Comitato parlamentare Schengen-Europol

DOCUMENTO CONCLUSIVO DELL'INDAGINE CONOSCITIVA
SULLA TRATTA DEGLI ESSERI UMANI

Capitolo I
Introduzione

1. Finalità dell’indagine conoscitiva

Già nello svolgimento dell’indagine conoscitiva sull’attuazione della Convenzione EUROPOL (XIII legislatura, Indagini conoscitive e documentazioni legislative, n. 30) il Comitato aveva potuto constatare l’importanza crescente, fra le forme di criminalità organizzata, della tratta degli esseri umani. Nel presente lavoro, di conseguenza, ci si è proposti, di studiarne il nesso con l’immigrazione clandestina, fenomeno diffuso ma anche di precipuo interesse italiano e, purtroppo, di permanente attualità.
L’indagine conoscitiva è stata quindi deliberata il 5 luglio 2000. Sua finalità è stata quella di cogliere il fenomeno nella sua portata generale, avendo come area di riferimento lo spazio Schengen, con l’obiettivo di fornire taluni elementi di risposta sia sotto il profilo della prevenzione, sia sul versante del contrasto. In questi due piani, infatti, vengono ad intersecarsi le competenze di vigilanza e di controllo del Comitato: appunto lo spazio Schengen e la Convenzione EUROPOL. Lo spazio Schengen è diventato, infatti, zona di destinazione o territorio di passaggio obbligato delle persone trafficate verso altri paesi europei o extraeuropei. EUROPOL ha visto, invece, progressivamente una estensione del proprio mandato di intelligence ed operativo, che ricomprende ora anche la tratta degli esseri umani.
Va preliminarmente avvertito che, sulla medesima tematica, si è concentrata anche l’attenzione del Parlamento ed, in particolare, della Commissione Antimafia. Quest’ultima ha, tra l’altro approvato il 5 dicembre 2000 una ampia e documentata relazione della senatrice De Zulueta (XIII legislatura, Doc. XXIII, n. 49).
Il Comitato, pertanto, non ha inteso riprendere nel documento conclusivo l’insieme delle tematiche su cui pure si è soffermato, sia attraverso le numerose audizioni dei principali soggetti che in Italia ed in Europa sono quotidianamente confrontati con questa problematica, sia attraverso la raccolta e l’analisi di una imponente massa di informazioni e documenti. Questo perché, inevitabilmente, tale esercizio avrebbe comportato una inutile duplicazione di dati e notizie. Ciò vale, soprattutto, per quanto attiene all’analisi del traffico degli esseri umani, alle forme di canali di introduzione e di gestione in Italia delle persone trafficate ed al mercato di sfruttamento di queste ultime.
Il Comitato ha ritenuto preferibile, invece, premessa una essenziale descrizione del fenomeno, corroborata dagli elementi conoscitivi fondamentali, concentrarsi sulle risposte a livello internazionale ed europeo e privilegiare una valutazione più specificatamente politica dell’azione di contrasto a questa forma moderna di schiavitù all’alba del terzo millennio.

Capitolo II
Profili essenziali in tema di tratta degli esseri umani

1. Alcune precisazioni terminologiche

Vale la pena precisare, anzitutto, che nell’espressione "traffico internazionale di persone", che indica, genericamente, tutte le forme di attività criminose che si fondano sul trasferimento, apparentemente legale o totalmente illegale, di persone da uno Stato all’altro, sono ricomprese, di regola, due tipi distinti di situazioni. Da un lato abbiamo il "traffico" (in Italia chiamato soprattutto "tratta") finalizzato allo sfruttamento delle persone che ne sono oggetto ("Traffiking of human beings"). Dall’altro abbiamo il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina (smuggling of migrants", letteralmente "contrabbando di migranti").
La detta distinzione di due species nel genus "traffico o tratta" si è imposta, inizialmente, in relazione alla ripartizione dei compiti operativi nella prassi di organi investigativi nazionali e internazionali, oltreché per comodità decrittive.
Questa distinzione successivamente, e più precisamente dalla metà degli anni ’90, è stata fatta propria da strumenti normativi, qanto a livello di diritto internazionale, quanto a livello di diritto interno.
La formalizzazione prescrittiva ha riguardato dapprima la specie "smuggling", cioè il favoreggiamento della immigrazione clandestina. Per evidenti connessioni con il controllo dei flussi migratori e, soprattutto, dell’immigrazione clandestina, questa condotta criminosa è appositamente contemplata nella Convenzione del 19 giugno 1990 di applicazione dell’Accordo di Schengen. L’articolo 27 della Convenzione, infatti, obbliga le parti concorrenti "a stabilire sanzioni appropriate nei confronti di chiunque aiuti o tenti di aiutare, a scopo di lucro, uno straniero ad entrare o a soggiornare nel territorio di una parte contraente in violazione della legislazione di detta parte contraente relativa all’ingresso o al soggiorno degli stranieri" (par. 1). Questo obbligo nei confronti degli Stati contraenti degli Accordi di Schengen, beninteso, ha funzionato da propulsore per la previsione nelle legislazioni nazionali di una specifica fattispecie criminosa.
Le due species "trafficking" e smuggling figurano, invece, nell'allegato di cui all'articolo 2 della Convenzione che istituisce un Ufficio europeo di polizia, firmata a Bruxelles il 26 luglio 1995. Infatti, fra le forme di criminalità organizzata, viene compreso, per un verso, il reato di "organizzazione clandestina di immigrazione", cioè le azioni intese ad agevolare deliberatamente, a scopo di lucro, l'ingresso ed il soggiorno o il lavoro nel territorio degli stati membri dell'Unione europea, in violazione delle leggi e delle condizioni applicabili agli stati membri; per altro verso, compare, come definizione autonoma, la "tratta degli esseri umani". Quest'ultimo reato ricomprende, ai sensi della decisione del Consiglio dell'Unione del 3 dicembre 1998, che integra la definizione di cui all'allegato predetto, "il fatto di sottoporre una persona al potere reale e illegale di altre persone ricorrendo a violenze o a minacce o abusando di un rapporto di autorità o mediante manovre in particolare per dedicarsi allo sfruttamento della prostituzione altrui o forme di sfruttamento e di violenza sessuale nei confronti di minorenni o al commercio connesso con l'abbandono dei figli. In tali forme di sfruttamento sono comprese le attività di produzione, vendita o distribuzione di materiale pedopornografico".
Per completare le indicazioni di ordine terminologico è opportuno richiamare le definizioni di "traffico di migrazioni" e di "tratta di persone" che figurano nei due protocolli addizionali alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale, aperta alla firma a Palermo il 12 dicembre 2000.
L'espressione "traffico di migranti" indica il procurare, al fine di ricavare, direttamente o indirettamente, un vantaggio finanziario o materiale, l'ingresso illegale di una persona in uno Stato parte di cui la persona non è cittadina o residente permanente (Protocollo sul traffico dei migranti, art. 3, lett. a).
L'espressione "tratta di persone" indica, invece, il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, l'ospitare o accogliere persone tramite l'impiego o la minaccia dell'impiego della forza o di altre forme di coercizione, di rapimento, frode, inganno, abuso di potere o di posizioni di vulnerabilità o tramite il dare o ricevere somme di danaro o vantaggi per ottenere il consenso di una persona che ha l'autorità su un’altra a scopo di sfruttamento. Lo sfruttamento comprende, come minimo, lo sfruttamento della prostituzione altrui o altre forme di sfruttamento sessuale, il lavoro forzato o prestazioni forzate, schiavitù o pratiche analoghe, l’asservimento o prelievo di organi.

2. Il fenomeno della tratta nei suoi dati quantitativi

Le dimensioni quantitative del fenomeno sono particolarmente preoccupanti sia che si accetti una stima di 27 milioni di persone (K. Bales, I nuovi schiavi. La merce umana nell'economia globale, Milano 1999) sia che si ritenga più appropriata la valutazione di 200 milioni di persone (P. Arlacchi, Schiavi. Il nuovo traffico di esseri umani, Milano 1999).
Nella sola Unione europea, poi, con una popolazione complessiva di circa 370 milioni di cittadini europei e oltre 20 milioni di cittadini extracomunitari, gli immigrati clandestini sarebbero da 3 ad 8 milioni.
Le donne trafficate, avviate al mercato della prostituzione, sarebbero 500.000 in tutta l'Europa occidentale. Pur non essendoci al riguardo stime certe, taluni osservatori, con una ricca esperienza come operatori di strada (Don Benzi), ritengono che in Italia siano 50.000, cioè 1/10, tutte trattate come schiave. Di queste un terzo almeno sono minorenni; e solo il 50% delle prostitute sono consapevoli, al momento dell’ingresso in Italia, di essere destinate al mercato della prostituzione.
Un così ingente traffico si traduce in un vero e proprio business. Secondo stime INTERPOL, dal mercato del sesso si ricavano almeno 5-7 miliardi di dollari l'anno e ciascuna donna trattata vale 120-150 mila dollari l'anno. Questo denaro, nelle mani della criminalità organizzata, alimenta la corruzione e consente - ed allo stesso tempo impone - una capillare gestione di questo mercato.
Rispetto al flusso migratorio verso il nostro paese, l'analisi consente di individuare tre principali provenienze. Quella asiatica (cinesi), quella africana (Nigeria) e quella balcanica orientale (Albania, Romania, Bielorussia, Moldavia, Ucraina).
I canali di penetrazione dall'oriente e dall'estremo oriente sono la via degli Urali, del Caucaso, fino alla Serbia per andare di lì o in Albania o in Ungheria. Dall'Ungheria si entra nell'area Schengen via Austria per la Germania o via Slovenia, per l'Italia. Dall'Albania o dal Montenegro un nuovo porto d'imbarco per l'Italia è adesso Scutari, dopo gli accresciuti controlli a Valona ed a Tirana.
Il flusso dalla Nigeria segue, invece, un canale apparentemente o formalmente legale. I migranti sono in possesso di visti temporanei regolari o di documenti di identità o di ingresso falsificati. L'ingresso avviene principalmente per via aerea o per via marittima.

Capitolo III
Cenni alla disciplina internazionale
in tema di prevenzione e contrasto della tratta degli esseri umani

Se, unanimemente, la tratta degli esseri umani è considerata una forma moderna di schiavitù non appare fuori di luogo ripercorrere, sia pure rapidamente, le principali tappe dell'evoluzione della disciplina internazionale, quale risulta dalle manifestazioni di volontà della comunità degli Stati.
Le prime prese di coscienza, al riguardo, si ricollegano al movimento per l'abolizione della schiavitù che trasse indubbio alimento nelle dichiarazioni dei diritti individuali delle rivoluzioni americana e francese. Fu sulla loro scia, infatti, che le potenze europee affermarono solennemente il divieto della schiavitù e della tratta in una serie di conferenze internazionali (Congresso di Vienna del 1815, Conferenze di Berlino del 1888 e di Bruxelles del 1880) e di accordi bilaterali e multilaterali. Tra questi ultimi si segnalano gli accordi sulla tratta delle bianche del 1904 e del 1910 modificati nel 1949, nonché la Convenzione per la tratta delle donne e dei fanciulli del 1921, anch'essa modificata nel 1947.
Fu soltanto nel primo dopoguerra, peraltro, - quando l'iniziativa fu assunta nel quadro della Società delle Nazioni - che si addivenne alla conclusione della Convenzione di Ginevra del 25 settembre 1926 sull'abolizione della schiavitù in ogni sua forma e dovunque essa fosse possibile (resa esecutiva in Italia con R.D. n. 1723 del 1928). Questo accordo assume un notevole significato sul piano dei principi in quanto definisce puntualmente sia la schiavitù che la tratta. La schiavitù è indicata come il possesso in un uomo e l'esercizio da parte di questo, sopra un altro uomo, di tutti o di alcuni degli attributi della proprietà. In tal modo, dunque, la schiavitù è identificata come l'espressione suprema della reificazione umana. La tratta, invece, è indicata come l'atto di cattura, di acquisto, di cessione di una persona in vista di ridurla in schiavitù, nonché ogni atto di acquisto di una schiavo in vista di venderlo o di scambiarlo, ed ogni atto di cessione per vendita o per scambio ed, in genere, ogni atto di commercio o di trasporto di schiavi. La Convenzione del 1926 è stata completata e modificata dalla Convenzione di Ginevra del 7 settembre 1956.
Con specifico riferimento alla tratta per mare occorre menzionare le disposizioni delle Convenzioni sul diritto del mare (Ginevra 1958, Montego Bay 1982) che contemplano il diritto di visita in alto mare.
Il divieto della schiavitù e della tratta degli esseri umani risulta, inoltre, solennemente proclamato nell'art. 4 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948, nella Dichiarazione sui diritti del fanciullo del 1959, nonché nel Patto sui diritti civili e politici delle Nazioni Unite del 1966. Va notato, al riguardo, che la Convenzione n. 182 relativa alla proibizione delle forme peggiori di lavoro minorile e all'azione immediata per la loro eliminazione, adottata dall'organizzazione internazionale del lavoro il 17 giugno 1999 (ratificata e resa esecutiva con legge n. 148 del 2000) ricomprende tra le dette "forme peggiori" tutte le forme di schiavitù nonché l'impiego, l'ingaggio e l'offerta del minore a fine di prostituzione, di produzione di materiale pornografico e di spettacoli pornografici. L'aver voluto ribadire, alle soglie del terzo millennio, un divieto già sancito dai citati strumenti internazionali non può non destare una certa preoccupazione circa la concreta osservanza da parte degli Stati del divieto di riduzione in schiavitù.
A queste affermazioni di carattere universale corrispondono normative di carattere regionale. In Europa vanno menzionati l'art. 4 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo del 1950 e la Carta sociale europea, adottata dal Consiglio d'Europa del 1961. La più recente proclamazione al riguardo è contenuta nell'art. 5 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (Nizza 7 dicembre 2000).
Sulla scorta delle affermazioni contenute negli accordi internazionali nonché nella Dichiarazione universale o nella recente Carta dei diritti o nella pratica degli Stati e degli enti internazionali è facile rilevare l'assoluta concordanza quanto al divieto della schiavitù e della tratta e concludere, pertanto, che esso risulta contemplato da una norma consuetudinaria internazionale di jus cogens, cioè accettata e riconosciuta come tale dalla Comunità internazionale nel suo insieme, ai sensi della Convenzione sul diritto dei trattati del 1969, una norma, cioè, da rendere assolutamente nullo un trattato internazionale che consentisse la schiavitù. Inoltre, merita di essere ricordato che, frutto di una proposta italiana, l’art. 7, comma 1, lett. g) dello Statuto della Corte penale internazionale (Roma, 17 luglio 1998) contempla tra i "crimini contro l’umanità", lo stupro, la schiavitù sessuale, la gravidanza, la sterilizzazione e la prostituzione forzate. La configurazione di tali fattispecie come crimini contro l’umanità comporta talune conseguenze quali, in particolare: a) la deroga al principio della territorialità del crimine e a quello della nazionalità del reo o della vittima; b) l’imprescrittibilità del crimine; c) l’applicabilità del principio di diritto internazionale aut dedere aut judicare, cioè l’obbligo di estradare ad altro Stato richiedente il presunto responsabile, qualora lo Stato ove esso si trovi non intenda perseguirlo.
Va peraltro segnalato, a proposito della prostituzione forzata, che la fattispecie può rientrare nella competenza della Corte penale internazionale solo nel caso in cui sia "part of a widespread or systematic attack directed against any civilian population, with knowledge of the attack" (articolo 7, comma 1). Ora, come è stato fatto osservare, queste circostanze non ricorrono, salvo casi e situazioni eccezionali, nel fenomeno del trafficking, come oggi è conosciuto nell’Europa occidentale
L'assolutezza e l'inderogabilità del divieto non esclude ed anzi richiede misure complementari tali da renderlo effettivo. La Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale ed i due Protocolli sul traffico di migranti e la tratta degli esseri umani, aperti alla firma a Palermo il 12 dicembre 2000, costituiranno, una volta ratificati da almeno 40 Stati, strumento di sicura rilevanza in tema di prevenzione e contrasto ai reati di cui ci occupiamo.
Gli accordi in questione trovano origine, com'è noto, nella dichiarazione e nel piano d'azione contro la criminalità organizzata transnazionale, adottati a Napoli nel 1994 e sono stati elaborati da un Comitato ad hoc istituito dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite con la risoluzione 53/111 del 9 dicembre 1998.
Vale la pena precisare che la Convenzione si applica, salvo disposizione contraria, alla prevenzione, investigazione ed esercizio dell'azione penale rispetto ad una serie di reati aventi natura transnazionale. Tale natura inerisce ai reati: a) commessi in più di uno Stato; b) commessi in uno Stato ma preparati, pianificati, diretti o controllati in un altro Stato; c) commessi in uno Stato ma implicanti un gruppo criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di uno Stato; d) commessi in uno Stato ma aventi effetti sostanziali in altro Stato (art. 3).
Nel rispetto della sovranità degli Stati parte, la Convenzione stabilisce l'obbligo di incriminazione nelle legislazioni nazionali dei reati di partecipazione ad organizzazione criminale, riciclaggio, corruzione ed ostruzione. Contiene, inoltre, sia disposizioni di cooperazione giudiziaria (estradizione e mutua assistenza) e di polizia, sia misure di protezione dei testimoni nonché di assistenza tecnica ai paesi in via di sviluppo. La Convenzione, infine, stabilisce un sistema di monitoraggio dell'attuazione affidata alla Conferenza degli Stati-parte.
Un rilievo peculiare assumono poi, con riguardo alla presente indagine, i due Protocolli addizionali che colmano una lacuna della disciplina internazionale in materia.
Entrambi i Protocolli hanno una duplice finalità: quella di essere applicabili, per un verso, alla prevenzione, attività di indagine e di perseguimento dei reati implicati; per altro verso, quella di assicurare la tutela delle vittime della tratta ed i diritti dei migranti oggetto di traffico clandestino.
Rispetto ai migranti è affermato il significativo principio che essi non sono penalmente responsabili per il fatto di essere oggetto dei reati ascritti al gruppo criminale (Prot. migranti art. 5).
Misure specifiche sono dettate contro il traffico dei migranti via mare. Disposto centrale, al riguardo, è l'art. 8, par. 2, in base al quale uno Stato-parte quando sospetti che una nave sia coinvolta in un traffico di migranti può chiedere allo Stato della bandiera l'autorizzazione a fermare la nave, ispezionarla e, nel caso che si accerti il coinvolgimento nel traffico, prendere le misure rispetto alla nave, alle persone ed al carico, informandone immediatamente lo Stato della bandiera. Sono fatte salve, comunque, le misure necessarie per scongiurare un pericolo imminente per la vita delle persone. Va assicurata, in ogni caso, l'incolumità ed il trattamento umano delle persone a bordo e non bisogna mettere in pericolo la sicurezza della nave o del suo carico.
L'esperienza dimostra che, nella materia di cui ci stiamo occupando, indispensabili appaiono le misure di prevenzione e quelle di cooperazione. Ciò specie per gli Stati-parte che abbiano confini comuni o che siano situati in corrispondenza di itinerari lungo i quali avviene il traffico di migranti.
La cooperazione tecnica è prevista a favore dei paesi di origine e di transito. Quanto, infine, alle misure di tutela, si richiede di facilitare il ritorno dei migranti oggetto di tratta, tenendo conto dell'incolumità e della dignità della persona.
Il Protocollo sulla tratta contiene, in particolare, norme a tutela delle vittime, che prevedono, fra l'altro, la protezione della loro riservatezza ed identità, anche escludendo la pubblicità per i procedimenti giudiziari. Contempla, inoltre, disposizioni finalizzate alla assistenza e protezione, con misure di recupero fisico, psicologico e sociale, la fornitura di alloggio, l'assistenza sanitaria, l'opportunità di inserimento nonché di risarcimento del danno.
E' prescritto, inoltre, agli Stati-Parte di favorire il ritorno nel paese di origine obbligando gli Stati di cui i trafficati sono cittadini di fornire i documenti di viaggio. In ogni caso, il ritorno dovrebbe essere prevalentemente volontario.
Vale la pena, infine, ricordare il Piano operativo, firmato a Catania nel dicembre 2000 in occasione della Conferenza delle Nazioni Unite. Questo piano si propone di promuovere iniziative nel campo della cooperazione internazionale (azioni di prevenzione, azioni destinate alla difesa dei diritti umani ed azioni relative all'assistenza delle vittime) e di anticipare le modalità di collaborazione previste dal protocollo sul traffico di persone.

Capitolo IV
Le iniziative dell'Unione Europea contro la tratta degli esseri umani

E' solo con l'istituzione dell'Unione europea da parte del trattato di Maastricht del 1992 che la cooperazione fra gli Stati membri in tema di giustizia e affari interni si mette in completo movimento. In sede di elaborazione del Trattato sull'Unione Europea (TUE), peraltro, non si era formata ancora una specifica sensibilità per il tema della tratta. Infatti, essa non figura, a differenza del traffico illecito della droga, tra le forme di criminalità organizzata, esplicitamente contemplate dall'art. K. 1 del TUE.
Ciò non ha impedito, tuttavia, che fossero adottate, prima, un programma, corredato di incentivi e di scambi tra uffici responsabili all'interno degli Stati membri, volto al contrasto del traffico di esseri umani ed allo sfruttamento sessuale dei minori (Programma STOP) e, successivamente, una azione comune del 24 febbraio 1997, proposta dal Belgio, concernente la lotta contro la tratta degli esseri umani e lo sfruttamento sessuale dei bambini. Questa azione comune, peraltro, non ha avuto una grande efficacia, dato che non ha indicato agli Stati membri le soglie minime per la fissazione di sanzioni penali.
L'intensificazione delle prese di posizione negli Stati membri peraltro hanno indotto ad un serio mutamento di prospettiva. Anzitutto, nell'aprile 1997, si tenne a L'Aja la Conferenza ministeriale sulla cooperazione nella lotta contro la tratta degli esseri umani e contro la tratta delle donne a fini di sfruttamento sessuale. In secondo luogo, gli Stati membri decisero di costituzionalizzare il tema della tratta.
Il Trattato di Amsterdam, firmato il 20 novembre 1997 ed entrato in vigore il 1° febbraio 1999, promuove ad obiettivo dell'Unione quello di fornire ai cittadini un livello elevato di sicurezza in uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia. In questo quadro è previsto lo sviluppo di una azione comune nel settore della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale. La tratta viene esplicitamente menzionata accanto al traffico di droga (art. 29 TUE). Nel campo della armonizzazione delle legislazioni, tuttavia, la tratta non venne compresa tra i settori giudicati prioritari, a differenza del terrorismo e del traffico di stupefacenti (art. 69).
Questo ordine di priorità doveva essere ben presto modificato. Il piano di azione del Consiglio e della Commissione, adottato dal Consiglio il 3 dicembre 1998, è venuto ad inserire, infatti, "la tratta degli esseri umani e lo sfruttamento sessuale dei bambini, tra i reati per cui entro 2 anni dall'entrata in vigore del Trattato di Amsterdam (cioè entro la tarda primavera del 2001) occorre valutare la necessità e l'urgenza di adottare misure per la fissazione di norme minime relative agli elementi costitutivi e alle sanzioni, e, se necessario, mettere a punto le misure conseguenziali" (punto 46).
E' stato, comunque, il Consiglio europeo straordinario di Tampere del 15-16 ottobre 1999 a costituire il più forte impulso alla armonizzazione delle legislazioni penali in materia di traffico a fini di sfruttamento. Nelle conclusioni, infatti, il Consiglio europeo si dichiara determinato ad affrontare alla radice l'immigrazione illegale, soprattutto contrastando coloro che si dedicano alla tratta di esseri umani e allo sfruttamento economico del migrante. Il Consiglio europeo invita ad adottare norme che prevedono sanzioni ed una normativa a tal fine (punto 28).
Inoltre, per quanto riguarda le legislazioni penali nazionali, gli sforzi volti a concordare definizioni, incriminazioni e sanzioni comuni dovrebbero concentrarsi in primo luogo su di un numero limitato di reati di particolare importanza, come, appunto, la tratta di esseri umani e, nel suo ambito, lo sfruttamento sessuale delle donne e dei bambini (punto 48).
All'impulso del Consiglio Europeo di Tampere, ha corrisposto una notevole produzione normativa.
Per quanto più direttamente attiene alla presente indagine si segnalano alcuni atti che disciplinano la materia.
Anzitutto, il regolamento del Consiglio (CE) n. 2725/2000 dell'11 dicembre 2000 che istituisce l'EURODAC per il confronto delle impronte digitali per l'efficace applicazione della Convenzione di Dublino del 1990 sulla determinazione dello Stato competente per l'esame di una domanda di asilo presentata in uno Stato membro.
La finalità del regolamento, cui non partecipa la Danimarca, è quella di creare una unità centrale, presso la Commissione europea, incaricata di gestire una banca dati informatizzata collegata con le analoghe banche dati degli Stati membri. Questi ultimi sono obbligati a rilevare tempestivamente le impronte digitali dei richiedenti asilo di età non minore di 14 anni, nonché di coloro che siano stati fermati in relazione all'attraversamento, realizzato via terra, mare o aria, delle frontiere degli Stati membri, in provenienza dagli Stati terzi e che non siano stati respinti.
Inoltre, una proposta di direttiva del Consiglio attualmente in discussione definisce il delitto di favoreggiamento dell'ingresso, della circolazione e del soggiorno illegali. La direttiva, fondata sul titolo IV del Trattato CE e costituente sviluppo dell'acquis di Schengen, prescrive agli Stati membri di considerare reato e di adottare sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive il fatto di agevolare intenzionalmente con attività di favoreggiamento dirette o indirette l'immigrazione, la circolazione illegale sul proprio territorio di uno straniero che non sia cittadino di uno Stato membro, perseguendo allo stesso modo il concorso, l'istigazione ed il tentativo.
Infine, la decisione del Consiglio 2000/799/GAI del 14 dicembre 2000, relativa all'istituzione di un'Unità provvisoria di cooperazione giudiziaria, anticipa l'istituzione di Eurojust nell'ottica di rafforzare la lotta contro le forme gravi di criminalità organizzata.
La decisione, basata sull'iniziativa di Germania, Portogallo, Francia, Belgio e Svezia, mira al coordinamento delle attività di indagine e delle azioni giudiziare in materia di criminalità che coinvolgano due o più Stati membri, nonché a stimolare la loro cooperazione e a fornire consulenza nella prospettiva della negoziazione e adozione di Eurojust. L'unità, presso la quale gli Stati membri designano un procuratore, un giudice o un funzionario di polizia ed ai cui lavori la Commissione europea è pienamente associata, dovrebbe appoggiare, altresì, il coordinamento e lo svolgimento delle attività delle squadre investigativi comuni.
Inoltre, sul piano degli atti di indirizzo, giova ricordare che il Parlamento europeo il 19 maggio 2000 ha approvato all'unanimità una risoluzione, basata sulla relazione dell'on. Sorensen, raccomanda agli Stati membri di potenziare la cooperazione nell'azione di prevenzione, repressione e contrasto alla tratta di esseri umani, anche attraverso l'istituzione di una specifica figura di reato. Va sottolineato come la risoluzione (paragrafo 14) inviti gli Stati membri a "nominare senza indugio un relatore nazionale sulla tratta delle donne" ribadendo una richiesta già formulata nella dichiarazione ministeriale dell'Aja del 24-26 aprile 1997.
Infine, il tema della tratta di persone è tra quelli su cui si concentra l'attività dell'Unità operativa dei capi della polizia degli Stati membri dell'Unione, istituita a seguito delle conclusioni del Consiglio Europeo straordinario di Tampere.

Capitolo V
Lineamenti della normativa italiana in tema di tratta

Il codice penale del 1930 contiene quattro norme applicabili al tema di cui ci occupiamo. Si tratta: a) dell'articolo 600, che prevede e sanziona la riduzione in schiavitù o in una condizione analoga; b) dell'articolo 601, che prevede e sanziona la tratta e il commercio di schiavi; c) dell'articolo 602, che prevede e sanziona, anche in funzione residuale, l'acquisto e la detenzione di schiavi; d) l'articolo 604, che prevede l'applicabilità delle precedenti norme quando il fatto è commesso all'estero ovvero in danno del cittadino italiano.
Per quanto riguarda la interpretazione dell’espressione "condizione analoga alla schiavitù" che figura all'articolo 600, vale la pena di ricordare che, secondo l'insegnamento della Corte costituzionale (sentenza n. 96 del 1991) il riferimento va fatto alla Convenzione di Ginevra del 1956 ed, in particolare, all'elenco di cui all'articolo 1 di questa fonte comprendente: la servitù per debiti, il servaggio o servitù della gleba; nonché le istituzioni e pratiche sociali che consentano: 1) la vendita di una donna nubile come sposa; 2) la vendita di una donna maritata; c) la vendita di un minore di anni diciotto in vista dello sfruttamento del suo lavoro o della sua persona.
La Cassazione (sentenza del 16 dicembre 1998), infatti, ha riconosciuto l'applicabilità dell'articolo 600 del codice penale allo sfruttamento di immigrati clandestini.
Con riferimento al delitto di riduzione in schiavitù (articolo 600 codice penale) conviene ricordare che la condotta punibile consiste nel comportamento commissivo che abbia come risultato, per un verso, l'affermazione di un diritto reale, anche parziale, dell'uomo sull'uomo e, per l'altro, la privazione o compressione della capacità giuridica e dello stato di libertà del soggetto passivo. E' un reato a forma libera, cioè indeterminato nelle sue modalità esecutive, di danno e permanente (cioè si consuma nel momento in cui la vittima acquista lo status di schiavo e cessa nel momento in cui la vittima riacquista la libertà). In ogni caso, il consenso della persona offesa non costituisce scriminante in quanto il bene della libertà è indisponibile. Il dolo è generico ed è sicuramente configurabile il tentativo.
Rispetto al delitto di tratta o commercio di schiavi (articolo 601 codice penale) è opportuno precisare che si configura come reato di danno, eventualmente permanente, dato che può realizzarsi istantaneamente ovvero protrarsi nel tempo. Il dolo è generico in quanto le finalità lucrative non costituiscono il perseguimento di uno scopo ulteriore rispetto all'evento. Il tentativo non è configurabile, in quanto la condotta punibile presuppone la sua realizzazione.
Per quanto riguarda, in particolare, il traffico a fini di sfruttamento (sessuale, lavorativo, ecc..) va sottolineato che le relazioni condotte integrano anche gli estremi di una o più fattispecie di reato tradizionali (dalle meno gravi forme di abuso di autorità, alla violenza privata, alle forme più gravi, come la violenza sessuale, il sequestro di persona, fino al diritto di riduzione in schiavitù).
Le previsioni del codice del 1930 sono state recentemente completate dall'articolo 9 della legge n. 269 del 1998, relativa alla tratta o al commercio di minori al fine di ridurli alla prostituzione. Questa norma ha introdotto nel codice penale gli articoli 600-bis e 600-septies che puniscono fatti delittuosi compiuti da cittadini italiani all'estero e attribuiscono agli organi inquirenti le facoltà di investigazione relativa e alla criminalità organizzata.
Infine, la stessa legge n. 269 del 1998 ha modificato il comma 2 dell'articolo 601 per riferirsi alla tratta avente ad oggetto i minori di anni diciotto al fine di indurli alla prostituzione.
Il decreto legge 24 novembre 2000, n. 341 recante disposizioni urgenti per l'efficacia e l'efficienza dell'Amministrazione della giustizia (la cui legge di conversione è in via di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale) contiene alcune misure a tutela dei minori di sicuro rilievo nella materia di cui ci occupiamo. Viene prolungato, infatti, il termine di durata delle indagini per alcuni gravi delitti legati allo sfruttamento sessuale dei minori, come la prostituzione, la pornografia, la tratta e il commercio di schiavi e la violenza sessuale. Inoltre, viene limitata l'ammissione ai benefici penitenziari nei confronti di componenti di associazioni a delinquere dediti allo sfruttamento sessuale di minori e alla riduzione in schiavitù.
Va menzionato, poi, l'articolo 3, primo capoverso, nn. 6 e 7 della "legge Merlin" n. 75 del 1958, in cui è prevista la punizione di chi esplica un'attività in associazioni o in organizzazioni nazionali o estere dedite al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o al suo sfruttamento; nonché l'ipotesi di un trasferimento di una persona da un luogo all'altro del territorio nazionale in relazione all'attività di prostituzione.
Ancora va ricordato l'articolo 12 del T.U sull'immigrazione n. 286 del 1998 con cui si punisce chi pone in essere l'attività di migrazione al fine di reclutare persone da destinare alla prostituzione o al suo sfruttamento o l'ingresso di minori da impiegare in attività illecite al fine di favorirne lo sfruttamento.
Infine, disposizioni specifiche figurano nel codice della navigazione (articoli 1152 e 1153) a dimostrazione del rilievo che il traffico di schiavi assumeva nel passato e assume ancora.
E' del tutto evidente che la natura delittuosa di tutte le fattispecie indicate comporta la possibilità di utilizzare norme in materia di reati di associazione (art. 416 codice penale) e di associazione di stampo mafioso (articolo 416-bis codice penale).
Ispirandosi ad una considerazione di diversa natura, con la finalità di combinare un'efficace azione repressiva con la necessità di proteggere le vittime, l'articolo 18 del T.U. sull'immigrazione n. 286 del 1998 prevede la concessione di uno speciale permesso di soggiorno temporaneo a favore delle vittime. Questa norma consente l'attivazione di periodi di recupero sociale a favore delle vittime che abbiano tentato di sottrarsi alla condizione di schiavi e che offrono un contributo allo smascheramento di organizzazioni criminali. Secondo i dati forniti dal dipartimento della pubblica sicurezza, servizi immigrazione e polizia di frontiera al 31 dicembre 2000 risultano rilasciati 725 permessi a fini di protezione di cui 675 a donne 51 a uomini.

Capitolo VI
Gli accordi bilaterali tra l'Italia e altri Stati

La natura di reato transnazionale della tratta e la relativa azione di contrasto necessita, ovviamente, della cooperazione degli Stati interessati (origine, transito, destinazione).
In questa direzione vanno gli oltre 20 accordi che l'Italia ha concluso con altri Stati relativi alla riammissione delle persone in condizione irregolare, in massima parte già in vigore.
Si tratta di accordi sia con Stati membri dell’Unione europea (Francia, Austria, Grecia, Spagna) sia con Stati terzi europei (Svizzera, Bulgaria, Slovacchia, Romania, Ungheria, Albania, Polonia, Slovacchi, Federazione jugoslava, Slovenia, Croazia, Macedonia, Georgia, Lituania, Lettonia ed Estonia) sia, con Stati africani (Tunisia, Marocco e Algeria) sia, infine, con gli Stati Uniti.
Detti accordi, di regola, seguono un modello uniforme. Essi prevedono, per un verso, la riammissione dei propri cittadini che non soddisfino più i requisiti per l’ingresso e il soggiorno. Per altro verso contengono disposizioni puntuali in tema di riammissione di cittadini di Paesi terzi. In particolare, è previsto l’obbligo per le Parti contraenti di riammettere nel proprio territorio, su richiesta, da effettuare normalmente entro 3 mesi dalla constatazione della posizione irregolare, e senza particolari formalità i cittadini di Stati terzi qualora siano entrati nei rispettivi territori dopo aver soggiornato o dopo aver transitato nel territorio di una delle Parti contraenti o siano in possesso di un visto o permesso di soggiorno in corso di validità rilasciato da una delle Parti.
Gli Stati contraenti si impegnano ad inviare lo straniero in via prioritaria verso il paese di origine ed ad accollarne le spese di trasporto al richiedente.
Inoltre, le parti contraenti si obbligano ad autorizzare il transito per allontanamento o il transito conseguente ad un provvedimento di rifiuto di ingresso nel territorio. Gli stranieri devono essere scortati, qualora non siano avviati con il mezzo aereo.
Una serie di eccezioni è prevista all’allontanamento qualora lo straniero rischi di subire, nello Stato di destinazione o in qualsiasi altro Stato ove possa essere trasferito successivamente, pene disumane, la pena di morte o, comunque, pericolo di vita ovvero di essere imputato o di vedersi eseguita una condanna penale, a meno che quest’ultima non riguardi l’ingresso illegale.
L’accordo con la Tunisia e quello recentissimo (12 settembre 2000) con la Nigeria contengono, altresì, disposizioni miranti a fornire una risposta pertinente alla sfida rappresentata dall’immigrazione clandestina, nel rispetto dei diritti delle persone. Si intende, cioè, eliminare le cause intrinseche dell’immigrazione clandestina permettendo la creazione di opportunità di lavoro e di prosperità. Così, l’intesa con la Tunisia prevede che l’Italia: a) conceda ai cittadini tunisini il trattamento preferenziale in materia di contingenti annuali di ingresso per motivi di lavoro; b) fornisca alla Tunisia un supporto in mezzi tecnici ed operativi ai fini della prevenzione e del contrasto all’emigrazione clandestina; c) agevoli la riammissione fornendo un contributo pari a 500 milioni di lire, sotto forma di dono, per la realizzazione in Tunisia di centri di permanenza.
L’accordo con la Nigeria, invece, prevede l’impegno italiano a fornire: a) assistenza tecnica su questioni migratorie; b) formazione professionale di funzionari consolari e del servizio di immigrazione nigeriano, nonché di cooperazione in materia di controllo dell’Hiv/Aids e di altre malattie a trasmissione sessuale quale parte del processo di reinserimento e integrazione nella società delle persone interessate.
Va ricordata, inoltre, l'intesa con gli Stati Uniti del maggio 1998, rinnovata nel luglio 1999 ed ora in fase di attuazione. L'accordo impegna i contraenti a prendere misure contro il traffico ed istituisce un gruppo di lavoro. Gli impegni principali consistono: nell'intensificazione dello scambio di informazioni tra i due paesi, nella realizzazione di un programma di formazione destinato ai funzionari di polizia italiana, statunitensi o di paesi di origine dei flussi di traffico, nella predisposizione di azioni di contrasto della tratta di donne in Nigeria ed, infine, scambi di informazioni tra organizzazioni non governative su modelli di assistenza delle vittime della tratta e iniziative comuni nelle varie sedi internazionali.
Infine, vanno menzionati gli accordi di cooperazione tra le forze di polizia italiani e quelle di altri Stati (come ad esempio l'accordo con la Turchia, siglato il 22 settembre 1998 e ampliato il 23 gennaio 2001) nonché gli accordi di cooperazione transfrontaliera firmati dall'Italia con i paesi confinanti (come quello con la Slovenia entrato in vigore il 5 dicembre 2000).

Capitolo VII
Le iniziative del Governo

Il Governo ha promosso una serie di azioni volte allo studio, all’analisi ed individuazione dei mezzi idonei ad affrontare il fenomeno della tratta. La strategia seguita è opportunamente fondata sull’integrazione dell’aspetto repressivo e di polizia con quello della protezione dei diritti delle persone.
Sul piano ordinamentale, fatte salve, beninteso, le competenze del Ministero dell'Interno, il Dipartimento per le pari opportunità esercita funzioni di proposta, di indirizzo e di coordinamento anche delle azioni di contrasto della tratta ed esercita funzioni di coordinamento in tema di programmi di integrazione sociale delle vittime.
Dal 24 febbraio 1998, presso lo stesso Dipartimento, opera sotto la presidenza congiunta del Ministro per le pari opportunità e del Ministro per la solidarietà sociale il Comitato interministeriale di coordinamento delle azioni di Governo contro la tratta delle donne e dei minori a fini di sfruttamento sessuale.
Inoltre, una Commissione interministeriale, che comprende rappresentanti dei Ministeri dell'interno e della giustizia insieme a quelli del Dipartimento per le pari opportunità e per gli affari sociali ha il compito di indirizzare, controllare e programmare le risorse per l'attuazione dei programmi di assistenza ed integrazione sociale previsti dall'articolo 18 del testo unico n. 286 del 1998; sono stati approvati 49 progetti dei 61 presentati. Una convenzione, firmata il 29 febbraio 2000, prevede la partecipazione di enti locali e di organizzazioni onlus. Di recente, poi, il Governo ha esteso i detti programmi anche alle vittime di sfruttamento lavorativo e non più soltanto a quelle sfruttate sessualmente.
Ancora, un gruppo di lavoro per l'esame, lo studio e l'approfondimento delle problematiche concernenti la tratta di donne e minori a fini di sfruttamento sessuale nonché per la ricerca di nuove e più incisive strategie di intervento è stato insediato nel giugno 2000 presso il Ministero dell’Interno.
Infine, il 26 luglio 2000 è stato attivato un numero verde contro la tratta delle donne (800290290) realizzato da un coordinamento nazionale e collegato con quindici punti locali. Gli obiettivi del servizio, che è stato pubblicizzato con una campagna di comunicazione nazionale e che è in funzione ogni giorno dalle 12 alle 24, sono, per un verso, di fornire informazioni alle donne, ai clienti ed a chiunque si ponga come tramite tra le donne ed il servizio, sulle opportunità per sottrarsi alla prostituzione coatta. Per altro verso, il servizio pone in collegamento gli interessati con le associazioni di volontariato, le aziende sanitarie locali, le questure, le strutture religiose e quelle consolari in modo che sia facilitata la fornitura di assistenza. Al 18 gennaio 2001 il servizio ha gestito 27.613.000 chiamate di cui più di 3153 da parte di vittime trafficate che hanno ricevuto assistenza ed aiuto.
Sotto il profilo del contrasto all'immigrazione clandestina, che alimenta e si intreccia con il traffico di esseri umani, merita di essere segnalata l’acquisizione, da parte delle forze di polizia di strumentalizzazioni tecnologicamente avanzate, quali sistemi mobili a raggi x e a raggi gamma per il controllo non invasivo del containers, biosonde per il controllo dei vagoni ferroviari che, attraverso l'analisi del biossido di carbonio, permettono di rilevare la presenza di clandestini a bordo nonché sistemi laser portatili per l'individuazione di intercapedini all'interno del containers e nuovi radar fissi e mobili utili per individuare piccole imbarcazioni.
Per effettuare una prevenzione efficace a monte, il Ministero dell'interno ha provveduto inoltre alla riorganizzazione della presenza di personale specializzato della Polizia di stato presso 35 uffici consolari italiani nei paesi di provenienza dei principali flussi migratori (14 in Europa, 13 in Africa, 5 in Asia e 3 in America Latina).
Si connette al contrasto dell’immigrazione clandestina anche la politica della concessione di visti per l’ingresso legale in Italia. In effetti, a fronte della presenza in Italia di cittadini di paesi quali, in particolare, la Cina e la Nigeria, ci si è chiesti se è come sia possibile eludere il sistema dei controlli nell’ambito della mondializzazione del traffico di esseri umani. L’accesso dagli indicati paesi, e soprattutto, dalla Nigeria, lascia presumere l’uso del mezzo aereo. Ora, è noto che il controllo del traffico aeroportuale dovrebbe essere più semplice rispetto a quello marittimo e terrestre.
In materia, l’assetto normativo si fonda su di un insieme di norme. Anzitutto il Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero (Decreto legislativo n. 286 del 1998; in secondo luogo il regolamento attuativo del suddetto Testo Unico (D.P.R. n. 394 del 1999); in terzo luogo il decreto interministeriale del 12 luglio 2000 in materia di visti di ingresso; in quarto luogo la nuova circolare organica sui visti in via di emanazione. Queste disposizioni, ovviamente, tengono conto degli impegni internazionali del paese e, soprattutto, degli Accordi di Schengen e degli obblighi comunitari.
In particolare, il decreto interministeriale del 12 luglio 2000 riordina le tipologie dei visti corrispondenti ai diversi motivi di ingresso (adozione, affari, cure mediche, diplomatico, familiari a seguito, gara sportiva, inserimento nel mercato del lavoro, invito, lavoro autonomo, lavoro subordinato, missione, motivi religiosi, reingresso, residenza elettiva, ricongiungimento familiare, studio, transito aeroportuale, transito trasporto, turismo, vacanze-lavoro), nel rispetto dell’acquis Schengen i c.d. "visti uniformi". Si distinguono visti per il transito aeroportuale, validi solo nelle zone internazionali degli aeroporti, visti per il transito, validi per massimo 5 giorni e visti per soggiorni di breve durata, con validità massima di 90 giorni.
Fra le nuove tipologie di visto, il decreto interministeriale prevede il visto per "inserimento nel mondo del lavoro" che viene rilasciato solo in presenza di una forma di garanzia nominativa offerta da un residente in Italia, vagliato dalla Questura competente. Il detto visto consentirà al beneficiario di soggiornare in Italia per un anno al fine di ricercare un lavoro. E’ tenuto a lasciare il territorio, al termine del soggiorno, chi non abbia trovato una collocazione lavorativa legale. Una eccezione è già prevista per i cittadini di alcuni paesi (per il 2000 Albania, Marocco e Tunisia) per i quali si prescinde dalla garanzia da parte di un residente in Italia qualora risultino iscritti in apposite liste di collocamento tenute dalle nostre ambasciate.
L’Italia, nell’anno del Giubileo ha concesso circa 1 milione di visti (750 mila nel 1999). Nel 2000, peraltro, la Germania e la Francia ne hanno concessi almeno il doppio (rispettivamente 2 milioni e 300 mila e quasi 2 milioni nel 1999). Secondo l’analisi del Ministero degli Esteri mentre questi dati appaiono giustificati per quanto riguarda la Francia, che accoglie ogni anno il doppio dei turisti italiani e che ha una serie di accordi con le ex colonie, maggiori perplessità sussistono per la Germania. Risulta, inoltre, dalle indagini avviate da diverse procure italiane che gli stranieri clandestini che vengono trovati nel nostro paese nella maggior parte dei casi non sono forniti di alcun visto e, tra quelli che lo hanno, solo una minima parte lo ha ricevuto da consolati italiani. Spesso, soprattutto per i cittadini dell’est europeo, i visti sono stati concessi dai consolati tedeschi ed austriaci.
Il Ministero degli Esteri, il cui ufficio visti effettua un controllo centrale, in collegamento con il Ministero dell’Interno, opera un monitoraggio continuo sull’attività degli uffici consolari all’estero. Tuttavia, data la carenza di personale (nei 180 uffici consolari operano non più di 350 persone, contro i 1000 tedeschi, e gli 800 francesi) non è possibile garantire che tutti i visti rilasciati abbiano i requisiti richiesti. Ciò in particolare è vero per i visti richiesti mediante agenzie turistiche rispetto ai quali il controllo avviene campione.
E’ stato avviato, comunque, un monitoraggio sui cittadini italiani che invitano stranieri: un programma informatizzato evidenzia qualsiasi cittadino che inviti almeno 2 stranieri nell’arco di un anno. Ciò consente di avere un referente dietro ogni cittadino straniero che viene in Italia.

Capitolo VIII
Linee guida del Testo unificato recante misure contro il traffico di persone

La II Commissione permanente (Giustizia) della Camera dei Deputati, dopo aver licenziato nel dicembre 2000 il testo unificato delle proposte di legge n. 5350 (Pozza Tasca e altri) del 2 novembre 1998, n. 5881 (Albanese e altri) del 7 aprile 1999 e del disegno di legge n. 5839 (Governo D’Alema) del 23 marzo 1999, sta attualmente discutendo, in sede di Comitato dei Nove, gli emendamenti presentati in Aula.
La principale finalità del provvedimento è quella di configurare la condotta diretta all’organizzazione e all’attuazione del traffico delle donne con una specifica ed autonoma ipotesi di reato. Infatti, come si è riferito in sede di esame della normativa vigente, a fronte delle norme del Codice Rocco, la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione (Sezioni Unite, sentenza n. 261 del 1996) ha ricondotto la tratta alle previsioni contenute nel capo concernente i delitti contro la personalità individuale e, segnatamente, a quello relativo alla riduzione in schiavitù (art. 600), applicando, peraltro, questa norma prevalentemente ai soli casi in cui la vittima era un minore.
Nella costruzione della nuova fattispecie criminosa si è tenuto conto delle difficoltà interpretative di accertamento riscontrate a proposito della riduzione in schiavitù. Questa figura, peraltro, è stata ampliata e precisata.
Infatti, accanto alla riduzione in schiavitù è stata prevista la riduzione in servitù. Agli effetti della legge penale, nel nuovo art. 600 codice penale, per schiavitù, si intende "la condizione di una persona sottoposta, solo di fatto, a poteri corrispondenti a quelli del diritto di proprietà o di altro diritto reale o vincolata al servizio di una cosa". Per servitù si intende, invece, "la condizione di soggezione di una persona costretta a rendere prestazioni sessuali o di altra natura".
Per entrambe le figure si propone l’elevazione in misura considerevole della pena edittale fissata da otto a venti anni.
Inoltre, il testo unificato introduce, dopo l’abrogazione degli attuali articoli 601 e 602, l’articolo 602-bis, specificamente inerente al traffico di persone.
La nuova fattispecie criminosa esige una condotta posta in essere mediante violenza, minaccia o inganno e consiste nella coartazione ovvero nella induzione di una o più persone a fare ingresso oppure a soggiornare, ad uscire dal territorio dello Stato e trasferirsi all’interno dello stesso. E’ richiesto il dolo specifico che può assumere una triplice forma e cioè riguardare la sottoposizione al lavoro forzato, lo sfruttamento di prestazione sessuali o, comunque, una condizione di servitù.
La pena edittale ha la stessa misura (da otto a venti anni) di quella prevista per la riduzione in schiavitù, ma è aumentata se i fatti sono commessi a danno di minori di diciotto anni. E’ prevista, altresì, una specifica incriminazione per le associazioni finalizzate al traffico di persone.

Capitolo IX
Conclusioni

Le risultanze dell’indagine conoscitiva, quali emergono dalle numerose audizioni effettuate e dall’ampissimo materiale documentario raccolto ed esaminato, evidenziano la rilevanza, assolutamente peculiare, che il fenomeno della tratta di esseri umani ha assunto nella coscienza della comunità internazionale, nelle iniziative dei Governi e dei Parlamenti, nelle attività degli enti internazionali, sia universali (Nazioni Unite) che regionali (Unione europea e Consiglio d’Europa nel nostro continente) e, last but not least nell’opinione pubblica, sempre più sollecitata dai mass-media.
I processi di globalizzazione dell’economia e gli accordi miranti a creare in talune aree (come quella dell’Unione europea) la soppressione delle frontiere interne, per un verso, hanno accresciuto le diseguaglianze fra le regioni del mondo provocando un aumento esponenziale dei flussi migratori; per altro verso, hanno reso particolarmente arduo il contrasto all’immigrazione clandestina.
Nessuno nega che la tratta degli esseri umani e l’immigrazione clandestina siano fenomeni strettamente correlati. E’ un fatto, peraltro, che la predisposizione della strumentazione, internazionale ed interna, di contrasto apprestata per i due fenomeni non ha avanzato di pari passo. Ciò è provato dal fatto che, sul piano universale, sono stati appena aperti alla firma a Palermo i due protocolli delle Nazioni Unite sul traffico e sulla tratta e, per quanto riguarda l’ordinamento italiano, pur essendone stato interessato da almeno due anni il Parlamento non è riuscito ancora a varare le misure contro il traffico di esseri umani.
Il Comitato rileva che, rispetto al fenomeno in esame i dati di conoscenza a disposizione del Parlamento sono ormai più che sufficienti come emerge, da ultimo, dalla relazione della Commissione antimafia del 5 dicembre 2000 e come hanno confermato le audizioni organizzate dal Comitato. Il fenomeno tanto nella sua veste di "smuggling" e cioè il favoreggiamento della immigrazione clandestina, tanto in quella di "trafficking", cioè la tratta finalizzata allo sfruttamento, costituiscono sistema criminale integrato, secondo una definizione di A. Bradanini (Direttore dell'United Nations Interregional Crime and Justice Research Institute - UNICRI), che è organizzato su almeno tre livelli interdipendenti tra loro, che intervengono, nelle due fattispecie, in tempi ed in luoghi diversi.
Sezionando il fenomeno, in senso spaziale e temporale, tenendo conto dei luoghi di provenienza, di quelli transito e di quelli di destinazione, vediamo che, dapprima, se ne occupano le organizzazioni etniche, le quali gestiscono i flussi migratori. In secondo luogo intervengono le organizzazioni criminali, che operano nei luoghi di transito e che assicurano il trasporto. In terzo luogo, le persone trafficate sono, per così dire, "prese in carico" da organizzazioni criminali, sia etniche sia autonome nei luoghi di destinazione.
La possibilità di distinguere, sul piano spaziale e su quello temporale, il fenomeno della tratta implica la necessità di scomporre il problema e di apprestare misure di contrasto e di prevenzione distinte e diverse.
Così, nei paesi di origine, risultano essenziali, a parere del Comitato, le misure di cooperazione allo sviluppo e di assistenza tecnica. Tali misure vanno indirizzate, da un lato, nelle aree del quarto mondo, ove la povertà porta ad offrire tutto quello che una persona ha e che talvolta è soltanto il proprio corpo ed il proprio lavoro, da un lato per migliorare il tenore di vita delle popolazioni e dall'altro per creare occasioni di lavoro.
In questo quadro il Comitato ha esaminato le legislazioni, del tipo di quella statunitense che attribuiscono al Governo la possibilità di sanzionare - mediante il taglio degli aiuti non umanitari - quei paesi che non si siano dotati o, comunque, non applichino norme volte a contrastare la tratta punendo la corruzione delle autorità statali e, in particolare, della polizia di frontiera. Al riguardo si è ritenuto, sulla scorta delle valutazioni emerse, da ultimo, nel quadro della Conferenza delle Nazioni Unite sulla criminalità organizzata transnazionale, che misure di questo tipo, lungi dal risolvere il problema, non facciano altro che far pagare alle popolazioni, già così provate dalla povertà, la corruzione diffusa a livello governativo.
Largamente preferibili, pertanto, appaiono le misure di assistenza tecnica che figurano negli accordi bilaterali tra l’Italia e la Tunisia e tra l’Italia e la Nigeria o che, comunque, sono previste nell’ampio spettro di cooperazione fra l’Italia e l’Albania.
Il Comitato ritiene altresì indispensabile una incisiva azione governativa e diplomatica nei confronti di alcuni partners europei, qualora le inchieste giudiziarie ed amministrative in corso dovessero confermare i dubbi avanzati da funzionari del Ministero degli Esteri circa il mancato rispetto, da parte delle autorità consolari tedesche, austriache e francesi, di impegni discendenti dagli Accordi di Schengen e dagli obblighi comunitari. I dati che sono stati forniti al Comitato indicano che l'Italia, di cui taluno temeva un atteggiamento lassista, si è rivelata, al contrario uno dei Paesi che hanno applicato nel modo più rigoroso le disposizioni del c.d. acquis di Schengen.
In ogni caso, per un verso va potenziata la dotazione di personale degli uffici consolari, non solo nei paesi c.d. ad alto rischio, come la Russia, la Romania, la Cina e la Nigeria, ma anche in tutte le altre sedi che lo stesso Ministero degli Esteri considera "delicate"; per altro verso, dovrebbe essere opportunamente valutata la possibilità di un coordinamento fra le strutture consolari dei paesi Schengen nelle aree più critiche.
Inoltre, un utile modello di cooperazione tra gli Stati membri dell'Unione Europea è rappresentato dalle Azioni congiunte contro la tratta di schiavi, siglate, recentissimamente, dal Presidente Amato e dal Premier Blair. Fra i punti qualificanti del documento figurano, infatti, la creazione di una rete stabile e pienamente attiva entro il giugno 2001 di ufficiali di collegamento nei Balcani occidentali, la creazione di squadre di funzionari di polizia e di esperti nei paesi di origine al fine di offrire consulenza e formazione nell'azione di contrasto alla criminalità organizzata, il sostegno al rimpatrio degli immigrati clandestini, intensificando l'assistenza ad organismi di volontariato ed alle amministrazioni locali che cercano di rinviare gli immigrati clandestini nei loro paesi di origine, l'invio presso EUROPOL di esperti dell'immigrazione per aumentare lo scambio di informazioni e per assumere una prospettiva di carattere più tattico per l'individuazione degli obiettivi operativi ed, infine, il potenziamento delle reti di interscambio informativo e lo sviluppo delle campagne di informazione nei paesi di origine, anche attraverso l'utilizzo delle rappresentanze diplomatiche degli stati membri dell'Unione come centri di screening che scoraggino i tentativi della criminalità ed informino le comunità di quei luoghi sul fenomeno.
Sempre sotto il profilo del contrasto all'immigrazione clandestina il Comitato, a seguito della missione effettuata a Gorizia il 30 novembre 2000, ha constatato un incremento dell'ingresso di clandestini dalla piana di Gorizia ed ha impegnato il Governo, con un proprio documento di considerazioni, a razionalizzare l'impiego delle forze di polizia favorendo la più efficace organizzazione delle indagini nonché a rafforzare la cooperazione trasfrontaliera al fine di evitare ogni ostacolo burocratico nelle procedure di respingimento.
Sotto il profilo più strettamente legislativo l'indagine ha evidenziato l'assoluta esigenza di completare, auspicabilmente in questa legislatura, l'iter del provvedimento unificato recante misure contro il traffico di esseri umani. Il Comitato ritiene che, tipizzando il delitto di traffico di persone, verrebbero superate incertezze interpretative e verrebbe fornita agli organi inquirenti un idoneo strumento di contrasto al riguardo. E' opinione del Comitato, comunque, che il quadro normativo già offra le basi necessarie per un adeguato contrasto mentre dovrebbe essere affinato il coordinamento fra gli organi preposti a tale attività. Inoltre, in presenza di un delitto trasnazionale, secondo la definizione contenuta nella convenzione sulla criminalità organizzata transnazionale, aperta alla firma a Palermo il 12 dicembre 2000, e considerata l'indispensabilità di una efficace cooperazione con gli altri Stati, il Comitato, condivide il suggerimento, avanzato nelle sedi internazionali, che il coordinamento delle indagini sia affidato alla Direzione nazionale antimafia. Una tale soluzione attribuirebbe alle 26 direzioni distrettuali antimafia (in luogo delle 164 procure della Repubblica) la titolarità delle indagini su questo fenomeno con il coordinamento della Direzione nazionale antimafia. La DNA, inoltre, è anche l'organo designato dal Ministro della Giustizia come punto centrale di contatto con le altre autorità giudiziarie dell'Unione per i delitti di criminalità organizzata. Questo assetto, d'altro canto, è quello previsto per altri reati transnazionali come l'associazione mafiosa ed il traffico di stupefacenti. Inoltre, l'osservazione del fenomeno, quale risulta dall'indagine conoscitiva, pone in luce il fatto che talune organizzazioni criminali, si sono inserite nel traffico di persone proprio avvalendosi dei mezzi e delle strutture utilizzate in altri traffici illeciti, come il contrabbando di droga, armi, tabacchi, esteri.
L'introduzione nel codice penale del delitto di traffico degli esseri umani, come fattispecie autonoma, anticiperebbe, comunque obblighi di legiferare nel medesimo senso discendenti da impegni comunitari o internazionali.
Il Comitato rileva, poi, che il testo unificato di misure contro il traffico di esseri umani, attualmente in esame alla Camera, contiene soltanto norme penali mentre la presente indagine ha dimostrato l'utilità, accanto alla misure di contrasto, di quelle consistenti in aiuto alle vittime, sia nei paesi di origine sia in quelli di destinazione. In questi ultimi misure del tipo dell'art. 18 decreto legislativo n. 286 del 1998, hanno funzionato anche sul piano della prevenzione e della repressione, facendo assumere un ruolo strategico alle persone trafficate. Sotto questo profilo, proprio nel corso di un'audizione informale svolta dinanzi all'Ufficio di Presidenza del Comitato, i responsabili dei centri di permanenza temporanea e di assistenza di Ponte Galeria (a Roma), di via Corelli (a Milano) e del "Serraino Vulpitta" (a Trapani) hanno segnalato come queste strutture possano costituire un'opportunità proprio per le persone trafficate, ed in particolare per le donne schiave. Infatti, la loro esperienza ha evidenziato come molte di esse, trovandosi in un ambiente "protetto", abbiano avuto il coraggio di denunziare i loro sfruttatori, ponendo fine alla catena di schiavitù che ne caratterizzava la loro esistenza. Si tratta ancora di piccoli numeri, ma è la dimostrazione che al di là delle strumentazioni giuridiche e della cooperazione tra Stati, che è senz'altro necessaria, la solidarietà umana e la cultura dell'accoglienza che è propria della società italiana e che trova riscontro anche nell'attività delle organizzazioni di volontariato, può sin d'ora offrire una prima risposta a questa aberrante vicenda di sfruttamento.

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