CAMERA DEI DEPUTATI ________________SENATO DELLA REPUBBLICA
COMMISSIONE PARLAMENTARE
PER LE QUESTIONI REGIONALI
LE REGIONI TRA NUOVI STATUTI
E RIFORMA FEDERALISTA
Resoconto stenografico
Palazzo del Seminario
Sala del Refettorio
20 giugno 2000
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INDICE DEGLI INTERVENTI
MARIO PEPE, Presidente della Commissione parlamentare per le questioni regionali pag. 3, 13
LUCIANO VIOLANTE, Presidente della Camera dei deputati pag. 4
NICOLA MANCINO, Presidente del Senato della Repubblica pag. 9
ANTONIO MACCANICO, Ministro per le riforme istituzionali pag. 18
ENRICO LA LOGGIA, Presidente del gruppo Forza Italia del Senato pag. 23
LEOPOLDO ELIA, Presidente del gruppo Partito popolare italiano del
Senato
pag.
29
AGAZIO LOIERO, Ministro per gli affari regionali pag. 33
VINCENZO CERULLI IRELLI, Presidente della Commissione consultiva in ordine allattuazione della riforma amministrativa pag. 39
ANTONIO BASSOLINO, Presidente della Regione Campania pag. 46
GIANCARLO GALAN, Presidente della Regione Veneto pag. 50
CLAUDIO MARTINI, Presidente della Regione Toscana pag. 56
FABIO MUSSI, Presidente del gruppo Democratici di Sinistra-l'Ulivo della Camera pag. 62
LUISA DE BIASIO CALIMANI, componente della Commissione parlamentare
per le questioni regionali
pag.
68
RICCARDO MIGLIORI, componente della Commissione parlamentare per le questioni regionali pag. 71
DONATO ROBILOTTA, Assessore agli affari istituzionali della Regione Lazio pag. 76
GIANCARLO PAGLIARINI, Presidente del gruppo Lega nord per l'indipendenza della Padania della Camera pag. 79
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MARIO PEPE, Presidente della Commissione parlamentare per le
questioni regionali. Ringrazio e saluto con simpatia ed anche con un sentimento di
amicizia e di affetto il Presidente del Senato Nicola Mancino ed il Presidente della
Camera Luciano Violante, che hanno voluto onorare questo nostro forum di
approfondimento sui temi del federalismo all'ordine del giorno dell'agenda politica.
Il desiderio che cè in chi, come me, presiede la Commissione parlamentare per le
questioni regionali, è di ritrovare un clima di collaborazione leale e costruttiva tra le
istituzioni e nel paese, per affrontare seriamente quella che appare come la seconda
partita della riforma costituzionale nel nostro paese. Sono convinto che, con la guida dei
due Presidenti e con la collaborazione tra le forze politiche, sia possibile dare un nuovo
assetto istituzionale al nostro paese e alle comunità, che chiedono stabilità nella
governabilità e nella pacificazione generale.
Ringrazio voi per la presenza, i collaboratori, i colleghi parlamentari che hanno condotto
con me la presentazione di questa indagine conoscitiva e do la parola al Presidente
Violante per il suo indirizzo di saluto.
LUCIANO VIOLANTE, Presidente della Camera dei deputati. Signor
Presidente del Senato, signor Presidente Pepe, signori Presidenti delle Regioni, signore e
signori, la Commissione parlamentare per le questioni regionali presenta oggi i risultati
di unindagine conoscitiva dedicata alle "problematiche attuali della
transizione costituzionale dal federalismo amministrativo allo Stato federale". Il
fatto che noi oggi discutiamo di transizione costituzionale è la prova che in questa
legislatura il Parlamento ha lavorato alle riforme ed ha conseguito risultati, anche se il
suo lavoro non è ancora completato.
Dopo il blocco dei lavori della Commissione bicamerale, Senato e Camera sono andati avanti
ed hanno realizzato, sul piano della legislazione sia ordinaria sia costituzionale,
riforme istituzionali di rilievo, che già producono effetti positivi sulla vita dei
cittadini.
Sul piano del "federalismo fiscale" sono stati compiuti notevoli passi avanti.
Dal 1996 al 1998 il gettito dei tributi propri regionali è passato da 13 mila ad oltre 62
mila miliardi, con un aumento del 320 per cento. Il decreto legislativo n. 56 del 2000,
emanato sulla base della legge di delega n. 133 del 1999, dà alle Regioni ulteriori
risorse per complessivi 35 mila miliardi e garantisce loro una maggiore autonomia nella
destinazione delle entrate tributarie.
E importante ora dare rapidamente attuazione alla delega anche per la parte relativa
allautonomia impositiva dei comuni.
Sono stati in questi giorni completati tutti gli adempimenti relativi
allindividuazione delle risorse finanziarie, organizzative ed umane da trasferire
alle Regioni ed agli enti locali in attuazione della riforma sul federalismo
amministrativo. Si tratta di quasi 19 mila persone, tra impiegati e dirigenti, e di più
di 22 mila miliardi di lire, escluse le spese per il personale. In questo modo, dopo
lattività di ripartizione e assegnazione delle risorse, che avverrà nei prossimi
mesi, la riforma potrà diventare operativa, come previsto, dal 1° gennaio 2001.
La modifica degli articoli 121, 122, 123 e 126 della Costituzione ha consentito
lelezione diretta dei Presidenti delle Regioni a statuto ordinario, ha creato un
quadro di stabilità di governo nelle Regioni ed ha attribuito loro unampia sfera di
autonomia statutaria, sottraendo lapprovazione degli statuti ad ogni forma di
controllo statale. Lunico vincolo è che essi siano in armonia con la Costituzione.
Lo statuto regionale dovrà disciplinare i delicati rapporti tra Presidente, Giunta,
Consiglio, Corpo elettorale regionale. Lautonomia statutaria è una grande risorsa,
che consentirà a ciascuna Regione di costruire il proprio assetto istituzionale non
secondo modelli rigidamente imposti dallalto, ma in aderenza alle rispettive
specificità.
Questa eterogeneità non deve preoccupare, perché sistemi elettorali diversi, forme di
governo diverse, equilibri istituzionali diversi, non sono di per sé sinonimo di
frammentazione e di dispersione. Ciò di cui invece ci si deve preoccupare è il quadro
politico-istituzionale complessivo nel quale si colloca lesercizio
dellautonomia statutaria, come passaggio fondamentale della costruzione del
federalismo.
Autonomia statutaria, elezione diretta dei Presidenti, federalismo fiscale, federalismo
amministrativo, sono tutti pezzi di un federalismo che non abbiamo ancora finito di
costruire. Per evitare che questi pezzi di riforma diventino segmenti di una linea
spezzata, occorrono due condizioni: un disegno costituzionale unitario ed omogeneo e un
nucleo solido di principi e di valori.
La prima condizione potrà essere realizzata già in questa legislatura, se le forze
politiche, che si dichiarano tutte favorevoli al federalismo e ne proclamano
lurgenza, decideranno di restituire impulso allesame del progetto di legge
costituzionale di riforma federale dello Stato, che è allordine del giorno
dellAssemblea della Camera a partire dalla prima settimana di luglio.
La creazione di un quadro costituzionale omogeneo e coerente impone che entro questa
legislatura si approvi anche il disegno di legge costituzionale sullelezione diretta
del Presidenti delle Regioni a statuto speciale, approvato in prima lettura dalla Camera
dei deputati ed attualmente allesame dellAssemblea del Senato. E questo
quadro, naturalmente, non sarebbe sufficientemente solido se le stesse garanzie di
stabilità che hanno i Presidenti delle Regioni non le avesse il Presidente del Consiglio
dei ministri: altrimenti, il federalismo rischierebbe di essere unoperazione di
disarticolazione del sistema statuale, in mancanza di un centro di gravità che avesse
almeno la stessa forza dei Presidenti delle Regioni. Quindi anche dal punto di vista
costituzionale è assolutamente ineludibile per un verso la riforma elettorale e per
laltro verso il consolidamento del ruolo del Governo nel Parlamento, lo
"scudo" del Governo, per evitare di lasciarlo in balìa della variabilità delle
maggioranze parlamentari.
I problemi di raccordo tra la nuova forma di Stato e limpianto istituzionale
complessivo che dovessero rimanere aperti potrebbero essere affrontati e risolti fin
dallinizio della prossima legislatura, senza creare soluzioni di continuità in un
processo di riforma che deve essere portato a conclusione nellinteresse del paese, a
prescindere dallo schieramento politico che governa in un dato momento.
Questo punto si collega alla seconda condizione: quella del nucleo di principi e di valori
sul quale vogliamo costruire il federalismo. La riforma del federalismo, intesa come
ridefinizione del rapporto tra le diverse comunità politiche che costituiscono lo Stato
nazionale (autonomie locali, Regioni, Stato), non può essere compiuta in un clima di
contrapposizioni e lacerazioni. Il federalismo è la forma moderna dellunità
nazionale. E unoccasione per rafforzare la coesione nazionale, intesa non come
minaccia o costrizione, ma come scelta condivisa di libertà, di responsabilità, di
crescita della democrazia. Il federalismo non può ridursi ad una mera operazione di
spostamento di poteri e di risorse sul territorio. Il federalismo, infine, è la leva
moderna dellintegrazione nellunità della Repubblica di tutte le realtà
regionali.
Allinizio della Repubblica il problema di fondo del paese era lintegrazione
dei deboli. Allora, il centralismo fu un potente fattore di unificazione: questo non
bisogna dimenticarlo. Ora che siamo una delle più forti nazioni del mondo, il
federalismo, oltre a svolgere le funzioni già indicate, costituisce lo strumento per una
seconda integrazione: quella dei forti, che altrimenti maturerebbero crescente astio e
separatismo nei confronti dellunità nazionale.
Si tratta di ridefinire i diversi livelli di rappresentanza e di decisione politica, in
funzione dei bisogni dei cittadini. Trasferire competenze, risorse e responsabilità dal
centro alla periferia, secondo il principio di sussidiarietà, significa evitare che le
comunità territoriali più piccole (comuni e province) si sentano schiacciate dal peso
delle comunità politiche più vaste (Regioni e Stato). Vedo qui presente il Presidente La
Loggia: ebbene, noi che siamo, se mi permette, conoscitori di realtà siciliane possiamo
dire che il modello da non seguire è quello della Regione siciliana, che ha costituito un
sistema di centralismo nei confronti dei comuni e delle province. Su questo punto si
misurerà, anche in occasione dellapprovazione degli statuti, la maturità delle
Regioni come soggetti di governo, si misurerà la loro capacità di lasciarsi alle spalle
ogni tentazione di nuovo centralismo e di divenire snodi fondamentali di costruzione di un
moderno sistema democratico.
MARIO PEPE, Presidente della Commissione parlamentare per le questioni regionali. Ringrazio il Presidente Violante e do la parola al Presidente Mancino.
NICOLA MANCINO, Presidente del Senato della Repubblica. Rivolgo
un cordiale saluto al Presidente della Camera, al Presidente della Commissione
parlamentare per le questioni regionali, ai ministri presenti, ai Presidenti delle Giunte
regionali. L'iniziativa assunta dalla Commissione per le questioni regionali è utile,
anche perché consente, dopo la conclusione datata della propria indagine, di compiere
un'ulteriore riflessione rispetto ai mutamenti che sono intervenuti: mutamenti di natura
costituzionale, che riportano al centro del dibattito politico una riflessione non solo
sul rapporto Regioni-Stato, - quindi Regioni-Governo e Regioni-Parlamento - ma anche sul
sistema delle istituzioni territoriali, che è un sistema complesso, meritevole di una
attenta considerazione, proprio per evitare che specifiche riforme non rispondano al
disegno complessivo di organicità.
Con l'elezione diretta dei Presidenti delle Giunte regionali abbiamo realizzato un
rafforzamento istituzionale del governo delle Regioni, ma non anche un rafforzamento di
ruolo, di funzioni e di competenze delle Regioni stesse. Queste ultime, peraltro, restano
ancorate ai trasferimenti intervenuti con i primi decreti del 1972 e con quelli più
organici del 1977 e alla disciplina della legge 142 del 1990. Restiamo ancora legati alla
riflessione iniziale di sistema e non siamo riusciti a stabilire correttamente uno
spartiacque, che giustamente viene reclamato dalle Regioni, ma che credo sia interesse
dello Stato assecondare.
La legge Bassanini (o meglio "le" leggi Bassanini) hanno anticipato una riforma
costituzionale che non è ancora intervenuta: non basta, infatti, la sola elezione diretta
dei Presidenti delle Giunte regionali. Occorre costituzionalizzare la spoliazione
come io definisco la sottrazione allo Stato centrale di ruoli, funzioni e competenze
rispetto ad un impianto federalista che è ancora all'esame del Parlamento. Il
problema dinanzi al quale ci troviamo è sempre collegato alla esigenza di una diversa
capacità di velocità rispetto a quella fino ad oggi impressa al processo riformatore:
riforme ve ne sono state, però tutte le riforme, a mio avviso, si contraddistinguono come
un tentativo non organico di realizzare un ribaltamento delle competenze, qual è quello
reclamato dalla natura federalista (se di questo si tratta) che intendiamo imporre al
nostro sistema costituzionale.
Non ho alcuna difficoltà ad ammettere che sul federalismo sussiste ancora un'ambiguità
anche nominalistica. Perché si superi quest'ambiguità nominalistica è necessario fare
avanzare le riforme; e la riforma federalista è un impegno pendente sul piano
parlamentare. Questo impegno può essere portato a compimento, se la volontà politica
farà registrare un balzo in avanti. In mancanza, sarà difficile poter realizzare un
impianto corretto e rispettoso sia nei confronti delle Regioni, sia nei confronti dello
Stato. Il federalismo o è strisciante, come oggi (e spesso ci illudiamo che si tratti di
vero federalismo), oppure è sistemico: in quest'ultima ipotesi occorrerà realizzarlo
attraverso ritocchi della Carta costituzionale, in modo che sia chiaro quali sono i limiti
dello Stato rispetto alle istituzioni territoriali, per prime le Regioni, ma anche quali
sono i limiti delle Regioni rispetto allo Stato. Solo la Carta costituzionale può
definire limiti, ruoli, competenze e funzioni.
Anche sul piano del federalismo fiscale, credo che abbiano ragione le Regioni quando
rivendicano autonomia finanziaria piena e, soprattutto, una riforma che senza dubbio
riguarda la legislazione ordinaria, ma che incide sul sistema fiscale visto
complessivamente. Fino a quando, cioè, le regioni potranno far ricorso alle addizionali,
non ci sarà una vera e propria autonomia tributaria delle Regioni; tanto meno si potrà
immaginare di realizzare una loro autonomia finanziaria, che resta il problema principale
che interessa tutto il complesso mondo delle autonomie: enti locali, province, comuni, da
una parte, Regioni dall'altra.
In proposito, mi sento di condividere l'annotazione del Presidente Violante, secondo cui
una volta superato il centralismo statale occorre evitare anche il neo-centralismo
regionale: questione che è affidata, essenzialmente, all'esclusiva responsabilità delle
Regioni senza bisogno di apporti da parte dello Stato; ma questa autonomia, a mio avviso,
va disciplinata anche attraverso ritocchi della Carta costituzionale.
Non so se nel rapporto Stato-Regioni non si possa realizzare un'intesa in base alla quale,
nel rispetto dell'autonomia organizzativa delle Regioni, si riesca finalmente a sopprimere
la parola "normalmente" dall'articolo 118, terzo comma, della Costituzione.
Questo ripeto senza attentare all'autonomia politica e organizzativa delle
Regioni: ma fino a quando il rapporto nei confronti delle istituzioni territoriali minori
sarà di mera concessione delle deleghe cioè - non ne risulterà certo esaltato il
corretto rapporto istituzionale tra comuni, province e Regioni.
Mi avvio alla conclusione. L'elezione diretta del Presidente della Giunta regionale va
completata attraverso le riforme ed io ne ho indicate alcune. La legittimazione popolare
del capo dell'esecutivo non può rimanere a metà strada, perché ad un ruolo forte del
vertice del governo regionale, allo stato non corrisponde un ruolo altrettanto forte del
Consiglio regionale. C'è bisogno che, nell'esercizio di un'attività autonoma dal punto
di vista dell'elaborazione degli statuti, le Regioni tengano conto, da una parte,
dell'esigenza di rafforzare il ruolo del governo regionale, dall'altra, anche di
un'esperienza che si è consolidata sul piano delle altre istituzioni territoriali (comuni
e province). Il rapporto tra governo locale e assemblee, infatti, mette in una posizione
di forza il governo e in una condizione di debolezza le assemblee, anche nell'esercizio
del ruolo di indirizzo e di controllo che è proprio di queste ultime. Quello del
controllo dell'attività di governo è un problema certamente complesso, perché chiama in
causa anche il corretto rapporto tra il Parlamento e il Governo nazionale: finora il
Parlamento non è riuscito ad esercitare una funzione di controllo sull'attività di
Governo, salvo l'acquisizione della relazione di un organo terzo, come la Corte dei Conti;
un vero e proprio esercizio di controllo da parte del Parlamento, in questi cinquant'anni,
è davvero mancato.
Se un punto bisogna tenere nella massima considerazione, è proprio questo: le democrazie
vivono attraverso la costruzione di un corretto rapporto tra assemblea e governo. La
centralità delle assemblee non può venire meno, come non può essere sottaciuta
l'esigenza di rendere spedito il cammino dei governi regionali; del resto, anche sul piano
nazionale non siamo ancora riusciti a realizzare l'obiettivo di velocizzazione degli
esecutivi, che non è solo quello della stabilità, ma anche della effettiva capacità di
attuazione dei programmi di governo.
MARIO PEPE, Presidente della Commissione parlamentare per le
questioni regionali. Ringrazio il Presidente Mancino ed il Presidente Violante per la
loro presenza e soprattutto per lautorevole contributo che hanno voluto offrire al
prosieguo dei nostri lavori.
Ringrazio ancora una volta gli autorevoli interlocutori ed autorità politiche, che
siedono al banco della Presidenza e che daranno nel prosieguo il loro contributo.
Il titolo di questo forum che è stato organizzato dalla Commissione parlamentare
per le questioni regionali riguarda una puntualizzazione delle questioni che interessano
la nostra comunità nazionale, a livello soprattutto istituzionale. Abbiamo un dato certo
e incontrovertibile: con la legge costituzionale n. 1 del 1999 è stata non soltanto
conferita autonomia alle Regioni nella scelta della propria forma di governo e del sistema
elettorale, ma si è anche inteso dare ai governi regionali quellautorevolezza e
legittimazione che deriva dallelezione diretta dei loro Presidenti.
Tre sono le critiche mosse alla legge. Essa indirizzerebbe lordinamento verso
modelli verticistici, esalterebbe i particolarismi regionali e penalizzerebbe le assemblee
elettive, vero fulcro del sistema democratico. Voglio analizzarle brevemente, anche se non
dobbiamo fare qui interventi apologetici.
Una scelta per una democrazia verticistica e plebiscitaria? Niente affatto. Piuttosto
riteniamo che si tratti della logica conseguenza di un percorso riformatore, nato con il
referendum sulla preferenza unica e fortemente spinto dalla legge n. 81 sullelezione
dei sindaci. Si sta realizzando, comunque, la previsione secondo cui la riforma del
sistema politico italiano non può che procedere dai governi locali per giungere a quelli
regionali. Lultimo tassello riguarda il Governo centrale, ma già si avverte, come
possiamo constatare dalle più recenti proposte sulla sfiducia costruttiva e come dimostra
lesperienza degli Stati federali, lesigenza di un Governo centrale autorevole
e stabile interlocutore delle autonomie.
La seconda obiezione, proveniente anche da unautorevole dottrina giuspubblicistica,
afferma che lautonomia regionale nella scelta della forma di governo accentuerebbe i
particolarismi. In realtà, il significato vero dellautonomia statutaria è nella
possibilità di mutare la forma di governo; ma è compito della politica, ove non
sussistano realtà particolari, che comunque in certi casi esistono e vanno salvaguardate,
trovare la formula giusta, la più adatta in questa fase a consolidare le Regioni di
fronte ai poteri centrali.
Lultima critica: lelezione diretta indebolirebbe il vero pilastro di ogni
sistema democratico, le assemblee elettive. Anche questobiezione è discutibile,
dato che, in termini sociologici, confonde il concetto di potere con quello di autorità.
Il fatto indiscutibile è che lautorità dei due centri di potere, Presidente e
Consiglio, deriva ormai dalla stessa fonte e con lo stesso grado di legittimazione
popolare. Ora, ciò non rappresenta un indebolimento delle Assemblee, ma piuttosto un
rafforzamento degli esecutivi. E allora evidente lesigenza non tanto di una
redistribuzione interna dei poteri e compiti, quanto piuttosto di una ridefinizione del
sistema complessivo, che avverrà con i nuovi statuti regionali, in un quadro in cui si
dovranno, sì, discutere le funzioni degli organi ed i reciproci bilanciamenti, ma
soprattutto il peso delle formazioni politiche e della società civile.
Avvertiamo unesigenza fondamentale, che vogliamo affidare a questi tre punti forti
di attacco, come Commissione per le questioni regionali: un immediato reinserimento del
progetto di legge costituzionale sullordinamento federale nel programma e nel
calendario dei lavori della Camera; lindividuazione di alcuni punti nodali di quel
testo, eventualmente da stralciare ed approvare nel più breve tempo possibile; il
rafforzamento dei momenti di raccordo tra Parlamento, Regioni ed autonomie locali.
Su questo ultimo punto prospetto due strade, che appaiono tra loro complementari:
anzitutto si potrebbe ipotizzare la creazione di un nucleo di delegati parlamentari, che
in funzione di osservatori partecipino alle seduta della Conferenza Stato-Regioni, della
Conferenza Stato-città e della Conferenza unificata. Questo nucleo opererebbe a
composizione paritetica maggioranza-opposizione, al fine di sottolinearne il ruolo
essenzialmente strumentale, analogamente a quanto avviene nel Comitato per la
legislazione. Si tratterebbe, naturalmente, di unattività non formale, tesa
allacquisizione di elementi soprattutto conoscitivi e di dialogo interistituzionale.
La seconda indicazione è ormai piuttosto nota: attiene al potenziamento della Commissione
parlamentare per le questioni regionali, integrata dai Presidenti delle Regioni e delle
province autonome. Mentre il nucleo di delegati parlamentari presso le Conferenze avrebbe
un ruolo quasi tecnico, alla Commissione per le questioni regionali spetterebbe
unazione di composizione e di mediazione tra istanze politiche generali e istanze
del territorio. Questa idea, che potrebbe sembrare paradossale, ma comunque fascinosa sul
piano dellermeneutica giuridica, darebbe una risposta, sia pure provvisoria, alla
legittima richiesta delle Regioni di una loro presenza nel procedimento legislativo
nazionale. Potrebbe realizzarsi con uninnovazione regolamentare, o meglio con la
modifica dellarticolo 117 della Costituzione già suggerita dalla Commissione per le
questioni regionali nel parere al testo unificato dei progetti di legge costituzionale
sullordinamento federale della Repubblica.
Con queste valutazioni, che sono maturate allinterno della Commissione sia nel corso
dell'indagine sia nel documento di considerazioni che abbiamo rimesso alle Regioni
allinizio di questa settima legislatura regionale, noi ringraziamo ancora una volta
i presenti, i colleghi parlamentari che con me hanno dato questo contributo alle autorità
ed alle istituzioni.
Darò ora, nellordine, la parola al ministro Maccanico, al senatore La Loggia, al
senatore Elia ed al ministro Loiero, che sono tutti impegnati al Senato per i lavori della
giornata. Grazie e buon proseguimento.
ANTONIO MACCANICO, Ministro per le riforme istituzionali. Sarò
molto breve perché tra dieci minuti esatti comincia la seduta al Senato, che mi vede in
prima fila. Vorrei partire da un assunto e cioè contestare unopinione che è
largamente diffusa, secondo la quale in questa legislatura, in materia di riforme, e
soprattutto di revisione della forma di Stato, non si sarebbe fatto nulla. Questo è del
tutto inesatto. Ricordo che allinizio della legislatura cè stata una sorta di
divisione del lavoro tra il Governo e la Commissione bicamerale per le riforme
costituzionali: il Governo avrebbe agito come impulso per le riforme a Costituzione
invariata, la Commissione bicamerale avrebbe dovuto provvedere alle riforme
costituzionali. Purtroppo, come sappiamo, la riforma costituzionale si è arenata, proprio
quando era ormai allesame dellAssemblea, si sa anche per responsabilità di
chi. Però il Governo ha operato: ha operato a Costituzione invariata in modo molto
significativo. La legge n. 59 del 1997 (la legge Bassanini) ha posto le premesse di una
notevole devolution (come si direbbe ora) di attribuzioni e poteri alle Regioni.
Contemporaneamente si è agito sul piano dellordinamento finanziario delle Regioni:
il cosiddetto federalismo fiscale.
Abbiamo quindi avuto due impulsi: il federalismo amministrativo e il federalismo fiscale.
Per il federalismo amministrativo, con la legge n. 59, e soprattutto con il decreto
legislativo n. 112, sono passate competenze importanti alle Regioni, in materia di
industria, viabilità, ambiente, formazione, mercato del lavoro, agricoltura. Per quanto
riguarda il federalismo fiscale, la legge di delega (e poi i decreti delegati) ha
conferito alle Regioni una nuova imposta, lIRAP, in sostituzione di altre, che ha
garantito alle Regioni stesse un gettito annuale di circa 50 mila miliardi; ha stabilito
che il 26 per cento dellIVA dovesse rimanere alle Regioni, per un ammontare di 35
mila miliardi allanno; ha infine attribuito alle Regioni la tassa di circolazione,
una parte importante dellimposta di fabbricazione sulla benzina e
unaddizionale sullIRPEF, per un ammontare di altri 5 mila miliardi.
Direi che questi due filoni di attività, quello relativo al federalismo amministrativo e
quello relativo al federalismo fiscale, hanno dato limpulso per fare in modo che,
una volta fallita la Bicamerale, si procedesse sulla base dellarticolo 138 alla
riforma costituzionale. E qui debbo dire che è stata felice la scelta di cominciare dalla
legge sullelezione diretta dei Presidenti delle Regioni (la legge costituzionale n.
1 del 1999). Naturalmente, il quadro si è allargato, perché si sono modificati gli
articoli 121, 122, 123 e 126 della Costituzione. E noi abbiamo avuto un primo effetto
importante, che adesso i Presidenti delle Regioni stanno constatando: questa riforma
costituzionale, cioè, incide già profondamente sulla legislazione vigente, e vi sono
norme vigenti che sono in palese contrasto con la riforma costituzionale stessa: tanto è
vero che nellultima riunione tenuta con i Presidenti delle Regioni abbiamo stabilito
di creare un tavolo Governo-Regioni per fare un inventario di questa normativa che non è
più sostenibile, dopo la riforma costituzionale.
Ma questa riforma costituzionale non basta. I governi che sono venuti dopo il fallimento
della Bicamerale hanno avuto tra i propri componenti anche un ministro per le riforme
istituzionali (il collega Amato prima, ora io). Liniziativa è stata presa sul piano
dellordinamento federale della Repubblica: un disegno di legge che è stato discusso
ampiamente in Commissione alla Camera e che dallo scorso mese di dicembre, direi, è allo
stadio di esame degli articoli. Mi fa molto piacere che dallultima riunione con i
Presidenti delle Regioni sia venuto un impulso molto forte per far andare avanti questa
legge. Ciò per una ragione molto semplice: perché è necessario dare un quadro
costituzionale nuovo a quello che è stato fatto a Costituzione invariata.
E necessario, anzitutto, che quel trasferimento di funzioni che finora è stato
operato per via di delega trovi un aggancio costituzionale sicuro. E debbo dire che il
testo che è stato elaborato dalla Commissione risolve questi problemi. Intanto esso
capovolge limpianto dellarticolo 117 della Costituzione, stabilendo quali sono
le attribuzioni dello Stato e lasciando tutto il resto alle Regioni. In secondo luogo
stabilisce, ad esempio, che le attività amministrative spettano agli enti locali: ecco il
problema cui alludevano il Presidente Violante ed il Presidente Mancino, cioè la
necessità di evitare che al centralismo dello Stato si sostituisca il centralismo delle
Regioni. Ebbene, cè una norma che riguarda questo punto, molto importante.
Cè la possibilità di autonomie differenziate. Anche questo è un punto importante,
perché riguarda la possibilità di creare quel federalismo a geometria variabile, che è
spesso considerato come una via duscita per un paese dualistico e con
differenziazioni regionali molto forti qual è il nostro.
Sono eliminati i controlli, oggi soffocanti, e cè una norma sul federalismo fiscale
che dà solidità costituzionale alle soluzioni che sono state già realizzate.
A questo riguardo, in materia di devolution, voglio ricordare che, quando si parla
di federalismo fiscale, in genere in Italia si intende qualcosa di diverso, anzi di
opposto, rispetto al fiscal federalism degli Stati Uniti. Il presupposto del fiscal
federalism è, infatti, quello di individuare le risorse che debbono rimanere al
Governo federale, allo scopo di consentire ad esso lo svolgimento dei suoi compiti ed
attribuzioni, e non già le risorse da attribuire agli Stati. Noi interpretiamo il
concetto in maniera diversa, forse perché in America sono passati dai singoli Stati alla
forma federale, mentre noi dallo Stato centrale passiamo allordinamento federale.
Però se fate un esame di tutti gli ordinamenti federali, relativamente a questo campo,
potete verificare che nessuno di questi ordinamenti comporta una ripartizione del gettito
fiscale che vada oltre il 50 per cento a favore delle regioni: in genere la media è tra
il 40 ed il 45 per cento. Cominciamo quindi, quando parliamo di federalismo fiscale, a
vedere come funziona questo sistema nei paesi che sono già a ordinamento federale.
E uscita una recente ricerca della SVIMEZ sul federalismo fiscale, che pone
particolarmente in evidenza questi punti.
Vorrei concludere dicendo che a me pare che sia veramente indispensabile, se vogliamo che
questa legislatura si concluda in modo onorevole, che il disegno di legge
sullordinamento federale della Repubblica, presentato dal Ministro Amato a suo tempo
e ormai allordine del giorno della Camera per lesame degli articoli, vada
avanti. Questo è un impegno, secondo me, fondamentale: se, infatti, noi chiuderemo la
legislatura con questo completamento di opera, avremo fatto un grosso passo avanti nella
costruzione del federalismo, che non può che essere graduale. Noi non possiamo pensare
che il federalismo, in Italia, si realizzi dalla sera alla mattina: è una costruzione
graduale; e nemmeno questa legge basterà, perché rimarranno dei problemi irrisolti.
Anche la prossima legislatura, quindi, sarà una legislatura di revisione costituzionale:
dobbiamo saperlo.
Naturalmente, conseguente a tutto ciò è anche ed è motivo di soddisfazione per
il ministro constatarlo lesigenza di rafforzare e dare stabilità al Governo
centrale. Non possiamo pensare che in futuro lo diceva il Presidente Mancino - vi
siano dei governi regionali forti, stabili, con attribuzioni rilevanti e dotati di risorse
cospicue ed un governo centrale esposto a qualsiasi insidia parlamentare. Ecco, questo è
laltro punto su cui, secondo me, occorre riflettere e fare in modo che questa
legislatura abbia una chiusura onorevole per tutte le parti, maggioranza e opposizione.
Questo perché sui temi istituzionali la linea bipartisan è a mio avviso quella
che deve prevalere.
MARIO PEPE, Presidente della Commissione parlamentare per le questioni regionali. Ringrazio il ministro Maccanico e do la parola al Presidente La Loggia.
ENRICO LA LOGGIA. Presidente del gruppo Forza Italia del Senato. Ritengo
che diversi problemi sarebbero stati agevolmente risolti se avessimo potuto affrontarli in
un unico contesto riformatore, allinterno di quella che poteva essere
lAssemblea costituente o in via subordinata di quello che avrebbe potuto essere la
Bicamerale. E ovvio che, andando per piccoli passi, per piccoli pezzi di riforma,
non sempre si può immaginare unottimizzazione del risultato: per questo, restano
diverse questioni irrisolte.
Mi limito a fare una rapidissima elencazione di questi problemi, indicando in maniera del
tutto schematica quali a mio avviso e qui intendo vestirmi più dei panni di
costituzionalista che di quelli di presidente del gruppo di Forza Italia potrebbero
essere le soluzioni.
Cominciamo dalla ripartizione dei poteri. Meglio sarebbe un "riconoscimento"
(piuttosto che unattribuzione o una concessione) di poteri nei confronti delle
Regioni; e si dovrebbe evitare il passaggio da un centralismo statale ad un centralismo
regionale. Condivido al riguardo losservazione fatta pocanzi dal Presidente
Violante: ma quando nacque lo statuto siciliano, il 15 maggio 1946, eravamo ben lontani
dallimmaginare, ovviamente, tutto quello che sarebbe accaduto successivamente: fu
però quello il primo esperimento serio di federalismo compiuto nel nostro paese. Direi,
un federalismo ante litteram, un federalismo nato addirittura prima della
Costituzione repubblicana (ho già indicato la data del 15 maggio 1946, rispetto a quella
del 2 gennaio 1948). Se avessimo seguito, già allora, in via generale limpostazione
data ai poteri della Regione siciliana e avessimo avuto il coraggio, allora, di
"riconoscere" (piuttosto che di "attribuire") quei diritti alle altre
Regioni del paese, non facendo una distinzione tra statuti autonomi e speciali, e statuti
ordinari, sarebbe nata unItalia diversa, rispetto a quella che ci troviamo ora in
qualche modo a correggere, rincorrendo un risultato che avremmo dovuto molto più
agevolmente raggiungere se fossimo partiti dal basso anziché dallalto. Però questa
è la realtà e con essa dobbiamo fare i conti.
Proprio per evitare che si passi dal centralismo statale ad un neo-centralismo regionale,
va ripresa quella parte dello statuto siciliano che riguarda lautonomia
ordinamentale nella materia degli enti locali e va sviluppata e corretta in maniera tale,
che da lì stesso nasca il riequilibrio dei poteri tra organo centrale regione e organi
periferici locali, comunali e provinciali: questo laddove si ritenga definitivamente di
mantenere questi ultimi. Ho unopinione, che mantengo come opinione personale,
secondo cui le province dovrebbero essere eliminate. Ma nel momento in cui si decidesse di
mantenerle, è ovvio che andrebbe riconosciuto il diritto di ciascuna regione,
nellambito dellordinamento degli enti locali, di operare tale distinzione e
tale distribuzione di compiti. Non escluderei, in tale contesto, una sorta di costituzione
periferica della Conferenza Stato-regioni o Stato-grandi città, a livello regionale:
Conferenza regioni-enti locali. E questo sarebbe uno spostamento consistente di poteri,
che potremmo operare.
Accanto ad esso, cè laltro, che tocca largomento principale sul quale
si dibatte e su cui, in gran parte, impattò anche la Bicamerale, che è il cosiddetto
federalismo fiscale: pessima espressione per tradurre un concetto che ancora un po'
sgomenta, con quella naturale mancanza di coraggio che è giustificabile quando si passa
da un sistema ad un altro; lo stesso tipo di coraggio che nel 1964 portò alla prima
grande riforma del sistema di bilancio federale negli Stati Uniti. Saremo capaci di avere
questo coraggio nel nostro paese, nel riconoscere che la finanza derivata non debba più
essere considerata come finanza derivata dallo Stato verso le Regioni, ma come finanza
derivata dalle Regioni verso lo Stato?
E tutto qui, il problema. Dovremmo riuscire ad immaginare che le Regioni hanno un
loro insieme di risorse e che, esauriti i bisogni di quelle Regioni e distribuite tali
risorse nellambito del proprio territorio, cè un altro problema grave e serio
che va risolto, che è quello di consentire allo Stato centrale lo svolgimento di quelle
funzioni che non sono delegabili, che sono sicuramente da mantenere
allamministrazione centrale. E cè poi un secondo problema, per me
assolutamente ineludibile, che è quello comunque di costituire un fondo di solidarietà.
Questa è una rivoluzione copernicana, rispetto a ciò di cui ancora oggi si discute, pur
mentre la Camera, lodevolmente, sta occupandosi di neo-federalismo e laddove anche le
leggi che vanno sotto il nome del ministro Bassanini rappresentano lodevolissimi ma al
tempo stesso modestissimi tentativi, rispetto a quellidea che sto enunciando in
maniera estremamente schematica: e mi piacerebbe poter spiegare in maniera molto più
compiuta unidea alla quale mi sono affezionato e attorno alla quale lavoro da tanti
anni.
E su questo terreno che va giocata la grande scommessa del futuro del nostro paese,
non tanto e soltanto nel fare un aggiustamento marginale di poteri, e quindi di esercizio
di funzioni allinterno di parti del territorio regionale, in contrapposizione,
spesso, allo Stato centrale; ma al contrario nellavere finalmente il coraggio di
dire: sono le regioni che hanno, da oggi in poi, questo potere; ogni regione organizza
proprio perché le si dà tale compito, per evitare ogni forma di neo-centralismo
la redistribuzione di quei poteri allinterno del proprio territorio tra enti
locali e governo centrale regionale; e spetta alle regioni il potere primario di raccolta
di reddito per far fronte alle funzioni proprie, e solo in modo derivato alle funzioni
dello Stato.
Immagino che si possa nel futuro, quando e se mai sarà realizzata una Camera delle
Regioni, stabilire che una volta lanno, dando per scontata una parte fissa di quel
reddito, una parte che invece andrà concordata tra Stato e Regioni venga attribuita di
volta in volta allo Stato stesso secondo le funzioni che dovrà esercitare nel medio e nel
lungo periodo. Questo sulla base di una sorta di legge finanziaria riveduta e corretta,
che varrà per lanno successivo e per un piano programmatico relativo ad un triennio
o ad un quinquennio.
Ben diverso, tutto ciò, ovviamente, da ciò di cui si discute attualmente nelle aule
della Camera e del Senato; ben diverso dai tentativi in atto, pur lodevolissimi lo
riconosco ma certamente inferiori alle aspettative che tante Regioni, non solo del
nord (chi vi parla è siciliano), ma anche, e soprattutto, direi, del sud, nutrono su
quello che sentono come un problema immediato.
E cè unultima notazione, quella che consente alla mia terra, alla Sicilia, di
avere un immenso alibi rispetto al mancato esercizio dellenorme quantità di poteri
a suo tempo attribuitile: quando tutto questo accadrà, bisognerà che la riforma abbia
una completa ed immediata applicazione. Molti, purtroppo, non ricordano che gran parte dei
poteri a suo tempo attribuiti alla Regione siciliana erano sottoposti ad una successiva
valutazione della Conferenza Stato-Regioni, che avrebbe man mano sottratto quei poteri
allo Stato per attribuirli alla Regione: soprattutto in materia di finanza. Grande alibi,
questo, che certamente nel fare una vera riforma nella direzione cui accennavo prima non
dovrebbe essere consentito a nessuno: nel senso che ci sarà certo, comè giusto, un
periodo di rodaggio, ma occorrerà comunque che la riforma, da quel momento in poi,
dispieghi per intero la potenzialità e lefficacia dei propri effetti.
MARIO PEPE, Presidente della Commissione parlamentare per le questioni regionali. Grazie, presidente La Loggia. Do ora la parola al presidente Elia.
LEOPOLDO ELIA. Presidente del gruppo Partito popolare italiano del
Senato. Ringrazio anchio il Presidente Pepe per questo invito e dico subito che
mi soffermerò, naturalmente, soltanto su alcuni punti di questa immensa materia della
transizione costituzionale. A me pare che concludere la transizione sulla questione del
federalismo sia almeno tanto urgente quanto concluderla sulla legge elettorale e sulla
forma di governo. Questo perché è crescente lincertezza che si è andata creando
su questo piano dopo che la Bicamerale aveva pur proposto un testo, che poi è
lunico che è stato approvato dalla Camera dei deputati, rispetto a tutto quello che
la Bicamerale aveva fatto: e quindi avrebbe dovuto formare oggetto di una sorta di corsia
preferenziale, di una sorta di situazione privilegiata. Invece non è stato così, e
purtroppo paghiamo le conseguenze di questinerzia, di questa omissione certamente
grave.
Dico che è essenziale arrivare a qualche punto di certezza sui poteri delle regioni,
dello Stato, degli enti locali, altrimenti il Titolo V della Costituzione diventa una
specie di terra di nessuno, in cui si salta dalle prese di posizione della Bicamerale alla
devolution di cui si parla un po' indiscriminatamente in questo periodo. Allora,
cè bisogno di un punto fermo, da consegnare alla legislatura che verrà. Qualunque
sia la maggioranza che si formerà in quella legislatura, essa avrà motivo di ringraziare
la tredicesima legislatura se ci sarà un parametro consolidato con cui confrontarsi. Le
leggi Bassanini non possono bastare, non tanto e non solo per una ragione di merito in
relazione alle attribuzioni disposte, ma perché non danno una crescita garantita: la
garanzia può esserci solo a livello costituzionale, e deve essere una garanzia che
riguardi lintera comunità nazionale e tenga conto sia dei poteri delle regioni a
statuto speciale sia dei poteri degli enti locali.
Cè bisogno di fare chiarezza, perché il federalismo di cui si parla, come è stato
detto anche questa mattina dal Presidente Mancino, conserva elementi di forte ambiguità.
Davvero vogliamo ridurre i poteri dello Stato unitario ai diritti régaliens della
moneta, che è passata ad altro livello, e delle forze armate, che hanno un rilievo,
nellUnione europea, certamente molto diverso da quello che avevano un tempo? E
un osso spolpato, linsieme dei diritti che si vorrebbero conservare come tali allo
Stato! Non credo che la problematica degli Stati federali possa ridursi a questa
contrapposizione tra poteri minimi dello Stato unitario e poteri direi quasi
indiscriminati degli Stati membri: perché, addirittura, arrivare non dico a prima della
Convenzione di Filadelfia ma, insomma, ad una finanza puramente derivata dello Stato
nazionale, rispetto agli Stati membri, vorrebbe dire, a mio avviso, operare un
rovesciamento della realtà degli Stati federali odierni.
Qual è il grande problema degli Stati federali, che ci costringe ad andare oltre i
diritti régaliens, come si va oltre nel testo sottoposto alla Camera? Il problema
è di come assicurare, come dice larticolo 72 della legge fondamentale tedesca,
lunità giuridica, lunità economica e qui cè il problema più
grosso, in rapporto ad un principio che non è esplicitato in quellarticolo 72, ma
in pratica è stato egualmente attuato lunità sociale dello Stato. Bisogna,
cioè, garantire una certa omogeneità, se non unassoluta uniformità, nelle
prestazioni sociali di base. Non è possibile, infatti, che la prestazione sanitaria, o
listruzione, possano essere così radicalmente diverse da regione a regione, in uno
Stato europeo!
Vedete, è significativa la deroga che viene apportata al principio di sussidiarietà
dagli articoli 33 e seguenti della Costituzione, in cui si dice che lo Stato istituisce
scuole di ogni ordine e grado e si stabiliscono altri principi. Si potrà modificare,
questo articolo, ma finché cè dimostra, come caso limite, la necessità che talune
prestazioni tendano, per lo meno, ad essere omogenee in tutto il paese.
Questo significa, certamente, un impegno forte, che non può essere risolto una volta per
tutte. La Costituzione può stabilire dei quadri, ma dare anche delle certezze. Quando si
parla di autonomie differenziate, risulta evidente che una simile nozione non avrebbe
alcun senso se si arrivasse ad una devolution che lasciasse allo Stato solo quei
diritti relativi alla moneta, e così via: perché, evidentemente, allora non ci sarebbe
nulla da differenziare. Lo Stato, infatti, avrebbe poteri così minimi che non sarebbe
necessario differenziare alcunché. Ecco, in tanto si può differenziare, verificando se
qualche competenza di quelle appartenenti alle Regioni a statuto speciale possa essere
trasferita, in quanto rimanga allo Stato unitario il compito di assicurare
lomogeneità sociale nelle prestazioni dei diritti fondamentali, come è del resto
nel testo della Bicamerale, come è nel testo della modifica dellarticolo 5, e così
via.
Questo non significa che non si faccia un passo enorme, rispetto allaccentramento
che è stato mantenuto fino a prima delle leggi Bassanini, ma in parte anche dopo, proprio
perché mancava la garanzia di quadro costituzionale. Certo, le autonomie differenziate
non possono giocare il ruolo che in Spagna hanno giocato per la Catalogna, o per i paesi
baschi. Per lItalia, le regioni della Valle del Po rappresentano qualcosa di ben
diverso di quello che la Catalogna ed i paesi baschi rappresentano per la Spagna: e quindi
cè bisogno, indubbiamente, di una calibratura che non può essere così
diversificata come avrebbe voluto, prima delle ultime elezioni, Pujol per la Catalogna o
per altre Regioni spagnole. Tuttavia, cè bisogno di fare questo passo avanti, per
dare chiarezza alla situazione, che oggi è estremamente incerta, anche nei rapporti con
gli enti locali: rimane larticolo 128 della Costituzione, con la previsione di una
legge generale dello Stato; cè la Bassanini, che ha agito su base bipartita, per
cui dove operava larticolo 117 è stato lasciato alle Regioni il potere
ordinamentale di allocare le competenze e le attribuzioni, mentre per le altre parti lo
Stato direttamente con decreti legislativi ha operato le allocazioni. Cè bisogno,
effettivamente, di fare ordine e chiarezza. Questo, però, non solo per una garanzia dei
compiti essenziali che rimarranno allo Stato unitario, ma anche per dare alle Regioni, che
nei propri statuti debbono regolare i rapporti tra i propri organi costituzionali, il
potere di espandersi e di funzionare in modo accettabile, senza alibi nellincertezza
dei rapporti con lo Stato, dei controlli o meno. Bisogna responsabilizzare le Regioni e
responsabilizzare contemporaneamente anche lapparato centrale dello Stato: compito
arduo, ma che comincia con lapprovazione della legge costituzionale sulla riforma
del Titolo V.
MARIO PEPE, Presidente della Commissione parlamentare per le questioni regionali. Grazie, presidente Elia. La parola ora è al ministro Loiero.
AGAZIO LOIERO, Ministro per gli affari regionali. Dalla
conclusione dellindagine promossa dalla Commissione per le questioni regionali,
concernente la transizione dal federalismo amministrativo allo Stato federale, importanti
avvenimenti si sono succeduti nel più recente periodo. I principali riguardano
lelezione diretta dei Presidenti delle Regioni, la formazione del nuovo governo
Amato, la tornata referendaria.
Gli obiettivi prioritari che hanno caratterizzato lazione del Governo nella fase
iniziale della legislatura riguardavano: il completamento del processo di decentramento,
la riorganizzazione e semplificazione delle attività della pubblica amministrazione,
lapprovazione della legge elettorale ed il completamento delle riforme
costituzionali, individuate successivamente alla conclusione dei lavori della Commissione
bicamerale. Le trasformazioni intervenute nelleconomia internazionale e la crescente
differenziazione dei sistemi sociali territoriali richiedono una sollecita riforma della
pubblica amministrazione ed una nuova articolazione dei poteri tra centro e periferie. Per
realizzare una politica autenticamente riformatrice occorre andare dal centro alla
periferia, dallo Stato centralizzato allo Stato delle autonomie.
Il processo di riforma avviato dalla legge n. 59 del 1997 e dai provvedimenti ad essa
collegati rappresenta un passo importante per ridisegnare lassetto delle istituzioni
di governo nel nostro paese. Interrotto il progetto avviato dalla Commissione bicamerale
per le riforme, il programma di riforme amministrative ed istituzionali è proseguito, pur
con difficoltà, realizzando importanti e significative innovazioni. La riforma dei
Ministeri e della Presidenza del Consiglio, lapprovazione di altri importanti
decreti delegati, in attuazione della legge n. 59, ladeguamento
dellordinamento locale ad opera della legge n. 265 del 1999, la riforma
dellelezione dei Presidenti delle Giunte delle Regioni a statuto ordinario e quella
mi auguro prossima dellelezione dei Presidenti delle Regioni a statuto
speciale, rappresentano alcuni dei provvedimenti che ci fanno sperare in un rapido
completamento del processo riformatore, avviato allinizio della tredicesima
legislatura e che dovrebbe auspicabilmente concludersi con la riforma federale dello
Stato.
La legge costituzionale n. 1 del 1999 ha radicalmente mutato lassetto istituzionale
delle Regioni. Il Presidente di Giunta si configura come organo centrale e primario per lo
svolgimento della politica regionale. Questi dirige infatti la politica della Giunta, ne
sceglie liberamente i componenti, è centro di imputazione dellattività normativa e
regolamentare. La cessazione del Presidente di Giunta dalla carica per causa politica
(mozione di sfiducia del Consiglio, rimozione) o per altre cause (dimissioni volontarie o
impedimento permanente) comporta il contestuale scioglimento del Consiglio. La centralità
di questa figura consegue alla direttiva contenuta nella nuova legge costituzionale, che
vuole il presidente di Giunta legittimato dallinvestitura diretta da parte degli
elettori.
Un primo problema di carattere istituzionale riguarda, nellimmediato, i rapporti fra
il Governo centrale, che è tuttora espressione di una forma di governo parlamentare, ed i
governatori regionali, espressione di una forma di governo di tipo presidenziale. Un
riferimento lo ha fatto anche il Presidente Violante, nella sua introduzione. La nuova
legge costituzionale, a parte alcune norme direttamente precettive, è ad esecuzione
differita, nel senso che il sistema di elezione degli organi componenti lesecutivo e
la stessa forma di governo sono demandate a future leggi regionali. Infatti, il nuovo
assetto dellente Regione è rimesso alladozione dei nuovi statuti, che
dovranno determinare la forma di governo ed i principi fondamentali di organizzazione e
funzionamento. Dal che consegue che ciascuna Regione, in piena autonomia, sceglierà il
proprio modello, la struttura ritenuta più opportuna, senza controlli centralistici di
tipo giuridico, e tanto meno di tipo politico.
Poiché lunico vincolo che incontrano i nuovi statuti è di essere adottati in
armonia con la Costituzione, appare evidente che ogni Regione si doterà, per questi
aspetti, di una propria Carta costituzionale, in quanto e ciò costituisce una vera
e propria novità istituzionale gli statuti non incontrano più limiti riferiti
alla legislazione statale, bensì ed unicamente limiti rinvenibili nei principi supremi su
cui si fonda la nostra Costituzione e che caratterizzano la forma di Stato: diritti
inviolabili, principio di democraticità, di sovranità popolare, principi generale
dellordinamento giuridico. Tali limiti, comè ovvio, lasciano alle Regioni uno
spazio di autonomia prima impensabile, talché è lecito desumere che lindirizzo
politico, che ciascuna Regione sceglierà, andrà incontro alle esigenze di un accentuato
federalismo. Non di meno, gli indirizzi politici regionali, pur fortemente differenziati,
debbono comunque trovare momenti di armonizzazione con lindirizzo politico generale
dello Stato, di cui il Governo è detentore. Tanto a significare che le scelte politiche
dellente Stato e dellente Regione debbono comporsi secondo modelli di
cooperazione e collaborazione.
In questo contesto, in cui sono destinate ad operare le istituzioni, si impone comunque un
primo radicale cambiamento, che riguarda essenzialmente la struttura costituzionale del
Governo. I poteri forti delle Regioni debbono confrontarsi con un potere altrettanto forte
del Presidente del Consiglio, legittimato dallinvestitura diretta da parte del
popolo italiano. Solo in tale evenienza i poteri di cui disporranno le Regioni subiranno
il necessario bilanciamento con un altro potere, rappresentativo dellintera
comunità nazionale. Solo in tale evenienza ripeto potrà dirsi che la
riforma del nostro assetto delle istituzioni regionali dia una risposta ottimale alle
esigenze di autogoverno da parte delle comunità locali.
Va infine aggiunto che, accanto alla riforma costituzionale della struttura di governo, le
forze politiche dovrebbero convenire sulla necessità di unapprovazione rapida del
disegno di legge costituzionale sullordinamento federale della Repubblica, che
rivede in modo compiuto lintero Titolo V della Costituzione ed in cui è ampiamente
valorizzato il ruolo degli enti subregionali, comuni e province.
Non va infatti sottaciuta limportanza dei compiti da affidare agli enti locali, la
cui autonomia deve essere salvaguardata al massimo grado, in modo che anche i poteri
regionali subiscano un grado tale di decentramento, in ossequio al principio di
sussidiarietà, da poterli ricondurre a poteri che dialogano nellambito delle
rispettive competenze ed in termini paritetici con gli altri poteri locali che insistono
in modo dialettico nel territorio di ciascuna Regione.
Unultima notazione riguarda il nuovo articolo 122 della Costituzione, che demanda
alla Regione la disciplina del sistema di elezione ed i casi di ineleggibilità e di
incompatibilità di tutti i componenti degli organi regionali, nei limiti dei principi
fondamentali stabiliti con legge della Repubblica. Sussiste un problema di estrema
delicatezza, che riguarda lo spazio di autonomia attribuito alle singole Regioni circa le
scelte da effettuare in materia elettorale ed i limiti inderogabili che lo Stato deve
porre alla legislazione regionale per tutelare le esigenze unitarie della materia. Sembra
evidente che lo Stato dovrebbe poter dettare norme di carattere generale, sulla
considerazione della necessità di rendere quanto mai omogenei i sistemi elettorali per
lintero paese, nonché principi validi per tutte le Regioni sui casi di
ineleggibilità e incompatibilità, laddove i requisiti per laccesso o la permanenza
alla carica elettiva siano strettamente connessi alla formazione ed al funzionamento
democratico degli organi regionali ed a garanzia della libera formazione della volontà
che sono chiamati ad esprimere.
MARIO PEPE, Presidente della Commissione parlamentare per le questioni regionali. Grazie, ministro Loiero. Diamo ora la parola al collega Presidente della Commissione per la riforma amministrativa, onorevole Cerulli Irelli.
VINCENZO CERULLI IRELLI, Presidente della Commissione consultiva in
ordine allattuazione della riforma amministrativa. Io credo e sarò
brevissimo che lincontro di questa mattina abbia un evidente carattere
politico, quindi non svolgerò un vero e proprio intervento, il cui testo scritto peraltro
consegno alla Presidenza. Mi limiterò invece a porre qui delle questioni. Le pongo,
soprattutto, agli attori che in questo momento sono sulla scena, i Presidenti delle
Regioni e i rappresentanti delle forze politiche in Parlamento.
Esse concernono, innanzitutto, lattuazione ed il completamento di
quellimportante processo di riforma che abbiamo avviato con la legge n. 59 e la cui
attuazione, in qualche modo, è affidata alla responsabilità della Commissione che ho
lonore di presiedere. Qui noi prendiamo atto di un fatto importante, avvenuto
soltanto un paio di settimane fa in Conferenza Stato-Regioni: si è superata una grossa
difficoltà; la parte più significativa dei decreti intesi allindividuazione delle
risorse sta arrivando in Parlamento. Noi ci impegniamo ad approvarli in pochissimi giorni,
e riteniamo che questo problema, che un mese fa ci preoccupava molto, possa essere
superato. Rimangono molte questioni aperte, in quella sede: ad esempio rimane la questione
del personale. Quei decreti, sullindividuazione delle poste di bilancio parlano
chiaro e quindi siamo in grado, in relazione al bilancio 2001, di individuare quello che
passa alla Regione; per quanto riguarda il personale, viceversa, sono in larga misura
decreti di rinvio, che necessitano di ulteriori decreti e di ulteriori trattative. Ci
troveremo, quindi, di fronte al problema che io ho segnalato al Presidente del
Consiglio, a nome della Commissione, qualche giorno fa che le Regioni avranno la
disponibilità delle poste di bilancio, al prossimo gennaio, ma non avranno ancora la
disponibilità del personale relativo allesercizio di quelle funzioni. Questo,
certamente, è un problema che, in questi mesi, necessita di attenzione, da parte nostra,
ma direi soprattutto da parte delle Regioni.
Resta anche aperto il problema che entro lanno dovrebbe essere risolto
delle dimensioni ottimali del governo locale, perché nei decreti attuativi della legge n.
59 noi abbiamo condizionato il trasferimento al fatto che le Regioni, a loro volta,
individuino i livelli di governo locale: ciò che le Regioni hanno fatto (credo tutte,
ormai), con proprie leggi, ma manca lattuazione da parte comunale, cioè manca
lindividuazione concreta delle forme associative nellambito territoriale
ottimale che è stato individuato. Ecco, qui alcune Regioni hanno pensato a strumenti
alternativi, ad esempio ad un trasferimento interinale alle province; altre Regioni,
viceversa, non contemplano strumenti alternativi. Ho posto anche questo problema al
Governo, nel senso che forse è il caso, da qui a dicembre, di pensare, naturalmente di
comune accordo con le Regioni, a degli strumenti che ci consentano di superare
lostacolo del 31 dicembre: in modo che, se a quel momento non avremo ancora le forme
associative costituite per lesercizio a livello locale delle funzioni, ciò non di
meno il processo di trasferimento possa partire.
Vengo al federalismo. Cari amici, qui oggi il problema si è posto in maniera molto
chiara. E assolutamente impossibile arrivare soltanto con lo strumento ordinario,
tipo leggi Bassanini (legge n. 59 e seguenti) a qualche risultato compiuto. Questo per
evidenti ragioni di carattere strettamente costituzionale formale: ci sono delle cose
scritte in Costituzione che non possiamo toccare e che certamente oggi costituiscono un
ostacolo; ma anche per un fatto di carattere politico: il trasferimento, il decentramento,
la devoluzione (chiamatelo come vi pare) è una cosa difficile, che incontra molte
resistenze, che noi riscontriamo tutti i giorni, da parte delle organizzazioni di
categoria, da parte delle grandi burocrazie ministeriali, da parte della stessa politica,
dato che molte parti politiche enunciano programmi di grande decentramento e federalismo,
ma poi in realtà vivono con mentalità centralistiche (parliamoci chiaro!). Una copertura
costituzionale è quindi assolutamente indispensabile.
Ora, il testo che la Commissione ha rielaborato è in aula, relatori lonorevole Soda
ed io, ed è un testo su cui possiamo discutere e che possiamo migliorare come volete, ma
che risponde in maniera chiara almeno a quattro questioni.
La prima riguarda le materie. Le Regioni vogliono più competenze: hanno ragione. Nel
testo è prevista tutta una serie di materie da trasferire alle Regioni, a competenza sia
esclusiva sia concorrente. Sulle materie vogliamo aprire un tavolo. Alcuni hanno detto (ho
letto affermazioni di colleghi importanti, come Tremonti e Frattini) che lelenco è
troppo esiguo. Benissimo: apriamo un tavolo sullelenco delle materie, tra i
presidenti delle Regioni e la Commissione parlamentare, o il Comitato dei nove (come
volete), e vediamo concretamente come lelenco possa essere integrato.
Cè però una questione al riguardo: che nel testo e questo proprio su
proposta della Commissione: lo ricordavano pocanzi alcuni colleghi è
prevista anche la possibilità di un regionalismo differenziato. Noi siamo profondamente
convinti, infatti, che tra Regioni delle dimensioni della Lombardia e della Campania e
Regioni (cito la mia, così non offendo nessuno!) come lAbruzzo le differenze sono
molto forti in termini dimensionali, in termini di capacità di governo, anche in termini
di tradizione storico-politica; che quindi, un certo tasso di differenziazione sia
necessario. Nel testo è previsto un sistema per cui alcune Regioni, su loro proposta,
possono aprire un negoziato con il Governo nazionale, nel senso di vedere concretamente,
anche sulla base della loro capacita di governo e dei mezzi finanziari disponibili, su
quali materie si possa intavolare un negoziato particolare. Alcune Regioni ritengono di
avere particolari e specifiche aspirazioni alla competenza sulla scuola? Su questo si può
aprire un negoziato, in base a quella norma; negoziato che viene poi sanzionato da una
legge del Parlamento e da una legge regionale. Insomma, unintesa. La questione delle
materie va quindi letta, in quel testo, in relazione al regionalismo differenziato che è
previsto.
La terza questione riguarda i controlli. Noi viviamo ancora con un testo costituzionale
che contempla controlli di tipo napoleonico. Il testo in questione li sopprime nei
confronti sia degli enti locali, sia della Regione; nei confronti sia degli atti
amministrativi, sia delle leggi. Ma quanti di noi vivono il problema per cui ad ogni legge
regionale si apre un negoziato con il Governo (passerà, non passerà
), vi sono
trattative tra i funzionari regionali ed i funzionari del Dipartimento affari regionali
della Presidenza del Consiglio
? Tutto questo scompare! La legge regionale, una volta
approvata, passa; se il Governo ha qualcosa da dire, si rivolge alla Corte costituzionale:
come abbiamo previsto nella legge costituzionale n. 1 del 1999, a proposito degli statuti.
La quarta questione concerne la finanza. Mi dispiace che lonorevole Tremonti, in
unimportante, recente intervista, abbia espresso grandi lamentele: perché in
realtà il testo che è in aula è stato scritto di comune accordo ed in larghissima
misura è stato ispirato da lui, che è un notevole esperto della materia. Ora, in quel
testo, sono scritte alcune cose importantissime. Innanzitutto, il principio della
territorialità dei tributi. Il tributo appartiene in primo luogo al territorio che lo
esprime; e quindi, anche se viene esatto dallorganizzazione statale (questo credo
che sia concretamente inevitabile) viene poi, però, diviso in base allappartenenza,
rispettivamente alla Regione, per una quota, allo Stato per unaltra quota, secondo
le rispettive attribuzioni, con una terza quota (è il sistema tedesco delle tre quote)
che va al fondo perequativo, cioè serve per venire incontro alle situazioni svantaggiate.
Questo cè, nel testo: può essere, naturalmente, ancora aggiustato e chiarito; ma
questo cè. E questo, rispetto alla Costituzione attuale, è un passo avanti
straordinario, forse anche eccessivo, forse rivoluzionario.
In conclusione, non si può dire che questo testo non sia avanzato. Qui cè un
problema politico, però, che io vorrei che fosse chiarito: e forse questa può essere la
sede. Il problema politico è che, da parte degli amici e colleghi del Polo, in
Parlamento, è stata posta una questione a mio giudizio abbastanza pretestuosa, e cioè
che questo testo non va avanti se non si inserisce anche la norma relativa alla cosiddetta
sussidiarietà sociale. Ora, si tratta di una norma che non centra nulla, sulla
quale abbiamo proposto di aprire un tavolo, ma in unaltra sede, perché non
centra con quello che stiamo discutendo. Allora, io vorrei sapere dagli amici e
colleghi del Polo se questo problema sia superato o no. Vogliamo effettivamente
approvarlo, questo testo (in tal caso noi siamo pronti, penna in mano, a farlo prima
dellestate, almeno alla Camera), oppure no? Se non cè questa disponibilità e
si dice che occorre la sussidiarietà sociale, poi magari si dirà che ci vuole
unaltra cosa, poi unaltra cosa ancora, allora lo si faccia presente, e il
tavolo non si apre! Però questo è un problema squisitamente ed esclusivamente politico,
che nulla ha a che fare con le questioni specifiche, che possono essere tutte risolte.
Ora che è partita una nuova fase della vita delle Regioni, in virtù della legge
costituzionale n. 1 del 1999, i Presidenti hanno tutto il diritto ed il dovere di gestire
pienamente i loro poteri, ai quali sono stati chiamati dal popolo. Credo allora che sia
interesse soprattutto loro, a prescindere dalle rispettive appartenenze politiche, che
questo processo si sblocchi rapidamente.
MARIO PEPE, Presidente della Commissione parlamentare per le questioni regionali. Grazie, Presidente Irelli, per questa "provocazione". Do ora la parola al Presidente Bassolino.
ANTONIO BASSOLINO. Presidente della Regione Campania. La
ringrazio, Presidente, anche per aver organizzato questo incontro, che mi sembra
unoccasione utile, soprattutto alla vigilia di appuntamenti importanti che abbiamo
in Parlamento.
Sarò essenziale, come è giusto fare in una sede come questa, essendo daccordo,
poi, con molte considerazioni già svolte. Noi siamo ad un passaggio molto delicato ed
impegnativo, perché abbiamo avuto, nei mesi scorsi, una novità rilevante:
lelezione diretta dei Presidenti delle Regioni da parte dei cittadini. Vorrei
osservare subito che grazie a questa novità noi abbiamo evitato un rischio a mio avviso
molto serio e molto grave, che si profilava in Parlamento: il rischio, cioè, che fallita
la Bicamerale si arrestasse di fatto ogni meccanismo e processo riformatore, anche nel
solco di unantica tradizione italiana, che è spesso fatta di oscillazioni tra
nobili disegni, a volte onnicomprensivi (tale, e giustamente a mio avviso, era stata
lambizione della Bicamerale), e la difficoltà, invece, a far camminare le riforme
che è possibile fare.
In questo senso, lelezione diretta dei Presidenti delle Regioni ha dimostrato che è
possibile modificare la Costituzione, con coraggio e realismo, evitando il rischio della
falsa alternativa tra il tutto ed il nulla, il blocco di qualunque meccanismo riformatore.
In questo senso la novità è importante, ed ora questo mi sembra il punto più
politico di fronte a noi si tratta di fare in modo che nei prossimi mesi, e poi nei
prossimi anni, alla novità dellelezione diretta si accompagni un cammino
riformatore coerente.
Vedo subito un tema di fronte a noi, di cui abbiamo già parlato nella Conferenza Governo
nazionale-Regioni (come è giusto che cominciamo a chiamarla, perché lo Stato siamo anche
noi: le Regioni italiane). Già le norme costituzionali approvate (modifica di più
articoli della Costituzione) rendono a mio ed a nostro avviso superata una serie di norme
della legislazione nazionale e regionale, che sono chiaramente in contrasto con norme
costituzionali di rango superiore. Penso pertanto che sia giusto andare e
rapidamente, nei prossimi giorni e nelle prossime settimane ad un censimento delle
norme da considerare superate e, se è indispensabile, allapprovazione di norme
nazionali che rendano più forte uninterpretazione autentica che è possibile fare
subito.
Questo è il primo compito di fronte a noi; anche perché vorrei sottolineare un tema che
credo ci riguardi tutti, presidenti di centro-sinistra e di centro-destra: lo dico con
lesperienza che ho già fatto a lungo come sindaco. Lelezione diretta è molto
importante, però evoca e suscita anche molte richieste e attese. Attenzione, per quanto
riguarda tutti noi: non cè peggior errore che rinviare ad un domani indefinito ciò
che è possibile ed è doveroso fare subito, in materia di poteri, di funzioni e di
possibilità di dare risposte immediate e concrete. E per questo che comincio ad
insistere sulle norme da considerare già superate; e reputo di enorme importanza il fatto
che, finalmente, dagli inizi di luglio prende lavvio alla Camera la fase più
impegnativa della riforma del Titolo V della seconda parte della Costituzione. Abbiamo
chiesto formalmente, ancora in queste ore, un incontro con il Comitato dei nove (lo ha
fatto il Presidente Ghigo, a nome di tutti noi, ma lo avevamo gia fatto al tavolo della
Conferenza Governo nazionale-governi regionali). Penso sia, infatti, molto importante
utilizzare bene i prossimi mesi (il tempo cè, anche per i passaggi tra Camera e
Senato) per riformare quanto più è possibile in tema di Stato federale, anche
modificando la Costituzione. Nella successiva legislatura si vedrà, poi, quali saranno i
passi in avanti successivi che bisognerà ancora fare. Ma guai a fermarci ora ed a
rinviare ripeto a un domani indefinito! Lo dico per tutti quanti noi.
E possibile lo dico anche da Presidente di una grande Regione meridionale
approvare anche le norme per un federalismo differenziato e variabile, il che mi
sembra del tutto giusto: poi vedremo in concreto. Così ad esempio, se cè una
strada come questa, io penso di aprire una trattativa con lo Stato centrale in materia di
beni culturali e ambientali, perché intendo valorizzare al massimo le potenzialità e le
ricchezze originali di una Regione come la mia. Ritengo che in tema di controlli dobbiamo
fare passi in avanti. Vale, questo, per le Regioni, ma vale anche per i comuni. I comitati
di controllo sugli atti degli enti locali sono da abolire, puramente e semplicemente. E
occorre fare attenzione, su questa strada, a non avere una visione diversa tra Regioni e
comuni.
Qui cè è laltro punto che vorrei sottolineare un tema
delicatissimo: noi dobbiamo dare poteri e funzioni nuove alle Regioni, ma in una visione
non gerarchica delle istituzioni. Considero questo un punto di fondo e di discussione: una
visione non gerarchica nei rapporti tra Stato centrale, stato regionale e lo stato dei
comuni e di quelle che chiamiamo le autonomie locali.
Dobbiamo dare piena dignità costituzionale ai comuni, rendere chiaro che tutta la
gestione amministrativa appartiene alla forma di Stato più vicina al territorio, cioè al
comune, e che questo è il modo limpido ed anche costituzionale di evitare ogni forma di
neocentralismo regionale.
Nessuna visione gerarchica tra le istituzioni; la Regione non è gerarchicamente
sovraordinata rispetto al comune, come lo Stato centrale non è gerarchicamente
sovraordinato rispetto alle nuove Regioni. Tra le istituzioni della Repubblica italiana ci
sono rapporti funzionali, ognuna è sovrana ed autonoma nelle proprie competenze e
responsabilità; e nessuna istituzione è gerarchicamente sovraordinata rispetto alle
altre.
Questo è un limpido tema costituzionale ed istituzionale che noi dobbiamo spingere in
avanti. In questo senso, è molto importante la riforma costituzionale da fare ora, nei
prossimi mesi; e poi continueremo a lavorare assieme anche nella nuova legislatura.
Infine, è evidente che è interesse di tutti quanti noi, contestualmente alla riforma del
Titolo V della parte II della Costituzione, giungere ad un accordo su una nuova legge
elettorale che renda forte un bipolarismo di schieramenti e più stabile il Governo
nazionale, perché è interesse della democrazia italiana, di tutti quanti noi
Presidenti e Sindaci eletti direttamente dai cittadini avere un interlocutore
centrale forte. In questo senso, i prossimi mesi hanno un valore enorme per tutti quanti
noi.
GIANCARLO GALAN, Presidente della Regione Veneto. Credo di dover
porre laccento, più che sulla forte innovazione che ha significato lelezione
diretta dei presidenti delle Regioni, su un altro aspetto, altrettanto e anzi più
importante: leliminazione, in base al nuovo articolo 123, della soggezione degli
Statuti regionali alle leggi della Repubblica, eliminazione che conseguentemente consente
ai consigli regionali di esprimersi attraverso una formula di autonomia limitata
esclusivamente dalle norme costituzionali.
A questo punto, ridisegnare lorganizzazione costituzionale dello Stato è un compito
non più eludibile. Il grado di autonomia che i consigli regionali disegneranno dipenderà
dalla capacità e dalla volontà delle singole Regioni di porre in campo strumenti che,
secondo uno schema flessibile, rispettoso delle diversità socioeconomiche e culturali,
consentiranno la realizzazione di un modello orientato in senso federale.
Lunico limite da rispettare è larmonizzazione dello Statuto con la
Costituzione.
Ho usato la parola "limite" per dare il senso del rapporto giuridico fra le
varie norme; ma vorrei piuttosto usare il termine "valore", perché in
quellarmonia con le norme costituzionali sta il significato di uno Stato unitario,
che nessuno si sogna di infrangere.
Quello dellarmonia con la legge fondamentale della nostra Repubblica non è quindi
un limite, ma un valore.
Per cercare di essere utile a questa riunione (ringrazio tutti i presenti, così
stranamente numerosi), credo di dover enunciare cosa farà il Veneto. Non è una novità,
quello che il Veneto scriverà nella nuova Costituzione del popolo veneto: qualcuno
giudicherà eversivo questo approccio, ma non lo è affatto, prima di tutto perché il
termine "Costituzione" per i nuovi statuti regionali è diventato di uso comune;
in secondo luogo, perché il termine "popolo veneto" è già inserito in una
norma costituzionale, essendo stato adottato nellarticolo 2 del nostro Statuto
approvato nel 1972.
Conterrà alcuni principi che non sono una novità, essendo stati essi condensati in
quello che si voleva proporre come referendum regionale consultivo ai veneti e che il
Governo ha invece interloquito in prima istanza e, dopo la nuova approvazione con il
quorum dei 2/3 dei voti favorevoli, ha bloccato presso la Corte costituzionale.
Si pensi che fra le norme che si volevano allora inserire ce nera una che riguardava
la determinazione da parte della Regione della propria forma di governo, inclusa la
possibilità di prevedere lelezione diretta del Presidenti, nonché la disciplina
del sistema elettorale regionale.
Queste norme erano così eversive, così stravolgenti da costringere il Governo della
Repubblica ad impugnarle presso la Corte costituzionale e ad opporsi in ogni modo, ma poi
sono diventate legge dello Stato. Questo dimostra che le eresie di oggi possono benissimo
essere le ortodossie di domani; ed è laugurio che molti presidenti di regione si
fanno.I punti cardine del nuovo Statuto saranno quattro.
Il primo è il seguente: potestà legislativa e amministrativa dello Stato in materia di
politica estera, difesa, moneta, giustizia, organi costituzionali dello stato, livelli
minimi di assistenza; potestà legislativa della Regione in ogni altra materia.
Questo non mi sembra né eversivo né sconvolgente; è semplicemente quello che avviene
negli stati autenticamente federali, che fa giustizia anche di tante questioni sollevate
con grande clamore in questi giorni e con molto minor clamore qualche tempo fa, per
esempio sulle funzioni di polizia locale, sulle questioni di sicurezza, che pacificamente
in ogni stato federale sono attribuite allo stato federato e non allo stato federante: i
Carabinieri restano i Carabinieri della Repubblica, tanto per tranquillizzare chi avesse
qualche dubbio.
Secondo principio: lesercizio a livello locale delle funzioni amministrative, di
tutte le funzioni amministrative; attribuzione alla Regione delle funzioni di
programmazione e controllo.
Con questo mi sembra che si risolva quello che può essere davvero un grande pericolo e
che in Sicilia non è un pericolo, ma un dramma attuale: un neocentralismo regionale che
sarebbe la cosa più negativa, come dimostra lesempio siciliano.
Terzo principio: riconoscimento alla Regione del potere di stipulare accordi con Stati o
enti territoriali di altri Stati e di partecipare alla formazione degli atti
dellUnione europea provvedendo in via autonoma allattuazione degli atti
comunitari.
Questo è sconvolgente? Non credo: la politica estera è unaltra cosa ed è
riservata allo Stato. Qualcuno trova qualcosa di strano nel fatto che il Presidente di una
Regione italiana firmi un accordo culturale o una lettera di intenti in materia culturale
e turistica con il Presidente di una repubblica sudamericana? La risposta di ogni uomo di
buonsenso non può che essere negativa.
Eppure il Governo della Repubblica italiana ha impugnato presso la Corte costituzionale
una lettera di intenti (non un accordo, si badi bene) in materia di scambi turistici e
culturali tra il Presidente della Regione Veneto e il Presidente della Repubblica
Argentina: se non altro per dare un segno di disponibilità, quella decisione andrebbe
rivista.
Il quarto ed ultimo principio concerne la norma fiscale: lattribuzione alla Regione
del potere di istituzione, accertamento e riscossione dei tributi; devoluzione allo Stato
di una quota non superiore a un terzo delle entrate tributarie riscosse dalla Regione.
Questa norma, che è alla base di quella che sarà la vera trattativa con lo Stato, merita
una spiegazione.
Non vi è nulla di male se per un tempo, che si vorrà definire, il soggetto che riscuote
le imposte continuerà ad essere lo Stato e se per un lungo periodo sarà lo Stato ad
avere il potere di istituire le imposte. Nessuno può però contestare la ragionevolezza
di porre questa norma in prospettiva: il federalismo esiste se cè la base fiscale.
E per quanto riguarda quel terzo delle entrate regionali da attribuire allo Stato, si
tratta di una base di partenza per la trattativa, per altro non lontana dalla realtà: se
le competenze dello Stato fossero soltanto quelle che ho detto prima, la quota sarebbe
più che sufficiente, anche per la solidarietà, in forma possibilmente non assistenziale,
verso le Regioni meno favorite, per favorirne il loro sviluppo.
Credo che ce ne sia abbastanza, anche in una forma un po diversa da quella sulla
quale vale la pena di ritornare: perché non è solidarietà vera quella che è alla base
della legge di ripartizione del 90 per cento della quota di solidarietà delle grandi
imposte erariali, destinata alla sanità delle Regioni italiane. Non lo è, perché manca
di un elemento fondamentale e quella quota dovrebbe essere portata al 90 per cento del 10
per cento: nella situazione attuale nessuna Regione (né il Veneto né la Basilicata, che
sta andando benissimo negli ultimi anni) è posta nelle condizioni di tramutare i successi
in tema di produzione di reddito e quindi di prelievo fiscale in migliori servizi per i
propri cittadini.
Credo di dover rivolgere questappello, non in unottica di contrasto tra Nord e
Sud, che non centra nulla; anzi, in senso contrario: voglio che ci sia una norma che
consenta alla Basilicata (i cui risultati sono formidabili) di trasformare in migliori
sevizi per i suoi cittadini ciò che riesce a produrre in più in termini di prodotto
interno lordo.
Questo farà il Veneto. Non so se sarà giudicato eversivo o quantaltro; ci vorrà
anche un Parlamento capace di recepire costituzionalmente queste spinte. Significherà
forzare sullo Statuto, come ho letto su molta stampa? Può darsi: forzeremo sullo Statuto,
lo faremo. Significa eversione? Non credo proprio. Certo ci vorrà un Parlamento capace di
recepire queste, che sono le spinte massime. Dico apertamente che se fossi il Presidente
della Calabria mai mi sognerei di rivendicare la sanità come competenza esclusiva della
mia Regione. Ma siccome non lo sono, lo faccio.
Non so se piacerà alla maggioranza dei parlamentari attuali; ne dubito. Spero che piaccia
alla maggioranza dei parlamentari futuri, so che piace ai Veneti, ai quali piacerà anche
il nuovo Statuto.
CLAUDIO MARTINI, Presidente della Regione Toscana. A questo
punto del dibattito, credo sia necessario essere sinceri e andare al fondo di alcune
grosse questioni che stanno emergendo.
La mia prima considerazione è questa: nei primi giorni di luglio comincerà alla Camera
dei deputati una discussione importante sul completamento del federalismo. E
unoccasione da non perdere. Vorrei allora incentrare il mio intervento soprattutto
sul piano politico ed istituzionale. Al di là delle varie sfumature su alcuni aspetti,
quello che tutte le Regioni si attendono è che questa occasione non sia perduta e, magari
alla ricerca della perfezione della norma, della spaccatura dellultimo capello, si
finisca per non muoversi e per non utilizzare bene questultimo anno di legislatura.
Il Presidente della Regione Campania, Bassolino, ha accennato alliniziativa assunta
dalla Conferenza dei Presidenti delle Regioni per un incontro con il Comitato dei nove:
vogliamo che vi sia uno sblocco di questa discussione e che si arrivi in fondo, anche per
togliere ogni alibi in qualunque schieramento politico sul fatto che non si possa andare
ulteriormente avanti in questa legislatura, che già ha consentito qualche passo avanti.
Completare questo processo è assolutamente indispensabile per due motivi: per darci le
condizioni di ridurre il divario che è già evidente allinizio della
legislatura regionale tra le notevoli aspettative che si sono aperte in materia di
poteri delle Regioni e del ruolo che possono svolgere nella trasformazione dello Stato ed
i poteri che di fatto hanno ed il ruolo che concretamente possono svolgere.
Il secondo motivo è che abbiamo lesigenza di andare ulteriormente avanti, anche per
sollecitare una trasformazione del quadro istituzionale a livello nazionale: siccome
lelezione diretta dei presidenti è il primo passo, lelemento che dà inizio
al gioco, bisogna sollecitarla ulteriormente perché diventi irrimandabile anche la
questione di una trasformazione del quadro istituzionale nazionale, in termini di legge
elettorale, di forma di governo e di tutte le altre questioni.
Questo divario, che già comincia ad emergere, anche se talora è utilizzato in maniera un
po esasperata (ci vorrebbe anche un certo garbo), tra la legittimazione piena e
totale dei presidenti delle Regioni e il fatto che il quadro di Governo nazionale non lo
è nella stessa misura, pone un reale problema, che deve essere affrontato in questa fase.
Questa è la questione politica che oggi si pone; poi, le discussioni di merito sui
problemi le dobbiamo fare, ma non rimandare: facciamo partire questo treno e arriviamo
fino in fondo.
Qui si misurerà anche il grande tema delle autonomie speciali. Nei giorni scorsi ho fatto
una dichiarazione, rivolta anche a noi presidenti delle Regioni, per invitare a trovare
sempre di più elementi di sintonia e di sostegno comune di questa battaglia. Sarebbe
davvero singolare che partisse una gara a chi è il maestro di federalismo in Italia. Sono
state improvvisamente istituite delle cattedre di federalismo assoluto, in cui cè
sempre qualcuno che dà lezioni agli altri. Quello che oggi serve è una grande capacità
unitaria delle Regioni di sostenere questo tema, altrimenti rischiamo di usare anche il
tema delle autonomie speciali (che io considero vitale per questo paese) come qualcosa che
finisce per disarticolare la stessa battaglia federalista.
Il Presidente della Regione Veneto, Galan, ci ha parlato delle sue idee su come pensa di
gestire la fase dello Statuto in Veneto; per parte mia posso dire che anche noi abbiamo
inserito nel programma di governo il tema dellautonomia speciale della Toscana su
questioni rilevanti e su temi specifici; però la mia sommessa opinione è che forse anche
su questo un po di confronto tra di noi non farebbe male, perché ho idea che ognuno
vada avanti per conto suo, legittimamente, però non so se il risultato che otterremo
sarà quello che vogliamo.
Al collega Galan dico che per me il tema non è se le proposte siano o meno eversive,
perché le considero sempre e comunque non eversive; cerco invece di capire se siano
proposte utili o non utili, se linsieme degli sforzi, che facciamo affinché ogni
regione abbia il massimo di autonomia, alla fine delineino un quadro in cui le stesse
Regioni riescano a portare avanti i loro impegni.
Non illudiamoci: nessuna regione potrà fare corpo a sé, isola felice a sé, né nella
sanità, né nei trasporti, né nei beni culturali, né in alcun altro settore. Non esiste
la separatezza. Sono stato per cinque anni assessore alla sanità e devo dire che su molte
questioni abbiamo, anche con il Veneto, discusso e fatto progetti comuni, tanto che ho
chiesto che si faccia una riunione specifica tra di noi proprio sulla sanità. Non so cosa
sia questo misterioso concetto di devolution totale sulla sanità: capisco il senso
del sostantivo e dellaggettivo presi separatamente, ma non capisco cosa significhino
messi insieme. Non so se tutto questo aiuterà a portare avanti i progetti comuni che
abbiamo fatto nelle passate legislature o se, invece, ci porterà indietro.
Per me, quindi, il dibattito non è se una proposta sia o meno eversiva; è se le proposte
siano utili, efficaci, capaci di elevare la qualità del governo e non soltanto
lestetica autonomistica.
Lo dico chiedendo un dibattito, non esprimendo giudizi. Ho la preoccupazione che dietro
tante formulazioni non ci sia una meditata e approfondita riflessione sulle conseguenze
generali, non soltanto regionali, che si possono determinare. Lo dico umilmente: così
come ho fatto quella proposta (che è stata accolta dai Presidenti delle Regioni) sulla
sanità, credo che si ponga lo stesso problema su altre questioni.
Ben venga quindi una forte sottolineatura dellautonomia speciale, però cerchiamo di
vedere insieme quale sia il risultato, quale sia lItalia e non soltanto il
Veneto o la Toscana - che costruiamo. Se dovessi dar retta alle spinte autonomistiche dei
toscani, dovrei fermarmi non ai comuni ma alle contrade, ai campanili subcomunali; e
persino nelle contrade ci sono delle divisioni (Chiocciola di sopra e Chiocciola di
sotto). Se ci mettiamo in gara a fare a chi è più decentratore, sul podio riusciamo a
salire anche noi. Occorre verificare come tutto questo possa essere costruito in una
dimensione che sia utile, efficace, positiva, perché la partita dellautonomia deve
in fondo essere funzionale al miglioramento della qualità del governo,
dellintervento sulle varie questioni e non soltanto ad un semplice riconoscimento.
Tornando a due questioni che sono emerse nel corso del dibattito, vorrei dire due parole
sulla questione Giunta-Consiglio nelle Regioni. Sorgerà lesigenza di trovare strada
facendo degli equilibri più avanzati fra giunte e consigli; abbiamo di fronte un
presidente ed una giunta forti a seguito di una legittimazione popolare, che non è
soltanto personale ma anche sul programma che ognuno di noi ha portato alle elezioni. Non
a caso questanno in tutte le Regioni abbiamo avuto la grande novità che la Giunta
non è eletta dal Consiglio e che il Presidente illustra al Consiglio il suo programma di
governo per i cinque anni, lo comunica al Consiglio, il quale non lo approva, perché è
stato automaticamente votato dagli elettori che hanno votato per il presidente.
Ma anche il Consiglio è forte, perché ha la sua legittimazione, e quindi vanno trovati
meccanismi di equilibrio.
Dobbiamo avere laccortezza di non arrivare ad andamenti zoppi, ma di avere due
poteri entrambi forti che però non devono paralizzarsi, annullarsi a vicenda, ma
aiutarsi. Lingegneria costituzionale deve far funzionare le cose, non preoccuparsi
soltanto dellestetica.
Lultimo tema è quello del neocentralismo regionale. Molti di noi si sono misurati
con questo problema ed ogni regione ha trovato il modo per cercare di risolverlo. In
Toscana stiamo sperimentando da due anni il Consiglio regionale delle autonomie,
costituito da sindaci e presidenti delle province, che interviene sulla vita
dellAssemblea regionale.
Questo è un problema vero, ma non deve farci deviare da quello principale, perché ancora
non abbiamo superato il centralismo nazionale.
Questa è ancora "la questione". Poi dobbiamo fare in modo che non nasca un
altro centralismo. Bisogna per questo accentuare la diversità di ruolo legislativo e
gestionale, usando molto bene lo Statuto per realizzare questa diversità. Anche in questo
caso il problema di fondo sta nel trovare tra Regione, comuni e province una riflessione
sul nuovo Stato che dobbiamo costruire insieme. Siamo allinizio di un passaggio e
come inizio anche questo va affrontato con molta determinazione (è unoccasione
irripetibile), ma anche con molta meditazione e attenzione alle conseguenze che
determiniamo.
FABIO MUSSI, Presidente del gruppo Democratici di Sinistra-l'Ulivo
della Camera. Questa è unoccasione certamente importante di dibattito e
potrebbe diventare unoccasione importantissima se fossimo qui in grado di assumere
impegni politici precisi, non di lungo ma di breve periodo, per i giorni e le settimane
che ci attendono. Io intendo farlo come presidente del gruppo parlamentare di maggioranza
relativa, che può avere un peso e che spero possa esercitarlo per il meglio in questioni
di tanta importanza.
Su questa discussione aleggia un po il fantasma della cara estinta, della
Commissione bicamerale ma, prima di passare oltre quellepisodio come incidente di
percorso, vorrei ricordare che la Camera arrivò a votare Titolo I e Titolo II, con
qualche accantonamento, della seconda parte della Costituzione, approvando un testo assai
complesso che si apriva con un autentico rullo di tamburi, un articolo 55, primo comma,
che, dal punto dei vista dei principi era autenticamente rivoluzionario (non eversivo): la
Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province e dalle città metropolitane, dalle
Regioni e dallo Stato. Vi era una costituzionalizzazione integrale di tutti i soggetti,
con lo Stato messo alla pari.
In quel testo era ben risolta la questione della sussidiarietà istituzionale, perché se
è vero che il centralismo che dobbiamo ancora fronteggiare è quello dello Stato, è bene
curare che esso non venga diffuso.
Nellarticolo 58 era già operata linversione dellarticolo 117, con un
ribaltamento di primazia nellindicazione dei poteri di Stato e Regioni rispetto
allattuale testo costituzionale; nellarticolo 62 era indicato il principio
dellautonomia finanziaria e del federalismo fiscale, con un testo frutto di
mediazione, con le tre quote, di cui la terza (la parte non distribuita) destinata al
finanziamento del debito, al fondo perequativo e ad un impegno comune per fronteggiare le
calamità naturali, che in Italia nel lungo periodo comportano un notevole e costante
esborso.
Nel Titolo II si era anche passati alla forma di Governo, cioè al sistema di
bilanciamento dei poteri, con lelezione diretta del Presidente della Repubblica; e
con larticolo 67 veniva costituzionalizzata anche la par condicio.
Era un testo interessante, quello della Bicamerale, che non è morta di morte naturale ma
per la decisione politica di una parte politica, di un leader politico che è
lattuale leader del Polo, onorevole Silvio Berlusconi, che alla fine, dopo aver
votato questo testo, avanzò cinque obiezioni, la più rilevante della quale era che non
comprendeva la sussidiarietà sociale, che non centra con il federalismo ma è un
altro principio, riguarda un altro ordine di soluzioni costituzionali.
Mi associo alla domanda dellonorevole Cerulli Irelli: questa obiezione, che allora
fu quella contro la quale venne allora alzata una muraglia insuperabile, resta, così come
apparve il 15 maggio del 1998, oppure si può lavorare intorno a soluzioni che non la
contemplino? Da allora, da quando è caduta la Bicamerale, qualcosa è successo, con i
decreti Bassanini e con lintroduzione di importanti novelle, nel senso del
regionalismo e del federalismo nel sistema fiscale: naturalmente, a Costituzione vigente.
Sappiamo di essere in una fase storica, nella quale ci sono poteri che vanno spostandosi
verso le Regioni dEuropa e verso le istituzioni comunitarie. Tra laltro, qui
si è detto poco dellidea che abbiamo sulla evoluzione dellUnione Europea;
cè sul tavolo una proposta del ministro degli esteri tedesco e quando si parla di
Stato e di Regioni questo orizzonte deve esse contemplato; anche perché cè, allo
stato dei fatti, salvo auspicabili evoluzioni future, un patto di stabilità al cui
rispetto sono tenuti tutti i soggetti istituzionali.
La più grande novità è quella giunta alla vigilia della presentazione delle liste e dei
programmi per le regionali: lelezione diretta dei presidenti delle Regioni. Sono
daccordo con unespressione che ha usato Martini, quando ha affermato che si è
trattato di una specie di mossa dapertura della partita chiusa con la Bicamerale.
Questo ci apre due porte e dobbiamo capire se siamo in condizioni di entrare in queste due
nuove stanze.
La prima è quella degli Statuti e del riassetto istituzionale e statutario delle Regioni,
con i problemi dei rapporti fra presidente, giunta, assemblea; dei poteri esercitati;
dellordinamento regionale; della legge elettorale. Le Regioni stanno collaborando
per muoversi in una direzione coerente, per quanto riguarda le leggi elettorali? Noi siamo
in un sistema nel quale cè la possibilità di non fare venti sistemi elettorali uno
diverso dallaltro? Ma forse questo non riguarda questa discussione.
Nuovi statuti. Il Presidente Galan ha usato unespressione che poi mi è parso un
po negare: ci prepariamo a fare uno Statuto nel quale consideriamo un valore
larmonia con la Costituzione. Però questarmonia non può essere intesa nel
senso che ogni regione fa lo statuto che crede e poi la Costituzione si adegua. Occorre
decidere insieme se si apre la seconda porta, quella del cambiamento ora non
rimandato al futuro del quadro costituzionale. Il tempo può essere una variabile
che non gioca a favore di chi vuole accelerare la riforma dello Stato; basti pensare solo
al problema della iper-rappresentanza (come ha detto Bassolino: unelezione diretta
che dà forza, autorità) cui non corrispondano adeguati poteri bilanciati e sufficienti
per esercitarla.
Non siamo in grado di fare gli architetti, la Bicamerale lo ha dimostrato: era un grande
progetto, ma è fallito. Ora dobbiamo rinunciare a tentare di introdurre riforme più
parziali, a fare nei prossimi mesi gli operai se non gli architetti? Credo che sarebbe un
errore lasciar consumare il tempo ed aprire una catena di micro o macro conflitti tra i
poteri esistenti, il che farebbe male alla salute dello Stato, delle amministrazioni
locali, delle stesse Regioni. Alle novità già introdotte con le leggi federaliste a
ordinamento vigente e con lelezione diretta del presidente della regione deve
corrispondere un cambiamento di quadro costituzionale.
Il Presidente Bassolino ha detto che è previsto un incontro tra i presidenti delle
Regioni e il Comitato dei nove: io plaudo, spero che ne esca un orientamento politico
comune. Per la prima settimana di luglio è calendarizzato alla Camera il testo che ha qui
illustrato il Presidente Cerulli Irelli ed è un testo che dal Titolo I della Bicamerale
estrae alcuni punti essenziali: il ribaltamento dellarticolo 117, la sussidiarietà
verticale, la fine dei controlli centralistici, la riforma fiscale da introdurre in
Costituzione, il tema delle autonomie differenziate.
E una sfida che deve essere raccolta, sapendo prima di tutto quello che ha sostenuto
il Senatore Elia e cioè che cè una prima parte della Costituzione che sancisce che
la Repubblica combatte le disuguaglianze e promuove leffettività della libertà;
per cui il grande tema delle autonomie differenziate sta dentro un quadro costituzionale.
E una sfida appassionante: noi siamo in grado di approvare, nella prima settimana di
luglio, le norme a cui ho accennato e di affrontare anche la questione delle autonomie
speciali o, meglio, differenziate: una volta ribaltato il sistema dei poteri tra stato e
Regioni, vi è la possibilità di consentire di allargare i loro poteri anche alle Regioni
che lo vogliano e che possano farlo.
Credo che sarebbe una cosa saggia, non a favore di una parte o dellaltra. Tra
laltro, le elezioni regionali si sono svolte, come è finita è noto: non ci sono
più meriti da rivendicare ma solo da dividere. Possono solo esserci i meriti di una
riforma costituzionale limitata, ma di enorme significato, da dividere, non da rivendicare
una parte contro laltra. Il tempo lo abbiamo e se in questa fine legislatura
operiamo questi cambiamenti del quadro costituzionale nel senso del federalismo facciamo
una cosa buona, sapendo anche che, se vogliamo fare sul serio per la legge elettorale
nazionale, restano ancora delle riforme costituzionali da fare sugli articoli 92 e
seguenti che riguardano la forma di Governo.
La legge costituzionale è lunga per i vari passaggi che devono esserci nei due rami del
Parlamento, ma non è necessariamente lunga per il dibattito parlamentare: se cè la
volontà di farlo, si può votare alla Camera già entro la prima settimana di luglio.
In questa direzione va limpegno del gruppo che presiedo e spero di trovare un
impegno comune anche nella maggioranza degli altri gruppi della maggioranza e anche
dellopposizione. Ma quando si parla di Costituzione vale una logica bipartisan,
non quella che contrappone maggioranza e opposizione.
LUISA DE BIASIO CALIMANI, componente della Commissione parlamentare
per le questioni regionali. Ritengo estremamente importante questa iniziativa, poiché
siamo tutti convinti che il federalismo è un processo politico-istituzionale da
sviluppare, che ha bisogno anche di unacquisizione in termini culturali. Ci troviamo
oggi ad affrontare un tema molto pragmatico: che cosa in questa legislatura si vuole e si
può fare, con il concorso di tutti? Essendo questo un processo, sappiamo che non si
concluderà in questa legislatura, nella quale però si può raggiungere un livello di
irreversibilità almeno su alcune questioni che sono state poste con i decreti Bassanini,
non ancora arrivati ai destinatari, cittadini e comunità locali perché i provvedimenti
già adottati richiedono ulteriori fasi attuative di trasferimento delle risorse per
definire, oltre alle assegnazioni, anche le distribuzioni delle risorse assegnate alle
Regioni.
Questo è un appello al Governo perché si attivi rapidamente affinché si abbiano gli
effetti di un processo riformatore che, a Costituzione invariata, era il massimo che si
potesse fare ed è stato fatto: già con lelezione diretta dei presidenti e con il
fatto che gli statuti non hanno più bisogno di controlli, è arrivato a un punto
importante. Ma proprio per questo sarebbe interessante conoscere lopinione dei
presidenti delle Regioni anche sul tema dellallargamento della Commissione questioni
regionali ai presidenti delle Regioni, affinché sia costituzionalizzato un processo che
affidi alle Regioni il ruolo di costruttori e non solo di interlocutori; vista
lautorevolezza che hanno assunto con lelezione diretta del presidente, le
Regioni devono partecipare direttamente al processo riformatore, invece di rimanere
allesterno, ad osservare e criticare: devono farne parte, anche se in una forma che
non sia la seconda Camera (che non si riuscirà in questa legislatura a portare in
Costituzione). Avere un percorso da costruire insieme è uno degli obiettivi che dovremmo
porci tutti.
La seconda questione che voglio trattare è quella del federalismo a geometria variabile.
Sono convinta che non esista altro federalismo che questo, perché una volta individuati i
compiti che lo Stato attribuisce a se stesso, tutto il resto non può essere consegnato
dimperio alle Regioni. Questo non sarebbe federalismo: i poteri devono essere
attribuibili qualora le Regioni lo richiedano e anche nei tempi in cui le Regioni si
sentano di assumere i nuovi poteri. Come è stato affermato, le Regioni in Italia sono
diverse: se non fosse così, il bisogno di federalismo non sarebbe così pressante.
E allora, man mano che una regione si sentirà di assumere nuovi compiti, nuovi poteri,
nuove funzioni, saranno gli statuti a richiederlo.
Al Presidente Galan vorrei dire a questo punto che non si tratta tanto di verificare se le
proposte dello Statuto regionale siano buone, cattive o eversive, utili o meno: si tratta
di valutarle alla luce del quadro costituzionale vigente , come è accaduto per le
richieste che aveva fatto la Regione Veneto attraverso una proposta di referendum e che
poi sono state assunte dalla riforma costituzionale: ma fintanto che non lo siano, non
sono buone o cattive, sono incostituzionali.
Se ci vogliamo mettere sul binario corretto, non dobbiamo cedere alla tentazione di non
riformare nulla in questa legislatura rimandando tutto alla prossima, nella quale alcuni
sperano che una maggioranza diversa da quella attuale possa fare tutto. E qui che si
svela la contraddizione e anche la schizofrenia di volere da una parte una maggiore
attribuzione di funzioni che la Costituzione ancora non consente; dallaltra, di
cercare di bloccare il processo riformatore, che ancora potrebbe essere compiuto in questa
legislatura. Questo non è accettabile.
Lultima questione riguarda il principio di sussidiarietà, che è stato spesso
invocato per evitare che il centralismo nazionale si traduca in centralismo
regionalistico. Sappiamo quanto sia difficile consegnare agli enti locali funzioni che le
Regioni hanno. Laiuto a questo processo sarebbe venuto anche da quel Consiglio delle
autonomie locali, che era presente nel testo governativo (articolo 11 A.C. 5830). La
nostra Commissione ha espresso parere negativo alla soppressione di questo Consiglio delle
autonomie locali.
Se vogliamo tradurre in cose concrete le affermazioni teoriche, dobbiamo consentire che ci
siano degli strumenti adeguati per far sì che le proposte procedano.
RICCARDO MIGLIORI, componente della Commissione parlamentare per le
questioni regionali. Debbo innanzitutto giustificare lassenza del Presidente
Selva, che è impegnato in sede di Commissione parlamentare, ed esporre velocemente quello
che, presumo, anchegli avrebbe detto come contributo a questo incontro.
Mi preme, come deputato di opposizione, registrare come fatto positivo il lavoro della
Commissione bicamerale affari regionali, che nel corso di questa legislatura ha offerto un
contributo significativo di lavori preparatori a quelli che sono stati gli approdi di
revisione costituzionale, che abbiamo sperimentato con lelezione diretta dei
presidenti delle Regioni.
Rispetto a tanti luoghi di purtroppo inutile, sterile confronto che abbiamo avuto in
questa legislatura, la Commissione bicamerale ha testimoniato la possibilità che, laddove
vi sia una confronto anche aspro ma scevro da tatticismi, è possibile raggiungere
determinati obiettivi.
Lo dico ufficialmente: ritengo che abbiamo svolto un lavoro preparatorio importante,
rispetto a quelli che sono stati gli adempimenti concreti, cui è pervenuto il Parlamento
in tema di riforma costituzionale che ha consentito lelezione diretta dei presidenti
delle Regioni.
Secondo punto. Nel dibattito parlamentare e anche nei lavori di commissione, la riforma in
senso presidenzialista è stata la garanzia anche per uno sbocco federalista degli assetti
relativi alle Regioni nel nostro paese. Se oggi le Regioni sono forti (e lo sono, come non
lo sono state mai), lo si deve anche e soprattutto al fatto che abbiamo dato autorevolezza
ai livelli di governo dei poteri regionali. Oggi le Regioni non sarebbero così forti se i
loro presidenti non fossero investiti di un mandato elettorale diretto.
Lo dico alle forze politiche che hanno osteggiato questa riforma in sede di commissione e
di Parlamento, fino a un momento prima di arrivare al voto in seconda lettura. Oggi
abbiamo la riprova della bontà di questo ragionamento, che la maggioranza
(costituzionale, non parlamentare) ha con forza e con coerenza espresso.
Parto da questo: grazie al lavoro anche della nostra Commissione, il Parlamento ha varato
una storica riforma costituzionale, che rende le Regioni più forti rispetto a qualsiasi
epoca precedente. Per fare che cosa? Abbiamo creato (ecco la portata storica della
riforma) un clima irreversibile di modifica costituzionale. Siamo uno strano paese, nel
quale abbiamo, con la legge n.81, modificato i sistemi elettorali per lelezione
diretta dei sindaci e dei presidenti delle province, abbiamo con lultima riforma
costituzionale modificato il sistema elettorale delle Regioni, ma ancora non riusciamo a
posizionare lultimo tassello, quello che attiene alla modifica della forma di
governo del Paese.
Non voglio fare una sorta di fiera delle vanità alla rovescia, come ha fatto lamico
Mussi, sulle occasioni perdute, sul "fiore che non colsi" in questa legislatura.
Dobbiamo guardare non tanto al passato, quanto al futuro.
Siamo daccordo (lo dico agli amici della maggioranza, ma anche ai colleghi
dellopposizione) sulla positività del fatto che oggi i consigli regionali sono di
fatto assemblee costituenti, perché devono riscrivere le regole; siamo daccordo
sullelezione diretta del presidente della regione; siamo daccordo sul fatto
che questo clima dà maggiore autorevolezza ad una democrazia governante e partecipata,
pur garantendo allo stesso tempo un ruolo, che fa parte della nostra tradizione politica,
di centralità ai consigli, ai quali, con un emendamento che mi vanto di aver sottoscritto
insieme ad altri colleghi, abbiamo tolto competenze di tipo amministrativo e
regolamentare, facendoli diventare grandi momenti di indirizzo, di legislazione attiva, di
controllo: abbiamo dato loro la possibilità di confrontarsi con un presidente forte quale
quello eletto direttamente dalla gente.
Se siamo daccordo su questo schema, non è difficile fuori da ogni tatticismo
trovare i modi per inserire questi elementi innovativi nel grande confronto sulla
modifica della forma di stato e di governo.
Ecco perché dico che abbiamo fatto un lavoro importante: abbiamo creato un clima
costituente nelle Regioni e tale clima fatalmente investe il quadro politico nazionale e
la riflessione in tema di impellenti modifiche di natura costituzionale.
Per finire, una riflessione sul confronto che la Commissione ha avuto a dicembre con il Bundesrat.
Lerba del vicino è sempre più verde e i deputati tedeschi ci invidiano il
"Mattarellum", vorrebbero avere il nostro sistema: era una situazione kafkiana!
Da questo sorge una riflessione: a luglio cominciamo a discutere alla Camera dei deputati
la riforma federalista, che in questo paese non sarà più uno scherzo ma sarà effettiva
quando avremo una Camera delle Regioni, quando vi sarà a livello nazionale un momento
rappresentativo forte delle assemblee o dei governi regionali, altrimenti continuiamo a
scherzare, a fare tatticismi. Ho detto "Camera delle Regioni" e non "Senato
delle Regioni", altrimenti i senatori si offendono, mentre io non mi offendo affatto,
perché continuo a considerarmi un consigliere regionale prestato alla politica nazionale.
Di solito invece ci si vergogna delle umili origini e se un consigliere regionale diventa
deputato dirà che ha fatto il sindaco e il consigliere comunale, difficilmente dirà di
aver fatto lassessore o il consigliere regionale. Io invece mi vanto di venire da
quella esperienza e ripeto qui quello che dicevo a Firenze in consiglio regionale: non
dobbiamo scherzare su questo punto.
Il Bundesrat è un organo fondamentale attraverso il quale le Regioni riescono a
parlare con lo stato: sono organi di garanzia ed anche momento dirimente dei conflitti
istituzionali, senza i quali non può esistere assetto federale, neppure nel nostro paese.
Ho ricordato questo elemento perché rischiamo di fare una riforma monca. Dobbiamo farne
una che "chiuda" il sistema: dopo i comuni, le province e le Regioni, dobbiamo
vincere la sfida finale, per fare in modo che il nostro paese sia più serio, più coeso,
più forte nella condivisione di comuni principi.
DONATO ROBILOTTA, Assessore agli affari istituzionali della Regione
Lazio. Ho chiesto di parlare perché il dibattito ha fatto emergere una necessità,
come diceva il presidente Cerulli Irelli quando sosteneva che non è possibile affrontare
la questione del federalismo, ed in particolare di quello fiscale, soltanto attraverso le
leggi Bassanini ed i decreti legislativi, ma che bisogna affrontare la riforma della
Costituzione. Federalismo significa competizione (non cè bisogno di usare la parola
inglese devolution) tra le Regioni, tra i servizi. Se non cominciamo a capire
questo, non possiamo capire neppure come realizzare il federalismo.
Nel dibattito che si è qui svolto è emerso un unico, grande problema degli ultimi dieci
anni, che è stato affrontato in Italia con un grande dibattito sulle riforme e le
autonomie; poi però siamo andati avanti a spizzichi e a bocconi, come si dice a Roma,
realizzando un pezzo per volta (si è detto che è mancato larchitetto) senza
affrontare da subito la grande riforma istituzionale della legge elettorale nazionale,
della modifica della forma dello Stato e della forma di governo.
Oggi abbiamo i sindaci che hanno un grande potere che deriva loro dallelezione
diretta; i presidenti delle province che si dice di voler eliminare ma ai quali abbiamo
dato lelezione diretta. Chi glielo va a dire che ora, con le aree metropolitane,
devono scomparire? Abbiamo fatto riforme in parte in contrasto fra loro, perché non
cè stata una messa a punto complessiva.
Anche lelezione diretta dei presidenti delle Regioni ha creato grandi aspettative
nei cittadini, che ora pensano che i presidenti delle Regioni in due minuti metteranno
tutto a posto. Li chiamano i governatori, ma nei fatti non so se lo siano; bene ha fatto
il Presidente Bassolino a dire che, avendo realizzato unimportante modifica, adesso
dobbiamo vedere tutte le cose che da subito può fare il Governo, con delle
interpretazioni della Conferenza Stato-Regioni o del Consiglio di Stato, per eliminare i
conflitti che possono sorgere tra le competenze della giunta e quelle del consiglio,
diversamente non sarà facile fare gli statuti o i regolamenti consiliari, perché il
consiglio non si farà togliere facilmente i propri poteri. E bene quindi cercare di
prevenire da subito i possibili conflitti.
Ecco la mia provocazione: a luglio va in discussione il disegno di legge sul federalismo,
ma è in grado questo Parlamento di affrontarlo? Lonorevole Mussi diceva che la
Bicamerale non è riuscita a fare la riforma perché Berlusconi lha fatta saltare.
Non entro nel merito, ma vorrei ricordare allonorevole Mussi che in Italia sono
saltate non soltanto la Bicamerale DAlema, ma tutte le bicamerali. Probabilmente
nessuno si è chiesto se quello fosse il metodo migliore per arrivare alla riforma; e
qualcuno non si è chiesto perché nel 1996 non si è potuta eleggere una Costituente che
la potesse varare. Oggi ancora si farebbe in tempo a seguire una strada diversa, eleggendo
una Costituente che mettesse mano rapidamente alla riforma. E ora che abbiamo
lelezione diretta dei sindaci, dei presidenti delle Regioni e delle province, non
possiamo parlare di riforma elettorale senza occuparci dellelezione diretta del
premier o del Presidente della Repubblica. E inutile presentare una legge elettorale
sul modello tedesco e poi dire che non affrontiamo il vero nodo attraverso cui si può
arrivare al vero federalismo, cioè quello di realizzare un Governo centrale forte e
autorevole. Dunque, è inutile proporre una legge elettorale che affronti soltanto una
parte del problema.
Il Parlamento deve affrontare questo problema dellelezione diretta e della riforma
complessiva della Costituzione per realizzare un vero federalismo.
Non so se ci sia il tempo per farlo, né quale strada seguire. Personalmente ho sempre
pensato che la strada dellAssemblea costituente eletta direttamente dai cittadini
sarebbe stata più rapida, perché avrebbe auto lautorevolezza che viene
dallelezione diretta da parte dei cittadini; ma in ogni caso questo è il problema
allordine del giorno.
GIANCARLO PAGLIARINI, Presidente del gruppo Lega nord per
l'indipendenza della Padania della Camera. Mi dispiace che la Lega non sia stata
invitata. Sul federalismo la nostra idea è che per legge bisognerebbe impedire di
parlarne per almeno cinque anni, finché non si applichi nel nostro paese il principio di
sussidiarietà, poi perché le idee sono incredibilmente confuse. Federalismo deriva dalla
parola foedus, che significa patto; e in ogni patto ci sono necessariamente due
elementi, lindividuazione dei soggetti che aderiscono al patto e la loro libertà.
Il matrimonio è un patto, un foedus; i soggetti sono il marito e la moglie e sono
liberi: se vogliono si sposano, altrimenti non sono costretti a farlo. Altrimenti che
patto, che foedus sarebbe? E che federalismo sarebbe?
Trasportiamo il discorso alla situazione politica: quali sono i soggetti che aderiscono al
patto federale? Secondo noi, non possono essere altro che le attuali Regioni: bisogna
però individuarle e dare loro la libertà: altrimenti non può esserci nessun patto,
nessun foedus.
Unaltra cosa che abbiamo notato è che si pensa che federalismo sia uguale a
sussidiarietà. Ebbene, nella Repubblica federale Svizzera ci sono dei cantoni in cui vi
è poca sussidiarietà: nel cantone di Vaud (dove si trova Losanna) il sistema è molto
accentrato; invece nel cantone dei Grigioni è molto decentrato. Tutti parlano della
necessità di dare più poteri agli enti locali, però non è detto che con il federalismo
si raggiunga questo obiettivo, perché ci sono stati negli Stati Uniti e cantoni in
Svizzera in cui non vi è sussidiarietà.
Lultimo contributo che voglio dare è questo: a me sembra di tutta evidenza
però non viene recepito che se vogliamo che lItalia diventi una repubblica
federale è inevitabile che per un milionesimo di secondo vi sia una secessione: oggi è
uno Stato non federale, se vogliamo che diventi federale, cioè che dei
"diversi" firmino il patto federale e si uniscano, per un milionesimo di secondo
lItalia unita non cè più, ci sono i diversi che firmano il patto e si
uniscono in una repubblica federale. La sinistra ha depositato un disegno di legge
sullordinamento federale della Repubblica che è assurdo: il federalismo presuppone
una repubblica federale, una repubblica federale ha lordinamento federale, ma
presentare una legge intitolata "ordinamento federale" di una repubblica che non
è una Repubblica federale significa prenderci in giro, o, peggio, prendere in giro i
cittadini, perché si strumentalizza la parola federalismo. Dunque se vogliamo parlare di
federalismo ci dobbiamo mettere in testa che lItalia dovrebbe diventare una
"Repubblica federale".
Altrimenti si parla daltro. Ho già detto a Mussi che io sono disposto a votare la
legge che è stata presentata, basta che tolgano la parola "federalismo" dal
titolo, perché non centra assolutamente niente. Va bene modificare la Costituzione,
ma se non si costituisce una repubblica federale, il federalismo non centra niente.
MARIO PEPE, Presidente della Commissione parlamentare per le questioni regionali. Ringrazio tutti i presenti e dichiaro concluso il convegno.