PROGETTO DI LEGGE - N. 7157




        Onorevoli Colleghi! - Ogni giorno circa 6.000 bambine vengono sottoposte a mutilazioni dei genitali femminili (MGF). Le ultime stime parlano di 120 milioni di donne private per sempre del diritto alla piena sessualità, poiché i loro organi, amputati per motivi culturali o credenze antiche, non potranno essere più ricostruiti.
        Numerose dichiarazioni e convenzioni internazionali sui diritti umani hanno condannato le mutilazioni genitali femminili: la Convenzione per i diritti del fanciullo del 1989; la Dichiarazione del Vertice mondiale sull'infanzia del 1990; la Risoluzione 1992/251 del Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite sulle pratiche tradizionali che minacciano la salute delle donne e dei minori; la Dichiarazione e il Programma di azione della Conferenza internazionale sulla popolazione e sullo sviluppo del Cairo del 1994; la Carta Africana dei diritti e del benessere del bambino adottata dall'Organizzazione dell'Unità Africana nel 1990, la Dichiarazione dell'OUA del 1995 sul piano di azione africano riguardante la situazione delle donne in Africa, la piattaforma di azione della quarta Conferenza mondiale sulle donne di Pechino nel 1995.
        Le diverse strategie di lotta messe in campo a livello internazionale mirano alla sensibilizzazione delle popolazioni; all'adozione di leggi come in Ghana, a Djibouti, in Burkina Faso, nel Togo, nella Repubblica Centro-africana, nella Guinea, nel Senegal, in Tanzania, in Sudan; alla formazione del personale sanitario; all'impegno dei leader religiosi e della comunità; alla sostituzione delle pratiche con iniziazioni che non prevedano l'escissione, alla ricerca e all'integrazione dei dati raccolti sulle MGF nelle indagini demografiche e sanitarie.
        Per giustificare le mutilazioni genitali femminili si evocano una serie di ragioni: i costumi, le tradizioni, la perpetrazione dell'eredità, la religione con la nozione di purificazione, il controllo della sessualità femminile, la protezione della verginità, la buona educazione, la maggiore fecondità, l'igiene e la facilitazione del parto e il fatto che il clitoride sia un organo maschile. Ma di fatto di mutilazione si tratta che non ha alcun fondamento religioso, definita come "tortura" in molti Paesi.
        L'Organizzazioni mondiale della sanità (OMS) definisce le MGF come "qualsiasi intervento che prevede l'ablazione parziale o totale dei genitali esterni della donna e/o qualsiasi lesione degli organi genitali praticata per ragioni culturali o terapeutiche". Le ricerche e l'esperienza hanno permesso di identificare diversi tipi di mutilazione: l'ablazione parziale del clitoride che rappresenta la forma più praticata, l'ablazione di tutto il clitoride con o senza le piccole labbra, l'ablazione di tutto il clitoride con le piccole labbra e la chiusura dell'orifizio vaginale con sutura o accollamento delle grandi labbra.
        Secondo l'OMS, in Africa almeno 2 milioni di bambine sono esposte al rischio di mutilazione, anche se questi dati sono stati estrapolati da studi condotti negli anni 1970.
        Tra gli effetti nefasti delle mutilazioni dei genitali femminili, si registrano, come complicanze immediate, dolori e traumi, emorragie che possono provocare la morte, ritenzione urinaria acuta, lesione dei tessuti vicini, rischio di trasmissione dell'epatite B e dell'AIDS, infezioni quali tetano e setticemia. Le complicanze a medio e lungo termine sono difficoltà di minzione, infezioni recidivanti delle vie urinarie, dismenorrea, edema del collo dell'utero, cicatrici cheloidi, disfunzioni sessuali, dispareunia, infecondità, traumi genitali durante il parto. Le conseguenze psichiche sono ugualmente gravi: depressione nervosa, isteria, ansia, shock per il dolore o l'emorragia, irritabilità, stato di psicosi e di paranoia. Infine, tra le conseguenze sociali, si registrano rifiuto e ostracismo, soprattutto tra le vittime di fistole, difficoltà coniugali, frustrazioni personali.
        L'Italia non è estranea al problema delle mutilazioni genitali femminili. Anzi, secondo alcune stime, il nostro Paese sembra vantare ormai un altro triste primato: quello di essere in Europa lo Stato con il più alto numero di donne infibulate. Tra le 20 e le 30 mila donne immigrate hanno subito una mutilazione genitale e circa 5 mila bambine rischiano la stessa sorte. Ed è per questo che abbiamo l'imperativo morale di affrontare il problema delle MGF con serietà ed impegno concreto per evitare che anche in Italia si riproducano le condizioni strutturali e socio-ambientali che in altri Paesi occidentali hanno già dimostrato di essere funzionali al mantenimento di tali pratiche.
        Personalmente, ho avviato la mia campagna contro le MGF il 29 maggio 1997, presentando all'Assemblea di Montecitorio una mozione, elaborata con la collaborazione dell'Associazione italiana donne per lo sviluppo (AIDOS), che per prima ha posto all'attenzione dell'opinione pubblica italiana il tema delle MGF, che richiedeva al Governo attività di monitoraggio, prevenzione e repressione.
        In Italia la Costituzione vieta espressamente qualsiasi violazione dell'integrità corporea della persona (articolo 32), ma non esiste ancora uno specifico reato contro le MGF.
        Il Parlamento si è già espresso in più di una occasione a favore di azioni sollecite, in termini di prevenzione e di repressione, sul tema delle mutilazioni genitali: il 26 giugno 1997 è stato votato un ordine del giorno (n. 9/3238/4, ai sensi della legge n. 285 del 1997, recante disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l'infanzia e l'adolescenza) che richiedeva l'avvio di indagini conoscitive ed iniziative di prevenzione per evitare l'uso di tali pratiche; il 19 novembre 1997 è stato accolto come raccomandazione un altro ordine del giorno (n. 9/3240/3) che, oltre a richiedere campagne di informazione, di formazione e di prevenzione, richiedeva l'istituzione di una figura autonoma di reato che prevedesse sanzioni penali per chi si rendeva propositore e complice e l'espulsione immediata dai nostri confini dei genitori che sottoponessero le figlie a tali pratiche.
        Lo scorso 22 marzo, la Commissione bicamerale per l'infanzia ha approvato una risoluzione (7-00842) che richiede al Governo, tra le altre cose, di garantire assistenza psicologica e tutela giuridica alle bambine che sono oggetto di tali pratiche.
        Anche il Consiglio d'Europa si è espresso specificatamente sulle mutilazioni sessuali: durante la sessione plenaria del giugno del 1999 è stato infatti approvato il provvedimento: "Le mauvais traitements infliges aux enfants" (AS/SOC/1997-20) in cui si richiedeva un impegno degli Stati membri per sradicare tali pratiche (Paragrafo 11 - Punti e) ed f); più recentemente, il 7 aprile 2000 la Commissione sulla violenza contro le donne che presiedo ha presentato in Assemblea una raccomandazione, votata all'unanimità, recante "Misure contro la violenza alle donne in Europa", (n. 1450 del 2000) in cui si richiede l'armonizzazione delle legislazioni contro ogni forma di violenza e di discriminazione di cui le donne sono vittime.
        A seguito dei moniti degli organismi internazionali, molti Paesi hanno avvertito la necessità di codificare le MGF, ma solo la Svezia (1982), la Gran Bretagna (1985) e la Norvegia (1998) hanno un reato specifico di mutilazione dei genitali femminili.
        L'unico Paese in cui tuttavia si sono effettuati diversi processi per MGF è stata la Francia, che, anche a causa della forte immigrazione dai Paesi sub-sahariani dall'Africa francofona, più di altre nazioni ha sentito il problema. Il Paese transalpino il 1^ marzo del 1994 ha elaborato una specifica figura di reato nel nuovo codice penale (articoli 222/9 e 222/10) che prevede che, laddove un minore di quindici anni subisca una mutilazione (non sono specificate le MGF), l'autore del reato è punito con la reclusione fino quindici anni, che è aumentata fino a venti se l'infrazione è commessa da genitori o nonni.
        In Francia è stata creata una Commissione per l'abolizione delle MGF (CAM) ed è stato istituito un numero verde contro le mutilazioni genitali, anche attraverso il coinvolgimento del Sistema sanitario nazionale, che in Francia è estremamente efficiente. Le associazioni sono sostenute dal Governo francese e dal Fondo di azione sociale. Nel gennaio del 1999 la corte d'assise di Parigi aveva emesso venticinque condanne per mutilazioni sessuali, estese ai medici ed ai parenti.
        In Italia una sola condanna è stata emessa, a Milano, il 25 novembre del 1999, a causa di MGF. Un egiziano, che aveva fatto infibulare, all'insaputa della madre italiana, la sua bambina in Egitto, è stato condannato a due anni di reclusione per lesioni personali gravissime, ai sensi degli articoli 582 e 583 del codice penale.
        Nel nostro Paese, infatti, in assenza di una specifica figura di reato, le mutilazioni sono perseguibili ai sensi dell'articolo 5 del codice civile (divieto di atti di disposizione del proprio corpo), e degli articoli 582 e 583 del codice penale (lesioni gravi e gravissime).
        Ma è la completa assenza di denunce sulle mutilazioni, che rende improcrastinabile l'istituzione di una figura autonoma di reato nel nostro Paese, accompagnata da una ampia campagna di informazione. Una tale codificazione avrebbe anzitutto una funzione pedagogica, rafforzerebbe, cioé, nelle comunità di immigrati, la convinzione che se la mutilazione è un crimine, deve essere ad ogni costo evitata.
        Ed è questa la ratio che anima la presente proposta di legge, ovvero la volontà di creare tutte le condizioni necessarie per conoscere, prevenire, curare e, in ultima analisi, reprimere le MGF: formazione degli operatori, campagne di prevenzione e di sensibilizzazione, informazione degli stranieri che giungono nel nostro Paese. Mobilitazione sociale e sanitaria, strutture di concertazione e coordinamento delle attività svolte: questa è la direzione verso cui dobbiamo muovere come istituzioni.
        Ma la società politica da sola non può farcela. E' quindi importante sviluppare delle sinergie con la società civile: d'altra parte, le organizzazioni non governative possono indicare quali sono i bisogni reali delle vittime e come soddisfarli, sperimentando da anni sul campo misure per prevenire e contrastare il fenomeno. Nel maggio del 1998, quando il conflitto tra Etiopia ed Eritrea stava nuovamente prendendo piede, mi recai in Etiopia, come presidente della sezione bilaterale di amicizia dell'Unione interparlamentare, a partecipare ad un Convegno internazionale sull'istituzione dell'ombudsman a tutela dei diritti umani. In quell'occasione ebbi modo di visitare il centro creato dall'AIDOS ad Addis Abeba ed ho potuto sperimentare quante e quali risorse le associazioni possono mettere in campo.
        Un ultima considerazione: l'informazione è prioritaria. Il fatto che gli emigranti abbiano portato con sé questa pratica ci mostra che essa è più forte del diritto occidentale dei Paesi di accoglienza. Le persone che la perpetuano hanno un ruolo di tutrici dell'eredità culturale, dell'identità nazionale. Bisogna sfatare questi miti, ma occorre una effettiva partecipazione delle persone immigrate, incoraggiata da campagne di informazione sui diritti offerti dalla legge italiana. E' necessario anche formare il personale socio-sanitario, aiutare i centri di consulenza scolastici a individuare le ragazze a rischio, migliorare il coordinamento tra istituzioni, operatori e Forze di polizia.
        Onorevoli colleghi! Un fenomeno così radicato nella tradizione e nella cultura di diversi popoli richiede che si possa stabilire un incontro reale. Ma vi sono delle regole che non possono essere violate: le regole che riconoscono il diritto all'integrità della persona e rifiutano la subordinazione di genere. Sta a noi fare sì che queste regole siano rispettate nel nostro Paese.




Frontespizio Testo articoli