svolgimento del compito affidatoci abbiamo assistito alla modificazione del fenomeno, ma per incidere veramente si devono colpire gli ufficiali che non prestano ad esso un'attenzione sufficiente.
Gli obiettivi da porsi sono due, i giovani e la struttura militare che non deve limitarsi ad una accettazione più o meno silenziosa, ma al contrario deve esercitare una decisa opposizione. Grazie.

GIOVAN BATTISTA SGRITTA, Sociologo. Signor presidente, mi limiterò a specificare alcuni aspetti trattati dal collega Andreoli. Inizialmente il lavoro della nostra commissione si è orientato su due ipotesi, la prima era relativa alla psicopatologia, alla quale ha fatto riferimento il collega, consistente nell'accertare se esistessero dei dati psicopatologici clinicamente rilevanti che facessero pensare al fenomeno del nonnismo chiuso in quella dimensione. L'altra ipotesi era la nostra -


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con un certo narcisismo professionale ciascuno di noi ha difeso le posizioni disciplinari di provenienza - secondo cui il nonnismo è un fatto sociale con caratteristiche distinte e non presenta, se non casualmente, elementi patologici collegati (come ha anticipato il collega) alla presenza di tratti somatici, caratteristiche culturali e sociali tali da creare una sorta di designazione della vittima.
Ripeto, ci siamo mossi lungo due binari distinti giungendo però ad una conclusione univoca, ma dalle caratteristiche abbastanza singolari e particolari dato che siamo riusciti a combinare una relazione che integra l'aspetto sociale della tematica con i risvolti psicologici trattati dal professor Andreoli.
Perché siamo partiti dall'ipotesi che il nonnismo fosse un fenomeno sociale e cosa significa questo? Se un fatto è sociale vuol dire che viene prima del soggetto che vi è coinvolto, nel senso che non si crea con la sua presenza o la sua afferenza al corpo o al reparto in questo caso; significa che è qualcosa che troviamo in situazioni molto diverse, cioè reparti diversi, con caratteristiche diverse perché nell'esercito vi sono tantissimi reparti logisticamente, operativamente e tradizionalmente differenti; significa soprattutto che il fenomeno è agganciato ad elementi che hanno un riconosciuto valore sociale. Ma in questo caso qual è l'elemento che ha un riconosciuto valore sociale? È l'anzianità o se volete l'autorità, che in questo caso viene tradotta e specificata in termini di anzianità che, com'è noto, fa grado all'interno della forza militare.
Il nonnismo non si basa sulle caratteristiche fisiche, culturali o altro del soggetto, nel senso che non si rivolge agli alti o ai bassi, ai magri o ai grassi, agli incolti o ai colti, ai meridionali o ai settentrionali; può emergere casualmente in qualunque reparto, ma sistematicamente riscontriamo che il fenomeno corre lungo la linea dell'anzianità. C'è nonnismo se esiste la dimensione specifica dell'autorità e dell'anzianità, diversamente si sconfina in concetti, in patologie, in aspetti e in fenomeni contingenti che possono esternarsi in forme similari al nonnismo come gli atti delinquenziali, il bullismo ed altre manifestazioni riscontrabili in qualunque contesto sociale.
L'altro elemento caratterizzante è che non si tratta di un fenomeno duale nel senso di una vittima e un aggressore, ma un gruppo di aggressori - al cui interno vi sono vari protagonismi - e una vittima, che può essere o meno designata come ha riferito il professor Andreoli. Il gruppo di aggressori è formato da coloro che hanno l'anzianità più elevata, le vittime invece da coloro che hanno l'anzianità meno elevata. Queste sono le caratteristiche del nonnismo, se vogliamo dare una definizione precisa del fenomeno e non scantonare, ripeto, in manifestazioni o fenomeni che possono anche avere aspetti molto simili (i giornali hanno fatto di ogni erba un fascio, come è stato rilevato quasi quotidianamente) ma sono del tutto distinti. Parliamo del nonnismo in questa accezione, in questa precisa dimensione.
Da tale punto di vista il nonnismo rientra in fenomeni rituali che si riscontrano in gran parte delle organizzazioni sociali e che possono essere esaltati come lo sono il principio dell'anzianità e il principio della gerarchia o dell'autorità nell'ambito dell'organizzazione militare. Si evidenzia dunque qualche aspetto specifico rispetto ad altre organizzazioni, però l'elemento ritualistico solidifica la solidarietà all'interno di tutte le organizzazioni ed è un elemento che riscontriamo dovunque e non è caratteristico soltanto dell'organizzazione militare. Basti pensare alla liturgia nell'ambito ecclesiale che - senza fare paragoni blasfemi - svolge funzioni che sono assolutamente parallele ed analoghe a queste che riscontriamo nell'ambito militare.
In questo caso, però, i rituali del nonnismo (che vengono tramandati fuori della vita militare da padre in figlio, quindi le persone arrivano, per così dire, già «sapute» rispetto al quadro dei fenomeni nonnistici, che, anche se sono diversi nei vari luoghi, rispondono tutti agli stessi criteri) non svolgono soltanto una funzione


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di solidarietà (c'è anche questo aspetto, che l'accomuna ad altre forme organizzative), ma anche altre funzioni.
Vengo ora alle considerazioni che faceva prima il collega Andreoli, e cioè che questo ritualismo di fatto svolge anche una funzione positiva. Non perché, come qualcuno ha detto, si sostituisce alla gerarchia militare, ma perché la innesta in un certo senso, è una cisti all'interno dell'organizzazione militare, la prolunga funzionalmente, cioè svolge le stesse funzioni, che peraltro vengono rafforzate in condizioni particolari, quali la mancanza di presenza della linea di comando in caserma dopo una certa ora.
È indubbio che aver tolto quell'appannaggio che veniva dato alle forze militari e che consentiva a molti di loro, se non a tutti, a quelli sposati sicuramente (scusate se entro nel banale, ma questi sono aspetti tutt'altro che banali rispetto alle riflessioni che politicamente vanno fatte), di rimanere in caserma, e quindi avere creato una situazione per la quale le caserme di svuotano dopo le 16 o le 16,30 ha alimentato la funzione surrogante della linea di autorità che passa per il nonnismo. Ciò favorisce - come osservava il collega Andreoli - l'organizzazione e soprattutto introduce un elemento di ordine, sia pure fortemente arbitrario - questo va sottolineato - e quindi intollerabile, all'interno di una situazione in cui la qualità della vita è scarsa.
Nel corso delle nostre visite nei reparti abbiamo riscontrato che la qualità della vita non è mai a livello degli standard previsti dalle correnti disposizioni: è sempre ad un livello molto più basso. Questo vale per le docce, per le camerate, per i letti, per gli armadietti, per la mensa; insomma, per moltissimi servizi. Allora è chiaro che in una situazione di penuria si crea un clima in cui questi fenomeni vengono alimentati, prosperano, si radicano, si sviluppano. È un dato di fatto, questo, tanto è vero che la commissione ad un certo punto ha spostato, senza che ciò fosse previsto dal mandato che ha ricevuto, l'ottica di analisi, cioè dalla parte si è rivolta al tutto: il nonnismo era un aspetto antipaticissimo, violento, brutale, insopportabile quanto volete, ma era un aspetto di un quadro fenomenico molto più ampio che riguardava la qualità della vita in caserma.

PRESIDENTE. Ed infatti è l'oggetto della nostra indagine.

GIOVAN BATTISTA SGRITTA, Sociologo. È questo l'aspetto più rilevante. Tanto è vero che tra le proposte conclusive allegate alla nostra relazione vi è quella dell'attivazione di un osservatorio permanente sulla qualità della vita e vi posso dare l'annuncio che tale osservatorio è partito: abbiamo già fatto 600 rilevazioni nelle strutture militari sparse in tutta Italia, continueremo a svolgere questa preindagine che ne prevede 1600, abbiamo già cominciato l'esame dei primi 600 già elaborati ed inseriti nei computer e stiamo cercando di scandagliare il fenomeno del nonnismo come aspetto specifico ma all'interno del quadro costituito dalla qualità della vita nelle caserme, che a me sembra fondamentale in particolare nella prospettiva di un cambiamento dei sistemi di reclutamento.
Un'altra considerazione riguarda il fatto che se il nonnismo ha una versione positiva: è quella cui accennava il collega Andreoli e che io ho ripreso poco fa, consistente nell'esercizio di funzioni vicarie, sostitutive di qualche altra funzione. In effetti questa è una faccia della medaglia, ma l'altra faccia è che il nonnismo può avere effetti disfunzionali, può diventare un'escrescenza all'interno del corpo e quindi assumere funzioni patologiche. Può in sostanza diventare funzione alternativa anziché prolungamento funzionale. Allora non è un caso che lo stato maggiore dell'esercito attraverso una serie di disposizioni ha istituito prima gli organi di rappresentanza, ha poi creato la figura dell'ufficiale-consigliere ed ha infine emanato norme molto rigide sulla trasparenza. Si tratta di tre aspetti che dovrebbero funzionare come antidoti alla possibilità che il nonnismo diventi un'escrescenza anziché una funzione che prolunga le esigenze della vita militare.


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Ebbene, dovunque siamo andati noi abbiamo riscontrato - ed è questo l'unico caso in cui c'è una sistematicità di caratteristiche - la stessa insufficienza, carenza, non applicazione di questi aspetti. Le trasparenze sono violate sistematicamente e quindi di fatto c'è connivenza con chi antepone l'anzianità agli oneri, e di fatto la catena di comando finisce per avallare questa possibilità perché in effetti rende tutto molto più smooth, sciolto, facile. La figura dell'ufficiale-consigliere non funziona, d'altra parte questa mansione non va in valutazione e quindi è ovvio che nessuno ha interesse a svolgerla perché non ha rilievi in termini di carriera, non solo ma addirittura, sebbene sia prevista come una figura ad incarico esclusivo, viene associata a compiti ben più importanti, che finiscono per essere prevaricanti ed assorbenti rispetto a questi. Quanto poi agli organi di rappresentanza, va rilevato che si tratta di un istituto fortemente democratico, che ha costituito un'innovazione quando fu creato alla fine degli anni settanta, che ebbe un impatto molto forte dal punto di vista simbolico sulla vita militare ma che è stato completamente svuotato di efficacia. Di fatto abbiamo riscontrato in moltissimi casi che questa innovazione è stata piegata all'interno di una modalità di esercizio del nonnismo: intendo dire che il povero fesso che va a fare il rappresentante nel reggimento o a livello più elevato è stato designato per tale compito perché in qualche misura è stato preso di mira dai colleghi. Quindi non è un compito che si esercita attraverso una consapevolezza del valore democratico di questa funzione, e lo si assume attraverso modalità di elezione che si svolgono rapidamente e molto informalmente, attraverso procedure spesso puramente burocratiche, non c'è un'istruttoria sulle funzioni da esercitare e quindi di fatto il ruolo viene svuotato prima ancora di essere destituito di ogni possibile funzione di controllo e di democrazia.

PRESIDENTE. A brevissimo commento delle considerazioni svolte dal professore Sgritta vorrei rilevare che uno dei giovani che ha fatto il rappresentante per la leva nel 1991, avendo sentito di questa indagine, ci ha fatto pervenire un rapporto che aveva consegnato allo stato maggiore dell'epoca. Il documento sarà acquisito agli atti dell'indagine e, se vi interessa, ve ne potremo dare copia.

FABRIZIO BATTISTELLI, Sociologo militare. Vorrei ricollegarmi al tema della funzionalità o meno del nonnismo nell'espletare in modo più o meno vicario alcune funzioni e vorrei ribadire che la descrizione di questo fenomeno di supplenza non esclude una nostra valutazione estremamente critica del fenomeno. Il nonnismo assicura una qualche forma di ordine come l'assicura in alcune parti di Italia la mafia, nel senso cioè che è un contropotere che si pone come alternativo ed in potenziale conflitto con la gerarchia ufficiale, così come la mafia è alternativa allo Stato. Il che non esclude che segmenti di Stato possano talvolta essere collusi con la mafia ma nulla toglie alla natura antitetica dell'una all'altro. Il nonnismo - e mi riferisco a quanto osservava il collega Sgritta - ha una propria interpretazione dell'anzianità, che è molto particolare. È vero che l'anzianità fa grado, ma non è l'anzianità nelle istituzioni militari, calcolata cioè sul tempo che il militare ha trascorso all'interno delle istituzioni, quindi sull'esperienza accumulata, sul prestigio, sulla capacità di comando ed altro, perché allora evidentemente gli ufficiali sarebbero i naturali destinatari di questo carisma; l'anzianità della naja viene contata piuttosto in termini di tempo che manca al congedo.

PRESIDENTE. I giorni all'alba!

FABRIZIO BATTISTELLI, Sociologo militare. Questo da un lato permette di considerare nonni militari la cui anzianità al massimo risale ad otto mesi (con gli attuali dieci di servizio militare), ai quali appunto mancano sessanta giorni all'alba, e dall'altro consente di escludere proprio quei quadri del servizio permanente che


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sono invece i titolari legittimi dell'autorità. Ecco dunque la natura di potere alternativo che mantiene l'anzianità della naja e quindi la cosiddetta legge dei nonni.
Ciò non toglie che in alcuni casi si creino patologie sociali (abbiamo visto che non ne esistono individuali) per le quali talvolta una leadership debole all'interno di un reparto può consentire il dilagare di queste forme, che sono soprattutto consentite dalla professionalizzazione delle forze armate in termini di istituzione nella quale tutti i membri lavorano come professionisti (questo, del resto, è un trend europeo) e non più nei termini, che invece erano tradizionali, di servizio. Quando c'era il servizio militare anche per ufficiali e sottufficiali non c'erano orari. Alcuni di loro sono stati militari e penso possano testimoniare questo aspetto di H24 - come di dice in gergo -, di full time nella prestazione del proprio servizio, che non trovava limiti né negli orari né nei giorni festivi. È una situazione che è stata fortemente ridimensionata nel 1990 con la cosiddetta legge degli straordinari, una legge a mio avviso per altri versi ben fondata nella utilità di stabilire comunque un orario per i quadri stessi ma che, al di là della volontà e delle funzioni che ha adempiuto, costituisce un po' lo spartiacque tra due diversi regimi: una istituzione militare fondata fino a quell'epoca sul servizio e una istituzione militare fondata sulla professione. Non mi sento di dare giudizi o di fare graduatorie su quale sia meglio o peggio; ci sono in entrambi i casi vantaggi e svantaggi. Se posso anticipare una mia opinione, è probabilmente oggi più funzionale la seconda ipotesi, quella di una istituzionale militare professionalizzata.
A prescindere da questo, il paradosso di oggi è che abbiamo un macchina (pensiamo ad una 4 x 4) che ha due ruote anteriori, quelle che guidano, che vanno ad una velocità e le altre che vanno ad una velocità diversa, se non addirittura in una direzione diversa. Da una parte c'è il servizio militare professionale, quello dei quadri, che ha cadenze, obblighi, responsabilità e soprattutto ritmi lavorativi che vengono peraltro, con tutta la dedizione che può essere prestata, interrotti dall'orario lavorativo, dall'arrivo del venerdì, dall'appartenenza alle famiglie. Il militare scapolo è un retaggio dell'ottocento che oggi non esiste più, il comandante che dorme in caserma, che ancora fino a dieci anni fa era un'esperienza frequente, oggi è sempre più raro, a meno che non si tratti del comandante diventato single perché la famiglia rifiuta di seguirlo nei vari spostamenti. Chiunque vada nei vari reparti trova circoli ufficiali e sottufficiali deserti, non trova più quelle attività sociali anche curate dalle mogli (ne parla Moskos relativamente all'esperienza americana) che garantivano l'interazione non solo tra famiglie ma anche tra gli stessi coniugi militari, trova in sostanza una realtà molto professionalizzata.
Dall'altra parte abbiamo le rimanenti due ruote della macchina, che sono quelle del servizio di leva, alle quali chiediamo di comportarsi da servizio, quindi senza limiti, con una dedizione praticamente totale, arginata soltanto dall'estensione degli orari, da una concessione sicuramente larga dei permessi e dall'uso degli abiti civili. Credo che questa sia una contraddizione significativa, che sicuramente incide sulla funzionalità al di là delle prese di posizione molto ferme dello stato maggiore dell'esercito. Il capo di stato maggiore è stato molto chiaro un anno fa, quando ci ha attribuito l'incarico, sulla volontà di affrontare di petto il problema, ma sicuramente ci sono inerzie, difficoltà di comprensione, per cui anche in un'amministrazione così gerarchica non necessariamente un input che parte dal vertice viene istantaneamente recepito da tutti.

SARA BENTIVEGNA, Sociologa. Anche se il mio campo di interesse è la comunicazione, la mia appartenenza al gruppo dei sociologi mi porta a condividere le considerazioni svolte dai colleghi Sgritta e Battistelli e a soffermarmi su ciò che ho osservato analizzando l'aspetto della comunicazione declinata in termini di comunicazione sia interna sia esterna.


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Rilevo innanzitutto che ciò che caratterizza l'istituzione militare è una sorta di opacità, perché essa ai cittadini appare come un qualcosa di separato, che si contraddistingue anche per luoghi fisici chiaramente delimitati. Da questo punto di vista l'istituzione militare avrebbe bisogno di un serio intervento di marketing sociale che la riposizioni sul mercato dell'immaginario collettivo di questo paese e non solo.
Per quanto riguarda la comunicazione interna, abbiamo visto quali sono i canali che vengono utilizzati per dare possibilità alle giovani reclute di apprendere modalità, regole, costumi e consuetudini all'interno della caserma o eventualmente di sapere a chi rivolgersi quando ci sono problemi di qualsiasi tipo. Abbiamo visto che esiste la figura del consigliere militare, una figura che tuttavia presenta i limiti di cui ha parlato il professor Sgritta. Un'altra figura che istituzionalmente è preposta al compito di accogliere la comunicazione dei militari in genere è quella del cappellano. Su questa figura mi soffermo brevemente, intanto per osservare che nelle caserme non è più sempre prevista perché si divide tra più strutture militari. Inoltre occorre domandarsi se il cappellano sia la figura più adatta a raccogliere eventuali richieste o lamentele oppure a cogliere il clima che si è instaurato dato che queste figure dovrebbero essere i sensori di ciò che accade.
Per quello che riguarda la rappresentanza, su cui si è soffermato anche il professor Sgritta, ci è stato riferito da alcuni militari che taluni soggetti designati come rappresentanti non sapevano neanche di essere stati inseriti nelle liste e chi doveva andare a votare non aveva la minima idea di chi fossero i candidati, né tanto meno quale funzione avrebbero dovuto svolgere. Da questo punto di vista esiste un problema di comunicazione, nel senso che sono state istituite le rappresentanze di cui però non è stata data notizia ai soggetti che dovrebbero essere rappresentati.
Il terzo elemento da ricomprendere nel più ampio concetto di comunicazione è la trasparenza che è stata intesa con riferimento all'attribuzione di servizi e licenze. Come è già stato sottolineato, non sempre la trasparenza è tale anche se l'indicatore più evidente della politica della trasparenza è rappresentato da grandi bacheche collocate all'inizio dei corridoi in cui sono riportate le attribuzioni dei servizi (anzi ad un'analisi più approfondita è risultato che gli stessi meccanismi dell'attribuzione non sono chiari): dunque una trasparenza tanto per dire. Questo è un problema di comunicazione interna, ossia come all'interno dell'istituzione si consente ai soggetti di comunicare.
L'altra questione riguarda la comunicazione esterna. Chi si presenta in caserma sa già che cos'è il nonnismo, prima ancora di averlo verificato direttamente o di averne avuto notizia; il nonnismo è un fenomeno che aleggia e che è collegato strettamente con la caserma. Da questo punto di vista abbiamo avanzato sia proposte limitate, sia di più ampio respiro perché su questa deformazione dell'immaginario collettivo (prestare il servizio militare significa fare i conti con il nonnismo) bisogna intervenire a livello di comunicazione, da un lato sui soggetti affinché sappiano come e cosa fare nel caso si verificasse qualcosa, dall'altro trasmettendo spot pubblicitari che stigmatizzino il fenomeno per sviluppare un giudizio negativo non già all'interno della caserma o da parte dell'autorità militare, ma nel tessuto sociale. «Se fai il nonno sei un cretino» è un principio che dobbiamo percepire tutti se pensiamo alla caserma e al suo interno. Mi fermo qui, restando a disposizione per altre informazioni.

RAFFAELLA GUGLIELMOTTI LEONE, Psicologa. Sono psicologa, mi interesso della formazione analitica e soprattutto dei problemi concernenti le relazioni, essendo questo il mio campo di appartenenza.
La mia è stata una relazione di minoranza dato che la mia impostazione differisce per quello che riguarda le proposte, anche perché l'analisi condotta ha approfondito determinati aspetti.


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Tralascio il tema dibattuto dai sociologi relativo a che cos'è il nonnismo, cioè un fenomeno complesso frutto di interazioni di molti fattori compreso quello psicologico, per soffermarmi sul fattore psicologico che determina il fenomeno, e sulla qualità eclatante del nonnismo, dal momento che si registrano fenomeni di nonnismo eclatanti ed altri che tali non sono. Che cosa determina la differenza tra il fenomeno eclatante e quello che tale non è? Da quanto ho potuto constatare, il problema con il quale i gruppi di soggetti si affrontano è di tipo relazionale. Che cosa vuol dire? Significa che quando incontro una persona riveste importanza il valore che le attribuisco, cioè io stabilisco che lui vale quanto me, oppure che vale meno di me oppure che vale più di me: in questo si innesta la dinamica del nonnismo, ossia una dinamica disfunzionale al sistema. Che cosa succede? In tutte le organizzazioni che si rispettino vi è un principio in base al quale si trasmettono le comunicazioni, cioè il principio asimmetrico di autorità e ciò vale anche per l'esercito. Si parla di autorità perché l'istituzione sa che cosa e quali compiti debbono essere svolti nonché qual è lo scopo principale, il che comporta una asimmetria funzionale dovuta ai compiti da svolgere. Il modello che caratterizza i sistemi gerarchici o quelli organizzativi è l'obbedienza: oggi noi siamo arrivati alle 16,30 perché abbiamo obbedito ad una convocazione.
Nel nonnismo, a livello interpersonale di dignità e non di autorità, si ha la trasposizione del modello gerarchico funzionale di asimmetria basata sui compiti a livello esistenziale: «ti comando perché valgo più di te», questo è il nonno. A livello relazionale, esistenziale e di dignità il nonno crede, in base alla forza e con le aspettative che il sistema gli dà, di poter usufruire del diritto dell'anziano - che è informale e pseudogerarchico - per esercitare un modello di prevaricazione, di assoggettamento. Dunque funzionano due modelli, l'uno è quello dell'autorità, l'altro è l'assoggettamento che però non è soltanto del nonno, ma di tutta la scala gerarchica, perché il tenente colonnello, il capitano e così via impartiscono gli ordini non in base, alcune volte, ad una dignità ma ad una costrizione, ad un potere che lede la dignità: questo è un elemento importante da tenere in considerazione se vogliamo che la qualità della vita militare sia migliore e che nelle relazioni l'attenzione sia concentrata sulla dignità del singolo.
Il modello del nonno è reattivo, aggressivo e basato sulla violenza fisica, mentre quello della vittima può essere duplice, nel senso cioè che la vittima può agire e reagire in modo ansioso e presentare comportamenti di insicurezza, oppure può essere un modello di vittima misto, ansioso ed aggressivo; un modello quest'ultimo che conosco molto bene perché recentemente ho visitato all'ospedale Celio un ragazzo che si presentava come vittima e come provocatore. Era una vittima, ma si avvicinava al modello del nonno perché aggrediva, il che in determinate condizioni di contesto (di lassismo o di forte costrizione autoritaria) può generare comportamenti di nonnismo eclatanti e riportati dagli organi di stampa, oppure non conclamati i quali risultano superiori ai fenomeni conclamati.
Secondo il generale Cervoni l'ingresso dei volontari nell'esercito produrrà la scomparsa del fenomeno: personalmente non sono assolutamente d'accordo, non penso che il nonnismo scomparirà. Secondo la mia opinione deve essere trasformato cambiando la qualità della vita, quella delle relazioni e modificando la competenza emotiva comunicativa delle persone alle sfere di comando; il fenomeno non si eliminerà anche perché attualmente è presente nelle scuole sottoforma di bullismo e con altre manifestazioni. È un sistema portatore della cultura dell'assoggettamento: si sostiene che i nonni aumentano la coesione del gruppo; non è vero, la coesione non aumenta, anzi si favorisce un clima di terrore e di ansia che porta a chiedere le visite specialistiche


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con oneri maggiori per il sistema, perché il soldato mandato al consultorio è esonerato dal servizio.
Ripeto, il fenomeno va trasformato tenendo conto dell'imminente ingresso dei volontari nell'esercito, in cui vi sarà un livello di controllo ancor più basso. Oggi il controllo proviene dalle forze democratiche di base, è il soldato di leva che spiega quello che non va, ma in futuro, nell'ambito di una struttura professionale, il controllo democratico verrà meno permettendo così sviluppi ancor più gravi di nonnismo, il che non è compatibile con il nostro sistema democratico. La vita militare non è compatibile con gli attuali valori dello Stato e con le missioni di pace che l'esercito è chiamato a svolgere, in cui la dignità dell'altro deve essere garantita. I soldati che inviamo in missione devono aver interiorizzato il concetto di dignità, che deve essere l'oggetto della formazione dell'esercito a tutti i livelli e gradi.

PAOLO CREPET, Psicologo e sociologo. Attualmente l'esercito pesca nell'universo giovanile che vive un disagio psicologico da tenere presente e che si riversa nella scuola, nella caserma, in qualsiasi luogo dove i giovani si recano. Il mio contributo è stato quello di utilizzare il contatto tra giovani e caserma per capire qualcosa di più. Circa dieci anni fa questa Commissione si interessò del fenomeno dei suicidi delle caserme, per certi versi più tragico del nonnismo, che non è stato del tutto eliminato ma di cui si parla poco perché non è più sotto i riflettori dei media; allora come oggi - lo dico, dal momento che collaborai con questa istituzione - ritengo importante una possibilità di incontro, un'opportunità per i ragazzi di parlare di sé stessi. Che cosa c'entra tutto questo con il nonnismo? È presto detto: sia chi compie atti di violenza contro altri, sia chi li subisce ha un impatto psicologico determinato che non è interscambiabile, nel senso che la vittima non diventa kapò come succedeva nei campi nazisti, tant'è che le vittime sono ben individuabili e descritte.
Tra l'altro, credo che utilizzare questo momento di incontro giovane-caserma costituirebbe l'occasione per voi istituzione di acquisire finalmente dei dati sui giovani, perché attualmente brancolate nel buio. Poche nazioni europee sanno così poco dei giovani come la nostra, il che crea ostacoli e difficoltà nella comprensione dei fenomeni giovanili che la società è costretta ad osservare quando sono nella loro massima espressione cronachistica. Oggi siamo riuniti perché c'è stato un morto; se non ci fosse stato quel ragazzo morto non parleremmo del fenomeno del nonnismo e, quindi, non aspettiamo il prossimo funerale per parlare dei giovani; secondo me il nonnismo non è molto diverso dalla violenza che caratterizza le giovani generazioni di oggi; non credo vi siano molte differenze con gli ultras che solo tre giorni fa riempivano gli stadi mostrando le croci uncinate: questi ragazzi non sono più miti di quelli che forse hanno compiuto il gesto di cui stiamo parlando! Dunque, è necessario cogliere tutte le occasioni per avere un momento di conoscenza: oggi né la famiglia, né la scuola, né il quartiere sono orecchie che capiscono il linguaggio dei giovani; il rischio che corriamo è di vivere solo per pagare le esigenze dei ragazzi, di essere solo dei bancomat! E quando ci troviamo di fronte a questi come ad altri fatti di cronaca - mi occupo di disagio giovanile e sono costretto ad interrogarmi quando queste cose accadono - non si può dire «non ce lo saremmo mai aspettato»! Non si può continuare a ripetere che non ci saremmo mai aspettati che quel ragazzo si gettasse dal terzo piano del liceo classico a Bologna oppure non ci saremmo mai aspettati che nella Folgore succedessero quelle cose! Il nostro compito è aspettarsi le cose: a descriverle quando sono avvenute pensano i giornalisti della cronaca nera. Il vostro compito precipuo è quello di prevenire. Ma come si fa a prevenire quando si ha un dato che sia uno? Negli anni scorsi ho compiuto indagini che forniscono dati statistici ormai stabilizzati nel tempo e quindi indubitabili; tra questi emerge che un terzo dei giovani nell'età di


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cui ci siamo occupati ha problemi psicologici rilevanti. Non sto dicendo che sono persone da inviare ad una clinica psichiatrica; dico che sono persone che hanno un disagio che dovrebbe essere comunicato e soprattutto dovrebbe essere ascoltato. Ripeto che né la scuola è preparata a farlo, né il quartiere ha luoghi dove questo dialogo può avvenire e tanto meno la sede adatta è la famiglia. Recentemente a Genova abbiamo condotto un'indagine che ci ha portato a scoprire che un giovane adulto comunica con i propri genitori dieci minuti al giorno. Se pensate che un disagio di qualsiasi genere, anche quelli fisiologici che accadono agli adolescenti, possa essere comunicato in dieci minuti, non avete capito l'importanza del problema.
Il rapporto tra questa specifica situazione e il nonnismo è molto ravvicinato. Il nonnismo non è un fenomeno precipuo dell'istituzione militare, perché non è vero che in caserma accadono cose che altrove non si verificano. In caserma vanno anche i ragazzacci che ho conosciuto nei quartieri di Napoli e di Palermo, e vi assicuro che non si tratta di gentiluomini: sono ragazzi che a 16-17 anni hanno già compiuto furti, rapine ed altri gravi reati. Vi arrivano anche i ragazzi anonimi delle periferie e non solo delle periferie ma anche quelli descritti come figli delle famiglie perbene che rubano nei licei o organizzano rapine a mano armata, come è successo alla metropolitana di Milano qualche settimana fa. Quei ragazzi lì cambiano solo perché vanno in caserma? Basta un capitano in più per renderli differenti? È una pia illusione quella che attribuisce ad una peculiarità del mondo militare il fenomeno del nonnismo, anche se è indubbio che il fenomeno è favorito dal fatto che in caserma il pomeriggio e la sera non c'è nessuno; al riguardo, anzi, qualche rimedio potrebbe essere escogitato.
Il fenomeno va dunque inquadrato in un problema di grande disagio e deve essere considerata la violenza come una doverosa espressione di identità, visto che altrove un'identità quei ragazzi non la trovano. Il nonnismo è quindi parte di un fenomeno più ampio. Occorre tener conto che negli ultimi quindici anni il numero dei minori condannati per vari reati è aumentato del 150 per cento. È una cifra spaventosa, che indica non solo una maggiore attenzione di mafia e camorra al reclutamento delle giovani leve, ma anche una grande disponibilità delle giovani leve ad essere reclutate da mafia e camorra. L'indifferenza che ha ucciso una signora di novant'anni per centomila lire due giorni fa a Napoli ce la ritroviamo in caserma, in questura, nei quartieri, in famiglia, dentro la parrocchia, ovunque.
Intendo dire non che il male è grande e quindi ci dobbiamo rivolgere all'Onnipotente, ma che al contrario, bisogna raccogliere il maggiore numero di informazioni possibile, perché le cose cambiano: trent'anni fa i giovani non erano come sono oggi e noi non ne sapevano nulla trent'anni fa e ne sappiamo pochissimo oggi. Del resto voi stessi avete preso spunto da un caso specifico per occuparvi di un fenomeno che ciclicamente emerge.
Al riguardo non sono d'accordo con la professoressa Guglielmotti Leone che ha affermato che con l'esercito professionale le cose rimarranno tali e quali. Penso invece che le cose miglioreranno perché con la soluzione prospettata non andrà chiunque sotto le armi, come adesso accade, ma vi sarà una selezione.

RAFFAELLA GUGLIELMOTTI LEONE, Psicologa. Anche adesso nell'esercito non va chiunque!

PAOLO CREPET, Psicologo e sociologo. Praticamente sono esclusi solo gli epilettici e gli schizofrenici. Come ben sai, dalle indagini svolte è emerso che un gran numero di ragazzi durante i tre giorni di visite psicoattitudinali ha chiesto di parlare con uno psicologo. Sono forse malati di mente? Certo che no. Se però mi viene fornita questa sponda dico che non è certo il caso di «psicologizzare» l'esercito o i giovani del nostro paese, ma che occorre costruire un interfaccia, che non c'è, tra gli adulti e i giovani. Andrebbe


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bene anche il prete di quarant'anni fa e che adesso non c'è più nel quartiere. Io sono un laico e quindi non è che mi addoloro per questo, però constato che vi è una carenza di questo tipo.
Le persone che sono i possibili aggressori sono identificabili dal punto di vista psicologico? La risposta è sì. Le persone potenzialmente vittime di un aggressore sono identificabili psicologicamente? La risposta è sì. Cosa si fa per questo? Nulla. E finché non si fa nulla saremo sempre alla mercé degli eventi. E non è un problema organizzativo: è una semplificazione pensare che basta un caporale il pomeriggio perché non succeda più niente. È come spazzare una camera mettendo la polvere sotto il tappeto.

PRESIDENTE. Do ora la parola ai colleghi che intendano svolgere considerazioni o porre quesiti.

GAETANO VENETO. Due considerazioni rapidissime. La prima partendo dalle ultime considerazioni del professore Crepet, che ha dichiarato che è pericoloso generalizzare anche se il fenomeno è generale. La nostra Commissione ha compiti ben definiti, tuttavia il suo messaggio è stato recepito. Vorrei chiedere a lei e ai suoi colleghi se, anche accettando questo ampliamento di orizzonti, il fenomeno presenta una qualche tipicità. Tra l'altro, questa vostra attività, stimolata dallo stato maggiore dell'esercito e dal Ministero della difesa, non è stata determinata tanto dalla morte del militare occorsa qualche tempo fa, quanto dal fatto che - per essere molto chiari - qualcuno di noi ha chiesto una Commissione di inchiesta e allora l'esercito si è difeso promuovendo una sua indagine. Questo psicologicamente dovrebbe farvi capire molte cose.
A mio avviso, professor Crepet, una tipicità c'è, una tipicità che fra l'altro, come è stato osservato, può fare paura. Vi sono casi in cui il fenomeno del nonnismo acquista un valore di supplenza che è stato evidenziato anche nelle esposizioni dei professori Andreoli e Battistelli; ma qualche volta il supplente è estremamente nocivo - parlo per una mia antica esperienza di liceo classico - ed è meglio che la classe si gestisca da sola. Il riferimento alla supplenza porta con sé il collegamento, che qui è stato fatto, con la mafia. Ed ogni supplenza può essere pericolosissima per le istituzioni: si pensi ai pubblici ministeri per la gestione dell'azione penale oppure all'azione civile portata avanti a colpi di provvedimenti di urgenza (articolo 700) che in molti casi finiscono con l'essere illegittimi o inesatti.
Ho letto che in una caserma che ospita 600 soldati, mi pare proprio della Folgore, vi sono solo sei docce. Che il nonnismo serva anche a gestire le docce è una soluzione che aggrava il problema. Infatti la Commissione di inchiesta che era stata richiesta non era sul nonnismo, ma sulla qualità della vita dei militari e sul messaggio culturale che viene inviato. Su questo argomento ho sentito poche considerazioni da parte vostra.
Va peraltro rilevato che ci sono due forme di nonnismo. A quella tradizionale va aggiunto l'addestramento della recluta che in un senso deformato potrebbe essere considerato l'addestramento al nonnismo: ti faccio patire perché a tua volta poi farai patire altri negli ultimi due o tre mesi di naja. Per fortuna il fenomeno nei suoi aspetti patologici si sta riducendo, anche perché la crescita culturale degli ufficiali negli ultimi 15-20 anni è andata di pari passo con lo sviluppo culturale del paese. Sarebbe tuttavia necessario che la benché minima accezione positiva del fenomeno del nonnismo sia completamente spazzata via perché si corre il rischio che un piccolo foruncolo tipico dell'acne giovanile diventi un tumore. Non bisogna aspettare un altro evento luttuoso per capire quanto sia alto il prezzo che ciascuno di noi paga con il persistere di questo fenomeno.

PIETRO GIANNATTASIO. Ringrazio anzitutto i membri della commissione per la prevenzione e lo studio del fenomeno del nonnismo che ci hanno illustrato, secondo le loro capacità e professionalità, gli aspetti messi in evidenza nel corso


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dello studio che hanno condotto. Lo stato maggiore ha in sostanza voluto sapere da voi che cosa è opportuno fare quando si verificano certi episodi, dopo di che dovrebbero essere presi provvedimenti per ridurre o annullare questo fenomeno.
A questo punto, sulla scorta di un'esperienza di quarantuno anni di vita militare, quando esistevano disposizioni che erano intitolate «norme per la vita ed il servizio interno di caserma», avendo vissuto tanto la fase precedente quanto quella successiva, devo dire che lo stato maggiore dell'esercito, che ha abolito quelle norme e ne ha rese esecutive altre, si è messo nella condizione di infilare la testa nel sacco. Abbiamo visto poi che lo stato maggiore ha preso provvedimenti nei confronti dei vertici apicali delle caserme senza tener conto se essi sono stati messi in condizione di svolgere la loro azione di comando e di controllo. Se sommiamo il complesso dei vari fattori, tra cui spiccano il limitato orario di servizio e la scarsità dei quadri per sviluppare il controllo che è il presupposto del comando, ecco che vediamo che quelle norme per la vita ed il servizio interno di caserma, che dovevano garantire la presenza a tutti i livelli ordinativi (dalla quadra di dieci uomini al plotone di trenta uomini, alla compagnia di cento uomini, al battaglione di cinquecento uomini), un controllo capillare in tutte le ore della giornata e della notte non vengono più rispettate e si è determinata una situazione intollerabile. Si tratta di norme che sono state emanate per garantire nella vita di caserma un posto di agiamento, cioè un water, ogni cinque persone, un lavandino ogni sei persone, una doccia ogni dieci persone: signori miei, tutto questo fa parte della struttura organizzativa di una forza armata! Allora, come si dà la colpa al comandante di una caserma se in quella struttura si verificano fenomeni di nonnismo, io do la colpa al capo di stato maggiore dell'esercito se non garantisce una vita di caserma adeguata alle norme che erano state emanate in passato. Qui non parlo di un'organizzazione militare, parlo di disorganizzazione militare! La casa che riserviamo ai volontari di tre e cinque anni di ferma sapete come è formata? Di una brandina e di un armadietto! E poi, se vogliamo estrapolare questi concetti ed estenderli all'intera società, come avete fatto voi, constatiamo che fenomeni come il nonnismo, che vanno sotto il nome di mobbing, diventano sempre più diffusi tanto che anche nei posti di lavoro si comincia a prevaricare psicologicamente la persona che lavora a fianco, magari nella catena di montaggio, finché quel collega si demotiva e si demoralizza.
Quindi, attenzione, vediamo di tornare nelle caserme a condizioni di vita dignitose sia per i soldati sia per i quadri responsabili, in modo che ciascuno si assuma le proprie responsabilità, che non possono essere scaricate con quattro destituzioni demagogiche che hanno il solo scopo di riempire di titoli i giornali.

PAOLO BAMPO. Chiedo scusa, la commissione per la prevenzione e lo studio del fenomeno del nonnismo ha già terminato il suo compito?

GIOVAN BATTISTA SGRITTA, Sociologo. Sì, ma va avanti l'osservatorio.

PAOLO BAMPO. Benissimo.
Al professor Crepet che ha osservato come la Commissione difesa della Camera si sia interessata al fenomeno del nonnismo soltanto a seguito del decesso avvenuto recentemente, ricordo che in questa sede abbiamo già affrontato il tema e, anche se ci siamo dovuti fermare per un ostacolo di natura costituzionale, è comunque agli atti della Camera una proposta presentata da me e da altri colleghi in merito all'istituzione di una figura parlamentare per il controllo della dignità del militare e della qualità della vita all'interno delle caserme.
Fatta questa precisazione, le assicuro che ho apprezzato notevolmente sia la sua tiratina di orecchie, sia gli interventi dei colleghi che l'hanno preceduta. Certamente le analisi ed anche le conclusioni cui siete pervenuti sono non solo pertinenti


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ma anche molto valide: si tratta del resto di conclusioni che molti di noi abbiamo raggiunto attraverso percorsi indipendenti.
Vi sono due elementi molto importanti che vorrei sottolineare: il professore Andreoli ha detto che per far sì che il fenomeno cessi dobbiamo colpire gli ufficiali, dobbiamo cioè insistere sui vertici delle linee di comando affinché all'interno delle strutture militari i comandanti assicurino una funzione di controllo e di garanzia. Occorre quindi una maggiore disciplina. La professoressa Bentivegna invece si è soffermata giustamente sul marketing; oggi, infatti, l'immagine delle forze armate è decisamente negativa, l'opinione pubblica le considera alla stregua di un corpo separato, non integrato nella società. Chi entra nelle caserme non si sente parte della società e vive in un contesto che nulla ha a che vedere con l'ordine naturale della società, con le abitudini normali dell'individuo. Ecco dunque l'importanza di un esperto in marketing, dell'immagine, affinché si modifichi la convinzione personale del soggetto, la propria dignità.
In passato il quarto corpo d'armata alpino fece un'operazione del genere; anche se non conosco gli esiti statistici posso assicurarvi che vi fu un intervento deciso del comando del quarto corpo d'armata alpino a seguito di episodi di nonnismo che sfociò in indirizzi categorici sotto il profilo della disciplina e di una maggiore integrazione tra la struttura militare e la società civile. Si trattò di fatti piccolissimi, ma significativi come l'eliminazione del filo spinato dai muri di recinzione ed il libero accesso alle caserme da parte delle famiglie per un loro maggiore coinvolgimento, come dovrebbe essere.
Ho chiesto poc'anzi se il vostro lavoro fosse terminato, perché in caso contrario vi esorto a leggere il documento redatto dal comando del quarto corpo d'armata alpino che potrebbe essere un utile apporto al vostro, ma anche al nostro lavoro.

PIERO RUZZANTE. Anch'io condivido l'affermazione secondo cui questi fenomeni giovanili si manifestano sia in caserma, sia nelle città; tuttavia l'aspetto che deve preoccuparci come componenti della Commissione difesa ed appartenenti alle istituzioni è che tali fenomeni si verificano nel periodo in cui i giovani sono affidati allo Stato che, di conseguenza, dovrebbe impegnarsi per una loro maggiore protezione e tutela. Tra l'altro, essendo la caserma una struttura chiusa si rischia di aumentare le dimensioni del fenomeno diminuendo il livello di protezione di chi lo subisce; fatte salve le esigenze operative, se le forze armate si aprissero alla società si potrebbe tentare di ridurre tale fenomeno.
Il 27 giugno 1996 il gruppo parlamentare al quale appartengo ha depositato una proposta di legge contenente alcune proposte, da voi riprese, che intendo ricordare, a cominciare dall'istituzione del difensore civico, figura esterna alla gerarchia militare, quale punto di riferimento per la qualità della vita (che ricomprende anche la questione dell'igiene). Voi oggi lo definite garante o ombudsman per il servizio militare, ma il significato è il medesimo. Lo stesso discorso vale per la creazione di una linea verde, dal momento che le maggiori difficoltà incontrate dalle consistono nell'impossibilità di sfogarsi.
Un elemento ritengo fondamentale, quello della noia con cui viene affrontata la naja che è alla base del nonnismo o più in generale del lassismo. Sotto questo punto di vista sarà interessante leggere i questionari anonimi - altra proposta da noi formalizzata - che però andrebbero compilati al termine del servizio militare anziché all'inizio, per consentire al giovane di esprimere liberamente le impressioni ricevute ed evidenziare gli sprechi verificatisi. Ritengo che le carenze debbano essere riempite attraverso la formazione, momenti di cultura ed altro per aiutare il giovane nella comprensione delle norme civili.
Altro punto decisivo è la riforma della rappresentanza. La riforma del 1978 è


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stata importante, ma purtroppo è carente per quanto riguarda la leva che non è risultata sufficientemente tutelata essendo stata inserita nel calderone dei COCER; mi auguro che al Senato, dove si sta discutendo della riforma della leva, si intervenga affinché il COCER della leva possa riunirsi separatamente rispetto agli altri ed assumere decisioni.
Sono d'accordo con la professoressa Bentivegna che ha proposto la creazione di spot pubblicitari; al di là dell'effetto e dei risultati che possono raggiungere in termini di riduzione di questo fenomeno, è utile dimostrare al paese che le forze armate italiane sono preoccupate dalla presenza di episodi di nonnismo tanto quanto lo sono i genitori dei giovani chiamati a prestare il servizio militare.
Infine, un'ultima domanda che affido ai posteri: è possibile individuare alcuni fenomeni di devianza a partire dalle caserme? Sarebbe un ottimo screening di massa alla stregua di quello che si effettua con la visita sanitaria per la leva. E ancora: perché non pensare alla presenza di psicologi all'interno delle caserme? Forse anche nell'esercito professionale potrebbe essere utile una figura del genere al fine di individuare eventuali casi di devianza e tutelare chi subisce in maniera eccessiva forme che non appartengono al nonnismo, ma ai normali rapporti di vita.

RAFFAELLA GUGLIELMOTTI LEONE, Psicologa. Poiché le proposte dell'onorevole Ruzzante ripropongono quelle contenute nella mia relazione, vorrei sapere se avete acquisito il documento dal titolo «Il fenomeno del nonnismo nella realtà dei giovani alle armi. Aspetti psicosociali».

PRESIDENTE. In effetti non l'abbiamo.

RAFFAELLA GUGLIELMOTTI LEONE, Psicologa. In tal caso lo consegno al presidente.

PRESIDENTE. Il documento sarà acquisito agli atti dell'indagine conoscitiva.
Il collega Ruzzante ha fatto bene ad entrare nel vivo, proprio perché alla fine di questa indagine dobbiamo raccogliere le proposte, farle nostre e stimolare il Governo. Credo del resto che anche da parte nostra ci sia una larga convergenza sulle proposte che sono state avanzate.
Do ora la parola al professor Battistelli per una breve replica.

FABRIZIO BATTISTELLI, Sociologo militare. Come studioso individuale e non come membro della commissione per la prevenzione dello studio del fenomeno del nonnismo, vorrei dare una brevissima informazione che si colloca anche sullo sfondo dell'utilità di ricerche comparate in questo ambito.
I problemi che fronteggiamo sono non solo italiani ma anzi riscontrabili in tutti gli eserciti del mondo, e probabilmente in altre istituzioni e nell'intera società internazionale. Io però, da modesto specialista di sociologia militare, mi occupo dell'ambito militare e sto conducendo un lavoro comparato con un paese non lontano dal nostro per tanti motivi, cioè la Spagna. Si tratta di una ricerca condotta nell'ambito dell'Iniziativa Daphne, che l'Unione europea ha promosso per indagare in merito alle misure di prevenzione sulla violenza su giovani, donne e bambini, nel cui ambito esiste un progetto Silencios realizzato dall'Archivio disarmo di Roma e dall'IDS di Barcellona e dedicato al fenomeno dei nonni (nonni in Italia, avuelos in Spagna). Si potrà verificare che la simmetria in questo caso è assolutamente sconcertante. Se la Commissione è interessata, posso depositare una copia del progetto, con una sintesi più gestibile di 120 pagine, che contiene anche un'analisi giuridica, e quindi in quanto tale propositiva sul piano legislativo.

PRESIDENTE. Il documento depositato sarà acquisito agli atti dell'indagine.
Vorrei precisare che non è vero che la Commissione difesa prende nota di questi problemi solo dopo che si è verificata la tragica vicenda di Pisa; ha invece quasi esaurito un'indagine di due volumi sul fenomeno della leva, che ha condotto fin dall'inizio della legislatura, manifestando


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peraltro consenso per l'ipotesi della professionalizzazione delle forze armate.
Devo dire che condivido le considerazioni del professor Crepet secondo cui oggi la leva è probabilmente al crepuscolo, però certo è stata un'occasione perduta dal punto di vista di uno screening sociale o anche di una certa acculturazione sociale che avrebbe potuto arrecare grandi vantaggi. Tuttavia, finché la leva c'è, certamente si pone il problema non solo di reprimere questi episodi ma anche - per citare la professoressa Bentivegna - di trasformarli in disvalore, nel senso di disincentivare quella che poteva essere una certa educazione ad una spersonalizzazione che era funzionale ad un certo tipo di disciplina militare; invece oggi, con il soldato che deve andare in Kosovo, in Bosnia o in altre aree di crisi, è necessaria la coltivazione di una spiccata personalità e della capacità di avere anche un intervento diretto. È proprio in questa direzione che ci vogliamo muovere.
Occorre poi prendere in considerazione altri aspetti. Chi di noi non ha sentito dire che c'era chi, minacciato, ha pagato qualcuno per farsi difendere? A volte dunque c'è del teppismo, che non è nonnismo; ma ovviamente neanche il teppismo è accettabile. È evidente che un ripensamento delle modalità di vita, di sorveglianza e di presenza è assolutamente necessario, perché chi mette la sua vita e la sua sicurezza in mano allo Stato ha diritto - come è stato detto - che lo Stato lo tuteli.

SARA BENTIVEGNA, Sociologa. In relazione all'intervento dell'onorevole Ruzzante, tra le proposte che sono state presentate, per la parte di mia competenza, parlavo di una campagna comunicativa continua, attraverso la quale valorizzare le azioni delle nostre forze armate che sono state compiute e che sono ancora in corso. Così come la Presidenza del Consiglio dei ministri ha promosso spot su iniziative del Ministero delle finanze, credo che sia opportuno organizzarne alcuni anche per le istituzioni militari.

PRESIDENTE. Ringrazio nuovamente tutti gli intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 18.