Back Forward

Doc. XXIII n. 48


Pag. 7

INTRODUZIONE

I fenomeni criminali manifestatisi nella città di Catania e nel suo hinterland, connotati da una particolare ferocia ed intensità, ed al tempo stesso contraddistinti dalla presenza di molte formazioni di criminalità organizzata di tipo mafioso, ma di una unica e solidissima famiglia dell' organizzazione denominata cosa nostra (1) - nota per la sua vis collusiva e la capacità di influenza nei confronti del mondo economico ed istituzionale -, hanno costituito oggetto di studio approfondito le cui tracce sono evidenti in quella letteratura, non solo giudiziaria, che se ne è occupata in questi ultimi anni.
Lontana da Palermo, e non solo in senso geografico, cosa nostra catanese, mettendo in pratica i metodi del suo leader indiscusso - il boss Benedetto Santapaola - ha manifestato una particolare propensione per il mondo degli affari; messo a punto una precisa strategia di infiltrazione all'interno delle strutture istituzionali; ricercato e raggiunto un rapporto mutualistico con le grandi realtà imprenditoriali. Per fare ciò ha selezionato ai propri vertici personaggi capaci di trattare con gli imprenditori ed i politici, ha rinunciato allo scontro frontale con lo Stato, ha dato vita ad attività di intrapresa economica presentabili, dietro le quali venivano coperti i proventi dei traffici illeciti più svariati e di crimini efferati.
Per converso ha riservato la parte peggiore e più violenta di sé ai propri nemici, ossia a quei gruppi criminali concorrenti che in modo proteiforme prendevano corpo nei quartieri degradati della città,


Pag. 8


sempre in lotta tra loro per il controllo di piccoli territori, ma incapaci - per la loro frammentazione e l'anarchia presente al loro interno - di metterne in discussione il primato.
È stata questa, tra gli anni settanta e novanta, la Catania del record nazionale di oltre cento morti ammazzati l'anno. Dominata dalla mafia e da pochi potenti, amministrata in modo illegale e compiacente con quei poteri, lasciata al suo destino dalla insensibilità della società e delle istituzioni, attente ai richiami più plateali provenienti dalla Sicilia occidentale.
E mentre a Catania si celebrava la congiura del silenzio i suoi boss crescevano e consolidavano posizioni di potere nell'ambito di cosa nostra, tanto da far sì che anche i più esperti del fenomeno mafioso fossero portati ad affermare che negli ultimi anni non vi è stata strage, grande traffico illecito, omicidio eccellente senza il contributo o il consenso di cosa nostra catanese.
La Commissione Parlamentare Antimafia della XIII legislatura ha voluto pertanto approfondire le tematiche relative alla genesi ed alla evoluzione di quella realtà mafiosa dedicandovi intere sessioni di lavoro ed affrontando tutti quegli aspetti sociali, economici ed istituzionali che hanno contribuito alla sua espansione manifestatasi sino al punto di divenire fattore ambientale di condizionamento della vita di relazione e dell' ordinato sviluppo degli interessi collettivi.
Sono state effettuate pertanto cinque visite.
Il sopralluogo relativo alla prima missione si è svolto nei giorni 26-27 giugno 1997 presso la Prefettura della città di Catania.
Vi hanno partecipato, oltre al presidente senatore Ottaviano Del Turco, i senatori Curto, Diana, Figurelli, Firrarello e Pettinato e i deputati Gambale, Giacalone e Lumia.
Sono stati sentiti il Presidente della Provincia onorevole Nello Musumeci; il Vicepresidente della Provincia avvocato Giovanni Gino Ioppolo; il vicesindaco di Catania professor Paolo Berretta; il prefetto dottor Giuseppe Leuzzi; il questore, dottor Giovanni Finazzo; il Comandante provinciale dell'Arma dei carabinieri, colonnello Umberto Pinotti; il Comandante del Gruppo della Guardia di finanza, tenente colonnello Walter Peruzzo; il Direttore della DIA di Catania, colonnello Carmelo Aloi; il signor Giovanni Zurria, per l'associazione antiracket ASAEC (Associazione Antiestorsione Catanese Libero Grassi); il cavaliere Angelo Giuffrida, per l'associazione antiracket ALA (Associazione Licodiese Antiracket); il dottor Salvatore Campo, per l'associazione antiracket ASIA (Associazione Siciliana Antiracket); il signor Rosario Barchitta per l'associazione antiracket ASAES (Associazione Antiestorsioni Scordia «Nicola D'Antrassi); il signor Rosario Cunsolo, per l'Associazione paternese antiracket; la signora Rita Spartà e la signora Carmela Locastro-Spartà; il dottor Gabriele Alicata, Presidente della Corte d'appello; il dottor Benito Vergari, Presidente del Tribunale, i dottori Giacomo Scalzo, Francesco Cortegiani e Guido Marletta, Presidenti di Sezione della Corte d'Assise d'appello, il dottor Giacomo Piazza, f.f. di Procuratore generale della Repubblica; il dottor Mario Busacca, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale; il dottor Vincenzo D'Agata, Procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale


Pag. 9


e i magistrati della Direzione distrettuale antimafia dottor Carlo Caponcello, dottor Mario Amato, dottor Francesco Puleio, dottor Sebastiano Mignemi, dottor Nicolò Marino, dottor Ignazio Fonzo e dottor Sebastiano Ardita (2).
È stata poi effettuata una ulteriore missione della Commissione il 19 Marzo 1998.
Il 16-17 Giugno 1998 la Commissione si è nuovamente recata a Catania. In questa occasione il calendario delle audizioni è stato così articolato: Il giorno 16 Giugno si è proceduto alla audizione dell'assessore ai lavori pubblici presso la regione siciliana, onorevole Luigi Manzullo; del comandante regionale della Guardia di Finanza generale Ugo Marchetti; del sindaco di Catania dottor Vincenzo Bianco; del procuratore della repubblica di Catania dottor Mario Busacca; del procuratore della repubblica aggiunto dottor Vincenzo D'Agata; del sostituto procuratore della DDA dottor Mario Amato; del giudice Felice Lima - ex sostituto procuratore della repubblica; dell'ex assessore ai lavori pubblici presso la regione Sicilia, onorevole Vincenzo Lo Giudice.
Il 17 Giugno sono stati convocati ed ascoltati dalla Commissione Bicamerale: il dottor Luigi Barone - giudice del Tribunale per i minori ed ex sostituto procuratore -; i sostituiti procuratori della DDA dottor Nicolò Marino e dottor Sebastiano Ardita; il prefetto di Catania dottor Giuseppe Lezzi; il questore di Catania dottor Giovanni Finazzo;il comandante provinciale dei carabinieri colonnello Umberto Pinotti; il comandante provinciale della Guardia di Finanza colonnello Michele Adinolfi; il capo centro della DIA colonnello Carmelo Aloi.
Il 12 Novembre 1998 è stato effettuato un ulteriore sopralluogo dal gruppo di lavoro su Messina, nel corso del quale si è proceduto all'audizione dei magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia, con esclusivo riferimento però alle indagini relative ai procedimenti per fatti relativi all'area messinese, trattati per competenza ex articolo 11 c.p.p.
Ed infine, il giorno 8 Febbraio 2000 presso la prefettura di Catania, sono stati ascoltati nella mattinata, - al fine di approfondire le questioni relative al monitoraggio degli appalti pubblici - il procuratore della repubblica dottor Mario Busacca ed i sostituti procuratori della locale Direzione Distrettuale Antimafia; e, nel pomeriggio, il presidente della provincia dottor Nello Musumeci, il commissario del Comune di Catania dottor Vittorio Piraneo; il prefetto di Catania dottor Tommaso Blonda; il questore di Catania dottor Santoro; il comandante provinciale dei Carabinieri colonnello Umberto Pinotti; il comandante provinciale della Guardia di Finanza colonnello Michele Adinolfi.
Sono stati inoltre richiesti ed acquisiti numerosi atti e documenti, nonché rilevazioni statistiche relative al numero ed alla natura dei reati commessi, alla quantità ed agli esiti delle iniziative giudiziarie intraprese, all'attività di contrasto svolta dalle forze dell'ordine.
Nelle passate legislature la Commissione Antimafia si era già occupata di Catania, effettuando visite e sopraluoghi, ma solo in una occasione - nella decima legislatura e sotto la Presidenza del senatore


Pag. 10


Chiaromonte - gli studi effettuati sono confluiti in una relazione ed in un separato documento ufficiale presentato dal senatore Corleone.
Il contenuto di tali atti costituiva lo specchio fedele della città, offrendo un valido strumento di raffronto tra la situazione attuale del fenomeno criminale mafioso e quella presente alla fine degli anni ottanta.
L'indagine effettuata dalla commissione presieduta dal senatore Chiaromonte aveva consentito di mettere in luce i seguenti aspetti:
A) L'assetto delle organizzazioni criminali presenti sul territorio appariva variegato e complesso, per l'esistenza di una guerra interna alla organizzazione cosa nostra tra la famiglia ERCOLANO-SANTAPAOLA e quella dei FERRERA, e per la contemporanea presenza sul territorio del capoluogo e della provincia di altre organizzazioni criminali, operanti con strutture e metodologie egualmente di tipo mafioso, ed impegnati nella gestione di traffici illeciti collegati al controllo di una parte del territorio.
B) La presenza di una criminalità stratificata e diffusa orizzontalmente su tutto il territorio, composta da gruppi dotati di un considerevole spirito di autonomia, con difficoltà a riconoscere superiorità gerarchiche, caratterizzata da fragili alleanze e dal frequente passaggio di adepti da un clan all'altro, aveva determinato l'aumento della violenza omicida; tant'è che sul territorio negli anni 1988 e 1989 si erano avuti rispettivamente 85 e 113 morti ammazzati.
C) Il tessuto sociale appariva profondamente deteriorato, e ciò sia nel capoluogo che nella provincia, a causa della mancanza di strutture pubbliche idonee a fornire occasioni di avanzamento culturale e di sano ritrovo;
D) Le strutture delle amministrazioni comunali risultavano paralizzate a causa delle continue crisi e della conseguente instabilità politico-amministrativa, - che avevano impedito persino l'utilizzo di risorse finanziarie messe a disposizione dallo Stato - nonché condizionate da logiche finalizzate alla spartizione di poltrone.
E) Il tasso di disoccupazione nella provincia di Catania negli ultimi anni si era attestato al 18% a fronte del 9% su scala nazionale, così determinandosi un fenomeno di sottooccupazione che consentiva alla criminalità di dare mezzi di sostentamento a persone prive di lavoro.
F) La politica di urbanizzazione aveva determinato la massiccia concentrazione di non abbienti in quartieri-dormitorio dove avveniva più agevolmente l'espandersi del fenomeno criminale.
G) Gli organici delle forze dell'ordine apparivano insufficienti, ed in particolare appariva esiguo ed irrilevante il numero di uomini destinati ai più delicati servizi investigativi che riguardavano la criminalità organizzata di tipo mafioso.
H) Risultava diffusissima sul territorio la piaga delle estorsioni, con richieste di tangente che venivano rivolte a circa il 90% degli operatori commerciali. Ma sul fenomeno non era possibile avere dati completi e precisi a causa della totale mancanza di collaborazione


Pag. 11

delle vittime che si rifiutavano persino di denunciare il reato, sopportato come un costo aggiuntivo dell'attività commerciale .
I) Sussistevano forti elementi sintomatici circa l'esistenza di una florida economia sommersa ed illegale, desumibili dalla notevole differenza tra i redditi ufficiali pro-capite ed i flussi finanziari anomali che interessano il mondo bancario e parabancario (circa 200 società finanziarie erano presenti in città a fronte di una economia ufficialmente povera).
J) Risultava insufficiente l'azione di contrasto preventivo dello Stato rispetto alla criminalità economica. Il numero delle proposte di misura di prevenzione avanzate nell'anno 1989 era pari a 14. Le misure irrogate nello stesso anno ma avanzate negli anni precedenti erano 74. Sempre nel 1989 erano stati emessi 5 provvedimenti di sequestro dei beni per un valore di lire 762.100.000, e 4 sentenze di confisca di beni per un importo di lire 698.000.100.
K) I mezzi e gli organici della magistratura apparivano insufficienti a fronteggiare il fenomeno mafioso. Sino alla fine del 1986 non si era ancora instaurato alcun procedimento penale per fatti concernenti cosa nostra ovvero altre organizzazioni di tipo mafioso.
L) La sensibilità sociale verso il fenomeno mafioso risultava complessivamente piuttosto bassa, e non risultava adeguatamente trainata da una corrispondente sensibilità istituzionale, tant'è che nelle relazioni dei procuratori generali sino agli anni settanta non si faceva mai riferimento alla mafia, limitandosi a ricondurre i fatti delittuosi a fenomeni di criminalità comune.
M) Venivano inoltre rilevati un certo clima di sfiducia generato dall'esito insoddisfacente di alcuni processi dibattimentali, e una sostanziale disattenzione della stampa e della pubblica opinione verso i primi importanti processi per i reati di mafia.

(1) In effetti sul territorio della provincia di Catania insistono tre famiglie dell'organizzazione denominata cosa nostra. La famiglia catanese è presente sin dal 1925 (cfr. sentenza della Corte d'assise di Palermo nel procedimento ABATE G: ed altri), vi è notizia inoltre che dagli anni '50 esiste la famiglia di Ramacca. Nel 1980 si è poi formata la famiglia di Caltagirone guidata dal capomafia Francesco La Rocca. Tuttavia una sola è la formazione che controlla l'intera città , la quasi totalità della provincia e - negli ultimi anni - anche tutta la provincia di Siracusa. Le Famiglie di Ramacca e Caltagirone per la loro esigue consistenza numerica e per le ristrette dimensioni del territorio su cui esercitano il controllo hanno sempre avuto un ruolo subalterno e marginale. A causa della esiguità delle formazioni esistenti, in Cosa Nostra catanese - a differenza di quanto avviene a Palermo ed in altre province dell'Isola - non sono costituiti i mandamenti, ossia gli organismi intermedi che rappresentano più famiglie, ed i cui responsabili - capi mandamento - contribuiscono alla elezione del rappresentante provinciale. (Cfr. Le dichiarazioni rese da Tommaso Buscetta nel processo SANTAPAOLA + 3 n. 27/94). Quest'ultima figura che contraddistingue colui che è chiamato a sedere nell'organismo regionale di coordinamento, verticistico ed unitario, a Catania veniva nominato concordemente dai consigli di famiglia.
(2) Rispetto al programma delle audizioni mancano la dottoressa Marisa Acagnino della DDA, il dottor Giovanbattista Scida', Presidente del Tribunale dei minori di Catania ed il dottor Gaspare La Rosa, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale dei minori di Catania. Risulta invece essere stato audito a differenza di quanto previsto dal programma il Presidente della Provincia, onorevole Nello Musumeci.

Back Forward