PROGETTO DI LEGGE - N. 886
Onorevoli Colleghi! - Salvo alcune limitate
disposizioni contenute nella legge 1^ aprile 1981, n. 121, non
esiste, nel nostro ordinamento, una disciplina, ispirata da un
principio di carattere generale, della raccolta dei dati e
delle informazioni sulla razza, la fede e le opinioni
politiche dei cittadini. Non esiste, inoltre, una
codificazione del diritto dei singoli all'accesso ai documenti
di fonte pubblica e privata che riguardino i loro orientamenti
politici e il conseguente diritto alla modifica dei dati
errati.
Tale vuoto normativo contribuisce alla proliferazione di
iniziative come la raccolta di dossier ed informazioni
riservate su personalità politiche da parte di istituzioni
dello Stato - come i servizi per le informazioni e per la
sicurezza - che già in passato si sono segnalate per gravi
deviazioni in materia.
Nella seduta del Senato del 12 luglio 1994, l'allora
Ministro dell'interno Maroni rivelò l'esistenza presso il
SISDE di 66 fascicoli, 21 dei quali personali, vale a dire
intestati a singoli esponenti politici o funzionari dello
Stato, e 45 riguardanti partiti o formazioni politiche di
vario genere. I diretti interessati non possono, a tutt'oggi,
prendere visione del contenuto di tali dossier,
confezionati a loro insaputa e in evidente violazione dei
loro diritti costituzionali.
Anche il Comitato parlamentare per i servizi di
informazione non ha potuto ricevere, se non per effetto di una
decisione della magistratura, i fascicoli sopraddetti,
nonostante l'impegno assunto in tal senso dal Ministro
dell'interno.
La presente proposta di legge vieta, tramite il suo
articolo 1, ad ogni amministrazione pubblica e ad ogni ente
privato di raccogliere informazioni e dati sulla razza e sulla
fede politica e religiosa dei cittadini, nonché su altre forme
di appartenenza sociale e culturale.
La violazione di tale norma viene punita dall'articolo 2
con la reclusione da 1 a 5 anni e con una multa. Il medesimo
articolo sanziona con pena più alta la trasgressione della
norma sopraddetta se effettuata da personale appartenente agli
organismi civili e militari della sicurezza.
L'articolo 3 punisce l'uso dei dati e delle informazioni
raccolte in via illegale, e prevede una sanzione più elevata
per il personale di cui sopra.
L'articolo 4 sancisce il diritto del cittadino che venga a
conoscenza dell'esistenza di un fascicolo a suo nome, o della
raccolta di informazioni sulla sua persona, effettuate a
qualsiasi titolo da ogni amministrazione pubblica o privata,
di prenderne visione, di ottenere copia e di pretendere la
rettifica o la distruzione di notizie non rispondenti al vero.
Si tratta di una disposizione vigente in vari Paesi
democratici, che consente un esercizio piu effettivo delle
garanzie individuali e scoraggia l'accumulo indiscriminato di
informazioni sulle persone.
Il comma 2 del medesimo articolo 4 estende il diritto di
visione, di copia e di rettifica anche alla raccolta dei
fascicoli, formati sui singoli cittadini, da parte dei
servizi di informazione e di sicurezza comunque denominati.
Il contemperamento fra diritti del cittadino alla
riservatezza, quale espressione del diritto di libertà, e le
esigenze di tutela e di sicurezza dello Stato è attuato con
l'attribuzione al Presidente del Consiglio dei ministri di
apporre "il segreto di Stato". Il provvedimento del Presidente
del Consiglio dei ministri deve essere motivato, deve essere
espresso entro trenta giorni dalla richiesta di "visione" di
un fascicolo, che viene inviato in tal caso al Comitato
parlamentare per i servizi di informazione. Al cittadino che
ritenga infondata la decisione di opporre il segreto di Stato
sul fascicolo che lo riguarda, viene comunque riconosciuta -
nel comma 3 - la facoltà di essere ascoltato dal Comitato
parlamentare, il quale, se in accordo con il rilievo del
cittadino, riferisce in seguito alle Camere per le conseguenti
valutazioni.
L'articolo 5 è diretto a risolvere i contrasti
interpretativi sui limiti dei poteri del Comitato parlamentare
per i servizi di informazione e sicurezza. La disposizione
proposta è ispirata al ragionevole principio che non può
esercitarsi il controllo di legittimità sul rispetto dei
princìpi costituzionali da parte degli apparati dei servizi di
informazione e di sicurezza senza il corrispondente
potere-dovere di esame diretto degli atti e dei documenti,
acquisiti o formati dai servizi.